Mercenari. Il mestiere delle armi nel mondo greco antico. Età arcaica e classica 9788843067831, 8843067834

Combattere era più "naturale" per i Greci di quanto non lo sia per un uomo del XXI secolo. Ma era pur sempre u

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Italian Pages 480 [481] Year 2013

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Mercenari. Il mestiere delle armi nel mondo greco antico. Età arcaica e classica
 9788843067831, 8843067834

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Saggi · 71

Marco Bettalli

Mercenari Il mestiere delle armi nel mondo greco antico Età arcaica e classica

Carocci editore

@,

Saggi

edizione, maggio 2013 © copyright 2013 by Carocci editore S.p.A., Roma I

a

Impaginazione: Grafiche VD Finito di stampare nel maggio 2013 da Eurolit Srl, Roma

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Siamo su Internet: http://www.carocci.it

Indice

Avvertenza

13

Prefazione

15

Introduzione

19

I

Prologo: dal II millennio a Omero

27

Egitto e Vicino Oriente I regni micenei Omero

27 29 32

Parte prima In Grecia 2

3

L'età arcaica

39

Apollo protettore dei mercenari arcadi? Mercenari e tirannidi arcaiche Impossibili biografie. Archiloco

39 41

47

La guerra del Peloponneso

51

Introduzione. Terminologia La guerra navale La guerra terrestre Conclusioni Dopo la guerra

SI

52 57 65 68

8 4

5

6

MERCENARI

Il IV secolo: Atene

71

Fare la guerra ad Atene Pubblico e privato L'ingaggio di mercenari: il problema militare Il vero problema: il denaro Un caso particolare: le ciurme delle navi I condottieri ateniesi: storie di generali Cittadini vs mercenari e cittadini mercenari Conclusioni Appendice. Repertorio dei contingenti mercenari utilizzati dagli Ateniesi tra il 403 e il 3 22

71 77 80 83 86 89 103 107

Il IV secolo: Sparta e la Lega del Peloponneso

147

Miti e demitizzazioni Storie di reduci: i Cirei Durante la guerra di Corinto La riforma della Lega del Peloponneso Povertà pubblica e ricchezze private Da Leuttra a Mantinea Turisti per caso: re all'estero Ultimi fuochi: la rivolta anti-macedone di Agide III

147 150 154 156 161 163 165 171

Il IV secolo: le altre realtà

173

Un'ingombrante compagna di viaggio Enea Tattico e l'anomia della Grecia Avventurieri e capi-popolo Giasone di Fere Tebe e Lega Arcadica: mercenari e reparti specializzati

173 174 175 180 182

La guerra sacra e i mercenari al servizio dei Focidesi

186

Impossibili biografie. Ceratada

197

III

INDICE

9

Parte seconda Le Sirene da Meridione 7

Egitto: la XXVI dinastia ( 664-525)

203

Prologo: Egitto e mondo egeo

203

L'ascesa al trono di Psammetico I

204

I mercenari greci durante la XXVI dinastia: le fonti letterarie

208

Le fonti archeologiche

8

211

Le fonti epigrafiche

214

Conclusioni

218

Egitto: la dominazione persiana ( 525-330)

221

Introduzione

221

Il v secolo

222

Il IV secolo

224

Conclusioni Parte terza Le Sirene da Oriente 9

L'Oriente prima dei Persiani L'impero neo-assiro e i Greci Le testimonianze Il regno neo-babilonese I Greci in Oriente: commercianti mercenari pirati Il regno di Lidia I mercenari e l'origine della moneta coniata Gli stateri di Alceo

235

MERCENARI

IO

10

L'impero persiano, 1: il VI e il v secolo

253

L'irresistibile attrazione dell'impero persiano Il VI secolo Il v secolo 11

12

L'impero persiano, 2: Senofonte e i mercenari di Ciro Senofonte mercenario?

261

L'Anabasi: il testo e altri testi

266

I mercenari greci: opliti e peltasti

270

L'organizzazione dell'esercito

275

Gli amici di Ciro

276

La paga

279

I rapporti con Sparta

281

La battaglia di Cunaxa

284

Il ritorno: l'arrivo nelle poleis della costa del Ponto Eusino

288

Il progetto di fondazione di una polis

293

Impossibili biografie. Clearco

297

L'impero persiano, 3: il IV secolo Conone Evagora Rivolte nell'impero Mercenari greci contro Alessandro Conclusioni

312

INDICE

II

Parte quarta Le Sirene da Occidente I3

Sicilia: il v secolo Un mondo nuovo I primi tiranni e Ippocrate di Gela

320

Gelone e una precaria prosopografia

322

Ierone La caduta delle tirannidi e la sorte dei mercenari

14

Sicilia e Magna Grecia: il IV secolo

33 1

Introduzione I Campani in Sicilia e il ritorno dei Cartaginesi Dionisio I Dionisio I I , Dione e gli altri T imoleonte e la liberazione della Sicilia

351

I mercenari e l'identità della Sicilia Uno sguardo alla Magna Grecia

Impossibili biografie. Dexippo Parte quinta Le Sirene da Settentrione 1s

Seuthes e i dinasti della Tracia Barbarie e fascinazione I reduci di Ciro presso Seuthes Strategie matrimoniali Ificrate in Tracia

372

374

MERCENARI

12

16

Filippo II e Alessandro

377

Filippo II e la riforma dell'esercito macedone L'impiego di mercenari da parte di Filippo II I mercenari di Alessandro: la prima fase Alessandro e i mercenari greci al servizio dei Persiani Dopo la morte di Dario Parte sesta Riassumendo 17

Una visione d'insieme Un mestiere ambiguo

403

Chi

405

Quanti

411

Paga

413

Mercenari e monetazione

418

Armamento

421

Gerarchie

427

IJollowers invisibili

428

Efficienza

430

Bibliografia Indice dei nomi

435

Avvertenza

Abbreviazioni B

M. BETTALLI, / mercenari

FGrHist

F. JACOBY, Die Fragrnente der griechischen Historiker, Berlin-Leiden 1923-5 8.

IG

Inscriptiones Graecae, Berlin 1873 ss.

ML

A Selection of Greek Historical Inscriptions to the End ojthe Fifth Century BC, Oxford 19882

secolo a.C., Pisa 1995.

nel mondo greco, I: dalle origini alla fine del v

R. MEIGGS, D. LEWIS,



P

w. P ARKE, Greek Mercenary Soldiers, from the Earliest Times to the Battle oflpsus, Oxford 1933 (repr. Chicago 1981).

RE

Paulys Realencyclopadie der classischen Altertumswissenschaft, hrsg. G. WISSOWA, w. KROLL, K. MITTELH AUS, K. ZIEGLER, Stuttgart-Miinchen 1893 ss.

RO

P.

H.

J.

BC, T

RHODES, R. OSBORNE

Oxford 2003.

(eds.), Greek Historical Inscriptions 404-323

M. TRUNDLE, Greek Mercenaries. From the Late Archaic Period to Alexan­

der, London-New York 2004.

Sono stati abbreviati, inoltre, i nomi dei principali autori, secondo i criteri più usuali: cfr. dunque Aen. Tact. = Enea Tattico, Aeschn. = Eschine, Aristoph. = Aristofane, Aristot. = Aristotele, Arr. = Arriano (Anab. = Anabasi), Athen. = Ateneo, Demosth. = Demostene, Diod. = Diodoro Siculo, Hdt. = Erodoto, Hyper. = Iperide, Isocr. = Isocrate, Lys. = Lisia, Paus. = Pausania, Plat. = Platone, Plut. = Plutarco, Polyaen. = Polieno, Polyb. = Polibio, Strab. = Strabone, Thuc.

14

MERCENARI

= Tucidide, Xen. = Senofonte (Ell. = Elleniche, Anab. = Anabasi) ecc. I titoli delle opere, quando non individuati semplicemente da un numero romano, sono di solito dati nella traduzione italiana. Le date si intendono sempre a.C., quando non diversamente indicato. Nel testo, le parole greche sono state traslitterate seguendo un criterio semplificato: l'accento, sempre grave, è segnato, a partire dai bisillabi, sulla vocale tonica.

Prefazione Sono un mercenario, e sono fiero di esserlo. Combatto il ne­ mico non solo in nome dell'amministrazione, ma anche in qualità di incaricato, sia pur modesto, di una missione [ ... ] . I mercenari non sanno perché combattono, perché muoiono [ ... ] . Sperare che la guerra abbia senso conferisce loro la forza di cui abbisognano, e rende possibile e tollerabile il massacro. F. Diirrenmatt, La guerra invernale del Tibet, 1981

Nel secolo scorso scrissi un testo che ripercorreva le vicende dei mercenari nel mondo greco dalle origini alla fine della guerra del Peloponneso. Avrei voluto far seguire subito il secondo volume, dedicato al IV secolo. Ma, come molti colleghi avranno sperimentato, i progetti scientifici seguono vie tortuose e quasi mai si realizzano nei tempi e nei modi immaginati. Il tempo passava e la mia attenzione verso i mercenari lasciava solo qualche modesta traccia; quando finalmente ho messo mano alla redazione defini­ tiva del testo, mi sono reso conto che sarebbe stato poco sensato farlo sen­ za ripensare profondamente anche il primo volume. Non si trattava solo di cogliere l'opportunità di inserire qualche nuova traccia archeologica, né di tenere presente la bibliografia uscita nel frattempo, che peraltro aveva fatto sì che molte prospettive andassero riconsiderate: era anche e soprat­ tutto un problema di revisione globale del tema, nonché di un montaggio differente da adottare per il lavoro che mi accingevo a intraprendere. Questo, in breve, il motivo che mi ha condotto a presentare un libro che per 1'80% circa è interamente nuovo, mentre per il 20% è una seconda edi­ zione, rivista, allargata, a volte trasformata, del volume del 1995, del quale è possibile ritrovare tracce nei CAPP. 1, 2, 3, 7, 9, 10 e 13 (ringrazio la casa editri­ ce ETS di Pisa per avermi consentito di utilizzare il testo). Per quanto riguarda il periodo da prendere in esame, mi sono fermato, mostrando poca originalità, alla morte di Alessandro, concedendo sola­ mente uno spazio forse non adeguato all'importanza dell'evento alla suc­ cessiva guerra lamiaca. Il perché è abbastanza evidente: dopo quella data, il mondo cambia e i mercenari con esso. Affrontare tali cambiamenti e le nuove prospettive offerte da una documentazione anch'essa diversa rispet­ to al periodo precedente è una sfida affascinante, ma che per adesso non intendo affrontare. Sono consapevole che questa scelta mi pone un passo

16

MERCENARI

indietro al mio grande predecessore Herbert W. Parke, che già mi sopra­ vanza per meriti scientifici: egli decise infatti di giungere fino alla battaglia di Ipso del 301. Il testo si occupa di tutti i mercenari, greci e non greci, che hanno lasciato tracce in questo lungo periodo: a questo riguardo, esiste un problema di terminologia, poiché l'espressione 'mercenari greci' può ri­ sultare ambigua, portando a escludere, per esempio, i Traci o i Cari. La proposta di KRASILNIKOFF (1992, p. 24) di sostituirla con 'mercenari egei' - 'aegean mercenaries' - ponendo l'attenzione sul mare Egeo, non risolve la questione, poiché, oltre a non essere particolarmente perspicua di per sé, non tutti i mercenari di cui ci occupiamo hanno avuto rapporti con il mare Egeo. Ho preferito così confermare l'espressione impiega­ ta nel primo volume, i mercenari nel mondo greco antico, che va intesa lato sensu come comprendente tutti i territori in cui i Greci sono stati in qualche misura protagonisti. L'ordine da dare agli argomenti è stato un problema che mi ha fatto compagnia, assillandomi, durante lo studio. Mi sono presto reso conto non diversamente da quanto accadde a Eforo più di 2.300 anni fa - che un impianto cronologico (adottato senza particolari problemi nel 1995) avrebbe reso l'esposizione macchinosa e inefficace. Alla fine, sono giunto alla decisione che, poiché è il committente che fa il mercenario, la mate­ ria andava organizzata adottando il punto di vista, appunto, dei commit­ tenti. Le parti che si susseguono, dunque, e che senza forzature hanno accontentato il mio amore per la simmetria, rappresentando armonica­ mente i quattro punti cardinali, traggono la loro articolazione da coloro che ingaggiavano e - qualche volta - pagavano i mercenari. Dopo il capi­ tolo introduttivo, i CAPP. 2-6 concernono infatti l'attività dei mercenari all'interno del mondo greco; i CAPP. 7-8 il servizio in Egitto, senza ri­ guardo per la circostanza se la terra del Nilo fosse indipendente come nel CAP. 7 o formalmente inglobata nell'impero persiano come nel CAP. 8; i CAPP. 9-12 riguardano il servizio mercenario svolto dai Greci in Oriente, da identificarsi per i tre capitoli finali con l'impero persiano; i CAPP. 13-14 affrontano invece il fondamentale rapporto che la storia della Sicilia ( con un'appendice magno-greca) intrattenne con il fenomeno del mercena­ riato, per finire con i CAPP. 15-16 che uniscono esperienze assai diverse come il servizio mercenario presso i dinasti traci e la grande epopea di Filippo e Alessandro, sotto il piccolo ma comunque ineludibile comune denominatore che entrambi i committenti, i Traci e i Macedoni, sono da

PREFAZIONE

17

collocarsi nel nord dell'universo mediterraneo dell'epoca. Il CAP. 17 sarà forse utile come sintesi dei principali problemi passati in rassegna per chi non abbia voglia o tempo di affrontare l'intero testo, che è risultato più ampio di quanto io stesso avessi pensato e di quanto il direttore editoria­ le della casa editrice Carocci, il paziente amico Gianluca Mori, avrebbe desiderato. Anche se ambisce a essere leggibile (tutti i libri, di storia e non, dovreb­ bero esserlo, ma alcuni colleghi sembrano non essere d'accordo) e fruibile per un pubblico il più vasto possibile, il testo è da considerarsi speciali­ stico; presenta nondimeno alcune convenzioni che non dovrebbero di­ minuirne la serietà scientifica: le principali sono la scelta di traslitterare i termini greci e di presentare i numerosi testi citati nella traduzione italiana e non nell'originale greco, il cui reperimento, per il lettore interessato, non costituirà certo un problema. La bibliografia è aggiornata, mese più mese meno, alla primavera del 2012: ogni lavoro è citato - anche se una sola vol­ ta - con il sistema autore/data e poi ripetuto con tutti i riferimenti nella bibliografia finale. I mercenari sono un tema affascinante, che come un fiume carsico ap­ pare e scompare nel corso della storia greca. Molti dei problemi posti dallo studio della loro presenza nel mondo greco della guerra derivano - non troppo diversamente da quanto accade per i mercenari di oggi - dalla diffi­ coltà di individuarli correttamente, servendosi di una definizione inoppu­ gnabile. È una sfida non da poco: Matthew Trundle, autore della migliore sintesi pubblicata in questi anni, l'ha presa così sul serio che, a furia di deli­ mitare il campo rigorosamente, a una prima lettura sembra aver scritto - e assai bene - su una cosa che nel mondo greco non esisteva affatto. L'unica cosa che ho veramente capito è che i mercenari hanno un ruo­ lo importante nella storia greca, perché stanno sul margine dell'endiadi cittadino/ soldato che ha nutrito da secoli la nostra rappresentazione del mondo della polis. Su molti punti avrei dovuto forse meditare ancora: ma, se non sono riuscito a capire qualcosa nei quasi 18 anni trascorsi dalla pubblicazione del primo volume, è meglio arrendersi. Qualche risultato credo comunque di averlo raggiunto e lo offro volentieri agli studiosi e ai lettori. Nel licenziare il libro, un pensiero grato va alla mia Università, che co­ stituisce da molti anni la mia seconda casa. Le difficoltà incontrate negli ultimi tempi non le impediranno certo di conservare e incrementare il ruolo che essa seguita a ricoprire da ormai quasi 800 anni, in un mondo in

18

MERCENARI

perenne trasformazione che però, come nel Medioevo, continua ad avere bisogno di cultura, anche se pare spesso dimenticarsene. Vorrei anche ringraziare Mauro Moggi, che ha letto interamente il ma­ noscritto, evitandomi molti errori e inducendomi a riflettere su svariati punti tutt'altro che secondari. Le differenti opinioni che abbiamo su molti temi relativi alla storia greca non ci impediscono di dialogare amichevol­ mente e proficuamente. Dedico questo libro ai miei figli Caterina, Francesco e Carlotta; ad Al­ ceo, che è rimasto a sonnecchiare accanto a me per gran parte del tempo dei miei studi, e a mia moglie Federica, che mi ha sopportato in tutti questi anni e sembra non averne ancora abbastanza: se sono riuscito a terminare il lavoro, il merito è in gran parte suo. Siena, settembre 2012 MARCO BETTALLl

Università di Siena marco. [email protected]

Introduzione Ettore, dov'è finito il coraggio che eri solito avere? Dicevi che avresti difeso la città senza esercito e senza alleati, tu da solo, con i tuoi parenti acquisiti e di sangue.

Iliade v 472-474 (trad. G. Paduano)

Dagli eserciti privati agli eserciti mercenari Combattere era un'attività più 'naturale' per i Greci di quanto non lo sia per un uomo del XXI secolo. Ma era pur sempre un'attività tremendamen­ te difficile che comportava enormi responsabilità, non foss'altro perché, nel praticarla, si rischiava la vita. È comprensibile quindi che la prima aspi­ razione fosse quella di fare la guerra insieme a persone nelle quali si ripo­ neva la massima fiducia. Nel passo in epigrafe, Sarpedonte si rivolge a Ettore e lo rimprovera per la scarsa considerazione riservata agli alleati e per le millanterie relative all'iperbolica pretesa di poter reggere l'urto degli Achei servendosi solo del grado zero delle forze militari: un esercito privato, raccolto tra i parenti e i membri del clan familiare. L'ipotesi appare meno assurda quando si riflet­ ta sulle dimensioni del clan cui apparteneva l'eroe troiano, del quale face­ vano parte le famiglie dei 50 figli di Priamo. E non dobbiamo consegnare tale eventualità al mondo delle leggende eroiche: gli eserciti 'familiari' di grandi casate come gli Alcmeonidi ad Atene o i Fabi a Roma sono una realtà storica, operante quanto meno fino alla fine dell'età arcaica. Va da sé che una simile opzione non può essere valida in tutti i casi: in effetti, è lontano dall'adottarla lo stesso Ettore. Ed ecco la seconda, che definiremo l'opzione principale: a combattere è chiamata l'intera comuni­ tà, destinata a formare l'esercito della polis quando quest'ultima emergerà dalle nebbie dell'età oscura. Chi è chiamato a far parte di questo esercito? La risposta canonica ha individuato un'assoluta identità tra il cittadino e il soldato, con il dilagante successo dell'endiadi cittadino/soldato con la quale si intende ribadire che godeva dei diritti civili chi concorreva alla difesa della propria comunità e viceversa poteva combattere solo chi era cittadino a tutti gli effetti. Si stabiliva così una perfetta corrispondenza tra posizione politica all'interno della comunità e posizione occupata sul campo di battaglia.

MERCENARI

20

Una dittatura meno opprimente dell'ideologia del cittadino/soldato, assurta a chiave interpretativa dell'intera impalcatura della società greca, lascia più spazio a soldati 'marginali: Di recente Peter Hunt ha rivalutato addirittura la funzione militare degli schiavi, denunciando la pesante cap­ pa ideologica a causa della quale già gli storici antichi avrebbero sostanzial­ mente nascosto tale ruolo. Non è questa la sede per discutere l'ipotesi nei particolari: nondimeno, per sbrigarsela con una formula, essa mi sembra indicativa di un salutare trend degli studi sulla guerra nel mondo greco, che si oppone al granitico e vincente modello nel quale l'oplita/cittadino è dominante tra il VI I e il I V secolo1 Ma il cerchio è destinato ad allargarsi. Non solo l'esercito privato, ma anche l'esercito della comunità spesso non è sufficiente a far fronte alle esigenze militari che via via si presentano. Tra i vari motivi, i più lapalis­ siani sono il numero insufficiente a tener testa ai nemici e l'ambizione di disporre di forze superiori per intraprendere guerre di conquista. Specie più tardi, si faranno strada necessità 'tecnologiche' legate all'opportunità di disporre di soldati specializzati quali, per esempio, frombolieri e arcieri ( oppure opliti, se assumiamo l'ottica persiana, comune a tanti altri poten­ tati orientali). Da qui nasce il bisogno di un aiuto esterno alla comunità. Tali aiuti sono compresi in età arcaica nel termine epikouroi, che racchiude in sé gli alleati e i mercenari, come vedremo nei CAPP. 1 e 2. Con l'evolversi del quadro militare nel mondo antico, i significati di 'alleato' e 'mercenario' tenderanno a divergere, fino a quando i termini non diventeranno, nella realtà storica, alternativi: basti pensare alla lotta tra Cartagine e Roma, che secondo Polibio (vI 52.4-7) si era risolta a favore della seconda proprio per la sua scelta di non servirsi di forze mercenarie, alla lunga poco efficaci e inaffidabili. Una visione, questa, fortemente moraleggiante, destinata a ri­ scuotere un enorme successo, grazie anche alla ripresa che in età moderna ne farà Machiavelli, ma in realtà non convincente sul piano militare. Non •

Non è questa la sede per fornire una completa bibliografia su di un tema tanto vasto. Sul cittadino/soldato e la falange oplitica come polis in azione, cfr. per tutti VERNANT (1968); sugli schiavi e le 'censure' della storiografia antica, HUNT (1998). Quanto al modello 'ufficiale', dovremmo dar conto innanzi tutto dei numerosi contributi di Victor Davis Hanson; qui mi limiterò a ricordare HANSON (1995), a mio parere il più importante dei suoi testi: purtroppo, anche uno dei pochi non tradotti in italiano. Cfr. anche BETTALLI (2011, pp. 264-77 ), per brevi riflessioni accompagnate da molte citazioni bibliografiche. 1.

INTRODUZIONE

21

ne parleremo qui: ricorderemo solo come anche i Romani, restii effetti­ vamente a impiegare mercenari, alla fine della Repubblica adottarono un modello che comportava una pressoché completa professionalizzazione delle forze armate.

Mercenario: in cerca di una definizione Quando un soldato diventa un mercenario? Quando fattori economici di­ ventano esclusivi o preponderanti per indurre un uomo a combattere. Per realizzare pienamente questa condizione, sono necessari: - la compresenza di altre persone che svolgono la stessa attività mosse anche da motivazioni che non siano il denaro. Tale requisito è prelimina­ re a ogni riflessione sul mercenariato. Infatti, poiché gli impiegati di ban­ ca svolgono tutti il loro lavoro in quanto remunerati, a nessuno viene in mente di chiamarli mercenari. Ora, quel di piu è spesso vago i; in campo militare è di solito chiamato amore per la patria, dovere o quant'altro. Un sentimento non certo di moda, ma che garantisce ancora oggi un rico­ noscimento sociale negato ai mercenari e l'intitolazione di una strada di periferia in caso di morte in un'operazione di peace-keeping; - lo sviluppo di un'economia 'avanzata', nella quale sia agevole misurare le prestazioni e remunerarle in modo uniforme, attraverso l'impiego della moneta. Non ci stupiremo constatando come il concetto di mercenario trovi grandi difficoltà di definizione: si legga il Primo Protocollo aggiuntivo ( 1977) della Convenzione di Ginevra, poi sostanzialmente recepito dalla Convenzione Internazionale auspicata dall'ONU nel 1989 e ratificata nel 2001, dove (art. 47), oltre ad alcune considerazioni ovvie, si afferma che il mercenario 3 • Difficile non tacciare tale definizione di ambiguità : essa non riesce infatti a evidenziare con chiarezza la figura del mercenario. L'ostacolo principale è il primo punto del nostro elenco: infatti anche le forze armate regolari dei principali paesi sono costituite da personale professionale, mosso per lo più a scegliere quel mestiere da moti­ vazioni economiche, e una distinzione basata sul livello di remunerazione appare labile e contestabile. Nel mondo greco antico, a lungo, sono esistite difficoltà relative al se­ condo punto. Non a caso la remunerazione più comune, in età arcaica, ma anche in età classica, è stata l'assegnazione di terre come bonus alla fine del servizio, non tanto una paga regolare. Ma pure il primo punto gioca la sua parte, almeno a partire da quando anche i cittadini, ad Atene come in altre città, ricevettero un'indennità di servizio per il periodo trascorso sotto le . armi. Pur accedendo raramente a un rapporto 'perfetto' di tipo economico, con il diffondersi di un'economia più articolata all'interno della quale po­ teva farsi strada l'idea di un surplus da impiegare per il rafforzamento degli eserciti e, nello stesso tempo, con il ricorso sempre più continuo a forme di guerra più complesse, i mercenari diventarono, a partire quanto meno dalla fine della guerra del Peloponneso, una presenza costante sui campi di battaglia del Mediterraneo antico. Presentati nei testi, in un primo tempo, come epikouroi (cfr. oltre, CAPP. I e 2) e poi con perifrasi basate sullo schema composto dal sostantivo misthos e dal verbo peitho e quindi , i mercenari, quando non indicati semplicemente con l'espressione generica xenos, > ( si veda l'accezione xenikon per , e quindi ), 'occupano' presto il termine, anch'esso gene­ rico ma più pregnante, misthophoros (formalmente riferibile a chiunque riceva una qualsiasi remunerazione per qualsiasi attività svolta), destinato a imporsi come la parola classica per mercenario nella letteratura greca. In età ellenistica, fuori dal nostro orizzonte temporale, si diffonderà il termine stra tiotes, soldato, inteso come mercenario: segno evidente di quanto questa figura fosse ormai dominante sui campi di battaglia4 • 3. Corsivo nostro. Sul tema esiste un'enorme bibliografia, tradizionale e online; qui, è suf­ ficiente rimandare a T, pp. 21-7. 4. Cfr. già GRIFFITH ( 1 9 3 5 ) e le buone messe a punto di TRUNDLE ( 1 9 9 8; 2 0 0 5 ) . cou­ VENHES (20 0 4, pp. 7 9 - 8 0 ) nota come, in età ellenistica, l'impiego di xenos, misthophoros

INTRODUZIONE

23

I xenoi) 10 ; - in un frammento di affresco proveniente da Cnosso e databile forse al

10. Su quanto precede, cfr. soprattutto DRIESSEN (1984, pp. 49-56). Non è impossibile, inoltre, che il termine e-pi-ko-wo ( KN AS 4493, PY AN 657.1), generalmente interpretato come 'sorvegliante' (da *epikorsos, cfr. il greco classico purkoos), sia riconducibile invece a epikouros (da un originario *epikorwos), con eventuale riferimento a 'truppe alleate' o 'mercenarie'. L'ipotesi (cfr. soprattutto NEGRI , 1977) non ha, in genere, incontrato grande favore: cfr. VENTRI S, C HADWI C K (197 3, p. 3 9 2) .

PROL O G O : DAL I I M I LLENN I O A O MERO

31

secolo, il cosiddetto Captain of the Blacks (cfr. figura), un uomo di carnagione chiara, vestito secondo la tradizione minoica, guida degli uo­ mini dalla carnagione scura, per i quali, a torto o a ragione, è stata proposta l'etichetta di 'mercenari nubiani: Al di là di fantasiose ( e potenzialmente razziste) forzature da parte di Arthur Evans, sotto la cui cura fu effettuato il restauro dell'affresco, oggi si tende ad accettare l'immagine come rappre­ sentazione di mercenari 1 1 - la documentazione archeologica, infine, permette di osservare, intorno alla fine del XIII secolo, la comparsa di un nuovo tipo di spada, che cono­ scerà un successo tale da soppiantare per molti secoli ogni altro tipo, fino a essere prodotta, a partire dal 9 00 circa, anche nel 'nuovo' materiale, il ferro. Si tratta della spada indicata con il nome 'Naue Type 11 ' ( Grijfzungenschwert, Flange-hilted Sword, spada con l'impugnatura a costa), una spada lunga fino a 70 cm, funzionale soprattutto al combattimento corpo a corpo in mischia, diffusa contemporaneamente in Europa centrale, Ita­ lia e regione balcanica. L'origine settentrionale, e quindi l'ipotesi correlata secondo la quale essa sarebbe stata importata da mercenari e avventurieri provenienti, appunto, da nord, non sembra oggi più sostenibile. È plausi­ bile però un collegamento di tale manufatto con la presenza di individui provenienti dal Mediterraneo occidentale che potrebbero essersi integrati nei regni micenei come soldati stranieri 12 • XIV

;

Mercenari egei Non dobbiamo pensare, comunque, che il movimento di avventurieri e mercenari sia stato unidirezionale, verso il mondo miceneo. Anche a quell'epoca esistevano uomini provenienti dal mondo egeo che accettava­ no ingaggi all'estero, presso gli Hittiti e, soprattutto, in Egitto. Una delle tante ipotesi non dimostrabili sulle tombe a fossa di Micene, con le quali 'inizia' la civiltà micenea nel XVI secolo, vorrebbe che in esse siano sepolti dei mercenari tornati dall'Egitto con il loro ricchissimo bottino. Non solo, ma secondo alcune interpretazioni basate sui corredi tombali, la stessa Per l'affresco, relativamente al quale esistono anche problemi di datazione, cfr. DRI­ E S SEN ( 1 9 9 9, p. 1 8) . Una violenta critica ai pregiudizi razziali e alla scarsa correttezza dei metodi ricostruttivi di Evans ora in GERE (20 0 9, sp. cap. Iv) . 1 2. Per l'origine settentrionale della Naue II, cfr. C ATLING ( 1 9 6 1, pp. 1 1 5-22 ) ; DREWS ( 19 9 3, pp. 1 9 3- 5 ) . Status quaestionis attuale: BIETAK, J UNG ( 20 07 ) . 1 1.

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MERCENARI

'conquista' micenea di Creta, alla fine del xv secolo, potrebbe essere ope­ ra di mercenari provenienti dalla Grecia, che avrebbero a un certo punto sopraffatto i loro committenti impadronendosi del potere e sposandone le donne. L'ipotesi è lontana dall'essere dimostrabile: va comunque citata per il fascino che suscita questa 'narrazione archetipica' di un comportamento caratteristico di molti mercenari nelle epoche successive. Se l'origine egea dei Peleset/Filistei fosse confermata, avremmo una po­ polazione egea che, al suo arrivo nella terra di Canaan, si specializza in attività mercenarie 1 3 • Per quanto riguarda il servizio mercenario in Egitto, paese che rimarrà sempre uno dei committenti favoriti per molti secoli a venire (cfr. CAP P. 7-8), sono stati interpretati come Micenei dei guer­ rieri rappresentati su un papiro di Amarna conservato al British Museum (xiv secolo), rimasto a lungo inedito; l'identificazione della provenienza sembra certa a causa dell'elmo a zanne di cinghiale tipicamente miceneo indossato da detti guerrieri: l'ipotesi che si tratti di mercenari al servizio del faraone è plausibile. A questa testimonianza, andranno aggiunte le nu­ merose spade egee rinvenute nel Mediterraneo orientale, che potrebbero essere messe in relazione con la presenza di mercenari egei1 4 •

Omero Se la guerra descritta nell'Iliade riflette davvero una società collocabile con qualche precisione nel tempo e nello spazio, in tal caso sarebbe pro­ blematico contestare la conclusione cui è approdato Hans van Wees: tale società è quella greca della prima metà del VII secolo, vale a dire degli anni intorno al 675. Le collocazioni cronologiche alternative (in una forbice che va dalla stessa età micenea a un qualche punto nel corso delle Dark Ages) appaiono meno convincenti; conserva invece una certa forza il par-

13. L'origine dei Peleset/Filistei è peraltro, ad oggi, tutt' altro che determinata. Le opinio­ ni degli studiosi spaziano in tutta l' area mediterranea: mentre sono ormai minoritarie le ipotesi che li legherebbero all' area balcanica e a Creta, godono ancora di considerazione le teorie legate a Cipro e all' area anatolica, anche se, tutto sommato, a essere favorita è oggi l' ipotesi che vorrebbe i Peleset originari dell' area egea. Fondamentale ora YASUR-LANDAU (2010). 1 4. Per il papiro di Amarna, cfr. SC HOFIELD, PARKINSON ( 1 9 9 4 ) ; elenco di ritrovamenti di spade egee in CLINE ( 1 9 9 6, p. 1 40 n. 2 1 ) ; cfr. anche CLINE ( 1 9 9 5 ) .

PROL O G O : DAL I I M I LLENN I O A O MERO

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rito di chi ritiene di negare a Omero valore come testimonianza storica, , sottolineando invece la sua dimensione originaria, quella di un eccezionale opera letteraria che per definizione non deve né può presentare un quadro coerente e affidabile sul piano storico. Lo stato della nostra documentazione non ci consente il lusso di rinun­ ciare a Omero come fonte storica per il combattimento in età alto-arcaica: il poeta descrive una società che praticava un tipo di guerra assai meno formalizzato e regolato di quanto molti studiosi continuano a credere e che rappresenterebbe una fase di transizione dalla 'pre-state' alla 'state­ warfare: Tale modello, basato in buona misura su intelligenti comparazio­ ni antropologiche, è articolato e puntuale, anche se non può togliere ogni dubbio suscitato dalla stessa natura della documentazione 1 5 • Per quanto attiene al nostro tema, è facile affermare che mercenari veri e propri non compaiono nei poemi omerici. Nell'Iliade viene adoperato più volte (33 per l'esattezza) il termine epikouros; quasi sempre (30 volte) al plurale; quasi sempre (3 1 volte) in riferimento ad alleati dei Troiani (in particolare, ai Lici, individuati come i migliori tra tutti gli alleati, con il loro capo Sarpedonte secondo solo ad Ettore), una circostanza sorpren­ dente che ha fatto pensare, pur in assenza di ulteriori indizi, che il poe­ ta possa adombrare con tale termine un'organizzazione militare e sociale micrasiatica diversa da quella achea 16 • Il termine si applica a guerrieri che combattono come alleati, in virtù di legami di amicizia tipici dell'aristo­ crazia, spesso in vigore da più generazioni. È significativo come tali lega­ mi siano considerati di un'importanza superiore all'obbligo di fedeltà nei confronti del proprio esercito. Leggiamo a questo proposito le parole che Diomede rivolge a Glauco, nipote di Bellerofonte, nel momento in cui

15. Cfr. VAN WEES (1994; 2004, pp. 153-67 ); ECHEVERRIA REY (2005b); cfr. anche WHEELER (2007, pp. 193-5); ancor più di recente, RAAFLAUB (2008), con ulteriore bi­ bliografia. Ipotesi cronologiche alternative: p. es. CARLIER (1996, p. 294): fine IX-inizi VIII secolo. Inattendibilità di Omero come fonte storica: tra gli altri, HELLMANN (2000 ); LENDON (2005); SNODGRASS (2006, p. 17 3). 16. II 130, 80 3, 815; III 188, 451, 456; IV 379; V 473, 477, 478, 491; VI I I I , 227; VII 348, 368, 477; VIII 497; IX 233; X 420; XI 220, 564; XII 61, 101, 108; XIII 755; XVI 538; XVII 14, 212, 220, 3 35, 362; XVIII 229; XXI 431; a questo elenco va aggiunto il verbo epikoureuo, che ricorre una sola volta (v 614). Fondamentale sugli epikouroi in Omero LAVELLE (1997, pp. 230-5), il quale conclude ragionevolmente (p. 257) per un'origine non greca del termine, sottolineando come il termine greco per alleato sia summachos. Sui Lici, cfr. lo stesso LA­ VELLE (1997, pp. 232-5).

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interrompe il combattimento piantando la lancia a terra (vI 224-231). Da notare che il comportamento di Diomede è lecito, tanto che a esso viene data ampia pubblicità: Perciò adesso nell�rgolide io sono tuo caro ospite (xeinos philos), e tu mio ospite in Licia, se mai verrò in quel paese. Evitiamo nella battaglia la lancia l'uno dell'altro; per me ci sono molti Troiani e alleati famosi da uccidere, quelli che posso raggiungere e un dio mi concede ; e molti Greci ci sono per te da uccidere, quelli che puoi. Scambiamoci le armi, in modo che anche costoro sappiano che ci vantiamo di essere aviti ospiti. (trad. G. Paduano, con lievi variazioni)

A contare è, in effetti, il singolo eroe (non a caso l'epiteto più comune che accompagna il termine è kleitos, 'illustre', 'famoso', con i suoi derivati), che non si perita di giungere anche da molto lontano, per scopi che all'appa­ renza nulla hanno a che fare con il lucro o con un guadagno qualsiasi; ciò non esclude che questi possa portarsi dietro un certo numero di compagni, come si deduce per esempio da II 803-806: anch'essi combattono sotto le mura di Troia in virtù di un patto di fedeltà con il loro eroe/comandan­ te; nondimeno il desiderio e la speranza di ottenere ricompense materiali giocano un ruolo di notevole rilievo nel pungolare il loro impegno, una circostanza che contribuisce ad 'avvicinarli' alla condizione di mercenari e a farli risultare, alla fine, un notevole peso per le risorse dei Troiani, come sembra implicare il discorso loro rivolto da Ettore a XVII 220-232. Sul comportamento in guerra di tali alleati, Omero non si sofferma a lungo; dai suoi versi si deduce che l' epikouros, anche se la lealtà con la quale si batte non viene mai messa in discussione, è pur sempre un combattente che si sente molto meno responsabilizzato, in quanto, soprattutto, non ha moglie e figli con sé da proteggere. Si legga, per esempio, x 418-422: Tutti quelli che hanno a Troia il focolare e avvertono la necessità stanno svegli e si esortano l'uno con l'altro alla guardia ; invece gli alleati, raccolti da vari paesi (polukletoi epikouroi), dormono, lasciando ai Troiani la guardia. Certo non hanno qui né mogli né figli. (trad. G. Paduano)

PROLOGO : DAL II MILLENNIO A OMERO

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La rapida disamina dei versi omerici non sarebbe completa se non ci sof­ fermassimo, da ultimo, sulla figura eroicomica, probabilmente inserita per suscitare il riso dell'uditorio, di tal Otrioneo (Iliade XIII 3 63-3 69) [ ... ] giunto in città da Cabeso, che era venuto da poco alla notizia di guerra, e chiedeva la più bella delle figlie di Priamo, Cassandra, senza doni nuziali, ma promettendo una grande impresa: cacciare loro malgrado gli Achei dalla Troade. Il vecchio Priamo disse di sì e gli promise che gliel'avrebbe concessa, e lui combatteva fidando nella promessa. (trad. G. Paduano, con lievi variazioni)

Otrioneo parrebbe, a tutti gli effetti, un mercenario, sia pure secondo modalità economiche e comportamentali dettate dalla società in cui vive. Non partecipa infatti alla guerra mosso da alcuna necessità che non sia il desiderio di guadagno; si risolve a parteciparvi dopo aver stipulato con Priamo una sorta di contratto; anche l'uso di sposare la figlia del re­ committente trova riscontri in età classica e quindi il parallelo è quasi perfetto. Nondimeno, la ferocia con la quale Idomeneo, dinnanzi al suo corpo ormai agonizzante, lo deride offrendogli di passare dalla parte degli Achei a condizioni ancora migliori, testimonia, si direbbe, di quanto la sua figura fosse disprezzata e relegata ai margini della società che la esprimeva. In Omero è assente il contesto economico in grado di generare la figura del mercenario a tutto tondo; non esiste un'economia monetaria, non esi­ ste soprattutto una guerra che esca dal ristretto gioco di pochi nobili che, a seconda delle amicizie, dei vincoli di ospitalità, di parentela, ( è questa la valenza originaria di epikouros) ai loro amici impegnati in guerra. Gli individui che si uniscono a questa lotta lo fanno in quanto legati strettamente ai loro capi, non certo in seguito a una decisione au­ tonoma; le eccezioni che abbiamo riscontrato, come Otrioneo, non sono così importanti da modificare il quadro appena descritto.

Parte prima In Grecia

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L'età arcaica e sarò chiamato epikouros come un Cario Archiloco fr. 2 1 6 West

Apollo protettore dei mercenari arcadi ? Durante l'età arcaica, le poleis non si servono di mercenari per condurre le loro guerre. Molte circostanze si oppongono: in primo luogo, le mo­ deste dimensioni degli scontri, per lo più locali e limitati nel tempo ( con l'eccezione, assai dubbia, della guerra lelantina, che secondo la tradizione avrebbe visto la presenza di alleati di varia provenienza); in secondo luogo, le scarse risorse delle città. A tutto ciò non mancano le eccezioni. Comincerò, seguendo un ap­ prossimativo ordine cronologico, dalla notizia secondo la quale gli Sparta­ ni, nel corso della prima e della seconda guerra messenica, vennero a capo della resistenza degli avversari anche grazie all'aiuto di arcieri cretesi, assol­ dati come mercenari. La sorprendente informazione ci deriva da Pausania, che ne fa cenno in più luoghi del IV libro della Periegesi, dedicato alla Messenia1 L'attendibi­ lità della ricostruzione dell'antica storia messenica da parte di Pausania è •

Cfr., in riferimento alla prima guerra messenica, IV 8.3 (oltre un accenno a IV 10. 1 ) : il passo contiene un'attenta, anche se poco attendibile, disamina della situazione militare. I Lacedemoni, a detta del Periegeta, erano superiori nell'arte della guerra e nell'allenamento, oltre che per il numero; le difficoltà che procuravano loro le truppe armate alla leggera dei Messeni furono risolte dall'ingaggio di arcieri cretesi (toxotas Kretas epegonto misthotous ); in riferimento alla seconda guerra, cfr. invece IV 19.4 e IV 20.8; il primo dei due passi contiene la preziosa notizia che gli arcieri cretesi ingaggiati provenivano da Litto ( cfr. la discussione nel testo) e altre città; è specificata anche la loro funzione, il pattugliamento della Messenia durante una tregua; nel secondo si racconta di come un mercante fu cattu­ rato dagli Spartani e da arcieri della cretese Aptera, che militavano sotto il comando dello spartiata Eurialo. 1.

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scarsa, poiché si basa su autori inaffidabili quali Mirane di Priene (per la prima guerra messenica) e Riano di Bene (per la seconda) 2• A queste notizie derivate dalla tradizione letteraria si affiancano alcuni dati archeologici. Presso il tempio di Apollo Epikourios a Basse, in Arcadia, a pochi chilometri dal monte Ira, dove i Messeni resistettero asserragliati per molti anni prima di arrendersi, sono stati ritrovati numerosi elmi, co­ razze, scudi in miniatura, dedicati come ex voto e databili al secondo quar­ to del VII secolo ( 675-650). Il fatto che le corazze siano di un tipo diffuso nella prima metà del VII secolo a Creta e che l'usanza stessa di dedicare armi in miniatura al posto di quelle strappate al nemico sia prettamen­ te cretese, ha fatto in un primo tempo pensare che tali dediche fossero opera dei Cretesi giunti nel Peloponneso. Se ne potrebbe contestare la qualifica di mercenari: la loro provenienza - almeno in parte - da Litro, che, delle novanta città cretesi di cui parla l'Odissea (xix 174), era l'unica a passare per colonia spartana, con un ruolo di primaria importanza nella trasmissione a Licurgo delle leggi originariamente ricevute da Minosse, deporrebbe semmai in favore di rapporti di amicizia e alleanza, più che di mercenariato3 • Ma il punto non è questo: non solo è bizzarro immaginare che degli arcieri dedichino armi in miniatura tipiche della tradizione oplitica e che con il loro equipaggiamento nulla hanno a che fare (un fatto, a mia conoscenza, che nessuno ha notato); ma gli scavi presso il tempio hanno rivelato la presenza di una notevole quantità di scorie prodotte dalla la­ vorazione dei metalli. Inevitabile dedurne la presenza di piccole officine nelle quali gli ex voto venivano prodotti in loco. Un quadro più plausibile vedrebbe dunque negli Arcadi stessi i dedicatari delle armi in miniatura: vista la fama degli Arcadi come mercenari (cfr. CAP. 17, pp. 406-9), il passo successivo porterebbe a interpretare questi uomini come mercenari che, al ritorno dalle loro spedizioni, onoravano Apollo con queste piccole dedi­ che (le armi vere e proprie erano i 'ferri del mestiere' del mercenario, che non se ne liberava volentieri: da qui la miniaturizzazione, che nulla esclude

Cfr., tra gli studi più recenti, AS HERI ( 1 9 83 ) ; MUSTI ( 1 9 9 1, pp. XVI-XXVIII ) . 3. Sui legami tra Litto e Sparta, cfr. Aristot. Politica II 1 27 1 b, 20- 3 3 ; cfr. in breve WIL­ LETTS ( 1 9 82, p. 2 3 5 ) . In questa prospettiva, potrebbe sorprendere il fatto che il testo si riferisca espressamente a misthotoi: l'espressione più corretta sarebbe stata epikouroi, un termine adoperato, sia pure saltuariamente, nella Periegesi, nel senso di 'alleati' (1 1 5 . 4; IV 2.

6. 1 ; V 6. 4; VI 25. 3 ; VII 1. 3 ; X 1 0. 4).

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possa essere stata ispirata agli Arcadi da un contatto con Creta). Ultima conseguenza: l'epiclesi Epikourios potrebbe riferirsi non già a un ruolo di Apollo come 'guaritore', ma proprio come epikouros: in definitiva, come 'mercenario' 4 •

Mercenari e tirannidi arcaiche Cipselo, Periandro, Teagene, Cilone La connessione fra tirannide e mercenariato è legata al concetto elemen­ tare secondo il quale il tiranno, essendo inviso alla cittadinanza, non può contare sulle forze regolari della polis su cui esercita il dominio, ma deve affidarsi a forze esterne. Con il moltiplicarsi delle esperienze tiranniche in età classica ed ellenistica, tale connessione divenne un luogo comune assai diffuso, non privo di riscontri nella realtà delle città greche (cfr. p. es. Polyb. XI 13.7). Per quanto riguarda le tirannidi di età arcaica, invece, il quadro appare molto meno definito. Le testimonianze, se lasciano nel dubbio la matrice militare dell'ascesa dei tiranni e in particolare il rapporto con la riforma oplitica all'incirca contemporanea, sembrano escludere in gran parte dei casi un impiego di mercenari5 • È quanto meno azzardato, infatti, pensare che I'hetairikon (gruppo le­ gato a un'eterìa aristocratica) che portò al potere Cipselo a Corinto nel 657 fosse composto da mercenari6 ; né ci sono elementi per definire tali i 300 doruphoroi (portatori di lancia) al seguito di Periandro o la guardia 4. Per l'interpretazione 'cretese: cfr. SNO D GRAS S (1974). Per l'interpretazione legata ai mercenari arcadi, cfr. FIELDS (19 94); C O OPER (1996, pp. 73-9 ) ; MO RGAN (2001, p. 36), a mio parere molto più valida di quella che riconduce a Creta. L'ultimo anello della catena (Apollo protettore dei mercenari) non pare particolarmente necessario: non solo l'epiteto di 'soccorritore' in campo medico è più attestato (ed è l'interpretazione di Paus. VIII 41.8), ma non siamo neppure certi che l'attributo di Apollo fosse impiegato già in età arcaica e non risalga invece al v secolo, quando fu edificato il tempio in marmo, a opera di !etino. 5. La problematica in questione andrebbe riesaminata alla luce delle nostre diminuite cer­ tezze sul rilievo da assegnare al concetto stesso di riforma oplitica: cfr. CAP. 17, pp. 421-4. En passant, ricorderemo ANDREWE S (1956, pp. 3 1-42) e S ALMON (1977, pp. 9 3-101), per i quali il rapporto opliti/tirannidi è sicuro. 6. Nicolao di Damasco, FGrHist 9 0 F 57 [6] ; cfr. D REWS (1972), secondo il quale le ti­ rannidi di VII secolo si sarebbero originate per l'ambizione di singoli individui, appoggiati

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del corpo chiesta e ottenuta da Teagene a Megara7 • Anche il contingente (dunamis) che lo stesso Teagene invia ad Atene al genero Cilone per soc­ correrlo nel fallito tentativo di colpo di stato intorno al 632 andrà inteso ancora una volta come una forza composta da seguaci del tiranno - che si trattasse o meno di cittadini - ma che comunque non aveva nulla di professionale 8 • Pisistrato Il caso più complesso è quello relativo alla tirannide di Pisistrato ad Ate­ ne, che occupa gli anni centrali del VI secolo9 • Nella prima fase del suo governo, quando si fa assegnare dagli Ateniesi una guardia del corpo di 'mazzieri: questi sono senza dubbio cittadini, tratti dai seguaci del tiran­ no10 . Durante il primo esilio, allo scopo di organizzare il ritorno ad Atene, egli raccoglie (Hdt. I 61.3), una frase che fa intuire la complessa rete di relazioni esistente tra aristocratici delle varie città: di tutto ciò veniamo a sapere solamente che si distinsero nel fornire aiuto le città di Tebe e Nasso, quest'ultima nella persona del futuro tiranno dell'i­ sola, Ligdami, amico anche di Policrate. Pisistrato, inoltre, si arricchisce con lo sfruttamento delle miniere nella regione del monte Pangeo; seconda mercenari estranei alla polis in grado di sfruttare le potenzialità della nuova tecnologia oplitica; Cipselo, in tale contesto, sarebbe un « professional captain » venuto da fuori. 7. Periandro: Eforo FGrHist 70 F 179; Nicolao di Damasco FGrHist 9 0 F 58; Aristot. Poi. V 1315 b 27-29 ; Teagene: Aristot. Retorica I 1 357 b. 8. Thuc. I 126.5; Erodoto, nel suo excursus su Cilone (v 70-71 ), non fa parola dell'aiuto ricevuto da Teagene. Su tutti i casi discussi, buona raccolta delle fonti in P, pp. 7-10. 9. Sulla tirannide di Pisistrato e dei Pisistratidi, esistono due lavori recenti: il primo è S ANC ISI-WEERD ENBURG (200 0 ), all'interno del quale la problematica militare è affron­ tata da S INGOR (2000, pp. 107-29 ). Il secondo contributo è LAVELLE (2005) che, per quanto riguarda l'aspetto militare della tirannide, riprende precedenti lavori dello studio. . . ' avanti.. so, c1tat1 p1u 10. Korunephoroi (mazzieri) : cfr. Hdt. I 59.5; Aristot. Costituzione degli Ateniesi 14. 1 ; Plut. Vita di Solone 30.3 e 5; Polyaen. I 21.3; Schol. ad Placo Repubblica. VIII 566 b, dove ven­ gono chiamati col termine più comune doruphoroi. Erano probabilmente 300, anche se Plutarco parla di soli 50 uomini. Di korunephoroi si era servito anche Clistene di Sicione. L'espressione non va presa alla lettera: l'impiego da parte di Erodoto rientra in una strate­ gia di 'allontanamento' di Pisistrato dalla immagine tradizionale del tiranno, della quale l'utilizzazione di doruphoroi è un tratto tipico: cfr. LAVELLE (2005, p. 241).

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do Aristotele ( Costituzione degli Ateniesi 15.2), con il denaro accumulato ingaggia mercenari (stratiotas misthosamenos), grazie ai quali consegue la decisiva vittoria a Pallene, nel 546. Di mercenari in occasione della bat­ taglia parla anche Erodoto, in relazione a un contingente proveniente da Argo (Argeioi misthotoi, I 61.4); ma lo stesso Aristotele, due capitoli dopo (17.4), puntualizza che gli Argivi, in numero di 1.000, erano guidati da Egesistrato, uno dei figli che Pisistrato aveva avuto dall'argiva T imonassa. A ben guardare, nonostante Erodoto impieghi nel passo il termine mis­ thotos (ben più pregnante di epikouros, ma per lui inusuale u), il nome di mercenari per indicare questo contingente è fuorviante: gli Argivi sem­ brano partecipare per amicizia, in qualità di alleati ( cfr. Aristotele, loc. cit. : philiai ... sunemachesanto). Nelle parole di Erodoto si è voluto rintracciare un intento calunniatore, derivato dall'astio con cui gli Argivi erano consi­ derati a causa della loro condotta non limpida durante le guerre persiane 12.. Anche il passo di Aristotele può essere agevolmente interpretato come una 'traduzione' in termini comuni al suo tempo di relazioni più comples­ se e sfumate, diffuse in età arcaica in ambito aristocratico. Riassumendo, sembra corretto concluderne (pur con qualche margine di dubbio) che, per rientrare in patria e reinstaurare la tirannide, gli uomini raccolti da Pisistrato (LAVELLE, 2005, p. 140). Le fonti del periodo seguente ( dal ristabilimento della tirannide dopo la vittoria a Pallene fino alla cacciata di Ippia 35 anni dopo) non si dilunga­ no molto sulla natura delle guardie del corpo che sostenevano la tirannide. Queste vengono chiamate alternativamente epikouroi oppure doruphoroi1 3 • Alla luce di quanto sappiamo della situazione ateniese, appare improbabi­ le che le guardie del corpo di Pisistrato e dei Pisistratidi fossero mercenari stranieri 1 4 • Infatti il loro ingaggio sarebbe risultato costoso e immotivaLo si ritrova solo a III 45.3, nell'espressione epikouroi misthotoi. Da notare che l'espres­ sione epikouroisi pollois di I 64.1 si riferisce anch'essa alla battaglia di Pallene, e non al periodo successivo: cfr. LAVELLE (2005, p. 299 n. 6 9 ). 12. Così LAVELLE (2005, p. 303 n. 115). 1 3. epikouroi: Thuc. VI 55.3; VI 5 8.2; doruphoroi: Thuc. VI 56.2; 57. 1 ; 57.4; cfr. anche lo scherzo sulle guardie del corpo della moglie di Ippia in Aristoph. Cavalieri 447-449, dove pure ricorre il termine doruphoroi (più avanti, n. 15). 14. Per quanto segue, cfr. LAVELLE (1992). Non seguo l'interpretazione di BI CKNELL ( 1969 ), secondo il quale gli xenoi fatti cittadini da Clistene (cfr. Aristot. Politica III 1275 b 37) erano gli ex mercenari di Pisistrato, intendendo xenos nella sua accezione più tarda. 1 1.

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to, vista la disponibilità di numerosi amici di Pisistrato in Attica. Inoltre, fonti di v secolo sembrano indicare che alcuni di questi doruphoroi erano cittadini 1 5 e la loro funzione più onorifica che di reale salvaguardia dell'in­ columità del tiranno, mentre l'argomento secondo il quale, in base a un aumento delle raffigurazioni di Traci e Sciti nei vasi attici di VI secolo, si potrebbe dedurre una presenza più consistente di tali etnie ad Atene - e quindi che la guardia del corpo di Pisistrato fosse da loro costituita, visti anche i noti rapporti del tiranno con quelle zone - rappresenta un indi­ zio troppo labile per essere preso in seria considerazione 16 • In conclusione, l'impiego di mercenari da parte della tirannide ateniese appare improbabi­ le, sia nella prima fase, sia nella battaglia di Pallene, sia nella seconda parte iniziata appunto dopo il 546. Policrate e Milziade I I Un'altra celebre tirannide, contemporanea a quella ateniese, è quella di Policrate di Samo ( circa 540-520) 1 7 • Anche in questo caso, le notizie intorno a mercenari che lo avrebbero appoggiato non sono probanti, al­ meno per quanto concerne la prima fase del suo regno. Erodoto (111 120) sostiene che egli prese il potere con l'aiuto di quindici opliti, presumibil­ mente sami; Polieno (1 23.2) narra di un aiuto prestatogli da Ligdami, il tiranno di Nasso che abbiamo già incontrato come amico di Pisistrato; in nessun caso si accenna a forze mercenarie. Solo in riferimento a un perio­ do successivo, quando il suo dominio si era ormai consolidato, lo stesso Erodoto, per dare una prova della sua potenza, afferma che egli poteva servirsi di (epikourois misthotois pollois) 18 • A mercenari sami si accenna anche in relazione all'episodio che, in occa-

15. Aristoph. Cavalieri 447-449; Antiph. fr. 1 Blass = Harpokr. s. v. stasiotes; entrambi i passi sono discussi da LAVELLE (1992, p. 93), insieme al controverso passo di Aristoph. Lisistrata 664-665. 16. Tra l'altro, il momento di maggior successo di questa 'moda' sembra essere successivo alla cacciata di Ippia; cfr. LAVELLE (1992, p. 87 n. 49 ). 17. Cfr. BERVE (1967, pp. 107-14; 582-7). 18. III 45.3; cfr. anche l'accenno a III 54.2. Gli arcieri di III 39.3 dovrebbero invece essere cittadini, come risulta da III 45. 3. Va ricordato che proprio durante la tirannide di Poli­ crate alcuni Sami avrebbero aiutato Arcesilao III nel suo tentativo di ritornare al potere a Cirene, con la promessa non di uno stipendio, ma di terre (Hdt. IV 163).

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sione dell'allontanamento da parte dei Persiani del successore di Policrate, Meandrio, vide protagonista il fratello di questi, Charileos1 9 • È opportuno infine accennare alle vicende che coinvolsero Milziade I I , il futuro vincitore di Maratona, il quale, inviato da Atene nel Chersoneso negli ultimi anni della tirannide dei Pisistratidi (l'anno è probabilmente il 516/515), si assicurò il controllo della regione assoldando 500 epikouroi (Hdt. VI 39.2). La notizia è data in un contesto fortemente negativo, nel quale Milziade è associato agli stereotipi più noti della tirannide20 inoltre, conosciamo bene l'ambiguità del termine epikouros, che potrebbe indica­ re, per esempio, 'clienti' di Milziade; l'impiego di veri e propri mercenari, comunque, non è un'ipotesi da escludere21 Possiamo in definitiva affermare che, almeno per quanto riguarda la Grecia continentale e micrasiatica nel periodo arcaico ( vedremo come per le tirannidi siceliote la situazione sia molto diversa), il luogo comune del tiranno che disarma i cittadini per poter avere mano libera grazie a una forza mercenaria a lui fedele non è valido. Si tratta, a ben vedere, dell'appli­ cazione anacronistica delle caratteristiche di un'età successiva, nella quale i tiranni saranno da una parte molto più ricchi, dall'altra invisi alla grande maggioranza della popolazione, a un mondo diverso, in cui i tiranni, oltre a non avere, tranne qualche eccezione, larghissime possibilità economi­ che, sono per contro seguiti da una parte non trascurabile della popolazio­ ne locale, presso cui non hanno difficoltà a reperire le guardie del corpo. ;



19. Cfr. Hdt. III 145.3; 146.3-4. 20. Cfr. WADE- GERY (19 5 8, pp. 155-70, sp. p. 16 5). 21. Sull'episodio, cfr. anche ISAAC (19 86, pp. 171-5). FERRETTO (19 86, pp. 77-83) stabili­ sce un legame diretto tra il matrimonio di Milziade con la trace Egesipile, il conseguente controllo delle miniere del Pangeo e la possibilità di pagare i mercenari: tutta la sequenza è comunque largamente ipotetica.

Impossibili biografie Archiloco

Frammenti di biografia La vita di Archiloco non ci è del tutto sconosciuta: un passo di Eliano1 riporta informazioni sul grande poeta, tratte dai suoi stessi versi, per noi in gran parte perduti, secondo i quali egli era figlio di un nobile aristocratico dell'isola di Paro e di una schiava. In questa scomoda posizione sociale avrebbe partecipato alla conquista dell'isola di Taso, nel nord dell'Egeo, insieme ad alcuni coloni di Paro. In uno dei frammenti conservati, inoltre, Archiloco cita un'eclissi totale di sole cui avrebbe assistito: è probabile che il riferimento sia a quella che fu visibile nell'Egeo ai primi di aprile del 6482 • Non è questa la sede per discutere sull'affidabilità di queste notizie e, in genere, sull'attendibilità delle tradizioni biografiche relative ai poeti ar­ caici3 ; è invece opportuno soffermarsi su un aspetto della vita di Archiloco che pare assumere nei suoi versi un notevole rilievo: molti studiosi hanno sostenuto che egli sia stato un soldato di professione. Varia Historia x 13 (fine II secolo d.C. : Eliano trae le sue notizie dal celebre sofista Crizia, v secolo; cfr. fr. 44 D-K). Sulla figura di Archiloco, cfr. ARCHILOQUE (1964) e gli studi di RANKIN (1977) e FORD (1993). Buona la recente messa a punto di PÉRÉ-NO GUÈS (200 8). I riferimenti che seguono ai frammenti di Archiloco si basano sull'edizione di WEST (1989 ). 2 . Sulla datazione di Archiloco esiste un infinito dibattito, che la relativa certezza della data dell'eclisse non ha concluso: in breve, ricorderemo come la datazione ca 705/700645/ 640 rimanga la più plausibile; cfr., fra gli altri, BONNARD (1968, pp. XXIII-IX) ; RANKIN (1977, pp. 25- 8) ; GENTILI (19 84, p. 235 n. 1 1 ) ; più di recente, LAVELLE (20 02) ha insistito sulla sincronia tra l'attività di Archiloco e la spedizione in aiuto di Psammetico di Ioni e Cari nel 664 (cfr. oltre, CAP. 7 ). Il vecchio articolo di JACOBY (1941 ) proponeva invece una datazione di qualche decennio più bassa. 3. Sul tema, cfr. LEFKOWITZ (1976); della stessa autrice, cfr. in generale LEFKOWITZ (1981). Cfr. FORD (1993, p. 61) : « il est tojours possible de croire à l'existence historique de ces an­ ciennes figures, mais il n'y a pas de route directe qui mène de leurs poèmes à leur vie». 1.

MERCENARI

Archiloco mercenario ? Nel celebre fr. 1 egli si dichiara orgogliosamente > (therapon) di Ares - un'espressione tipicamente omerica (cfr. p. es. Iliad. II 110 ) -, mentre nel fr. 2 l'interpretazione tradizionale vuole che egli affermi di dovere alla sua lancia la pagnotta d'orzo e il vino, quindi di trarre il proprio sostentamen­ to dal mestiere delle armi4 • Dal fr. 3, in cui vengono menzionati i ), men­ tre nel fr. 216 il poeta accenna alla possibilità di essere scambiato per uno di essi ( ). Se tale eventualità sia pa­ ventata come disonorevole, è un'ipotesi da dimostrare: molto più probabile che, all'opposto, l'epikouros sia visto come un esempio di buon combattente8 • Da tutto ciò, si può ricavare che la guerra era senza dubbio un'occupazio­ ne centrale nella vita del poeta, ma il termine 'mercenario: ancora una volta, sembra inadeguato a riassumere tutte le implicazioni della sua posizione nella società del tempo. Archiloco - figlio illegittimo di un aristocratico - cerca nel4. Ma si confronti l'interpretazione di GENTILI (1976), per cui doru = legno della nave, con conseguente perdita del contesto militare. 5. L'assai frammentario P. Oxy. 250 8, in cui vengono nominati luoghi dell'Eubea in un contesto bellico, non è stato incluso da M. L. West nella sua recente edizione di Archilo­ co; considerarlo un indizio della partecipazione di Archiloco alla guerra lelantina, come fa PODLECKI (1969, pp. 75-6), è assai discutibile. 6. Cfr. SCHWERTFEGER (19 82) ; una recente interpretazione di ANDERSON (20 0 8) in chiave ironica e non sovvertitrice delle convenzioni etiche ha buone probabilità di coglie­ re nel vero. 7. Sul frammento, cfr. TOOHEY ( 1 9 8 8). 8. Così LAVELLE (2002), in modo persuasivo; cfr. lo stesso LAVELLE (1997, pp. 23 5-49 ).

ARCHILOCO

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la guerra un'affermazione negatagli dall'essere tagliato fuori dalla linea princi­ pale di successione; si tratta comunque di una guerra di élite, pervasa - al di là dell'ironia e del pragmatismo messi in mostra in alcuni dei suoi versi - di ideali aristocratici9 • Il nodo cruciale non è quello di procurarsi il necessario per vivere, bensì quello di farsi spazio, di dimostrare quanto si vale, per poterlo poi raccontare ai compagni di eterìa riuniti in banchetto. La capacità con le armi potrà essere mostrata in contesti diversi: quello del cittadino/soldato (Archi­ loco combatté a lrmgo per difendere la sua nuova patria, Taso), quello del 'ca­ po-bandà dedito a imprese piratesche, e anche, infine, quello del mercenario tout court. Di quest'ultima attività gli indizi che troviamo in Archiloco sono in verità scarsi e non ci sono noti neppure i possibili committenti: i legami con i regni orientali non sono dimostrabili, anche se Archiloco mostra perlomeno di conoscere il re lidio Gige, mentre l'ipotesi della partecipazione del poeta alla guerra lelantina si poggia, come ho già accennato, su basi troppo fragili.

Kastor Hylakides e Hybrias Oltre sessant'anni fa, Santo Mazzarino (MAZZARINO, 1947, pp. 279-80) propose di avvicinare la figura di Archiloco a quella immaginaria del figlio di Kastor Hylakides, cretese, un alter ego di Odissea nel XIV libro dell'Odissea (vv. 199 ss.). Il figlio di Kastor, nato anche lui da rm ricco aristocratico e da una schiava, riceve, alla morte del padre, solo una modesta parte dell'eredità; grazie al suo valore e al suo coraggio nell'arte della guerra, dimostrato più che altro al comando di azioni di pirateria in terre straniere (cfr. vv. 229-23 1), ottiene un'ottima posizione in seno alla comunità, tanto che gli viene affi­ dato il comando ( insieme a Idomeneo) delle navi in partenza per Ilio. I vv. 222-228 sono particolarmente significativi: Così ero in guerra: non amavo il lavoro o il governo di casa, che cresce splendidi figli; ma amavo sempre le navi coi remi 9. Accenno qui al problema - molto dibattuto - se Archiloco fosse un oplita. L'oplitismo delle origini è compatibile con una guerra elitaria. Quanto ad Archiloco, non abbiamo dati sufficienti per fornire una risposta: il fatto che egli ammetta di aver gettato lo scudo nel celebre fr. s è stato a volte considerato un indizio a favore di Archiloco oplita, poiché lo scudo oplitico, in caso di fuga, veniva gettato via, mentre ciò non è vero per quanto riguarda gli scudi precedenti; una buona discussione in PAGE (19 55, p. 21 8).

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MERCENARI

e le guerre e le aste polite e le frecce, cose funeste che danno i brividi agli altri. A me esse erano care, forse ispirate da un dio: un uomo ha gioia da un lavoro e un altro da un altro. ( trad. G. A. Privitera)

La guerra è insomma una way of lift alternativa, ma nel contempo rico­ nosciuta socialmente e in grado anzi di offrire a chi la pratica una forte promozione sociale. Concetti quali 'mercenario: 'cittadino/ soldato' non sono altro che anacronismi con cui tentiamo di tradurre con termini pro­ pri dell'età classica fenomeni e situazioni del periodo arcaico. In tale contesto si inserisce assai bene anche un carme conviviale crete­ se, dove un certo Hybrias esalta la pratica delle armi in opposizione al duro mestiere del contadino, in un quadro che ben si adatta a quanto sappiamo della società aristocratica cretese arcaica e dei rapporti che in essa si veni­ vano a instaurare tra padroni e servi: Ho una grande ricchezza: la lancia e la spada e questo bello scudo, riparo per il cor­ po. Con questo io aro, con questo mieto, grazie a questo calpesto la dolce uva delle viti, grazie a questo vengo salutato signore dei servi. Quanti non hanno il coraggio di tenere la lancia, la spada e questo bello scudo, riparo per il corpo, piegano tutti il ginocchio atterriti e si prostrano davanti a me, chiamandomi padrone e gran re 10 •

Che Hybrias possa aver servito come mercenario in Persia (sulla base dei supposti riferimenti al Gran Re all'ultimo verso e alla pratica della proskunesis al verso precedente) è un'ipotesi verosimile, per la conoscenza che l'autore apparentemente mostra del mondo persiano. Per la datazione, non esistono indizi sicuri: accettando la presenza del riferimento al Gran Re, si potrebbe indicare un arco di tempo che va dalla metà del VI secolo ad Alessandro. Il contesto è comunque arcaico, indipendentemente dai rimaneggiamenti che il testo può aver subito nella trasmissione 1 1 •

10. Cfr. Athen. xv 695 f-696 a = Poetae me/id graed, a cura di D. L. Page, nr. 909; il testo è riportato anche in P, p. 4. Edizione e commento in TEDESCHI (1986); cfr. anche PAGE (1965). 11. Cfr. B OWRA (19 61, pp. 39 8-403) ; a dimostrazione del travaglio che il testo suscita ne­ gli studiosi, Hybrias viene definito nella prima edizione « a happy and wealthy man in Crete » , « a military landowner» , mentre nella seconda edizione egli diventa « a Cretan soldier of fortune» ; l'autore ipotizza che possa trattarsi, più che di un canto conviviale, di un canto di guerra, 'recitato' indossando le armi ( «con questo io aro... » ). PAGE (19 65, pp. 64-5) ritiene Hybrias un servo pubblico poi divenuto mercenario.

3

La guerra del Peloponneso Si erano uniti anche alcuni Acarnani, un po' per desiderio di guadagno, ma più che altro per amicizia nei confronti di Demostene e per la buona disposizione che avevano nei con­ fronti degli Ateniesi, dei quali erano alleati. Tucidide VII

57. 10

Introduzione. Terminologia Tra la fine dell'età arcaica e lo scoppio della guerra del Peloponneso, gli unici mercenari di cui sia rimasta traccia nelle fonti svolgono il loro servi­ zio in Oriente (cfr. CAP. 8 , pp. 222-4; CAP. 10, pp. 258 -6 0) . Le poleis greche non sembrano averne fatto uso. La tesi tradizionale ( cfr. P, p. 14) secondo la quale questa assenza sarebbe da mettere in relazione a un periodo di ec­ cezionale prosperità ed equilibrio del mondo greco, grazie al quale sarebbe fortemente diminuita, fino a scomparire, la presenza di esclusi destinati ad alimentare l'offerta di mercenari, ci pare non possa essere più difesa. Da una parte, essa utilizza in modo avventato concetti molto complessi e delicati quali 'crisi', 'sviluppo: 'equilibrio'; dall'altra, crediamo che siano i tempi e i modi in cui le guerre si svolgevano a essere, in larga misura, la causa di questa mancanza: non esisteva, in effetti, alcuna necessità di fare ricorso a mercenari in un contesto ancora largamente 'tradizionale' del fare la guerra. Anche nel corso della guerra del Peloponneso, né gli Ateniesi, né gli Spar­ tani con i loro alleati basarono la propria forza militare sui mercenari. En­ trambi gli schieramenti, però, li utilizzarono in proporzioni più o meno significative1 • Nell'affrontare l'argomento, si ripropone ancora una volta il proble­ ma di chi debba definirsi mercenario. In molti casi, infatti, il confine tra Studi d'insieme : P, pp. 1 5- 8 ; MARINOVI C ( 1 9 6 8 ; 1 9 8 8, pp. 1 9 - 2 3 ) . Le recenti storie mili­ tari della guerra del Peloponneso (p. es. LAZENBY, 20 0 4; HANSON, 20 0 8) non si interes­ sano al tema dei mercenari, limitandosi a una menzione del celebre episodio del massacro di Micalesso. Le citazioni di testi antichi prive dell'indicazione dell'autore, in questo capi­ tolo, si intendono riferite a Tucidide. 1.

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alleato, simpatizzante e mercenario non è facile da tracciarsi2 leggiamo per esempio il passo di Tucidide posto in epigrafe, dove motivazioni eco­ nomiche individuali (messe in secondo piano, però), amicizia personale con lo stratego ateniese, alleanza ufficiale con Atene vengono elencate una dopo l'altra, senza alcuna attenzione per distinzioni formali. Una certa ambiguità dello status del mercenario si riflette anche nella scelta dei termini relativi all'argomento da parte di Tucidide. Lo storico non utilizza mai xenos nel senso di mercenario: il termine si afferma in questo significato solo a partire dagl'inizi del IV secolo3 ; adotta saltuaria­ mente il termine misthophoros e predilige invece altre espressioni basate su misthos, in particolare l'espressione misthos + voce del verbo peitho (con­ vinco, induco). Il termine di gran lunga più comune - così come anche in Erodoto - è comunque epikouros (e derivati), che lascia ampi margini di dubbio, poiché, come abbiamo già visto, il suo significato base è 'ausiliario: 'che viene in soccorso', senza necessariamente riferirsi a mercenari4 • ;

La guerra navale Al di là dei costi e delle nwnerose difficoltà che dovevano superare le comu­ nità decise a dotarsi di una flotta, coprire gli effettivi necessari ad armare una flotta non era facile per entrambe le parti in guerra, per almeno due motivi: - una spedizione via mare, rispetto a una terrestre, oltre a richiedere spes­ so più tempo, impegnava un numero maggiore di uomini: riflettiamo, per esempio, sul fatto che un contingente di 1.000 uomini non era un'enti2. Fondamentali a questo proposito le riflessioni di GAUTHIER (1971, p. 57 ), relative agli xenoi nei testi epigrafici ateniesi nel periodo qui preso in esame. 3. GAUTHIER (1971, p. 45). Tucidide utilizza però, una volta, il verbo xenotropheo (VII 48.5). 4. Misthophoros: I 3 5.4; III 109.2; VI 43; VII 57.3, 9, 1 1 ; VII 58.3. Espressioni basate su mi­ sthos: I 121.3, IV 124. 4, V 6.2, VII 13.2, VII 57.9 (misthos, misthou ) ; IV 76.3 (emisthounto ) ; IV 129.2, V 6. 4 (misthotois, misthotous); VI 22 (mistho prosagagesthai); VII 19. 4 (prosmis­ thosamenoi); VIII 100.3 (misthosamenoi). Ho citato solo i passi che si riferiscono a merce­ nari o presunti tali e non quelli in cui Tucidide parla di altri tipi di pagamento. Misthos + peitho: I 3 1. 1 ; I 60. 1 ; II 9 6.2; IV 80.5; VII 57.9. Epikouros e derivati: II 3 3. 1 ; II 70.3; II 79.3; III 18. 1-2; III 34.2; III 73; III 74.3; III 85.3; IV 46.2; IV 129.3; IV 130.3; IV 131.3; VIII 25.2; VIII 28.4; VIII 3 8.3; cfr. IV 52.2 e VIII 55.3 (epikourikon); VII 48.5 (epikoun'ka); VIII 45. 4 (epikou­ ria) e, inoltre, I 115.4; VI 55.3 e VI 58.2, che non riguardano la guerra del Peloponneso. Sugli epikouroi in Tucidide cfr. LAVELLE (1989 ). Sulla terminologia in Tucidide, cfr. anche le osservazioni di LANDUCCI GATTINONI (2001, pp. 72-3).

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tà trascurabile nella guerra terrestre, mentre sarebbe stato sufficiente per un'irrilevante flotta di sole 5 triremi. La stessa Atene, per la quale, come vedremo, il problema di reperire equipaggi era meno assillante che non per gli alleati di Sparta, non avrebbe mai potuto far scendere contemporanea­ mente in mare le 300 triremi di cui era teoricamente fornita: esse avrebbe­ ro infatti richiesto ben 6 0.000 uomini di equipaggio, una cifra superiore, probabilmente, a quella di tutti i cittadini della città; - servire, anche come semplici rematori, in una flotta richiedeva una competenza di non facile acquisizione, che solo gli abitanti di città mari­ nare, in genere, possedevano5 • Atene Il problema della composizione degli equipaggi delle triremi ateniesi è dibattuto da lungo tempo, senza che siano stati raggiunti risultati incon­ trovertibili. Non starò qui a riprendere l'argomento e mi limiterò a ricor­ dare alcuni punti su cui esiste un sufficiente accordo6 • Sembra certo che la maggior parte dei rematori fosse costituita da cittadini e meteci, mentre l'impiego di schiavi era assai limitato7 • Una buona parte degli Ateniesi, durante la guerra (in qualche misura, anche negli anni precedenti), si so­ stentava grazie al servizio sulle navi da guerra; Tucidide ricorda come la decisione di effettuare la spedizione siciliana fu presa dai cittadini anche per il desiderio di assicurarsi (v1 24.3), vale a dire una potenza tale da garantire per sempre il pagamento dello stipendio. Un tale atteggiamento, che ispirò a G. B . GRUNDY (1948, p. 258) l'osservazione secondo la quale , è un indizio di quegli stretti legami fra svilup­ po della flotta, imperialismo e democrazia radicale, che costituiscono un dato, peraltro assai discusso, della storiografia sulrAtene classica8 • Gli Ateniesi, inoltre, attingevano in larga misura a contingenti delle poleis alleate per raggiungere gli effettivi necessari alla piena efficienza del­ la flotta. A tale proposito, è probabile che un decreto dell'assemblea ate­ niese del 415, relativo alla spedizione siciliana, faccia appunto riferimento al reclutamento di marinai nelle città alleate 9 • E fuorviante considerare mercenari dei rematori arruolati presso le città alleate in seguito a costri­ zioni cui i governi delle poleis alleate dovevano sottostare. Il ricorso a veri e propri mercenari, invece, era poco significativo, se non del tutto inesi­ stente: un'analisi delle testimonianze in proposito dovrebbe dimostrarlo. Gli xenoi di I 143.2 sono gli alleati, e non forze mercenarie; e sempre ad alleati dovrebbe riferirsi l'accenno di Senofonte (Ell I 5.4) ai rematori al soldo degli Ateniesi che potrebbero passare agli Spartani, se allettati da una paga migliore. Né può essere usato come testimonianza della presenza di mercenari nelle flotte ateniesi di v secolo un passo di Isocrate di molti decenni successivo (VIII Sulla pace 48, 79): [ 4 8 ] In passato, quando armavamo triremi, prendevamo come marinai stranieri e schiavi, mentre affidavamo ai cittadini le spedizioni via terra [...] . [ 79] I nostri padri raccoglievano da tutta la Grecia gli uomini più oziosi e viziosi e ci riempi­ vano le triremi.

Il testo è di scarsissimo valore come fonte storica: la situazione del v secolo è trasformata dall'oratore a uso e consumo di quanto intende dimostrare e l'accuratezza è l'ultima delle sue preoccupazioni 10 Infine, dal passo tucidideo 1 1 in cui i Corinzi contrappongono la loro po­ tenza militare, basata tradizionalmente su un esercito di cittadini, a quella •

8. Cfr. VAN WEES (2004, pp. 79, 274 n. 6) che presenta una nutrita bibliografia di favore­ voli e contrari. Non è questa la sede per poter affrontare adeguatamente il tema. 9. I G 1 3 9 3 = ML nr. 78b, linee 5-6; cfr. MEI G GS (1972, p. 440 ). 10. Il passo è analizzato da AMI T (19 65, pp. 34-5), cui rimandiamo; cfr. anche BETTAL­ LI (19 92, pp. 44-6). Per l'utilizzazione della storia di v secolo da parte di Isocrate, cfr. NO UHAUD (19 82, pp. 245-98 per i riferimenti degli oratori alla guerra del Peloponneso). 11. I 121.3: « Giacché la forza militare degli Ateniesi si compra, non nasce al loro interno; non così la nostra, dal momento che non si fonda sul denaro ma sugli uomini». L'espres­ sione onete mallon e oikeia viene di solito intesa come una contrapposizione brutale tra forze cittadine e mercenarie (cfr. H O RNBLOWER, 1991, pp. 19 8-9 ).

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ateniese, basata sul denaro, non si deve necessariamente inferire l'utilizza­ zione di mercenari da parte ateniese: la contrapposizione è fra l'esercito oplitica, fondato sul valore dei soldati, e la flotta, la cui efficienza dipende dalla disponibilità di molto denaro (per la costruzione e la manutenzione delle navi e per il mantenimento degli equipaggi, costosi perché formati da molti uomini, indipendentemente dallo status di questi ultimi). Corinzi, Spartani e alleati Se gli Ateniesi potevano contare su un largo numero di persone ( citta­ dini, meteci, alleati) disposte (o costrette) a formare gli equipaggi della loro flotta e nello stesso tempo sufficientemente addestrate, la situazione degli alleati peloponnesiaci era più difficile. Meno soldi, meno uomini a disposizione: da qui la proposta di attingere - sia pure sotto forma di prestito - ai beni dei santuari panellenici di Delfi e Olimpia (1 121.3) per risolvere il problema finanziario, connesso anche alla scarsissima liquidi­ tà dello stato spartano, e il tentativo di ingaggiare cittadini delle poleis alleate di Atene (1 31.1), proponendo ingaggi più ricchi, come accadrà appunto quando saranno i Persiani a pagare (Xen. Ell I 5.4). È evidente che gli uomini delle città alleate di Atene, nel momento in cui accettano di essere reclutati da potenze nemiche, diventano in tutti i sensi dei mer­ cenari: Tucidide (1 35.4) lo registra chiamandoli non già xenoi, ma mis­ thophoroi, in quanto arruolatisi di loro libera volontà, attratti dalla paga . E a questo complesso di problemi che allude un'importante iscrizione della polis rodia di Lindo, databile probabilmente ai primi anni della guerra del Peloponneso12 Il decreto contempla l'obbligo per tutti i cittadini che abbiano prestato servizio militare all'estero di versare al dio Enyalios la ses­ sagesima di quanto guadagnato entro un mese dal ritorno in patria. Ciò che è più notevole, e anche più chiaro, è la distinzione tra servizio militare prestato ufficialmente, sotto il comando degli strateghi della città (damo­ siai, r. 6), e servizio militare prestato individualmente, come privati (idiai, r. 7), con l'unica differenza che, in quest'ultimo caso, i cittadini dovevano •

12. Pubblicato inizialmente da A. Maiuri, in "Annuario della Scuola Archeologica di Atene e delle Missioni Italiane in Oriente", 4-5, 1921-22, pp. 48 3 -5 e in Supplementum Epigraphicum Graecum (sEG) IV 171; nuova edizione con ampio commento da parte di AC CAME ( 1 9 3 8) ( = ACC AME, 1 9 9 0, pp. 9 7-117 ) ; ripubblicato in BLUMEL ( 19 9 1, n. 25 1 ) ; cfr. ora BETTALLI (2010a) con testo, traduzione e ulteriori commenti.

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provvedere personalmente a versare la tassa; nel primo caso, erano inve­ ce gli strateghi stessi a provvedere, dopo averla raccolta o trattenuta sullo stipendio. Il fenomeno descritto sembra di routine, anche se non ne cono­ sciamo le dimensioni e i particolari: è plausibile che i soldati siano in primo luogo, se non esclusivamente, marinai, trattandosi di una città isolana. Ciò che vorremmo conoscere sono i rapporti tra l'attività militare dei cittadini di Lindo e la Lega delio-attica: si può supporre, anche se non esiste una prova, che i cittadini fossero impegnati per lo più come rematori della flotta ateniese, e non tanto in imprese condotte dalla città di Lindo, pure impe­ gnata in quegli anni in modesti tentativi di allargare il proprio dominio; se tale ipotesi fosse vera, resterebbero comunque da chiarire le modalità di pagamento, così come il rapporto tra gli strateghi di Lindo, presenti alle spedizioni (lo si evince dalle righe 47-50), e le autorità militari ateniesi. Ma ancor più interessante per il nostro tema è il secondo gruppo, che comprende i cittadini che andavano a combattere all'estero di propria ini­ ziativa: il riferimento dovrebbe essere a veri e propri mercenari. In primo luogo, è significativo che la città permetta l'esistenza di un tale fenomeno, limitandosi a lucrarne una modesta tassa. Ignoriamo se esistesse una regola­ mentazione più precisa, ma ricordiamo come il servizio mercenario in terra straniera sia una costante nella storia dell'isola, dall'età arcaica (incontrere­ mo mercenari di origine rodia in Egitto: cfr. CAP. 7) alla fine dell'età classi­ ca (solo per fare un nome, Memnone, comandante dell'esercito persiano al Granico: cfr. CAP. 16). Gli abitanti di Lindo potevano, forse, se non iscritti nelle liste di leva, servire ugualmente nella flotta ateniese come volontari, anche se non è facile immaginare con quali meccanismi tutto ciò potesse avvenire. Ma il rischio era che i cittadini di Lindo, così come di qualsiasi altra città della Lega, scegliessero di servire nelle flotte nemiche. A questo proposito, il dibattito era vivo: Pericle minaccia quanti si arruolano negli eserciti dei nemici della Lega di essere banditi dalle proprie città d'origine (1 143.2); e la richiesta di esercitare un controllo sulle città della Lega, im­ pedendo che i Corinzi > reclutando mercenari nei territori controllati da Atene, è in effetti rivolta esplicitamente dai Corciresi agli Ateniesi (1 35.4). Ciò che nei Corciresi è solo un desiderio, che, per quanto ne sappiamo, non trovò rispondenza in alcun atto ufficiale, si tradurrà nel IV secolo in decreti emanati da varie poleis della Grecia1 3 •

13.

Cfr. C AP. 4, pp. 107-8.

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La g uerra terrestre Seguiremo in questa analisi degli episodi in cui sono impegnati contingen­ ti mercenari in ordine cronologico (guerra archidamica, spedizione in Si­ cilia, guerra ionica); mi è sembrato opportuno, però, isolare ed esaminare per primi i casi che riguardano guerre civili. Mercenari nelle guerre civili1 4 - Nel 431, il tiranno Evarco di Astaco, in Acarnania (un personaggio al­ trimenti sconosciuto), riesce a rientrare in patria grazie a un piccolo eserci­ to formato da 1. 500 opliti corinzi e da alcuni mercenari (epikourous tinas) , frutto di un reclutamento personale dello stesso Evarco (11 33. 1): non sap­ piamo nulla della loro zona di provenienza, né di quanti essi fossero, anche se tinas fa pensare a pochi uomini. Il verbo impiegato da Tucidide (prose­ misthosato) garantisce comunque che si tratta di mercenari, e non di clienti o amici del tiranno; - durante la guerra civile a Corcira, fra il 427 e il 425, si parla a più riprese di epikouroi ingaggiati dagli oligarchici sul continente. A 1 1 1 73 (anno 427 ) Tucidide ne fissa il numero in 800; essi riescono in gran parte a fuggire dall'isola dopo la vittoria della fazione democratica (1 1 1 74) 1 5 • Alla ripresa della guerra civile, l'anno seguente, gli oligarchici di nuovo si procurano dei mercenari e li fanno sbarcare nell'isola: questa volta non è precisato il loro numero (1 1 1 85.3). Quando, nel 4 25, gli Ate­ niesi costringono alla resa gli oligarchici asserragliati sul monte Istone, un accordo intercorso tra le parti stabilisce di consegnare i mercenari (1v 46. 2); - nella guerra civile a Nozio, nell'anno 4 27, la fazione medizzante fa ve­ nire mercenari arcadi e barbari forniti da Pissuthnes, satrapo della Lidia (1 1 1 34. 2) 16 • I mercenari sono tenuti separati, in una specie di piazzaforte; il loro comandante, un certo Hippias (1 1 1 34.3), ha pieni poteri di con­ durre le trattative con l'ateniese Pachete. Nel prosieguo dello scontro, Oltre agli episodi elencati qui di seguito, in Tucidide è presente anche il caso di Samo (1 1 1 5. 4, anno 440 ), per il quale cfr. CAP. 10, p. 259. 15. LAVELLE ( 1 9 8 9, p. 37) ha dubbi, a mio parere infondati, che gli 8 0 0 uomini fossero mercenari e pensa in alternativa ad alleati. 1 6. Su Pissuthnes e l'episodio, cfr. SEIBT ( 1 97 7, pp. 43-4) . 1 4.

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i mercenari vengono massacrati dal primo all'ultimo, dopo essere stati tratti in inganno (ibid. : l'episodio è ricordato anche da Polyaen. III 2); - le fazioni oligarchiche di Lesbo si servono più volte, nei loro tentativi di strappare i centri dell'isola ai democratici filo-ateniesi, di mercenari ingaggiati sul continente: a III 2.2 (anno 428) la rivolta, in verità, ini­ zia prima che gli arcieri della Scizia, richiesti per l'occasione, facciano in tempo ad arrivare (sono forse gli stessi epikouroi cui si fa cenno a III 18.1-2) 1 7 • Contingenti mercenari partecipano poi alle azioni del 424 (1v 52.2): si tratta di uomini fatti venire per l'occasione dal Peloponneso e di altri, arruolati sulla costa di fronte a Lesbo; e così anche qualche anno dopo, nel 411 (v111 100.3), gli esuli di Metimna cercano di rientrare in patria con 50 opliti della loro fazione e un certo numero di mercenari ingaggiati sulla terraferma; - all'interno di un piano generale di sollevazione della Beozia, gli esuli democratici filo-ateniesi di Orcomeno assoldano mercenari nel Pelo­ ponneso (1v 76.3, anno 424). La struttura degli episodi descritti è chiara. Nelle frequenti staseis che caratterizzavano la vita delle poleis nella Grecia della seconda metà del v secolo 18 , un intervento anche di poche centinaia di persone determinate e bene armate poteva fare la differenza (non si sottolineerà mai abba­ stanza il fatto che si trattava, nella stragrande maggioranza, di comunità assai piccole): nel caso - più comune - che fossero gli oligarchici a cer­ care di rientrare in patria, gli esuli disponevano facilmente del denaro necessario, grazie anche all'intreccio di amicizie aristocratiche su cui contare per far fronte a un'eventuale confisca dei beni. Quanto al reclutamento, esso sembra il più delle volte avvenire su base locale, grazie a una rete di conoscenze nel territorio, che può descri­ versi anche in termini di rapporti di tipo più o meno clientelare. Non mancano eccezioni a questo quadro: gli arcieri chiamati dalla Scizia e, soprattutto, i mercenari arcadi, che vengono assoldati anche per opera­ zioni lontane (nei casi che abbiamo appena esaminato, per esempio, a Lesbo e in Beozia), oltre a trovarsi già in Asia Minore, al servizio dei satrapi dell'impero persiano. 17. Secondo LAVELLE (1989, pp. 37-8), ancora una volta non si tratterebbe di mercenari; sulla monetazione probabilmente connessa all'episodio (stateri d'elettro di Mitilene con­ formi agli stateri ciziceni, in uso nella zona del Mar Nero), cfr. KRAAY (1982, p. 499). 18. Cfr. almeno GEHRKE (19 85, pp. 240-5).

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La guerra archidamica Nei primi anni di guerra, l'impiego di mercenari da parte di entrambi i contendenti è modesto. Fa eccezione, nel 426, l'intervento in Acarnania di un esercito peloponnesiaco, un contingente di 3 .0 0 0 uomini al comando dello spartiata Euriloco, all'interno del quale erano compresi dei merce­ nari: infatti, a 1 1 1 10 9. 2, Tucidide allude ad un misthophoron ochlon [ton xenikon] , senza che sia possibile sapere chi fossero questi uomini, poiché vengono qui citati per la prima volta. Crediamo che si trattasse, almeno in gran parte, di Peloponnesi, distinti però dalle truppe mantineesi, cui lo storico allude per sottolinearne l'ottima disciplina durante la battaglia di Olpe (11 1 10 8.3) 1 9 • Inoltre, per tutta la durata della prima fase della guerra, è comune l'im­ piego di mercenari nella Calcidica, teatro di guerra che, fra il 4 2 4 e il 4 21, assume un ruolo decisivo. Vediamone di seguito gli episodi relativi: - subito prima dello scoppio ufficiale della guerra ( 43 2) Corinto invia in aiuto di Potidea, minacciata dagli Ateniesi, un contingente di volontari, molti dei quali legati al comandante della spedizione, Aristeo, figlio di Adei­ mantos (1 6 0. 1-2) : in tutto, 2.0 0 0 uomini, di cui 1.6 0 0 opliti e 400 arma­ ti alla leggera. Di questi, alcuni erano volontari, altri erano stati ingaggiati nel Peloponneso (presumibilmente in Arcadia o in Acaia) come mercenari; non c'è motivo di pensare che gli armati alla leggera (psiloi) siano i merce­ nari, gli opliti i volontari: fra gli amici di Aristeo potevano benissimo essere compresi dei 'clienti' di rango non oplitico. Si tratta, comunque, del > (PRITCHETT, 197 1, p. 20 ) , pur nel contesto di una spedizione semiprivata, condotta sulla base di legami di stampo tipicamente aristocratico. Alla ca­ duta di Potidea, i sopravvissuti del contingente furono risparmiati dagli Ateniesi, e fu loro concesso di allontanarsi con una sola veste: sono gli epikouroi cui si accenna a 1 1 70.3 ; - nel 4 29 Calcidesi e Ateniesi si scontrano a Spartolo (1 1 79.3-4) ; i primi sono aiutati da epikouroi tines: con ogni verosimiglianza mercenari, anche

Un resoconto accuratissimo della campagna in Acarnania in PRI TC HETT ( 1 9 9 2, pp. 50 -78). Il testo di Tucidide comunque è lontano dall'essere chiaro, tanto che si è sospettata una mancanza di revisione del testo ; cfr. anche P, p. 1 6. Ton xenikon è probabilmente una glossa : il primo impiego sicuramente attestato dell'espressione è nel Pluto di Aristofane, rappresentato nel 3 8 8. 1 9.

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se Tucidide non lo afferma esplicitamente 20 Gli stessi Calcidesi avevano anche reclutato > . È questa la prima volta che, in Tucidide, vediamo in azione dei peltasti2 - l'odrisio Sitalce, figlio del re dei Traci, alleato di Atene, fa ricorso a mer­ cenari (11 96.2). Nella rassegna delle sue truppe, ci sono anche i Dii, traci delle zone montane, a lui non soggetti: essi sono in parte volontari, in par­ te arruolati, ma non si sa bene con quale criterio si operi la distinzione; - Brasida22 fa ricorso più volte a mercenari. Innanzi tutto nel corpo di spedizione al suo comando, che parte nel 424 da Sparta (1v 80.5): un'im­ presa di modeste proporzioni, che comportava l'impiego di 700 opliti scelti tra gli iloti indesiderati e, appunto, truppe assoldate nel Peloponneso in quantità non precisata. Poi, sul posto vengono ingaggiati Illiri, pagati dal re macedone Perdicca (1v 124.4) e Traci, in numero di 1.500 (v 6.4). Da parte spartana, c'è inoltre da registrare la presenza di un contingente di 500 opliti peloponnesiaci e 300 peltasti calcidesi al comando di Polida­ mida (1v 123.4) , che Tucidide, in seguito, chiama regolarmente epikouroi (1v 129.3 ; 130.3; 131.3) , senza chiarire il loro status: è probabile comunque che i Calcidesi combattano come alleati, mentre gli opliti peloponnesiaci non sembrano essere altro che un distaccamento del contingente iniziale di Brasida (come si deduce da IV 124.1) ; - anche gli Ateniesi si servono di mercenari disponibili nelle zone limi­ trofe: i 1.000 misthotoi traci ingaggiati per l'attacco a Mende e Sciane (Iv 129.2, anno 423) sono i primi mercenari utilizzati da Atene nella guerra terrestre ; Cleone ne richiede poi un contingente quanto più numeroso possibile al re Polle (v 6.2). Infine, nel 415, lo stratego ateniese Evezio­ ne, nel tentare un attacco contro Anfipoli, ha a disposizione un numeroso contingente di mercenari traci (VII 9). •

1;

20. P, p. 16 pensa che questi epikouroi siano gli stessi lasciati liberi dagli Ateniesi dopo la presa di Potidea, un' ipotesi verosimile ma non dimostrabile. 21. La prima citazione è peraltro a II 29.5, a proposito di un eventuale invio di un con­ tingente agli Ateniesi da parte del re odrisio Sitalce. Per una discussione sul ruolo dei peltasti nella guerra del Peloponneso e nell'evoluzione delle tattiche di guerra, cfr. più avanti, p. 66. 22. Su Brasid.a come antenato dei condottieri di IV secolo, più legati ai propri mercenari che agli ordini emanati dalla propria città (una visione forse un po' eccessiva, non solo per Brasida, ma anche per i condottieri di IV secolo!), cfr. WESTLAKE (1968, pp. 148-65, sp. p. 160); più di recente, WYLIE (1992a, pp. 75-95); BOELDIEU-TREVET (1997, pp. 147-58).

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Anche nel caso dell'impiego di mercenari nella penisola calcidica, le li­ nee generali sono chiare. Gli Spartani e i loro alleati, che avevano oggettive difficoltà nell'organizzare spedizioni di lunga durata lontano dal Pelopon­ neso23 , e non convinti quindi dell'opportunità di contrastare gli Ateniesi nel nord della Grecia, si affidano a iniziative personali (Aristeo, Brasida) che fanno uso di mercenari peloponnesi per non impegnare cittadini o alleati. Forse anche la spedizione di Euriloco in Acarnania è strutturata in modo simile. Una volta sul posto, non disdegnano l'impiego di truppe mercenarie locali, imitati da Cleone e dagli altri strateghi ateniesi. Non del tutto chiare le modalità di reclutamento: in un caso abbiamo visto come il re di una delle tribù servisse da intermediario; non si può escludere che in altri casi, invece, l'arruolamento fosse individuale. La spedizione in Sicilia La spedizione in Sicilia si caratterizza in primo luogo per le eccezionali dimen­ sioni in cui fu realizzata. Nicia, nel suo discorso all'assemblea ateniese, pone l'accento sulla necessità di servirsi di mercenari per raggiungere un sufficiente numero di opliti, in un passo importante per il modo in cui ripropone l'in­ sieme alleati/mercenari come forze complementari a quelle cittadine (VI 22) : Mi sembra necessario condurre ( in Sicilia) molti opliti, nostri e alleati, prenden­ doli inoltre dai nostri sudditi e dal Peloponneso: questi ultimi li potremo o con­ vincere o attirare con la paga.

E così avvenne, anche se nella prima spedizione (cfr. la rassegna delle forze a VI 43) il numero di mercenari opliti si limitò a > , un'espressione non del tutto chiara24; c'erano inoltre 480 arcieri, Vale la pena di ricordare il noto passo in cui Pericle enuncia con grande lucidità le mo­ tivazioni di tale impedimento (1 1 41.3-4) : «I Peloponnesi, infatti, coltivano essi stessi la loro terra (autourgoi) e non possiedono denaro ( chremata) né a livello individuale, né a livello pubblico; inoltre non hanno esperienza in fatto di guerre di lunga durata e combattute oltre­ mare, poiché a causa della loro povertà si possono permettere solo scontri di breve durata fra loro. Popoli di questo genere non possono né equipaggiare navi, né inviare frequentemente spedizioni terrestri, perché dovrebbero stare lontani dalle loro proprietà e, nello stesso tem­ po, attingere per le spese alle loro risorse, mentre, oltre a questo, il mare è loro precluso» . 24. I Mantineesi sembrano essere distinti dagli altri Arcadi, i quali costituivano senz'altro il grosso del contingente. Lo status della città di Mantinea e dei suoi soldati è in effetti ambiguo: cfr. 111 107- 1 1 1 ; v 8 1. 1 ; VI 29. 3 ; VII 57. 9. 23.

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dei quali erano mercenari almeno gli 80 Cretesi; i 700 frombolieri rodi sono invece da considerarsi alleati e non mercenari, anche se la questione non è chiara, come abbiamo visto analizzando l'iscrizione di Lindo2 5 • Il numero dei mercenari aumenta con la spedizione di Demostene del 413. Le forze raccolte strada facendo dallo stratego ateniese, affiancato da Eurimedonte, comprendono opliti di Corcira, frombolieri e lanciatori di giavellotto delrAcarnania (VII 31. 5); ancora lanciatori di giavellotto iapigi, metapontini (VII 3 3.4-5) e di Turi (VII 35.1); quest'ultima città concede anche 700 opliti (ibid.). Gran parte di queste truppe vengono fornite in virtù di alleanze con Atene: sicuramente mercenari sembrano essere solo gli Iapigi inviati dal re Artas, come si deduce da VII 57.11 26 • Anche da parte peloponnesiaca si fa ricorso a mercenari: i Corinzi, agli inizi del 413, inviano 500 opliti, alcuni della stessa Corinto, altri assoldati fra gli Arcadi, sotto il comando del corinzio Alexarchos (vI I 19.4) 27 • La pagina più interessante dell'intera opera relativa al mercenariato si trova verso la fine della narrazione della guerra in Sicilia. Nel riassumere le forze che vi furono coinvolte, Tucidide (VII 57.9-10) afferma: Gli Argivi erano al seguito degli Ateniesi, Ioni, loro che erano Dori e andavano a combattere contro altri Dori; e lo facevano non tanto per rispettare il trattato di alleanza, quanto per l'odio verso Sparta e per perseguire ciascuno un vantaggio personale immediato; i Mantineesi e gli altri Arcadi, invece, li avevano seguiti come mercenari (misthophoroi) , in quanto erano abituati a marciare contro quelli che di volta in volta venivano loro indicati come nemici e pronti, in quel caso, a considerare non meno nemici, in vista del guadagno, gli Arcadi loro compa­ trioti venuti insieme ai Corinzi. I Cretesi e gli Etoli, anche loro, si erano decisi a partecipare convinti dalla paga (misthoi peisthentes) ; per i Cretesi si aggiungeva la circostanza che, pur avendo partecipato insieme ai Rodi alla fondazione di Gela, si trovavano a combattere, di loro volontà e per denaro, non a fianco dei loro coloni, ma contro di essi. Si erano uniti anche alcuni Acarnani, un po' per desiderio di guadagno, ma più che altro per amicizia nei confronti di Demostene

(in "Classica! Bulletin� 64, 1 9 8 8, p. 1 1 1 ) crede di vedere in una ben nota iscrizione relativa alla spedizione (IG 1 3 93 = ML nr. 78, fr. a, linea 4) un accenno a questi contingenti, integrando mis[th------ con misthophorois. In questo caso, gli arcieri e le trup­ pe rodie sarebbero in effetti da considerarsi mercenarie. 26. Per gli 800 cavalieri campani ingaggiati dai Calcidesi di Sicilia per conto degli Atenie­ si, cfr. oltre, C AP. 14, pp. 3 3 3-4. 27. Sono gli stessi mercenari ricordati a VII 5 8.3 nella rassegna generale delle forze coin­ volte nel conflitto siciliano. 25. A. M. DEVINE

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e per la buona disposizione che avevano nei confronti degli Ateniesi, dei quali erano alleati.

Tucidide prende atto che un sistema di valori, basato su vincoli tradizio­ nali, costruiti in secoli di convivenza (legami di stirpe, legami tra colonia e madrepatria, persino tra compatrioti), sta crollando, sostituito da rapporti molto più precari, basati sulla convenienza e, in particolare, sul denaro: i termini relativi al guadagno materiale sono ripetuti quattro volte in po­ chissime righe. Da notare che, per quanto riguarda gli Arcadi, il costume di avere come unico punto di riferimento il denaro è considerato già come consolidato: essi erano infatti abituati (eiothotes) a fare così. Per adesso la corruzione dei valori sembra colpire solo popolazioni marginali, quali ap­ punto Cretesi, Etoli e Acarnani: Tucidide non visse abbastanza per vedere il fenomeno interessare tutta la Grecia. Micalesso Della spedizione in Sicilia al seguito di Demostene dovevano far parte an­ che 1. 300 peltasti della tribù tracia dei Dii (la stessa tribù montanara che Tucidide cita a II 96. 2 come fornitrice di mercenari a Sitalce). Costoro però giungono in ritardo ad Atene (alla fine di giugno o agl'inizi di luglio del 413, quando Demostene era già partito da almeno un mese) e gli Ate­ niesi decidono di rimandarli indietro, per non sobbarcarsi le 1. 300 dracme al giorno, pari a circa 6 talenti e mezzo in un mese, che avrebbe compor­ tato un loro impiego contro gli Spartani da poco insediati a Decelea (VII 27. 1-2). Così infatti avviene (vII 29. 1) e sulla via del ritorno - sotto il co­ mando dell'ateniese Diitrefe, incaricato di compiere qualche saccheggio di disturbo sul territorio nemico - i Traci compiono il massacro di Mica­ lesso, uno degli episodi più spaventosi dell'intera storia greca (vII 29. 4-5): I Traci fecero irruzione all'interno di Micalesso: saccheggiavano le case e i templi, uccidevano la popolazione, senza risparmiare né i vecchi né i giovani, ma ammaz­ zando uno dopo l'altro tutti quelli nei quali si imbattevano, inclusi i bambini e le donne e pure le bestie da soma e tutti gli altri esseri viventi che vedevano. I Traci, infatti, al pari dei popoli più barbari, nelle situazioni in cui si sentono al sicuro diventano incredibilmente sanguinari. Così avvenne allora: in mezzo a una grande confusione, in cui si verificò ogni genere di distruzione, accadde anche che, piombando su una scuola, la più grande della città, quando i bambini erano appena entrati, li ammazzarono tutti.

MERCENARI

Celebre episodio di apotheriosis, di trasformazione degli uomini in bestie assetate di sangue (cfr. CAP. 14, pp. 357-8): va ricordato comunque come il comandante del contingente, che verosimilmente avrebbe potuto quanto meno cercare di intervenire, fosse ateniese 28 • Se il comportamento ateniese lascia a desiderare dal punto di vista eti­ co, appare invece più oculato dal punto di vista finanziario, rispetto agli standard di IV secolo, quando i mercenari verranno ingaggiati più volte senza copertura finanziaria ( cfr. CAP. 4) . Tale attenzione si spiega con la situazione delicata in cui la città si trovava in quel momento, in seguito all'occupazione spartana di Decelea: è in questo periodo che viene presa anche la decisione di dimezzare le paghe degli equipaggi della flotta. L'ultima fase della guerra: le operazioni in Ionia Per quanto riguarda la guerra ionica, Senofonte non fornisce alcuna infor­ mazione di rilievo sull'argomento; se si eccettuano due brevi cenni da par­ te di Diodoro Siculo2 9 , dobbiamo quindi affidarci ancora a Tucidide, che nell'v11I libro menziona due volte mercenari al servizio di satrapi persiani: - mercenari di T issaferne ( Tissaphernous ti [xenikon] epikourikon) che si schierano accanto ai Peloponnesi contro le truppe ateniesi e argive di fronte a Mileto (VIII 25.2, anno 412): si tratta probabilmente di Greci, in numero limitato, come suggerisce l'uso di ti: xenikon, ancora una volta, dovrebbe essere una glossa ( cfr. sopra, p. 59 con la n. 19); - mercenari al servizio di Amorge, figlio bastardo di Pissuthnes, arruolati dai Peloponnesi, dopo un attacco vincente contro Iaso (VIII 28.4-5, anno 412). È possibile che a un contingente di essi, formato da Arcadi, si riferisca il dinasta licio che eresse in questi anni il proprio piccolo mausoleo, ador­ no di versi celebrativi della sua presunta grandezza: vi leggiamo infatti che egli - alleato degli Ateniesi - > 3 0 •

28. Sull'episodio, LONGO (19 84), che insiste giustamente sulle responsabilità di Diitrefe, il comandante ateniese; cfr. anche Q_UINN (199 5). 29. Diod XIII 51.1-4 (anno 410: mercenari greci al servizio di Farnabazo a Cizico com­ battono senza fortuna a fianco dei Peloponnesi contro gli Ateniesi) e XIII 66.5 (anno 409 : mercenari sotto il comando di Clearco difendono Bisanzio durante l'assedio ateniese; cfr. Xen. Ell I 3.14 ss., che però non accenna alla presenza di mercenari) : su entrambi i passi cfr. SEI BT ( 1977, p. 49 ). 30. M L nr. 93, V. I O.

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Ritroviamo infine questi stessi mercenari a Chio, sotto il comando di Pe­ darito (v1 1 1 38.3; cfr. VII I 55.3); a essi si pensa che alluda Alcibiade quando sostiene (v111 45. 4) che gli abitanti di Chio non hanno bisogno di aiuto, perché, essendo i più ricchi fra i Greci, possono disporre di truppe merce­ narie a garanzia della loro sicurezza.

Conclusioni L'uso di truppe mercenarie, o comunque non espresse direttamente dalla città, a livello ideologico era visco in modo negativo: si può notare come l'accusa di servirsene rimbalzi nei discorsi dei contendenti per screditare e sminuire la forza dell'avversario. Mi riferisco in particolare a due passi tucididei: del primo (1 121.3), nel quale i Corinzi contrappongono la forza 'tradizionale' a quella 'acquisita' degli Ateniesi, abbiamo già parlato; nel secondo (v1 1 48.5), lo stratego ateniese Demostene cerca di rincuorare le sue truppe, ricordando come i Siracusani si trovino in difficoltà, poiché la loro forza si basa > . Indipendentemente dal contesto di queste affermazioni, non c'è dubbio che esse siano una spia del fatto che l'impiego di mercenari era visco con qualche sospetto, come qualcosa di poco affidabile, dipendente dalla disponibilità di denaro del momento e non dalla vera forza di uno stato, espressa dai suoi cittadini in armi. L'importanza dei mercenari durante la guerra del Peloponneso è mo­ desta. Quasi inesistente, a dire il vero, nella prima fase della guerra: Atene non ne utilizza fino al 423; Spartani e alleati sembrano impiegarne in ma­ niera oculata per rafforzare le spedizioni oltre l'istmo; li troviamo infatti con Aristeo nel 432, nel 426 in Acarnania, nel 424 con Brasida. Negli anni degli scontri in Calcidica, vengono ingaggiati da entrambi i contendenti con relativa larghezza, anche perché i Traci erano disponibili in numero maggiore che non i Greci, Arcadi compresi: le uniche tre cifre pari o supe­ riori a 1.000 uomini fornite da Tucidide in contesti relativi a mercenari si riferiscono a contingenti di Traci3 1 Anche la spedizione in Sicilia, nonostante le sue dimensioni, vede un impiego limitato di mercenari: siamo nell'ordine delle poche centinaia di uomini da una parte e dall'altra. È probabile che la situazione cambi con la •

3 1. 1.0 0 0

a IV

1 29.2; 1. 5 0 0

a V 6. 4;

1. 3 0 0

a VII 27. 1.

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guerra ionica, durante la quale almeno gli Spartani con i loro alleati ingag­ giano mercenari per la flotta, in quantità crescente, grazie all'oro persiano. L'impiego di mercenari sembra giustificato da due ragioni principali: - supplire a una carenza generale di uomini. In un passo tucidideo ( VI 17.5), Alcibiade afferma acutamente, nel sottolineare la presunta scarsezza di opliti dei Siracusani, che anche gli effettivi degli altri Greci non sono risultati così numerosi quanto ciascu­ no di essi aveva calcolato: la Grecia, che a questo proposito aveva fornito le cifre più false, a stento è riuscita ad armarsi in modo adeguato.

È possibile interpretare questo passo in un senso più generale: la Grecia non era in grado di fornire un numero sufficiente di uomini per condurre a lungo una guerra così impegnativa. Il discorso non coinvolge solamente la guerra terrestre - e in essa, in primo luogo, gli opliti - ma anche la guerra navale, che comportava la necessità di disporre di un grande numero di rematori; - fornire truppe armate alla leggera, delle quali si cominciò a scoprire l'im­ portanza sul piano tattico-strategico3 2 ; questa evoluzione portò alla neces­ sità di servirsi di peltasti, quella via di mezzo tra opliti e armati alla leggera, caratteristici della zona tracia, in sostituzione di contingenti organizzati di psiloi, di cui le poleis erano ancora sprovviste: Atene, per esempio, non ne aveva ancora nel 424 al Delio, come ricorda lo stesso Tucidide (Iv 94). Si tratta di una questione di grande rilievo, che affronteremo in seguito analizzando gli sviluppi di IV secolo. I mercenari possono essere greci o barbari. In questo secondo caso, si fa ricorso in primo luogo ai Traci; ma gli Ateniesi - racconta il solito Alci­ biade, questa volta nel rivelare i piani ateniesi agli Spartani, dopo la fuga pensavano anche di attingere alle riserve del mondo occidentale, quali gli Iberi e altri, (vI 90.3): sarebbe stato que­ sto, infatti, uno degli scopi della spedizione siciliana.

3 2. Cfr. già GRUNDY (1948, p. 262). Generalmente si ritiene che sia stato Demostene, nel corso della sua campagna in Acarnania del 426, il primo a rendersi conto dell'impor­ tanza di queste truppe - cfr. B E S T ( 1 9 6 9, pp. 17-29 ) ; ROI S M AN (199 3 ) è però molto scet­ tico sull'argomento. Sull'impiego di peltasti durante la guerra del Peloponneso, cfr. BEST ( 1 9 6 9 , PP · 17 -35); FANTASIA (2 0 0 3 , pp. 3 45-6).

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Questo uso costante di barbari in qualità di mercenari riproduce un meccanismo noto già nel Vicino Oriente: le popolazioni marginali (e i Greci nella storia del Vicino Oriente sono 'dalla parte sbagliata', sono com­ presi cioè tra i popoli periferici) si inseriscono nel gioco dei più ricchi e 'civilizzati' in posizione subordinata, salvo poi approfittare dei momenti di debolezza dei loro datori di lavoro per minarne la potenza. Più complesso il discorso relativo ai mercenari greci. Essi sono impiega­ ti ( dagli Spartani e dagli alleati) nella flotta, e in questo caso si tratta, per lo più, di uomini delle città costiere facenti parte della Lega ateniese ormai in via di smobilitazione; ma sono impiegati anche in operazioni di terra e non si peritano di combattere gli uni contro gli altri, anche quando capiti che contingenti della stessa regione siano schierati in entrambi i campi. È il caso degli Arcadi, la cui disponibilità a trasformarsi in soldati professionali è una costante della storia del mercenariato greco. Accenneremo infine alla remunerazione dei mercenari, rimandando per le considerazioni generali al CAP. 17. Se l'unica attestazione esplicita a questo riguardo è VII 29. 1, in cui si afferma che i mercenari traci giunti ad Atene nel 413 ricevevano ciascuno una dracma al giorno, è evidente che il problema non può essere disgiunto da quello del pagamento di tutti i soldati, o mari­ nai, qualunque fosse la loro condizione. Questo perché i pagamenti erano in larga misura omogenei, sia che si trattasse di cittadini, meteci o addirittura schiavi (anche se, in quest'ultimo caso, a beneficiarne saranno stati, ovvia­ mente, i padroni): infatti, almeno in origine, la paga non era che un sostitu­ tivo delle razioni alimentari necessarie alla sopravvivenza. Le fonti relative alle paghe militari - concernenti quasi solo Atene non consentono di giungere a conclusioni certe 33. Possiamo solo afferma­ re che esse erano comprese tra un minimo di due oboli e un massimo di Principali fonti sulle truppe di terra: III 17. 3 (Ateniesi a Potidea, 1 dracma al giorno, più un'altra per l'attendente : secondo KRASILNIKOFF, 1 9 9 3, non è impossibile supporre la presenza di mercenari a Potidea, ma non si capisce il motivo di tale ipotesi) ; sugli equipag­ gi delle navi: VI 8. 1 ; VI 3 1. 3 (Ateniesi, 1 dracma); VI II 29. 1 ; VIII 45.2 (Peloponnesi, pagati da Tissaferne, fra 3 oboli e I dracma); cfr. Aristoph. Vespe 6 82- 6 8 5 (anno 422 : la principale testimonianza in favore dell'ipotesi dei 2 oboli); Plut. Vita di Alcibiade 3 5, 4; Xen. Ell. I 5. 4. Da aggiungere, inoltre, v 47. 6 ( trattato di alleanza del 420 tra Ateniesi, Argivi, Manti­ neesi ed Elei, che prevede il pagamento di 3 oboli eginetici - qualcosa più di 4 oboli attici - al giorno per ciascun oplita, e del doppio per ogni cavaliere) e le misteriose 3 tessarakostai pagate dai Chii (vIII 1 0 1. 1 ) ; un quadro completo, con minuta discussione e bibliografia moderna, in PRI TCHETT ( 1 9 7 1, pp. 1 4- 2 1 ) . 3 3.

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una dracma; se una dracma era una remunerazione comune prima del 413, dopo tale data lo stato ateniese, in gravi difficoltà, cercò di risparmiare e le paghe non superarono mai i tre oboli. Una remunerazione di una dracma al giorno consente largamente di sopravvivere, pur considerando che la riscossione non avveniva mai per tutti e dodici i mesi dell'anno, ma, al massimo, per otto. Le cose cambiano se il guadagno non supera i tre, o addirittura i due oboli: in quest'ultimo caso, si arriva ai limiti della sopravvivenza. In definitiva, sarebbe molto az­ zardato sostenere che il servizio militare fosse conveniente ; del resto, chi sceglieva questa via per professione non poteva che appartenere agli strati più modesti di una società dalla struttura economica semiprimitiva, che condannava di per sé qualunque forma di lavoro salariato. Il discorso è, almeno in parte, diverso per quanto riguarda i cittadini ateniesi che ten­ dono a fare del servizio sulle navi la loro professione: in questo caso, la par­ tecipazione alla guerra costituiva anche un riconoscimento sociale e una giustificazione della loro partecipazione alla gestione della cosa pubblica34 • Con ciò, l'analisi sui mercenari durante la guerra del Peloponneso può dirsi conclusa. Si è venuta delineando l'immagine di un mondo margina­ le, parallelo a quello dei soldati regolari, per il quale tuttavia gli usi della guerra valgono solo parzialmente: per esempio, i mercenari possono ve­ nire catturati con l'inganno e subito dopo essere sterminati senza timore di rivalsa futura da parte degli sconfitti, o, al contrario, possono essere ag­ gregati all'esercito vincitore, o ancora possono essere lasciati andare senza il pagamento di riscatti o alcuna altra formalità3 5 • Nulla è detto sul loro rendimento: il fenomeno è ancora troppo modesto perché ci si cominci a interrogare su questo problema, che sarà invece centrale nel IV secolo, quando il mercenariato assumerà ben altro rilievo quantitativo.

Dopo la guerra Che la guerra del Peloponneso sia stata una buona maestra nell'insegnare una verità elementare, la possibilità di integrare con successo - e in qual34. Cfr. almeno MEIER (1990 ) ; da ricordare anche il giudizio sintetico di GRUNDY (1948, p. 256 ) : «Aforetime a man had been a citizen because he was a soldier, now he was a sol­ dier because he was a citizen » . 3 5. III 34.3 (massacrati); VIII 28. 4-5 (arruolati) ; II 70.3; IV 46.2 (lasciati andare).

LA GUERRA DEL PELOPONNESO

che caso sostituire - le truppe cittadine con forze mercenarie, soprattutto per sviluppare strategie 'eccentriche' rispetto a quelle ufficiali (si vedano per esempio i casi di Aristeo e Brasida), è dimostrato da vari episodi che si svolgono negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra. Già nel corso della guerra ionica possiamo osservare, in due episodi non direttamente riferibili alla guerra, quanto il ricorso a forze mercenarie sia or­ mai abituale. Nel 409, Ermocrate, esiliato dai suoi concittadini, progetta di ritornare in patria con l'aiuto di mercenari: Farnabazo, suo amico, lo riforni­ sce del denaro necessario prima ancora che la richiesta venga formulata (cfr. CAP. 14, pp. 334- 5); tre anni dopo, a detta di Plutarco ( Vita di Alcibiade 36.5), Alcibiade, una volta rimosso dagli Ateniesi dalla carica di stratego, seguita a condurre una piccola guerra personale contro i Traci con l'aiuto di mercenari assoldati per l'occasione e ne ricava così molto bottino. A Bisanzio, Clearco si trasforma da uomo di governo spartano in feroce tiranno della città, fondando il suo potere sui numerosi mercenari che riesce a raccogliere: un'attività che poi - una volta bloccato dagli Spartani - pas­ serà a svolgere con successo, su scala ancora più grande, per conto di Ciro3 6• Ad Atene, i Trenta, ormai costretti ad Eleusi, cercano appoggio in Lisandro; questi procura la notevole somma di 100 talenti, con la qua­ le vengono raccolti dei mercenari, forse in numero di 1.00037 • Anche i democratici, del resto, si erano adoperati per ingaggiare dei mercenari e Lisia si era distinto in questa attività, così come in quella di procurare armi3 8 • E infine, nel 401, la circostanza che portò gli Ateniesi alla cac­ ciata degli oligarchici da Eleusi fu la voce che questi ultimi si stavano adoperando per ingaggiare mercenari al fine di rinnovare la lotta contro la democrazia (Xen. Ell. II 4. 43).

3 6. Su Clearco, cfr. pp. 297-302. 37. Xen. Ell II 4.28; che il prestito venga impiegato per ingaggiare mercenari lo si deduce dal successivo § 30, dove Lisandro appare schierato con i suoi misthophoroi; che essi fossero 1.000, lo afferma Diod. XIV 33.5; cfr. anche Lys. XII Contro Eratostene 5 8-60; su tutto P, p. 19. 3 8. Lisia avrebbe ingaggiato 300 mercenari: [Plut.] Vitae x Orat. 835 f; cfr. la discussione minuziosa in P, p. 19, n. 3.

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Il IV secolo : Atene Invece, per quanto riguarda la guerra e i preparativi che met­ tiamo in atto per condurla, ogni cosa è disordinata, discuti­ bile, incerta. Demostene IV Prima Filippica 36

Fare la g uerra ad Atene Negli oltre settant'anni che intercorrono tra lo scoppio della guerra di Co­ rinto e la fine della guerra lamiaca (395-322), Atene si trovò almeno 1'80% del tempo in uno stato di guerra dichiarata, costretta a volte a impegnarsi su più fronti contemporaneamente. La percentuale supera il 90% se ci li­ mitiamo al periodo centrale 378-338. Durante tutti questi anni, in buona parte delle spedizioni militari gli Ateniesi fecero ricorso a mercenari 1 Ci sono rimaste tracce più o meno consistenti di numerose spedizioni nelle quali la presenza mercenaria è certa; di molte altre si sarà perso il ricordo. Ho riservato un'appendice all'analisi di questi episodi di guerra; collegarli tra di loro e fornire una contestualizzazione di ciascuno avrebbe significa­ to proporre una storia militare di Atene nel IV secolo, un obiettivo al di là degli scopi che mi sono prefissato. Nel testo, cercherò invece di fare il pun­ to su una serie di temi di grande rilievo, molti dei quali conservano valore anche in ambiti diversi da quello ateniese. Nonostante la parzialità (spes­ so anche la disonestà) degli oratori, che costituiscono la nostra maggiore fonte di informazione\ Atene è l'unica città per la quale sia quanto meno sensato il tentativo di una comprensione globale del fenomeno guerra e, all'interno di questa, dell'impiego di mercenari nelle poleis greche. •

Sull'impiego di mercenari ad Atene, la trattazione più completa, nonostante alcune scelte discutibili (cfr. CHANKOWSKI, 1997) è costituita da BURCKHARDT (1996), di cui BURCKHARDT (1995) è sostanzialmente una sintesi. Cfr. anche P, pp. 48-57; 76-83; 14354; 202-5. 2. Cfr. PRITCHETT (1974a, p. 105) : « Demosthenes has clearly distorted the picture of Athenian use of mercenaries » ; lo stesso Pritchett (p. 97) cita il giudizio tombale di GRIF­ FITH (19 3 5, p. 1 1), secondo il quale le parole di Demostene sull'argomento sono « practi­ cally worthless ». Si può anche concordare, con il rischio, però, dell'afasia. 1.

TRA CIA

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TE SAGLIA • Pergarno LIDIA (1v 23). Demostene parte dalla realistica considerazione 8. Cfr. ancora una volta C AWKWELL (19 84, p. 344) : « the whole idea of a standing navy was absurd» . Non è improbabile che gli Ateniesi fossero sostanzialmente d'accordo con questo giudizio.

MERCENARI

dei mezzi finanziari a disposizione della città, che impedisce di (ibid.). L'opzione tra­ dizionale, che comporta la soluzione 'naturale' della guerra in un'unica battaglia campale, è ancora presente ma deve essere scartata non perché superata, ma perché l'esercito ateniese è inferiore a quello macedone. Vi sono alcune conseguenze da trarre dal breve accenno del cap. 23: in primo luogo, il celebre passo della Terza Filippica, di dieci anni successivo, in cui si parla di Filippo come di un sovvertitore delle regole, in quanto le guerre da lui condotte non si risolvono mai in leali battaglie in campo aperto (Ix 49), viene invertito. È Atene a non combattere in campo aperto, in quanto dotata di mezzi inferiori: i 'codici' di guerra sono elaborati per potenze militari alla pari; quando il divario è forte, come ammette francamente Demostene, > (ibid.) . Se il numero dei soldati è modesto, la composizione del contingente riserva qualche sorpresa: la dinamica tradizionale cittadini/mercenari viene infatti riproposta, ma in modo originale. Tre quarti dei soldati, vale a dire 1 . 5 0 0 uomini, devono essere mercenari; un quarto, pari a 5 0 0 uomini, cittadini. A questi andrà aggiunto un contingente di cavalleria, 20 0 uomini, per uniformarsi al tradizionale rapporto 1 : 1 0 ; anche tra i cavalieri si dovrà rispettare il rapporto di un cittadino ogni tre mercena­ ri (un punto, quest'ultimo, marginale ma sorprendente: i cavalieri non erano praticamente mai mercenari). Demostene parte dal presupposto che la soluzione normale sarebbe quella di arruolare solamente merce­ nari: è il fatto che il contingente contempli la presenza di cittadini che deve essere spiegato (cfr. soprattutto IV 21-22). I cittadini, più che per necessità militari, saranno lì ( a rotazione - IV 2 1 - : non era proponi­ bile un contingente di cittadini bloccato sine die lontano dalla città) come sorveglianti (epoptas, IV 2 5 ) , per controllare ciò che accade e per tenere informata l'assemblea sul rispetto da parte degli strateghi delle direttive emanate dalla stessa assemblea: > . Demostene pone dun­ que, in primo luogo, un problema di comunicazione: ciò che era acca­ duto in passato (Demostene evoca, senza nominarlo, il recente servizio di Carete presso Artabazo, dove i soldati, alla guerra che riguarda la città, parakupsanto, hanno dato solo un'occhiatina: cfr. Repertorio, nr. 23) insegnava che il demos non era in grado di seguire gli avvenimenti che si susseguivano in tutto l'Egeo, mentre i comandanti, con le truppe

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al seguito, più che le direttive ufficiali, inseguivano dove capitasse in­ gaggi che potessero procurare loro denaro. E ciò avveniva per almeno due motivi: il primo era la cronica mancanza di denaro; l'altro, il fatto che gli Ateniesi non si impegnavano a fornire, quanto meno, i quadri di comando. L'immagine di IV 26: E non avete eletto 10 tassiarchi e strateghi e filarchi e due ipparchi ? Ebbene, che fa questa gente? Fatta eccezione per uno solo, che eventualmente mandate a com­ battere, gli altri guidano le processioni insieme ai funzionari religiosi. Come per gli artigiani di statuine, è per esporli nell'agorà che voi eleggete i tassiarchi e i filarchi, non per la guerra

evoca un disimpegno che non era tanto nei fatti, quanto nell'attenzione e nella passione con la quale gli Ateniesi seguivano le vicende belliche che li vedevano coinvolti contro Filippo di Macedonia. Altri aspetti fondamentali, come per esempio quello finanziario, sa­ ranno analizzati in seguito. Qui vorremmo far notare l'importanza di quella che può sembrare un'ovvietà: il demos deliberava su questioni che lo riguardavano direttamente. Una spedizione pandemei, vale a dire almeno teoricamente di tutte le forze disponibili, implicava che anche buona parte dei votanti avrebbe dovuto lasciare la famiglia per andare a combattere, rischiando la morte. D'altra parte, non bisogna dimenticare che, per molti cittadini poveri, la guerra era un'occasione per trovare un salario e quindi per migliorare la propria precaria situazione economica. Quando si decideva se impiegare cittadini o mercenari, queste proble­ matiche venivano alla luce, facendo propendere la bilancia da una parte o dall'altra.

Pubblico e privato La guerra era il lavoro comunitario per eccellenza. I suoi costi esorbitan­ ti non potevano che essere coperti, per quanto possibile, dalla comunità della polis nel suo complesso. Eppure, anche in una realtà evoluta come l�tene del IV secolo, non mancano spazi per iniziative che in piccola o larga misura sfuggivano al controllo ufficiale dello stato, fino a configu­ rarsi come progetti sostanzialmente di natura privata. Un tratto arcaico, che rimanda a epoche nelle quali erano le grandi famiglie a essere dotate di

MERCENARI

forze militari, che potevano essere messe a disposizione di una comunità ancora fragile e incompiuta9 • Il primo caso è quello dello xenikon di Corinto (cfr. Repertorio, nr. 1 ) . Non sappiamo nulla delle delibere assembleari che ne accompagnarono l'istituzione: certo una qualche forma di controllo sul suo operato sarà esi­ stita. Ma il legame esplicito con Conone, il finanziamento ad hoc da parte dei Persiani e la nomina al suo comando di un giovanissimo come Ificrate testimoniano con ogni probabilità il grado notevole di indipendenza dalla politica ateniese di questo contingente tanto costoso quanto efficace. Che Conone e il suo entourage siano al centro di una concezione 'pri­ vata' della guerra, è dimostrato da un episodio ignorato da Senofonte nelle Elleniche, che ha come centro una fallita spedizione a Cipro (cfr. Reperto­ rio, nr. 2), isola che era stata al centro delle azioni di Conone dopo la fuga da Atene, grazie all'amicizia con il re Evagora (per Evagora e Conone, cfr. CAP. 12, pp. 303-9 ). La nostra fonte è l'orazione XIX di Lisia Sui beni di Ari­ stofane, che ci limitiamo in prima battuta a riassumere: ovviamente non siamo affatto certi che le cose siano andate così, vista la natura tutt'altro che imparziale della fonte. Siamo nella primavera del 390, quando giungono ad Atene ambasciato­ ri di Evagora in cerca di aiuto. Tal Aristofane, figlio di Nicofemo - uomo di Conone, che quest'ultimo aveva lasciato come comandante a Citera si profonde in un'appassionata opera di lobbying, riuscendo a far votare dall'assemblea l'invio di 10 triremi senza però alcun contributo finanziario per equipaggiarle (per un caso simile, cfr. Repertorio, nr. 25). Neppure gli ambasciatori di Evagora hanno a disposizione molto denaro. Aristofane quindi arma praticamente a sue spese la spedizione, mettendo del proprio o trovando i soldi per gli equipaggi, gli stipendi ai peltasti e addirittura per l'acquisto delle armi (§ 21 ) . In tutto (cfr. § 43) viene a spendere 30.000 dracme (pari a s talenti), una somma enorme per un privato ma appena adeguata alle necessità di una tale spedizione: l'equipaggio di 10 triremi aveva un costo di circa 1.000 dracme al giorno, quindi la somma stanziata era sufficiente appena per un mese. C'è poi da aggiungere il costo delle armi, una variabile che non compare quasi mai (l'armamento di un pelta­ sta poteva costare 5 -10 dracme), e da risolvere il problema di come la spedi9. Questa era la situazione anche nelrAtene arcaica. Cfr. FROST (19 84); ora PRITCHARD (2010b, pp. 7-1 5 ) . VAN WEES (2010 ), però, ha di recente messo in discussione questa pro­ spettiva.

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zione fosse composta: l'unica soluzione plausibile è che i peltasti fungesse­ ro da rematori durante la navigazione 10 • Tutto è comunque poco chiaro, né ci possiamo fidare delle cifre fornite nell'orazione. Ma si tratta comunque di un esempio di iniziativa militare privata con il contributo (modesto) e l'avallo ufficiale dello stato ateniese. Il figlio di Conone, T imoteo, sembra continuare questa tradizione, pur in un differente contesto. Egli non giungerà certo a decidere guerre per conto suo; ma investirà in spedizioni militari enormi somme, perse­ guendo politiche personali 1 1 • Su piccola (come Aristofane) o su vasta scala (come T imoteo), la guerra viene vista insomma come una possibilità di intraprendere iniziative che portino al semplice arricchimento, oppure a occupare posti di grande prestigio all'interno della comunità ateniese. Il tema - che potremmo titolare: la guerra come investimento da parte di privati - è di notevole interesse, quanto sfuggente, perché le fonti non sono solite soffermarsi su argomenti del genere, in qualche misura non in sintonia con l'ideologia ufficiale della polis. Vincent Rosivach ha per esem­ pio notato, analizzando le orazioni di Iseo, come in esse sia presente > 1 2 • La guerra è onnipresente, combattere è un'attività socialmen­ te rispettata, mentre lo stato è debole e incapace di gestirne ogni aspetto. Gli imbarcati sarebbero stati, in questo caso, auteretai, vale a dire soldati e rematori insieme ( GABRIELSEN, 1 9 94, p. 1 1 9 ) . La circostanza è attestata durante la guerra del Pelo­ ponneso ( cfr. p. es. Thuc. III 1 8. 3-4, addirittura opliti) ed è nobilitata dalla 'dimostrazione' tucididea che tali sarebbero stati gli uomini che si recarono a combattere a Troia (Thuc. I 10. 4). Cfr. Xen. Ell. I 2. 1 (ultima fase della guerra del Peloponneso) : qui sono 5.0 0 0 rematori a essere utilizzati come peltasti, e non viceversa, una differenza non da poco. Ma il caso doveva essere più comune di quanto non sembri dalle fonti, per motivi di spazio e risparmio: infatti, utilizzando i rematori solo per la loro specifica funzione, ogni trireme non avrebbe potuto trasportare più di una ventina di peltasti al massimo, con un aggravio enorme delle spese di trasporto. Esistevano navi attrezzate allo scopo di portare opliti e soldati in genere (hoplitagogoi o stratiotides), anche se non sappiamo bene come fossero strutturate: la loro principale caratteristica era quella di essere molto più lente delle triremi da guerra (cfr. Xen. Ell I 1.36); è plausibile che fossero in grado di trasportare almeno un centinaio di opliti ciascuna. 11. Cfr. oltre, pp. 94- 8 ; a proposito delle iniziative personali di Timoteo, basterà ricordare qui il discreto accenno di Isocr. xv Antid. 1 1 8, sulle spedizioni da lui intraprese aneu tes poleos, vale a dire senza l'aiuto dello stato. 1 2. RO SIVACH ( 2 0 0 5 , p. 1 9 5 n. 2) ; va segnalato, tra gli altri, anche il caso di tal Makartatos (Iseo XI 47- 8 ) che svolge attività 'piratesche' con la trireme di sua proprietà dalle parti di Creta. Un altro esempio, del tutto diverso (quanto dubbio) nasce dall'ipotesi che Cabria, 1 0.

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L'in g agg io di mercenari: il problema militare Per lungo tempo, gli studiosi dell�tene del IV secolo hanno indugiato su di un falso problema. Sollecitati da passi sparsi nel vasto corpus delle opere di Isocrate e Demostene, nelle quali gli Ateniesi sono dipinti come dimen­ tichi della loro storica funzione militare (il cittadino/soldato! ) e ormai inclini ad affidare le sorti della propria patria a mercenari, hanno speso tempo e fatica per dimostrare che il cittadino/soldato non è morto con la guerra del Peloponneso e non è morto nemmeno a Cheronea. La sua vicenda storica è lunga, molto più lunga di quanto non si pensasse: ancora in età ellenistica mostrava segni di vitalità1 3 • Possiamo ormai affermare che su questo punto siamo tutti d'accordo e forse il dibattito avrebbe potuto chiudersi prima. Del resto, per cancellare l'importanza del 'fare il servizio militare' dall'impalcatura ideologica degli Ateniesi ci sarebbe voluto non so quale cataclisma; e se, giustamente, il IV secolo deve essere letto, anche in questo campo, non in termini di rottura con il secolo precedente, ma nell'ottica della continuità, non c'è motivo per supporre cambiamenti così profondi e repentini 1 4 • Chiarito quest'equivoco, possiamo soffermarci su un altro dato di fat­ to: Atene, non diversamente dalle altre città greche, utilizzò molti merce­ nari nel periodo che stiamo prendendo in esame. Li utilizzò insieme ai cit­ tadini e a volte al posto dei cittadini. Li utilizzò in una misura tale che essi divennero parte del panorama militare ateniese: si parlava spesso di loro, più che altro per riuscire a capire dove trovare le risorse per pagarli. Per quanto ne sappiamo, i mercenari non suscitavano negli Ateniesi le oscure paure evocate da Isocrate e dallo stesso Demostene; peraltro, sembra non fosse diffusa la consapevolezza, ben radicata invece negli specialisti della guerra (Enea Tattico, Senofonte stesso), che essi fossero di gran lunga più efficienti, se ben diretti, dei cittadini/ soldati che faticosamente continua­ vano a incarnare un vetusto archetipo in un mondo - quello della guerra sempre più complesso e articolato. In effetti, l'assemblea ateniese sembra

nel 3 57, si trovasse a Chio (dove trova la morte) come privatus (Cornelio Nepote XII Ca­ bria 4-5), vale a dire con la propria trireme e non come stratego. 13. Sull'età ellenistica, cfr. MA (2000 ). La 'confutazione' cui accennavamo è per esempio al centro dell'attenzione di BURCKHARDT (1996). 14. Il IV secolo in un'ottica di continuità: cfr. p. es. OBER (19 89, pp. 37-8); sull'importanza della visione militarista nella democrazia ateniese cfr. ora HUNT (2010, pp. 5 1-71 ).

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dare per scontato che i contingenti cittadini siano migliori. E ne sembrano convinti anche gli Olinti quando, in occasione della terza spedizione (poi giunta a cose fatte, quando Olinto era stata rasa al suolo: cfr. Repertorio, nr. 25 ter) , chiedono che vengano inviate truppe cittadine e non mercenari: in questo caso, gli sfortunati cittadini della polis della Calcidica ne fanno un problema di disciplina, più che di capacità, ma si tratta comunque di un tema da affrontare nel suo complesso, in tutte le sfaccettature che presenta. Siamo giunti a un punto fondamentale. Per quale motivo gli Ateniesi fanno ampio uso di mercenari, se abbiamo ricordato come tutto sommato essi fossero ancora disponibili a combattere e se avevano enormi difficoltà a reperire i soldi per ingaggiarli? La risposta non può essere che la seguen­ te: le mutate esigenze della guerra del IV secolo rendevano inevitabile il ricorso ai mercenari poiché i cittadini non erano in grado di coprire una domanda così diversificata. Non c'è dubbio infatti che i mercenari costi­ tuissero una risorsa ineludibile per spedizioni lontane dalla patria e, in generale, per iniziative di guerra che si riproponevano di anno in anno senza mai essere conclusive, protraendosi per molti mesi all'anno, non ri­ spettando il calendario 'naturale' che imponeva di fare la guerra nei mesi estivi1 5 • La caratteristica specifica della guerra del IV secolo - durante la quale si contano non più di 5-6 battaglie campali terrestri ( di cui solo un paio veramente decisive; non includiamo la spedizione di Alessandro Ma­ gno) e altrettante o anche meno per mare (lungo un arco di 80 anni) - è lafra mmentazione. Tutto questo viene riassunto nella ben nota considera­ zione con la quale Senofonte (Ell. IV 4.14) spezza in due l'andamento della guerra di Corinto: Da allora furono evitate da entrambe le parti le spedizioni con grandi eserciti re­ golari [ ... ] . Disponendo però entrambi i contendenti di mercenari (misthophorous hekateroi echontes), la guerra continuò vigorosamente.

Possiamo prendere questa laconica comunicazione come certificato di nascita della guerra del IV secolo (la deplorevole cronologia senofontea rende impossibile precisare la data, che dovrebbe cadere tra il 393 e il 391). Da notare che 'le spedizioni con grandi eserciti regolari' non erano state per nulla decisive: da qui l'esigenza di continuare la guerra. La scelta di Il riferimento d'obbligo è al già citato schizzo sulla guerra nel IV secolo tratteggiato da Demosth. IX Terza Filippica 48. 15.

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proseguirla con i mercenari (e la frase di Senofonte vale un po' per tutto il periodo successivo) nasce dallo stato di conflittualità endemico e dall'im­ possibilità - lo abbiamo già detto - da parte dei cittadini di fare fronte a tale situazione. Nasce anche - introduciamo qui un tipico problema uovo/gallina - dal fatto che di mercenari ce n'erano molti a disposizio­ ne; con questo intendiamo sostenere che fu in buona misura l'offerta a stimolare la domanda e non viceversa. Il pessimo trattamento riservato in genere ai mercenari, mal pagati e soprattutto, tanto spesso, non pagati o pagati con grande ritardo, testimonia, per un'elementare legge economica, dell'abbondanza di offerta. Abbiamo lasciato per ultima una riflessione di tipo più tecnico che, con qualche ragione, ha fatto riempire molte pagine negli studi sulla guerra nel IV secolo. Secondo molti, esiste identità (ovviamente, nella guerra terrestre) tra mercenari e peltasti. Tutti i mercenari sono pelta­ sti e tutti i peltasti sono mercenari. La diffusione del mercenariato nel corso del IV secolo sarebbe frutto anche e soprattutto di una acquisita consapevolezza dell'importanza dei peltasti in un tipo di guerra che an­ dava facendosi molto più rapida, flessibile, imprevedibile rispetto alla tradizionale guerra oplitica. Ci riserviamo una trattazione più completa sul tema nel capitolo finale (cfr. CAP. 17, pp. 424- 7 ): qui ci limiteremo a sottolineare come l'affermazione precedente sia troppo drastica. Per quanto riguarda Atene, una buona parte dei mercenari ingaggiati era co­ stituita da peltasti e praticamente tutti i peltasti erano mercenari, per lo più provenienti dal nord della Grecia e dalle regioni settentrionali con­ finanti, come la Tracia. Il disprezzo che l'ideologia corrente riservava ai peltasti, in palese contraddizione con l'efficacia che essi mostravano sui campi di battaglia, impediva probabilmente agli Ateniesi di 'produrne' in proprio, come invece fu fatto per un'altra categoria dalla contrastata reputazione, come gli arcieri 1 6 • Eppure, 'fabbricare' peltasti era molto fa­ cile: bastava prendere una persona, armarla con uno scudo di vimini a mezzaluna e una lancia qualsiasi 1 7 • Ma questo è un altro problema anco­ ra; qui ci limitiamo a suggerire una riflessione: troppo spesso ci fidiamo di distinzioniformali tra opliti (sempre più leggeri), peltasti, fanti della 1 6. Cfr. ora soprattutto TRUNDLE (2010, pp. 152-7 ) . 17. Qualcosa di simile fa Trasillo con i suoi marinai in Xen. Ell I 2 . 1 ( cfr. n. 10 ), alluden­

do solo agli scudi (peltas ) ; cfr. anche Aen. Tact. XXIX 6, che narra di una 'vestizione' più elaborata.

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falange macedone e generici 'armati alla leggera' che, non solo leggendo i nostri testi mutili, ma persino nella pratica della guerra di quegli anni, dovevano essere assai difficili da individuare.

Il vero p roblema: il denaro Sgombriamo subito il campo da un equivoco: almeno a partire dalla guer­ ra del Peloponneso, gli Ateniesi versavano un misthos ai cittadini utilizzati in guerra, che servissero come rematori nella flotta o come soldati nell'eser­ cito 18. Tale indennità era equivalente a quella versata a eventuali mercena­ ri: i Greci non concepivano uno stipendio diverso in funzione dello status di chi svolgeva un lavoro, ma solo in funzione di differenti gradi gerarchici all'interno di un pari status. L'impiego di mercenari nel corso del IV secolo, sul quale tanto si pone l'accento, di per sé non costituì dunque un aggravio per le casse dello stato. L'equivoco è ben radicato ed è già presente nelle fonti contempora­ nee: in alcuni passi di Isocrate, per esempio, l'oratore parla come se l'even­ tuale impiego dei cittadini fosse a costo zero (fra i tanti, Isocr. VIII 4 6 4 7 ). È però corretto affermare che le spese per i mercenari non venivano percepite allo stesso modo di quelle per pagare i cittadini: per esempio, l'opposizione a trasferire fondi dal theorikon allo stratiotikon risiedeva in larga misura nel fatto che i cittadini non ritenevano giusto rinunciare a parte dei loro privilegi per pagare mercenari operanti in terre lontane. Non era un contrasto tra guerra e pace, era una lotta per conservare i privilegi dei cittadini 1 9 • Il costo della guerra è impressionante. Tra la fine della guerra del Pelo­ ponneso e Cheronea, le entrate ufficiali dello stato ateniese non superaro­ no mai i 400 talenti annui; ci fu anzi un periodo (negli anni cinquanta) 1 8. La retribuzione per i cittadini ateniesi che servivano come soldati - all'interno della articolata misthophoria delle cariche pubbliche - è un tema assai complesso: per una sin­ tesi tuttora valida, cfr. PRITCHETT (1971), che pone un punto fermo affermando (p. 12) che essa fu introdotta « before the beginning of the Peloponnesian War » . Cfr. anche la raccolta di dati di LOOMIS (1998, pp. 32-61; 267-70 ). 1 9. Come è noto, il theorikon era uno speciale fondo per sovvenzionare le spese per feste pubbliche e per l'ingresso dei cittadini a teatro. Lo stratiotikon, invece, era il fondo per le spese militari. La contrapposizione tra i due (cfr. Demosth. I Olynth. 19-20; XIX 291) è forse più ideologica che reale.

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in cui si attestarono intorno ai 130 talenti20 L'amministrazione statale era talmente povera che a più riprese, in quegli anni, dovette sospendere l'at­ tività dei tribunali perché non aveva i soldi per pagare i giurati (Demosth. XLV 4) ! La situazione si ripeté nel 348, in occasione delle spese eccezionali sostenute per la campagna militare in Eubea (Demosth. XXX IX 17): cir­ costanza che ci dimostra se non altro, se ce ne fosse bisogno, che l'attività militare era considerata prioritaria rispetto alle altre funzioni dell'ammini­ strazione ateniese. Le cose cambiarono solamente dopo Cheronea, quan­ do l'attenta amministrazione di Licurgo, non impegnata in spedizioni mi­ litari, portò le entrate annuali alla notevole somma di 1. 200 talenti21 A fronte di entrate modeste, le spese militari erano altissime: calcolar­ le con qualche precisione è un esercizio di estrema difficoltà. Tanto per fornire un ordine di grandezza, esse ammontarono a non meno di 2 50 talenti all'anno negli anni settanta e aumentarono considerevolmente nel decennio successivo, per diminuire in modo consistente nel quindicennio successivo a Cheronea 22 I costi delle spedizioni, in linea di massima, sono ben conosciuti, pur con oscillazioni considerevoli. Una spedizione di so triremi per quattro mesi comportava, di solo stipendio all'equipaggio, una spesa intorno ai 100 talenti; le spedizioni via terra prevedevano, a volte, uno stipendio più elevato ai soldati, ma non avevano al passivo gli elevatissimi costi di costruzione, manutenzione e stoccaggio delle navi. Le spese per mante­ nere il corpo di cavalleria, infine, erano particolarmente elevate: circa 40 talenti all'anno sembra se ne andassero per il solo foraggio ai cavalli ! Il risultato di questa straordinaria sproporzione tra entrate sicure e ne­ cessità militari portò a una gestione nevrotica, legata al principio fonda­ mentale del vivere alla giornata. Per quanto riguarda il reperimento delle risorse finanziarie, non si poteva che cercare di volta in volta la soluzione •





20. Demosth. x Quarta Filippica 37-8; il passaggio da 130 a 400 (oltre il 300% di aumen­ to!) è attribuito alla Tuche, per ricordarci, se ce ne fosse bisogno, la labilità dei fondamen­ tali economici greci. 21. Un' analisi approfondita dell' amministrazione ateniese in FLAMENT (2007, pp. 189239) per le finanze di guerra nel periodo 403-338. 22. Anni settanta: WILS ON (1970 ); B RUN (1983, pp. 154-62); FLAMENT (2007, P· 201). Tutti i calcoli sono opinabili e gli studi (in particolare quello di Wilson) peccano di otti­ mismo: potrà sembrare una banalità, ma riteniamo opportuno farla presente. Complessi­ vamente, nel ventennio dopo la fondazione della seconda Lega ateniese (377 ), si potrebbe pensare a una spesa di non meno di 500 talenti all' anno : cfr. PRI TCHARD (2010b, p. 54).

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più indolore. Le opzioni - in una dimensione economica priva del concet­ to di debito pubblico, per il quale dobbiamo aspettare ancora più o meno 2.000 anni - comprendevano il ricorso alle sempre più numerose eispho­ rai, contributi eccezionali destinati a essere richiesti con sempre maggiore regolarità alla fascia più abbiente della cittadinanza ateniese (il gruppo dei soggetti alla tassazione raggiungeva forse le 6.000 persone). L' eisphora era un prelievo non altissimo (circa 1' 1% del patrimonio, in un regime di so­ stanziale autocertificazione che lasciava ampi spazi di evasione, ridotti da un occhiuto controllo sociale), cui però si aggiungevano, specie per i più ricchi, l'onere della trierarchia (la cura, per un anno, di una trireme) e altre liturgie militari 23 • Stiamo descrivendo un patto sociale precario, contestato, ad alto tas­ so di litigiosità, ma pur sempre, in qualche misura, efficace e resistente, in virtù del quale un ristretto numero di cittadini (gli oneri erano con­ centrati sulle spalle non tanto dei 6.000 di cui dicevamo, ma all'interno di una fascia più ristretta di circa 1. 200 cittadini, tra i quali 300 'ricchis­ simi') cercava, lamentandosi, di sopperire alle esigenze della politica di una grande potenza ormai priva dei proventi dell'impero. A tutto ciò si aggiungevano le contribuzioni più o meno volontarie degli alleati della Lega (dopo il 37 7 ) o di altri alleati, insieme a 'trucchi' di vario genere che riempiono le pagine degli Economici pseudo-aristotelici e hanno di solito la caratteristica di essere empirici, mai strutturali, spesso inefficaci se non sul brevissimo momento (cfr. p. es. Repertorio, nrr. 16 e 17 ) . Rima­ neva infine il metodo più efficace di tutti, usato in particolare per i con­ tingenti mercenari: non pagarli affatto e lasciare che essi cercassero di procurarsi il necessario e, possibilmente, il superfluo, apo polemou, vale a dire saccheggiando, devastando, vessando i territori che si trovavano a frequentare. A seguire una logica tendente a privilegiare un concetto quale la pa­ rità di bilancio, dunque, non era tanto l'impiego di mercenari, quanto la guerra che Atene non si poteva permettere nel IV secolo. Ma era appunto la logica a essere diversa : gli Ateniesi cercavano di calcolare le spese da af­ frontare, ma non ragionavano in termini economici quando si trattava di L'argomento è complesso e ha generato una notevole bibliografia, che ricorderemo solamente per sommi capi: THOMSEN ( 1977 ) ; BRUN ( 1 9 83); MILLETT (1993). Il significa­ to sociale e antropologico delle liturgie ateniesi non ci compete in questa sede: è facile il consiglio di iniziare da VE YNE ( 19 7 6). 23.

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intraprendere spedizioni militari. Essi consideravano la guerra, in primo luogo, un fondamentale mezzo acquisitivo, uno strumento per arricchirsi, privatamente e comunitariamente2 4 •

Un caso particolare : le ciurme delle navi Non dobbiamo dimenticare che quella ateniese è una forza militare so­ prattutto navale, basata com'è sulla superiorità della flotta: una superiorità sia quantitativa (il numero delle triremi), sia qualitativa (l'esperienza e la competenza di quanti erano imbarcati a vario titolo sulle navi). Ciò è vero anche per il IV secolo, sebbene dopo la guerra del Peloponneso vengano a mancare i proventi dell'impero e il finanziamento di uno strumento bel­ lico così costoso divenga sempre più problematico. Non è questa la sede per analizzare i problemi relativi alla flotta ateniese del IV secolo; in queste pagine vorrei affrontare brevemente il tema degli equipaggi delle triremi, allo scopo di rendere il più possibile chiaro quanto sia opportuno parlare, a questo proposito, di impiego di mercenari25 • In primo luogo, è evidente che i cittadini da soli non erano in grado di fornire la manodopera necessaria: limitandoci ai soli rematori, una flotta di 100 triremi avrebbe resa necessaria la mobilitazione di circa 17.000 uo­ mini, ben più del 5 0 % dell'intera popolazione maschile di Atene nel IV secolo26 • Si può dire, al più, che l'opzione dei cittadini come ciurma (limi­ tati, sembra, più che altro ai thranitai, vale a dire alla sessantina circa di re­ matori che prendevano posto nella fila più in alto e si trovavano quindi in

24. Cfr. per esempio MILLETT ( 1 9 9 3, sp. pp. 1 8 1- 5 ). 25. Sulla flotta ateniese è fondamentale GABRIELSEN ( 1 9 94, pp. 10 5-25 sulle ciurme), cui aggiungere GABRIELSEN ( 1 9 9 9 ) per i rendiconti epigrafici e GABRIELSEN ( 2 0 0 8 ) sui co­ sti. Da tenere presente CAWKWELL ( 1 9 84) ; sulle ciurme in particolare JORDAN (20 0 0 ) ; sui trierarchi, cfr. anche HAMEL ( 1 9 9 8, pp. 28-3 1 ). 26. L'equipaggio-base di una trireme era formato da 170 rematori, 1 6 ufficiali di bordo e 1 4 soldati (di solito 10 epibatai, opliti imbarcati, e 4 arcieri), per un totale di 200 uomini.

Va tenuta presente la possibilità che le navi prendessero il mare con un numero di rematori inferiore: l'ipotesi, prospettata da WALLINGA ( 1 9 82), è secondo me del tutto verosimile, e la circostanza doveva verificarsi relativamente spesso: dello stesso avviso JORDAN ( 20 0 0, p. 84) ; per la guerra del Peloponneso, cfr. HANSON ( 20 0 8, p. 443 n. 12). I G 1 3 1 5 3 ( poco dopo la metà del v secolo) è interessante, stabilendo le quote minime di rematori che dovevano essere presenti su una trireme per effettuare adeguatamente le varie manovre.

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condizioni più accettabili, ancorché più pericolose in termini di rischio) veniva presa in considerazione: nel momento in cui veniamo a sapere che sta succedendo qualcosa, nominiamo i trierarchi, discutiamo le cause di scambio, ci mettiamo a riflettere su come mette­ re insieme i mezzi finanziari; dopo di che decidiamo di imbarcare anche i meteci e gli schiavi che abitano per proprio conto, poi cambiamo idea e preferiamo imbar­ carci noi, e poi di nuovo mettere altri nelle navi.

Questo passo della Prima Filippica di Demostene (Iv 3 6) rende bene quan­ to mancassero regole certe. Prendiamo un altro esempio: nei primi mesi del 361 (a settembre del nostro calendario) l'assemblea vota una mobilita­ zione. Apollodoro, trierarca in quell'anno, attende che arrivino i cittadini che avrebbero dovuto riempire le navi, poiché era stato emanato l'ordine > 27 • Ma, racconta Apollodoro (§ 7 ) , i marinai arruolati tra i cittadini io non li vidi arrivare, tranne pochi e quei pochi di nessun valore; fu così che li rimandai indietro, ipotecai le mie proprietà e presi in prestito del denaro, grazie al quale fui il primo a riempire la nave. Avevo ingag­ giato (misthosamenos) i migliori marinai sulla piazza, dando a ciascuno di loro soldi in più e grossi anticipi.

Il servizio sulle navi, come rematori, non incontrava un grande favore e deter­ minava una forte percentuale di disertori: a quanto pare, tale evasione dall'ob­ bligo di servire la patria non era equiparato alla fuga dal campo di battaglia, ma era anzi considerata di routine. Per sostituire i cittadini e trovare un po' di persone disposte a salire sulle navi, si ricorreva in poche parole a chi si pre­ sentava, senza andare tanto per il sottile: il testo dell'orazione allude chiara­ mente a una diversa qualita degli equipaggi che era possibile ottenere dando stipendi e bonus più alti. Spendendo di più, si ottenevano rematori 'profes­ sionali' provenienti da altre città ( o anche meteci residenti), che difficilmente potremmo evitare di definire mercenari. Volendo risparmiare, si procedeva invece al reclutamento di ciurme inesperte, facendo ricorso, in molti casi, a schiavi e persone di condizione libera legate in qualche modo al trierarca28 • [Demosth.] L Contro Policleto 6. 28. Cfr. p. es. IG 1 1 1 505, dove un cittadino fornisce 12 rematori per la flotta durante la guerra lamiaca ( cfr. Repertorio, nr. 32), quasi certamente suoi schiavi. 27.

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Per quanto concerne il nostro argomento, dunque, i mercenari erano presenti fra i tantissimi che, nel IV secolo, hanno servito nelle flotte delle varie città. L'esplicito riferimento è raro nelle fonti, per l'intrinseca difficol­ tà, che affiora anche nei combattimenti terrestri, nel definire esattamente chi possa essere chiamato con questo nome2 9 • La situazione dei rematori può essere paragonata a quella dei lavoratori manuali, di cui ci restano i conti, per esempio, per la costruzione di templi come l'Eretteo3 0 : in essi troviamo cittadini che lavorano a fianco di meteci e di schiavi, ricevendo la stessa paga. Remare era un lavoro assai faticoso, che richiedeva anche una certa specializzazione: è all'interno di quest'ultimo concetto, vago e impreciso, ma non privo di significato, che si nascondono i mercenari del­ le flotte. Probabilmente, esistevano gruppi di persone provenienti da varie poleis che, avendo accumulato una buona pratica, si offrivano quando se ne presentava l'occasione ( e il Pireo sarà stato senza dubbio il punto di raccolta più noto e frequentato). Il 'difetto' di queste persone sta nella loro scarsa visibilità nelle fonti. Un accenno lo troviamo, peraltro, in un passo delle Elleniche di Senofon­ te. Nelle discussioni della primavera del 3 69 sull'alleanza tra Sparta e Atene che segnò il riavvicinamento delle due città dopo Leuttra, il delicato punto relativo a chi dovesse assumere il comando delle forze militari sembrava si stesse risolvendo con l'attribuzione - rispettosa di una lunga tradizione - del comando delle forze terrestri agli Spartani e delle forze navali ad Atene, con reciproca soddisfazione. Intervenne però l'ateniese Cefisodoto a introdurre una diversa prospettiva, che, accolta, portò alla fine a decidere per un mac­ chinoso comando a rotazione ogni cinque giorni (Ell VI I 1.12- 13) : Non vi accorgete, Ateniesi, che vi stanno ingannando ? [ ... ] gli Spartani, una volta vostri alleati, sicuramente manderanno trierarchi spartani e forse anche gli epibatai, mentre i marinai è altrettanto chiaro che saranno iloti o mercenari (misthophoroi). È pertanto su gente del genere che voi eserciterete il comando. Quando però saranno gli Spartani a chiamarvi per una spedizione terrestre, evi­ dentemente voi manderete gli opliti e i cavalieri. Così gli Spartani comanderanno voi, mentre voi comanderete i loro schiavi e gente che non vale nulla. Ciò si riflette negli studi moderni: GAB RIELSEN ( 1 9 94), per esempio, non fa mai ri­ ferimento a mercenari nel parlare delle ciurme, anche se la loro presenza è implicita in molte occasioni. 30. Per i conti relativi alla costruzione dell'Eretteo (anni 40 9 -407 ) , cfr. l'edizione dei do­ cumenti epigrafici relativi in CAS KEY, S TEVENS ( 1 9 27, pp. 277-422). 29.

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Il passo denota un atteggiamento mentale fortemente conservatore, nel quale viene mantenuta la distinzione tra guerra per mare, guerra per gente da poco, e guerra terrestre, prerogativa delle persone dabbene 3 1 • Tale visio­ ne manichea sembra dimenticare che, se il servizio ai remi manteneva la connotazione di un lavoro da poveracci, evitato dai cittadini agiati ( e tale connotazione la ritroveremo immutata nei secoli a venire, poiché deriva da una condizione fisica oggettiva di estrema durezza in cui si svolge il mestiere; tutto sommato, è probabile che le ciurme ateniesi siano state nonostante tutto - tra le meno rozze di tutti i tempi), non è che gli eserciti di terra fossero - specie nel IV secolo - composti da inappuntabili opliti ben armati e ricchi cavalieri: la presenza di peltasti, armati alla leggera, pe­ rieci e iloti, mercenari, era ormai diffusissima, tanto da mettere in dubbio la definizione stessa di oplita. E si ricorderà infine, come abbiamo visto in precedenza, che poteva esistere una tangenza tra truppe di terra e rematori sulle navi, quando questi ultimi, sbarcati, servivano come soldati.

I condottieri ateniesi: storie di generali Tra le centinaia di Ateniesi che, nel corso del IV secolo, ricoprirono la cari­ ca di stratego, affrontando non solo i pericoli 'naturali' derivati dall'attività militare, ma anche e soprattutto i rischi di essere processati dagli attivissi­ mi tribunali popolari3 2 alcuni si distinsero anche per aver comandato, in numerose occasioni, contingenti mercenari, per conto di Atene ma anche al servizio di altri committenti in tutto il Mediterraneo. Per alcuni di loro è stato a più riprese impiegato il termine di condottieri, all'origine riserva,

Isocrate VIII Sulla pace 48, fortemente retorico, cerca di sostenere che « in passato imbarcavamo come ciurma delle triremi stranieri e schiavi, mentre facevamo partire in armi i cittadini; adesso sono gli stranieri che impieghiamo come opliti mentre i cittadini li costringiamo a manovrare i remi» . Ma non è il caso di accettare questa visione come realistica. Sulle ciurme delle navi spartane si dilunga BERTOSA (20 0 5). 3 2. La percentuale di strateghi chiamati in giudizio è impressionante: cfr. HAMEL (199 8), con le tabelle di pp. 1 3 8-9 e 148-57 (un elenco completo dei circa 30 processi di cui abbia­ mo notizia per il IV secolo). Ne risulta che essere processati era cinque volte più probabile che morire in guerra (un'eventualità, quest 'ultima, abbastanza remota). Si tratta di statisti­ che per definizione imprecise e parziali, ma il dato è indicativo; a mia conoscenza, qualco­ sa di simile lo ritroveremo solo nella sorte riservata a molti generali dell'esercito francese rivoluzionario, nei pochi anni precedenti all'avvento di Napoleone. 3 1.

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to ai capitani di ventura medievali che negoziavano con gli stati o con i principi le condotte, vale a dire le condizioni alle quali gruppi di mercenari venivano ingaggiati sotto il loro comando33 . Premetto subito che si tratta di un termine fuorviante e in linea di mas­ sima inaccettabile, in primo luogo perché nessuno dei personaggi coinvolti mise mai in discussione la sua origine di cittadino ateniese, né lo fecero altri, neppure tra i loro nemici, mentre nel termine condottiero è insita una conno­ tazione 'internazionale' che fa dei capitani di ventura sostanzialmente degli apolidi. Ciò non toglie che alcune caratteristiche di questi strateghi fanno sì che essi possano effettivamente essere confrontati con i comandanti merce­ nari dell'età medievale e moderna, evidenziando, nello stesso tempo, notevoli differenze rispetto ai generali loro contemporanei. Elenchiamo le principali: - la 'fidelizzazione' di almeno parte dei mercenari che si trovarono a co­ mandare ( un aspetto centrale, che si verificava anche a livelli più modesti: cfr., in Iseo I X , il legame di Astifìlo con i suoi commilitoni, che si preoccu­ pano di riportarne le ossa ad Atene); - l'agire su molti fronti di guerra, al servizio di vari committenti; - una certa immagine di lusso e 'disinvoltura' che tendeva a metterli in contrasto con i loro concittadini; - l'indubbia capacità di comprendere le esigenze dettate dalle trasforma­ zioni della guerra. Anche se il termine si è esteso a numerosi protagonisti del IV secolo, i condottieri più noti sono ateniesi: il canone più accreditato reca i nomi di Ificrate, Cabria, T imoteo e Carete, grandi protagonisti delrAtene del tempo e presenti in ben 24 dei 3 6 episodi che abbiamo citato in appendice ( cfr. Repertorio) . Eccone una breve presentazione34 •

33. L'idea di assegnare il nome di condottieri a generali del mondo greco risale a Francesco Guicciardini, in riferimento a un passo di Polibio (x1 1 3). Il termine è entrato nel lessico degli studiosi dopo il ben noto articolo di W K. Pritchett, 'Ihe Condottieri of the Fourth Century BC (PRI TC H ETT, 1 974a). Ormai usuale anche il riferirsi con questo nome ai gene­ rali giunti in soccorso di Taranto tra la fine dell'età classica e la prima età ellenistica. Cfr. BETTALLI (2004) ; su di essi, cfr. oltre, C AP. 14, pp. 3 5 8-60. 34. Come bibliografia introduttiva, cfr. soprattutto PRI TC H ETT (1974a) ; vale la pena di citare REH DANTZ (1845), che non parla però di Carete. Le fonti sopravvissute tendono a concentrare la loro attenzione su tali personaggi, al di là dei loro meriti. Basti pensare che gli Stratagemmi di Polieno riservano molto più spazio ai quattro grandi condottieri ateniesi che a tutti i protagonisti della guerra del Peloponneso messi insieme, o a Filippo e Alessandro. In questo catalogo fa la parte del leone Ificrate, il più citato dell'antichità.

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Ificrate35 Nasce nel demo di Ramnunte da un calzolaio3 6 • La data di nascita è incerta: com'è inevitabile, partiamo dalla data di elezione alla strategia, che secondo la legge ateniese non poteva avvenire prima del compimento dei 30 anni. La prima strategia sicura di Ificrate cade nel 387; tale circostanza rende plausibile una nascita intorno al 420-417, il che porrebbe la sua più celebre impresa (cfr. Repertorio, nr. 1) a 27 anni circa. Sappiamo anche (Plut. Mor. 187a) che da giovane servì come epibates (soldato imbarcato sulle triremi) in una battaglia navale: l'unica di cui siamo a conoscenza nei primi anni del IV secolo è quella di Cnido (394), quando Conone, al comando di una grande flotta persiana, sconfisse gli Spartani. Gli Ateniesi, in quello scon­ tro, non avevano alcun obbligo di fornire soldati o rematori (Hell Oxy. VII I accenna al contributo ateniese alle ciurme della flotta di Conone); l'eventuale partecipazione alla battaglia di Cnido sembra quindi da mettere in relazione a un legame di qualche genere con Conone. Il padre di Ificrate si chiamava T imoteo, come il figlio di Conone, ma questa è forse una sem­ plice coincidenza, visto che si tratta di un nome assai comune. Nondimeno un rapporto privilegiato con Conone spiegherebbe anche la sua nomina a comandante dello xenikon di Corinto (cfr. Repertorio, nr. 1). Un'altra pos­ sibilità da prendere in considerazione è quella di presunti legami con la Tracia, zona alla quale vengono solitamente collegati i peltasti. Era una procedura usuale nelrAtene democratica affidare compiti militari in rela­ zione alla zona d'origine del comandante; resta il fatto che non esistono collegamenti della famiglia di Ificrate con la Tracia, mentre un intervento 3 5. Su Ificrate: KIRCHNER (19 01-0 3, nr. 7737 ) ; DAVIES (1971, pp. 248-52); PRITCHETT ( 1974a, pp. 62-72) ; KALLET (19 83); BIANCO ( 1997 ). Per la sua carriera, cfr. più avanti, Repertorio, nrr. 1-4-10-11-13 e, per i servizi all'estero, CAP. 8 (Egitto), 12 (Persia) e soprattutto 15 (Tracia). 3 6. Per il mestiere del padre, cfr. Plut. Mor. 1 86f: il termine impiegato, skutotomos, non lascia dubbi sull'origine umile (la parola allude al taglio del cuoio proprio del calzolaio e viene utilizzato, p. es., da Aristofane Cavalieri 740 in un elenco di mestieri artigianali tipici di Atene). Ma lo 'scivolamento' delle fonti verso una connotazione il più possibile modesta è, in questi casi, la norma: nulla impedisce di pensare che Ificrate appartenesse a una famiglia non priva di disponibilità economiche, del genere di quella di Isocrate o di Cleone. Il padre, in questo caso, sarebbe quindi stato padrone di una piccola manifattura, più che un ciabattino. Il riferimento di Aristot. Reton·ca I 1365 a 27-28 alle sue umili origini potrebbe comunque essere valido in rapporto a personaggi come Timoteo o Cabria; cfr. altresì Schol ad Demosth. XXI 62. Cfr. BIANCO (19 97, p. 180 n. 7 ).

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di Conone nella nomina del comandante del contingente da lui finanziato appare naturale. E in qualche misura sorprendente che l'impresa più straordinaria di Ificrate rimarrà sempre la prima, la distruzione della mora spartana presso Corinto. La sua fama e la sua reputazione furono altissime presso i con­ temporanei e ancor più nei secoli a venire. Lo testimonia, per esempio, l'attribuzione al suo genio militare di una riforma dell'armamento (degli opliti, o dei peltasti, o di entrambi) che probabilmente non ha alcuna ra­ gione di essere (né l'attribuzione a Ificrate, né la stessa riforma 37 ) . È invece indiscutibile l'importanza della sua figura per la crescita di una sfera mi­ litare autonoma. Ificrate, nei suoi interventi pubblici, si distingueva per la sua smisurata > 3 8 • In questo senso, valorizzare le poche testimonianze sulla sua attività oratoria e sottolineare come la divi­ sione tra rhetores e militari non abbia inizio, in realtà, che dopo la metà del secolo, quando ormai Ificrate era morto, non ci sembra cogliere il nucleo fondamentale della caratterizzazione del nostro39 • Nel 356, anno drammatico per Atene, Ificrate - ormai ai limiti dell'età per il servizio militare (forse ha addirittura superato la sessantina) - viene nominato un'ennesima volta stratego in una sorta di 'nazionale' che com­ prendeva T imoteo, Carete, oltre a lui stesso e al figlio Menesteo. Mancava Cabria solo perché morto l'anno precedente. Questo grande spiegamento non evita una grave sconfitta (Embata, estate 356) con conseguenti strasci­ chi giudiziari, in cui tutti accusano tutti e, in particolare, Carete accusa i suoi colleghi: T imoteo verrà condannato, mentre Ificrate se la caverà, forse grazie a intimidazioni della giuria4 0 • Ificrate muore qualche anno dopo queste disavventure. Nulla sappia­ mo degli ultimi anni della sua vita e non è dimostrabile che le menzioni della Contro Aristocrate demostenica (anno 352) siano post mortem. Non 37. Sulle cosiddette riforme di Ificrate (descritte da Diod. xv 44.4 e Cornelio Nepote XI I.ficrate 1.3-4), cfr. BEST (19 69, pp. 102-10 ), FORNI S (200 8, pp. 245-62) e da ultimo un'am­ pia disamina in WEBBER (2011, pp. 1 19-31), il quale conclude che l'ipotesi più ragionevole va nella direzione di un non epocale ritocco dell'armamento peltastico, per renderlo più efficace. 3 8. stratiotike authadeia: cfr. Dionigi di Alicarnasso I Amm. 11. Esistono molti detti at­ tribuiti a Ificrate da cui risalta questa disposizione d'animo; cfr. FORNIS (200 8, p. 247 ). 39. Insiste sulle capacità oratorie di Ificrate, in contrasto con l'impostazione da noi privi­ legiata, BIANC O (1997, pp. 1 9 3-5; 20 4). 40. Polyaen. III 9, 15, 29. Per il processo cfr. HAMEL (19 9 8, p. 155, nn. 5 6- 58).

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era in disgrazia e si può ritenere che sia rimasto ad Atene, dove il figlio Menesteo cercherà di rinverdire i suoi successi4 1 • Formalmente, è corretto sostenere che Ificrate fu leale nei confronti della sua città. Non c'è dubbio che avesse grande potere e agisse in modo indipendente. Le forze centrifughe, peraltro, non ebbero la meglio: Ifi­ crate rimase ateniese, così come ateniesi furono i suoi figli Menesteo, ben inserito nella realtà della città, e il suo omonimo Ificrate, ambasciatore presso Dario nel 333, catturato e trattato onorevolmente da Alessandro (Arr. Anab. II 15.2) . Cabria42 Nasce nel demo di Axione all'incirca nel 420, in base al solito calcolo ba­ sato sulla prima strategia, collocata con qualche dubbio nel 390/389. È di ottima famiglia, se è vero che il padre Ctesippo era trierarca. La sua ascesa sociale si completa con il matrimonio con una figlia di Erissimaco, appartenente a un'eccellente famiglia ateniese. Più tardi, sono attestati le­ gami tra Cabria e l'Accademia platonica, che avrebbero spinto Platone in persona a difendere Cabria, quando questi fu processato e assolto per la perdita di Oropo nel 3 66. Il quadro si chiude con le notizie sulla sua vita sfarzosa ad Atene in anni privi di impegni militari. Fu allora (374/373) che Cabria vinse a Delfi ai giochi pitici nella corsa delle quadrighe43 . Un passo di Plutarco ( Vita di Focione, 6.2-4) ce ne descrive il carattere: . Ritratto di maniera, 'costruito' sulle vicen­ de che portarono alla sua morte: sarebbe imprudente ricavarne indizi per giungere al 'vero' Cabria. Nell'ultimo anno di vita di Cabria si addensano molti avvenimenti. Nel 358 egli è di nuovo stratego e viene inviato in Tracia con una sola nave, con la quale non riesce a combinare nulla (Demosth. XXI I I 171-172). Ri­ schia anche un processo, poi viene inviato in Eubea e, subito dopo, a Chio ( ottobre 357), dove nel primo vero scontro contro gli alleati ribelli trova la morte (Demosth. xx 75-86; l'orazione è di poco successiva alla morte di Cabria e contiene un lungo e partecipato elogio del defunto, pur con qualche margine di ambiguità) 44 • La sua tomba (Paus. I 29.3) era vicino a quelle di Trasibulo, Pericle e Formione. Come per Ificrate, le fonti antiche sono ricche di riconoscimenti nei confronti di Cabria. Certo, egli, come e più di Ificrate (più come immagi­ ne, legata a un certo aplomb di ricco frequentatore delrAccademia; in ter­ mini di anni, Ificrate è stato più di Cabria lontano da Atene) rappresenta il condottiero che ama apodemein, soggiornare all'estero, e questo suscitò polemiche (cfr. più avanti). Ma queste non toccarono mai l'uomo d'armi. A proposito di abilità militare, è da notare come Cabria, in parallelo con Ificrate (le somiglianze tra i due personaggi sono molte, anche se li divide l'origine familiare), abbia costruito la sua fama su peltasti e flotta senza aver di fatto mai comandato opliti. Cabria aveva un figlio, Ctesippo, stratego anch'egli, ma sembra assai meno dotato45 • T imoteo 4 6 Del demo di Anaflisto, suo padre è il grande Conone. Nasce tra il 415 e il 411 (la prima strategia cade nel 378/377, ma la sua carriera era già iniziata

44. I dubbi sullo scontro che provoca la morte di Cabria sono numerosi: cfr. Diod. XVI 7.3-4; Plut. Vita di Focione 6.2; Cornelio Nepote XII Cabria 4-5; BEARZOT (1990 ). Il nome di Cabria eraso dal trattato di alleanza con l'Eubea (1G 11 1 124, 1. 20 = RO, nr. 48) : cfr. Repertorio, nr. 2 1. 45. Cfr. Plut. Vita di Focione 7.3-4 e varie allusioni nei comici (cfr. DAVIES, 1971, p. 561). 46. Su Timoteo (KIRCHNER, 1901-03, nr. 1 3700; DAVIES, 1971, pp. 509-11) cfr. la recente biografia di BIANCO (20 07 ). MILLETT (19 9 3, pp. 191-4) ha delle belle pagine sulla sua figura nell'ambito della realtà ateniese di quegli anni.

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prima di questa data). È quindi un contemporaneo dei suoi celebri col­ leghi Ificrate e Cabria47 • A volte pochi anni di differenza possono essere decisivi: essendo di qualche anno più giovane, i suoi esordi si collocano dopo la pace del Re, in un momento storico diverso, e la sua carriera risulta più breve di quella dei suoi colleghi. La sua è la storia di un ricchissimo e ambizioso 'figlio di papà', che persegue politiche personali, interagendo in modo conflittuale e complesso con il demos da cui, almeno in parte, di­ pende. Le vicende che lo vedono protagonista sono un eccellente banco di prova per il rapporto tra individualità e imprese private da una parte e po­ polo ateniese con le sue istituzioni dall'altra. La sua vita, per quel poco che ne sappiamo, è quella tipica dell'aristocratico di ogni tempo: ha avuto tra le mani somme favolose, come quando invia 1. 200 talenti ad Atene dopo la conquista ( o il regalo da parte di Ariobarzane) di Sesto e Critote, ma ciò non gli ha impedito di indebitarsi con la banca di Pasione e di subire un processo per cifre relativamente modeste 4 8 • Anche se può avere fatto esperienza con il padre, addirittura a Cnido (ipotesi che comporterebbe lo spostamento in alto di qualche anno della sua data di nascita), T imoteo esordisce come stratego solo nel 378/377, conservando la carica forse addirittura per sei anni consecutivi. Alcune caratteristiche della sua carriera sono chiare (cfr. Repertorio, nrr. 8-16-17): erede di una tradizionale visione 'bipolare' della politica greca, T imoteo persegue una politica antispartana e si impegna nella costituzione della cosiddetta seconda Lega ateniese, raggiungendo l'apice della sua carriera, almeno in questa prima fase, con la vittoria contro una flotta spartana gui­ data dal navarco Nicoloco ad Alizia (Leucade), nel 375, grazie a cui ottiene i consueti onori, tra cui una statua nell' agora. Negli ultimi anni della sua vita, richiamato per il grande pericolo rap­ presentato dalla guerra sociale, combatte insieme a Carete e Ificrate a Em47. Cade nella sua giovinezza anche il ben noto quanto misterioso accenno di Aristofane Pluto 1 8 1 alla torre di Timoteo che il comico si augura di veder cadere (nonostante i legitti­ mi dubbi di BI ANCO, 2007, p. 1 3 , sposo la tesi di DAVIES, 197 1, p. 5 0 9, secondo la quale il verso si riferisce al ruolo della famiglia di Conone nella ricostruzione delle Lunghe Mura). Quanto meno il passo dimostra che il personaggio era già noto prima ancora di entrare nella vita pubblica. 4 8. L'eredità del padre risultò peraltro un po' deludente, ma pur sempre di 17 talenti, oltre a varie proprietà: cfr. Demosth. XLIX 1 1, 22, 26, 3 4. Altri accenni alla sua ricchezza: Lys. XIX 3 8-40. I 1.20 0 talenti inviati ad Atene: Cornelio Nepote XIII Timoteo 1.2. Per il processo, cfr. più avanti.

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bata. Segue il processo intentato da Carete ai due colleghi, nel quale Ificra­ te viene assolto, mentre T imoteo è condannato all'ingente multa di 100 talenti: si ritira a Calcide, malato, per morirvi poco dopo (intorno al 354), a circa 60 anni di età. Il figlio di T imoteo, Conone 1 1 1 , salderà un decimo della multa e rivestirà almeno sei trierarchie o co-trierarchie: le grandi fa­ miglie non muoiono mai... La tomba di T imoteo fu vista da Pausania (1 29.15) vicina a quella di Conone e di altri grandi di Atene. T imoteo è più noto per i suoi espedienti finanziari ( cfr. Repertorio, nrr. 1 6 e 17) che per capacità militari specifiche. Su queste ultime, circo­ lavano voci malevole, come il famoso quadro che lo ritraeva dormiente, mentre la Fortuna conquistava per lui le città (Plut. Vita di Silla 6.5; Plut. Apopht. 187b; Eliano Varia Historia X I I I 43). È connotato soprat­ tutto come ammiraglio, ma non in modo esclusivo. Il celebre ritratto che ne fa il suo maestro Isocrate4 9 non è che un topos consolidato : un 'intellettuale', senza le physique du role, una circostanza che spieghereb­ be in qualche misura la scarsa passione che gli Ateniesi ebbero nei suoi confronti. Danno da pensare soprattutto i quattro processi nei quali T i­ moteo rimase invischiato 5 0 • Quello che per noi è il secondo processo è illuminato dalla straordi­ naria testimonianza di Pseudo-Demosth. XLIX 5 1 , che - fatti salvi tutti i caveat necessari per affrontare un'orazione giudiziaria - ci mostra un per­ sonaggio che sotto una patina di aristocratico savoir foire nasconde un carattere assai discutibile, pronto a spergiurare, ingannare, rimangiarsi la parola, perché tale parola è rivolta a personaggi di rango inferiore, mentre T imoteo vive in un mondo tutto suo, perso in progetti di 'grande politica: 49. Non entro in questa sede nei problemi posti dalla lunghissima digressione che Isocra­ te (xv Antidosi 101-1 39) fa sul suo pupillo, esaltandone le qualità. Per un primo inquadra­ mento, cfr. BIANC O (2007, pp. 6 1-89 ). Sui meriti di Timoteo cfr. anche Dinarco Contro Demostene I 14-17. 50. I processi di Timoteo, secondo una plausibile ricostruzione, dovrebbero cadere alla fine del 373 (HAMEL, 1 9 9 8, p. 150 n. 42: sicuramente assolto) ; nel 3 67 (forse: cfr. la nota successiva; non ne conosciamo l'esito) ; nel 360 (HAMEL, 1 9 9 8, p. 154 n. 53: cfr. Demosth. XXXVI 5 3, ma non ne sappiamo praticamente nulla) ; infine nel già citato processo succes­ sivo al disastro di Embata, nel 356 (HAMEL, 1998, p. 155, nn. 56-58: condannato alla multa di 100 talenti). 51. La data del processo è molto discussa: HARRI S (19 88) propone in modo convincente il 3 67, quindi pochi anni dopo gli avvenimenti che costituiscono l'oggetto del discorso; BIANC O (2007, pp. 98-101) propende invece per il 359. La data indicata tradizionalmente, il 3 62, non gode ora di molti favori.

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ma incurante delle decisioni dell'assemblea e, ancor meno, delle richieste di un ex schiavo come Pasione. Molte cose sono a dir poco sorprendenti nell'orazione, forse scrit­ ta da Apollodoro, figlio di Pasione. Le cifre in ballo sono modeste: in quattro situazioni diverse, che si succedono nel corso di almeno due anni (373-372), la banca di Pasione presta a T imoteo poco più di 44 mine, una cifra certo elevata per un qualsiasi cittadino ateniese, ma che costitui­ va comunque meno di un ventesimo dell'eredità ricevuta dal padre una ventina di anni prima. Non è ben chiaro, poi, che cosa T imoteo potesse combinare con la modesta somma di 1.351 dracme e due oboli (colpisce la determinazione così puntuale e pignola della cifra, non arrotondata: ad Atene, la precisione delle cifre è inversamente proporzionale allo status di chi le espone) mentre stava per salpare nella spedizione navale del 3 73 ( cfr. Repertorio, nr. 9): la cifra non poteva, per esempio, servire in alcun modo a pagare dei soldati, né a saldare qualsivoglia debito con i trierarchi della spedizione stessa. Le coppe (nemmeno restituite!) e le suppellettili prese in prestito, insieme a 100 dracme (per comprare cibo raffinato, o procurare etere all'altezza ?), all'arrivo in casa di T imoteo di ospiti illu­ strissimi come il re dei Molossi Alceta e Giasone di Fere ( quest'ultimo, uno dei grandissimi personaggi mancati della storia greca, di cui non sap­ piamo nulla, ma, come in un flash, apprendiamo che, in una sera di no­ vembre del 373, si trovava a casa di T imoteo al Pireo a bere da una coppa d'argento... ), venuti apposta ad Atene per testimoniare in suo favore nel primo processo a carico del nostro, oltre a essere una bella testimonianza di vita quotidiana, pongono ulteriori dubbi sulla figura di T imoteo: era davvero così spiantato da non avere contanti, né stoviglie dignitose per ricevere persone di alto rango ? Più complesso ancora, e più attinente al nostro tema dei mercenari ( anche se molto meno al tema dell'orazione, i debiti di T imoteo con Pasione; in effetti, serve solo a tratteggiare il pes­ simo grado di affidabilità del personaggio), o comunque del costo delle spedizioni militari, è il passo che riportiamo (§ 1 1 -12 ) : il resto del suo patrimonio era ipotecato in favore dei 60 trierarchi che avevano navigato insieme a lui, per una cifra di 7 mine ciascuno [ tot. 4 2 0 mine = 7 ta­ lenti]: egli infatti, in qualità di stratego, aveva costretto ciascuno dei trierarchi a pagare ai marinai la trophe [ la parte dello stipendio che concerneva il cibo, non il vero e proprio stipendio] . Dopo essere stato destituito, aveva registrato que­ sta somma nei suoi rendiconti, come se fosse stato lui a pagarla, deducendola dai fondi militari: nel timore che i trierarchi potessero accusarlo di aver dichiarato il

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falso, aveva riconosciuto di essere debitore con ciascuno dei trierarchi di 7 mine, a titolo di prestito, e di aver offerto i suoi beni in garanzia: ora però rifiuta di pagare e ha rovesciato i cippi ipotecari.

Ipotizzando 2 oboli a persona, e 200 uomini l'equipaggio di una nave, sette mine sono sufficienti a pagare solamente dieci giorni o poco più di trophe. Costituiscono però, nel complesso delle 60 navi, una cifra molto elevata. La situazione non è comunque chiara: o Timoteo aveva in effetti i soldi a disposizione nella cassa che l'assemblea doveva pur avere stanziato per la spedizione, e in tal caso non aveva molto senso costringere i trierarchi a versare ciascuno 7 mine; oppure questi soldi non c'erano, e allora quello che viene goffamente descritto non è che l'ennesimo espediente per tirare avanti, in mancanza di finanziamenti ufficiali. T imoteo, in ogni caso, im­ pegna, a quanto pare, una fetta consistente del suo patrimonio ( e in ogni caso, una cifra altissima per un privato), per una spedizione che si trasfor­ ma così in privata, da pubblica qual era: è questa commistione pubblico/ privato che dobbiamo cercare di comprendere e non si tratta di un'impresa facile. Scegliere tra il Timoteo 'santificato' da Isocrate e il Timoteo cialtro­ ne di Apollodoro è al di là dei mezzi che le fonti ci mettono a disposizione: ma appare abbastanza chiaro che il figlio di Conone aveva intenzione di impegnare il suo ingente patrimonio e la sua comunque indiscussa repu­ tazione (dovuta, non foss'altro, al padre) per scopi molto ambiziosi. Non certo per un banale arricchimento (per questo, ci sarebbero state vie molto più facili), ma per una posizione preminente all'interno di Atene, attra­ verso una forte influenza sulla politica della città, in cerca di una consa­ crazione militare, quale fu quella ottenuta ( o, se non ottenuta, sfiorata) ad Alizia e, una decina d'anni dopo, a Samo (su quest'ultima spedizione, cfr. Repertorio, nr. 16). Carete5 2 Nasce nel demo di Angele intorno al 400 da tal Teocare. La data di nascita è del tutto ipotetica e costruita un po' a caso sulla base della prima strategia del 3 67. Si può solo dire che era di qualche anno più giovane dei suoi col52. Su Carete, cfr. KIRCHNER (1901-0 3, nr. 15292); DAVIES (1971, pp. 568-9 ); MOYSEY (1985); PARKER (1986); SALMONO (1996); BI ANCO (2002; 200 3). Per la sua carriera, cfr. Repertorio (nr. 15-19-21-23-24-26-26 ter-28-30-31) e C AP. 12, per il suo servizio in Oriente.

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leghi Ificrate, Cabria e T imoteo. Altrettanto dibattuta e altrettanto oscura la condizione familiare: homo novus o appartenente a una famiglia già ric­ ca? Noi propendiamo per la prima soluzione 53. Quello che è sicuro - ma si tratta di un'ovvietà - è che col tempo divenne assai ricco e sostenne la trierarchia, così come altre liturgie. Non gli si attribuiscono comunque manifestazioni clamorose di lusso, quali quelle per cui era noto Cabria. L'inizio meno folgorante e l'età più giovane causano una notevole sfa­ satura della carriera di Carete rispetto a quella degli altri condottieri. Infatti le loro strategie si sovrappongono per un periodo relativamente breve, tra il 367 e il 356, culminando nella battaglia di Embata del 356. Poi, mentre la carriera - e la vita - degli altri tre si interrompono (muoiono tutti tra il 356 e il 350 circa), Carete continua a lungo a essere al centro della vita militare ate­ niese. L'effetto principale di questa sfasatura risiede nel fatto che mentre Ifi­ crate, Cabria e T imoteo avranno conosciuto solo le prime imprese di Filip­ po, quando quest'ultimo non era ancora un personaggio di primo piano nel mondo greco, Carete farà della lotta contro il sovrano macedone il centro della sua carriera. Nel corso della sua lunga vita, Carete ricoprì forse 22 volte la strategia (14 certe, 8 probabili, ma quelle possibili sono di più ancora), segno di un continuo favore presso il demos ateniese. Carete è anche l'unico dei condottieri ateniesi ad aver partecipato a una delle grandi battaglie cam­ pali del IV secolo: fu infatti a Cheronea quando era ormai ai limiti, se non li aveva superati, dell'età massima di 59 anni per servire in simili occasioni. È necessaria una riflessione sulla clamorosa contraddizione fra una tra­ dizione storiografica pervicacemente contraria e l'incondizionato favore popolare che non gli venne mai meno54 • Se ci concentriamo sull'aspetto Cfr. OAVIES ( 1 9 7 1, p. 5 6 9 ) . Gli argomenti di S ALMONO ( 1 9 9 6, p. 46), accettati da BIAN­ C O (2002, pp. 3-4) in favore di un'origine aristocratica di Carete hanno un andamento circo­ lare e non sono supportati dalla documentazione in nostro possesso. L'unico dato di qualche peso potrebbe essere la sua trierarchia del 3 6 6 / 3 6 5 (per le successive è facile pensare a un arricchimento di Carete per il suo mestiere), peraltro dubbia e comunque non conclusiva. 5 4. La tradizione storiografica negativa parte da Isocrate (VIII 5 1 ss.; XII 100; xv 1 1 5 ss.; cfr. BIANCO 20 0 3 ) , che si preoccupa di non citare mai quello che identificava come il grande nemico di Timoteo; non si perita invece di esprimere il suo odio Eschine (11 7 3 ) , suo avversario politico. La pessima nomea si è poi estesa: cfr. per esempio Polyb. I X 23.6 (con un curioso affiancamento di Carete a Cleone), Diod xv 9 5. 3 ; XVI 3 4.3-4 ecc. Il virus ha poi attraversato i secoli per presentarsi nei giudizi degli studiosi moderni: cfr. p. es. C ARGILL (1981, passim) ; S ALMONO ( 1 9 9 6 ) , un lavoro appassionato e non privo di meriti, ma inaccettabile nei suoi pregiudizi per il nostro uomo. Favore popolare: il numero delle strategie (carica elettiva) parla da solo; cfr. anche Demosth. XIX 3 3 2. 5 3.

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militare, Carete non ha caratteristiche particolarmente visibili: ha coman­ dato flotte ed eserciti di terra, mercenari (molti), peltasti e infine opliti (pochi). È spregiudicato e in grado di cavarsela nei problemi economici e politici che si presentavano ai generali del tempo. Nell'unica battaglia campale, peraltro in tarda età, non si distingue. Insomma, appare un po' sfuggente: l'unico dato reale è la straordinaria consonanza con il popo­ lo ateniese. Si potrebbe partire da questo dato, proponendo per Carete una sovrapposizione con il ritratto tradizionale del comandante spavaldo, gran fisico, poco 'intellettuale', che viene eletto mostrando le sue ferite di guerra, un po' come il Nicomachide di Senofonte 55 • Ma si rischia di cadere, appunto, in luoghi comuni. NelrAtene forzatamente pacifica del dopo-Cheronea, Carete è ormai un relitto del passato. Non rinuncia però alla pratica del suo mestiere e passa al servizio dei Persiani (Arr. Anab. III 2.6). L'ultima attestazione del­ la sua attività è indiretta: Iperide, suo vecchio alleato nella politica atenie­ se, scrisse un'orazione In difesa di Carete, sul contingente mercenario al Te­ naro (cfr. Pseudo-Plut. 848e) in un momento imprecisabile dei primi anni venti. Nella Terza Epistola demostenica (§ 31), databile al 324, l'oratore lo pone tra i benefattori del popolo ormai deceduti. All together now: qualche riflessione A tali personaggi si potrà aggiungere eventualmente Caridemo, un caso comunque diverso, perché non di origine ateniese5 6 ; nessuno invece si azzarderebbe a proporre il nome di Focione, che pure rivestì per molti anni la strategia, forse più di ogni altro Ateniese57 • Eppure anche Focio­ ne conobbe, sia pure, a quanto sembra, in un solo episodio, l'esperienza di un comando mercenario all'estero (cfr. CAP. 12, pp. 311-2): la differenza 55. Xen. Memorabili III 4.1. Già la tradizione ha operato questa sovrapposizione: Carete appare in Plutarco Vita di Pelopida 2.6 esattamente come Nicomachide, mentre mostra le cicatrici sul corpo e lo scudo trapassato da una lancia, ricevendone in cambio un' algida risposta da parte di Timoteo. Al tempo di Plutarco, ma probabilmente molto prima, i condottieri erano già diventati delle maschere. 56. Su Caridemo, cfr. KIRC HNER (1901-0 3, nr. 15380 ); DAVIES (1971, pp. 570-2); PRITCHETT (1974a, pp. 85-9). La data dell' acquisizione della cittadinanza ateniese (Ca­ ridemo era originario di O reo, in Eubea) è discussa, ma andrà collocata intorno al 357. 57. Esiste una discussione sulle strategie di Focione, che la tradizione indicava in ben 45. Ha sicuramente ragione BEARZOT (1985) nel ridimensionarne decisamente il numero.

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fondamentale, ritengo, è quella della separazione tra politica e comando militare. Mentre Focione inseguiva l'ideale tradizionale dell'uomo che guida la propria città dalla tribuna dell'assemblea così come sul campo di battaglia5 8 , i quattro 'moschettieri' che abbiamo ricordato sono dei militari dei quali non è mai ricordata come significativa la presenza nell'assemblea ateniese. Questo non vuol dire che essi non si interessassero di politica e non cercassero di influenzare le decisioni dell'assemblea: attraverso la collaborazione con rhetores influenti o anche attraverso oratori prezzolati, come le nostre fonti lasciano intendere più volte59 • La separazione tra conduzione politica e conduzione militare degli af­ fari della polis è dunque il primo dato su cui riflettere; una separazione, va notato, che nella percezione dei contemporanei nasce più dalla specializ­ zazione in atto nel mondo della politica che non da quella presente nell'ar­ te della guerra; ma che nondimeno va nella direzione della professionaliz­ zazione delle attività, una parola proibita nel v secolo60 • Ificrate, Cabria, T imoteo e Carete hanno comandato più volte merce­ nari e tutti hanno comandato anche truppe cittadine. Allo stesso modo, tutti hanno avuto esperienze come ammiragli di flotte e come comandanti di fanteria. Tutti, infine, hanno servito come strateghi delle forze armate ateniesi e tutti hanno avuto esperienze come comandanti mercenari ali'e­ stero, in Egitto, in Persia o in Tracia. Pare insomma che la specializzazione in campo militare sia inesistente. La caratteristica specifica di questi uomi­ ni è la capacità di destreggiarsi con problemi logistici e organizzativi: in primo luogo, come pagare, o come non pagare e far comunque rimanere fedeli ed efficienti i soldati, anche quando i mezzi messi a disposizione dai committenti siano insufficienti. Una parziale eccezione sembra essere quella di Ificrate, unico a godere di una fama militare in grado di attraver­ sare indenne tutta l'antichità. I condottieri ateniesi sono dunque degli strateghi di particolare fama e successo che, da una parte, esercitarono il mestiere delle armi come funzio­ nari del popolo ateniese ( complessivamente, il numero di strategie eserci­ tate da Ificrate, Cabria, Timoteo e Carete è intorno ai 50, un dato molto elevato se si pensa che quattro uomini da soli coprono all'incirca il 10% 5 8. Cfr. specialmente Plutarco Vita di Focione 7.5-6, che riecheggia Isocr. VIII 54-55. 59. Cfr. p. es. Aeschn. II 72, con Teopompo FGrHist 115 F 21 3. 60. Il tema è di grande importanza e su di esso si è accumulata una vasta bibliografia; cfr. almeno H ANSEN ( 1983); TRI TLE (1992) ; H AMEL (19 9 5) ; BETTALLI (2006, pp. 21-2).

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dei posti disponibili nel cinquantennio che inizia con la pace del Re del 38 6), dall'altra poterono arricchirsi con frequenti servizi mercenari all'e­ stero. Che non siano entrati ufficialmente in conflitto con il demos e che non abbiano sostanzialmente mai tradito la propria patria è vero (l'unica vera accusa è nei confronti di Ificrate in Tracia: cfr. CAP. 1 5 , pp. 374-6 dove concluderemo per un'assoluzione, sia pure non con formula piena); accet­ tiamo quindi le conclusioni di William K. Pritchett, non senza rimarcare che l'assoluzione formale non cancella però quello che fu - o rischiò di essere - un contrasto culturale di notevole peso61 • A proposito di quest'ultimo, tutto nasce da un famoso passo di Teo­ pompo di Chio (FGrHist 115 F 105; gli stessi concetti in Cornelio Nepote XII Cabria 3.3-4): Ma Cabria non riuscì a vivere ad Atene, in parte a causa dei suoi costumi dissoluti e delle spese per mantenere il suo sfarzoso tenore di vita, in parte per colpa degli Ateniesi; essi infatti sono severi con chiunque ed è per questo motivo che i loro uo­ mini migliori scelsero di trascorrere le loro vite lontano dalla città: Ificrate in Tracia, Conone a Cipro, Timoteo a Lesbo, Carete al Sigeo e lo stesso Cabria in Egitto.

Il passo ha un intento moraleggiante, mette insieme casi diversi e non si cura affatto della precisione storica: non deve dunque essere preso troppo sul serio per le indicazioni che fornisce. In particolare, mentre il caso di Conone è a se stante (il suo più che decennale esilio dopo Egospotami, dovuto a cause di forza maggiore, non fu una scelta), abbiamo pochi ri­ scontri del buen retiro di T imoteo a Lesbo (forse tra il 371 e il 3 66: cfr. Iseo IX Sull'eredita di Astiftlo 14), ancor meno sappiamo di Carete al Sigeo, mentre il soggiorno di Cabria in Egitto non si configura come una sorta di esilio, bensì fu limitato all'espletamento delle sue funzioni di coman­ dante mercenario. Alla fine, l'unico caso che veramente sia in rapporto con le premesse è quello di Ificrate, che sembra aver trascorso in Tracia una quindicina di anni almeno e avervi contratto nuove nozze. Ma se i suoi comportamenti ( cfr. la famosa scena del banchetto, CAP. 15, p. 373; le guardie del corpo e le minacce ai giurati in occasione di un processo) sono 61. PRI TC HETT (1974a, sp. pp. 99-101). GARLAN (19 89, pp. 151-2) sembra invece distin­ guere una prima generazione, comprendente Conone, Ificrate, Timoteo e Cabria, da una seconda, con Carete, Caridemo e il meno rilevante Atenodoro (cfr. CAP. 15, p. 373), indi­ viduando un movimento di progressivo distacco dalla politica, molto più accentuato nel secondo gruppo. Non ci sembra di poter avallare una simile distinzione.

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arroganti e dissonanti rispetto al modello ideale del buon cittadino, così come le vittorie nella corsa delle quadrighe e le altezzosità aristocratiche di Cabria e di T imoteo delineano una tensione molto forte con i cittadini comuni - una tensione che è poi quella di tanta aristocrazia -, possiamo affermare che tale contrasto non giunse mai al punto di rottura. I figli di Ificrate (Menesteo e Ificrate), Cabria (Ctesippo) e T imoteo (Conone) sono strateghi, trierarchi, ambasciatori: sono insomma inseriti pienamen­ te nella vita della città. Per concludere: gli spazi concessi dal servizio per la città consentirono ad alcuni strateghi particolarmente dotati in termini di carattere, carisma e intelligenza di fare una brillante carriera anche in paesi stranieri, senza peraltro entrare in contrasto con Atene e con la sua politica estera. La loro trasformazione in elementi estranei alla città non avvenne mai; nei pochi casi in cui si verificano frizioni a livello diplomatico ufficiale ( cfr. servizio di Cabria e Ificrate in Egitto, CAP. 8, pp. 225-6), i condottieri obbediro­ no sempre ali'ultimatum della città, senza consumare alcuno strappo. Le accuse che gli oratori rivolgono, a seconda delle 'cordate' che disegnano alleanze più o meno precarie, di disinteressarsi delle sorti della patria per­ seguendo il proprio tornaconto personale non vanno, in ultima analisi, prese troppo sul serio, anche se sicuramente, in alcuni casi, i nostri avranno , tirato un po la corda; ma dobbiamo ricordare ancora una volta come gran parte dei problemi fosse creata non tanto dall'egoismo dei comandanti, quanto dalle precarie condizioni finanziarie nelle quali le missioni militari venivano condotte.

Cittadini vs mercenari e cittadini mercenari La radicale contrapposizione militare, ideologica, economica tra cittadini da una parte e mercenari dall'altra ha poca ragione di esistere nella realtà ateniese. Se riflettiamo, per esempio, sulla composizione delle ciurme delle navi (ma il discorso, entro certi limiti, può essere valido anche per i con­ tingenti di terra: nel IV secolo, il segno di distinzione collegato al servizio oplitica è ormai obsoleto), la differenza tra mercenari e un ampio settore della cittadinanza che affolla le banchine del Pireo in cerca di ingaggi vie­ ne a cadere e rimane solamente su di un piano formale. C'erano inoltre cittadini legati a Ificrate o ad altri grandi comandanti che, quando se ne

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presentava l'occasione, non esitavano a offrirsi volontari per combattere al loro seguito. Che combattessero per Atene o per l'Egitto non faceva poi molta differenza: anzi, il faraone pagava sicuramente con maggiore regolarità. Senza contare che non è impossibile immaginare Ateniesi che si arruolino come mercenari in contingenti ingaggiati dallo stesso stato ateniese, venendosi così a trovare in una situazione, per così dire, ibrida, che testimonia ancora una volta come utilizzare categorie poco flessibili sia deleterio per la comprensione dell'attività militare delle poleis greche 61• Abbiamo tracce di Ateniesi che nel corso del IV secolo svolsero, per periodi più o meno lunghi, il mestiere di mercenario63 . L'elenco potrebbe cominciare dagli otto Ateniesi di cui conosciamo il nome nell'Anabasi, oltre allo stesso Senofonte 6 4 • Ma sono alcuni casi ricavabili dal corpus degli oratori che appaiono più significativi. Nel corso della prima metà del IV secolo, un Ateniese benestante, che vantava probabilmente legami di parentela con Cleone, in un primo tempo aveva prestato ser vizio a Corinto, poi in Tessaglia, poi ancora per tutta la guerra tebana, e insomma ovunque venisse a sapere che si stava rac­ cogliendo un esercito, si metteva in viaggio in ogni direzione per ser vire come locago; e in nessuna di queste occasioni aveva lasciato un testamento.

Questo è ciò che Iseo6 5 ci dice di tal Astifilo, affrontando una delicata que­ stione testamentaria sorta poco dopo la morte di quest'ultimo, avvenuta a Mitilene intorno al 3 66, mentre serviva ancora una volta sotto Timoteo. Astifilo era, a tutti gli effetti, un mercenario di professione: in tutta l'orazio­ ne non troviamo un solo riferimento al concetto di patriottismo, nonostan­ te il defunto protagonista abbia passato tutta la propria vita adulta a com­ battere. Se accettiamo l'ipotesi che anche il fratellastro di Astifilo, Teofrasto, fosse un mercenario, ci troveremmo addirittura di fronte a un'intera fami­ glia ateniese che, pur benestante, si caratterizza per il servizio mercenario

62.

p.

Accenna all'ipotesi, definendola non « intrinsically improbable»,

R0 SIVAC H ( 20 0 5 ,

196).

Da qui, seguo in buona misura il testo di BETTALLI ( 20 0 6 ) . 6 4. Cfr. H0FSTE TTER ( 1 97 8, nn. 1 3 , 47, 1 22, 175, 1 9 9, 2 6 4, 27 1, 3 0 9 ) . Quest'ultimo, di nome Teopompo (Anab. II 1 . 1 2) , è probabilmente da identificarsi con lo stesso Senofonte (n. 3 3 5 ) . Suil'Anabasi, cfr. CAP. 1 1. 6 5. Iseo IX La successione di Astifilo 1 4; sui mercenari in Iseo cfr. in breve MARIN0VI C ( 1 9 8 8, pp. 1 50-2). Sul caso di Astifilo, fondamentale R0S IVAC H (20 0 5 ) . 63.

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dei suoi elementi maschili66 • Certo, non possiamo non notare come una tale scelta, anche se molto più accettabile di quanto a volte non si sia creduto, comportasse comunque dei costi in termini di distanza che si veniva a creare con il tessuto sociale della città. Astifilo non si sposa, non fa figli, alla morte è onorato dai suoi commilitoni e non dai compagni di fratria e di demo, non ha modo di seguire personalmente le proprietà che possedeva in Attica. E, insomma, un déra ciné: ma non tanto da essere rifiutato dalla propria polis e da consumare la rottura. Alla fine, infatti, le sue ossa torneranno nella sua città, > (ROSIVACH, 20 0 5, pp. 203-4) . Sempre nel corpus isaico, non molto diversa appare la posizione di un certo Nicostrato, la cui eredità di due talenti contesa dopo la sua morte intorno al 374 sembra essere il frutto, almeno in parte, della sua attività di mercenario nel decennio precedente. Nicostrato si sarà arricchito non tan­ to mettendo da parte il denaro dello stipendio ( qualsiasi calcolo si voglia proporre, è impossibile arrivare a 2 talenti), quanto con i proventi del bot­ tino di guerra durante ben undici anni di militanza: se non si ammette che qualcuno almeno riuscisse ad avere fortuna, non si spiegherebbe, alla fine, perché tanti si arruolassero per una paga-base misera, ai limiti della soprav­ vivenza67 . Una correzione del testo tràdito propone l'inserzione della città di Akko (Ake) come luogo di provenienza del denaro: Nicostrato sarebbe dunque stato in questa località insieme a Ificrate ( cfr. CAP. 8, pp. 226 -7 ) 68 • Vanno citati anche i due fratelli che, nell'orazione La successione di Me­ necle, raccontano: dopo aver così maritato le nostre sorelle, o giudici, poiché eravamo nell'età giusta, ci siamo dedicati all'attività militare e siamo partiti per la Tracia con Ificrate. Là 66. L'ipotesi è di ROSIVACH (20 05, p. 202 n. 36) e mi pare verosimile, anche se non di­ mostrabile con certezza. 67. Sull'eredità di Nicostrato (Iseo IV La successione di Nicostrato 7 ), fondamentale FER­ RUCCI (199 8, pp. 83-8). Ritengo improbabile che la consistente eredità del nostro sia stata spedita ad Atene dopo la sua morte: sarà stato lo stesso Nicostrato a farsene carico prima del decesso. L'ipotesi incentrata sul bottino di guerra non esclude di per sé la possibilità di immaginare attività collaterali, quali speculazioni commerciali intraprese durante i lunghi . .. . serv1z1 1n terra straniera. 6 8. Il testo reca exakis, sei volte, che non dà un senso compiuto, a meno che il passo non voglia alludere al fatto che la somma di due talenti fu oggetto per ben sei volte di cause giudiziarie; per raggiungere questo risultato sono però necessari ulteriori interventi sul testo. Ex Akes è accettato nelle principali edizioni di Iseo e da FERRUCCI (1998, pp. 83-4). Recentemente, però, è stato rifiutato da EDWARDS (20 07, p. 6 8).

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ci siamo distinti e abbiamo messo da parte qualcosa. Siamo allora ritornati qui e abbiamo trovato la sorella più grande con due figli (Iseo I I La successione di Me­ necle 6).

Nel passo, l'ambiguità tra il servizio militare del cittadino ateniese e il me­ stiere di mercenario non è chiarita a sufficienza. Ma sembra evidente ( data anche la lunghezza del servizio in Tracia, da collocare probabilmente negli anni intorno al 383: la sorella, a quanto pare, nel frattempo dà alla luce ben due figli) che i due abbiano seguito Ificrate per fare fortuna, in un'ottica palesemente mercenaria. L'accenno alla dovrebbe far riferi­ mento al periodo che intercorreva tra l'ingresso nella maggiore età e il de­ finitivo inserimento nella comunità con il matrimonio e la generazione di figli, una decina d'anni dopo: un'età ideale per fare esperienze come il ser­ vizio mercenario, magari per migliorare la propria posizione economica6 9 • E la loro avventura è coronata da buoni risultati: segno, ancora una volta, che i mercenari riuscivano, almeno in qualche caso, ad avere successo70 . Questo che vedete qui è Atrometo, mio padre, che poco manca sia il più anziano di tutti i cittadini: ha infatti 94 anni. Da giovane, prima che perdesse il suo patri­ monio a causa della guerra, era un atleta ; esiliato dai Trenta, servì come soldato in Asia (strateuesthai men en te Asia) , primeggiando nei pericoli.

Così Eschine ( 1 1 147) presenta nel 343 il vecchissimo padre, nel pieno di un duello senza esclusione di colpi con Demostene. L'oratore non nascon­ de i trascorsi mercenari del genitore. Nemmeno lo stesso Demostene, pur instillando sospetti inverosimili e volgari sulla madre e su altri parenti dell'avversario, si sofferma su questo aspetto della vita del padre di Eschi­ ne7 1. Il punto, qui, non è tanto quello messo in evidenza dallo scoliasta7 2, vale a dire il motivo del servizio mercenario di Atrometo: le due alternati­ ve - povertà o motivi politici - finiscono per coincidere, poiché lo stesso Eschine ricorda come il padre fosse stato rovinato dalla guerra. È impor­ tante sottolineare, invece, che il servizio mercenario è visto come attività 6 9. Che il periodo tra i venti e i trent'anni fosse ideale per dedicarsi al mestiere di merce­ nario è già stato messo in luce da VAN WEES ( 2004, pp. 40-2). 70. PRI TCHETT (1974a, p. 103 n. 241 ) tende a sminuire la fortuna dei due fratelli ( « they make a litde money » ), ma si tratta di un'illazione opinabile. 71. Sulle calunnie demosteniche nei confronti di Eschine, cfr. HARRI S (1995, pp. 21-9 ). 72. Cfr. Schol Aeschn. , ed. Dilts, ad loc.; P, p. 227 n. 1.

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per nulla infamante. Nella famiglia di Eschine abbiamo anche il caso di Filocare (11 149), il fratello più anziano della famiglia: personaggio non di secondo piano (tre volte stratego), viene presentato come > . È questa l'ultima frase dell'Anabasi senofontea (VII 8.24), l'anno è il 399. Inizia la saga dei cosiddetti Cirei, 'gli uomini di Ciro' (l'espressione è senofontea: Ell III 2.7), i reduci dell'avventura in terra d�sia che, prima ancora di essere resa immortale dall'Anabasi, era già divenuta celebre nel mondo greco4 • La decisione spartana di ingaggiare i superstiti della spedizione non era stata presa senza riflettere: nei mesi precedenti i rapporti tra autorità spar­ tane e reduci, anzi, erano stati spesso assai tormentati, tanto che Senofon­ te, nelle trattative con Seuthes ( cfr. CAP. 15) , adombra persino la possibilità di rifugiarsi nelle terre del sovrano tracio se inseguiti dagli Spartani (Anab. VII 2.37; cfr. anche più avanti, VII 6.43, sulle minacce spartane rivolte di­ rettamente a Senofonte).

4. Sull' avventura spartana in Asia, cfr. P, pp. 43-8; WESTL AKE (1986); ORSI (2004); FOR­ NIS (2008, pp. 34-43). Per la spedizione dei Diecimila, cfr. CAP. 11.

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Nel giro di pochi mesi, le cose cambiano. Sparta organizza l'esercito da inviare in Asia Minore, al comando di Tibrone, composto da 1.000 Sparta­ ni neodamodi e 4.000 alleati peloponnesiaci5 • Aggiungere a questo contin­ gente - un po' raccogliticcio, come tutti gli eserciti spartani, dove gli unici assenti, regolarmente, sono gli spartiati - i reduci della spedizione di Ciro sembra a questo punto naturale: da qui l'offerta spartana, trasmessa in Tra­ cia da un'ambasceria composta dal lacone Carmina e da un certo Polinico, entrambi sconosciuti, citati dallo stesso Senofonte (Anab. VII 6. 1 ) . L'offerta prevedeva uno stipendio identico a quello proposto a suo tempo da Ciro - un darico (= circa 20 dracme: cfr. CAP. 1 1, n. 28 ) al mese, il doppio per i locaghi, il quadruplo per gli strateghi - e viene prontamente accettata. Si trattava all'incirca di 5 .000 uomini6 , un numero molto rilevante se paragonato a qualsiasi altro dato relativo a mercenari che troveremo negli anni seguenti e molto superiore anche a qualsiasi contingente in­ gaggiato in precedenza, nel corso della guerra del Peloponneso. Il vero problema, come sempre, era : come pagare tutti questi uomini? Per man­ tenere 5 .000 uomini per ogni mese dei cinque anni che separano l'ingag­ gio di T ibrone dall'agosto del 394 (Coronea), senza contare le inevitabili perdite, ma anche senza computare le cifre maggiori da versare agli uf­ ficiali, gli Spartani avrebbero dovuto spendere intorno ai 1.000 talenti, una somma enorme, al di là di qualsiasi scala consueta nella polis laco­ nica. Nessuna fonte, neppure Senofonte, che di queste vicende fu uno dei protagonisti, si sofferma sul tema dei pagamenti. Non sappiamo se i comandanti spartani riuscirono a versare le somme pattuite; se lo fecero almeno in parte e in modo discontinuo, fu grazie al bottino realizzato 5. A questi si aggiungono 3 0 0 cavalieri ateniesi indesiderati in patria: «Inoltre Tibrone chiese agli Ateniesi 300 cavalieri, dichiarando che avrebbe provveduto al loro stipendio.

Essi li inviarono, prendendoli tra coloro che erano stati cavalieri sotto i Trenta, convinti che sarebbe stato un vantaggio per la democrazia se uomini del genere se ne fossero andati a morire lontano dalla città » (Xen. Ell. III 1.4). Un contingente di cui avrebbe potuto far parte lo stesso Senofonte, componente della cavalleria dei Trenta, che invece si trovò, per uno scherzo del destino, a servire nel contingente mercenario. Un'ulteriore aggiunta è costituita, poco dopo, da un contingente fornito dalle città greche d'Asia Minore: cfr. ivi, 5, con Senofonte che chiosa, con evidente nostalgia: « allora, infatti, tutte le poleis obbe­ divano, quando era uno spartano a dare ordini». 6 . La cifra è, secondo Diod. XIV 37. 1, di « quasi» 5 . 0 0 0 uomini ed è in realtà riferita ai soldati insieme a Senofonte nell'esperienza precedente al servizio di Seuthes. Senofonte la aumenta (Anab. VII 7.23) a 6.00 0 (così anche Isocrate Paneg. 1 46 ) . La cifra al ribasso sembra più verosimile.

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sul campo e non attingendo a una cassa ufficiale messa a disposizione dallo stato: cassa che, a quanto ci consta, al momento di ingaggiare i mercenari era sostanzialmente vuota. Peraltro abbiamo pochissime informazioni sui Cirei dopo il loro in­ gaggio, e non solo per quanto attiene al versamento degli stipendi. Quasi sicuramente essi combatterono al comando dello stesso Senofonte 7 • Non mancano indizi di una certa indisciplina, che si concretizza nel saccheggio di territori alleati. Senofonte avalla la versione ufficiale spartana, che finì per addossare le colpe a Tibrone (richiamato in patria e multato: Ell III 1.80) e alla sua scarsa cura nell'indirizzare nella giusta direzione le violenze dei soldati, inevitabili in mancanza di pagamenti regolari. A sostituirlo viene chiamato Dercillida (399-397 circa), che ha molto più successo nel delicato compito di guidare i mercenari, tanto che, sor­ prendentemente, troviamo citato il nome 'Dercillidei'8 • I saccheggi diven­ gono più organizzati e fortunati: si veda, per esempio, l'episodio di Scepsi e Gergita, nella Troade, quando Dercillida riesce a mettere le mani sui tesori di Mania, vedova di tal Zenis di Dardano, fedele a Farnabazo e poi uccisa dal genero Midia. Con quei tesori, sono parole dello stesso Dercillida, si potevano pagare 8.000 soldati per un anno! 9 A Dercillida ( che rimane peraltro in Asia: El!. III 4.6) succede Agesi­ lao, dipinto da Plutarco ( Vita di Agesilao 9.2) come dei suc­ cessi dei Diecimila contro i Persiani e quindi ansioso di mostrare la forza degli Spartani. La spedizione di Agesilao, iniziata con quello che potrem­ mo chiamare un eccezionale battage pubblicitario10 nonostante alcuni ,

Cfr. Xen. Ell III 2.7, dove peraltro leggiamo ho ton Kureion proestekos, « colui che era a capo dei Cirei» : Senofonte evita di citarsi. Non è chiaro se egli ricoprì questo ruolo fino alla designazione di Erippida nel 3 9 5 (cfr. più avanti). Tra III 2.7 (arrivo di Dercillida) e III 4.20 ( designazione di Erippida), non c'è comunque alcun cenno su chi comandasse il contingente. Cfr. anche Diog. Laert. II 5 1. 8. Cfr. Elleniche di Ossirinco XVI 2; B RUCE ( 1 9 67, p. 1 3 4) e ANDERS ON ( 19 7 0, pp. 30 3-4) , sulla scorta di Isocr. Paneg. IV 1 44, negano l' identificazione dei 'Cirei' con i 'Dercillidei' (certa invece per FORNI S , 20 0 3, p. 3 8 n. 3 2 ) . Ma da sottolineare è il nick affibbiato a con­ tingenti legati a un comandante con cui stabiliscono un rapporto stretto: cfr. CARTLEDGE ( 1 9 87, p. 3 2 2 ) . 9. Ell III 1. 28. La cifra (e si trattava solo dei beni 'visibili', senza contare le terre) corri­ sponderebbe a circa 3 40 talenti: DE STE CROIX ( 1 9 8 1, p. 1 1 8 ) fa notare che nessun greco - probabilmente - possedette mai una cifra simile prima del periodo romano! 10. Agesilao nuovo Agamennone: cfr. p. es. Isocr. IV Paneg. 1 4 5 ; Plut. Vita diAgesilao, 1 5 . 1 ; Cornelio Nepote XVII Agesilao 4. 1 - 2 ; Xen. Ell III 4.3 ; Diod. XIV 79. 1. 7.

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successi, non incise sulla saldezza del controllo persiano in Asia Minore: , esercita la sua autorità per far interrompere il conflitto, in modo da poter disporre di questo contingente 2 4 • Significativa è la circostanza per cui Agesilao si accorda direttamente con il comandante del contingente, versandogli un mese di paga anticipata: chiaro indizio dell'indipendenza già rag­ giunta dagli eserciti mercenari, che rispondevano sostanzialmente ai loro capi. La notizia è comunque sorprendente. Non tanto il fatto che due poleis delrArcadia, neppure delle più grandi, si scontrino tra di loro: non conosciamo i motivi dei contrasti tra Kleitor e Orcomeno, ma le questioni di confine, per esempio, erano endemiche nei rapporti tra le comunità greche e avevano spesso come esito dei conflitti. La leadership di Sparta, d'altro canto, è confermata dalla possibilità che il re spartano ha di interrompere il conflitto in ogni momento 'per superiori esigen­ ze' e di congelarlo fino a nuovo ordine. Chiaro anche il motivo per cui Agesilao ha bisogno di peltasti ( però che si tratti di peltasti lo verremo a sapere più tardi, al § 39): il contingente era funzionale all'occupazio23. MILLENDER (2006) è un punto di riferimento fondamentale per quanto segue. 24. Xen. Ell. v 4.3 6-37; cfr. BEST (1969, pp. 9 8-9 ) ; ROY (1972a); cfr. anche SMITH (1954), per un inquadramento dell'episodio nel contesto della politica estera di Agesilao e di Spar­ ta in quegli anni.

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ne del monte Citerone, luogo obbligato per il passaggio nella pianura beotica, e un tale compito è ideale per truppe armate alla leggera come i peltasti, non certo per degli opliti. Ciò che non è facile da spiegare è la circostanza in virtù della quale i cittadini di Kleitor hanno da una parte i mezzi, dall'altra l'intenzione di servirsi di un contingente di mercenari. L'unica spiegazione plausibile sembra essere quella che mette in risalto la necessità di disporre di reparti specializzati come i peltasti (lo stesso motivo per il quale vengono richiesti da Agesilao): dobbiamo pensare che Kleitor provvedesse con i suoi cittadini ai reparti oplitici, ma non ai peltasti, che non rientrano nella tradizione arcade. Contingenti di peltasti appaiono al servizio di Sparta altre volte ne­ gli anni successivi (Xen. Ell. v 4.42-45 con Polyaen. II 2.2, anno 378; Ell. V 4.59, anno 376) , ma quasi mai si accenna alle modalità di reclu­ tamento e all'attuazione del regolamento della Lega. Ci dobbiamo ac­ contentare di rapidi cenni: per esempio, i cittadini di Fliunte vengono lodati dal re Agesipoli, che sostituisce Teleutia nel nord della Grecia, > (Xen. Ell. v 3.10). La pratica approvata nel 382 appare esplicitamente citata solo in un caso, in occasione della spedizione di Mnasippo a Corcira nell'estate del 373. Le parole di Senofonte (Ell. VI 2.16) sono quelle di chi presenta una consuetudine ben consolidata: > . Alcune poleis avevano fornito navi ( l'elenco a VI 2.3); i soldati, peraltro, a quanto pare erano solo spartani e mercenari, questi ultimi in numero di 1.500; quindi, dando per buona l'espressione > se ne dovrebbe dedurre che alcune poleis almeno avessero mandato mercenari invece di soldi. In ogni caso, il racconto di Senofonte, assai particolareggiato anche se non basato su informazioni di prima mano, è di grande interesse e mostra, in primo luogo, i difetti tipici palesati in quegli anni dagli Spartani che si trovavano a rappor­ tarsi con il resto del mondo, vista la loro posizione di preminenza 5 : qui essi si palesano nella totale incapacità di Mnasippo di gestire i mercena­ ri. Il punto critico è descritto al § 16. Tutto sta andando bene, visto che i Corciresi sono prossimi ad arrendersi: 2

25.

Cfr. HORNBLOWER ( 20 0 0 ) .

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Mnasippo ritenne di avere ormai nelle sue mani la città e cominciò a mutare atteg­ giamento nei confronti dei mercenari, ne congedò alcuni senza versare loro l' inte­ ra paga, mentre a quelli che rimanevano doveva ancora due mesi di stipendio, pur non essendo affatto, a quanto si mormorava, a corto di denaro.

Tra sottufficiali percossi, mercenari depressi e al limite dell'insubor­ dinazione, il comandante spartano perde il controllo della situazione, fino a determinare un esito della spedizione imprevedibile fino a poco tempo prima: lo stesso Mnasippo trova la morte in uno scontro e quello che resta del contingente pensa bene di allontanarsi dall'isola in tutta fretta.

Povertà pubblica e ricchezze private Quali sono le modalità che, all'interno delle città del Peloponneso e din­ torni, presiedevano alla raccolta del denaro e all'ingaggio di mercenari? Per quanto riguarda il dato economico, lo scutagium peloponnesiaco era un peso non da poco: per fare un esempio, una città che dovesse forni­ re 100 opliti, 100 armati alla leggera e 10 cavalieri ( un contingente quasi insignificante) per i cinque mesi estivi di una campagna, avrebbe dovu­ to sborsare più di 3 talenti, una cifra che nel IV secolo poteva mettere in ginocchio, almeno temporaneamente, città ben più grandi delle piccole poleis del Peloponneso. Allo stesso modo, abbiamo espresso i nostri dubbi su come una polis come Kleitor fosse in grado di reperire il denaro necessa­ rio per ingaggiare il suo contingente. Credo che la soluzione sia da ricercare nella distinzione tra povertà pubblica e ricchezze private, non diversamente da come abbiamo osser­ vato per la stessa Sparta. Il quadro è di estrema povertà, se osserviamo con occhi moderni il bilancio pubblico delle poleis ( persino di Atene, in alcuni anni centrali del IV secolo: cfr. CAP. 4, pp. 83-4), prive di mezzi per imporre ai propri cittadini sistemi efficaci di tassazione, del resto estranei alla men­ talità dell'epoca. Ma i plousioi, i ricchi delle città non erano certo privi di mezzi: a volte erano in grado di accumulare vere e proprie fortune. Il caso dei ricchi spartiati, vale a dire della classe dirigente di una città 'imperiale' dopo la vittoria nella guerra del Peloponneso, non è paragonabile a quello dei ricchi delle città alleate del Peloponneso. Ma è comunque indicativo della situazione all'interno di comunità in cui, se l'apparato statale aveva davvero necessità di reperire fondi, era ai ricchi che doveva rivolgersi.

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Qualche idea sui meccanismi di pagamento ce la possiamo fare grazie a un criptico capitolo dei Poliorketika di Enea Tattico, che giudico par­ ticolarmente interessante26 • Enea prospetta un caso forse simile a quello di Kleitor, ma senz'altro diverso dallo scutagium della Lega, nel quale era Sparta a gestire i mercenari. Ecco qual è la proposta delrautore dei Polior­ ketika ( cap. XI I I) : Bisogna ordinare ai cittadini più abbienti (tois en te palei euporotatois) di reclutare i mercenari, ciascuno secondo le proprie possibilità: qualcuno tre, qualcuno due, altri ancora uno solo. Una volta raggiunto il numero sufficiente, saranno divisi in compagnie, con a capo di ciascuna, in qualità di locaghi, i cittadini più affidabili. I mercenari riceveranno lo stipendio (ton misthon) e il vitto (ten trophen) da coloro che li hanno reclutati: le spese saranno divise tra questi ultimi e la città, che mette­ rà a disposizione dei contributi. Ciascuno sarà alloggiato nella casa del reclutatore [ ... ] . Quanto ciascuno ha anticipato per mantenere i mercenari, col tempo sarà rimborsato.

Ciò che mi pare importante è la fortissima responsabilizzazione dei possidenti, fino a identificarne le sorti con il destino stesso della polis. Enea sembra, in tutta la sua opera, fidarsi solo dei pochi che detenevano ricchezze, chiamandoli a dare un contributo non solo di tipo finanzia­ rio, ma a collaborare in prima persona, mettendo a disposizione persino la propria casa: uno splendido esempio di contiguità assoluta tra i citta­ dini e lo stato, la cui struttura si identifica con i cittadini stessi. Il testo, nondimeno, desta molte perplessità e presenta vari punti oscuri: le mo­ dalità di contribuzione e rimborso da parte della polis e anche il numero dei cittadini coinvolti. Quanti mai potevano essere gli euporoi in grado di aderire a questo progetto, in una città - mettiamo - come Kleitor? Non lo sappiamo; ma se ad Atene essi erano - con buona approssima­ zione - non più di 1.000- 1. 200, in una cittadina del Peloponneso diffi­ cilmente saranno stati più di qualche dozzina: un numero troppo basso per garantire l'ingaggio di un numero significativo di mercenari, specie se la regola prevedeva che nessuno potesse ingaggiarne più di tre, come sembra proporre il nostro testo. Ma dobbiamo sempre pensare a realtà Su Enea Tattico, mi permetto di rinviare a BETTALLI ( 1 9 9 0, pp. 2 5 3- 6 per il passo citato); WHI TEHEAD ( 2 0 0 2, pp. 1 3 5-6 ) ; un prezioso aggiornamento dei temi suscitati dai Poliorketika in PRETZLER (in c.d.s.), all'interno del quale cfr. soprattutto, per quanto riguarda il tema dei mercenari, ROY ( in c.d.s. ). 26.

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molto piccole. Lo stesso Enea (x11 2) ammonisce che la quantità dei mercenari deve essere proporzionale alle dimensioni della polis che se ne serve.

Da Leuttra a Mantinea Nello schieramento spartano destinato alla celebre sconfitta di Leuttra ( estate del 37 1) vengono nominati, nelle scaramucce iniziali (cfr. Xen. Ell. VI 4.9), hoi te meta leronos misthophoroi, , insieme ai peltasti inviati dagli alleati focidesi. Sembra proba­ bile, dunque, che questi mercenari, gli unici citati nella battaglia, fossero peltasti, formalmente distinti dai Focidesi, in quanto questi ultimi, in qualità di alleati, avevano diritto a essere comandati da uno di loro e non da uno Spartano. Sappiamo che lerone, uno dei 700 spartiati presenti a Leuttra e uno dei 400 che vi trovarono la morte, era un personaggio assai in vista nella Sparta del tempo; grazie alle sue ricchezze, non man­ cò di commissionare statue a Delfi e a Olimpia, uno dei must dell'élite lacedemone del tempo 27 • Negli anni successivi, quelli della difesa spartana contro l'intrapren­ denza di Epaminonda e dei Tebani, non mancano citazioni di mercenari ingaggiati dagli Spartani: un contingente di peltasti guidato da Politro­ po (Ell. VI 5 . 11) , altri giunti da Orcomeno e non meglio caratterizzati (v1 5 . 17 e 29 ) . Polieno (11 1. 27 ; cfr. Diod. xv 6 5 ) nomina, nel contesto del confronto tebano-spartano, anche un tal Simmaco di Taso, che sembra possa godere della prerogativa di essere il primo comandante non spar­ tano di mercenari al servizio di Sparta, senza che sia possibile fornire ulteriori particolari 28 • Negli anni 3 69 e 3 68, inoltre, dobbiamo segnalare i due contingenti inviati da Dionisio I di Siracusa in aiuto degli Spartani, proprio nei mesi terminali del suo regno e della sua vita ( cfr. CAP. 14) . La prima spedizione (Ell. VII 1. 20) è composta da : i Celti citati sono i primi a calpestare il suolo greco. Senofonte non fornisce il numero esatto dei mercenari: molto più

Plutarco Mor. 397e; cfr. HODKINSON ( 20 0 0, p. 429 ). 28. La circostanza è stata notata da CARTLE D GE (19 87, p. 3 2 4) . 27.

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puntuale Diod. xv 70. 1, che ne fissa il numero a 2.000 e ricorda anche che la paga era stata assicurata dallo stesso Dionisio per cinque mesi 2 9 • Il contingente inviato da Dionisio attacca poi Sicione, per tornarsene infine a Siracusa ( § 22) . L'anno seguente (§ 28) giunge la seconda spedizione di soccorso dalla Sicilia. Dopo discussioni, viene inviata a Sparta, quindi in Arcadia, al comando di Archidamo. Ottiene qualche successo, devastando il terre­ no della Parrasia. Qui Cissida, il comandante delle truppe dionigiane 3 0 , gli comunica che è sua intenzione tornare in patria, poiché era scaduto il termine del mandato3 1 • In realtà però il contingente partecipa alla suc­ cessiva battaglia ( la ben nota 'battaglia senza lacrime' del 3 6 8): infatti, sulla via del ritorno a Sparta ( avevano con ogni probabilità lasciato le navi a Gizio, il principale porto della città), gli Arcadi sbarrano loro la strada. Archidamo accorre e poco dopo avviene appunto lo scontro vit­ torioso; i mercenari sembra si siano distinti soprattutto nell'uccidere gli Arcadi in fuga ( cfr. § 3 1 ) . Senofonte (Ell. V I I 4 . 1 2 ) ricorda anche un'ulteriore spedizione di soccorso a Sparta inviata da Dionisio 1 1 , poco dopo la morte del padre: i soldati ( presumibilmente mercenari), giunti con 1 2 triremi al coman­ do di T imocrate, partecipano alla conquista di Sellasia e fanno ritorno • • 1n patria. Nello stesso anno 3 68, Ariobarzane, satrapo di Frigia ( o lo stesso Arta­ serse, secondo Diod. xv 70. 2) promuove attraverso Filisco, suo agente in Grecia, una riunione a Delfi (Xen. Ell. VI I 1. 27 ) . Poiché i Tebani si rifiu­ tano di restituire la Messenia a Sparta, i Persiani danno il loro appoggio a Le parole di Senofonte sono ambigue. Venti triremi contengono 4. 0 0 0 uomini: o que­ sti ultimi sono tutti mercenari, oppure vanno tolti i rematori; in questo caso, però, reste­ rebbero poche centinaia di uomini, quindi è certo che una parte almeno dei mercenari remasse durante la traversata. I cavalieri sono pochi: a loro è dedicato l'intero § 2 1, che descrive il loro impatto sui combattimenti contro i Tebani e le strategie da loro attuate. 30. Il personaggio è noto da Diod. xv 47.7, dove comanda, insieme a tal Crinippo, sempre per conto di Dionisio I, una precedente spedizione di soccorso legata agli avvenimenti di Corcira del 373 ( cfr. sopra, Repertorio, nr. 10 ) . La spedizione finisce con la cattura delle triremi, in numero di 9, da parte di Ificrate e la vendita degli equipaggi che consente di ricavare un bottino di 60 talenti. A quanto pare, Cissida, in qualità di comandante, era stato risparmiato o era sfuggito alla cattura. 3 1. L'espressione usata da Senofonte (exekoi autoi ho chronos hos eiremenos en paramenein) è di un certo interesse, alludendo a precisi impegni 'contrattuali' del contingente, dei quali abbiamo poche tracce nelle fonti. 29.

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Sparta, fornendo un contingente mercenario di 2.000 uomini3 2 Si tratta forse dello stesso contingente che a Ell VI I 1 .41 , al comando di Naucle, regala a Epaminonda, per trascuratezza, il passaggio dall'istmo di Corinto (inizi 3 67: nell'occasione era presente anche un contingente ateniese gui­ dato da T imomaco: cfr. Repertorio, nr. 1 4) . Nelle settimane che precedono Mantinea (anno 3 62) , in occasione dell'attacco di Epaminonda a Sparta, Senofonte racconta come , VII 1.46) dura probabil­ mente meno di due anni. Cacciato dagli Arcadi guidati da Enea di Stin­ falo, fa ritorno in città grazie a un contingente mercenario (xenikon) che avevano provveduto a fornirgli gli Ateniesi, alleati degli Spartani contro 3 . Un volenteroso elenco è quello fornito da P, p. 1 0 0 n. 1. 4. Per quanto segue, cfr. soprattutto LEWI S (20 0 4) ; da tenere ancora presenti MELONI ( 1 9 5 1 ) ; MANDEL (1977 ); WHI TEHEAD ( 1 9 8 0 ). 5. Diod. xv 70. 3 è insolitamente preciso: i ricchi cui sarebbero stati confiscati i beni sareb­ bero stati 40, un numero tutto sommato modesto.

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Arcadi e Tebani6 • Non abbiamo alcuna informazione su questo contin­ gente: non ci resta dunque, per terminare la scarna storia, che ricordare la drammatica fine di Eufrone, assassinato a Tebe da alcuni concittadini mentre perora la sua causa dinanzi al Consiglio di quella città. Di lui re­ sterà il giudizio negativo di Senofonte e il suo ironico commento (Ell VII 3.12) alla notizia che il corpo di Eufrone fu riportato in patria e seppellito con tutti gli onori nell'agora: . Timofane di Corinto A pochi chilometri di distanza da Sicione e negli stessi anni ( presumi­ bilmente nel 3 66/3 65), un certo Timofane cerca di prendere il potere a Corinto, servendosi di un contingente di mercenari che la città aveva in precedenza ingaggiato 7 • T imofane è noto più che altro per essere il fratello maggiore di T imoleonte, che ritroveremo protagonista, circa vent'anni dopo, della liberazione della Sicilia dai Cartaginesi ( cfr. CAP. 14). T imoleonte, sollecito delle sorti della propria patria più ancora che degli stessi legami familiari, lo aveva ucciso nel vedere come il suo eser­ cizio del potere si stesse trasformando in un'odiosa tirannide: da qui la ben trovata arguzia del notabile corinzio, al momento in cui il governo della città votò l'invio di T imoleonte a Siracusa: > (Plut. Vita di Timoleonte 7.2). Ora, è evidente che quando si ha a che fare con la narrazione di vicende che riguardano un personaggio come T imoleonte, ben presto 'santificato', la possibilità di intercettare la verità dei fatti è quasi inesistente: resta il nudo scheletro di una vicenda che vede un personaggio in vista di una polis cercare di prendere il potere assoluto approfittando della presenza di contingen­ ti mercenari. Mettendo in serie ( una serie assai modesta, in verità) al6. Il legame tra la famiglia di Eufrone e Atene è destinato a durare nel tempo. Cfr. I G 11 1 448 ( in età 'licurgheà) in onore del nipote Eufrone 11. 7. Il contingente, stando a Plutarco Vi'ta di Timoleonte 4.4, non superava i 400 uomini, una dimensione assai modesta, specie per una città grande come Corinto; è possibile, ma non certo, che si tratti degli stessi mercenari che, senza citare Timofane, vengono ricor­ dati al servizio di Corinto in Xen. Ell VII 4.6 e che abbiamo menzionato all'inizio del capitolo.

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tri avvenimenti che recano indizi di tal genere, si viene a comporre un quadro che, come abbiamo accennato, rende bene l'idea delle pertur­ bazioni che dovevano attraversare le città greche del tempo. Aristotele, nel citare T imofane, è chiaro nell'individuare lo schema tradizionale sotteso al tentativo del fratello di T imoleonte: gli oligarchici, non ri­ ponendo alcuna fiducia negli eserciti formati dal popolo, sono costretti a ingaggiare mercenari e chi è chiamato a guidarli, colto da ambizione, spesso si improvvisa tiranno8 • Clearco di Eraclea Per trovare un altro esempio di tirannide sorta dall'impiego spregiudicato di mercenari dobbiamo volgerci lontano dalla Grecia, a Eraclea Pontica, fondazione greca sul Mar Nero. Qui, nel 3 64, un suo cittadino, Clearco (nessun rapporto con il Clearco dell'Anabasi, per cui cfr. CAP. 11) si im­ padronisce del potere: morirà poco più di dieci anni dopo, nel 353, ma i suoi figli riusciranno nell'impresa di trasformare un precario dominio in un vero e proprio regno in grado di durare fino al 284. E impossibile ricostruire in modo puntuale gli avvenimenti che riguardano Clearco. La sua vicenda sembra un tipico esempio di cor­ ruzione derivata dall'ambizione di potere e dal suo esercizio. Allievo modello di Platone e di Isocrate ( > dice Isocrate Lett. v11.4), diviene con ogni probabilità un comandante mercenario sotto la tute­ la di T imoteo 9 , per poi ritornare nella sua città natale, chiamato dagli oligarchici che non riuscivano a fronteggiare le richieste rivoluzionarie del popolo, e approfittare dell'occasione per farsi tiranno. Nonostante il giudizio positivo di Diodoro (xv 81.5), che allude anche alla sua volon­ tà di imitare Dionisio di Siracusa ( uno dei figli di Clearco si chiamava 8. Aristot. Politica v 1306 a; cfr. anche Diod. XVI 65.2, assai confuso, che non aggiunge molto al quadro complessivo. L'ipotesi di S O RDI (1961), secondo la quale Timofane non era un vero tiranno e veniva appoggiato dagli oligarchici, mentre suo fratello era democra­ tico, urta contro gli indizi forniti dalle fonti; cfr. invece ROY (1971, p. 5 82). 9. Cfr. Demosth. xx 84: difficile non accettare l'identificazione, visto anche che il tiranno chiamò uno dei suoi figli appunto Timoteo; cfr. Suida, s.v. per il suo servizio presso Mitri­ date, satrapo della Frigia Ellespontina.

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appunto Dionisio), la testimonianza di Isocrate ( nella cit. Lett. VII) e il guazzabuglio di luoghi comuni sull'efferatezza dei tiranni che costitui­ sce il grosso della confusa narrazione di Giustino (xvi 4-5) sembrano invece deporre contro Clearco. In ogni caso, il braccio armato del suo potere fu sempre costituito dai mercenari, che egli riuscì a 'fidelizzare' favorendoli in ogni modo, da buon imitatore di Dionisio. I particolari, ancora una volta, scarseggiano. Diffi­ cile concedere molto credito ai tre aneddoti narrati da Polieno (11 30.1-3), tutti comunque incentrati sul pessimo rapporto con i cittadini di Eraclea e sulla totale fiducia che il tiranno accordava ai suoi mercenari; più significa­ tiva la circostanza che Enea Tattico, scrivendo con ogni probabilità a poca distanza dagli avvenimenti, tanto da scegliere, non si sa esattamente per quale motivo di prudenza, di non nominare il protagonista, così riassume il colpo di stato del 3 64 (XII 4-5): Non è infatti prudente essere nelle mani di forze straniere e sotto il controllo di mercenari. È quanto accadde, per esempio, agli abitanti di Eraclea Pontica. Essi introdussero in città più mercenari di quanti la prudenza consigliasse : inizial­ mente, riuscirono sì a liberarsi della fazione avversa, poi però furono rovinati, loro e la città, perché caddero sotto il potere tirannico di colui che aveva intro ­ dotto i mercenari.

Non è tramandato nulla sul numero e la provenienza dei mercenari di Clearco: non c'è dubbio comunque che la sua tirannide debba essere ca­ talogata tra quelle direttamente dipendenti dall'impiego di mercenari. In questo senso, la cursoria annotazione sull' imitatio Dionysii da parte di Diodoro Siculo sembra avere colto nel segno. Né deve stupire l'ori­ gine 'colta' di Clearco: come osserveremo anche a proposito di alcuni personaggi che avevano seguito Ciro il Giovane nell'avventura descritta dall'Anabasi (cfr. CAP. 11) , la frequentazione di Platone o di Isocrate non immunizzava contro l'impiego della violenza e di ogni mezzo per conqui­ stare il potere10 •

10. Su Clearco, cfr. MORAWIECKI (1974) ; B URS TEIN (1976, pp. 47-65) ; P, pp. 97-9 non manca di dedicargli un notevole spazio. Da prendere in considerazione l'interpretazione di GARLAN (1989, p. 163), secondo il quale dal testo di Enea Tattico parrebbe che la tiran­ nide di Clearco sia la conseguenza della presa del potere da parte dei mercenari, « le tyran n'est que le représentant des mercenaires victorieux » .

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Giasone di Fere Negli ultimissimi anni del v secolo, in Tessaglia, nei pressi di Farsalo, morì un numero così enorme di mercenari che nel resto della Grecia scompar­ vero le cornacchie nere, accorse a cibarsi delle carogne dei morti non sep­ pelliti. A guidare i mercenari era tal Medius, dinasta di Larissa, impegnato nelle consuete lotte tra i potentati della Tessaglia. Di questa spaventosa vicenda tutto ciò che noi abbiamo è uno scarno accenno - relativo alle cornacchie, non ai mercenari ! - in un passo della Storia degli animali di Aristotele (Ix 6 18b; cfr. Plin. Nat. Hist. x 33): essa può dunque servire solamente come inquietante introduzione agli avvenimenti che vedono protagonista, circa trent'anni dopo, un altro Tessalo, il più ragguardevole che la regione abbia mai visto nascere. Giasone di Fere fu visto dai contemporanei - e molti studiosi sono d'accordo - come precursore delle gesta che, una generazione dopo, por­ tarono Filippo II di Macedonia a dominare il mondo greco 1 1 • Ciò che è certo, e che più ci interessa, è che anche Giasone impostò la sua ascesa basandosi su una forza mercenaria. A leggere Senofonte (Ell. VI 1.5- 6 ), che fa parlare Giasone attraverso le parole che Polidamante di Farsalo riferisce all'assemblea spartana, la sua riflessione sul tema va ben oltre le stereotipate considerazioni che di solito leggiamo nei testi coevi. Che siano da attribuirsi a Giasone, o siano frutto dell'analisi dello stesso Senofonte, non è chiaro, ma meritano comunque di essere riportate : ho a disposizione circa seimila mercenari, contro i quali credo che nessuna città potrebbe facilmente scontrarsi. Non è tanto il numero: anche da altre città po­ trebbe provenire una forza non inferiore ; ma gli eserciti cittadini comprendono sia uomini di età avanzata sia giovani che non hanno ancora raggiunto la piena maturità fisica. In ogni città, inoltre, sono veramente pochi quelli bene allenati, mentre al mio servizio non viene arruolato nessuno che non sia in grado di tolle­ rare le mie stesse fatiche.

E continua Polidamante: Ed egli, bisogna che vi dica la verità, è proprio forte fisicamente, oltre che infati­ cabile. Non passa giorno nel quale non metta alla prova gli uomini al suo servizio, Su Giasone, cfr. MANDEL ( 1 9 8 0 ) ; rapporto tra Giasone e i mercenari. 1 1.

S PRAWSKI ( 1 9 9 9 ) ; P,

pp.

10 0-4

è molto attento al

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ponendosi alla loro testa in armi, o nei ginnasi o nelle spedizioni militari, ovun­ que siano dirette. Licenzia i mercenari in cui osser vi qualche debolezza, mentre a quelli che vede disposti alla fatica e sprezzanti del pericolo in guerra mostra la sua stima concedendo una paga doppia, tripla o anche quadrupla, oltre a diversi dona­ tivi; assicura inoltre, in caso di malattia, le cure, in caso di morte esequie solenni. Così tutti i mercenari al suo ser vizio sanno che il valore militare assicura loro una vita piena di onori e di agi.

La seconda parte del discorso non è particolarmente nuova. Il tentativo di ingraziarsi i mercenari valorizzandone i meriti con un trattamento diffe­ renziato a seconda delle qualità che essi sono in grado di mettere in mostra è una consuetudine consolidata. Interessante comunque è il riferimento alla cura che Giasone avrebbe anche dei mercenari malati e di quelli morti, un particolare importante per una categoria ansiosa di raggiungere una buona considerazione sociale, della quale l'onore reso dopo la morte costi­ tuisce un tratto fondamentale nell'ideologia di quell'epoca. La riflessione con cui si apre la citazione, con l'esplicita dichiarazione di superiorità delle truppe mercenarie su quelle cittadine, è invece degna della massima attenzione. A tale conclusione sembra giungere anche Enea Tattico nei Poliorketika 12 Era quindi, con ogni probabilità, un concetto ben conosciuto da quanti erano addentro alle cose della guerra. Ed è, a ben vedere, un concetto che si scontra con un luogo comune - nostro, ma ali­ mentato da fonti antiche - e ne fa giustizia: il mito del cittadino/soldato eroico difensore della propria città1 3 . L'improvvisa morte di Giasone, assassinato da sette giovani mentre dava udienza nella sua città (370: cfr. Xen. Ell VI 4.31), fece sì che il suo esercito tanto magnificato non entrasse quasi mai in azione (eccezioni non significative sono descritte a VI 4. 21 e 27 ). Tra i suoi successori, solo Ales­ sandro di Fere è associato saltuariamente all'impiego di mercenari (Diod. xv 85; Plut. Vita di Pelopida 29; cfr. Paus. VI 5. 2), pochi anni dopo la morte di Giasone. La figura di quest'ultimo rimane dunque come una promessa inespres­ sa. La sua intuizione su cosa fosse possibile realizzare grazie a forze mer­ cenarie ben addestrate rimane tale. La storia dell'epoca, in realtà, sembra •

1 2. Cfr. il già citato XII 2 ; sulla debolezza dei cittadini come soldati cfr. p. es. XVI 2 ; sul tema, BETTALLI ( 1 9 9 0, pp. 26-32). 1 3. O, per dirla con P, p. 101, le riflessioni di Giasone sono « a sad blow to the romantic

illusion that every Greek city was a perpetuai gymnasium full of ardent athletes » .

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dimostrare che, a lungo andare, i costi e i problemi derivati da un impiego costante di mercenari erano irrisolvibili 1 4 ; la strada da percorrere era un'al­ tra e passava attraverso la valorizzazione delle forze interne di un paese. Lo dimostreranno Filippo e Alessandro: dei re macedoni ci occuperemo in un prossimo capitolo (cfr. CAP. 16).

Tebe e Le g a Arcadica: mercenari e reparti specializzati Le informazioni che abbiamo su Tebe, che giunse a esercitare una breve egemonia sul mondo greco tra Leuttra (371) e Mantinea (3 62), non ci con­ sentono di chiarire le dimensioni del ricorso che la città, nel corso del IV secolo, fece ai mercenari. Conosciamo alcuni nomi di Tebani - o di Beoti che furono comandanti mercenari: Prossena e Ceratada sono due esempi che troviamo nell'Anabasi (cfr. CAP. 11; su Ceratada cfr. anche oltre, pp. 197-9), Pammene è un importante uomo politico e militare tebano che venne inviato, intorno al 353, a guidare un contingente di 5.000 uomini in aiuto di Artabazo, satrapo ribelle al Gran Re, nonostante i Tebani si trovassero nel pieno della guerra sacra contro i Focidesi (Diod. XVI 34.1). Il fatto che Pammene sia stato in seguito destituito e rimandato in patria, sostituito da due fratelli di Artabazo (Polyaen. VII 33.2), ha fatto pensare che il contingente da lui comandato fosse composto da mercenari: infatti (P, p. 124). P RITCHETT (1974a, pp. 90-2) conclude in­ vece che le truppe fossero tebane: ma il passo che egli porta in appoggio alla tesi (lsocr. v Filippo 55) afferma solamente che i Tebani erano soliti combattere la guerra sacra contro i Focidesi con truppe cittadine; nulla ci dice sul contingente di Pammene. Fino a prova contraria, il pur non ineccepibile ragionamento di Parke può essere tenuto per buono: i Tebani 14. Non sappiamo nulla di come Giasone risolvesse i problemi economici derivanti da un uso massiccio di mercenari: P, p. 102 fa notare come sostanzialmente tutti gli aneddoti di Polieno riferiti a Giasone - VI 1. 1-7 - abbiano a che fare con il reperimento di denaro, ma questo può non voler dire molto. Sei dei sette aneddoti, in effetti, riguardano trucchi ed espedienti per ottenere soldi dai suoi fratelli o da sua madre, descritti come molto ricchi. Il miglior commento è di GRIFFI TH ( 1 9 3 5, p. 27 3 ) : « an absurdity whether true or fictitious ». La fiducia da accordare a Polieno è un problema che attraversa tutto lo studio che abbiamo condotto. Tendenzialmente, non gliene accordo molta. Come bibliografia orientativa, cfr. MARTIN GARCI A (19 86); KRENTZ, WHEELER (1994); SCHETTINO (199 8).

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forse non ritenevano in quel momento la minaccia focidese così degna di considerazione; nondimeno sarebbe apparso un azzardo spedire in Asia Minore ben 5 .000 cittadini, che avrebbero costituito poco meno della metà delle forze a disposizione dell'intera Lega Beotica 1 5 • Resta il fatto - incontrovertibile - che i Tebani, nel corso del IV secolo, elaborarono una strategia militare basata non sulle forze mercenarie, bensì sulle forze cittadine. Il fulcro di questa scelta fu la fiducia che essi riposero sullo Hieros Lochos, il battaglione sacro, un reparto creato nel 378 e mas­ sacrato dall'ala destra dei Macedoni, guidata da Alessandro, a Cheronea nel 338 16 • Di esso ci parla Plutarco, nella Vita di Pelopida (cap. 18; a 19.3-4 un'interessante discussione sui metodi di utilizzazione dei 300 giovani: inizialmente essi sarebbero stati schierati sparsi un po' in tutto l'esercito, per dare l'esempio ai meno valorosi; solo in un secondo tempo, con Pelo­ pida, avrebbero formato un unico reparto di élite) : Pare che il battaglione sacro sia stato costituito per la prima volta da Gorgida con 3 0 0 uomini scelti, dei quali la città, facendoli alloggiare nella Cadmea [l'acropoli della città], curava l'addestramento e il mantenimento [ ... ] . Corre voce che que­ sto reparto fosse formato da giovani che si amavano tra loro [ ... ] . Si dice che esso rimase imbattuto fino alla battaglia di Cheronea. Quando Filippo, dopo la bat­ taglia, andò a vedere gli uccisi, si fermò nel luogo ove giacevano morti i 3 0 0, tutti colpiti al petto dalle sarisse macedoni, con le armi in pugno e come fusi insieme, ne fu ammirato e, venuto a sapere che quello era il battaglione degli amanti e degli . . . amati, scoppio' a piangere.

L'elaborazione della leggenda, fino a creare un vero e proprio mito, di cui fa parte l'evocazione dei vincoli omosessuali che avrebbero legato due a due i componenti del battaglione, gioca un ruolo fondamentale in questa narrazione. L'omosessualità di una parte almeno dell'aristocrazia tebana, da cui provenivano i componenti del battaglione sacro, di per sé è verosi­ mile; appare invece eccessivo il ricorso sistematico a omosessuali, quasi una precondizione per il reclutamento. Alla base del ragionamento, in parte esplicitato anche da Plutarco, sta comunque una considerazione che è ben conosciuta dagli studiosi di guerra e che era valida nell'antichità come è va15. Sulla spedizione di Pammene, cfr. B UCKLER (19 89b). 1 6. Sul battaglione sacro tebano, cfr. DE VOTO (1992) ; LEI TAO (2002). Sulla sua distru­ zione a Cheronea, cfr. RAHE (19 85). Esistono indizi di un 'predecessore' del battaglione sacro al Delio (424), in piena guerra del Peloponneso: cfr. Diod. XII 70.1.

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lida oggi: il soldato combatte non tanto per scopi 'astratti' quali la libertà, o la patria, ma per difendere i compagni di reparto. E se questi sono amici, parenti o quant'altro, il soldato combatterà meglio. Per concludere dun­ que ancora con Plutarco ( Vìta di Pelopida 18.3), > . E curioso che una leggenda si basi su considerazioni oggettive dedotte dall'e sperienza della guerra di ogni tempo. Rimangono alcune riflessioni fondamentali per la storia militare dell'epoca: in primo luogo, l'esigenza di disporre di contingenti perfettamente allenati e sempre pronti a entrare in azione, in modo da risolvere l'aporia in virtù della quale era possibile dispor­ re di uomini motivati ma non efficienti (i cittadini) oppure di uomini effi­ cienti ma non motivati (i mercenari). Contingenti cittadini specializzati e di fatto professionali erano la risposta: non a caso, troviamo un certo numero di epilektoi ( contingenti scelti) in varie poleis, a partire dalla seconda metà del v secolo, per esempio a Siracusa, ad Argo o nell'Elide 17 • L'assetto sociale di riferimento è il sistema spartano, in grado di fornire cittadini professionisti. Un celebre passo dell'Archidamo isocrateo18 riassume il tema: [ l'esercito spartano] che, per il fatto di essere libero da altre preoccupazioni che non siano la guerra, assomiglia a quelli mercenari, ma per le sue virtù e modi di vita è tale, quale nessuno potrebbe schierarne uno simile attingendo da tutto il mondo.

Quella di confidare in reparti specializzati era una scelta elitaria e poten­ zialmente anti-democratica ( i giovani che venivano reclutati in tali reparti erano, di solito, provenienti dalle famiglie aristocratiche e si poteva sem­ pre pensare al loro impiego per un colpo di stato oligarchico) e quindi non neutrale dal punto di vista politico: tale fattore poteva mettere in crisi un'opzione che, dal punto di vista militare, era ineccepibile. A dimostrazione di questo assunto sta l'involuzione di uno dei tentativi più ambiziosi di creare una forza professionale all'interno di una comuni­ tà: mi riferisco alle vicende che riguardano gli Eparitoi della Lega Arcadi-

17. Un elenco più o meno completo in PRI TC HETT ( 1974b, pp. 221-4); cfr. anche GAR­ LAN (19 89, pp. 147-50), sotto un titoletto 'parlante': « Quand le soldat-citoyen fait un peu figure de mercenaire ». Epilektoi sono citati anche da Enea Tattico XVI 7, ma non necessa­ riamente il riferimento è a corpi permanenti. 18. VI Archidamo 76; cfr. MOSSÉ (19 53); MARINOVI C (1988, pp. 247-9 ).

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ca, negli anni delle prime invasioni del Peloponneso da parte di Epami­ nonda, subito dopo Leuttra (370-3 62). Gli Eparitoi sono il frutto dell'ambizione di Licomede di Mantinea, loro primo comandante, che in un ben noto discorso delle Elleniche fa leva sull'identità arcade, esaltandone le doti fisiche e di ardimento che aveva­ no fatto degli Arcadi, da sempre, i più validi mercenari del mondo greco (Xen. Ell VII 1.23). Erano infatti un corpo di opliti arcadi, mantenuti dai contributi delle comunità che aderivano alla Lega Arcadica, di fatto un contingente professionale che, nel corso degli anni sessanta, mostra le sue capacità in varie spedizioni (Xen. Ell. VII 1.25; VII 3.1; VII 4.19; VII 4.2223; cfr. Diod. xv 67.2). Il principale dubbio riguarda la loro consistenza numerica: Diodoro Siculo (xv 62.2) è l'unico a farne parola e afferma che essi erano ben 5.000; Senofonte, che sicuramente doveva essere informato a questo proposito, non ritiene di farne cenno. Molti studiosi hanno du­ bitato della cifra fornita da Diodoro, un po' per una tradizionale sfiducia nell'autore, un po' perché si tratterebbe di un unicum nella breve storia dei contingenti specializzati: un vero e proprio esercito, in effetti, più che un reparto di élite, con un costo astronomico per le finanze della Lega1 9 • Da qui l'ipotesi che si trattasse, in realtà, di un corpo molto più piccolo, di di­ mensioni molto più prossime ai 300 del battaglione sacro tebano. Il ragio­ namento è sensato, ma potrebbe essere rovesciato. Affrontando il tema del dissolvimento - di fatto - del corpo (Ell VII 4.33 ss.), Senofonte afferma che era diventata un'abitudine prelevare la somma necessaria al suo man­ tenimento dai fondi del santuario di Olimpia, che gli Arcadi si trovavano in quegli anni a controllare; i Mantineesi per primi, seguiti poi da altri, si sarebbero opposti a quello che consideravano un sacrilegio. In breve, gli Eparitoi si trasformarono in un corpo di volontari, poiché non c'erano più fondi a disposizione per mantenerli, cosicché finirono per avvicinarsi nuo­ vamente a Sparta (la Lega Arcadica era nata con intendimenti anti-sparta­ ni), visto che continuavano a prestarvi servizio solo i giovani provenienti dalle famiglie più ricche. Ciò, di fatto, pose fine all'esperimento, così come era stato concepito dal suo fondatore Licomede. Tutto questo racconto appare attendibile e non avrebbe molto senso se gli Eparitoi fossero sta­ ti - diciamo - 300: il costo del loro mantenimento sarebbe infatti stato

p. 9 3 n. 1 ipotizza un minimo di 1 5 0 talenti annui, considerando uno stipendio di 3 oboli al giorno, una stima bassa. 1 9. P,

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intorno ai 10 talenti annui, una cifra modesta se ripartita tra le comunità che avevano aderito alla Lega. Senofonte maschera un conflitto politico molto grave - tra filo-sparta­ ni e avversari - all'interno delle comunità arcadiche, riferendone come di un conflitto economico ( il costo degli Eparitoi) venato di scrupoli religiosi (il servirsi dei fondi di Olimpia). Tornando al nostro problema principale, né la cifra di 5.000 né quella di 300 appaiono verosimili: una via di mezzo (per esempio, 1.000 come ad Argo nel v secolo: Diod. XII 75.7) parrebbe sensata, ma non è corretto fare delle ipotesi su basi così fragili.

La guerra sacra e i mercenari al servizio dei Focidesi Nel 356, il mondo greco è scosso dalla cosiddetta terza guerra sacra: all'ori­ gine del conflitto, l'occupazione da parte dei Focidesi del tempio di Apollo a Delfi. Essi contestano la decisione degli Anfizioni, presa dietro ispirazio­ ne dei Tebani, di costringerli a pagare una fortissima multa per aver colti­ vato terreni sacri al dio. L'occupazione del santuario porta alla dichiarazio­ ne di guerra: con i Tebani si schierano Locresi, Tessali e, più tardi, Filippo 1 1 di Macedonia; con i Focidesi Spartani e Ateniesi. Non è nostro compito riassumere in questa sede le intricate vicende del conflitto che terminerà solo dieci anni dopo, segnando il definitivo raggiungimento dello status di grande potenza da parte della Macedonia di Filippo 1 1 20 • Ci occuperemo invece di una circostanza collaterale, che ebbe grande risonanza presso i contemporanei, lasciando una cospicua traccia nelle fonti antiche. I Focidesi, infatti, decisero di utilizzare gli immensi tesori del santuario di Delfi per pagare i mercenari di cui si servirono con continuità durante la guerra. Il loro impiego era particolarmente necessario per un popolo che non disponeva di un'organizzazione statale e di un potenziale umano pari a quello degli altri contendenti. Ma la pietra dello scandalo fu il mezzo utilizzato per pagarne i servigi: il santuario di Delfi era considerato come appartenente a tutti i Greci indistintamente e non certo di proprietà dei Focidesi, pur trovandosi all'interno dei confini della Focide. Questo punto è fondamentale: a parte le resistenze di tipo religioso21 erano l'importanza ,

20. Una buona sintesi sulla guerra sacra è quella di BUCKLER (1989a). 21. Cfr. BETTALLI (2012), un articolo da cui riprendo buona parte delle pagine che se­ guono.

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del santuario e la sua extraterritorialità a suscitare la reazione sdegnata dei contemporanei di fronte al comportamento dei Focidesi. Di contro, que­ sti ultimi ritenevano di avere il diritto di considerare come loro proprietà ciò che si trovava all'interno del proprio territorio. Si trattava di un'inter­ pretazione molto forzata e di una chiara provocazione diretta a ribaltare un equilibrio secolare garantito dalfAnfizionia delfica, il Consiglio di 24 membri - due per ciascuno dei 12 ethne che vi erano ammessi, assetto im­ mutato a partire dal VII secolo circa: non un sacrilegio, bensì un tentativo, temerario se vogliamo, di rovesciare i rapporti di forza in relazione al con­ trollo politico del santuario. I comandanti militari della Focide utilizzano il tesoro di Delfi fin da subito: esistono delle discussioni sulle responsabilità del primo di essi, Fi­ lomelo22, ma sicuramente la pratica diviene corrente con il fratello di Fi­ lamelo, Onomarco (354-353), l'altro fratello Faillo (353-350 circa) e infine con il figlio di Onomarco, Faleco (349-346; le parentele tra i comandanti focidesi sono oggetto di discussione). Pochi particolari relativi all'ingag­ gio dei mercenari sono sopravvissuti: - le campagne di reclutamento, intraprese più volte, hanno sempre un grande successo, anche e soprattutto per il fatto che i comandanti focidesi offrono paghe più elevate rispetto a quelle usuali: del 50% ( cfr. Diod. XVI 25.1, 30.1) o addirittura raddoppiate (Diod. XVI 36.1) ; - la consistenza numerica dei mercenari ingaggiati dai Focidesi non è chia­ ra (per esempio, relativamente all'esercito di Filamelo all'inizio della guerra Diodoro parla di 5.000 uomini a XVI 25.1 e di oltre 10.000 a XVI 30.3); molto genericamente, si può parlare di contingenti tra i 5.000 e i 10.000 uomini, mantenuti per tutti e dieci gli anni23 : è impossibile essere più precisi; - dei mercenari non viene mai indicata l'origine: si deve presumere che essi provenissero un po' da tutta la Grecia, anche dalrArcadia e dalrAcaia, tradi22. Comandante negli anni 3 5 6-355 : colpevole anch'egli a stare a Diod. XVI 30. 1 e 6 1.2, innocente secondo lo stesso Diod. XVI 28.2 (cfr. 56.5 ) : questa contraddizione potrebbe condurci a una riflessione sulle fonti di Diodoro, individuate essenzialmente in Demofilo, il figlio di Eforo che ne completò l'opera scrivendo il xxx libro, e nell'ateniese Diillo; ma non è nostro compito approfondire il tema. 23. 8.0 00, come l'esercito di Faleco del 346, è la cifra su cui P, p. 140 si basa, tanto per sce­ glierne una, per i calcoli sulle spese sostenute dai Focidesi in questi anni. Tali calcoli, per quello che valgono, sono stati tentati anche da WILLI AMS (1976, p. 54), il quale giunge a una somma complessiva di circa 3.500 talenti, derivata da un'approssimazione per eccesso di 8.000 x 10 anni x 4 oboli al giorno.

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zionali serbatoi di soldati di professione per il mondo greco. La notazione di Diod. XVI 30. 2, secondo la quale i mercenari non erano uomini , bensì , è già immersa nella propaganda; anche la breve notazione di segno opposto da parte di Paus. x 2. 4, secondo la quale i mercenari erano , appare inaffi­ dabile, non essendo fondata su alcun dato di fatto. Il passo più interessante è Diod. XVI 24. 2, nel quale si legge che Filamelo avrebbe organizzato una for­ za composta da una parte da mercenari (misthophorous xenous), dall'altra da 1.000 Focidesi, : espressione priva di senso, che nondimeno conferma la presenza degli stessi Focidesi tra i combattenti, una circostanza di cui peraltro non era lecito dubitare14 • La prima manifestazione del tema del sacrilegio la troviamo in Diod. XVI 2 5 . 2 : agl'inizi della guerra, dopo una scaramuccia con i Locresi, questi ultimi negano a Filamelo la restituzione dei venti uomini morti nello scontro rendendosi colpevoli di un'infrazione gravissima al codice religioso dei Greci. I Locresi si giustificano sostenendo come sia > . Il motivo diciamo così propagandistico nasce dunque subito: ma sembra di intravedere un qualche stupore da parte di Filamelo, che (tolmesantes) , ricorrere alle ricchezze del santuario di Delfi per pagare i mercenari: un e­ spressione non particolarmente critica, a ben vedere. A qualche distanza dagli avvenimenti, una volta che la storia si era inca­ ricata di individuare i cattivi e i buoni - e i buoni erano, ovviamente, i vin­ citori - si fa invece avanti, con decisione, il tema della punizione di quelle migliaia di disgraziati che il disgustato Isocrate definisce, in un passo del Filippo (v 55), (ma il suo disprezzo è per i mercenari in quanto tali, non per quei mercenari). La prima, drammatica manifestazione dell'ira della divinità è nella fa­ mosa battaglia dei Campi di Croco, nella quale Filippo fa strage dei Foci­ desi (anno 352). Dopo la vittoria, il re macedone fece impiccare Onomar­ co, che era succeduto a Filamelo come stratego-tiranno dei Focidesi2 5 > (Diod. XVI 35.6): una carneficina orrenda, ancora una volta estranea alle consuetudini di guerra nel mondo greco. Muore poi il successore di Onomarco, Faillo, e il fatto ( tutt'altro che sicuro, peraltro) che quest'ultimo sia morto dà il destro alla considerazione che tali sofferenze erano state un giusto contrappasso alla sua empietà (Diod. XVI 38.5). Segue, qualche anno dopo, la tragica fine di 5 0 0 mercenari asserragliati nel tempio di Apollo nel centro di Abe (anno 347), a causa dell'incendio del santuario, interpretato ancora una volta come un segno della volontà di punizione dei sacrileghi da parte della divinità. A questo punto, l'imperscrutabile volontà di Apollo si prende un po' di respiro. Infatti la guerra finisce con la sconfitta dei Focidesi e la giustizia umana, vale a dire dei vincitori, li costringe alla perdita dei due voti nelrAnLe tradizioni sulla sua morte, peraltro, erano molteplici: cfr. Paus. x 2.5, secondo cui egli venne ucciso dai suoi soldati, ed Eusebio Praep. ev. VIII 14.33, che lo vuole ucciso per annegamento; lo stesso Diod. XVI 6 1. 2 lo dà invece per crocifisso. 25.

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fizionia delfica, che passano a Filippo, allo smantellamento delle loro città e a una fortissima pena pecuniaria26 ; peraltro a Faleco, ultimo comandante dei Focidesi, e agli 8.000 mercenari ancora in forza al suo esercito27 viene con­ cesso da parte di Filippo di allontanarsi, recandosi sani e salvi nel Peloponne­ so. Non ci si dimentica di loro: il Consiglio degli Anfizioni stabilisce infatti, un po' in contraddizione rispetto alla decisione di Filippo 11 di concedere loro un salvacondotto, (Diod. XVI 60.1), mentre (xvi 3) gli stessi An­ fizioni dovevano darsi cura di > . Questi 8.000 'sacrileghi' - siamo nella piena estate del 346 - sono dun­ que ancora vivi: la loro storia successiva, assai confusa, assume contorni romanzeschi. Seguire le vicende di 8.000 uomini nel corso di almeno cinque-sei anni, avendo a disposizione solo una rapida narrazione di Diodoro Si­ culo (xvi 61.4-63) e brevi accenni in altre fonti, è un'impresa disperata. I mercenari forniscono il materiale umano per guerre in almeno quat­ tro scenari: lo stesso Peloponneso, l'isola di Creta, la Magna Grecia e la Sicilia. Erronea l'impressione che il gruppo sia stato, anche solo in un primo tempo, compatto: solo Pausania (x 2.7) sembra peraltro rammen­ tare l'inevitabile frammentazione, affermando che Faleco si recò a Creta > . Seguendo di necessità la narrazione diodorea, il primo episodio con cui ci dobbiamo confrontare ha per protagonista Faleco: il quale, non sapendo bene come mantenere i mercenari, dopo aver speso quel che rimaneva del saccheggio del tempio di Delfi, improvvisa, noleg­ giando delle navi, una spedizione . In poche righe, è qui riassunta la mentalità do­ minante dei mercenari del tempo: combattere cercando i migliori ingag­ gi e, se possibile, tornare alla vita 'civile' divenendo cittadini di una polis, a costo di impadronirsene con la forza. Le righe successive ci presentano un raro spaccato di vita mercenaria. Durante la navigazione, infatti, i soldati cominciano a parlare tra di loro: ciò che li sorprende è l'assen­ za di un emissario italico o siceliota e di conseguenza la mancanza del committente. Dove li sta portando Faleco? In breve, vengono sguainate le spade e si costringe Faleco e i timonieri a tornare indietro. Faleco non perde però la sua autorità nei confronti dei mercenari. Di nuovo nel Peloponneso, a capo Malea, in Laconia, Faleco e gli altri capi mercenari accettano l'offerta di ingaggio da parte di emissari della glo­ riosa Cnosso, nell'isola di Creta. Effettuata la traversata, non hanno diffi­ coltà a impadronirsi della città di Litro. A questo punto28 , la narrazione di Diodoro registra una curiosa coin­ cidenza, tanto sorprendente che sembrerebbe lecito dubitare della sua ve­ rosimiglianza, senza però che sia possibile addurre alcun indizio in questo senso. Gli abitanti di Litto, scacciati dalla loro patria, chiedono aiuto agli Spartani, che proprio in quel momento stanno preparando una spedizione in aiuto dei Tarentini. È infatti quando il contingente è già in partenza, agli ordini del re Archidamo, figlio di Agesilao, che giunge l'invito pres­ sante da parte dei cittadini di Litto a recarsi a Creta. Archidamo accetta di 'passare' da Creta prima di andare a Taranto, reinsedia gli abitanti di Litto e solo allora effettua la diabasis verso l'Italia, dove, dopo non meno di cinque anni di scontri, viene ucciso a Manduria nell'estate del 338 2 9 • Solo adesso (63.2) veniamo a sapere che alcuni dei mercenari sacrileghi ( dunque, sembrerebbe, del contingente originario di Faleco) facevano par­ te dell'esercito di Archidamo: non sappiamo quando essi si fossero uniti alla spedizione del re spartano (forse a Creta) e, in effetti, apprendiamo della loro presenza solamente quando vengono uccisi dai Lucani, una cir­ costanza interpretata senza troppa originalità come una punizione per i loro misfatti. Va sottolineato comunque che, nonostante un'immagine nel com­ plesso positiva che possiamo trarre dalle fonti, la figura di Archidamo 28. Dovremmo essere all'incirca nel 345, anche se le coordinate cronologiche sono tutt'al­ tro che precise; ammirevole sull'argomento WESTLAKE ( 1940 ). 29. Sulla spedizione di Archidamo, cfr. sopra, pp. 1 6 9-71.

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è compromessa con I'affaire di Delfi. Il più deciso nell'accusarlo è lo storico Teopompo (FGrHist 115 F 318), secondo il quale Archidamo, quale alleato dei Focidesi, si era direttamente appropriato di ricchezze del santuario, insieme alla moglie Dinìca. Ne conseguiva che anche la mancata restituzione del suo cadavere da parte dei Lucani non poteva che rappresentare una punizione da parte di Apollo per i misfatti da lui compiuti. Intanto, Faleco rimane, con un nutrito gruppo di mercenari (non sappiamo quanti) a Creta, dove tenta l'assalto a una delle città più im­ portanti dell'isola, Cidonia. Qui (Diod. XVI 63.3-4) trova la morte, o in un banale litigio con un sottoposto, oppure nell'incendio delle macchi­ ne d'assedio, colpite da fulmini evidentemente di origine divina. Siamo nel 342: erano trascorsi all'incirca una dozzina d'anni dai primi saccheg­ gi del santuario e anche l'ultimo dei comandanti focidesi trovava final­ mente la meritata morte. Ma i mercenari sacrileghi non si sono ancora estinti. Un certo numero, non precisabile, era morto a Cidonia. I superstiti, ancora molto nume­ rosi, tornano nel Peloponneso, dove trovano ad aspettarli degli emissari di fuorusciti dell'Elide (la zona di Olimpia) che intendevano ingaggiarli per cercare di rientrare nella propria patria. L'impresa si conclude in un disastro: gli Elei, assistiti dagli Arcadi, sconfiggono duramente i fuorusciti e i mercenari sacrileghi: ben 4.000 di essi, un numero ai limiti dell'invero­ simile30 , vengono fatti prigionieri. > ( 63.5). Decisione inumana e anche stupida, se vogliamo: gli Elei avrebbero rinunciato a una somma enorme, calcolabile intorno ai 100 talenti, solo per dimostrare la propria devozione ad Apollo (e Olimpia era sacra a Zeus, non ad Apollo!). Ultimo capitolo. L'impresa di T imoleonte, che giunge da Corinto a risollevare le sorti di Siracusa e a fermare i Cartaginesi nella celebre bat­ taglia del Crimiso, si svolge negli stessi anni in cui collochiamo le gesta dei mercenari sacrileghi di Faleco (cfr. CAP. 14, pp. 353-4). E non è affatto Il numero dei prigionieri risulterebbe ben superiore al 5 0 % delle forze complessive dei mercenari: dalla cifra iniziale di 8.0 0 0 dobbiamo infatti togliere quelli morti a Creta, quelli andati con Archidamo, quelli dispersi e quelli morti nella battaglia stessa. Ne con­ seguirebbe una percentuale abnorme in relazione a qualsiasi notizia che possediamo sulle battaglie nel mondo greco. 30.

IL IV SECOLO : LE ALTRE REALTA

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sorprendente venire a sapere che una parte di essi, non più di poche cen­ tinaia (sono 700 in tutto quelli che in un primo tempo accompagnano T imoleonte nell'avventura: cfr. Diod. XVI 66.2), viene appunto ingaggiata da T imoleonte, partito da Corinto nel marzo del 344. Di tale circostanza siamo informati dalla Vita di Timoleonte di Plutarco, verso la fine della narrazione: si è infatti già svolta la battaglia del Crimiso (341). La reazione cartaginese alla sconfitta, effettuata insieme a contingenti inviati da Iceta e Mamerco, porta al massacro di qualche centinaio di mercenari, in due di­ stinti momenti: è allora che Plutarco ( Vita di Timoleonte 30.7-9) ci mette a parte del 'segreto': Questi mercenari erano quelli che insieme ai focidesi Filamelo e Onomarco si erano impadroniti di Delfi e avevano partecipato al saccheggio del tempio. Poiché tutti li odiavano e si guardavano da loro perché maledetti, essi vagavano nel Pelo­ ponneso quando Timoleonte, bisognoso di altri soldati, li prese con sé.

Può apparire curioso che una spedizione, quale quella del nobile corinzio, palesemente favorita dal consenso degli dèi, che non lesinano i segni della loro benevolenza (Diod. XV I 66.3-5 e Plut. Vita di Timoleonte 8.5-8), uti­ lizzi per l'impresa dei sacrileghi banditi dalla comunità dei Greci (almeno a parole; in realtà, come stiamo vedendo, non avevano difficoltà a trovare ingaggi); non va comunque dimenticato che, secondo lo stesso Plutarco ( 8.2), T imoleonte, prima di partire, si era premurato di chiedere l'auto­ rizzazione per la spedizione allo stesso Apollo di Delfi. La divinità appare qui particolarmente pragmatica: utilizza i mercenari sacrileghi, facendoli combattere - a quanto pare valorosamente - in varie circostanze, culmina­ te nella battaglia del Crimiso; è solo quando non servono più che vengono mandati a morire. Un po' diversa la versione di Diodoro. Questi ci narra (xvi 78.3-79.1) che, quando la spedizione che affronterà la battaglia del Crimiso si trovava già nel territorio di Agrigento, scoppiò una rivolta dei mercenari, irritati dai consueti ritardi nei pagamenti e terrorizzati dalle voci sulla grandezza dell'esercito cartaginese che si apprestavano a incontrare. La rivolta è gui­ data da un certo Trasio, > . Il contesto storico di questo invio di truppe da parte di Gige non è ben chiaro, anche perché ne è incerta la datazione, che oscilla tra il 664 stesso e la metà degli anni quaranta 10 • È possibile supporre che 6. Hdt. II 147-152, su cui LLOYD (1988a, ad loc. ) ; a LAVELLE (1997, pp. 250-6) dobbiamo una ricostruzione delle vicende egiziane che privilegia la narrazione erodotea. L' avventura degli Ioni e dei Cari è vista ( p. 258) come « the exact point » della trasformazione degli epikouroi in mercenari e, quindi, della nascita del mercenariato greco. Diod. I 66.8-67 è in parte dipendente da Erodoto e ne propone una versione più 'razionale' e 'modernizzante: 7. Cfr. p. es. LLOYD (1988a, p. 13). 8. La rivalutazione del passo di Polieno procede spedita; cfr. HAIDER (1988, pp. 178-82); NIEMEIER (2001, p. 17 ). 9. Cilindro di Rassam, col. II, 11. 111-112; cfr. LUCKENBILL (1927, pp. 784-5). 10. Status quaestionis in NIEMEIER (2001, p. 18). Secondo HAIDER (1996, pp. 93-4) il con-

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Psammetico, dopo un breve periodo iniziale in cui aveva agito come vas­ sallo degli Assiri, una volta rafforzatosi, abbia effettivamente avviato una ribellione contro di essi, della quale il Cilindro di Rassam ha conserva­ to memoria. Negli anni seguenti, l'influenza assira sull'Egitto tenderà a scomparire: del resto è la stessa impalcatura dell'impero che sta crollando, la caduta di Ninive ( 611) non è così lontana. Il regno di Kush rimarrà invece un nemico sempre presente e pericoloso per tutto il periodo della XXVI dinastia. Quanto detto finora fornisce la necessaria base storica - sia pure non priva di punti oscuri - all'analisi di quanto più ci interessa. Il punto per noi di gran lunga più importante è che la tradizione concorda nell'attribui­ re una funzione fondamentale nell'ascesa di Psammetico a contingenti di Ioni e Cari, che siamo soliti chiamare mercenari. Ce ne parla Erodoto, con la celebre descrizione dei naufraghi che si materializzano sulle spiagge del Delta dopo un raid piratesco finito male e sono immediatamente 'assunti' da Psammetico, che vede nelle pesanti armature di cui erano rivestiti il realizzarsi dell'oracolo che aveva previsto la sua vittoria grazie all'aiuto di (chalkeioi andres). Diodoro (1 66.12) allude ad essi in termini certo poco adatti all'epoca dei fatti (ek te tes Karias kai tes Ionias misthophorous metapempsamenos: > ), Polieno riferendosi invece ai Cari e 'dimenticando' gli Ioni, ma fornendo però il nome di tal Pigres come comandante u . Ne danno conferma, infine, le stesse fonti assire del Cilindro di Rassam, le quali alludono agli aiuti inviati da Gige, che sembrerebbe naturale identi­ ficare con i pirati di Erodoto, anche se c'è una sfasatura cronologica, molto forte o quasi trascurabile a seconda della datazione prescelta per l'invio da parte di Gige. Ora, è opportuna una premessa. L'Egitto è terra di soldati stranieri, che provenissero dalla Grecia, dalrAsia Minore, dai regni di Israele e Giuda, tatto tra Psammetico e i mercenari ioni e cari sarebbe avvenuto proprio quando entrambi 'lavoravano' al servizio degli Assiri: l'ipotesi, sposata da LURAGHI (20 0 6, p. 3 5), è sensata; peraltro, come ricorda lo stesso Luraghi, non abbiamo alcuna testimonianza diretta di mercenari ioni e cari nell'esercito assiro nel corso del VII secolo; LAVELLE (1997, p. 25 3) fa inoltre notare come la Caria non facesse parte del regno di Lidia. Sui rapporti Gige/ Psammetico cfr. anche C O GAN, TADMOR (1977 ). 11. Su Pigres, cfr. KAMMERZELL (199 3, pp. 145-8) : il suo nome compare in una stele da Menfi databile al VI I secolo; è ipotesi ragionevole che si tratti della stessa persona, aggiun­ gendo autorevolezza alla testimonianza di Polieno (cfr. sopra, n. 8).

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dalla Fenicia o da altri luoghi ancora12 Questo elemento va posto tra quelli di lunghissima durata nella millenaria storia del paese. Un tratto che certo ha causato, nei secoli, gravi problemi e conquiste temporanee da parte di stranieri giunti nel paese del Nilo (per fare un esempio della prima metà del I I millennio, gli Hyksos, le cui vicende sono archetipiche di un com­ portamento che sarà dei mercenari di ogni epoca), ma che nondimeno non è mai stato disconosciuto o abbandonato, almeno fino all"egittizzazione' dei Tolemei dopo il successo di Raphia nel 217, dovuto alle truppe indige­ ne 1 3 . In tale contesto di longue durée, la presenza di Ioni e Cari non desta alcuna sorpresa. I due popoli, per la loro comune provenienza dalrAsia Minore, tendono a sovrapporsi (abbiamo visto come Polieno citi solamen­ te i Cari, che del resto avevano un pedigree mercenario molto più celebrato che non gli Ioni: da qui, forse, la confusione), anche se non dobbiamo dimenticare che, nonostante le affinità, i Cari in Egitto appaiono distinti dagli Ioni: mi riferisco, in primo luogo, all'esistenza del Karikon, il quartie­ re alla periferia nord di Menfi, dove risiedettero a lungo i discendenti dei primi mercenari, chiamati a volte Caromenfiti. Il cimitero del Karikon ha restituito il gruppo più notevole di iscrizioni carie in terra egiziana: altre ne troviamo ad Abu-Simbel, a Buhen, ad Abydos, a Tebe e Sais, per citare solo le più significative 1 4 • Riguardo all'arrivo dei mercenari ioni e cari in terra d'Egitto, dun­ que, - un arrivo che, dobbiamo ricordare, è sostanzialmente coevo alla nascita di relazioni commerciali che diventeranno sempre più impor­ tanti, in parallelo con lo sviluppo di Naucrati1 5 - non è facile scegliere tra la assoluta casualità dell'ingaggio, quale sembra adombrare Erodoto •

, 12. Cfr. anche CAP. 1. Sull argomento, cfr. in generale SPALINGER (2004) ; più specifico in relazione alla XXVI dinastia KAHN (2007 ). 1 3. Su Raphia e le sue conseguenze, tema lontanissimo dai nostri confini cronologici, è sufficiente rimandare a WILL (1979-82, II, pp. 37-44), da cui traggo anche l'espressione 'egittizzarsi' ( « s'égyptianiser », p. 42) . 14. Sui Caromenfiti, cfr. Hdt. II 15 1-154. Sulla documentazione archeologica ed epigrafica relativa alla presenza caria in Egitto, cfr. KAMMERZELL (199 3); RAY (199 5). Sui Cari in generale, cfr. più avanti, CAP. 17, pp. 409-11. 15. I ritrovamenti archeologici del sito di Naucrati suggeriscono per la sua fondazione una data intorno al 620; ma quanto narra Strabone (xvII 1.1 8 801-2c, cui va aggiunto Aristagora di Mileto FGrHist 608 F 8) su una fase precedente alla fondazione della città, con l'arrivo dei Milesi su trenta navi e la fortificazione del Milesion Teichos, lascia supporre che i contatti fossero già stati stabiliti almeno una generazione prima. Su Naucrati, cfr. SULLIVAN (1996); MOLLER (20 00 ).

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(casualità che però ci insegna moltissimo: vedremo nel CAP. 9 come la contiguità tra mercenari, commercianti e pirati sia tipica della presen­ za greca in Oriente durante l'epoca arcaica), la mediazione di Gige, che prospetterebbe un servizio in qualità di sudditi del re lidio, i quali non potevano rifiutarsi di prestare la loro opera là dove quest'ultimo aveva deciso di inviarli e, infine, la visione priva di sfumature che leggiamo in Diodoro Siculo, quasi a intravedere un vero e proprio mercenariato ante litteram. L'ambiguità è la cifra di un mestiere che ancora non esiste, in quanto non è definito con esattezza.

I mercenari greci durante la XXVI dinastia: le fonti letterarie Dopo questa prima fase, le testimonianze letterarie sulla presenza di soldati greci in Egitto durante la dinastia saitica sono frammentarie e solo in parte supplite da una relativamente ricca documentazione archeologica ed epigra­ fica che si data, tranne qualche eccezione, a partire dagl'inizi del VI secolo. Racconta Erodoto (11 154.1-3) che Psammetico, appena salito sul trono, . ' . .. sistemo 1 mercenari 1n luoghi uno di fronte all'altro, con il Nilo in mezzo, e pose ad essi il nome di Ac­ campamenti (Stratopeda) ; [ ... ] Gli Ioni e i Cari abitarono lì per molto tempo: que­ sti luoghi si trovano verso il mare, al di sotto della città di Bubastis, sulla bocca del Nilo chiamata pelusica. Più tardi, però, il re Amasi li spostò e li trasferì a Menfi, facendone la propria guardia del corpo contro gli Egiziani.

Lo stesso Erodoto (11 30) in precedenza riporta che i soldati di stanza ad Elefantina (ben 240.000!), non ancora congedati dopo tre anni consecu­ tivi di servizio, si ammutinarono e disertarono in massa in Etiopia 16 • Essi furono chiamati Asmach, il cui significato sarebbe , un'interpretazione considerata oggi attendibile, anche se sono state proposte altre etimologie 1 7 • Essa consente anche un collegamento - non sappiamo se già esistente all'origine - con una notizia di Diodoro (1 67.2-3), relativa a una rivolta di soldati egiziani, che avrebbe 1 6. Cfr. LLOYD ( 1976, pp. 1 25-3 1 ) . 17. GRIFFITHS (19 55, pp. 1 44-9 ) ritiene quello di 'sinistra' un « secondary meaning» di

origine popolare, mentre il principale sarebbe quello di « those who forget (their Lord, Pharaoh) » e quindi 'disertori:

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avuto come motivo scatenante l'onore concesso ai mercenari greci, in occa­ sione di una battaglia durante una campagna in Siria, di schierarsi sul lato destro, tradizionalmente quello di maggior prestigio. In un testo egiziano posteriore di qualche decennio (regno di Aprie), relativo ancora una volta alla guarnigione di Elefantina, il generale egi­ ziano Nesuhor racconta di come riuscì a bloccare una rivolta di merce­ nari stranieri - fra i quali c'erano Greci e Asiatici - e a inviare i ribelli al faraone perché fossero puniti secondo giustizia 18 : il che ci consente quantomeno di affermare che le ribellioni di guarnigioni di frontiera non dovevano essere un fenomeno insolito. L'ammutinamento narrato da Erodoto è quindi verosimile: altrettanto non si può dire del numero dei soldati coinvolti. Ciò che a noi più interessa è comunque il motivo della ribellione delle truppe di Elefantina. C'è molta fiducia, non so quanto ben riposta, nell'ac­ cettare il racconto di Diodoro, che indica nell'insofferenza per il tratta­ mento di favore riservato ai mercenari greci il motivo della ribellione delle truppe indigene. Nondimeno, è opportuno notare che: - la rivolta di una guarnigione che presta servizio in luoghi disagiati per molto tempo - così come avviene per l'ammutinamento narrato nella stele di Nesuhor - è del tutto naturale e non è necessario cercare una motivazio­ ne più complessa; - la narrazione di Diodoro appare più che altro un racconto eziologico basato su Erodoto e la sua etimologia di Asmach. L'applicazione agli Egi­ ziani di un dato legato al mondo greco e il rigido impiego di convenzioni oplitiche a una realtà più variegata, in cui le truppe mercenarie greche erano le uniche ad avere un armamento oplitico, non appare convin­ cente, anche se - a quanto sembra - gli Egiziani, non diversamente dai Greci, tendevano genericamente a privilegiare la destra sulla sinistra (ma non sul centro) 1 9 • Anche il successore di Psammetico I , Necao I I , impiegò mercenari greci: Erodoto e le altre fonti letterarie non ne parlano, ma i ritrova­ menti di Karkemish, ai quali accenneremo più avanti, e la dedica che il 1 8. Stele di Nesuhor: testo inglese in BREASTED (1927, pp. 507-8); cfr. PORTEN (19 68, pp. 14-5). È quasi escluso che la stele di Edfu, forse risalente al regno di Psammetico I, possa riferirsi alla rivolta : cfr. JAME S (1991, p. 727 ). 1 9. GRIFFITHS (19 55) ricorda p. es. l'uso, nella rappresentazione di una triade di personag­ gi, di mettere quello più di rilievo al centro e il secondo in ordine d'importanza a destra.

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faraone fece di un'armatura greca al tempio di Apollo dei Branchidai, vicino a Mileto, nei primi anni del suo regno (Hdt. II 159.3) sono indizi consistenti 20 • Un capitolo a parte è costituito dall'interesse del faraone per il mare e per lo sviluppo di una politica di potenza marittima, testimoniato da tre avvenimenti: il tentativo, peraltro fallito, di costruire un canale che congiungesse il Nilo al Mar Rosso (Hdt. II 158); una spedizione con ma­ rinai fenici, che avrebbe circumnavigato in tre anni rAfrica (Hdt. IV 4 2) ; la costruzione di una flotta di triremi (Hdt. II 159), il cui primo, effetti­ vo impiego cadrà sotto il regno di Aprie, con l'assedio di T iro (Hdt. 11 161) 21 È quest'ultimo punto che ci riguarda più direttamente: infatti, è plausibile che, per la costruzione delle navi e tutta la complessa organiz­ zazione necessaria all'allestimento di una flotta da guerra, Necao si sia servito della collaborazione di alcuni fra i suoi mercenari greci, che, per il fatto di provenire da città marinare, dovevano avere una buona espe­ rienza di tali problemi. Oltre che di Greci, il faraone può essersi servito di Fenici: il legno con cui vennero costruite proveniva quasi sicuramente dalle foreste del Libano; le due alternative comunque non si escludono a vicenda. Dopo il breve regno di Psammetico II, durante il quale avviene la spe­ dizione in Nubia, su cui le testimonianze epigrafiche, che affronteremo in seguito, sono le più importanti, i mercenari greci sono protagonisti anche nello scontro che, intorno al 5 70, vide Amasi subentrare ad Aprie. In Ero­ doto (11 163 e 169), Amasi è il campione dei soldati indigeni, mentre Aprie affida la propria sorte a un esercito composto interamente da mercenari ioni e cari, in numero di ben 30.000. Nello scontro, avvenuto a Momenfi, > . •

20. Sulle poche notizie relative a dediche dei faraoni saitici nei santuari greci, cfr. KA­ PLAN (2006, p. 134). 21. Un buon riassunto in JAMES (1991, pp. 720-6). Sul canale tra il Mar Rosso e il Nilo, cfr. LLOYD (1977). Sulla spedizione destinata a circumnavigare l�frica, gli studi attuali tendono, al contrario dello stesso Erodoto, a dare credito alla realtà storica della spedizione; cfr. in breve CORCELLA (1993, pp. 265-6). Sulla flotta di triremi, la questione è dibattuta, soprat­ tutto perché non conosciamo la data esatta dell' invenzione della trireme (alle tesi ribassiste di WALLINGA, 1992 viene oggi dato più credito che in passato), la quale conobbe un pieno sviluppo solo dopo la metà del VI secolo. Cfr. LLOYD (2000 ). Sul possibile impiego di Greci per l' allestimento della flotta, cfr. PERNIGOTTI (2001, pp. 38-9).

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La narrazione erodotea della lotta tra Aprie e Amasi lascia irrisolti nu­ merosi problemi, solo in parte chiariti dalla stele di Amasi, il testo egiziano più importante del periodo, e da vari testi cuneiformi connessi con la vi­ cenda Per quanto concerne l'impiego di mercenari, mentre la già ricor­ data stele di Nesuhor cita, oltre a Haunebu, cioè Greci in genere (ma an­ che i Cari, p. es., erano inclusi nella denominazione), mercenari di origine asiatica, nella stele di Amasi vengono menzionati, dalla parte di Aprie, solo Haunebu 23. A complicare le cose, rileviamo che i testi cuneiformi sembra­ no accennare alla presenza di Greci anche dalla parte di Amasi. L'atteggiamento di Amasi nei confronti dei Greci non fu, almeno in un secondo tempo, ostile. Al momento della battaglia decisiva per l'indipen­ denza egiziana, combattuta pochi mesi dopo la morte di Amasi (525) dal giovane Psammetico III , il nerbo dell'esercito egiziano è ancora una volta costituito da mercenari ioni e cari: i superstiti passeranno al servizio del vincitore persiano (Hdt. III 11; Diod. X 14. 2; cfr. CAP. 10 ) . 2 2.

Le fonti archeolo g iche Tell-Defenneh È un sito sul ramo pelusico del Delta del Nilo, quello più orientale, non lontano dall'odierno Canale di Suez; Sir Flinders Petrie, in scavi condot­ ti negli anni ottanta del XIX secolo, vi mise in luce un grosso edificio di forma quadrata, contornato da altre strutture, destinate ad attività com­ merciali o 'civili' La ceramica ritrovata sul sito testimonia una presenza greca, in gran parte micrasiatica e in particolare di Clazomene, soprattutto durante il regno di Amasi, anche se alcuni frammenti risalgono all'ultimo quarto del VII secolo; non si può comunque escludere che si tratti di ce­ ramica prodotta in Egitto. Il luogo sembra essere stato abbandonato all'e­ poca della conquista persiana, nel 525. Va segnalata la presenza di armi, fra cui un cospicuo numero di punte di frecce e di materiale di bronzo e ferro 24 •

22. Un'analisi della stele di Amasi in E DEL ( 1978); cfr. anche LLOYD (19 88a, pp. 178-8 0 ). Testi cuneiformi: Ancient Near Eastern Texts Relating to the Old Testament [ANET ] , Prin­ ceton 1969 3 ( ed. J. B. Pritchard), p. 30 8. 23. Sugli Haunebu nei testi egiziani cfr. VERC O UTTER ( 1947-49 ). 24. PETR IE ( 1 8 8 8, pp. 47-96 ).

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MERCENARI

grezzo, destinato a essere lavorato sul posto. Ci troviamo verosimilmente di fronte a un forte destinato a ospitare una guarnigione militare: secon­ do l'ipotesi dello scavatore, esso era in grado di accogliere non meno di 20. 0 0 0 persone. Erodoto cita, fra le guarnigioni militari installate sotto il regno di Psammetico I , oltre quella di Elefantina a sud (contro il pericolo nubia­ no) e quella meno conosciuta di Marea a Occidente (contro la Libia), quella di Daphnae ad Oriente, > ( 1 1 3 0. 2 ) . Inol­ tre, nel già citato passo in cui parla della sistemazione offerta ai merce­ nari ioni e cari, cita gli Stratopeda, situati nel ramo pelusico, nella zona orientale del Delta ( 1 1 154. 1-3). Il gioco dell'identificazione del sito di Tell-Defenneh con una (o due) delle guarnigioni indicate da Erodoto è aperto. Anche per la similarità dei due nomi, quasi tutti gli studiosi con­ cordano nell'identificare Tell-Defenneh con Daphnae. Molti più dubbi sussistevano per compiere l'ulteriore identificazione di Daphnae (e quin­ di di Tell-Defenneh) con gli Stratopeda, o meglio con uno di essi. So­ prattutto si opponeva la circostanza che Erodoto dichiarasse che Amasi aveva trasferito i mercenari ivi residenti a Menfi, per farne la sua guar­ dia del corpo, mentre, come abbiamo visto, è proprio all'epoca di Amasi che il sito conobbe la sua vita più intensa. La scoperta, sempre sul ramo pelusico del Delta, ma 20 km più a nord e sul lato opposto del fiume, di un'altra costruzione di forma quadrangolare molto simile a quella di Tell-Defenneh, Migdol 2 5 , abitata nel corso del VI secolo da Greci, sembra consentire la riproduzione della topografia erodotea dei due forti situati uno di fronte all'altro, e quindi ha rilanciato l'identificazione di Tell­ Defenneh con uno degli Stratopeda. Accettando tale identificazione, si dovrà ammettere o che Erodoto si è sbagliato a proposito della cronolo­ gia dell'occupazione del sito, o che Amasi, dopo aver temporaneamente svuotato le postazioni, le abbia poi nuovamente utilizzate poco tempo dopo, in vista del pericolo persiano: in tal caso Erodoto avrebbe igno­ rato l'ultima fase. La seconda ipotesi sembra la più attendibile: appare infatti poco sensato che Amasi abbia lasciato sguarnito per lungo tempo, nella frontiera egiziana, quello che da sempre era il punto d'accesso più 25. Il sito andrebbe più correttamente identificato con il nome egiziano Tel1 el-Her, es­ sendo Migdol un « terme sémitique désignant une fortification » (Q.UAE GEBEUR, 1 9 9 0, p. 264 n. 9 ), qualcosa di molto simile agli Stratopeda erodotei. Sugli scavi, cfr. O REN (19 84) ; NIEMEIER ( 2 0 0 1, p. 22).

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vulnerabile e più praticato da quanti, nel corso dei millenni, avevano avuto intenzione di invadere l'Egitto26 • Mezad Hashavyahu Si tratta di un edificio a forma di L rovesciata, di circa 6.000 mq di super­ ficie, individuato nel corso di scavi eseguiti agli inizi degli anni sessanta in Israele, nei pressi dell'antica Ashdod, vicino all'odierna Tel Aviv 27 • La cera­ mica ivi rinvenuta ha permesso di riconoscervi, per il breve periodo che va dal 630-625 circa al 600, la presenza di Greci micrasiatici. La costruzione sembra avere un carattere militare, confermato dall'esistenza al suo interno (stanza 8) di una fornace per la lavorazione del ferro. Non è possibile stabi­ lire con certezza al servizio di chi fossero i soldati: l'ipotesi più verosimile - anche se non avallata da alcun indizio ricavabile dal materiale di scavo è che ci si trovi in presenza di una guarnigione egiziana di Psammetico I e poi di Necao II, abbandonata intorno al 605, in seguito all'arrivo dei Babilonesi nella zona28 • Karkemish Nella città neo-hittita di Karkemish, incendiata e distrutta durante l' as­ sedio di Nabucodonosor del 605-604, venne rinvenuto, in una bella casa (House D, angolo N-W, stanza 6) uno splendido scudo circolare di bronzo, del diametro di circa 70 cm, con al centro una testa di Gorgone, di fattura tipicamente greca, la cui data di fabbricazione non dovrebbe essere lontana dalla metà del VII secolo. Gli oggetti rinvenuti nelle varie stanze, oltre a testimoniare drammaticamente la battaglia che vi si svol-

26. LLOYD (1988a, p. 137) accetta la doppia identificazione, che era già stata proposta un secolo prima da Petrie. Contrari invece, p. es., AUSTIN (1970, p. 20 ); BOARDMAN (1986, P· 144). 27. NAVEH (1962); HAIDER (1996, pp. 75-6); NIEMEIER (2001, p. 16). 28. BOARDMAN (1986, p. 54); NAVEH (1962, pp. 98-9) ritiene che la fortezza sia stata ab­ bandonata pochi anni prima, quando l'esercito di Necao si spinse verso nord nella sfortunata campagna di Siria, e che essa sia caduta in seguito, sia pure per poco tempo, in mano al re Giosué di Giuda; contra AUSTIN (1970, p. 53 n. 1), secondo il quale i mercenari erano al servi­ zio del regno di Giuda fin dagl' inizi della vita della fortezza, un'ipotesi più convincente, poi elaborata da WENNING (1989, pp. 182-92) e accettata da NIEMEIER (2001, p. 23).

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MERCENARI

se - ci sono, per esempio, centinaia e centinaia di punte di frecce sparse sul pavimento delle varie stanze - mostrano che il proprietario, forse un alto dignitario della città, aveva stretti contatti, e al più alto livello, con l'Egitto: cartigli di Psammetico II e Necao II, oggetti d'arte egiziani ne sono una prova sufficiente. Se si aggiunge a questo ritrovamento an­ che quello di uno schiniere, in un'altra zona della città, presso la porta ovest, di ottima fattura greca, si può supporre che tali oggetti siano stati abbandonati da mercenari greci al servizio degli Egiziani, al momento dell'entrata in città dell'esercito neo-babilonese. Nulla esclude però che lo scudo, di pregevole fattura, si trovasse nella casa del dignitario come trofeo personale, come oggetto da collezione o persino come prodotto di qualche scambio commerciale2 9 •

Le fonti ep igrafiche Le iscrizioni di Abu-Simbel Nel passare dal grande tempio rupestre di Abu-Simbel, capolavoro archi­ tettonico della XIX dinastia, alcuni soldati di lingua greca che partecipa­ vano alla spedizione nubiana del re Psammetico II, nel 593, lasciarono un segno della loro presenza, incidendo, non diversamente dai turisti odierni, la loro firma o un messaggio sulla gamba sinistra di una delle due statue colossali di Ramses II che segnano l'ingresso del tempio, quella posta a sud della porta ( una sola iscrizione è posta sulla gamba sinistra del!'altra statua): tali testi costituiscono una testimonianza di eccezionale vivezza, oltre che un documento fondamentale per la storia dell'alfabetismo nel mondo greco3 0 •

29. Cfr. WOOLLEY (1921, pp. 123-9 ) ; NIEMEIER (2001, pp. 19-20 ). 30. Testi in BERNAND, MASSON (1957 ); ML 7; cfr. SAUNERON, YOYOTTE (1952); PERNI­ GOTTI (1999, pp. 5 3-74); HAUBEN (2001); VITTMANN (2003, pp. 200-2); KAHN (2007, pp. 507-8 ). La datazione al 59 3 è probabilmente corretta, ma esistono margini per spostarla al 591. Alla spedizione partecipavano anche mercenari cari e fenici (e forse anche provenienti dalla Giudea: KAHN, 2007, p. 508) che hanno lasciato anch'essi tracce del loro passaggio: cfr. KAMMERZELL (1993, pp. 16-7) per le iscrizioni carie; BRESCIANI (1987) per quelle fenicie. Soldati stranieri, provenienti dal Medio Oriente, dalrAsia e dalla Grecia sono citati anche in una statua dedicata da un ufficiale egiziano a Elefantina, che evoca l'intervento della divinità per sedare le rivolte causate dagli stranieri: cfr. NIEMEIER (2001, p. 18).

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Complessivamente, nelle varie iscrizioni sono conservati i nomi di . nove mercenari: Anaxanor di Ialysos, nell'isola di Rodi; Archon, figlio di Amoibichos, di probabile origine dorica; Elesibios, dell'isola di Teo; Krithis, di origine sconosciuta; Pa(m)bis di Colofone; Peleqos, figlio di Oudamos, il cui nome è probabilmente cario3 1 ; Psammetico (Psammetichos), figlio di Theokles, forse di origine dorica, citato anche nell'iscrizione di Pabis; Python, figlio di Amoibichos, forse fratello di Archon ( cfr. sopra); - Telephos di Ialysos, nell'isola di Rodi. A questi nomi va aggiunto, con ogni probabilità, quello di un altro par­ tecipante alla spedizione, il quale lasciò graffito il proprio nome, A}nori­ das, che ne tradisce l'origine dorica, poco più a sud, nel tempio di Tutmosis III a Buhen, nei pressi della Seconda Cataratta3 2 • L'origine micrasiatica dei mercenari è confermata; l'elemento dorico sembra preminente su quello ionico. Particolarmente interessante è l'ipo­ tesi (quasi certa nel caso di Psammetico, figlio di Theokles, non impossi­ bile nel caso dei nomi privi di etnico) che alcuni di questi mercenari pro­ vengano da famiglie stabilitesi in Egitto da almeno una generazione, nelle quali il mestiere di mercenario si tramandava di padre in figlio. Non si spiegherebbe altrimenti per quale motivo un greco dovrebbe dare al pro­ prio figlio un nome egiziano33 • Cfr. MAS S ON ( 1 9 9 4) : l'ipotesi che fa di Peleqos uno dei tanti nomi 'parlanti' della lingua greca, facendolo derivare da pelekus, 'accetta', con allusione al mestiere delle armi praticato dal nostro uomo, è rifiutata dallo studioso francese sulla base delle numerose at­ testazioni del nome, o di nomi assai simili, rinvenute nella zona caria, fra cui una, recente, scritta nell'alfabeto cario, la cui trascrizione suona appunto plqo. D ILLON ( 1 9 9 7 ) ha peral­ tro rilanciato l'ipotesi secondo la quale il nome è un gioco di parole che potrebbe essere tradotto con: 'Ascia, figlia di... nessuno: addirittura con possibili reminiscenze omeriche. 32. Cfr. MAS S ON ( 1 9 7 6, pp. 3 10 - 1 ) . 3 3. Anche se, come è ben noto, l'ultimo tiranno di Corinto, figlio del fratello di Perian­ dro, si chiamava appunto Psammetico ( cfr. Aristot. Politica v 1 3 1 s b). Interessante l'ipotesi di HERMAN ( 1 9 87, pp. 1 0 1 - 2 ) , secondo il quale Theokles e Psammetico sarebbero stati legati da vincoli di xenia: da qui l'assegnazione al figlio del nome dello xenos. Il legame si porrebbe quindi a livello più alto che non un semplice ingaggio di mercenari. Quella della xenia è una traccia che attraversa la storia del mercenariato arcaico ( cfr. C AP. 1 ) ; la ritrove­ remo nei rapporti tra Ciro e i suoi generali narrati dall'Anabasi senofontea (cfr. C AP. 1 1 ) . 3 1.

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MERCENARI

L'iscrizione più lunga e importante del gruppo (BERNAND-MASSON, 1957 n. 1; cfr. ML 7a) fornisce ragguagli interessanti sull'organizzazione delle truppe mercenarie nell'esercito egiziano: Essendo il re Psammetico giunto fino ad Elefantina, scrissero questo coloro che avevano navigato insieme a Psammetico figlio di Theokles ed erano giunti oltre Kerkis, fin dove il fiume lo permetteva. Comandava coloro che parlavano lingue straniere Potasimto, mentre gli Egiziani erano sotto il comando di Amasis ; mi ha scritto Archon figlio di Amoibichos e Peleqos figlio di Oudamos.

I mercenari - non solo i contingenti greci, ma anche quelli cari e semitici designati sotto il nome generico alloglossoi, lo stesso impiegato da Erodoto (11 154.4) per indicare gli Ioni e i Cari di Psammetico I, militavano sotto il comando di un generale egiziano: nella spedizione nubiana, questi era Potasimto, un personaggio di grande rilievo, che ritroviamo sovente nelle fonti egiziane34• Non è ben chiaro se il comandante dei mercenari fosse a sua volta subordinato al comandante in capo delle truppe egiziane, l�ma­ sis del nostro documento, o se invece si debba pensare a un comando con­ giunto. Altrettanto incerto è il ruolo di Psammetico, figlio di Theokles: comandante della flotta e responsabile, quindi, della navigazione lungo il Nilo o semplice ufficiale di rango inferiore, al quale facevano capo i soldati che incisero il messaggio? La seconda ipotesi è più probabile, poiché la pri­ ma attribuirebbe un ruolo di eccessiva importanza a un mercenario greco di seconda generazione35 • L'iscrizione di Pedon Fra la fine del VII e gli inizi del VI secolo un certo Pedon, figlio di Amphin­ neos, dedica una piccola statua di basalto, di fattura tipicamente egiziana, nella nativa Priene, in Asia Minore. Sulla parte anteriore della statuetta, è conservata un'iscrizione bustrofedica in alfabeto ionico:

3 4. Cfr. YOYOTTE ( 1 9 5 3 ) ; PERNI G O TTI ( 1 9 6 8). Per la figu ra di un altro comandante di alto rango di truppe mercenarie, dell'epoca di Psammetico I, cfr. DE MEULENAERE ( 1 9 6 5 ) ;

altri comandanti di Haunebu ( Greci) sono citati da E. Bresciani in AMPOLO, BRESCIANI ( 1 9 88, p. 247 ). 3 5. Discussione approfondita del problema in PERNI G O TTI ( 1 9 9 3 , pp. 1 29-31 ), che pro­ pende per la seconda ipotesi.

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Pedon, figlio di Amphinneos, mi ha dedicato, avendomi portato dall'Egitto: a lui il re egiziano Psammetico come premi per le sue imprese donò un bracciale d'oro e una città per il suo valore 3 6 •

Pedon, attraverso l'espediente, comunissimo in età arcaica, di far parlare la statua stessa, rimarca per ben due volte le proprie doti militari: è grazie a queste capacità che avrebbe ricevuto dal re Psammetico il bracciale d'oro e la città; sulrinterpretazione di quest'ultima affermazione non mancano le discussioni37 • Pedon appartiene, con ogni probabilità, alla generazione successiva agli di Psammetico I : che egli possa aver partecipato alla spedizione nubiana di Psammetico II ( cfr. sopra) in qualità di coman­ dante greco dei mercenari del suo paese è però un'illazione sostanzialmen­ te priva di basi3 8 • Il suo esempio mostra come i mercenari siano stati un veicolo fondamentale di diffusione di oggetti d'arte, nonché di modelli culturali egiziani nella Grecia micrasiatica; mostra altresì come alcuni di essi, pur recependo rapidamente tali modelli, mantennero vivi i contatti con le poleis d'origine e i valori aristocratici di aristeia con i quali erano partiti, resistendo a una completa assimilazione3 9 •

3 6. Per il testo cfr. Supplementum Epigraphicum Graecum (sEG) XXXVII nr. 994; AMPO ­ L O , BRE S C IANI (19 88); MASSON, YOYOTTE (19 8 8) ; da tenere presenti anche le osserva­ zioni di PERNI GOTTI (1993, pp. 1 32-5). Per i problemi cronologici, secondo C. Ampolo (cfr. AMPOLO, B RE S C IANI , 1 9 88, pp. 239-40 ), lo Psammetico dell'iscrizione può essere il primo come il secondo; più certi nell'attribuzione a Psammetico I, e in generale più propensi ad una datazione alta, MAS S ON, YOYOTTE (19 8 8), soprattutto sulla base della datazione della statuetta egiziana. 37. Sul bracciale, cfr. AMP OLO, B RES CIANI ( 1988, p. 249 ) : non deve essere inteso come dono ornamentale, ma piuttosto come forma particolare di pagamento in uso presso la corte egiziana; sulla polis e sulle ipotesi relative al significato di questo termine in tale contesto cfr. YOYOTTE (19 5 3, pp. 178-9 ), propenso ad accettare letteralmente il contenuto dell'iscrizione e a sottolineare l'integrazione di Pedon nella società egiziana; dello stesso avviso PERNI GOTTI (2001, p. 43) ; ma cfr. Ampolo (AMPOLO, BRESCIANI, 19 88, p. 241), giustamente molto più prudente. 3 8. Viene però sostenuta con una certa convinzione da PERNI G O TTI (2001, pp. 41-2). 3 9. Cfr., in generale, B OARD MAN (19 8 6, pp. 120-2) ; per la diffusione di oggetti egi­ ziani - connessa forse al ritorno in patria di mercenari - in uno dei siti più importanti della zona micrasiatica, Samo, cfr. S H I PLEY ( 1 9 87, pp. 5 6-7; 8 5 ) ; per una statuetta egiziana con iscrizione greca, ritrovata a Camiro, nell'isola di Rodi, e databile alla metà del VI secolo, cfr. B OARD M AN (19 8 6, p. 1 5 3 e fìg. 1 67) ; JEFFERY ( 1 9 9 0, p. 3 5 6 e pl. 67, nr. 10 ).

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MERCENARI

Conclusioni La dinastia saitica, nel tentativo di rafforzare il suo debole status in un mondo in cui l'Egitto aveva ormai da tempo cessato di esercitare una po­ sizione dominante, accentuò un tratto caratteristico della storia militare egiziana, il ricorso a mercenari stranieri. La scelta si rivelò vincente, an­ che se esasperò i problemi di equilibrio tra indigeni e stranieri connessi a tale pratica, come dimostra la guerra civile sorta tra Aprie e Amasi. In una prospettiva ellenocentrica, il ruolo dei mercenari greci ( e cari: le fonti egiziane, comprensibilmente, non fanno distinzione tra i due gruppi et­ nici) nelle vicende della XXVI dinastia viene talvolta esaltato oltre misura, sottovalutando, per esempio, la presenza di contingenti mercenari di altri paesi, in particolare Ebrei e Fenici4 0 • Con tutto ciò, è innegabile l'impatto che la loro presenza ebbe sulla storia egiziana; a questo proposito resta aperta una serie di problemi. In primo luogo, non è chiara la collocazione dei mercenari micrasiatici che contribuirono alla vittoria di Psammetico all'interno delle forze mili­ tari egiziane. In un primo tempo, essi appaiono come contingenti indipen­ denti, il cui legame con il potere centrale egiziano è assicurato solamente da figure di interpreti che Psammetico I si era premurato di addestrare (Hdt. II 154). In una fase successiva, dopo la fine del lungo regno del fon­ datore della XXVI dinastia, è probabile che essi si siano inseriti in modo più strutturale nelle forze armate egiziane, con un generale egiziano preposto al loro comando. In un contesto così lontano dal mondo greco, ritroviamo dunque una dinamica che si presenta spesso nella storia del mercenariato, riassumibile con una semplice domanda: qual è il grado di autonomia che si può ( o si deve) dare ai mercenari che vengono ingaggiati? Dal punto di vista dell'armamento, si dà per scontato, sulla base del rac­ conto erodoteo, che i mercenari micrasiatici fossero opliti. In realtà, non esistono testimonianze probanti in questo senso4 1 • Gli 'opliti' micrasiatici 40. Sui mercenari ebrei, oltre alle pagine di MOMIGLIANO (1980, pp. 78-80 ), cfr. KAHN (2007 ). L'interpretazione della Lettera dJJ.ristea (sp. § 13) è controversa; non è possibile stabilire con certezza se si riferisca all'invio di mercenari ebrei a Psammetico I o a Psamme­ tico II : cfr. KAHN (2007 ). Sui mercenari fenici, attestati nelle iscrizioni di Abu-Simbel e probabilmente sulla stele di Nesuhor, cfr. BRESCIANI (19 87 ). 41. Non ritengo che l'espressione di Hdt. II 163 ( «Aprie hoplize tous epikourous » ) sia da intendersi in senso letterale ( «Aprie armò i suoi epikouroi come opliti» ) ; meglio attestarsi su una traduzione generica, del tipo «Aprie armò (preparò) i suoi epikouroi» .

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operavano accanto, o in sostituzione di una fanteria locale armata alla leg­ gera o non armata affatto, priva di una vera tradizione; non c'è dubbio che il loro livello di specializzazione e di efficienza fosse elevato. Nondimeno, nella prima metà del VII secolo, è problematico immaginare falangi opliti­ che armate di tutto punto e altrettanto problematico supporre un tipo di armamento standardizzato. Uno dei problemi fondamentali è quello del numero dei Greci e Cari coinvolti. Nella storia del mercenariato arcaico, i mercenari in Egitto sono visti come una vistosa contraddizione con l'ipotesi di un mercenariato, tutto sommato, di élite ( cfr. oltre, CAP. 9 ). Alla base di tale convinzione sta, come abbiamo visto, il passo di Erodoto ( 1 1 16 3 . 1) che parla di 3 0. 0 0 0 epikouroi al seguito dell'esercito di Aprie in marcia contro Amasi. Mettere in dubbio le cifre di Erodoto non è impresa difficile4 2.; ma l'evidenza ar­ cheologica sembra confermare una presenza massiccia, più o meno sullo stesso ordine di grandezza, come abbiamo visto per Tell-Defenneh, forse da identificarsi con gli Stratopeda erodotei. Dal punto di vista egiziano, si tratta di un contingente assai grande, nonostante le iperboliche cifre sui guerrieri professionali egiziani fornite da Erodoto (11 16 5 e 166 ) : quando l'Egitto era assai più potente, circa sette secoli prima, nella più celebre delle battaglie del Vicino Oriente del 1 1 mil­ lennio, a Qadesh, la fanteria egizia non superava i 20.0 0 0 uomini. Ma il numero appare ancor più notevole visto dal lato greco, tenendo conto di quella che sarà la storia successiva del mercenariato, raramente in grado di offrire grandezze simili. E molto grande rimane anche tenendo conto della realtà sociale e demografica delle poleis d�sia Minore. Con tutto ciò, non abbiamo modo di confermare la cifra di 3 0.0 0 0 : prudente­ mente, ci limiteremo ad affermare che la cifra era a 4 zeri e non a 3: qualsia­ si altra precisazione appare fuori luogo. Oswyn Murray (MURRAY, 19 96 , pp. 28 0-6 ) vede nel mercenaria­ to una risposta ai problemi demografici dei centri piccoli, più arretrati, delrAsia Minore, che non erano riusciti a dedurre colonie. Il parallelismo

42. Cfr. LLOYD (1988b, p. 41) che ricorda, per sottolinearne l'inattendibilità, il frequente impiego da parte di Erodoto dei numeri multipli di 3. Lo stesso Hdt. II 180, quando af­ ferma che i Greci d'Egitto al tempo di Amasi contribuirono alla ricostruzione del tempio di Delfi con la somma - estremamente modesta - di 20 mine (2.000 dracme), fornirebbe un indizio a favore di una non eccessiva consistenza dell'elemento greco in Egitto; LLOYD (19 8 8a, p. 233) pensa però a un errore dello storico, ed è difficile dargli torto.

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colonizzazione/mercenariato, con il secondo come alternativa alla prima, non è nuovo43 : il suggerimento, rafforzato dalla circostanza che i mercena­ ri venivano compensati con terre da coltivare, raggiungendo una condizio­ ne uguale a quella dei coloni di ogni zona del Mediterraneo, è interessante, anche se non dimostrabile. L'Egitto, insomma, era una terra promessa per molti Greci, il cui nume­ ro è in crescita con l'aumentare dell'importanza commerciale di Naucrati nel corso del VI secolo. Dibattuto è il tema dell'identità culturale di questi uomini: alcuni, come Pedon o come lo stesso Alceo che, secondo la tradi­ zione, avrebbe visitato l'Egitto, presumibilmente come mercenario (Alceo fr. 42 Voigt = Strab. I 2.30 37c), non vennero assimilati. Molti, certo, saran­ no rimasti a coltivare le terre offerte dal faraone in cambio del loro servi­ zio; ma per un Theokles che resta e dà a suo figlio il nome di Psammetico, c'è un Pedon che torna in patria a immortalare sulla pietra la sua avventura e a gloriarsi presso i concittadini dei suoi successi: non per tutti il viaggio in Egitto escludeva un fortunato ritorno.

43. Cfr. p. es. AUSTIN (1970 ). Sempre MURRAY ( 1 9 9 6, pp. 284-5) ipotizza che i grandi

centri religiosi micrasiatici ser vissero da centri di reclutamento, e che questo fosse uno dei motivi che spingevano i dinasti orientali a farvi offerte generose. Torneremo su questo punto.

8 Egitto : la dominazione persiana ( 5 25-3 30) Il re d'Egitto Achoris, in cattivi rapporti con il re di Persia, radunò un grosso esercito di mercenari: offrendo una paga elevata a chi accettava l'ingaggio e dispensando favori a mol­ ti, rapidamente trovò molti Greci disposti a prendere servi­ zio in vista della campagna. Diod. xv 29. 1

Introduzione Il più importante e prestigioso anello della catena di conquiste persiana, l'Egitto, nei quasi due secoli durante i quali fu inglobato nell'impero ache­ menide, quasi mai fu immune da focolai di rivolta 1 A volte configurabili come veri e propri tentativi di recuperare l'indipendenza, a volte, invece, spiegabili come il prodotto dell'incapacità persiana di tenere sotto con­ trollo tutto il territorio del Delta, senza che però ne conseguisse alcun pe­ ricolo per la sovranità sul paese (pensiamo in particolare ai due Amirteo e, in generale, ai 're delle paludi', specialmente nel IV secolo), i conflitti in Egitto sono endemici e l'unico periodo tranquillo durante il quale i Per­ siani esercitano un controllo senza condizioni, è, per un curioso destino, l'ultimo decennio prima della conquista di Alessandro, dopo il trionfale ingresso di Artaserse I I I a Menfi nella primavera del 342. La scarsa documentazione a nostra disposizione (che aumenta sola­ mente quando in Egitto sono coinvolti Greci 'importanti', come gli Ate­ niesi nella spedizione collegata a Inaro, oppure i 'condottieri' ateniesi e Agesilao nel secolo successivo) non ci consente una ricostruzione pun­ tuale di questi scontri, né, d'altra parte, è questo il compito che ci siamo assegnati. Dal punto di vista militare, si noterà come i combattimenti si svolgano quasi sempre nella zona del Delta e nella zona-cuscinetto dell'attuale Medio Oriente. Le difficoltà strategiche che si presentano ai Persiani e, in genere, agli invasori, sono sempre le stesse, legate come •

(19 88) e LLOYD (1994) uniti insieme forniscono un'ottima sintesi della dominazione persiana in Egitto. Il punto di vista persiano, spesso trascurato, è ricordato adeguatamente da BRI ANT (1996, sp. pp. 62-6; 486-500; 591-4; 620-6; 653-4; 666-74; 682-5; 701-6). 1. RAY

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sono alle caratteristiche fisiche di quelle zone ( deserti, paludi, piene del Nilo), cosicché anche le narrazioni degli eventi militari si ripetono di solito senza molta fantasia, consentendo da una parte di riempire i vuoti di conoscenza con luoghi comuni, dall'altra rendendo dette narrazioni poco attendibili 2·. In effetti, non abbiamo quasi alcun particolare specifi­ co su battaglie e scontri nel corso di tali conflitti. Ci limiteremo dunque a segnalare, senza alcuna pretesa di riempire i numerosi vuoti tra i vari episodi e senza alcuna possibilità di dirimere que­ stioni cronologiche e di altro genere che appaiono sostanzialmente irrisol­ vibili, la presenza di mercenari provenienti dal mondo greco negli eserciti degli Egiziani e dei Persiani. Tale presenza si inserisce senza fratture nel continuum della storia egiziana, nella quale il ricorso a forze straniere è un dato strutturale. Per quanto sia impossibile fornire delle cifre attendibili, essa è tale da rendere la terra del Nilo una delle mete favorite dai Greci, specie nel corso del IV secolo.

Il v secolo Nel v secolo, la rivolta del libico Inaro ( traslitterazione approssimata del nome egiziano lrt-n-Hr-r-w, 'l'occhio di Horus è contro di loro'), suppo­ sto discendente di Psammetico (un evidente motivo propagandistico), è la più importante; scoppiata poco dopo la morte di Serse (465), è nota soprattutto per il coinvolgimento ateniese in una spedizione di cui ci parla anche Tucidide ( 1 104; 109 -110; 112) , il cui esito disastroso non sembra pe­ raltro aver intaccato il potenziale bellico ateniese e l'aggressività della sua politica estera3 . L'impiego di mercenari da parte di Inaro è ricordato solo da Diodoro Siculo (x1 71.4):

Esiste un recente, importante studio della zona che si estende da Gaza al Delta del Nilo, unica via d'ingresso all'Egitto, a partire però dall'età tolemaica: FIGUERA (2000 ). Per il periodo precedente, non conosco nulla di più recente di GARDINER (1920 ). 3. Sulla spedizione ateniese in Egitto, cfr. BIGWOO D (1976) in relazione alla narrazione della rivolta da parte di Ctesia (FGrHist 688 F 14, 36-38); HOLLADAY (19 89 ) ; ROBINSON (1999) e ora, soprattutto, KAHN (200 8), impegnato nel tentativo di 'liberarsi' dell'autorità di Tucidide. La tradizionale cronologia dell'intervento ateniese (460-454) è anticipata di circa 2 anni da Kahn (cfr. lo specchietto a p. 440 ). Altre fonti su Inaro: Diod. XI 71.3-6 ; Hdt. III 12, 15; un accenno a VII 7. 2.

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in un primo tempo, fece ricorso a soldati del proprio paese, in seguito però, racco­ gliendo mercenari stranieri (misthophorous ek alloethnon), mise insieme un con­ siderevole esercito.

Le vicende successive, che coinvolgono il persiano Megabizo, inviato a se­ dare la rivolta, saranno rapidamente ricordate nel CAP. 9. Nel Memnonion di Abydos, città dell'Egitto meridionale non lontana da Tebe, si sono conservate le tracce del passaggio di alcuni Greci, che scolpirono sulle pareti del tempio la propria firma e alcuni messaggi, a volte a sfondo omosessuale4 : troviamo nomi ionici di uomini stabilitisi in Egitto ( T imarchos di Daphnae, nr. 614; Chariandros di Menfi, nr. 53 6) e nomi eolici (Ca'icos di Magnesia, forse sul Sipilo, nr. 427); nomi di Ciprioti di Salamina (Stasioikos, nr. 426; Onasimos, nr. 531) e, so­ prattutto, nomi cretesi: Tharysthenes, nr. 445; Menokles, nr. 446, cui andranno aggiunti Damokritos e Hyperballon, le cui firme sono state più tardi rintracciate nel vicino tempio di Ramses I I 5 • Tutti questi uomi­ ni sarebbero rimasti senza una collocazione storica precisa, se uno di essi non avesse deciso di lasciare una testimonianza più corposa della propria presenza: ci riferiamo all'iscrizione nr. 405, che recita: > . Questo Onasandro, Cretese al pari dei suoi compagni, nativo di Cidonia, si trovava quindi lì come epikouros al servizio di Amirteo, come componente o comandante di una guarnigione che si sarà stanziata per qualche tempo all'interno del tempio. Noi conosciamo due personaggi di nome Amirteo: il più noto è il principe egiziano che, sul finire degli anni cinquanta, si ribellò contro i Persiani, controllando per qualche anno la zona paludosa del Delta occi­ dentale del Nilo. L'altro, Amirteo 'il Saita: forse un discendente del primo, tentò anche lui una ribellione, ottenendo qualche successo tra il 404 e il 398 6 • È probabile, sulla base dello stile dei caratteri del graffito, che la guarnigione abbia operato con il secondo, meno noto, Amirteo, e non

Cfr. PERDRIZE T, LEFEBVRE ( 1 9 1 9 ) : alla loro raccolta si riferiscono i numeri accanto . . a1 nomi. 5 . Cfr. MASSON ( 1 9 7 6 ) . 6. Il primo Amirteo (traslitterazione dell'egiziano Imn-i-ir-di-s, « dono di Amun » ) è ben conosciuto sia da Erodoto (11 1 40 . 2; 111 1 5 . 3 ) , sia da Tucidide (1 1 10. 2; I 1 1 2 . 3-4) ; Amirteo 'il Saita': cfr. Manetho FGrHist 6 0 9 F 2; su di lui, cfr. LLOYD ( 1 9 9 4, p. 3 37 ) . 4.

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col primo. Si tratta in ogni caso di una testimonianza di grande rilievo, generalmente poco considerata, ulteriore prova dell'attività dei mercenari greci in quell'Egitto che li aveva visti protagonisti nei secoli precedenti; a differenza di prima, però, questa volta sono i Cretesi a essere in maggioran­ za, non sappiamo se per puro accidente delle nostre fonti o per una reale predominanza negli effettivi dei mercenari.

Il IV secolo Che il controllo dell'Egitto rimanesse un problema in larga misura inso­ luto per il Gran Re è dimostrato dai due accenni che troviamo nell'Ana­ basi di Senofonte, tanto più significativi quanto apparentemente casuali (Xen. Anab. I I 1.14; 5.13). Il tentativo da parte dell'Egitto di emanciparsi dalla tutela persiana si fa particolarmente deciso con il faraone Achoris, successore di Nepherites I nella XXIX dinastia e salito al trono intorno al 392 7 • Di tale rivolta sappiamo assai poco; viene citata da Isocrate (1v Panegirico 140, redatto nel 380) come esempio della irresolutezza e in. . capacita' persiana: Quando l'Egitto si è ribellato, che cosa ha concluso [scii. il Gran Re] contro i suoi abitanti? Non ha forse impegnato per questa guerra i Persiani più famosi, Abroco­ ma, T itrauste e Farnabazo, e questi, dopo essere rimasti lì per tre anni e aver subito più mali che averne causati, alla fine non si ritirarono in modo così vergognoso che i ribelli non si accontentano più della libertà, ma cercano ormai di allargare il dominio anche sui vicini ?

Le turbolenze in Egitto vanno messe in parallelo, cronologicamente ma non solo, con l'offensiva che tra il 387 e il 381 i Persiani misero in atto contro Evagora a Cipro: quest'ultimo, in effetti, cercò l'alleanza del faraone Achoris (cfr. CAP. 12). È plausibile, per il triennio cui fa riferi­ mento Isocrate, pensare a una data fra il 385 e il 382. Da notare che la 7. Il problema della cronologia degli eventi d'Egitto costituisce una nota crux, che non pretendo di risolvere in questa sede. Si tratta di sincronizzare le narrazioni diodoree, spes­ so accorpate sotto un unico anno e comunque mai affidabili, soprattutto dal punto di vista cronologico, con le scarse attestazioni degli oratori e con le informazioni che ci provengo­ no dai testi egiziani e persiani e non sempre questo è possibile. Seguo sostanzialmente, tra le numerose possibilità, la proposta di LLOYD ( 1 9 94, pp. 3 55-6 0 ).

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data del 385 pone questi avvenimenti immediatamente a ridosso della fine della guerra di Corinto, quando la pace del Re offriva nuovamente spazio per intraprendere nuovi conflitti, sia per quanto riguarda i co­ mandanti, sia per quanto riguarda le truppe da assoldare. Si confronti a questo proposito Diod. xv 38.1, quando parla, dieci anni dopo, di una nuova pace favorita dal Gran Re, perché quest'ultimo > (Diod. xv 43.5). Le proteste dei Persiani, questa volta, non hanno alcun esito, né Ificrate viene in alcun modo punito per la sua fuga. La spedizione non ottiene alcun risultato concreto: i mercenari, per un breve periodo, 9. Da notare come, circa trent'anni dopo, le gesta di Cabria in Egitto ( comprese quelle successive : cfr. più avanti) siano ricordate da Demostene (xx Contro Leptine 76, anno 3 5 4 circa) insieme alle sue imprese ufficiali al servizio di Atene : il che, da un punto di vista formale, è sorprendente. Del tutto incoerentemente, nell'orazione XIX Sull'ambasceria tradita 287, anno 3 4 3 circa, lo stesso Demostene accusa il « ri­ buttante » Nicia (in realtà Filone : cfr. Aeschn. II 1 5 0, con H ARRI S , 1 9 8 6 ) , cognato di Eschine, di « aver venduto se stesso a Cabria in Egitto » . Tra parentesi, il passo ci fornisce una prova di come cittadini ateniesi militassero tra i mercenari reclutati per le guerre d'Egitto.

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vengono posti sotto il comando di tal Mandrocle di Magnesia ( Cornelio Nepote XIV Datarne 5.6) 10 Qualche tempo dopo la fuga di Ificrate, un nuovo tentativo di sfruttare il talento degli strateghi ateniesi viene compiuto dalle autorità persiane: viene infatti ingaggiato T imoteo che, in gravi difficoltà ad Atene, sia poli­ tiche che finanziarie, non può che accogliere con piacere l'ingaggio che il Gran Re gli propone, sempre in Egitto. Del resto, anche se aveva avuto un esito non felice nell'ultima fase, l'amicizia tra Conone, padre di T imoteo, e il Gran Re era un ottimo viatico per considerare con benevolenza anche il figlio. Su T imoteo in Egitto sappiamo pochissimo; ne accenna brevemen­ te Pseudo-Demosth. XLIX 25: •

Si preparava a recarsi presso il Gran Re, imbarcandosi per andare al suo servizio nella guerra contro l'Egitto, in modo da non dover rendere conto della sua stra­ tegia in patria.

La data di partenza di T imoteo per l'Egitto dovrebbe essere l'estate del 37 2; non sappiamo quando il servizio terminò: il rientro ad Atene, attesta­ to con certezza dal 3 67, potrebbe in realtà risalire già al 370 11 La successiva fase dello scontro tra Persia ed Egitto ha come protago­ nista Taco ( egiziano Dd-hr-Djedhor; ci sono oscillazioni nella trascrizione del nome in greco: Tachos è la più comune), successore di Nectanebo I e rimasto sul trono pochi anni, tra il 3 61 e il 358. Ancora una volta, è inevi­ tabile partire da Diodoro che, a xv 92.3 (sotto l'anno 3 62/3 61), ci informa di come Taco, dopo aver preparato 200 triremi ben equipaggiate, 10.000 mercenari greci e 80.000 egiziani, abbia chiamato Agesilao, mentre •

dette il comando della flotta all'ateniese Cabria, che non era stato mandato uffi­ cialmente dalla sua città, ma persuaso in privato dal re ad unirsi alla spedizione.

Ancora una volta, Cabria partecipa a titolo personale, in un momento non facile per la Grecia e per Atene, dopo la battaglia di Mantinea. La grande esperienza del condottiero ateniese - ma in materia finanziaria, non miliUn riassunto dei confusi avvenimenti in P, pp. 10 5-7. Come abbiamo visto nel CAP. 4, p. 1 0 5 , c'è la possibilità che l'ateniese Nicostrato abbia servito tra i mercenari di Ificrate ad 1 0.

Akko.

Cfr. le discussioni in relazione a I G 11 1 1 6 0 9, in cui Timoteo appare come trierarca (1. 1 0 0 ) : BIANC O ( 20 0 7, p. 3 5 ) ; cfr. anche C AP. 4. 1 1.

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tare ! - sembra adombrata da due episodi raccolti dagli Economici dello Pseudo-Aristotele (1 1 25 a-b 135ob-1351a) che testimoniano delle difficoltà di Taco nel reperire denaro per finanziare la spedizione: i problemi na­ scevano soprattutto dall'arcaicità dell'economia egiziana, poco pronta a convertirsi alle nuove esigenze derivate dalla necessità di pagare in moneta i mercenari 12 A destare la massima sensazione è però la partecipazione di Agesilao, allora ottantenne, nel disperato tentativo di ottenere finanziamenti per la sua patria ormai al collasso. L'arrivo di Agesilao in Egitto, così come viene descritto da Plutarco ( Vita diAgesilao 3 6-40; cfr. CAP. S, pp. 165-9), è un bozzetto infarcito di luoghi comuni, in primis quello della fruga­ lità spartana. Ma l'immagine (3 6.7-9) di quest'uomo vecchio, di aspet­ to comune, piccolo di statura, malvestito, che se ne sta seduto da solo, scontroso, sull'erba vicino al mare, è irresistibile. La rivolta di Taco ( e, subito dopo, di Nectanebo) è anche l'unica sulla quale abbiamo qualche vaga narrazione di tipo militare. Agesilao, passato al servizio di Necta­ nebo, si produce in un saggio discorsetto (38.3-4) sull'imprevedibilità di chi combatte senza esperienza e senza professionalità. Sul piano militare vero e proprio, sconfigge le truppe di un re ribelle di Mende con uno stratagemma non particolarmente elaborato, descritto a 39.3-10 ( cfr. an­ che Diod. xv 93.3-5). Alcuni tra i protagonisti muoiono di lì a poco: Artaserse 1 1 ai primi del 358, Agesilao anche prima, nell'inverno del 3 60 ( cfr. CAP. 5, p. 169). L'Egit­ to è ancora lontano dall'essere pacificato. Né hanno successo altri tentativi esperiti nel corso degli anni cinquanta da Artaserse III , di cui abbiamo tracce esili nelle fonti greche 1 3 • Interagisce con la rivolta egiziana, in questi anni, il focolaio scoppiato in Fenicia ( cfr. CAP. 12): veniamo a sapere, infat­ ti (Diod. XVI 42.2) che Tennes, re di Sidone, ricevette dall'Egitto 4.000 •

12. Sul tema, cfr. già WILL (1960 ). Sulla monetazione egiziana dell'epoca, spesso di pessi­ ma qualità, cfr. sopra, n. 8; commento al passo citato dello Pseudo-Aristotele in VALENTE ( 2 0 1 1, pp. 2 2 5 - 3 0 ). 13. Cfr. Isocr. v Filippo 101, in un contesto vago, teso a mettere come sempre in ridicolo le capacità militari del Gran Re. Altrettanto nebuloso l'accenno di Demosth. xv 11-12 (anno 351 circa), che sembra anch'esso alludere a gravi difficoltà di Arcaserse nella riconquista dell'Egitto. Secondo Diod. XVI 48.2 (cfr. XVI 40.3), al comando dei mercenari greci di Nectanebo, nell'occasione, vi erano l'ateniese Diophanthos e lo spartiata Lamios, ai quali viene attribuito il fortunato esito della resistenza ai Persiani. Il primo è citato cursoria­ mente da Isocr. Lett. VIII 8.

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mercenari greci agli ordini di Mentore di Rodi, comandante mercenario, fratello del famoso Memnone, che ritroveremo nella lotta tra l'impero per­ siano e Alessandro. Dopo preparativi assai lunghi e complessi, Artaserse riuscirà a realiz­ zare la reconquista dell'Egitto: un successo tardivo, intervenuto alla fine degli anni quaranta, quando lo stesso impero aveva ormai gli anni con­ tati. Ma si trattò comunque di una vittoria che, sul momento, trasmise un'immagine di grande forza, con il Gran Re che, tra la fine dell'estate del 343 e la primavera del 342, entra finalmente da trionfatore a Men­ fi, mentre Nectanebo 1 1 , l'ultimo avversario, fugge in Nubia. Di tutti questi avvenimenti abbiamo sostanzialmente solo il racconto di Dio­ doro (xvi 46.4-51): una lunga narrazione, nella quale giocano un ruolo spropositato i soldati greci, 20.000 mercenari dalla parte degli Egiziani (xvi 47. 6), almeno 10.000, oltre ai 4.000 mercenari di Mentore citati in precedenza, dalla parte dei Persiani 1 4 • Lo statuto dei 10.000 Greci non viene chiarito, anche se Diodoro (xvi 44.1-4) si sofferma a lungo su di essi: Il Gran Re, che teneva molto a impadronirsi dell'Egitto, in considerazione an­ che della precedente sconfitta, mandò ambasciatori presso le principali città gre­ che, chiedendo di unirsi ai Persiani nella spedizione. Gli Ateniesi e gli Spartani risposero che avrebbero mantenuto l'amicizia con i Persiani, ma si rifiutarono di mandare aiuti. I Tebani invece scelsero come stratego Lacrate e lo inviarono con 1.0 0 0 opliti. Gli Argivi mandarono 3.0 0 0 soldati e non furono loro a scegliere il comandante, ma accontentarono il Gran Re, che aveva espressamente richiesto per tale ruolo Nicostrato [ ... ] . Sulla scia di queste città, anche i Greci della costa asiatica mandarono 6. 0 0 0 soldati: dunque gli alleati (summachous) greci erano complessivamente 1 0. 0 0 0.

Che i Greci citati nel passo fossero mercenari, viene dato in genere per scontato ( perché le città avrebbero dovuto inviare cittadini in Egitto?), anche se nel caso degli Argivi, l'esplicito riferimento a opliti ( ammesso che sia facile definire che cosa sia un oplita nella seconda metà degli anni qua­ ranta) potrebbe rendere l'ipotesi che si trattasse di cittadini non del tutto 14. Mentore verrà poi ricordato in un'iscrizione ateniese del 327 / 326 (1G 11 :z. 3 5 6 = RO, nr. 9 8, IL 30-34) - quindi una quindicina d'anni dopo - per « aver salvato i Greci che stava­ no combattendo in Egitto, quando l'Egitto venne conquistato dai Persiani» : allusione a quanto narrato in Diod. XVI 49-50. Sulla spedizione, cfr. BRI ANT (1996, pp. 70 5; 804-6).

MERCENARI

campata in aria. Da notare che Diodoro gratifica tutti e diecimila dell'ap­ pellativo di alleati, summachoi, il che formalmente è corretto, se si guarda alla natura dei rapporti che intercorrevano tra le poleis nominate e il Gran Re. Quanto ai comandanti, mentre Lacrate non è conosciuto altrimenti, su Nicostrato circolavano al tempo molte storielle sulle sue rodomontate e sulla sua curiosa abitudine di andare in battaglia indossando la pelle di leone tipica dell'immagine di Eracle1 5 •

Conclusioni L'Egitto è una terra grande e ricca, resa ancora più affascinante e degna di ammirazione dal suo eccezionale passato, in grado di garantire una identità fortissima ai suoi abitanti. Dopo la conquista di Cambise, la Persia > ( RAY, 1 9 8 8, p. 28 5 ). Gli eterni scontri tra l'impero conquistatore e gli Egiziani sono illuminati dalle fonti greche solamente quando vengono coinvolti dei Greci. Tale coinvolgimento non desta alcuna sorpresa: in generale, gli Egiziani non sono mai stati rinomati per le loro qualità militari e il ricorso a mercenari costituisce un leitmotiv della loro millenaria storia; dei Persiani si dirà più avanti, ma certo anch'essi si sono serviti costantemente di mercenari greci. Se il ruolo dei Greci è stato importante, non è stato però così decisivo come molte fonti greche (in primo luogo Diodoro Siculo) lasciano inten­ dere, esaltandone a dismisura il ruolo e la supposta perizia militare, tanto più evidente se rapportata agli imbelli soldati orientali. Tale pregiudizio (a leggere il resoconto della conquista dell'Egitto da parte di Artaserse sem­ bra di assistere in buona sostanza a una guerra civile tra Greci che si bat­ tono gli uni contro gli altri, con Persiani ed Egiziani destinati al ruolo di comparse) distorce la percezione degli avvenimenti e deve essere accanto­ nato: il problema è che non abbiamo una visione 'equilibrata' da proporre, a causa dello stato della documentazione16 • I dubbi riguardano non solo le 15. Su Nicostrato, cfr. Diod. XVI 44.3; P, p. 166 n. 4 per le altre fonti sul personaggio. 16. La fiducia nelle fonti greche porta a volte a far ritornare validissimi storici all'epoca pre-erodotea: cfr. p. es. P, p. 168 a proposito degli avvenimenti degli anni quaranta, narrati da Diodoro: « yet his whole narrative of this campaign is so circumstantial that it is better to believe him » (? ! ) .

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rispettive capacità militari di Greci e orientali, non solo le doti di leader­ ship dei principali comandanti greci, ma anche il numero dei soldati greci, che appare spesso sovradimensionato: sembra improbabile, per esempio, che nella guerra del 343-342 ci fossero ben 34.000 Greci che, a vario ti­ tolo e distribuiti nei due eserciti contrapposti, si trovavano a combattere nel Delta del Nilo. Non abbiamo però modo di proporre cifre diverse, in nome di un'astratta ragionevolezza.

Parte terza Le Sirene da Oriente

Egitto e Vicino Oriente.

Regno di Kush

M A R E M E D ITERRANEO

CRETA



erusale1nn1e

VICINO ORIENTE Mczad Hashavvahu

CIPRO





9 L'Oriente prima dei Persiani Sei giunto dai luoghi più lontani della terra, portando con te una spada con l'impugnatura d'avorio, contornata d'oro [ ... ] e li hai liberati dal pericolo, uccidendo un guerriero così grande, che per un palmo non raggiungeva i cinque cubiti. Alceo fr. 3 5 0 Voigt

L'impero neo-assiro e i Greci L'organizzazione militare dell'impero neo-assiro nel periodo del suo mas­ simo fulgore ( corrispondente al secolo esatto che trascorre dall'inizio del regno di T iglatpileser III, nel 744, alle ultime imprese di Assurbanipal, negli anni quaranta del VII secolo) non prevedeva l'impiego di contingenti stranieri, se non attraverso la costrizione violenta su alleati e popoli assog­ gettati Tra le eccezioni che potrebbero far pensare a rapporti di mercena­ riato troviamo esempi di arruolamento di soldati ad alta specializzazione, quali i carristi provenienti dalla Samaria\ oppure casi in cui le tribù noma­ di gravitanti ai margini dell'impero, in special modo se spinte da fame e carestie, venivano temporaneamente inglobate nell'esercito imperiale. I rapporti tra mondo greco e impero assiro furono, in genere, poco significativi. L'unica figura assira a godere di notorietà, tanto da entrare nell'immaginario popolare greco - e da lì in quello occidentale in gene­ re - fu Assurbanipal-Sardanapalo. Le tracce della presenza greca nell'im­ pero assiro si concentrano in buona misura nella seconda metà dell'vIII secolo, e sono di due tipi: manufatti e raffigurazioni iconografiche da una parte, documenti scritti della cancelleria imperiale dall'altra. Un altro pie1.

Sull'organizzazione dell'esercito assiro, cfr. MALBRAN-LABAT (1982) ; FALES (2001, pp. 716); TALLIS (2008); sulla partecipazione di alleati alle guerre degli Assiri, NAAMAN (1991). 2. Fonti e discussione in DALLEY (19 85). Che gli uomini delle tribù di Israele fossero so­ liti servire come mercenari è ben noto (cfr. p. es. II Chron. 25.6 ) : non è chiaro però se il servizio presso gli Assiri si configurasse come una corvée obbligata o come un servizio remunerato ( quest'ultima ipotesi è forse adombrata nelle accuse dei profeti ai Samarita­ ni: cfr. p. es. Ezech. 23.5-6). Alcuni ufficiali stranieri potevano raggiungere alte posizioni nell'esercito: cfr. DALLEY (19 85, p. 41). 1.

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colo gruppo di testimonianze, tra le quali spicca il frammento di Alceo dedicato al fratello Antimenidas, è invece collocabile al tempo del regno neo-babilonese, tra la fine del VII secolo e i primi anni del VI. Entro certi limiti, nonostante il largo intervallo di tempo quasi privo di testimonianze (buona parte del VII secolo), non sarà insensata la ricerca di un discorso unitario per dare una corretta collocazione a tutti questi documenti3.

Le testimonianze La coppa di Amatunte Iniziamo l'analisi delle testimonianze dalla splendida coppa d'argento da­ tabile tra il 710 e il 675, di probabile origine fenicia, rinvenuta nel sito cipriota di Amatunte ( cfr. figura) 4 • Essa presenta nel fregio esterno una scena d'assedio di pregevolissima fattura, che ha tra i protagonisti, oltre a cavalieri e arcieri, quattro soldati in formazione serrata, provvisti di scudo rotondo (impugnato con la sinistra), lancia (sulla mano destra) ed elmo con grande cresta. L'immagine si ripete tra i difensori, in numero di tre. L'estrema precisione dei particolari consente di rilevare persino, non senza qualche difficoltà, la presenza di schinieri, a testimoniare, oltre la maestria tecnica, una dimestichezza con il soggetto rappresentato. Difficile sfuggire alla conclusione che, almeno una generazione (forse due) prima della celebre Olpe Chigi del 640 circa, la coppa di Amatunte rappresenti degli opliti; anzi, unafalange oplitica, se ha ragione Nino Lu­ raghi nell'interpretare in questo senso il particolare delle gambe degli opli­ ti intrecciate tra di loro. Va quindi spiegata questa presenza in un contesto orientale, tanto più che essa ricorre non solo tra gli attaccanti, ma anche fra le truppe che difendono la città. La soluzione più verosimile sembrerebbe quella di identificare gli opliti come mercenari, che non si sarebbero peritati, come tanti colleghi nei se­ coli ( e millenni) a venire, a schierarsi gli uni contro gli altri, in schieramen3. Tra la bibliografia più recente, cfr. soprattutto LANFRANCHI (20 0 0 ), ROLLINGER (20 0 1 ) , NIEMEIER (20 0 1 ) , LUR AGHI ( 20 0 6 ) .

4. Sulla coppa di Amatunte, ora al British Museum di Londra, cfr. MYRES ( 1 9 3 3 ) , BOARD ­ MAN ( 1 9 8 6, p. 52 e fig. 1 9 ) . Un'accurata discussione in HELM ( 19 80, pp. 1 40- 1 ) ; cfr. anche NIEMEIER (200 1, p. 2 1 ) e LURAGHI ( 20 0 6, pp. 3 6 - 8 ) . Sull'Olpe Chigi, cit. più avanti, cfr. HURWI T ( 2 0 0 2,

pp.

1-22 ) ; VAN WEES ( 20 0 4,

pp.

170 -2) .

L'ORIENTE PRIMA DEI PERSIANI

237

La coppa di Amatunte.

ti opposti: ciò prefigurerebbe, in un'epoca così alta, un impiego di truppe provenienti dal mondo greco ormai tanto comune da suscitare l'attenzio­ ne dell'artista che cesellò la coppa. Va peraltro notato che la scena di guerra è sì precisa nei particolari, ma è anche irrealistica. Ci limitiamo a osservare come un gruppo ( una falange ?) di opliti sia inutile per dare l'assalto a delle mura, così come non appare rea­ listico, per gli assediati, starsene sugli spalti delle mura a difendersi armati di tutto punto, con scudo ed elmo crestato. La rappresentazione, con ogni probabilità, non si ispira ad alcun avvenimento preciso e riprende moduli tipici dell'arte assira per quanto concerne gli assedi, 'colorando' la scena con elementi accostati in modo più o meno casuale. Simili considerazioni diminuiscono forse l'impatto storico della rappresentazione di opliti, ma certo non la annullano : perché l'artista non può avere inventato guerrieri armati come opliti, senza rifarsi a guerrieri del genere operanti nella realtà5 • 5. Sulla 'verosimiglianzà dell'assedio, H ELM ( 1 9 8 0, p. 141 ) tende a fare il passo più lungo della gamba: poiché non è una rappresentazione realistica, la coppa non va presa come testimonianza storica e « demonstrate nothing more than the familiarity of Orientalizing Cyp riot artists with representations ofGreek armor and weapons » . Cfr. invece LURAGH I (20 0 6, pp. 3 6-8), tendente semmai a sovrastimare la pur eccezionale importanza della raf­ fi gu razione. Gli opliti di Amatunte sono rilevanti anche per la storia della nascita dell'o­ plitismo, cfr. più avanti, pp. 421-4.

MERCENARI

Elmi, dediche votive e illazioni Altre raffigurazioni che l'archeologia ci ha restituito sono meno con­ vincenti. L'identificazione con soldati provenienti genericamente dal mondo greco è di solito legata alla presenza di un elmo crestato, ricon­ ducibile a quelli presenti sul suolo greco, in primo luogo nella tomba del guerriero di Argo. Si tratta del tipo comunemente chiamato Kegelhelm (elmo a cono), caratterizzato dalla forma conica, con paragnatidi e pa­ ranuca (a volte anche visiera) fissate con chiodi alla calotta. L'origine del Kegelhelm è orientale; intorno al IX secolo troviamo un tipo mol­ to simile diffuso nell' Urartu. Quanto all'individuazione della regione da cui il mondo greco lo ricevette, chi pensa che l' Urartu abbia cessato troppo presto (intorno alla metà dell'vII I secolo) la sua influenza verso occidente per essere un serio candidato, deve rivolgere la sua attenzio­ ne ai potentati neo-hittiti del nord della Siria, se non all�ssiria stessa; in ognuno di questi casi, la penisola anatolica sembra comunque un in­ termediario ideale. Un manufatto può diffondersi in molti modi, per esempio come oggetto di lusso, impiegato in scambi di doni. L'utiliz­ zazione, e quindi la diffusione, da parte di soldati mercenari è solo una delle possibilità e neppure delle più probabili; e quindi le raffigurazioni (molto imprecise e dubbie nei bassorilievi di Karatepe in Cilicia, 730 circa; splendida nell'immagine, più o meno contemporanea, di un guer­ riero nel complesso di dipinti murali di T il Barsip - oggi Teli Ahmar vicino a Karkemish, all'estremità occidentale del bacino mesopotamico; di nuovo di incerta interpretazione in una cintura in bronzo proveniente da Fortetsa, a Creta, databile agli ultimi anni dell'v111 secolo6 ) difficil. . mente potranno essere interpretate 1n questo senso. 6. Sulla tomba del guerriero di Argo (databile al 725 circa), cfr. C O URB IN ( 1 9 57 ). Ka­ ratepe: S TIER (19 50, pp. 214-8) ; SNO D GRAS S (1964a, pp. 11-4) ; NI EMEIER (20 01, pp. 20- 1 ) ; sul Kegelhelm, SNOD GRAS S ( 1 9 64a, pp. 1 3-6); H ELM ( 1 9 8 0, pp. 1 42-5). Til Bar­ sip: NIEMEIER (20 01, pp. 20-1) ; Fortetsa: SNO D GRASS ( 1 9 64a, pp. 12-3) ; B O ARD MAN ( 1 9 8 6, pp. 60-1). La cintura raffigura dei carri, con a bordo due guerrieri con elmo coni­ co a cresta, attaccati da arcieri protetti da un elmo corinzio. Si può supporre che l'artista abbia inteso rappresentare gli arcieri come Greci, i guidatori di carri come orientali. Il disegno è di grande precisione, ma assegnare nazionalità sulla base degli elmi, come abbiamo appena osservato, è un esercizio che non permette di raggiungere risultati si­ curi. Inoltre, se sono 'Greci' a essere raffigurati come arcieri, l'immagine si adatterebbe semmai non tanto ai Greci continentali o micrasiatici, ma ai Cretesi stessi, che vantano una tradizione di uso dell'arco.

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E opportuno a questo punto menzionare due manufatti che non rappresentano soldati greci o presunti tali, ma la cui presenza non si spiega senza presupporne la mediazione. Ci riferiamo a un frontale e a un paraocchi per cavalli, entrambi di bronzo, rinvenuti rispettivamente negli scavi del san­ tuario di Era a Samo e nel santuario di Apollo a Eretria in Eubea7 • La fattura del frontale è riconducibile alla zona nord-siriana. Per di più, entrambi i manufatti recano un'iscrizione in aramaico sostanzialmente identica, che permette di ricollegarli al bottino raccolto da Hazael, re di Damasco intor­ no alla metà del IX secolo, in un territorio poco lontano. Quale spiegazione dare della loro presenza a Samo e ad Eretria? Damasco fu presa e saccheg­ giata da T iglatpileser nel 732: sembra plausibile che siano stati soldati greci militanti nell'esercito assiro a riportare in patria il frontale e il paraocchi, risalenti a oltre un secolo prima, per dedicarli agli dèi nei loro templi. Non certo un percorso lineare: ma almeno una spiegazione plausibile per una serie di circostanze altrimenti destinate a rimanere oscure. La rassegna delle testimonianze archeologiche non sarebbe completa se non dedicassimo qualche parola anche ad Al-Mina, il sito siriano alla foce dell'Orante, considerato un centro di primaria importanza per quanto ri­ guarda la presenza greca in Oriente. Rosalinda A. Kearsley ha interpretato la documentazione del livello 9/10 degli scavi come un accampamento di mercenari, ma le basi per una simile deduzione appaiono fragili8 • I documenti scritti Esistono alcuni documenti in scrittura cuneiforme che meritano di esse­ re presi in attento esame. Essi ruotano intorno alla designazione 1am (a) n-dja 9 , che viene solitamente ricondotta a lawones (Ioni), il termine usuale per indicare le popolazioni di origine greca nei testi orientali. Tale corri­ spondenza è certa, ancorché l'espressione non si riferisca necessariamente ai Greci propriamente detti. La provenienza degli 'Ioni' non è infatti chia7. Cfr. LURAGH I (20 0 6, pp. 3 8-41 ) , di cui sintetizziamo le riflessioni. 8. KEARSLEY ( 1 9 99, pp. 1 1 6 - 3 1 ) ; cfr. ROLLINGER (20 0 1, p. 2 49 ) ; NIEMEIER ( 20 0 1, p. 1 4) ; LURAGHI ( 20 0 6, pp. 27-9 ) . Su Al-Mina in generale cfr. ora LUKE ( 20 0 3 ) . 9. Di cui Ia-u-na-a-a, che appare, p. es., nella lettera cit. qui di seguito alla n. 1 1, sembra da doversi considerare una « neo-Assyrian vernacular spelling of ia-am-na-a-a (cfr. 1am (a) n-dja del testo: le traslitterazioni dei testi cuneiformi non sono in alcun modo codificate una volta per tutte) of the Assyrian royal inscriptions » (PARKER, 20 0 0, p. 7 3) .

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ra, né è certo che lo fosse per gli stessi estensori dei documenti: considerato che i testi affermano con sicurezza che gli 'Ioni' provenivano , le regioni di origine ritenute più credibili sono l�sia Minore, in partico­ lare la Cilicia, senza escludere la stessa Grecia continentale, specie la zona centrale, comprendente l'Eubea, da sempre in prima fila nei rapporti tra mondo greco e Oriente 10 Gli Ioni sono citati come protagonisti di scorrerie in Fenicia in docu­ menti risalenti al re T iglatpileser negli anni trenta dell'vIII secolol l e sono ricordati più volte negli Annali del successore, il grande Sargon II, negli anni finali dell'vIII secolo: il re si vanta a più riprese di aver Un documento dell'e­ poca, di poco successiva, di Sennacherib (anno 694) menziona > come prigionieri del re, insieme a Fenici. E più che plausibile che tale esito - la cattura - sia una conseguenza della vittoriosa battaglia na­ vale che Sennacherib avrebbe sostenuto due anni prima ( 696) sulle coste della Cilicia contro gli stessi Ioni e, forse, altri nemici imprecisati 1 3 • Se dovessimo riassumere in una sola parola l'attività degli Ioni, almeno così come era percepita dagli Assiri, essa sarebbe pirateria. Questi popoli, assuefatti alla navigazione, compivano scorrerie lungo le coste del grande impero assiro, poco avvezzo alla frequentazione del mare, ma si limitava­ no a fare bottino, senza tentare di sfidare i grandi eserciti imperiali. Nulla lascia percepire un'attività connotabile come mercenaria, anche se essa po­ trebbe, in via del tutto ipotetica, essere intravista nella battaglia navale che vide coinvolto Sennacherib. Il discorso si allarga se accettiamo che i nomi di individui che iniziano con la-man, senza il suffisso in aja, siano ugualmente da catalogarsi come appartenenti a Ioni: in pratica, semplificando un po', se essi possano essere •

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10. Un ottimo riassunto della problematica in ROLLINGER (20 01, p. 23 6). 11. NimrudLetters nr. 69; cfr. FALES (1992, nr. 3) ; PARKER (2000); SAGGS (2001); ROLLIN­ GER (2001, pp. 237-9 ), con traslitterazione e traduzione inglese; LURAGHI (2006, pp. 30-1). 12. Cfr. p. es. Annali XIV, l. 15. Riferimenti completi in ROLLINGER (2001, pp. 239-40 ) ; cfr. anche LURAGHI (20 06, p. 3 1 ). 13. Di tale battaglia abbiamo notizia da una fonte greca, Abideno (FGrHist 685 F s [ 6] ), conservata nella Cronaca armena di Eusebio; Abideno ha come fonte ultima Berosso, il sacerdote babilonese di età ellenistica. Improbabile invece la realtà storica di una battaglia terrestre che avrebbe ancora una volta coinvolto Assiri e Greci, cui accenna lo stesso Berosso (FGrHist 680 F 7 [31] ) : cfr. MOMIGLIANO (19 34), seguito, almeno in parte, da MAZZARINO (1947, pp. 122-7); cfr. LANFRANCHI (2000, PP· 24-9 ); ROLLINGER (2001, pp. 240-2).

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considerati dei Greci che vivevano nell'impero assiro. A questo proposito, non sono tuttora giunte a una soluzione condivisa le discussioni tra chi ritiene inevitabile tale conclusione e chi invece invoca problemi linguistici più o meno insormontabili per metterla in dubbio. Chi scrive non ha com­ petenze specifiche non solo per venire a capo del problema, ma neppure per prendere posizione: si limita a registrare che gli attuali schieramenti sembrano favorire in misura maggiore quanti ritengono che tali nomi ri­ flettano personaggi di origine 'greca: Il più noto tra tutti è sicuramente lamani di Ashdod. I testi assiri re­ lativi al regno di Sargon I I riferiscono in più versioni di una rivolta che ebbe luogo nell'undicesimo anno del suo regno (ca 712), con epicentro in questa città della Fenicia. Sommovimenti nella regione non erano certo una novità, ma in questo caso i rivoltosi erano animati dalla speranza di coinvolgere l'Egitto, dove il faraone Shabako, originario dell'Etiopia, era da pochi anni salito al trono. Il re di Ashdod, Azuri, decide di non pagare il tributo; suo fratello Ahimiti, che Sargon ordina di mettere sul trono al suo posto, viene a sua volta spodestato da un tal Iamani . Sargon allora interviene di persona e a Iamani non resta che abbandonare moglie e figli, per darsi a una precipi­ tosa fuga in territorio egiziano. Anche qui però arriva la potenza assira: infatti il faraone accetta di consegnarlo in catene a Sargon per la giusta punizione. L'episodio trova un'eco anche nella Bibbia (Isaia 20:1); molti studiosi hanno pensato che Iamani fosse un avventuriero o un mercenario ( in un primo tempo facente parte delle guardie del corpo di Azuri?) di origine greca. Tale ipotesi renderebbe più interessante anche il legame con l'Egitto, allora in mano etiope: sarebbe infatti un caso di relazioni di Greci col mondo egiziano già prima della XXVI dinastia 1 4 • Tra gli altri casi 1 5 , il più rilevante per i nostri temi è un certo la-ma-nu­ yu, che viene definito in un contesto milita1 4.

I testi assiri, tratti dagli Annali di Sargon, sono raccolti e tradotti in

ROLLINGER

pp. 245- 8 ) , che non sembra avere particolari dubbi sull'origine greca del nostro uomo. Tali dubbi (evidenziati per primo da TADMOR, 1 9 58, sp. pp. 7 9 - 8 0 con la n. 2 1 7 ) emergono e vengono sintetizzati in NIEMEIER ( 2 0 0 1, pp. 1 6-7 ) e LURAGHI (20 0 6, p. 3 2 n. 5 6 ) ; io stesso ne ero molto più influenzato in B, p. 47. In alternativa, si è anche pensato (cfr. MAZZARINO, 1 947, pp. 1 2 1 - 3 ; ELAYI, CAVI GNEAUX, 1 9 79, p. 59 n. 6 ) a un'origine cipriota: in uno dei testi assiri, infatti, lamani è chiamato Ya-ad-na, un nome assai vicino a Ya-ad­ na-na, che designa normalmente Cipro. 1 5 . Una raccolta completa in RO LLINGER ( 2 0 0 1, pp. 244-7 ) . ( 20 0 1,

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re. Nulla ci conferma che egli fosse un comandante mercenario di origine straniera inserito nell'esercito imperiale, ma certo l'ipotesi non appare in­ verosimile16 . Infine, un testo assiro dei primi anni del regno di Esarhaddon ( 680-669) menziona fra quanti rendono omaggio al nuovo re un certo Pi-la-a-gu-ru-a di Kitrusi ( Chytros), uno dei dieci signori di Yadnana, la terra > da identificarsi con Cipro. In un passo di Abideno (FGrHist 685 F 5 [ 7 ]) si parla invece del celeberrimo Pitagora (Pythagoras) che avrebbe soste­ nuto Esarhaddon con truppe giunte da Bisanzio. Ora, è facile rendersi con­ to di come il filosofo, pur accreditato dalla tradizione di una visita ai Magi di Babilonia, non possa aver nulla a che fare con la vicenda, non foss'altro perché visse almeno un secolo e mezzo dopo; Pythagoras potrebbe essere un fraintendimento del Pi-la-a-gu-ru-a trovato da Berosso nelle fonti cu­ neiformi: si presume che il personaggio in questione fosse un mercenario cipriota di origine aristocratica che, dopo aver mosso dalla Cilicia ( il nome di Bisanzio dovrebbe riferirsi in realtà a una località della Cilicia, Buzanta) in aiuto del nuovo re assiro, ne fu ricompensato con la signoria di una città cipriota, forse quella stessa di cui era originario. La trascrizione greca del nome può essere Pulagoras oppure Philagoras: quest'ultima sembra prefe­ ribile. La vicenda di Philagora s, comunque, ben si comprende all'interno del quadro di relazioni fra mondo greco e regni del Vicino Oriente, che venivano favorite e incrementate da una zona franca di 'interfaccia' fra le due civiltà qual è sempre stata Cipro, a partire dal II millennio 1 7 •

Il re gno neo-babilonese Il regno neo-babilonese che si sviluppò fra il 605 (anno dell'ascesa al tro­ no di Nabucodonosor e della grande vittoria contro gli Egiziani a KarCfr. ROLLINGER ( 20 0 1, pp. 2 4 4 e 2 5 1 ) ( « it is by no means clear if he was a merce­ nary in a higher position or a regular commander» ). Il personaggio era già stato messo in evidenza da BROWN ( 1 9 84), che ne ricavava piuttosto disinvoltamente non solo la sua 'grecita, ma anche che l'unità da lui comandata fosse composta da mercenari greci e fos­ se adibita alla guardia del sovrano. Un altro mercenario potrebbe essere tal Addikritufu (Antikritos?), per cui cfr. ROLLINGER ( 2 0 0 1, p. 252), ma l'ipotesi pare non troppo solida. 1 7. Su Philagoras cfr. l'ardita ricostruzione di MAZZARINO ( 1 947, pp. 1 27-30 ), che ne fa un precursore dei Diecimila di Ciro; cfr. anche HELM ( 1 9 8 0, p. 1 3 9 ) ; ROLLINGER ( 2 0 0 1, pp. 252-3). 16.

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kemish) e il 538 (anno della caduta di Babilonia nelle mani di Ciro il Grande) fu in qualche misura l'erede dell'impero assiro, definitivamente dissolto intorno al 610. Anche se, sul piano culturale, Babilonia ebbe un impatto ben più notevole dell'Assiria, i Greci non distinsero mai con esattezza, né storicamente, né geograficamente, le due regioni della Me­ sopotamia18. La presenza di mercenari greci negli eserciti di Nabucodonosor è di per sé verosimile: il nuovo, potente esercito babilonese poteva essere considerato una buona meta sia per quanti cercavano ingaggi fuori della patria, sia come luogo d'accoglienza per gruppi di mercenari al servizio del faraone egiziano Necao II, allo sbando dopo la disfatta di Karkemish. Siamo d'altronde in un'epoca che, come testimoniano le fonti egiziane ( cfr. CAP. 7), vede un notevole fiorire dei mercenari di origine greca nel Mediterraneo e in Oriente. Tale partecipazione di elementi greci alle imprese dell'impero neo­ babilonese è documentata in realtà da una sola, celebre testimonianza let­ teraria: il fr. 350 Voigt di Alceo ( = Strab. XIII 2.3 617c), in cui il poeta si rivolge al fratello Antimenidas: Sei giunto dai luoghi più lontani della terra, portando con te una spada con l'im­ pugnatura d'avorio, contornata d'oro... [Alceo dice che il fratello Antimenidas, combattendo a fianco dei Babilonesi abbia compiuto...] una grande impresa, e li hai liberati dal pericolo, uccidendo un guerriero così grande, che per un palmo non raggiungeva i cinque cubiti.

Questi versi di grande fascino ci riportano a un contesto eroico arcaiz­ zante e poco realistico: circolazione di beni di lusso in un'economia non monetaria ( viene in mente un raffronto col mercenario Pedon, vissuto negli stessi anni: cfr. CAP. 7, pp. 216-7), combattimenti individuali con­ tro giganti 1 9 • Cfr. p. es. Hdt. I 178. 1 : « in Assiria ci sono molte e grandi città, ma la più celebre e la più forte, quella dove era la residenza dei re dopo la distruzione di Ninive, era Babilonia » . Eppure Erodoto non era certo fra i più disinformati: aveva visitato la Babilonia dei suoi tempi e aveva raccolto materiale per logoi assiri mai pubblicati; su quest'ultimo argomen­ to, bibliografia in ASHERI ( 1 9 8 8, p. 374). 1 9. Cfr. in breve T, p. 28. L'altezza del gigante sfidato da Antimenidas (intorno a m 2,5 0 ) è la stessa di un Persiano dell'età di Serse citato da Hdt. VII 117 : si tratta probabilmente di una misura 'standard' per indicare un'altezza fuori dal comune. 1 8.

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Con tali premesse, non è facile mutare registro e dedurre il contesto storico, il dove e il quando Antimenidas abbia reso i propri servigi di ari­ stocratico in disgrazia ai Babilonesi: c'è però un indizio tutt'altro che tra­ scurabile, la citazione della città di Ascalona, insieme a quella di Babilo­ nia, in un altro frammento di Alceo (48 Voigt) estremamente lacunoso. Il frammento dovrebbe avere a che fare anch'esso con le imprese del fratello: in tal caso, potremmo ipotizzare che egli abbia partecipato alla presa di Ascalona del 604, un'impresa dell'esercito di Nabucodonosor appena suc­ cessiva alla presa di Karkemish del 605 20 • Negli stessi anni, al servizio però non dei Babilonesi, bensì del regno di Giuda, nel Vicino Oriente, pezzi di coccio inscritti provenienti dalla fortezza di Arad e risalenti al 597 circa, menzionano forniture di olio e vino a ben 75 soldati individuati con il termine ktym = Kittim, l'espressio­ ne con la quale in ebraico vengono indicati gli Ioni/lamanaja. Gran parte degli altri soldati sono ebrei: appare plausibile identificare i Kittim con una guarnigione mercenaria costituita da elementi di origine greca21 •

I Greci in Oriente : commercianti mercenari pirati La storia della presenza greca in Oriente tra la metà dell'vIII e la metà del VI secolo presenta grandi difficoltà di ricostruzione. La documentazione in nostro possesso è quantitativamente modesta e controversa nell'interpreta­ zione. Anche quando un sito permetta di appurare la presenza stanziale di Greci2 non solo i problemi di datazione sono spesso delicati, ma più diffici­ le ancora è comprendere i motivi e i contesti di tale frequentazione. \

Per l'ipotesi relativa ad Ascalona cfr. QUINN ( 1 9 6 1, pp. 1 9 -20 ) . Per altre posizioni, cfr. HELM ( 1 9 8 0, p. 1 37 ) , non molto dissimile da PAGE ( 1 9 55, pp. 223-4) : Antimenidas avrebbe partecipato a una delle due campagne - 5 9 7 o 5 8 6 - contro Gerusalemme; sulla presunta partecipazione a campagne contro gli Ebrei cfr. anche MOMI GLIANO ( 1 9 80, p. 8 1 ) . 21. Cfr. NIEMEIER (20 0 1, p. 1 8) ; AH ARONI ( 1 9 8 1, pp. 1 2-3) ; cfr. anche ROLLINGER ( 20 0 1 , p. 2 5 0 ) per una breve citazione e la menzione di altre fortezze nella Palestina del sud che potrebbero aver lasciato traccia della presenza di mercenari greci. 22. E anche questo primo passo è spesso incerto: la presenza di ceramica greca non è neces­ sariamente un segno in questa direzione e persino luoghi-simbolo della presenza greca in Oriente, quali Al-Mina, sono oggi interpretati con maggiore cautela, poiché ormai pochi sono disponibili a parlare di una vera e propria fondazione greca per l'insediamento alle foci dell'Orante in Siria; sul tema in generale cfr. WALDBAUM ( 1 9 97 ), particolarmente prudente. 20.

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Non è nostra intenzione, comunque, affrontare un discorso globale sui Greci che concorrono a scrivere la 'preistoria' delle relazioni tra la Grecia e il mondo orientale, prima che i Persiani, a partire dalla metà del VI secolo, riescano a unificare l'Oriente in un unico, grande impero ( cfr. CAP. 10 ) . Basti dire che si tratta di un quadro di interscambio tutto som­ mato modesto, di solito descritto attraverso la triade canonica - com­ mercianti mercenari pirati - con la quale si suole catalogare le attività tipiche della presenza greca in Oriente. Una classificazione sicuramente accettabile, in qualche misura simboleggiata dalle vicende più o meno contemporanee e parallele dei fratelli dei due grandi poeti lesbici: An­ timenidas - lo abbiamo visto - soldato di ventura, e Charaxos, fratello di Saffo, mercante di vino a Naucrati, in Egitto2 3 ; non dobbiamo però trascurare di ricordare come tali motivazioni fossero soggette a sovrap. . . . . . pos1z1on1 e 1nteraz1on1. All'interno di tali relazioni, chi erano i Greci disposti a prestare la loro opera come mercenari in epoca arcaica? Ho insistito in passato (B, pp. 26, 52) sul carattere essenzialmente elitario di tale attività, legata a una way oJ lift aristocratica incentrata sui valori omerici di onore, gloria e coraggio, che le frequenti guerre civili delle giovani poleis, con il loro carico di esclusi e di esuli, rendevano impraticabile in patria. Tale accentuazione dell'aspet­ to 'eroico' del mercenariato è stata criticata 24 • In particolare, Nino Luraghi ha inteso sottolineare la povertà strutturale del mondo greco, non spiega­ bile attraverso un vocabolario incerto e impreciso che faccia riferimento a supposte e indimostrabili crisi economiche o sociali e soprattutto eviden­ ziando come le testimonianze rivelino spesso una presenza ben più massic­ cia di quella che potevano assicurare pochi aristocratici in disgrazia come il fratello di Alceo, da cui ci lasciamo abbagliare. Convengo nel rifiutare, con Luraghi, la nozione di crisi per spiegare la storia greca arcaica e alcuni sviluppi economici e sociali che la caratteriz­ zano. Concordo altresì nel definire la Grecia un paese povero, che inte­ ragiva con il ricco Oriente fornendo manodopera in cerca di fortuna: un Per Charaxos, cfr. Hdt. II 1 3 5 , dove è narrato il suo incontro con la celebre etera Rho­ dopis (Dorica nei versi di Saffo; cfr. PAGE, 1 9 55, pp. 48-9 ) . Una sintesi della circolazione di uomini e merci nel Mediterraneo arcaico in GIANGIULIO ( 1 9 9 6 ) . 24. ROLLINGER (20 0 1, p. 2 5 6 ) ; RAAFLAUB (2004, p. 209 ) ; LURAGHI ( 20 0 6, pp. 2 1 - 6 ) ; d'accordo invece, p. es., NIEMEIER ( 20 01, p. 2 4) e KAPLAN (2002), che a sua volta insiste forse troppo sul concetto di 'crisi' del mondo arcaico. 23.

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pattern che potremmo definire eterno, poiché si ripresenta, sotto mutate forme, fino ai giorni nostri. Ciò non toglie che le uniche testimonianze di un mercenariato in qualche misura di massa esistano esclusivamente a proposito dell'Egitto del VI secolo ( cfr. CAP. 7). Per quanto riguarda l'O­ riente nell'vIII, VII e parte del VI secolo, forse la bellezza dei versi di Alceo ci abbaglierà, ma è anche vero che non abbiamo alcuna traccia di presen­ ze considerevoli di Greci dediti al servizio mercenario2 5 • I mercenari greci - ben armati per i parametri orientali, in possesso evidentemente di qual­ che capacità e non solo disposti a cedere la propria forza bruta, che non sa­ rebbe stato poi difficile reperire in loco - sono tendenzialmente descrivibili come rappresentanti dell'élite del proprio paese. Il caso dell'Egitto lo lasce­ rei quindi da parte, poiché costituisce un'eccezione; nel complesso delle relazioni Grecia-Oriente, credo di poter continuare, con qualche cautela, a proporre le tesi che avevo prospettato alcuni anni fa.

Il regno di Lidia Non è questa la sede per ripercorrere la storia delle relazioni tra le città greche della costa micrasiatica e il regno !idio, durante il secolo e mezzo ( ca 685-546) in cui esso fu l'entità politica più potente della penisola ana­ tolica. Ciò che qui ci riguarda sono i rapporti, molto stretti, che i dinasti lidi intrattenevano con molti aristocratici delle varie poleis greche d�sia Minore (i ludizontes), rapporti che si traducevano anche in un reciproco appoggio militare26 • Che l'esercito !idio abbia tratto la propria forza in buona parte dall'im­ piego di truppe non indigene, che per ora classificheremo come mercena­ rie, è un dato costante della tradizione letteraria. Plutarco (Quaest. Gr. 45 = Mor. 302 a) afferma che a Gige, impegnato nella lotta contro Candaule, giunse in aiuto un certo Arselis di Milasa, in Caria, in qualità di epikouros recante con sé un consistente gruppo di soldati (meta dunameos). La presenza caria a Sardis è confermata anche Non che la circostanza abbia valore di prova, ma ricorderò, per esempio, come il bello schizzo complessivo di LIVERANI (20 1 1, pp. 7 5 3- 6 ) non citi neppure una volta i mercenari. 26. Cfr. MAZZARINO ( 1 947, pp. 1 9 6-23 4) ; PEDLEY ( 1 9 6 8 ) ; TALAMO ( 1 97 9 ) . Sulla narrazio­ ne relativa al regno lidio da parte di Erodoto, cfr. LOMBARDO ( 1 9 9 0, pp. 1 7 1 -20 3). Sull'obbli­ go di fornitura di contingenti militari da parte delle città greche, cfr. TALAMO ( 1 9 83). 25.

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dagli scavi nella capitale lidia e rende quindi la notizia plausibile. L'aiu­ to concesso da Arselis, più che un impiego di forze mercenarie, ricorda comunque, nelle modalità con le quali venne effettuato, gli interventi di epikouroi che abbiamo trovato nell'Iliade, facenti parte di quella catena di mutuo soccorso tra dinasti e aristocratici che contraddistingueva i rappor­ ti tra le élites arcaiche 27 • Nicolao di Damasco (FGrHist 90 F 65) testimonia invece dell'uso di mercenari durante il regno di Aliatte ( ca 610-560), in un racconto - la cui fonte originaria è lo storico lidio Xanto (v sec.) - nel quale si narra di come suo figlio Creso, allora governatore ad Adramittio, cercasse di farsi prestare 1.000 stateri da un ricchissimo mercante efesio di nome Sadiat­ te, per arruolare mercenari, di cui i re lidi solevano servirsi. Parimenti, Polieno (vII 2.2) racconta di uno stratagemma grazie al quale Aliatte si sarebbe liberato di cavalieri mercenari provenienti da Colofone: questi ultimi, però, prestavano servizio in virtù di un'alleanza (summachia) che di per sé escluderebbe il rapporto interpersonale proprio del mercenar1ato. Resta infine Creso, sul regno del quale si sofferma a lungo il I libro delle Storie di Erodoto (capp. 26-94). Lo storico ricorda la composizio­ ne eterogenea dell'esercito dell'ultimo re lidio: a 77.4 leggiamo che Creso, non immaginando che di lì a poco Ciro l'avrebbe attaccato, . Da Erodoto non veniamo a sapere molto altro: tra i Greci viene segnalata solo la presenza del gran­ de filosofo Talete, che sarebbe improprio definire mercenario. Si tratta di una tradizione su cui lo stesso Erodoto nutre dubbi, anche se cronologi­ camente possibile 28 • L'intenzione di servirsi di soldati di ventura greci è comunque dimostrata dalla storia - sostanzialmente attendibile - di un certo Eurybatos il quale, incaricato dal suo sovrano di arruolare mercenari nel Peloponneso in vista della guerra contro Ciro, preferì fuggire presso quest'ultimo, guadagnandosi con quest'atto una duratura fama di tradito­ re, raccolta persino da Platone 2 9 • Si dilunga invece sulla composizione dell'esercito di Creso Senofonte, in un passo della Ciropedia (vI 2.9-10) dove si accenna a mercenari tra27. PEDLEY (1974, pp. 9 6-9 ).

28. Hdt. I 75.3; Diog. Laert. I 3 8. 29. Platone Protagora 327d; la storia di Eurybatos in Eforo FGrHist 70 Samo FGrHist 76 F 20; Diod. IX 32.

F

5 8; Duride di

MERCENARI

ci, mentre dei Greci microasiatici viene detto che . Ciò farebbe pensare a obblighi militari connessi con i trattati stipulati tra i re lidi e le città greche d�sia Minore. Un problema a parte è costituito dal contingente di Egiziani inviato da Amasi in ottemperanza al patto d'alleanza che lo legava a Creso (cfr. Hdt. I 77.1), che costituiva in un certo qual modo una continuazione del patto stretto tra Gige e Psammetico un secolo prima ( cfr. CAP. 7). Nella fittizia ricostruzione della battaglia di Thymbrara, Senofonte afferma che erano ben 120.000 e ne loda il comportamento, forse per contingenti questioni contemporanee legate alla campagna di Agesilao in Egitto30 • Questi Egi­ ziani, una volta costretti ad arrendersi, furono ingaggiati da Ciro e si sta­ bilirono in alcune città micrasiatiche, in particolare Larisa, detta appunto Egizia (Xen. Ell. I I I 1.7), e Cillene. La descrizione delle loro armi - colpi­ sce soprattutto l'enorme scudo atto a coprire tutta la persona - è ambigua e non si adatta a quanto sappiamo sull'armamento degli Egiziani contem­ poranei, né tantomeno all'armamento oplitica. Si può supporre che Seno­ fonte si ispiri agli Egiziani che un secolo e mezzo dopo egli sostiene di aver visto di persona a Cunaxa (Anabasi I 8.9) . Non sembrerebbe fuori luogo ipotizzare - nonostante l'armamento atipico - che questi soldati altri non fossero che mercenari greci residenti in Egitto: stabilendosi a Larisa e Cil­ lene, essi non avrebbero fatto altro che tornare in patria. Deporrebbero a favore di questa tesi le scarse capacità militari della fanteria egiziana indi­ gena, il cui potenziale si basava largamente sui mercenari greci3 1 •

I mercenari e l'origine della moneta coniata Il titolo di inventori della moneta coniata, assegnato già nell'antichità ai Lidi ( cfr. p. es. Hdt. I 94.1; Senofane fr. 4 D = Polluce IX 83), sembra oggi confermato dal ritrovamento di un ripostiglio di 93 monete di elettro, li-

La battaglia di Thymbrara: cfr. Xen. Ciropedia VIII 1. 1 -48; ANDE RSON ( 1 970, pp. 1 6 59 1 ) ; il comportamento degli Egiziani è descritto a VII 1. 30-46 : cfr. ANDERSON ( 1 9 70, pp. 1 6 6-70 ). Il legame con gli eventi contemporanei che vedevano protagonista Agesilao in Egitto: cfr. DELEBECQ..UE ( 1 9 57, pp. 40 0-3). 3 1. La tesi non è nuova: fu accennata da Karl Schefold nella pubblicazione degli scavi di Larisa (BOEHLAU, S CHEFOLD , 1 9 40, p. 2 6 ) ; è stata ripresa in forma dubitativa da BOARD ­ MAN ( 1 9 8 6, p. 107 ) ma rifiutata da ANDERSON ( 1 9 7 0, p. 1 67 ). 30.

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die ( circa la metà) e greche presso I'Artemision di Efeso, databile probabil­ mente al 600 circa3 2• È naturale che ci si chieda il perché di una simile innovazione che, se non del tutto rivoluzionaria - si trattò semplicemente di garantire il peso e la purezza della moneta in una maniera in qualche modo ufficiale, mentre emissioni più rozze, legate a unità ponderali, in Oriente esistevano fin dal I I millennio - ebbe comunque un forte impatto, psicologico prima anco­ ra che pratico. Pur nella consapevolezza che la risposta debba basarsi su un approccio flessibile, che tenga conto di modelli antropologici in grado di esplorare > (voN REDEN , 1997, p. 156), non ne è stata elaborata, purtroppo, una real­ mente soddisfacente, tanto che si prospetta ormai una 'resa' da parte degli studiosi33 : nel ventaglio delle ipotesi, che hanno via via privilegiato l'aspet­ to commerciale o simbolico-comunitario34 , va citata quella proposta per la prima volta da Robert M. Cook nel 1958, secondo la quale la moneta co­ niata fu inventata per facilitare il pagamento di truppe mercenarie 35 • L'ele­ vatissimo valore delle monete di elettro, che rende impraticabile la possibi­ lità di legare le emissioni a uno sviluppo del commercio al minuto, depone in realtà anche contro l'ipotesi che le collega al pagamento dei mercenari, sempre che si immagini il pagamento in termini di regolare stipendio, ver­ sato a intervalli regolari. Ma le monete potrebbero invece essere servite a standardizzare il premio finale, la 'buonuscita' di un servizio continuato da parte di mercenari e anche, eventualmente, di altre categorie di lavoratori. Accettando che i destinatari di questi bonus siano in effetti i mercenari, le monete di elettro verrebbero ad assumere le funzioni del bracciale d'oro

32. La datazione del ripostiglio costituisce una nota crux: tra ipotesi 'alte' (p. es. KAGAN, 1 9 82: intorno al 700) e ipotesi ' basse' (vI C KERS , 1 9 8 5 : circa 550 ), la data che abbiamo indicato nel testo sembra la più plausibile: cfr. p. es. ROBINS ON (19 51); BREGLIA (1971-72, pp. 9-23 ); WALLACE (19 87 ). 33. Cfr. P· es. H OWGEGO (1995, p. 3); VON RED EN (1997, P· 156). 34. La prima ipotesi, secondo la quale l'invenzione della moneta favorì gli scambi e fu da subito usata nell'ambito commerciale, è poi quella dello stesso Aristotele ( cfr. Politica I 1257a 35-41) ed è stata ripresa recentemente da S C HAPS (2004). Sull'aspetto simbolico­ comunitario, che secondo WALLAC E (19 87, pp. 3 9 5-6) riguarda la fase successiva, quella della diffusione della moneta nel mondo greco, cfr. p. es. WILL (19 55, pp. 5-23). 3 5. Cfr. C O O K (19 58, pp. 257-62). L'articolo ha avuto quello che potremmo chiamare, nel piccolo ambito dei nostri studi, un buon impatto 'mediatico'; peraltro, nessuno sembra averne accettate le conclusioni.

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donato da Psammetico a Pedon (cfr. CAP. 7, pp. 216-7): non ancora un mezzo per facilitare le transazioni commerciali (la funzione prevalente rimarrà per lungo tempo la tesaurizzazione), ma un sistema per rendere più efficiente ed equa ( era più facile commisurarla alla durata del servizio prestato) la ripartizione dei premi3 6 •

Gli stateri di Alceo I frammenti di Alceo sono una fonte di primaria importanza per intrave­ dere i meccanismi sociali e politici di una polis arcaica della zona micrasia­ tica. Il poeta è un testimone privilegiato anche dell'atteggiamento verso la guerra all'interno delle eterie aristocratiche37 • Ci siamo già soffermati sui versi in onore del fratello Antimenidas ( cfr. sopra, pp. 243-4) appena ri­ tornato dal servizio presso i Babilonesi; qui vorremmo invece ricordare un frammento (fr. 69 Voigt) in cui il poeta riferisce di un dono di 2.000 sta­ teri da parte dei Lidi per permettere a lui e ai suoi di rientrare nella , mentre una > trama dietro le quinte. Comunque lo si voglia intendere - e i problemi d'interpretazione sono davvero molti3 8 alcune considerazioni restano sufficientemente sicure: - 2.000 stateri sono una somma assai alta e dovrebbero essere sufficienti a mantenere numerosi uomini per mesi3 9 : l'impresa sembra quindi impor­ tante; L'ipotesi del bonus richiama in qualche misura quella elaborata da PRICE ( 1 9 8 3 ) , se­ condo la quale le prime monete furono un mezzo attraverso il quale le autorità standardiz­ zarono il pagamento di servizi comunitari (politici, giudiziari ecc.); proprio Price esclude però la possibilità che i mercenari fossero tra i beneficiari (p. 6). 37. Per un inquadramento della poesia lirica nella realtà storica del tempo, cfr. ROS S LER ( 1 9 8 0 ); su Alceo e la guerra in generale, cfr. PODLECKI ( 1 9 6 9 ). 3 8. Accenno ai principali (su tutto, cfr. PAGE, 1 9 55, pp. 226-3 3 ) : a quale città santa si riferisce Alceo ? Esclusa Sardi (proposta da P UGLI ESE CARRATELLI, 1 943, pp. 1 3-21 ) , le principali ipotesi propendono per Mitilene, oppure per Ira, sempre nell'isola di Lesbo: in quest'ultimo caso, i[ran non sarebbe quindi un aggettivo, ma il nome della città. La volpe è probabilmente Pittaco, accusato come altre volte di fare il doppio gioco. Non è chiaro infine se la cifra di 2.0 0 0 stateri indichi davvero un pagamento in moneta ( così come affer­ ma BREGLIA, 1 9 74) ; in quest'ultimo caso, si tratterebbe della prima attestazione letteraria di un evento del genere, ma ritengo improbabile l'ipotesi. 3 9. PAGE ( 1 9 55, p. 232) pensa a 5 0 0 uomini « for severa! months » . Si tratta di calcoli tentati su basi assai fragili. 3 6.

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- la donazione ha lo scopo di ingaggiare mercenari; nessun'altra suppo­ sizione appare plausibile. Ciò fa pensare che il ricorso a essi fosse del tutto normale, anche per intervenire nelle guerre civili delle piccole città: uomi­ ni disposti a servire in cambio di un premio se ne trovavano evidentemen­ te molti. All'interno delle poleis greche delrAsia Minore e delle isole vicine, le ete­ rie aristocratiche detengono il potere e si combattono incessantemente. Gli uomini che le compongono hanno una visione del mondo ispirata agli ideali di vita degli eroi omerici. Alcune di queste eterie si appoggiano più o meno apertamente alla Lidia e ne assorbono la raffinata cultura: avendo appreso non utili mollezze dai Lidi [ ... ] si recavano all'agorà con mantelli di porpora, non meno di mille, superbi, ornati nelle chiome splendide, olezzanti di raffinati unguenti.

L'aristocrazia descritta in questo celebre frammento di Senofane è quella colofonia, non a caso di una città che fu tra le prime ad entrare nell'orbita della Lidia40 • I ludizontes, come è logico, sono chiamati, quando occorre, a difendere i re lidi; da qui il formarsi di un elemento straniero che diventa una costante nella composizione dell'esercito !idio; elemento che non è agevole definire con le categorie standard di 'mercenario' o 'alleato: ma che in ogni caso, di­ pendendo direttamente dal re, bilancia le spinte centrifughe del regno e con­ tribuisce in modo determinante ad affermare il potere dei sovrani. Questi, in cambio, non lesinano aiuti, attingendo alle loro vaste riserve per favorire i propri sostenitori nelle lotte di potere all'interno delle varie città. In pratica, gli aristocratici sono quasi sempre in guerra: quando deten­ gono il potere, per cercare di mantenerlo o per aiutare gli amici in difficol­ tà; cercando di rientrare in patria, quando sono esuli, o ancora, quando ciò non sia possibile, servendo chiunque sia in grado di compensarli. E in questo quadro che si ritagliano situazioni in cui noi intravediamo il con­ cetto di mercenariato, sia pure non di massa, bensì ancora orientato in senso elitario. 40. Senofane fr. 3 D ( = Athen. XII 526 a; trad. MAZZARINO, 1 947, p. 187 ). Sulla ha­ brosune delle aristocrazie ioniche, cfr. anche il passo di Asio fr. 1 3 Kinkel, in Athen. XII 525; cfr. LOMBARD O ( 1 9 83, pp. 1077- 103).

IO

L'impero persiano, il VI e il v secolo

1:

I Persiani non erano certo inferiori per volontà e per forza, ma combattevano privi d'armi difensive. Erodoto IX 62.3

L'irresistibile attrazione dell'impero persiano Per oltre due secoli, la Grecia ha avuto come vicino orientale l'enorme impero persiano, da quando Ciro il Grande, intorno alla metà del VI secolo, era riuscito nell'eccezionale impresa di unificare gran parte de­ gli sterminati territori che vanno dalle coste delrAsia Minore all' Indo 1 Inutile sottolineare l'importanza di una simile presenza e di un rapporto che, se ha conosciuto momenti di scontro aperto e dichiarato (la rivolta ionica, le guerre persiane, l'impresa di Alessandro) e un infinito numero di conflitti localizzati, nonché di 'guerre fredde', è stato anche decisivo per il progresso e lo sviluppo della civiltà greca. Motore di tale svilup­ po sono stati i membri dell'aristocrazia greca e persiana, che anche nei momenti più bui hanno sempre mantenuto rapporti molto stretti, in un quadro di usi e costumi che, fatte salve le inevitabili differenze, era molto più coeso di quanto spesso non si affermi. Le numerosissime interazioni tra il grande impero e la piccola ma com­ battiva e vivacissima realtà della sua periferia occidentale non costituisco­ no l'oggetto della nostra trattazione. Né è possibile essere esaustivi anche limitandoci alle reciproche influenze nel vasto campo della conduzione della guerra. Quanto segue va considerata solo un'introduzione al tema che ci sta a cuore, l'impiego di mercenari greci da parte dei Persiani. Tra l'ultima metà del VI secolo e la fine della dinastia achemenide due secoli dopo, numerosissimi sono i casi in cui incontriamo Greci che combattono negli eserciti persiani, al servizio diretto del Gran Re o in•

Sull'impero persiano, ora imprescindibile BRIANT (1996). Sull'argomento di questo capitolo, lo studio di SEIBT ( 1977) è utile, anche se spesso discutibile nella metodologia e nelle conclusioni. 1.

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MERCENARI

gaggiati da uno dei tanti satrapi dell'impero, in particolare da quelli che governavano le satrapie occidentali. Altre volte li troviamo sì al servizio di un satrapo, ma contro il Gran Re, in uno dei numerosi tentativi di rivolta contro il potere centrale che attraversano la storia dell'impero. Questi tentativi erano espressione di uno stato latente di ribellione che possiamo considerare endemico in una entità politica così grande e com­ plessa, senza dimenticare che nessuno di tali tentativi riuscì a intaccare il dominio degli Achemenidi. Tutte le informazioni sul servizio mercenario da parte di Greci che abbiano avuto come committenti dei Persiani derivano da fonti letterarie greche. Non dobbiamo tralasciare alcuna fonte complementare (archeo­ logica, numismatica, epigrafica), ma non dobbiamo nasconderci quanto esse siano limitate, così come, purtroppo, dobbiamo constatare la quasi inesistenza di fonti persiane sull'argomento. I Greci mostrano, in generale, un pregiudizio che influenza con gran­ de forza ogni narrazione: tale preconcetto afferma la superiorita greca nei confronti dei Persiani, anche e soprattutto in campo militare. Tale supre­ mazia si mostrerebbe sia a livello di comando, con gli strateghi greci in­ variabilmente dotati di maggiore acume in campo strategico-tattico, sia a livello di soldati, con i Greci che mostrano maggiori doti di coraggio, resistenza e abilità. Alle origini di una tale presunzione di eccellenza stava­ no le guerre persiane; avvenimenti più recenti con i quali si era aperto il IV secolo, quali la saga dei mercenari ingaggiati da Ciro il Giovane e costret­ ti a farsi strada negli immensi territori dell'impero, nonché le avventure di Agesilao in Asia Minore, il cui impatto, per usare un termine moder­ no, appare assai più 'mediatico' che reale, giocavano un ruolo ancora più importante. Un facile corredo ideologico (il Gran Re unico uomo libero dell'impero, tutti gli altri schiavi che non combattevano quindi per la loro libertà ma solo in quanto, appunto, schiavi; la mollezza e l'effeminatezza che tolgono le capacità di combattere ai popoli che hanno completato il loro percorso di conquista) dava sostanza alla visione del Persiano imbelle, risolvendo la contraddizione tra l'immagine dei Persiani contemporanei e il popolo rude, montanaro, di grandi doti guerriere che era stato ai tempi di Ciro il Grande con l'impiego dell'abusato concetto di 'decadenza: È un fatto che nessuno degli autori greci ha svolto, nel corso del IV secolo, una seria analisi delle motivazioni militari che rendevano Persiani e Greci così diversi sul piano militare. Diversi, non tanto gli uni inferiori e gli altri superiori.

L'IMPERO PERSIANO, I : IL VI E IL V SECOLO

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I Persiani peccavano sicuramente in termini di rapidità di azione e co­ ordinamento delle proprie forze. La notazione è banale e potrebbe essere confrontata con tante altre realtà politiche di ogni epoca: basti pensare, tanto per riferirsi a un impero in parte sovrapponibile geograficamente, alle grandi e simili difficoltà che incontrava l'impero ottomano in età mo­ derna. La lentezza a mettersi in moto, a volte, si misurava in anni e costi­ tuiva indubbiamente un vantaggio per i nemici, sia pure destinato a essere colmato. Ciò che più ci interessa, comunque, riguarda le tecniche di combatti­ mento. I Persiani fondavano buona parte della loro forza su un'eccellente cavalleria, basata sulla qualità dei cavalli, innanzi tutto, e dei cavalieri, bene addestrati. Per quanto riguarda le forze di fanteria, la tradizione orientale si affidava per lo più agli arcieri, che scagliavano le loro frecce dopo aver provveduto a realizzare un riparo temporaneo lungo la linea del fronte dell'esercito. Mancavano, alla fanteria, le armi difensive - elmo, corazza, scudo - che caratterizzavano al contrario le forze oplitiche greche: se ne accorge per primo Erodoto, in un celebre passo del IX libro delle Storie (Ix 62.3), inserito nella narrazione del grande scontro di Platea: > . Contro le cariche in piena corsa degli eserciti oplitici, lo schieramento persiano non reggeva; si può forse imputare ai Persiani, dopo le esperienze di Maratona e Platea, una scarsa capacità ad apprendere dai rovesci subiti, ma le tradizioni guerriere di dozzine di po­ poli diversi non si cambiano in pochi anni. Un altro elemento da sottolineare è la scarsa omogeneità degli schiera­ menti imperiali. I Persiani veri e propri, insieme a pochi popoli guerrieri ritenuti particolarmente affidabili, come i Saci, occupavano il centro dello schieramento (un uso diverso, come è noto, da quello greco, che predi­ ligeva schierare le truppe migliori sulla destra), proteggendo il Gran Re, o comunque i comandanti supremi, collocati anch'essi tra le due ali. Le truppe schierate alle ali, composte da una congerie di popoli i più diversi, costretti a servire in virtù di 'contratti' che legavano la proprietà terriera all'obbligo di fornire soldati, erano di qualità inferiore e meno coinvolti nei destini dell'impero. Da questa sommaria rassegna si deduce che gli eserciti del Gran Re, ere­ di di una grande tradizione, non erano deboli: certamente, soprattutto per quanto concerne le forze di fanteria, potevano trovarsi in difficoltà di fronte agli opliti greci, verso i quali manifestano in genere un atteggiamento di to-

MERCENARI

tale incomprensione culturale. Si veda la celebre descrizione che Mardonio fa del modo di combattere dei Greci (Hdt. VII 9b), in un passo che credo comunque sia rivolto al pubblico greco e non ci rende edotti sulle reali con­ siderazioni che i Persiani potevano svolgere a proposito dei loro avversari. E giungiamo così al cuore del nostro argomento. L'affiusso di mercena­ ri greci nell'impero soddisfa le necessità impellenti di popolazioni pove­ re, quali gli Arcadi, mentre, da parte persiana, permette il rafforzamento degli eserciti là dove essi sono più fragili; le possibilità economiche delle élites persiane, non solo del Gran Re, non erano del resto un mistero per nessuno e permettevano di ovviare alle difficoltà finanziarie - spesso in­ sormontabili - che si opponevano all'ingaggio di mercenari all'interno del mondo greco. Come vedremo, però, la realizzazione di questa equazione, apparentemente logica, tarderà a manifestarsi in tutta la sua importanza.

Il VI secolo Poco dopo il 546, quando Ciro ha ormai conquistato il regno di Lidia, il lidio Paktyes, cui il re persiano aveva affidato il tesoro conservato a Sardi, tenta una ribellione2.. Il lungo racconto di Erodoto (1 153-161), tipica novella incentrata sul tema del trattamento da riservare ai supplici, narra di Paktyes che, braccato dai Persiani, si rifugia a Cuma, a Mitilene e infine a Chio. In tutto questo, leggiamo (1 154) che, in un primo tempo, il nostro uomo, ser­ vendosi delle grandi ricchezze venute in suo possesso, epikourous emisthouto, aveva assoldato delle milizie ausiliarie, che possiamo ragionevolmente indi­ viduare in elementi provenienti dalle città greche della costa asiatica. Non molti anni dopo, l'esercito con il quale Cambise invade l'Egit­ to, nel 525, è composto anche da Ioni ed Eoli: così ci informa sempre Erodoto, in apertura del 1 1 1 libro (11 1 1.1 ; cfr. 1 1 1. 2 ) . È un esercizio com­ plesso e non necessariamente destinato a buon fine quello di definire con la maggiore esattezza possibile la posizione dei contingenti dell'esercito persiano in relazione al Gran Re. I Greci micrasiatici sicuramente non erano mercenari in senso proprio: essi partecipavano a causa di un'ob2. Su Paktyes, cfr. S EIBT ( 1977, pp. 2 4-5). Il nome è probabilmente di origine caria (cfr. SOLIN, 1 9 8 1 ); si ritrova anche tra i dedicatari del tempio laziale di Gravisca (Supplementum Epigraphicum Graecum [sEG] XXXII nr. 9 64) in un'iscrizione del 550-525 ; non è impossibile che il dedicatario sia proprio il personaggio citato da Erodoto (cfr. TORELLI, 1 9 82, p. 320 ).

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bligazione collettiva che pesava sulla loro comunità, in quanto soggetta al Gran Re. Tale obbligazione non riguardava solamente i Greci d�sia, ma era comune a moltissimi popoli dell'impero; localmente, si traduceva spesso in corvées militari che gravavano sulle singole proprietà terriere, le quali permettevano sovente al proprietario di sfuggire alla leva pagando dei sostituti. Nelle fonti greche, troviamo a volte l'espressione fuorviante di hoi basileos misthophoroi (Xen. Anab. VII 8.15), > '. Ai prodromi della campagna di Cambise appartiene il primo episodio che coinvolge veri e propri mercenari. Si tratta della storia, narrata da Ero­ doto (111 4-1 1 ) , di Phanes, suo concittadino di Alicarnasso4 • Questi, distin­ tosi tra i componenti dei contingenti cari al servizio di Amasi, nell'immi­ nenza dell'invasione persiana decide, per motivi non precisati, di fuggire presso Cambise, per offrirgli i suoi servigi e, soprattutto, le importanti informazioni di cui era in possesso. La carica rivestita presso gli Egiziani doveva essere assai di rilievo, altrimenti non si spiegherebbe l'accanimen­ to di Amasi nell'inseguirlo: Erodoto è vago in proposito (Phanes avrebbe rivestito una (VII 8.23). Nessuno stato di guerra giustifica l'aggressione notturna. Non si può sostenere, infatti, che i reduci dei Diecimila fossero formalmente in guerra con l'impero persiano. Eppure, Senofonte non sembra avere alcun rimorso a proposito della sua ultima impresa e sostanzia questa sua sicurezza con una serie - tipica del personaggio - di sacrifici, in cerca di un avallo delle sue decisioni da parte degli dèi. Non siamo qui a fare della morale, con la quale la nostra coscienza di storici si macchierebbe del peccato originale dell'anacronismo: è verosimi­ le, per farla breve, che l'impresa di Senofonte vada iscritta all'interno di un codice aristocratico che considera lecita la conquista di bottino, alla stregua degli atti di pirateria che infatti erano considerati, quanto meno in età ar­ caica, come facenti parte delle normali strategie acquisitive di un nobile. È per caso che Senofonte mette in grande evidenza tale comportamento alla fine della sua opera? Ci pare improbabile; e noteremo come si tratti di un modus opera ndi opposto al guadagno che ci si poteva procurare attraverso regolari contratti che venivano stipulati tra i committenti e i mercenari. Si potrebbe dunque interpretare la scelta di 'montaggio' da parte dell'autore come una dichiarazione di distanza dal mercenariato. Senofonte fa di tutto per marcare questa distanza: ecco perché si dichiara privo di denaro, dopo due anni durante i quali aveva vissuto tra mercenari e ne aveva assunto il comando. Per quanto riguarda la prima parte, nei mesi prima di Cunaxa, Senofonte esplicita subito come egli non possa essere definito mercenario. Egli si era unito alla spedizione, afferma in un passo famoso, > ( 1 1 1 1.4): ancora una volta, un pattern arcaico - quello della xenia (cfr. più avanti) - contrapposto a una relazione

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contrattuale 'moderna: E il suo sforzo si spinge fino a negare la natura mer­ cenaria della maggior parte dei suoi compagni, un tentativo ai limiti dell'in­ verosimile, in un passo (vI 4.8) sul quale torneremo (cfr. pp. 274-5). Il servizio presso Seuthes, breve e poco significativo dal punto di vista militare, è intrapreso faute de mieux e ha almeno il pregio di far risaltare, ancora una volta, le innumerevoli doti di Senofonte, comandante in capo dell'esercito. La gloria personale in cambio di un'ammissione di aver servito come mercenario; e si badi bene, senza guadagnarci nulla personalmente ! L'episodio del malcapitato Asidate ci dà dunque la cifra per intendere l'intera Anabasi. Senofonte sottolinea le differenze abissali tra lui e il grosso dell'eser­ cito; sembra inoltre voler evidenziare una frattura, che in effetti era presente e col tempo si manifesterà sempre più chiaramente, tra un modo di vita tra­ dizionale presso gli aristocratici, volto all'acquisizione di bottino ma privo di rapporti di tipo contrattuale, e un modo di vita 'nuovo: nel quale gli uomini, pur liberi, lavorano per altri uomini ricevendo in cambio una paga, e i mer­ cenari vengono ingaggiati sulla base di contratti. Il mondo del mercenariato in tutto il IV secolo, e non solo gli uomini protagonisti dell'Anabasi, vive sul crinale tra questi diversi tipi di rapporto: una chiave di lettura non solo per la storia dei Diecimila di Senofonte, ma per tutta la storia del mercenariato. Una nota ancora: non sfuggirà che, se l'e sercito di Ciro era composto all'inizio di 13 .000 uomini e meno della metà si ritrovano in Asia Minore due anni dopo, ebbene neppure un uomo e morto in combattimento ( o forse uno: cfr. p. 285) durante i nove mesi di servizio mercenario!

L'Anabasi: il testo e altri testi5 L'Anabasi è un'opera letterariamente splendida e merita la fortuna che ha sempre avuto presso lettori di ogni genere; narra una storia avvincen­ te, ricca di elementi tradizionali delle storie d'avventura, quali l'incontro con popolazioni esotiche che praticano strani costumi di vita, il tema 5. L'unico commento complessivo al testo è LENDLE (199 5), su cui condivido le riserve espresse in S TRONK (199 8). Tra le più meditate e recenti introduzioni all'opera, cfr. LANE F OX (20 04a) ; LEE (2007 ), fondamentale per gli aspetti logistici e organizzativi; ne ab­ biamo seguito anche l'impianto cronologico. Itinerario e topografia: MANFRE DI (198 6). Sull'identità dei mercenari, cfr. le belle pagine di MA (2004). Cfr. anche J OANNÈS (1995) per una rara interazione con le fonti cuneiformi.

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'odissiaco' del nostos, il ritorno, nonché il lieto fine raggiunto dopo il su­ peramento di pericoli di ogni tipo; il tutto all'interno di un pattern tra i più apprezzati di ogni tempo : la storia che viene narrata è, almeno entro certi limiti, una storia vera. In quel 'entro certi limiti' è nascosto uno dei problemi più complessi che si trova ad affrontare chiunque utilizzi l'A­ nabasi come fonte storica: è necessario chiedersi preliminarmente, stu­ diando le modalità di redazione, le motivazioni dell'autore e soppesan­ do, per quel poco che è possibile, le fonti alternative, quale affidabilità abbia la narrazione senofontea. Non esiste alcuna certezza relativa alla datazione dell'Anabasi. Ipotizzan­ do, come per un libro moderno, una sola composizione e una pubblicazione unitaria in un dato momento, sarebbe inevitabile porre tale data nella vec­ chiaia di Senofonte, dopo Leuttra e l'abbandono della sua tenuta di Scil­ lunte: quindi, quanto meno tra il 370 e il 365. È inequivocabile, infatti, che alcuni passi del testo, in particolare l'excursus autobiografico del v libro (v 3.4-13) , siano stati scritti in una data così tarda 6• Nondimeno, una visione unitaria appare inverosimile in un contesto quale quello in cui operò Seno­ fonte. Nello stesso tempo, sembra altrettanto improbabile che Senofonte, nella quiete operosa di Scillunte, abbia resistito per oltre trent'anni a scrivere le memorie di quello che era stato l'episodio più appassionante della sua vita. Ammettendo una redazione in qualche modo scaglionata nel tempo, si può ipotizzare una prima edizione, seguita da una seconda che si sia limi­ tata a qualche correzione e aggiunta, oppure una prima redazione che si sia fermata all'arrivo dei mercenari sulla costa del Mar Nero, cui sarebbero sta­ ti aggiunti in un secondo tempo gli ultimi tre libri. Questa seconda solu­ zione darebbe un particolare risalto all'affermazione che leggiamo in Xen. Ell III 1. 2: . Se accettiamo, come sembra inevitabile, l'identificazione di Temistogene con lo stesso Se­ nofonte 7 , tale affermazione deve pur essere tenuta in conto e sembrerebbe deporre in favore di uno spezzamento dell'Anabasi in una prima parte e in 6. Cfr. CAWKWELL (2004, pp. 47-8), con bibliografia precedente. Cawkwell è però cer­ to che « the Anabasis was written, as it were, in one piece» (p. 47 ), un'ipotesi che non condivido. 7. Già dall'antichità: Plut. Mor. 345e; la posizione, nettamente minoritaria, di chi non crede all'identificazione, è rappresentata da H 0EG (1950).

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una seconda scritta successivamente. Altrimenti non si vede perché Seno­ fonte avrebbe dovuto scrivere dell'arrivo al mare, che non può che riferirsi all'arrivo sulle coste del Mar Nero, alla fine del libro IV, e non all'arrivo a Pergamo, alla fine dell'opera. Comunque, come sono sicuri ritocchi e aggiunte in vecchiaia, così è certo un primo nucleo dell'opera (gran parte dell'opera, per meglio dire) scritto a non troppa distanza dagli avvenimen­ ti: presumibilmente, nei primi anni di Scillunte, vale a dire nella seconda metà degli anni novanta del IV secolo8 • Si basa su illazioni, senza alcun valido indizio in un senso o nell'altro, l'annosa questione relativa all'uso, da parte di Senofonte, di un diario o comunque di documenti scritti per redigere la sua opera. Nonostante au­ torevoli e ragionevoli pareri contrari, non sono favorevole a enfatizzare l'impiego di diari e/o documenti ufficiali; una tale posizione, a mio parere, deve accompagnarsi alla convinzione che una prima redazione dell'Ana­ basi dovette essere pronta ( completa o anche solo limitata ai primi 4 libri) pochi anni dopo gli avvenimenti di cui narra9 • La vicenda dei Diecimila era molto famosa già fra i contemporanei. Se tale fama fosse basata sulla tradizione orale dei racconti dei numerosi reduci dell'impresa o fosse sostanziata da testi circolanti nel mondo greco prima o dopo la redazione dell'Anabasi, non è dato sapere con certezza. Il maggiore candidato a rivale letterario di Senofonte è uno stratego suo collega, Sofeneto, arcade originario di Stinfalo. Citato più volte nell'Ana­ basi, non era nella cerchia degli amici dell'autore, come si deduce soprat­ tutto da VI 5. 13- 21, quando una divergenza tutto sommato minore fornisce a Senofonte l'occasione di 'seppellire' il malcapitato sotto un profluvio di

È questa la posizione, p. es., di S TRONK ( 1 9 9 5, pp. 8-10 ) , con bibliografia precedente. Sul Panegi:rico di Isocrate e il suo rapporto con l'Anabasi, cfr. più avanti, pp. 274-5 con la 8.

n. 2 1.

Cfr. soprattutto BREITENBAC H ( 1 9 67, coli. 1 6 49 - 5 0 ) , che pone l'accento sulle liste uf­ ficiali dei soldati ( con segnate le diserzioni, i decessi ecc.) che dovevano pur esistere per corrispondere gli stipendi. È improbabile comunque che Senofonte vi abbia avuto acces­ so, visto anche che, dopo Cunaxa, esse non avevano più motivo di esistere. Convinti dell'e­ sistenza di diari sono anche ROY ( 1 9 6 8 ) ; CANF O RA ( 20 0 1, pp. 3 2 4- 5 ) ; STYLIANOU ( 20 0 4, p. 7 5 n. 20 ) . MANFREDI ( 1 9 8 6, pp. 1 3-4) crede che Senofonte si sia servito di appunti che avrebbe però cominciato a prendere solo dopo Cunaxa. Scettico sull'utilizzo di qualsia­ si supporto scritto DALBY ( 1 9 9 2, p. 1 8 n. 2) ; il più deciso in questo senso è C AWKWELL ( 20 0 4, pp. 5 1-9 ), curiosamente anche lo studioso più determinato nel datare la composi­ zione dell'Anabasi al 370, se non più tardi. 9.

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parole tutt'altro che accomodanti. A v 8.1, inoltre, veniamo a sapere che Sofeneto era stato condannato dall'assemblea dei soldati a una multa di 1 0 mine per un'imprecisata negligenza. Della sua opera non è rimasto prati­ camente nulla (cfr. FGrHist 1 0 9, 1 -4, con il breve commento ad loc. di Ja­ coby): è difficile infatti considerare significativa la menzione di due popo­ lazioni (i Carduchi e i Taochi) e di due toponimi (Physkos e Charmande) da parte di Stefano di Bisanzio, circa 9 0 0 anni dopo la supposta redazione del testo, con la scarna indicazione: hos Sophainetos en Kurou Anabasei phesi ( , ancora ignari della morte di Ciro. Più tardi tornano all'accampamento depredato e non trovano quasi nulla da mangiare: pessima notizia, perché già avevano saltato il pranzo, in quanto i preparativi per la battaglia erano iniziati verso mezzogiorno, subito prima del pasto.

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A parte l'indubbio sforzo fisico di fare due cariche armati nel corso di poche ore, a una temperatura presumibile di oltre 30 gradi, per di più di­ giuni per l'intera giornata, i Greci mostrano nel corso della battaglia solo una certa coordinazione di movimenti, dovuta a un grado di addestramen­ to di buon livello. La strategia da loro ( cioè da Clearco) adottata desta non poca sorpresa. Perché non impiegano la loro potente forza d'urto contro il centro di Artaserse? Se lo chiede anche Plutarco Vita di Artaserse 8.3-5, in un passo molto vivace: non di meno, se non di più, sbagliò Clearco, il quale si rifiutò di schierare i Greci di fronte al re, ma accostò l'ala destra al fiume, per non essere circondato. Se più di tutto gli interessava la sicurezza e dava la massima importanza a non subire perdi­ te, sarebbe stato meglio per lui rimanersene in patria. Costui, che aveva marciato dal mare per migliaia di stadi in assetto di guerra, senza che nessuno lo costrin­ gesse, ma per mettere Ciro sul trono regale, e che quindi cercò un luogo e una posizione non da cui potesse salvare il comandante e chi lo aveva arruolato, ma da cui potesse combattere egli stesso senza pericolo e senza rischio, era simile a chi per timore del presente trascuri il piano generale e rinunci allo scopo della spedi­ zione. È chiaro infatti, da quanto avvenne, che nessuno di quelli schierati intorno al re avrebbero retto all'attacco dei Greci ma, una volta che fossero stati respinti e il re fuggito o caduto, Ciro vincitore sarebbe stato salvo e avrebbe regnato (trad. V. Antelami).

Non è certo da dove Plutarco abbia tratto queste note. Egli utilizza, oltre allo stesso resoconto di Senofonte, Ctesia ( orientato in maniera favorevole a Clearco) e quasi certamente Dinone di Colofone (FGrHist 690) , sull'o­ pera del quale, peraltro, non sappiamo molto3 6 • In realtà, Senofonte stesso non afferma in un certo senso nulla di diverso, pur senza portare accuse. Quando Ciro (1 8.12-13) si avvicina a Clearco e, attraverso l'interprete (tut­ ta la scena ha l'aria di essere stata vista da vicino da Senofonte), gli chiede > , afferma una cosa giustissima; Clearco, nel timore di esporre i suoi (niente altro vogliono dire le giustificazioni strategiche addotte dallo stesso Seno­ fonte) , non trova di meglio che rispondere a Ciro (autoi meloi hopos kalos exoi), frase sostanzialmente 3 6 . Su Dinone, è sufficiente rimandare a S TEVENS ON ( 1 9 87 ).

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priva di significato che invita comunque Ciro a non intromettersi nella condotta dell'imminente battaglia. Il comportamento di Clearco nella battaglia è stato, generalmente, giu­ stificato dagli studiosi moderni37 • La linea principale di difesa è così riassu­ mibile: attraversare per centinaia e centinaia di metri ( alcuni chilometri ?) il fronte della battaglia per portarsi dall'estrema destra al centro era una pazzia e Clearco aveva ragione nel rifiutare di prendere in considerazione questa possibilità. Quanto allo schieramento iniziale, esso era stato deciso dallo stesso Ciro, o comunque d'intesa con lui3 8 • Gli errori dipendono an­ che e soprattutto dalla fretta con cui l'esercito di Ciro, sorpreso dall'appa­ rire dell'armata di Artaserse, è costretto a schierarsi in assetto di battaglia. È forse possibile, però, vedervi un indizio della malattia 'storica' del mercenario, che cerca innanzi tutto di salvaguardare la propria incolumi­ tà e solo in un secondo tempo contribuisce al successo del committente ? Vero è che la superiorità della fanteria greca era schiacciante e si conferma di generazione in generazione, ogni volta che dei Greci si scontrano con­ tro Persiani, da Maratona in poi: ma ci sembra che quell'essere rimasti tutti vivi - o quasi - in una battaglia così importante sia per i Greci, più che un titolo di merito, una testimonianza della scarsa volontà da parte dei mercenari di battersi al massimo delle capacità. Né serve a correggere que­ sta impressione la cursoria e inattendibile notazione da parte di Diodoro (xiv 24.6) secondo la quale la maggior parte dei 15 .000 caduti dell'esercito di Artaserse fu uccisa dai nostri mercenari: accettando questo dato, essi sarebbero stati in grado di produrre, per così dire, un rapporto tra danni procurati e ricevuti del tutto inverosimile.

37. Cfr. LENDLE (1966), solidale con Senofonte e i mercenari greci; BIGWO O D (19 83), evasivo sul problema del giudizio da dare sull'operato di Clearco; WYLIE (1992a) ha mol­ ti dubbi sulla condotta di Clearco, pur non giungendo alle estreme conseguenze e attri­ buendo le maggiori colpe a Ciro; cfr. soprattutto pp. 129-30; EHRH ARD T (1994) esalta il ruolo di Tissaferne, giudicando la carica vittoriosa dei mercenari greci una trappola per allontanarli dal cuore della battaglia; S TEVENSON (1997, pp. 86-93), con discussione delle fonti a disposizione; WH ITBY (2004) tende, in una discussione articolata, a giustificare il comportamento dei mercenari greci: cfr. soprattutto pp. 225-8. 3 8. Cfr. I 7: è da qui, in effetti, che bisogna partire, anche perché ciò che viene detto al cap. 7 è in contraddizione con ciò che troviamo al cap. 8. Ciro aveva cambiato idea, oppure è la narrazione di Senofonte che, in qualche misura, è ingannevole? Cfr. anche la posizio­ ne di Menone, che a I 7. 1 è destinato a guidare l'ala sinistra, mentre poi, a I 8. 4, comanda sì l'ala sinistra, ma del contingente greco.

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Il ritorno : l'arrivo nelle poleis della costa del Ponto Eusino L'anomala situazione in cui i mercenari si vengono a trovare dopo Cunaxa (un vero e proprio esercito, privo però di uno scopo e lontanissimo dalla pro­ pria base) ha come esito, dopo un paio di mesi di inutili trattative, l'uccisione a tradimento, organizzata da Tissaferne, di Clearco, di fatto il comandante, di 4 strateghi e di alcuni tra i locaghi e soldati. Lo stato d'animo dei Diecimila dopo l'agguato è riassunto mirabilmente da Senofonte all'inizio del III libro: La cattura degli strateghi e l'uccisione dei locaghi e dei soldati che li avevano ac­ compagnati mise i Greci in grave difficoltà: riflettevano infatti sul fatto che erano ormai nei pressi delle porte del re, circondati da ogni parte da molte popolazioni e città nemiche ; nessuno era disponibile ad aprire loro un mercato e la Grecia distava non meno di 10. 0 0 0 stadi, senza che ci fosse una guida a indicare loro il cammino [ ... ] . Considerando tutto ciò e in preda allo sconforto, pochi la sera toccarono cibo, pochi accesero il fuoco, mentre molti, quella notte, non rientra­ rono al campo, ma si misero a riposare ciascuno là dove si trovava, senza riuscire a prendere sonno per l'angoscia e la nostalgia della patria, dei genitori, delle mogli, dei figli, che pensavano di non rivedere più ( 1 1 1 1.2-3 ) .

La riorganizzazione dell'esercito, l'inizio di una faticosa, difficile marcia di ritorno, l'incontro con popolazioni 'altre' che suscitano l'interesse un po' distratto del narratore, sono tra i momenti più famosi e appassionanti dell'Anabasi, ma non riguardano direttamente il nostro tema. Il dramma­ tico attraversamento delle montagne dell'Armenia, conseguenza di una scelta di tragitto a dir poco discutibile, causa la morte di molti soldati; tra­ scorso l'inverno (sono passati all'incirca sette-otto mesi da Cunaxa), l'im­ provvisa vista del mare, che si offre all'avanguardia giunta sulla sommità del monte Teche (Iv 7. 21- 27 ), fa credere ai Greci che le loro traversie siano finalmente terminate: essi si abbracciano felici, pensando di essere giunti in luoghi amici. In effetti, stanno per entrare in un territorio, la costa del Ponto Eusino, punteggiato da varie fondazioni greche, i cui abitanti vivo­ no in rapporti a volte amichevoli, più spesso conflittuali, con le numerose popolazioni indigene. Il racconto che Senofonte ci offre di questa parte del viaggio deve essere analizzato con particolare diffidenza: da una parte l'autore va assumendo un ruolo di primissimo piano nelle vicende e mai come adesso la narrazione ha lo scopo di mettere in buona luce se stesso e i suoi amici e, al contrario, di denigrare gli avversari; dall'altra, conside­ razioni di tipo 'politico: relative fors'anche al periodo, di una generazione

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successiva, in cui l'opera venne redatta, lo inducono a screditare o a loda­ re personaggi spartani che, soprattutto nell'ultima fase, hanno una parte centrale nelle vicende. Un comprensibile esprit de corps, infine, lo induce spesso a descrivere i suoi compagni in maniera assai indulgente e benevo­ la. Quando pure ne mette in luce comportamenti a dir poco inquietanti, che vanno dalla totale mancanza di rispetto di qualsiasi regola umana nei rapporti con gli indigeni (basti per tutti il terribile racconto che lo stesso Senofonte fa in un'assemblea, mentre si trovano a Cotiora: v 7.13-33), al disinvolto uso del ricatto nei confronti delle stesse poleis greche (vI 2.5, nei confronti di Eraclea), al tentativo di prendere Bisanzio con la forza, incuranti dello spargimento di sangue e delle eventuali conseguenze che l'atto avrebbe comportato, Senofonte sembra attribuire la responsabilità di tutto ciò a pochi individui censurabili e in generale adotta un atteggia­ mento paternalistico. Nondimeno, lo ripetiamo, il grande interesse che la narrazione rive­ ste concerne in primo luogo l'atteggiamento che una serie di comuni­ tà greche assumono nei confronti di un esercito che non è espressione di un nemico identificabile, ma che si trova a passare attraverso il loro territorio e viene quindi visto come almeno potenzialmente ostile. Una tale situazione prefigura il rapporto che le poleis greche di IV secolo si troveranno a dover gestire con gli eserciti mercenari di ogni specie che, appunto nel corso del secolo che si apre con l'avventura dei Diecimi­ la, diventeranno sempre più comuni. Ciò fa passare in secondo piano la considerazione che, stricto sensu, l'esercito dei Diecimila, almeno in questa fase, non è un esercito mercenario, in quanto privo di una com­ mittenza, non stipendiato. I reduci da Cunaxa, che a v 3.3 apprendiamo essere ancora 8.600 (a essi andrà aggiunta la composita carovana al seguito, che dobbiamo im­ maginare di consistenza almeno pari al numero dei soldati3 9 ) , toccano, nel corso delle loro peregrinazioni lungo la costa del Ponto, non meno di sette fondazioni greche: Sinope e le sub-colonie di quest'ultima, Trapezunte, Cerasunte e Cotiora, Eraclea, Crisopoli (sub-colonia di Calcedonia), e, infine, Bisanzio, il centro di gran lunga più importante. A queste città si aggiungerà anche, sulla costa tracia, Perineo. 3 9. Senofonte cita assai raramente le donne al seguito, che a suo stesso dire erano in gran numero (1v 3 . 1 9 ; cfr. anche IV 3.30; v 4. 33). Sull'argomento, LEE ( 20 0 4b ) .

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Il periodo più lungo - oltre tre mesi complessivi - viene speso per attra­ versare, con lunghe soste, il territorio controllato (in senso stretto: le sub­ colonie pagavano ai Sinopei un regolare tributo: v 5.10) da Sinope, con le sue sotto-fondazioni di Trapezunte, Cerasunte e Cotiora. I rapporti intrat­ tenuti dall'esercito dei reduci con le poleis sono ambigui: da un lato sono rapporti tra Greci in un territorio abitato da barbari, e rapporti tra amici, poiché non esiste alcun motivo dichiarato di conflittualità; dall'altro, è evi­ dente che l'arrivo di questi uomini, armati, pronti a tutto, ma privi di quasi tutto, costituisce un enorme problema per le autorità delle poleis, che desi­ derano sbarazzarsene al più presto. Il comportamento standard sembra es­ sere il seguente: i reduci vengono accolti con buone parole e qualche dono ospitale (farina, vino, buoi, pecore), ma vengono tenuti fuori dalle mura. Al più viene consentito l'ingresso a soldati infermi e bisognosi di cure, che in qualche modo pagano in cambio dell'ospitalità offerta da qualcuno degli abitanti40 • Per quanto riguarda l'approvvigionamento, poiché i doni ospi­ tali, come afferma stizzito un soldato in una di queste occasioni, non ba­ stano per tre giorni (vI 2.4), le città possono (agoran parechein: v 8.23) fuori delle mura : di fatto solo i Trapezuntini danno que­ sta opportunità (forse, più tardi, anche gli Eracleoti: lo si dedurrebbe da VI 2.8), che consisteva nel vendere prodotti di prima necessità da parte della popolazione; ma, a parte tale eventualità, non restava che sfruttare il terri­ torio circostante, con saccheggi più o meno sistematici dei villaggi e delle campagne indigene: era cura dei coloni greci indirizzare tali spoliazioni verso gli indigeni non pacificati, come i Drili del territorio di Trapezunte, mentre, almeno ufficialmente, gli indigeni amici erano equiparati ai Greci, quando schegge impazzite dei reduci non passavano sopra a ogni accordo, come nel già ricordato caso stigmatizzato da Senofonte a v 7.13 ss. In man­ canza di accordi, è facile intuire che gli uomini di Senofonte non esitavano a fare bottino anche in territorio greco, come sembra avvenire, a sentire le lamentele dell'ambasciatore di Sinope, nel territorio di Cotiora (v 5.11, confermato da v 5.6). Un'ulteriore possibilità è data dalla cattura di navi di

40. Non sappiamo molto delle modalità in proposito: l'unica nostra fonte di informa­ zione è la reazione indignata di Senofonte, a nome di tutti, per il rifiuto dei Cotioriti di accogliere gli infermi, che porta i Cirei a forzare l'ingresso di questi ultimi in città, appro­ fittando del pessimo stato di parte delle mura: a questo almeno sembra alludere la criptica frase di v 5 . 2 0. Secondo LENDLE (1995, pp. 344-6) Senofonte avrebbe scritto parte del suo diario nel lungo periodo di riposo a Cotiora. Chi può dirlo?

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passaggio. Questa trasformazione dei mercenari in pirati, grazie a imbarca­ zioni fornite dai Trapezuntini, viene descritta da Senofonte assai pudica­ mente, a v 15-16: nulla viene detto sul trattamento riservato a navi greche e sulla sorte degli equipaggi catturati, forse destinati a essere venduti come schiavi. Tale attività, cui viene preposto l'ateniese Policrate4 1 , aveva comun­ que un doppio scopo: procurare viveri e denaro attraverso la vendita del bottino raccolto, ma anche imbarcazioni per il trasporto dei soldati stessi. Ciò apre un ulteriore fronte nei rapporti con le poleis: esse preferivano che il resto del viaggio degli scomodi ospiti avvenisse via mare, per evitare i pe­ ricoli di saccheggio dei territori; non erano però in grado di fornire navi in quantità4 2 : da qui il permesso di esercitare la pirateria, fornendo il capitale iniziale di qualche nave. Poiché, o per mancanza di navi, o per convinzione, una parte almeno dell'esercito compie tutto il viaggio via terra, le città si sobbarcano la corvée di sistemare le strade della costa (v 3.1: strada rifatta dai Trapezuntini; cfr. V 1.13). Il quadro non muta con l'arrivo a Eraclea. Le autorità della città sono generose per quanto riguarda i doni ospitali, ma è significativa la reazione al vero e proprio ricatto43 proposto da alcuni: gli Eracleoti (VI 2.8) . Tra gli emuli di Clearco basterà ricordare, 2.000 e più anni dopo, il generale Patton che, in un celebre film a lui dedicato, contem­ plando un campo devastato e pieno di morti dopo una battaglia, esclama: > i. La nostra sensibilità nei confronti della violenza e della stessa guerra è, almeno all'apparenza, assai mutata, tanto da indurci a classificare Clearco o Patton come persone affette da disturbi psichici: non a caso, Lawrence Tritle ha visto in Clearco l'antesignano del militare affetto da PTSD (post­ traumatic stress-disorder) 3 • È corretto affermare che le reazioni dell'uomo allo stress derivato dalla partecipazione o anche dalla semplice osserva­ zione di atti di violenza possono essere simili in contesti diversissimi e a migliaia di anni di distanza. Nondimeno, a prescindere dai dubbi meto­ dologici che tali operazioni comparative possono suscitare, almeno due osservazioni specifiche andranno fatte a questa ipotesi di lavoro: da una parte, dobbiamo notare come per tutta I'Anabasi Clearco tenga un com­ portamento da consumato politico, senza dare alcun segno del suo stato mentale che si vorrebbe tanto alterato da portarlo alla totale asocialità e incapacità di rapportarsi con gli altri 4• L'unica 'soluzione' a questa aporia ( ed è quella scelta senza remore da Tritle) è negare attendibilità al racconto senofonteo della prima parte della spedizione, una scelta a dir poco sem­ plicistica. La seconda osservazione ci porta in un contesto più ampio. È •

Per la distinzione tra disciplina positiva/ neutra/ negativa applicata all'Anabasi, è ancora valido NUS SBAUM ( 1 9 67 ) . 2. Il film è Patton, di F. J. Schaffner ( 1 9 7 0 ) ; la battuta è citata da HILLMAN ( 2 0 0 5 , p. 1 1 ) . 3. TRI TLE (20 0 4) . Lawrence Tritle è tra quanti credono particolarmente stimolante il confronto latamente antropologico tra le esperienze del Vietnam o della seconda guerra mondiale e i comportamenti dei soldati dell'antichità; cfr. soprattutto TRI TLE ( 20 0 0 ) . 4 . Cfr. soprattutto ROI SMAN ( 1 9 8 5-87 ) ; LAF ORSE ( 2 0 0 0, pp. 74- 8 8 ) . 1.

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anche possibile che le reazioni alla guerra siano simili in epoche così lonta­ ne tra di loro. Ma ciò che non è per nulla simile è il contesto sociale in cui tali reazioni si manifestano: oggi il comportamento che per brevità defi­ niremo del philopolemos è considerato inaccettabile, non a caso viene de­ scritto in termini psichiatrici. Al tempo di Clearco, il termine individuava invece una predilezione socialmente rispettabile, tanto da costituire - è bene ricordarlo - l'ossatura ideologica della città da cui Clearco proveniva e nella quale era stato allevato per tutta la giovinezza. I Greci, insomma, se non l'amavano come Clearco, certo erano più di­ sposti a sopportare l'esistenza della guerra, che costituiva una presenza ine­ liminabile nel loro orizzonte. Inoltre, mancava la distinzione tra militari e civili che contrassegna le nostre società, mancava quella consapevolezza che il mondo della guerra è un mondo a parte con le sue regole: non in rotta di collisione con la 'società civile: ma comunque un mondo diver­ so. In Grecia, non esisteva nulla di tutto questo. Non dobbiamo andare troppo lontano per capirlo: accanto al ritratto di Clearco, Senofonte pone quelli di altri due strateghi vittime dell'agguato persiano, Prossena e Me­ nane. Se non ci soffermiamo sulla circostanza contingente che il primo era stato grande amico di Senofonte e il secondo era odiato da quest'ulti­ mo forse più di qualsiasi altro partecipante alla spedizione, si tratta di due personaggi simili: giovani, ricchi, aristocratici, di notevolissima levatura intellettuale e di grandi ambizioni, essi vedevano nella guerra un mezzo di affermazione ideale per conquistare fama, onori, gloria e ricchezze s. La guerra, per farla breve, era perfettamente lecita, così come mi sem­ bra si possa definire positivo il ritratto del nostro uomo, nonostante i di­ fetti palesati. Ma chi era Clearco? Pur con molte lacune, siamo in grado di ricostruire un certo numero di vicende della sua vita, in modo da poter offrire, quanto meno, un complemento all'obituario senofonteo6 •

Uno spartiata di belle speranze Clearco era uno spartiata, figlio di Ramphias, personaggio di spicco del­ la nomenklatura spartana, ambasciatore ad Atene nell'imminenza dello scoppio della guerra del Peloponneso (Thuc. I 139.3) e responsabile di 5 . Per un p rimo inquadramento, cfr. LENGAUER ( 1 979 ). 6. Per quanto segue, cfr. sop rattutto BASSETT (2001).

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operazioni militari nel nord della Grecia poco prima della firma della pace di Nicia, dieci anni dopo ( Thuc. v 12-14). L'apparizione di Cle­ arco nelle fonti è un po' tardiva, quando il nostro uomo doveva essere già nella piena maturità7 • Tucidide lo nomina ripetutamente come co­ mandante di navi peloponnesiache a partire dal 412 (VI I I 8.2; VI I I 39.2, VI I I 80.1-3), senza peraltro offrire spunti relativi alle sue capacità e al suo carattere. Nel 410, a detta di Diodoro (XIII 40.6; cfr. XIII 51.1-8), parte­ cipa con scarso successo alla battaglia di Cizico, al comando di una forza mercenaria fornita dal satrapo Farnabazo. Nei primi mesi del 409 (Xen. Ell. I 1.35) viene quindi inviato con quindici navi a Bisanzio, città del­ la quale Clearco era prossena, probabilmente avendo ereditato la carica dal padre. Neppure un anno dopo il suo arrivo, nella primavera del 408, gli Ateniesi iniziano l'assedio di Bisanzio, guidati da Alcibiade. Clearco ( che Senofonte chiama ora armosta, una designazione ufficiale dei ple­ nipotenziari spartani all'estero : Xen. Ell I 3.17), non ritenendo di poter resistere a lungo, anche perché gli Spartani presenti erano pochissimi, solo alcuni perieci e neodamodi, affida la città a Ceratada ( una vecchia conoscenza, per il quale cfr. pp. 197-9) e al megarese Elisso per recarsi da Farnabazo in cerca di aiuto.

Un uomo crudele : da generale a tiranno, a bandito In sua assenza, cinque uomini, citati per nome con grande pignoleria da Se­ nofonte (Ell I 3.18), aprono le porte e fanno entrare gli Ateniesi: un classico nella storia degli assedi greci. Il punto interessante è che uno dei cinque, tal Anassilao, viene deportato a Sparta e sottoposto a processo per tradimento: ebbene, nonostante lo stato di guerra e la scarsa benevolenza di cui gli Spar­ tani davano di solito prova in questi casi, egli viene assolto, sostenendo che non aveva tradito, ma salvato la città, dove vedeva morire di fame donne e bambi­ ni [ ... ] mentre Clearco riservava tutti i viveri della città ai soldati spartani; per que7. Non abbiamo idea della data di nascita di Clearco, che, a seguire l'obituario di Seno­ fonte (11 6.15), nel 401 doveva essere sulla cinquantina. Ma la notazione non va presa alla lettera : neppure Senofonte ne conosceva l'età. Una data di nascita di Clearco intorno al 450 non confligge necessariamente con il padre ancora attivo nel 420 (gli Spartani - se in buona salute - non mancavano di far valere il proprio apporto anche da anziani) : ma certo qualche piccolo problema lo crea.

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sto motivo aveva fatto entrare i nemici, non per denaro o per odio nei confronti di Sparta (Xen. Ell. I 3.19 ; cfr. Diod. XIII 66.3).

I dirigenti spartani si dissociano dunque dal comportamento di Clearco, pur non condannandolo8 • Dopo la perdita di Bisanzio, infatti, Clearco ri­ mane 'operativo' nella zona; quando sentiamo parlare nuovamente di lui, è il braccio destro di Callicratida nella sconfitta spartana delle Arginuse (Diod. XIII 98. 1). È solo un'ipotesi, plausibile ma non dimostrabile, che Clearco abbia successivamente partecipato alla battaglia di Egospotami e abbia accompagnato Lisandro al Pireo nell'atto finale della guerra9 • Con una decisione a dir poco sorprendente e inopportuna, le autori­ tà spartane, subito dopo la fine della guerra, inviano di nuovo Clearco a Bisanzio, che aveva chiesto aiuto per timore delle incursioni dei Traci. La narrazione di Diodoro Siculo (xiv 12. 2-8) si riferisce alla primavera-estate del 403 e ci informa della presa di potere da parte di Clearco e della sua tra­ sformazione in tiranno, con l'uccisione dei magistrati in carica e di trenta dei più illustri e - soprattutto - ricchi cittadini. In questa operazione, egli, come era facile immaginare, si circonda di mercenari, raccolti già prima del suo arrivo e poi in gran numero grazie ai beni dei cittadini uccisi. Gli Spar­ tani, ancora una volta, non avallano gli atti di Clearco e, dopo aver ten­ tato di risolvere la situazione diplomaticamente, inviano Panthoidas con un contingente. Lo scontro è rimandato per qualche tempo, ma alla fine Clearco viene sconfitto e fugge in Ionia. Da questo momento è un esule 10 •

8. L'ipotesi che Clearco sia stato nell'occasione multato, accettata da BASSETT ( 20 0 1, p. 4), si basa su Polieno II 2.7, cui la studiosa sembra concedere eccessiva fiducia. 9. Così BASSETT ( 20 0 1, p. 3). 1 0. Senofonte (Anab. II 6.2-4) raggiunge vertici insuperati di vaghezza e involontario umorismo cercando di 'coprire' questo periodo della vita di Clearco : « appena conclu­ sa la pace [ tra Sparta e Atene, 404] riuscì a convincere i suoi concittadini che i Traci danneggiavano i Greci e, dopo aver ottenuto in qualche modo il consenso degli efori, salpò per combattere contro quei Traci che abitano al di là del Chersoneso e di Perineo. Ma, quando era già in viaggio, gli efori non si sa perché cambiarono idea e cercarono di farlo tornare indietro dall'istmo: Clearco non obbedì e fece vela verso l'Ellesponto. Venne quindi condannato a morte dai magistrati di Sparta, in quanto colpevole di insubordinazione. Ormai esule, si recò da Ciro» . Sulle motivazioni che indussero il nostro autore a cancellare la 'tirannide' di Clearco a Bisanzio, non solo dall'Anabasi, ma anche dalle Elleniche, possiamo solo fare delle ipotesi: spiazzante, anche se non priva di acume, quella di LAFORSE ( 20 0 0, pp. 85-7 ) , secondo la quale Senofonte con­ divideva sostanzialmente le ambizioni di Clearco e anche i metodi non irreprensibili per soddisfarle.

MERCENARI

302

Clearco e Ciro L'allachou (Anab. II 6.4), !'altrove dove Senofonte avrebbe raccontato come sia nata la grande amicizia tra Ciro e Clearco, che siano scritti dello stesso Senofonte mai pubblicati o non giunti fino a noi ( un'ipotesi comun­ que improbabile) o addirittura l'opera di Ctesia, che conobbe Clearco ne­ gli ultimi giorni della sua vita, per noi non esiste. Peccato, perché ci sareb­ be piaciuto sapere che cosa poteva unire nel forte vincolo della xenia due personaggi così diametralmente diversi. Probabilmente poco, se si esclude il reciproco interesse: Clearco era estremamente ambizioso ma in difficol­ tà, bandito com'era da Sparta, Ciro aveva bisogno di comandanti esperti. È verosimile che la stessa Sparta non avesse nulla in contrario a che l'aiuto a Ciro fosse portato da personaggi ufficialmente messi al bando: la circo­ stanza avrebbe potuto costituire una buona scusa nei confronti di Artaser­ se, se le cose fossero andate male, come in effetti andarono. Fatto sta che il caso volle che, a quanto ci narra I'Anabasi, nascesse tra Ciro e Clearco un modello di > . Non c'è alcuna morale da trarre dalla vita di Clearco. Molti spartiati ave­ vano difficoltà a rapportarsi con gli altri Greci, per il misto di arroganza e violenza che li contraddistingueva, vero marchio di fabbrica della loro educazione 1 1 Clearco è da una parte un tipico prodotto della città sull'Eu­ rota, dall'altra appare per molti versi eccessivo, tanto da essere sconfessato e bandito dai suoi concittadini. Ma le sue stesse qualità tipicamente sparta­ ne lo salvano, in un mondo in cui l'esclusione era spesso valida solo in am­ biti geografici ristretti, e bastava spostarsi per cominciare una nuova vita. Il suo incontro casuale ( e certo non approfondito: Senofonte era molto più giovane e, nel momento in cui Clearco venne ucciso, non ricopriva al­ cun ruolo di riguardo tra i Diecimila) con un grande scrittore ne ha salvata la fama ben al di là di poche citazioni nelle narrazioni storiche. •

1 1.

Rimando per questo tema a H ORNBLOWER (20 0 0 ).

12

L'impero persiano, 3 : il IV secolo Essi infatti erano pagati molto male dai generali, una pratica usuale per quanti combattono al servizio del Gran Re [ ... ] . Il colpevole di questa situazione è lo stesso Gran Re, il quale, una volta che è stata decisa la guerra contro qualcuno, man­ da all' inizio una piccola somma di denaro a quanti hanno il compito di promuoverla e non si preoccupa in alcun modo del futuro.

Elleniche di Ossirinco XIX 2

Conone L'ateniese Conone non può essere considerato uno dei condottieri (Io sarà il figlio T imoteo: cfr. CAP. 4), in quanto la sua attività si svolge quasi in­ teramente da esule: egli era infatti lo stratego comandante in capo della flotta ateniese a Egospotami ( 405), l'episodio che segnò, di fatto, la disfat­ ta ateniese nella guerra del Peloponneso; dopo la battaglia, aveva preferito riparare a Cipro, presso il re di Salamina Evagora1 Delle vicende che lo riguardano, tra i primissimi anni del nuovo seco­ lo e la prematura morte intorno al 392, non ci occuperemo qui analitica­ mente. Il suo ruolo di comandante della flotta persiana vincitrice a Cnido (probabilmente in posizione formalmente subordinata a Farnabazo) lo caratterizza come un 'mercenario di lusso', secondo una felice espressione2.. Le vicende di cui è protagonista coinvolgono spesso dei mercenari: saran­ no questi ultimi a essere oggetto della nostra attenzione. All'indomani della decisione spartana di intervenire in Asia Mino­ re, Artaserse II , spinto soprattutto da Farnabazo, decide la costruzione di una grande flotta per contrastare il dominio spartano nell'Egeo. La decisione viene presa nel corso del 398: ne vengono investiti soprattut•

Su Conone, ancora importante BARB IE RI (1955). Cfr. F ORNI S vo per molti aspetti). Su Egospotami, cfr. S TRAUS S (1983; 1987 ). 2. Adoperata da ALONS O TRONC O S O (1999, p. 64). 1.

(20 0 8,

cap. VII , esausti­

MERCENARI

to i domini persiani a Cipro, in Cilicia e in Fenicia, tradizionali zone fornitrici di navi ed equipaggi 3 . Ed è proprio sulle coste fenicie - ali' i­ nizio del 396 - che un mercante di Siracusa, tal Eroda, si rende conto dell'insolito numero di triremi, già equipaggiate o in corso di arma­ mento, che ne affollano i porti. Tornato in Grecia, ne informa al più presto gli Spartani, > (Xen. Ell. I I I 4. 1 ) : delizioso caso di spionaggio 'casuale', per nulla isolato nel mondo antico. La risposta spartana sarà l'invio di Agesilao in Asia Minore, nel corso dello stesso anno 396. Intanto, Conone, inve­ stito del comando della flotta (così leggiamo in Diod. XIV 39.1), si trova a fronteggiare la rivolta dei marinai ingaggiati in vista della formazione degli equipaggi. Ce ne informa con dovizia di particolari l'autore delle Elleniche di Ossirinco, gettando luce su di un episodio che altrimenti sa­ rebbe rimasto sostanzialmente sconosciuto4 • Leggiamo dunque questa fonte (xix 2-xx 6): 2] Durante tutto questo tempo i soldati erano creditori di molti mesi di paga. Essi infatti erano pagati molto male dai generali, una pratica usuale per quanti combattono al servizio del Gran Re [ ... ]. Il colpevole di questa situazione è lo stesso Gran Re, il quale, una volta che è stata decisa la guerra contro qualcu­ no, manda all'inizio una piccola somma di denaro a quanti hanno il compito di promuoverla e non si preoccupa in alcun modo del futuro. E i responsabili, non avendo la possibilità di impiegare i patrimoni privati, a volte sono costretti a licen­ ziare le proprie truppe. [ XIX 3 ] Ecco che cosa avviene di solito. Ma, quando giunse Conone e disse che c'era il rischio concreto che tutto andasse a monte per man­ canza di denaro e che non era giusto che coloro che combattevano al servizio del Gran Re andassero incontro a un simile fallimento per questo motivo, Titrauste dette 220 talenti d'argento ad alcuni dei barbari al suo servizio e li inviò a pagare i soldati. [ ... ] [ xx 1 ] I Cipriori che erano stati ingaggiati da Conone avevano fatto vela verso Cauno ed erano stati convinti da qualcuno che spargeva false notizie che non sarebbe stata loro versata la paga dovuta, poiché il denaro sarebbe stato riservato esclusivamente ai marinai e alle truppe imbarcate sulle navi. Infuriati, [XIX

3. Sulle emissioni monetali di Farnabazo in tale occasione, cfr. MAFFRE ( 20 0 4) . 4 . Un accenno in Isocr. I V Paneg. 1 42, dove, a proposito delle malefatte del Gran Re, si sostiene che « privò i soldati della paga per quindici mesi» : sorprendente precisione in un contesto vago e propagandistico; da citare anche Giustino VI 2. 1 1, che si sofferma sui «praejècti regis » i quali (1v Paneg. 141), un dato poco credibile se anche si riferisse ai soli mercenari1 1 Poco si può dire an­ che della loro origine, che Parke (P, p. 61) suppone composta da > . Certamente, vi erano degli Ateniesi. A questo proposito, è necessario riprendere il dossier, assai complesso e dibattuto nella biblio­ grafia moderna, sugli aiuti che Evagora ricevette da Atene nei primi anni della guerra contro i Persiani ( cfr. anche il CAP. 4). Le relazioni tra Evagora e Atene erano da tempo molto strette, tanto che il re cipriota aveva ottenuto la cittadinanza ateniese. Tali legami erano stati rinforzati grazie a Conone e al suo gruppo di riferimento. Quando scoppia la guerra tra i Persiani ed Evagora, la città non manca di far avere a quest'ultimo il suo apporto, sia pure in forma ufficiosa. Della prima spedizione sentiamo parlare da Senofonte (Ell IV 8.24): . Siamo nella primavera del 390; circa due anni dopo >; questa spedizione raggiunge l'isola1 2 • Più interessanti sono le notizie che traiamo da un'orazione di Lisia (xix Sui beni di Aristofane), redatta per un processo celebrato intorno al 387, nel quale i parenti di Aristofane, figlio di Nicofemo, come lui condan­ nato a morte e alla confisca dei beni, cercano di convincere la giuria di non possedere più nulla del patrimonio di Aristofane, nonostante gli esiti della confisca fossero stati deludenti. Nell'orazione possiamo leggere la descrizione dell'allestimento di una spedizione di soccorso a Cipro: una vera e propria impresa militare pri­ vata, organizzata con l'autorizzazione e la parziale collaborazione dello stato ateniese, sulla quale ci siamo trattenuti in precedenza ( cfr. CAP. 4, pp. 78-9). •

Isocrate sembra in effetti equiparare i peltasti ai mercenari, mostrando scarsa attenzio­ ne ai termini tecnici di ambito militare : cfr. P, pp. 44-5 n. 6, con BETTALLI ( 1 9 9 2) e, ora, 1 1.

sop rattutto, BOUCHET (20 10 1 2.

).

Xen. Ell v 1 . 1 0 ; cfr. Cornelio Nepote XI Cabria 2 . 2 . Cfr. Repertorio, nrr. 2 bis e s bis.

L'IMPERO PERSIANO, 3 : IL IV SECOLO

Per una naturale esigenza di economia narrativa, pressoché tutti gli stu­ diosi concordano nell'identificare la spedizione organizzata da Aristofane con quella di Filocrate, le cui navi vennero catturate da Teleutia. Solamen­ te P. J. Stylianou ritiene che si trattasse di una spedizione a se stante, orga­ nizzata probabilmente pochi mesi prima della spedizione di Filocrate. Lo studioso nota come Lisia non faccia alcun cenno all'esito negativo della spedizione, che pure sarebbe stato del tutto funzionale a quanto la difesa dei parenti di Aristofane voleva dimostrare, vale a dire la perdita di tutto il patrimonio di Nicofemo e Aristofane. L'ipotesi non è priva di interesse, nondimeno rimane poco probabile 1 3 • In ogni caso, rimane l'eccezionale interesse per una narrazione che ci permette di gettare uno sguardo ravvicinato sul comportamento delle au­ torità ateniesi e induce a riflessioni forse non secondarie sull'influenza che i privati - coinvolti in giochi di potere nei quali la posta in palio era spesso un eccezionale arricchimento - potevano avere persino sulla materia che più di ogni altra è di solito affidata alla sfera pubblica, la guerra.

Rivolte nell'impero Il largo impiego di mercenari da parte del Gran Re è un dato di fatto per tutto il IV secolo: è opportuno ribadire che non si trattava necessariamen­ te di mercenari greci, come le fonti antiche e talvolta gli stessi studiosi mo­ derni tendono a credere 1 4 • Altrettanto evidente è che anche i satrapi, in modo autonomo, si servivano di mercenari, a volte per fomentare rivolte che entro certi limiti è corretto considerare endemiche in seno all'impero. In particolare, utilizzavano mercenari greci i satrapi delle regioni occiden­ tali, dei quali possiamo seguire un po' meglio le vicissitudini, grazie alle fonti greche che di tanto in tanto se ne occupano. Un terreno privilegiato per l'impiego di mercenari è costituito dall'E­ gitto, pressoché in rivolta permanente dagli ultimi anni del v secolo fino alla riconquista di Artaserse III nell'estate del 342 (cfr. CAP. 8 ). Le rifles­ sioni sulla parte occidentale dell'impero devono invece prendere le mosse 1 3. STYLIANOU ( 1 9 8 8) ; B ES SO MUSSINO ( 1 9 99, pp. 122-4) ; cfr. FORNIS ( 20 0 8, pp. 284-5) ; cfr. Repertorio, nr. 2 bis. Distratto sulla spedizione descritta da Lisia P, p. 5 8. 1 4. Sui mercenari nell'impero persiano e le complesse tematiche legate alla terminologia, c'è molto da imparare da BRIANT ( 19 9 6, pp. 8 1 2-20 ).

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MERCENARI

da alcune pagine di Diodoro Siculo (xv 90-92) che, sotto l'anno 362/361, raccontano della rivolta di alcuni satrapi contro Artaserse 1 1 , il vecchio Gran Re che aveva ormai superato il quarantesimo anno di regno. Narra Diodoro che la 'grande rivolta dei satrapi' (così come viene comunemente chiamata) coinvolse Orante, satrapo di Misia 1 5 , Ariobarzane, satrapo del­ la Frigia Ellespontina, Autophradates, satrapo di Lidia, Mausolo, dinasta della Caria e Datarne, satrapo della Cilicia. Orante, eletto comandante in capo dei rivoltosi, avrebbe ricevuto denaro > 1 6 , ma ben presto avrebbe tradito i congiura­ ti, consegnando denaro e soldati ad Artaserse. Poco dopo, il Gran Re riesce a uccidere anche Datarne, che era stato in grado di radunare da solo ben 20.000 mercenari (Diod. xv 91.2) . ... E ormai evidente, nonostante l'opinione tradizionale, che non è corretto parlare di 'grande rivolta dei satrapi', alludendo a qualcosa di orga­ nizzato e continuato che avrebbe avuto come scopo la detronizzazione di Artaserse 1 1 1 7 • Ciò che la narrazione di Diodoro riflette non è che una situazione confusa, frammentata, che ha come filo conduttore uno stato endemico di tensione tra le province occidentali e il potere centrale del Gran Re. Non vi è stato mai un attacco diretto al Gran Re, né quest'ul­ timo ha mai rischiato di perdere il controllo della situazione e neppure dell'impero, come affermato enfaticamente dallo stesso Diodoro18 • Il successore di Artaserse 1 1 , Artaserse 1 1 1 , appena salito al trono nel 359 . Ci fornisce questa rilevante notizia uno scolio a Demosth. IV 19, che continua affermando come i mercenari, in numero di 10.000, si sarebbero in seguito uniti a Carete, per essere ingaggiati da Artabazo in una ennesima rivol­ ta contro il Gran Re 1 9 • Oltre a ribadire il topos dell'avarizia del Gran Re, l'ordine può essere interpretato come indizio delle difficoltà che il potere centrale stava incontrando, ma anche come prova della capacità di riaffer­ mare la propria autorità. E in effetti nulla sembra deporre a favore di un affievolimento del potere del Gran Re in questi anni. Un'area particolarmente calda in questi anni è la Fenicia, dove il re di Si­ done Tennes, verso la fine degli anni cinquanta20 , si ribella al Gran Re, per motivi non del tutto chiari. Diodoro (xvi 41-46), sostanzialmente la nostra unica fonte in proposito (un accenno alla rivolta di queste zone dell'impero in Isocr. v Filippo 102), imbastisce una narrazione ricca di col­ pi di scena incentrati sul tradimento di Tennes e fosca nella sua terribile conclusione, con Sidone bruciata dai suoi stessi abitanti, dei quali alme­ no 40.000 trovano la morte nell'incendio, mentre la città viene ridotta a un cumulo di macerie fumanti su cui scorrazzeranno i cercatori di oro. In precedenza, sentiamo parlare di molti mercenari: quelli radunati in gran numero all'inizio della rivolta, > (41. 4) e i 4.000 Greci inviati dall'Egitto, anch'esso in rivolta, sotto la guida di Mentore di Rodi, fratello del grande Memnone. Intanto, anche Cipro, negli stessi anni, si era di nuovo ribellata (Diod. XVI 42.3-9; 46. 1-3). Idrieo, dinasta di Caria, provvede su incarico di Arta­ serse a organizzare una spedizione per ristabilire il potere persiano nell'i­ sola. Vengono inviati 8.000 mercenari, al comando dei quali troviamo, in veste inedita (e non più rivestita in seguito) di condottiero, l'ateniese Focione, coadiuvato da Evagora, presumibilmente nipote del grande Eva-

1 9. Per il seguito cfr. Diod. XVI 22. 1-2 e il CAP. 4, p. 76 e Repertorio, nr. 23. 20. La cronologia è, come spesso accade, discussa : ma sembrerebbe plausibile collegare la caduta di Sidone a una cronaca babilonese (Assirian and Babylonian Chronicles [ABC ] , 9, 1 1 4) che data l'arrivo di prigionieri di Sidone a Babilonia all'ottobre 345, rendendo dun­ que plausibile l'estate dello stesso anno per la fine della rivolta. Sulla rivolta di Tennes, cfr. BARAG (19 66); SEIBT (1 977, pp. 92-3).

MERCENARI

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gora2.1 Dalle poche notizie fornite da Diodoro ricaviamo indizi di grande interesse sul comportamento dei mercenari: questi ultimi si danno al sac­ cheggio dell'isola, allora molto ricca per gli anni di pace di cui aveva godu­ to, senza essere, a quanto pare, trattenuti dai comandanti, né tantomeno puniti. Ciò causa l'affiusso a Cipro di molti altri 'volontari' dalla Siria e dalla Cilicia, tanto che il numero dei mercenari risultò addirittura raddop­ piato. Ne ricaviamo una conferma di come il saccheggio e le possibilità di ottenere guadagni al di fuori della paga ufficialmente corrisposta fossero un fattore centrale nel servizio mercenario. •

Mercenari greci contro Alessandro Parleremo dei mercenari greci al servizio di Alessandro nel CAP. 16. Una parte non secondaria degli eserciti che Dario I I I mise in campo contro il re macedone era costituita da mercenari di origine greca 22 • Il loro numero e la loro importanza nell'apparato bellico persiano sono però oggetto di discussione. I testi (in particolare Diodoro, ma nessuna fonte è esente dalla pregiudiziale filo-greca) tendono ad esaltarne entrambi gli aspetti: grandi numeri e funzione decisiva nell'economia degli eserciti persiani, corollario di una visione negativa delle capacità belliche degli eserciti del Gran Re, lenti a mettersi in moto quanto incapaci di darsi una buona . . organ1zzaz1one. È frutto di questa tendenza l'esaltazione della figura di Memnone, co­ mandante mercenario originario di Rodi, la cui carriera si era sviluppata sotto la protezione di Artabazo, satrapo della Frigia Ellespontina, con il quale si era imparentato sposandone la figlia Barsine. Fuggito in Mace­ donia dopo la rivolta di Artabazo contro il Gran Re, era stato riabilitato, grazie anche ai buoni uffici del fratello maggiore Mentore (anch'egli co­ mandante mercenario e primo marito di Barsine), fino a giungere a ot­ tenere il comando supremo dell'esercito persiano in Asia Minore (Arr. 21. Sulla spedizione di Focione, esiste un problema di cronologia: il 345 o il 344 sembra­ no le opzioni più plausibili, mentre è ormai abbandonata l'ipotesi del 3 5 1. Focione agiva sicuramente a titolo privato, ma in accordo con gli elementi filo-macedoni ateniesi. Su tutto, cfr. B EARZOT (19 85, pp. 94-9 ). 22. Cfr. la sintesi di P, pp. 177-85; SEIBT (1977, pp. 99-120 ) ; buone considerazioni in BRIANT (1996, PP· 817-20; 837-62; 1063-4).

L'IMPERO PERS IANO, 3 : IL IV SECOLO

Anab. I 20.3) . Memnone svolse un ruolo di rilievo fino alla sua morte, intervenuta per malattia mentre cercava di venire a capo dell'assedio di Mitilene, nell'estate del 333 (Arr. 1 1 1.1-2; Diod. XVII 29.2). Tale funzione non deve però essere enfatizzata: molti degli episodi che lo riguardano ( ad esempio, il suo famoso consiglio sulla 'strategia della terra bruciata', in alternativa allo scontro diretto con Alessandro: Arr. Anab. I 12.8) ri­ entrano in topoi risalenti all'opposizione Greci/barbari, con questi ultimi in posizione culturalmente subordinata e incapaci di recepire le direttive proposte dai primi. Né sembrano esenti da dubbi e da sovrapposizioni successive le voci sulle ambizioni di Memnone di portare la guerra in Eu­ ropa (Diod. XVI I 30.1) 2 3 • Secondo Arriano (1 14.4), i mercenari alla battaglia del Granico (334) erano . Poiché, secondo la stessa fonte ( I 16), i so­ pravvissuti furono solamente 2.000 e una percentuale di morti intorno al 90% pare abnorme, gli studiosi hanno cercato di ridimensionare il numero iniziale dei mercenari, fino a 4-5.000. Peraltro, non esiste alcun indizio per seguire questa strada: tanto varrebbe aumentare il numero dei sopravvis­ suti. Un altro problema riguarda l'assetto in battaglia dei mercenari: Ar­ riano (1 16.3) fornisce il nome di un altrimenti sconosciuto Omares come loro comandante; non è impossibile però che ciascuno dei sei comandanti persiani si fosse portato i 'suoi' mercenari ed essi fossero quindi schierati lungo tutto il fronte, venendo a costituire la maggior parte delle forze di fanteria persiane, pur privi di uno specifico comandante. In ogni caso, è escluso che quest'ultimo fosse Memnone, che prende parte al combatti­ mento, ma nella cavalleria. Alessandro provvide a dare sepoltura ai tanti morti; i 2.000 che, come abbiamo già accennato, erano sopravvissuti, fu­ rono fatti prigionieri e deportati in Macedonia2 4 • 23. Su Memnone cfr. BERVE (1926, 11, nr. 497 ) ; MC COY (1989 ), in particolare per le vi­ cende che si snodano intorno alla battaglia del Granico; ambiziose strategie di Memnone: BRI ANT (1996, p. 846 ). Particolarmente efficace nel costruire il 'mito' di Memnone la descrizione di Curzio Rufo della reazione di Dario alla notizia della sua morte (111 2.1) : « Quando Dario ricevette la notizia della morte di Memnone, rimase giustamente scon­ volto; perduta ogni altra speranza, decise di entrare direttamente nella lotta. Condannava la condotta di guerra dei suoi generali, giacché gli pareva che alla maggior parte di loro era mancato l'impegno, a tutti la fortuna ». 24. Sulla battaglia del Granico, cfr., tra gli altri, HAMMOND (1980 ) ; D EVINE (1988); MC COY (1989 ). Abbiamo seguito MC COY (19 89, pp. 415-9) nell'accettare la cifra di 20.000 mercenari schierati; per la proposta di riduzione, cfr. p. es. DEVINE (1988, pp. 7-10 ). Sem-

MERCENARI

Il problema si ripresenta nella successiva battaglia di Isso (333) , nella quale sia Arriano (11 8.6) , sia Curzio Rufo (111 9.2-3) propongono la cifra di 30.000 mercenari i quali, al comando di Thymondas, figlio di Mentore, fratello di Memnone ( cfr. BERVE , 1926, 11, nr. 380: un bell'esempio di 'di­ nastie' di mercenari, un fenomeno di cui abbiamo numerose attestazioni) , si schierano sulla destra del fronte persiano. La concordanza delle fonti sul numero mostra un'origine comune, probabilmente una versione 'ufficiale' macedone veicolata da Callistene, come si può dedurre da un accenno di Polibio (x11 18.2) in un passo molto critico nei confronti delle competenze militari dello storico ufficiale della spedizione: ciò non vuol dire che si tratti di una cifra corretta. Sono stati compiuti tentativi per diminuire il numero dei mercenari presenti nell'esercito persiano schierato a Isso. In effetti, appare plausibile che essi non fossero in numero superiore ai fa­ langiti macedoni cui si contrapponevano, vale a dire circa 12.000. Plausi­ bile, ma non sicuro: non si può che concludere con Pierre Briant che , quasi una lotta tra il male e il bene. Poiché le forze del male assommava­ no a ben 1 5 .000 uomini (Diod. XI 67.7), la lotta non è facile, ma l'esito non è in discussione; a un certo punto, Trasibulo, asserragliato a Ortigia, accetta di ritirarsi a Locri, in Calabria, lasciando i Siracusani a gustare nuovamente la libertà. Sembra tutto finito, e in effetti la chiusa del cap. 68 ricorda al lettore come la Sicilia godette dei ritrovati regimi democratici fino alla conqui­ sta del potere da parte di Dionisio I, circa sessant'anni dopo. Che le cose non siano andate in maniera così lineare e abbiano in realtà coinvolto nella lotta numerose città della Sicilia che si trovavano a fronteggiare situazioni simili, è testimoniato da un frammento papiraceo riferibile al periodo, nel quale leggiamo di mercenari che, asserragliati in vari centri dell'interno dell'isola, conducono attacchi contro le città che li hanno

1 8. Sulla natura del regime siracusano dopo la caduta della tirannide, esistono tuttora discussioni accese: cfr. ROBINSON ( 20 0 0 ) , favorevole a dare al termine democrazia il suo significato pieno, un'ipotesi sulla quale nutro dei dubbi.

MERCENARI

espulsi, difese dall'intervento congiunto delle forze cittadine di Siracusa, Gela e Agrigento 1 9 • La Sicilia, in effetti, non era piena solo dei mercenari 'dell'ultima ora', di cui si era circondato Trasibulo e che erano stati costretti a ritirarsi a causa della sconfitta del loro committente. Esistevano anche migliaia e migliaia di 'vecchi' mercenari, che la generosità interessata dei tiranni, in particolare di Gelone, aveva reso cittadini ormai vent'anni prima. Solo a Siracusa Gelone ne aveva gratificati con la cittadinanza ( cfr. sopra, p. 324), dei quali ne sopravvivevano, ora che il tempo dei tiran­ ni era terminato, ben 7.000. Se si tralascia la notazione che il 70% di so­ pravvissuti dopo tanti anni di guerre sembra una percentuale stranamente assai elevata, il dato ha qualche possibilità di essere frutto di una tradizione conservata su calcoli che potrebbero essere stati fatti quando il problema si presentò in tutta la sua impellenza. Comunque, i Siracusani decidono che solo gli archaioi cittadini possano partecipare pienamente alla festa: i mercenari miracolati dalla generosità di Gelone e provenienti da chissà dove sono infatti esclusi dall'accesso alle ma­ gistrature ( sembrerebbe di capire che sarebbero diventati cittadini 'di serie B'), (Diod. XI 72.1) a causa del loro legame con la passata tiranni­ de. I mercenari non accettano la decisione e gli scontri riprendono, con i misthophoroi assai meno numerosi, ma assai più esperti di guerra: una nota­ zione ovvia ma che Diodoro (xI 73.3) esplicita con grande evidenza20 La lotta è lunga e coinvolge varie città della Sicilia. Alla fine i mercenari sono sconfitti, grazie anche a un reparto di 600 epilektoi siracusani che si distinguono per il loro valore 21 ; un koinon dogm a, un accordo comune (Diod. XI 76.5) permetterà loro di andare a vivere con i propri beni nel ter•

19. Cfr. P. Oxy. 665 = FGrHist 577. 1, con il relativo commento di Felix Jacoby (Komm. 6 0 8-609, Noten 3 5 3) ; cfr. DE SANCTIS (1905), che riteneva il testo un sommario del IV libro del Peri Sikelias di Filisto; cfr. anche HEI C HELHEI M (1955), molto più prudente. Riprende tutta la problematica RAFFONE (2004) ; cfr. l'attenta analisi del contesto in MILLINO (2000b). Secondo DE LA GENIÈRE (2000-01), l'analisi archeologica di alcuni contesti tombali dimostrerebbe l'origine italica e più precisamente campana di alcuni dei mercenari, in 'anticipo' di oltre cinquant'anni sulle testimonianze letterarie. 20. Sulle lotte del periodo, cfr. MANGANARO (1974-75); ASHERI (19 80 ); SINATRA (1992). 21. Che questi 600 soldati di alto livello potessero essere dei mercenari (addirittura 'tradi­ tori' del campo avverso?) e non cittadini è un'ipotesi non dimostrabile, ma degna comun­ que di attenzione. Più accreditata la tesi che si trattasse di un corpo permanente di citta-

SICILIA : IL V SECOLO

ritorio della città di Messina, mentre tutto il resto della Sicilia è nuovamen­ te libero e pronto ad assaporare un cinquantennio di felicità 11 • Sul quale, peraltro, non ci è conservata quasi alcuna narrazione poiché la storiografia antica, lo sappiamo bene, si occupa quasi esclusivamente di guerre. Qualche conclusione. È evidente che l'impiego di mercenari da parte delle tirannidi siceliote non ha nulla a che fare con quanto avviene in altre zone del mondo greco. In primo luogo, entrano in gioco le dimensioni del fenomeno, decine di migliaia contro poche centinaia2 3 • Ed entra in gioco, più chiaramente che altrove, il conflitto cittadini/mercenari, che è capitale nella storia del mercenariato greco2 4 • La rottura della sacralità del diritto di cittadinanza, che le poleis erano solite concedere con grande parsimo­ nia, è la migliore testimonianza dell'anomia che caratterizza la figura del tiranno, il quale per definizione si colloca al di fuori delle leggi stabilite dalla comunità. Il ristabilimento di un equilibrio sulla base dei principi tradizionali non poteva non costare un'ennesima stagione di incompren.s1on1. e scontri.. Al di là di problemi impalpabili quali l'accesso alle magistrature, il con­ flitto riguardava il tema fondamentale dei privilegi, in termini soprattutto di partecipazione alla redistribuzione delle terre dopo tanti sconvolgimendini 'professionalizzati' : da ultimo, cfr. VINC I ( 2010, pp. 5 9 - 6 1 ) , con ulteriore bibliografia. Sugli epilektoi mi sono già trattenuto nel C AP. 6. 22. Secondo RACC UIA ( 2 0 1 0, pp. 5 3-4), risale a questo periodo l'uso dello strumento scrittorio per definire con precisione le liste di leva, di cui è testimonianza, per il periodo della spedizione ateniese in Sicilia, cinquant'anni dopo, Plutarco Vita di M'cia 1 4.6 -7. Si tratta di una ipotesi interessante ma non dimostrabile. 23. La frequenza del fenomeno sembra aver lasciato traccia nella tradizione paremiogra­ fica. Un proverbio conservato nella Paroimion Epitome di Zenobio (11 secolo d.C.) recita «sikelos stratiotes» , con riferimento specifico all'età di Ierone, come leggiamo nel com­ mento dello stesso Zenobio. Pare che l'aggettivo sikelos indichi specificamente i mercenari siculi, di origine isolana, e non genericamente i mercenari che svolgevano il servizio in Si­ cilia. Su tutto l'argomento, si muove con agilità in un tema che presenta notevoli asperità, da ultimo, RAC C UIA ( 20 10, sp. pp. 48- 5 1 ) . 2 4. Insiste sull'importanza di tale dinamica per la storia del mercenariato in Sicilia PRE­ S TIANNI GIALLOMBARD O ( 2 0 0 6 , p. 1 0 8 ) , la quale (pur riferendosi più che altro alle di­ namiche innestate a partire dalla fine del v secolo; ma certo gli avvenimenti dei primi decenni del secolo ne sono i prodromi) giunge a ritenere che l'immissione di mercenari nelle poleis di Sicilia « giocherà un ruolo tute 'altro che irrilevante nelle trasformazioni po­ litiche che segneranno la storia dell' isola alla metà del 1 1 1 secolo a.C. per l'arrivo di Roma in Sicilia e per il suo rapido affermarsi nell'isola » : un fattore, dunque, di longue durée nella storia dell'isola.

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ti. La scalata sociale di gruppi così rilevanti di diseredati (la cui origine rimane e rimarrà in larga misura oscura: ma che si tratti di immigrati ar­ cadi o comunque dal continente greco, di indigeni o di altre popolazio­ ni mediterranee, che ritroveremo sotto Dionisio I , sono sempre elementi 'inferiori'), pur bloccata o almeno circoscritta, rimane l'eredità più pesante del cinquantennio delle tirannidi siceliote, che Alcibiade non mancherà di ricordare nel suo celebre discorso davanti all'assemblea ateniese, alla vi­ gilia della partenza della grande spedizione siciliana nel 415, per sminuire la forza e la coesione del nemico che gli Ateniesi stavano per affrontare 2 5 • La miscela tirannide/lotta con Cartagine/mercenari si ripresenterà, come vedremo, negli ultimi anni del v secolo.

Thuc. VI 17. 2 : «Le sue [della Sicilia] città infatti sono molto popolate, ma da masse eterogenee ( ochlois xummiktois) e i cambiamenti e le nuove immissioni di cittadini vi si verificano con facilità » . 25.

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Sicilia e Magna Grecia : il IV secolo Negli stagni intorno a Siracusa [ ... ] vivono molte anguille e vi è sempre, per chi lo desideri, possibilità di pesca abbondante. I mercenari di entrambi gli eserciti, nel tempo libero e nei giorni di tregua, andavano a pesca insieme. Poiché erano tut­ ti Greci e non avevano motivi di animosità personale, nelle battaglie combattevano vigorosamente, mentre nei momen­ ti di tregua si frequentavano e discorrevano tra loro. Plutarco Vi'ta di Timoleonte 20. 3- 5

Introduzione Con Dionisio I , che ottiene il definitivo controllo di Siracusa nella pri­ mavera del 405, l'impiego di forze mercenarie diviene strutturale e non episodico, per la prima volta nel mondo greco. Nei quasi quarant'anni del suo dominio, infatti, Dionisio utilizzò sempre un grande numero di mer­ cenari, che costituivano la sua guardia del corpo e una parte certo non secondaria degli eserciti che andò via via schierando nelle guerre senza fine che caratterizzano il suo regno. La necessità di pagare così tanti uomini, nonché di gratificarli una volta terminate le campagne militari, in modo da assicurarsene la fedeltà, determinò l'esigenza di misure economiche volte a procurarsi le risorse finanziarie per una politica così dispendiosa. Le comunità greche erano difficilmente in grado di sostenere tale onere e Siracusa dovette infatti sopportare una vera e propria economia di guer­ ra. Ma ancora più impegnativo, per la società siracusana e siciliana in ge­ nerale, fu il rapporto, sempre conflittuale, tra cittadini di vecchia data e mercenari che, nel corso degli anni, vennero immessi nella cittadinanza con donativi di terre e conseguenti espulsioni, deportazioni e quanti altri provvedimenti - per noi inumani - comportavano simili scelte. Il costo pagato dall'isola per le guerre di Dionisio I e per la successiva 'balcaniz­ zazione' che portò a un periodo di totale confusione e di guerra di tutti contro tutti, non fu certo irrilevante: né, d'altra parte, un simile sforzo riu­ scì a scacciare i Cartaginesi dalla Sicilia. Tale risultato, sia pure con grandi difficoltà, fu realizzato solo dai Romani, quasi cent'anni dopo la morte

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di T imoleonte, l'eroe corinzio con il quale si chiude il periodo del quale intendiamo occuparci 1 Non è agevole affrontare il tema dell'impiego di mercenari nel periodo tra Dionisio I e T imoleonte: le fonti letterarie, già di per sé non ricchissi­ me e incentrate più che altro sulla narrazione imbastita da Diodoro Siculo nei libri XIV, xv e XVI della sua Biblioteca, sono non poche volte inclini all'uso di luoghi comuni - particolarmente diffusi in relazione ai merce­ nari - e quasi mai offrono cifre attendibili e altre informazioni puntuali2 importante, quanto discontinua e di ambigua interpretazione, è la docu­ mentazione offerta dalle fonti archeologiche e numismatiche\ •

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Sulla storia della Sicilia nel IV secolo, ancora fondamentale FINLEY ( 1 97 9, pp. 8 9 - 1 2 4); ottima sintesi recente è quella di DE VID O (201 3). 2. Cfr. Diod. XIII 9 1- 9 6 ; XIV 4 1 -7 8 ; xv 6 - 7 ; 1 4- 1 7 per Dionisio I . Per il periodo suc­ cessivo, cfr. più avanti, n. 2 5 . La ricerca dei predecessori cui potrebbe aver attinto Diodoro ha generato una Quellenforschung senza fine, che non è nostro compito af­ frontare analiticamente. In estrema sintesi, Timeo di Tauromenio è considerato la fonte principale tra quelle che giudicano in modo negativo la dunasteia di Dionisio, mentre più tollerante appare la tradizione che fa capo a Eforo. È ragionevole ipotizza­ re che Diodoro abbia attinto a entrambi, in diversa misura secondo gli studiosi. Cfr. almeno H AMMOND ( 1 9 3 8); SARTORI ( 1 9 6 6); MEIS TER ( 1 9 67 ); SAND ERS ( 1 9 8 1). Tra gli altri nomi che potrebbero aver influenzato Diodoro, anche se non necessariamen­ te attraverso una lettura diretta, spicca quello di Filisto di Siracusa (FGrHist 5 5 6), stretto collaboratore e amico di Dionisio I , fattosi storico in esilio, adeguandosi a una lunga tradizione (B EARZOT, 2 0 0 2). C fr. anche VATTUONE ( 1 9 9 8) per una rivaluta­ zione dell'apporto di Teopompo. 3. Juliette de la Genière (DE LA GENIÈRE 1 9 9 9 ; 20 00-01) ha cercato di trovare tracce del­ la presenza di mercenari in Sicilia attraverso la documentazione archeologica ( sepolture, ceramica); non sempre le sue conclusioni sono convincenti, nondimeno il percorso da lei indicato è da tenere presente. Su questa scia, cfr. p. es. TAGLIAMONTE (20 0 2); DE CESARE (200 6). Il cavaliere sepolto a Monte San Basilio con uno splendido corredo ricco di armi (età timoleontea) è di origine italica : cfr. TAGLIAMONTE ( 1 99 4, pp. 1 49 - 5 0 ). La docu­ mentazione numismatica è in primo piano tra le fonti non letterarie : cfr. MELE ( 1 9 9 3), fondamentale; GARRAFF O ( 1 9 9 3); CASTRIZI O (200 0 ). In generale, si può affermare che l'attività di zecche in siti nei quali è certa la presenza di ex mercenari italici sia « la prova più evidente » ( TAGLIAMONTE, 19 99, p. 570) del tentativo di integrazione da parte di quegli immigrati. Si segnaleranno in particolare i casi della zecca dei Sileraioi e di quella dei Tyrrhenoi, che sono attive nel periodo successivo alla morte di Dione, e sembrano riferirsi a comunità di Lucani, la prima, e di Etruschi, la seconda, resesi indipendenti una volta venuta meno qualsiasi forma di governo centrale. L'ubicazione di tali centri, da in­ tendersi originariamente come guarnigioni militari, è ipotetica, forse da collocarsi nella zona centrale dell'isola; cfr. CASTRIZIO (20 0 0, pp. 5 4- 5). 1.

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I Campani in Sicilia e il ritorno dei Cartag inesi La storia del mercenariato in Sicilia nel IV secolo ha il suo atto d'inizio qualche anno prima e si ricollega all'invasione ateniese del 415-413, della quale ci siamo già occupati nel CAP. 3. Nel 410, infatti, i Cartaginesi, pros­ simi a invadere l'isola, dopo ben settant'anni di assenza, ingaggiano 800 cavalieri campani: Questi erano stati ingaggiati dai Calcidesi per gli Ateniesi e la guerra che essi stavano conducendo contro Siracusa; essendo sbarcati (katapepleukotes) dopo la sconfitta, non trovavano chi versasse loro il soldo. Furono allora i Cartaginesi a fornire a tutti i cavalli e a versare loro una buona paga, per mandarli poi a Segesta (Diod. XIII 44.1-2). L'importanza di questo contingente, non numeroso ma assai efficiente, sarà, come vedremo, assai notevole nelle tormentate vicende dell'isola ne­ gli anni successivi. Chi sono questi Campani? Si può ipotizzare che le motivazioni che inducono questi cavalieri a servire come mercenari in Sicilia siano legate a fenomeni di esclusione: all'interno della propria famiglia (nell'aristocrazia campana vigeva un sistema agnatizio patrilineare che tendeva a escludere i cadetti), oppure in seno alle lotte politiche del tempo, interne alla 'nuo­ va' aristocrazia campana, o anche in seguito alla sconfitta della 'vecchia' aristocrazia etrusco-campana, soppiantata a partire dal 423, anno della conquista sannitica di Capua. Tutto questo non è certo nuovo: ad alimen­ tare il fenomeno del mercenariato sono spesso 'fattori di espulsione' dalla comunità di origine4 • Questi 'nobili straccioni' erano dunque stati ingaggiati dagli Atenie­ si, grazie ai buoni uffici delle città calcidesi della costa orientale dell' i­ sola, vale a dire Nassa e Catania, per sopperire alla grave carenza di ca­ valleria che costituì una caratteristica strutturale dell'esercito invasore e una delle cause non secondarie della sua disfatta. Il contingente, però, era sbarcato in Sicilia a cose avvenute, quindi dopo l'estate del 413 e la

4. Sulla società di origine dei Campani, che avrebbe generato il movimento migratorio dei cavalieri protagonisti delle vicende siciliane, cfr. NI C OLET ( 1 9 6 2) ; FRE DERIKSEN ( 19 6 8 ) ; CASS O LA ( 1 9 8 6 ) ; a quest'ultimo risale - p. 7 2 - l'espressione 'nobili straccioni' impiegata nel testo; TAGLIAMONTE ( 1 9 9 9 ; 20 0 6 ) .

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sconfitta ateniese delrAssinaro. I cavalieri rimasero in Sicilia; compito degli storici è stato quindi quello di trovare loro qualcosa da fare negli oltre due anni che trascorrono tra l'arrivo nell'isola e l'ingaggio da parte cartaginese. L'ipotesi più verosimile (non ce ne sono molte altre) è che essi abbiano combattuto contro Siracusa al soldo delle città calcidesi che li avevano chiamati 5 • Nella primavera del 410, dunque, in vista delle lotte che si stavano pro­ filando in Sicilia, i Cartaginesi ingaggiano gli 800 cavalieri campani che in quest'occasione, secondo un'ipotesi recente, potrebbero aver occupato Entella (mentre Diodoro, come vedremo, riferirà questo episodio all'anno 404) 6 • Li riforniscono altresì di cavalli: una circostanza, questa, abbastan­ za sorprendente, che lascia supporre la perdita dei cavalli nel periodo inter­ corso tra l'arrivo in Sicilia e l'ingaggio cartaginese. I cavalieri, comunque, partecipano a fianco dei Cartaginesi ai vittoriosi assedi di Selinunte e !me­ ra (408); dopo questo episodio, vengono congedati: non certo perché ne fossero state messe in dubbio le capacità professionali, ma piuttosto perché si erano mostrati insoddisfatti della paga ricevuta (Diod. X I I I 62.5). Forse, come spesso accadeva, lo stipendio, che - ricordiamo - lo stesso Diodoro aveva definito > , non era stato versato interamente o erano sorte contestazioni di altro genere, un'eventualità comunissima nei rapporti tra committenti e mercenari di ogni tempo e luogo. La successiva menzione dell'impiego dei cavalieri campani, ormai sta­ bili in terra di Sicilia, è in occasione del successivo assedio cartaginese di Agrigento (406). Non sfugge che tra l'estate del 408 e la primavera del 406 c'è ancora una volta uno iato di due anni circa che non abbiamo la possibilità di colmare se non con delle ipotesi: le fonti, infatti, tacciono. Viene da pensare che i Campani abbiano potuto trovare un ingaggio al 5. È ormai appurato che l'ipotesi secondo la quale i Campani, una volta sbarcati in Sicilia nel 413, se ne sarebbero tornati in Italia, per poi essere ricondotti nell'isola dai Cartaginesi, si basa su un'errata traduzione del termine greco katapepleukotes di Diod. XIII 44.2; cfr. PRESTIANNI GIALLOMBARDO (2006). Sulla probabile utilizzazione da parte delle città calcidesi, prima dell'ingaggio cartaginese, cfr. LEE (2000 ); in generale sui primi anni della presenza campana in Sicilia, cfr. la sintesi di FANTASIA (2006) e PÉRÉ-NOGUÈS (2006). 6. L'ipotesi, sviluppata essenzialmente su basi numismatiche, è di LEE (2000 ). Essa confi­ gura però una strutturazione troppo forte e organizzata del dominio cartaginese nella Sicilia occidentale, avente il suo centro in Entella, che urta contro altre testimonianze in nostro pos­ sesso. Quando sia nata una provincia cartaginese in Sicilia occidentale intesa come struttura organizzata autonoma è una crux ben nota agli studiosi: cfr. tra gli altri BONDÌ (1990-91).

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seguito di Ermocrate, l'aristocratico siracusano protagonista della vittoria contro Atene, poi esiliato dalla fazione democratica che assume il pote­ re nella città. Egli, proprio in quel periodo, sbarca in Sicilia, vagando per l'isola con delle truppe raccolte grazie al denaro che gli aveva fornito il satrapo persiano Farnabazo, in attesa di trovare il momento opportuno , per rientrare trionfalmente nella 'sua Siracusa7 • La coincidenza temporale è perfetta; non dobbiamo dimenticare però che non abbiamo alcuna fonte che accenni ali' ipotesi. Durante l'assedio di Agrigento, troviamo i mercenari campani in en­ trambi gli schieramenti: vengono infatti schierati sia cavalieri campani dalla parte dei Cartaginesi, ma fatti venire dall'Italia (Diod. XI I I 80.4), sia i nostri vecchi cavalieri che, intruppati in un contingente mercenario al co­ mando dello spartano Dexippo (sul quale cfr. oltre, pp. 3 61-4), si schierano invece a difesa degli Agrigentini. Nonostante le battaglie sostenute negli anni precedenti, il nostro contingente è sempre composto dal numero ma­ gico di 800 (Diod. XI I I 85.4), un dato che non depone a favore delle cifre che sporadicamente troviamo nelle nostre fonti. Le vicende tormentate dell'assedio sembrano in un primo tempo suggerire un ricongiungimento dei contingenti campani a difesa della città; ma quando i Cartaginesi in­ tercettano due navi siracusane cariche di grano, risolvendo così pressanti problemi di approvvigionamento ( che dovevano affrontare le truppe asse­ dianti non meno degli assediati), sono i Campani all'interno della città a passare sotto le insegne cartaginesi, insieme allo stesso Dexippo, convinto dalla somma di ben 15 talenti (Diod. XI I I 88.5) . Di lì a poco avviene la drammatica caduta della città8 • 7. Cfr. Xen. Ell I 1.3 1. A detta di Diod. XIII 6 3. 2, i mercenari raccolti furono 1.0 0 0 ; Seno­

fonte lascia capire che il reclutamento avvenne in Asia Minore, mentre Diodoro riferisce che Ermocrate sbarcò a Messina con il denaro consegnatogli da Farnabazo e solo lì provvi­ de a raccogliere gli uomini. La versione diodorea è forse più attendibile. 8. Abbiamo ricordato nel testo la patente di capacità ed efficacia che veniva riconosciuta ai Campani (cfr. p. es. TAGLIAMONTE , 1 9 94, pp. 1 2 9 - 3 0 ) . Rimangono peraltro dubbi sulle modalità della loro utilizzazione: per esempio, gli assedi di Selinunte e lmera non sem­ brano terreni adatti a mostrare le qualità di un coeso reparto di cavalleria (sulla terribile descrizione dell'assedio di Selinunte da parte di Diod XI II 54-58 è importante CUSUM A­ NO, 2005). Li vediamo in azione, in realtà, una sola volta (Diod. XIII 55.7-8), quando, abbattute le mura dei Selinuntini e desiderosi i Campani di « mettersi in mostra », questi ultimi fanno irruzione nella città, subendo però delle perdite. Da tutto ciò, C ASTRIZIO ( 20 0 0, p. 20) ha dedotto fantasiosamente un loro impiego come opliti, anzi come esperti della 'tattica manipolare'.

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Dopo la presa di Agrigento è la volta di Gela. Subito dopo ( 405) Dioni­ sio I firma la pace con i Cartaginesi; questi ultimi non licenziano i cavalieri campani, ma li collocano in un presidio all'interno del territorio da loro controllato, nella parte occidentale dell'isola (Diod. X IV 8.5). Quale fosse la località, non sappiamo: forse la stessa Entella, di cui o si erano già impadro­ niti o si impadroniranno di lì a poco. Qui, i Campani ricevono una propo­ sta d'ingaggio da parte dello stesso Dionisio I , allora in gravi difficoltà per conservare il suo recentissimo dominio su Siracusa: non il primo, né l'ulti­ mo caso di passaggio di mercenari da una parte all'altra degli schieramenti; in questo caso, poi, non esiste neppure il sentore di un tradimento, poiché la proposta di ingaggio avviene dopo la stipula della pace. I Campani, allettati dalle promesse, prima giunsero ad Agirio ed affidarono i ba­ gagli ad Agiri, signore della città, poi si mossero rapidi alla volta di Siracusa, for­ mando un corpo di 1.200 cavalieri (Diod. XIV 9.2 ) .

Il comportamento militare dei Campani è, come sempre, tale da soddisfa­ re il committente. Ma ancora una volta, essi vengono congedati, dopo esse­ re stati ben pagati. La spiegazione data da Diodoro è che Dionisio temeva la loro > . Che cosa si intenda con questo termine ( in greco abebaiotes) non è del tutto chiaro: forse semplicemente la poca affidabilità, tipica dei mercenari in genere 9 • A questo punto ( diciamo, plausibilmente, nell'estate del 404) va collo­ cata la presa di Entella, descritta in pochissime, terribili righe dallo stesso Diodoro (xiv 9.9): Essi si recarono ad Entella e persuasero la popolazione della città ad accettarli come residenti, ma di notte assalirono e trucidarono quelli che erano nel fiore de­ gli anni, sposarono le mogli delle vittime del loro tradimento e s'impadronirono della città.

Realtà storica o luogo comune di una storiografia che ama le tinte forti ? La questione è mal posta. I Campani, anche se si è cercato di dimostrare 9. Sull'ingaggio da parte di Dionisio I, cfr. la bella analisi di FANTASIA (200 6, pp. 494-5), secondo il quale il 'deposito' dei bagagli (aposkeue: un termine che 'contiene' il riferimento a donne e bambini) ad Agirio sembra far propendere per l'ipotesi che i Campani speras­ sero di essersi 'sistemati' con Dionisio e che le loro peregrinazioni fossero cessate. Non era così; da qui, la presa di Entella, secondo le modalità drammatiche descritte nel passo di Diodoro citato nel testo.

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il contrario, non sono degli habitués di simili massacri. Per quanto riguar­ da la presa di Entella, abbiamo solo le poche righe di Diodoro e non è possibile, su questa base, compiere una qualsivoglia riflessione. Lo storico riporta un fatto realmente avvenuto, come ci conferma la documentazione numismatica successiva e quanto sappiamo di Entella nel IV secolo: centro di provata fede cartaginese, fu conquistata da Dionisio I solo nell'ultimis­ simo periodo della sua tirannide. Che, nel riportare la notizia, Diodoro ( o, meglio, la sua fonte) l'abbia resa più interessante con qualche particolare tratto dal repertorio di luoghi comuni in grado di suscitare l'atterrita atten­ zione del lettore, ed (TAGLIAMONTE , 1999, p. 556), è probabile, per quanto sia impossibile stabilire fino a che punto. Viene anche da chiedersi il motivo dell'ingenuità - se così la possiamo chiamare - del comportamento degli Entellini: i pericoli insiti in un comportamento quale quello da loro adot­ tato erano ben conosciuti all'epoca e, del resto, abbastanza ovvi10 Al termine di peregrinazioni più o meno decennali, i nostri cavalieri campani hanno raggiunto, certo non in modo indolore, la condizione di cittadini, realizzando finalmente la loro vocation politique. Essi scompaio­ no dalle fonti successive, ma continuano a vivere a Entella, lasciando testi­ monianze della vita di una comunità ben inserita nelle dinamiche siceliote ma non dimentica delle proprie origini u . •

10. Su tale episodio, cfr. MOGGI (2003) il quale nota come la 'procedura' messa in atto dai Campani non fosse tanto un atto di gratuita crudeltà, quanto un modo per subentrare ai vec­ chi proprietari senza ricorrere al sovvertimento delle strutture di proprietà con atti rivoluzio­ nari come la redistribuzione delle terre. Moggi si pronuncia dunque in favore di una sostan­ ziale attendibilità del quadro; peraltro due dei cinque episodi in qualche modo riconducibili a un simile modus operandi sono collocabili a molta distanza (e l'ultimo, quello di Reggio dell'anno 282, non ha proprio nulla a che fare con i precedenti); i due precedenti invece (Ca­ pua, 425 e Cuma, 404) non paiono inserirsi in un contesto in alcun modo paragonabile. Quindi, la filiera di episodi che avrebbe per protagonisti i Campani non esiste. Inquadra il tema in un contesto più vasto ASHERI ( 1977 ). Nel testo accenno alla 'ingenuità' degli Entel­ lini: in effetti, non molti anni dopo Enea Tattico (XII 4; cfr. sopra, pp. 174-5) raccomanderà « di non accogliere mai in città una forza superiore a quella di cui dispongono i cittadini; e, quando una città impiega dei mercenari, la forza cittadina deve essere sempre di gran lunga superiore». Su Entella dopo il 404, rapida sintesi in FANTASIA (2001, p. 50 ). La vocati.on poli­ ti.que dei mercenari è un'espressione coniata da Yvon Garlan: cfr. GARLAN (1989 ). 1 1 . Molto importante in questo senso la monetazione entellina di IV secolo, su cui cfr. GARRAFFO (1978) ; più in generale, cfr. ROSS HOLLOWAY (1975).

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Dionisio 1 1 1 Lo stretto rapporto tra Dionisio e i mercenari si intravede già prima che egli abbia consolidato la sua posizione di dinasta. Per il periodo relativo agli esordi della sua carriera, infatti, sono conservate rapide notazioni sulla sua intenzione di raddoppiare, in due diverse occasioni, le paghe dei mer­ cenari: la seconda volta grazie a uno specifico decreto di legge presentato all'assemblea siracusana (Diod. XIII 95. 1; cfr. XIII 93. 2). Una volta al pote­ re, mentre il numero dei mercenari si moltiplica con l'approssimarsi della guerra contro i Cartaginesi, tra il 399 e il 398 (Diod. XIV 43-44), la politica in loro favore si mostra in tutta la sua evidenza, tanto che ad essi è riservata una parte delle case di Ortigia, l'isoletta destinata a diventare l'inviolabile fortezza del sovrano (Diod. XIV 7. 5) . Parallelamente, Dionisio provvede a fare irruzione nelle case dei citta­ dini per togliere loro le armi (Diod. XIV 10. 4): un topos che segna una sorta di spartiacque tra il governo legale e la più completa anomia. Finché infatti i cittadini sono in grado di garantire la difesa della città, le eventuali forze mercenarie sono un complemento, a volte utile ma pur sempre subordina­ to. Al momento in cui si sostituiscono alle forze cittadine, ecco che il loro impiego, come accennato in precedenza, diviene strutturale e in contrasto con qualsiasi assetto costituzionale della comunità. Il discorso del cavalie­ re Teodoro in una delle ultime assemblee libere della città, intorno al 395, non manca di sottolineare con enfasi questo punto, parlando delle > 1 3 • Ciò, peraltro, non comporta la rinuncia a servirsi dei cittadini, quando necessario, usando delle precauzioni: si confronti l'aneddoto di Polieno (v 2. 14), secondo il quale, in occasione di spedizioni, ai cittadini venivano consegnate le armi solamente quando si trovavano ormai a 100 stadi (poco meno di una ventina di chilometri) dalla città. Esse venivano poi restituite prima del ritorno entro le mura. Analizzando l'impiego di forze mercenarie da parte di Dionisio I , è ne­ cessario, in primo luogo, distinguere tra le varie tipologie di queste ultime: 12. Studi d'insieme: S ANDERS (1987 ) ; C AVEN (1990 ). Sui mercenari del tiranno, il contri­ buto più rilevante è MELE ( 19 9 3) ; cfr. anche P, pp. 63-72, nonché KRASILNIKOFF (1995); PÉRÉ -NO GUÈ S ( 19 9 9, pp. 1 1 1 -7 ). 13. Cfr. Diod. XIV 66.5. Il discorso di Teodoro (xiv 65-69 ) è un'elaborazione retorica, peraltro intelligente e bene informata. Cfr. VANOTTI ( 1990 ).

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da una parte troviamo infatti la guardia del corpo del tiranno, dall'altra co­ loro che vengono via via ingaggiati per le esigenze di guerra; sarà opportu­ no considerare a parte, inoltre, i mercenari che contribuivano a comporre gli equipaggi delle navi da guerra siracusane. Se questi ultimi sono indicati, con una certa precisione (ma i sospetti di una certa inflazione delle cifre non mancano), in circa 20.000, equiva­ lenti agli equipaggi completi di un centinaio di triremi (Diod. XIV 43.4), i mercenari ingaggiati per le guerre contro Cartagine e contro gli Italici sfuggono a qualsiasi calcolo affidabile 1 4 • Dionisio, in linea di massima, si muoveva con un contingente mercenario di circa 10.000 uomini (il nu­ mero è maggiore, forse, per la spedizione del 398 che culmina nell'assedio di Mozia), prevedendo per essi un periodo di ingaggio standard di cinque mesi, corrispondente all'incirca a una stagione di guerra (Diod. xv 70. 1 ; cfr. Plut. Vìta di Dione 3 7. 1 ) . La guardia del corpo del tiranno, molto diversa nella considerazione ( ai soldati che ne facevano parte era riservato anche un armamento ben più prestigioso, per l'assegnazione a ciascuno di una corazza, assente nella dotazione dei soldati: Diod. XIV 43.2-3), era anche molto più costosa: non solo perché godeva di un trattamento di riguardo, con doni e altre gratifi­ che come le case a Ortigia (xiv 7.5), ma soprattutto perché il loro ingaggio non conosceva pause e durava in modo continuativo per tutto l'anno. La consistenza di questo reparto di élite doveva aggirarsi, ancora una volta, in­ torno ai 10.000 uomini, anche se, a mio parere, tali cifre lasciano margine per una diminuzione, per lo meno in periodi più tranquilli1 5 • 14. Spesso Diodoro fa riferimento a una tripartizione dell'esercito siracusano in cittadini, alleati e, appunto, mercenari (x1 11 10 9 ; XIV 47. 4), o a una bipartizione in cittadini e mer­ cenari (xiv 9 5 . 3 ) , offrendo cifre complessive molto fluttuanti (ben 8 0. 0 0 0 fanti per la spe­ dizione a Mozia nel 3 9 8, 2 0. 0 0 0 una quindicina d'anni dopo, per la successiva guerra con Cartagine), le quali già sono scarsamente attendibili di per sé, e non permettono, inoltre, di ipotizzare una plausibile divisione tra le categorie di soldati cui Dionisio attingerebbe: ci si rifugia, generalmente, nella supposizione che la tripartizione ( o bipartizione) preve­ desse un numero di soldati più o meno uguale nelle varie categorie. 1 5 . La guardia del corpo è un elemento tipico delle tirannidi. Gli uomini che ne facevano parte erano privilegiati (anche se potevano essere di origine schiavile: cfr. Diod. XIV 7 8. 3 ; in generale rimase traccia nell'antichità della dubbia origine delle guardie di Dionisio : cfr. p. es. Cicerone Tusculanes Disp. v 20.57 ) e dovevano essere mantenuti lungo tutto l'anno (un aspetto sottolineato da Xen. lerone IV 1 0- 1 1. Nella stessa opera, al cap. x, utopiche considerazioni sulle guardie del corpo del tiranno trasformate in una sorta di benefica for­ za di polizia che giova a tutta la comunità). Consistenza di circa 10. 0 0 0 uomini: in Diod.

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Il costo di un simile spiegamento di forze doveva essere enorme. Il cal­ colo è legato al misthos che i mercenari ricevevano; si tratta purtroppo di una cifra su cui è possibile fare delle ipotesi, basate su confronti conosciuti nella stessa epoca, ma riguardo alla quale, è bene ricordarlo, non esiste al­ cuna attestazione esplicita che riguardi Dionisio I. In primo luogo, le fonti attestano la tendenza di Dionisio a concedere paghe elevate ai suoi mercenari; tradotto in termini monetari, ciò potreb­ be significare un misthos intorno a una dracma al giorno. Non è possibile essere più precisi. Molti studiosi insistono sulla differenza formale tra sitos (o siteresion) e il vero e proprio misthos, dove il primo indicherebbe la quota dello stipendio necessaria per procurarsi il sostentamento, a volte corrisposta direttamente con beni di prima necessità, il secondo lo stipendio che garanti­ rebbe, almeno in teoria, il vero e proprio guadagno al mercenario. In termini monetari, il sitos sarebbe stato corrisposto con monete in bronzo, leggermen­ te sopravvalutate, di circolazione locale; il misthos invece sarebbe stato liqui­ dato con monete in argento/oro del valore di 10- 20 dracme. Tale distinzione non può essere mantenuta e deve essere considerata una costruzione teorica. I mercenari avevano delle esigenze fisiche che li portavano a dover mangia­ re tutti i giorni e tali esigenze andavano in qualche misura soddisfatte: con l'apertura di mercati dove poter spendere il denaro guadagnato, con la forni­ tura di cibo o, più semplicemente, con lo sfruttamento del territorio attra­ verso il saccheggio. Le modalità variavano: ma Dionisio, conteggiando con i suoi collaboratori gli esorbitanti costi dei suoi mercenari, aveva in mente una cifra unica giornaliera, che non veniva corrisposta con regolarità, alla gior­ nata o mensilmente, ma era rinegoziata in continuazione. Uno dei dati più importanti da sottolineare è che, non poche volte, il grosso del misthos non veniva corrisposto in moneta bensì con la distribuzione di terre, legate spesso al cambiamento di status del mercenario, che diveniva cittadino, della stessa Siracusa o di un'altrapolis: esemplare il caso di Lentini che, deprivata dei suoi abitanti, viene occupata da ben 10.000 mercenari. Il passo di Diodoro (xiv 78.2-3) che ci tramanda questa circostanza ci fornisce particolari altrove tra­ scurati, descrivendo i mercenari che effettuano le assegnazioni di terra con il sorteggio e la loro soddisfazione . le corazze destinate a loro, ai cavalieri e ai comandanti dei reparti, sono 1 4.0 0 0 : i cavalieri non superavano le 3.0 0 0 unità, i comandanti sfuggono a un calcolo preciso, ma erano in numero ovviamente limitato; d'altra parte, il numero di 10. 0 0 0 ritorna per i mercenari gratificati delle terre a Lentini; puntuale MELE ( 1 9 9 3, p. 1 3 ) .

XIV 43.2-3

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Resta inevitabile la conclusione: l'utilizzazione su scala così vasta di forze mercenarie, sulle quali si basa il potere di Dionisio, ha un pesante impatto sull'economia. La spesa annua complessiva da parte del tiranno non doveva essere lontana dai 1.000 talenti. A tale somma si dovranno aggiungere le spese per l'armamento di tutti questi uomini (un'uscita che, solitamente, gravava invece sulle spalle degli stessi mercenari) e una serie di donativi impossibile a quantifìcarsi16 • Tale peso (per farne capire l'enormità ricorderemo che, in anni non lontani da questi, Atene non era in grado di far entrare nelle casse pubbli­ che più di 130 talenti ogni anno!) era alleviato da una serie di escamotages, come quello di ritardare il pagamento o di annullarlo del tutto, magari mandando a morire mercenari troppo insistenti nel reclamare il dovuto (Diod. XIV 72.2-3), o quello, che già abbiamo visto, di trasformare lo sti­ pendio in terre da distribuire ai mercenari: soluzione, quest'ultima, otti­ ma, perché gradita agli interessati, al contrario della precedente. Ma le ter­ re andavano pur trovate e a spese, pressoché sempre, di altre comunità che si rendeva necessario deportare o - perché no - massacrare. A fronte di queste misure, ne vanno poi considerate altre, ascrivibili alla nutrita categoria degli espedienti economici: la sola categoria che goda di buona salute in un'economia strutturalmente incapace di stilare bilanci e programmare spese e ricavi. Dionisio ricorre al saccheggio sistematico dei beni depositati nei templi (Diod. XIV 67.4 e 69.2; cfr. [Aristot.] Economici II 2 2oi 1349b e 41 1353b), superando un limite dettato dalla pietà religiosa che le circostanze rendevano, a seconda dei casi, più o meno invalicabile; moltiplica inoltre le contribuzioni a carico dei cittadini (eisphorai), pur rifuggendo da una tassazione diretta, non applicabile nelle città antiche per motivi ideologici e soprattutto pratici 1 7 • 1 6 . Il calcolo del costo complessivo annuo dei mercenari deriva dalle seguenti considera­ zioni: 10. 0 0 0 mercenari per un impiego standard di 5 mesi costano, a I dracma al giorno, 250 talenti; a 6 0 0 talenti ammonterebbe il costo di 10 . 0 0 0 guardie del corpo mantenute alla stessa cifra per tutto l'anno; c'è da conteggiare inoltre i mercenari impiegati come re­ matori nella flotta, che, in particolari momenti, potevano raggiungere i 20 . 0 0 0 uomini, come abbiamo visto; cfr. Filisto FGrHist 556 F 6 8, con la pentecontera definita adephagos, divoratrice di risorse . Testi : Diod . XIII 9 3 .2; 9 5. 1 ; XIV 44 .2; 62. 1 ; cfr. Plat . Lettera VII 3 48a. Sugli stipendi, cfr . MELE ( 1 9 9 3, p. 6), ammirevolmente conciso; TAGLIAMONTE ( 1 994, pp . 1 57-64); CAST RI Z IO ( 20 0 0, pp . 19-24) . 17. Cfr. [Aristot.] Economici I I 2 20a, b, d, e, f 1 3 49a-b. Cfr. anche le splendide pagine conclusive dell'vIII libro della Repubblica di Platone - 5 6 5e- 5 6 9c - che non possono

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I 'trucchi' non finiscono qui18 ; ma uno dei mezzi fondamentali con i quali il sistema era in grado di perpetuarsi è costituito dal cosiddetto auto­ finanziamento della guerra: in pratica, il ricorso a qualsiasi pratica, all'in­ terno di un conflitto, potesse garantire il reperimento di risorse, spesso assai cospicue. Rientra in questo quadro la vendita di prigionieri come schiavi o la riscossione di forti riscatti per garantirne la liberazione (Diod. XIV I s. 3 [ Catane]; s 3. 2-4 [ Mozia]; 1 1 1. 4, con [ Aristot.] Economici II 2. 20g 1 3 49b [Reggio]); il saccheggio e le spoliazioni in stile 'piratesco', categoria nella quale la scorreria al santuario di Pyrgi del 384, che frutta la favolosa cifra di 1.500 talenti, è la più famosa 1 9 ; infine, il disporre liberamente delle case e delle terre dei cittadini delle poleis soggiogate, come abbiamo visto in precedenza nel caso di Lentini. Un sistema di questo genere è destinato a innestare un circolo vizioso, una spirale che porta la guerra ad autoali­ mentarsi, esaltandone al contempo gli aspetti più anomici. Un argomento che merita qualche riflessione è quello relativo all'ori­ gine dei mercenari. L'esercito mercenario di Dionisio era di provenienza composita; ne era ben consapevole lo stesso tiranno che intendeva fare di questa caratteristica un punto di forza: si dava da fare perché ogni soldato fosse equipaggiato con le armi del suo paese e riteneva che l'esercito sarebbe stato così molto temibile e che nelle battaglie tutti i

non tenere conto della Siracusa di Dionisio I, qualunque sia l'opinione dei commentatori moderni sulla valenza storica del testo. Sulle eisphorai di Dionisio, a parte l'accenno in Polyaen. v 2.19, il riferimento più esplicito è in Aristotele Politica 1313b 26. 18. Cfr. gli esempi raccolti in [Aristot.] Economici II 2 20c, h 1349a-b (espedienti mone­ tari) con quelli citati alla n. precedente; cfr. MELE (199 3, pp. 19-21 ) ; VALENTE (2011, pp. 196-20 8; 264-5). La guerra che si autofinanzia, generando altre guerre: un tratto, questo, tipico dei tiranni, messo in evidenza al contempo da Platone Repubblica 56 6e-567a e da Aristotele Politica v 13 13b 28-29. 19. Cfr. Diod. xv 14.3-4; [Aristot.] Economici, II 2oi 13 50a; Strab. v 2.8; Polyaen. v 2.21 ; Eliano Varia Historia I 20. La cifra di 1.500 talenti è ipotetica, anche se il bottino fu cer­ tamente assai cospicuo. Incerto anche il numero delle navi impiegate ( 60, più un certo numero per il trasporto dei cavalli). Polieno, concorde con lo Pseudo-Aristotele nel rife­ rire l'attenzione con la quale Dionisio riuscì a recuperare la parte di bottino che i soldati avevano messo al sicuro ciascuno per conto suo, nota che, dopo averli completamente 'ripuliti', Dionisio « dette loro in dono lo stipendio di un mese» (dorean edoken autois menos sitarkian) ; se ne deduce che i soldati dovevano essere mercenari, in numero di circa 10.000 tra rematori ed epibatai. Su tutto, cfr. ANELLO (19 80, pp. 137-52); VALENTE (2011, pp. 20 6-8). L'episodio destò sensazione a Roma, che aveva intensi rapporti con Cere e solo due anni prima era stata saccheggiata dai Galli.

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combattenti avrebbero sfruttato al meglio le armi alle quali erano abituati (Diod. XIV 4 1.5).

Un passo interessante, che può essere interpretato come un segno dell'or­ mai perduta centralità oplitica nelle guerre del mondo mediterraneo20 • Tra i mercenari di Dionisio I è possibile distinguere almeno cinque diverse zone di provenienza: la stessa Sicilia, l'Italia, la Spagna, il nord Europa e, ovviamente, la Grecia. Per quanto riguarda la Sicilia, l'impiego di Siculi e Sicani, vale a dire del­ le popolazioni indigene dell'isola, è dato per scontato più che testimoniato dalla documentazione conservata: nel ben noto episodio (Diod. XIV 16) della fondazione di Alesa da parte di Arconide, tiranno siculo di Erbita, i numerosi mercenari a disposizione di quest'ultimo li si suppone di origine locale; essi si erano introdotti in città . Pe­ raltro, va sottolineato come gli indigeni tendessero semmai a schierarsi con i Cartaginesi contro Dionisio: cfr. soprattutto Diod. XIV 58.1, in cui tutti i Siculi, ad eccezione degli abitanti di Assoro, si schierano con Cartagine. Molto più importanti i contingenti italici, di cui del resto facevano am­ pio uso anche i Cartaginesi ( cfr. p. es. Diod. X IV 95.1). Dei Campani abbia­ mo già riferito in precedenza, quando salvano Dionisio agl'inizi della sua avventura. Altri Campani sono citati (Diod. X IV 15.3; 68.3) quando vengono stanziati da Dionisio a Catania e poi ad Etna, lasciando ostaggi a Siracusa per garantire la loro fedeltà. Ma nelle truppe di Dionisio troviamo anche Lucani, tra i quali andrà citato un comandante mercenario, Archylos di Turi, che si distingue nell'assedio di Mozia del 397 (Diod. XIV 52.5-6). I rinomati mercenari iberici sono ingaggiati da Dionisio direttamente dai Cartaginesi, quando, dopo la pace del 391, è appena terminato il loro servizio presso i tradizionali nemici dei Siracusani (Diod. XIV 75.8-9). 20. Armamento dei mercenari: i soldati di Dionisio I , e dei suoi successori, appaiono a volte descritti come opliti (Plut. Vita di Dione 3 5.2), a volte come opliti e armati alla legge­ ra (ivi, 45.6); Platone nella VII Lettera li chiama due volte - sorprendentemente - peltasti (348e, 350a) ; l'unico passo significativo, peraltro, è Diod. XIV 43.2-3, che mostra come, nelle intenzioni di Dionisio, i soldati dotati di corazza sarebbero stati non più di un de­ cimo del totale: in buona sostanza, i comandanti e il contingente delle guardie del corpo. L'esperienza siciliana, povera di battaglie campali formalizzate e ricchissima di scontri per le strade delle città o di scaramucce improvvisate, dimostra che la differenziazione fra tipi di combattenti è ormai obsoleta: ognuno si armava come voleva o poteva, o come il com­ mittente riusciva ad armarlo.

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I Celti, sciamati verso sud dopo il sacco di Roma del 386, sono impie­ gati costantemente da Dionisio; da segnalare in particolare l'invio di un contingente di questi soldati (insieme a un gruppo di Iberi) in aiuto di Sparta, negli ultimi anni di vita del tiranno (Xen. Ell VII 1.20 e 22; 28-31; Diod. xv 70.1; cfr. CAP. 5, pp. 163-4) 21 . È certo comunque che il luogo più frequentato per l'ingaggio di merce­ nari da parte di Dionisio I è il Peloponneso, non solo per dichiarate affini­ tà etniche ( il Peloponneso è terra dei Dori, quali erano i Corinzi fondatori di Siracusa) o per l'abbondanza di uomini che nella regione si dedicavano al mestiere: ancora più importante è il rapporto privilegiato e senza inter­ ruzioni che Dionisio I intrattiene durante gli anni del suo regno con Spar­ ta22. A partire da Aristas, inviato in seguito alle richieste di aiuto formulate negli ultimi anni del v secolo e pronto a rafforzare la tirannide di Dionisio contro le aspirazioni democratiche dei Siracusani 23 , negli anni successivi sono numerosi gli Spartani inviati come comandanti ovvero 'consiglieri militari': da un certo Aristotele, coinvolto nei disordini del 396 e rispedito in patria per essere giudicato dai suoi concittadini (Diod. XIV 78.1), ad Aristomene (Polyaen. II 31.1), fino a Farace, personaggio di spicco dell'esta­ blishment spartano, che in quello stesso torno di tempo giunge a Siracusa con una squadra navale a sostegno del tiranno (Diod. XIV 63.4). Ma più significativi ancora dei comandanti sono i soldati che dal territorio spar­ tano vengono a più riprese inviati in Sicilia. Diod. XIV 44.2, sotto l'anno 398, non ne fa mistero: > (Diod. XVI 5. 4). Il punto merita di essere sottolineato: Dionisio I I è connotato 25. Su Dionisio II, in generale, cfr. MUC C I OLI (1999 ), eccezionalmente analitico. Per le fonti del periodo successivo a Dionisio I , cfr. Diod. XVI 5-6; 9-13; 1 6-20 per Dionisio II e Dione; XVI tra 65 e 90 per Timoleonte. Fondamentali sono le Vi'te plutarchee dedicate a Dione e a Timoleonte (senza dimenticare le Vi'te dedicate ai due personaggi da parte di Cornelio Nepote). La Vi'ta di Dione risente in primo luogo dell'ottica favorevole con la quale gli ambienti dell'Accademia platonica si occuparono delle vicende relative al pro­ tagonista, molto legato alla scuola. Plutarco attinge direttamente alle Lettere platoniche (cfr. sotto) e all'opera di Timonide di Leucade (FGrHist 561), anch'egli seguace di Platone. Per la Vita di Timoleonte, Plutarco sembra aver attinto principalmente, ancora una volta, a Timeo. Cfr. WE STLAKE (19 3 8); MUC C I OLI (19 90 ) ; DREHER (199 5). Infine, vanno citate le Lettere platoniche (in particolare, la VII e l'VIII ; cfr. anche II e XIII) , fondamentali, in al­ cuni punti, per la ricostruzione delle vicende dell'epoca di Dionisio II. Non entro in questa sede nella ricostruzione dei soggiorni di Platone alla corte prima di Dionisio I (anno 3 88), poi del figlio (anni 366 e 361/360 ) : lo scetticismo di FINLEY (1979, pp. 105-10 ), su molti aspetti della 'saga' è da condividersi. Status quaestionis a dir poco minuzioso in MUCCI O LI (1999, pp. 147-210); cfr. anche SANDERS (1979 ) ; SORDI (1980); CANF ORA (2002). Né affronteremo la dibattutissima, correlata questione relativa all'attribuzione a Platone delle Lettere (su cui cfr. BRI S S ON, 1 9 87 ), in particolare della Lettera VII , la più celebre e impor­ tante; trovo comunque improponibile una posizione estrema, che neghi alle Lettere VII e VIII il valore di fonte storica per il periodo.

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negativamente in quanto non incline alla guerra. Una tale peculiarità por­ ta a supporre ulteriori caratteristiche deplorevoli - mollezza, inclinazione al bere - poiché l'amore per la vita pacifica è quasi contro natura, soprat­ tutto in un tiranno, il quale, come abbiamo visto, dipende dalla guerra. Inoltre, volendo sollevare i Siracusani del peso della tassazione, condo­ nò loro il versamento di ben tre anni di contribuzioni ( Giustino XXI 1.4) 26 : finì così per trovarsi in difficoltà nel pagare i numerosi soldati ereditati dal padre, vista anche la mancanza di spedizioni grazie alle quali - come ab­ biamo visto - la macchina militare era in grado di autoalimentarsi. Di conseguenza, intorno al 3 61, Dionisio - agendo in modo contrario alle abitudini di suo padre - decise di dimi­ nuire la paga dei mercenari più anziani e questi, adirati, si riunirono e dichiararo­ no che non lo avrebbero consentito. Lui allora ricorse alla forza e fece chiudere le porte dell'acropoli, ma essi si avvicinarono alle mura intonando un canto barbaro di guerra. Molto spaventato, Dionisio cedette e finì per concedere ai mercenari tutto e anche più di quello che chiedevano (trad. M. G. Ciani) .

Il passo è tratto dalla VI I Lettera di Platone (348 a-b): una testimonianza di cui va evidenziata la puntualità con la quale si sottolinea la notazione 'tecnica' secondo cui la paga sarebbe stata diminuita solamente ai merce­ nari più anziani, meno efficienti. Ma il particolare più rilevante è l'efficace descrizione degli stessi mercenari come barbari pronti a tutto: un atteg­ giamento che potremmo definire 'culturale' e che ritroveremo nella Vita di Timoleonte di Plutarco, non a caso vicino ad ambienti delrAccademia, tendente a sottolineare la bestialita tipica dei barbari nel comportamento dei mercenari di Dionisio II e assente invece nei mercenari di T imoleonte, di origine greca ( cfr. più avanti, pp. 351-5). Tutto ciò contrasta, oltre che con la verosimiglianza, con la testimonianza della stessa VI I Lettera, che ri­ ferisce della presenza addirittura di ateniesi tra i componenti delle ciurme

Nelle pieghe di questa caratterizzazione troviamo la notizia (Giustino XXI 1.5) secon­ do la quale il figlio di Dionisio I liberò ben 3.0 0 0 persone incarcerate dal padre: viene da chiedersi se tutte queste persone avessero perso la libertà a causa della loro opposizione politica alla tirannide o perché debitrici nei confronti dello stato. Generalmente si pro­ pende per la seconda soluzione (MUC CIOLI, 1 9 9 9, p. 1 1 9 n. 29 5 con ulteriore bibliografia), che a me peraltro pare dubbia, anche perché, tolti i numerosissimi nullatenenti, coloro da cui ricavare qualcosa in termini di tassazione non erano poi molti di più. Peraltro, separare nettamente i due gruppi è un esercizio vano. 26.

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delle navi di Dionisio, i quali vivevano, come è lecito aspettarsi, insieme agli altri mercenari (Plat. Lettera VI I 350 a). Queste difficoltà spiegano in buona misura la perdita del potere nel giro di un decennio, nonostante Dionisio I I avesse ereditato una spetta­ colosa - quanto costosissima - macchina da guerra (cfr. Diod. XVI 9.2) 27 • Con il settembre del 357 si apre un decennio di totale anomia a Siracusa, con il potere che passa da Dionisio I I a Dione, poi a Callippo, a Ipparino, un altro dei figli di Dionisio I , a suo fratello Niseo, per tornare brevemente a Dionisio 1 1 , prima dell'arrivo di T imoleonte nel 344 2.8 • Il più importante - e più famoso - di questi personaggi è Diane, fratel­ lo di Aristomache, la sposa siracusana di Dionisio I , aristocratico siracusa­ no (F INLEY, 1979, p. 106). Imparentato e, per così dire, largamente compromesso con la dinastia dionigiana anche per aver sposato una delle figlie di Dionisio I , Dione venne esiliato dal figlio del tiranno, visse lussuosamente ad Atene frequentando l�ccademia platonica (una decisione dettata dal suo amore per la filosofia, che risale al tempo della prima venuta di Platone in Sicilia nel 388 e che fu decisiva per l'eccellente immagine che molte delle fon­ ti successive gli cucirono addosso, in primis la lunga e circostanziata Vita plutarchea), prima di decidersi, nell'agosto del 357, con pochi amici, tra cui Callippo e T imonide dell�ccademia, alcuni esuli siracusani tra i quali si distingueva Eraclide e qualche centinaio di mercenari, a cercare di com­ piere una temeraria spedizione in Sicilia per liberare Siracusa dal tiranno2 9 • Plutarco ( Vita di Dione 22.8) riferisce che i mercenari erano meno di 800, numero arrotondato da Diodoro (xvi 9.5) a 1.000. Non abbiamo

Sulla 'macchina da guerra' ereditata dal padre, cfr., oltre al passo di Diodoro cit. nel testo, Cornelio Nepote x Dione 5 . 3 ; Plut. Vita di Dione 1 4. 3 ; Eliano Varia Historia VI 1 2. La fonte comune di queste testimonianze, più o meno concordi quanto probabilmente molto gonfiate (cfr. lo specchietto in P, p. 1 1 4; cfr. CHRISTIEN, 1 9 7 5 ) , è con ogni probabi­ lità Filisto (FGrHist 5 5 6 F 28). 28. Sul decennio tremendamente confuso che inizia nel 3 57, cfr. SORDI ( 1 9 8 3 ) ; ORSI ( 1 9 9 4). Su Dione, ancora da prendere in considerazione BERVE ( 1 9 5 6 ) ; in particolare sui mercenari in questo periodo C HRISTIEN ( 1 9 7 5 ) , MOS S É ( 1 9 9 7 ). 29. L'impresa di Dione (sulla sua preparazione in Grecia, cfr. MARAS CO, 1 9 82) destò grande impressione e incredulità nei contemporanei, come dimostra Demosth. xx 1 6 2. Peraltro Dione, forte della sua conoscenza della Sicilia, doveva avere qualche appoggio nell'isola e una visione meno romantica del suo tentativo. 27.

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alcun particolare sul loro ingaggio, tranne un'esaltazione incondizionata della qualità dei soldati che Plutarco aveva trovato nelle fonti agiogra­ fiche della scuola di Platone (in particolare T imonide, che dell'impresa di Dione scrisse un resoconto inviato a Speusippo, futuro successore di Platone): > . Dione prende delle precauzioni per tenere nascosto ai mercenari lo scopo dell'ingaggio ( una situazione che ha delle somiglianze con quella di Ciro alla vigilia della marcia contro il fratello Artaserse: cfr. CAP. 11 ) ; da qui l'ira dei soldati che, appresa la verità una volta saliti sulle navi, se la prendono con i loro capi e con i reclutatori: infatti, tale comportamento andava considerato un motivo di 'rottura del contratto', poiché quest'ultimo di solito doveva indicare, almeno a grandi linee, il nemico da combattere e gli scopi per cui i mercenari venivano re­ clutati. Dione riesce comunque a convincerli con un appassionato discor­ so (Plut. Vìta di Dione 23.2) che insiste su quanto la Sicilia fosse pronta a liberarsi di una tirannide ormai in gravi difficoltà. L'impresa si conclude in effetti felicemente, con Dione che entra in Si­ racusa > (Plut. Vìta di Dione 28.4) e gli altri schierati in buon ordine, insieme ai tanti che si erano uniti al contingente durante la marcia di avvicinamento alla città: Dione era infatti sbarcato a Eraclea Minoa, in territorio cartaginese, e aveva dun­ que dovuto compiere l'attraversamento di quasi tutta la Sicilia, da ovest a est (Plut. Vìta di Dione 25.11). Nei convulsi mesi che seguono, le fonti non ci consentono di capire con chiarezza gli avvenimenti. Degno di nota è il fatto che molte delle manovre per scalzare la posizione di dominio di Dione partono dal tentativo di met­ terlo in difficoltà con i mercenari; è l'amico di un tempo, Eraclide, a inter­ pretare con maggiore convinzione questo ruolo, cercando in tutti i modi di ingraziarsi il demos siracusano. I mercenari, a quanto pare, rimangono fedeli a Dione. Quest'ultimo non mancava di gratificarli attingendo al suo vasto patrimonio (Plut. Vita di Dione 52.1). Il pagamento delle loro retribuzioni era peraltro deciso con un atto formale dall'assemblea del demos siracusano (Plut. Vìta di Dione 37.6), ciò che rendeva Dione in balia dei capricci del popolo ( cfr. p. es. Plut. Vita di Dione 35.2). Va sottolineata questa tangen­ za tra regimi formalmente democratici e ingaggio di mercenari, un aspetto che abbiamo ritrovato in altri casi (per esempio, all'inizio del percorso di Dionisio 1) ma che nondimeno mantiene un margine di contraddittorietà.

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Per abitudine, ma anche per un'oggettiva consonanza tra mercenari e regimi assoluti, siamo abituati a ritenere che tutto quanto riguarda il trattamento delle truppe stipendiate fosse sempre veicolato attraverso un personaggio detentore di pieni poteri. Come abbiamo visto (cfr. CAP. 4), Demostene è il più lucido nel riflettere sulle difficoltà e le aporie del rapporto tra regimi democratici e mercenari. Un altro elemento che non desta sorpresa è la cronica mancanza di fondi, in grado di rendere la situazione potenzialmente esplosiva (Diod. XVI 17.3). L'elemento di lusinga più rilevante nelle continue trattative con i mercenari è sempre la concessione della cittadinanza: la offrono i Siracusa­ ni (Plut. Vita di Dione 38.4: cfr. l'ipocrisia con la quale, a 46.1, essi vengono chiamati ), la concedono senz'altro gli abitanti di Lentini, quando Diane si ritira in quella città con forze consistenti, una volta che la fazione popolare ha preso provvisoriamente il sopravvento a Siracusa (Plut. Vita di Dione 40.1). Nella lotta tra Diane e il demos siracusano, si inserisce con eccezionale violenza il comandante mercenario Nipsio, che piomba a Siracusa per por­ tare soccorso ai fedelissimi di Dionisio II, guidati da suo figlio Apollocrate e ancora asserragliati nell'acropoli della città. Nipsio, approfittando della scarsa attenzione e disciplina degli strateghi siracusani, : da qui la consueta serie di saccheggi, massacri, incendi, stupri e quant'altro. Va datato a questi giorni, secondo un'ipotesi quanto meno ingegnosa, un frammento di Teopompo (FGrHist 115 F 194), che riferisce di un triumvirato nominato durante l'assemblea notturna successiva alle devastazioni degli uomini di Nipsio. Di tale triumvirato avrebbero fatto parte Eraclide, Atanide ( a noi noto come storico) e un certo Archelao di Dirne (Acaia, Peloponneso) in rappresentanza dei mercenari, che rivesti­ vano un ruolo determinante, anche sul piano politico, nonostante molti di essi avessero accompagnato Diane nel provvisorio esilio di Lentini3 ° . Come è ben noto, in seguito ai saccheggi di Nipsio, Diane accetterà di tornare a Siracusa. Dopo neppure due anni saranno gli stessi mercenari a

30. Sul comandante mercenario Nipsio ( il nome rivela un'origine osco-sannitica), che sopraggiunge a Siracusa in aiuto dei fedelissimi di Dionisio II, cfr. Plut. Vita di Dione 41-45; Diod. XVI 1 8-19 ; buone riflessioni in PO C C ETTI (19 89, pp. 1 1 6-7 ) ; TAGLIAM ON­ TE (19 94, pp. 14 1-2) ; MUC C I OLI (1999, pp. 359-61). Sul 'triumvirato' che sarebbe stato eletto dall'assemblea siracusana nei giorni dei saccheggi operati dalle truppe di Nipsio, cfr. ORSI (19 9 5) .

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liberarsi sia di Dione che, qualche tempo dopo, del successore Callippo, a testimonianza di una situazione caotica, nella quale le truppe stipendiate, utilizzate da ogni schieramento, costituivano l'ago della bilancia3 1 •

Timoleonte e la liberazione della Sicilia L'aiuto alla Sicilia martoriata non venne alla fine da un filosofo di Atene, come la 'saga' platonica aveva lasciato sperare, ma da un vecchio aristocra­ tico di Corinto: T imoleonte 3 2 • Analizzando le vicende che interessarono la Sicilia tra il 344 e il 337, vediamo che i numerosi eserciti che si scontrano in mille scaramucce ( e in una grande battaglia campale, quella del fiume Crimiso del 341) sono sostanzialmente composti da mercenari. Ce ne era­ no molti in Sicilia, reduci dalle battaglie degli anni precedenti, come ci informa la Vita plutarchea di T imoleonte (1 3), in un passo nel quale il nu­ mero e l'importanza di questi 'barbari' sono esagerati, ad maiorem gloriam dello stesso T imoleonte e della sua opera di 'rifondazione' dell'isola: . Occupiamoci però in primo luogo dei mercenari che affrontano insie­ me a T imoleonte la traversata, dopo che Corinto aveva accettato di rive­ stire il ruolo di madrepatria, venendo incontro alle difficoltà di Siracusa. Sono pochi: in origine non più di 700, diventano all'incirca un migliaio con l'aiuto fornito da Andromaca, signore di Tauromenio3 3 • Il grosso di Sulla morte di Dione, le fonti sono unanimi nell'indicare che gli uccisori erano di Za­ cinto (Plut. Vita di Dione 57. 1 -4; Diod. XVI 3 1.7 ; Cornelio Nepote x Dion 9.3- 5). Per quan­ to riguarda invece Callippo, Plut. Vi'ta di Dione 5 8.6 riporta persino il nome degli uccisori: un tal Poliperconte e un mercenario di nome Leptine, destinato a una qualche notorietà successiva come tiranno di Apollonia ed Engio. La tradizione retorica era attenta all' exitus dei personaggi e tramandava quante più notizie possibili sulla morte degli uomini illustri. 32. Su Timoleonte, si aggiunge a S ORDI ( 1 9 6 1 ) e TALBERT (1974) anche SMARC ZYK 3 1.

(2 0 0 3). 3 3. Sulla consistenza del contingente al seguito di Timoleonte, cfr. Plut. Vita di Timoleon­ te 1 1.5; Diod. XVI 6 6. 2; 6 8.9. Non mancano incertezze sui particolari, si veda per esempio la ricostruzione parzialmente diversa di P, p. 17 0. Sui segni della benevolenza divina cfr. Diod. XVI 6 6.3-5 e Plut. Vita di Timoleonte 8.5-8, con il particolare della 'torcia' accesa che

indica il cammino e la benedizione delle sacerdotesse corinzie di Demetra e Core. Sui calcoli legati alla cometa - la 'torcia' - cfr. BICKNELL ( 1 9 84), secondo cui la traversata sarebbe avvenuta nel marzo 3 4 4.

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questo contingente era composto da reduci del celebre saccheggio del san­ tuario di Delfi, al soldo dei Focidesi nella guerra sacra appena terminata in Grecia. Le vicende dei mercenari sacrileghi in Sicilia sono già state riassun­ te nel CAP. 6 ( pp. 192-4) , cui rimandiamo. L'esercito di T imoleonte è come un fiume: all'inizio è un ruscel­ lo, destinato a ingrossarsi via via che scende a valle. Il primo rinforzo - assai modesto - gli viene fornito da Andromaca a Tauromenio; il se­ condo, assai più cospicuo - ben 2. 000 mercenari - gli viene dallo stes­ so Dionisio I I che, > , decide di arrendersi in cambio della possibilità di recarsi a finire i suoi giorni a Corinto a insegnare ai bambini nelle scuole, per la gioia delle future orde di retori e raccoglitori di aneddoti 34 • A questo punto, rice­ vuta notizia della fortuna che stava accompagnando la spedizione del loro concittadino, i Corinzi inviano con mirabile rapidità un contin­ gente di rinforzo, composto da ben 2. 000 opliti e 200 cavalieri, guidati da Dinarco e Dimareto, personaggi di spicco nella Corinto dell'epoca, a testimonianza dell'importanza che la spedizione di T imoleonte an­ dava assumendo dopo le perplessità iniziali (Plut. Vita di Timoleonte 16 . 3; 21. 3; cfr. Diod. XVI 6 9. 4) . Anche lo sfuggente tiranno di Catania, Mamerco, decide per il momento di schierarsi con T imoleonte ( più tardi cambierà idea) 3 5 • Non mancano i problemi per trovare il denaro, nonostante i Corinzi avessero inviato, insieme al contingente, anche il denaro per pagarlo: ma il tempo passava ( tra l'arrivo di T imoleonte e la battaglia del Crimiso traPlut. Vita di Timoleonte 1 3 : quanta fiducia sia da accordare a questa tradizione, non è facile da determinarsi, ma non riguarda il nostro argomento. 3 5. Su Mamerco (chiamato Marco da Diodoro), cfr. Plut. Vita di Timoleonte 3 0 - 3 4, 37. 9 ; Diod. XVI 6 9. 4; Cornelio Nepote xx Timoleonte 2. 4; Polyaen. v 1 2 . 2. Bibliografia: PO C ­ C ETTI ( 1 9 8 9, pp. 1 17-26 ) ; TAGLIAM ONTE ( 1 9 94, pp. 1 45-8). Mamerco « ipostatizza un elevatissimo grado di assimilazione di un italico alla cultura greca » (POCCETTI, 1 9 8 9 , p. 1 21 ) : coltivava forti interessi letterari e retorici. Discutibile (anche se accettata da P O C ­ C ETTI 1 9 89, p. 1 1 8) l'identificazione di un Alkippos figlio di Markos nella lista dei thea­ rodokoi di Epidauro come figlio di Mamerco (1G IV 1 5 0 4, 11. 1 8- 1 9 ) . Tra gli 'avventurieri' dell'epoca, si può ricordare anche il 'pirata' Postumio l'Etrusco (Diod XVI 82.3) che offre inutilmente le sue triremi a Timoleonte, dopo il Crimiso. Sull'origine di Postumio (Etru­ ria, Campania, Anzio, Roma) esiste un vasto dibattito: cfr. GI UFFRIDA IENTILE ( 1 9 83 , pp. 89-90 ); GR AS (19 85, p. 5 14); TAGLI AMONTE (1994, p. 146); Z AMBON (20 0 0, p. 23 1 n. 2), con ulteriore bibliografia. Poca fortuna ha avuto il tentativo di Marta Sordi (S ORD I , 1 9 6 1, pp. 1 1 4- 5 ) di identificare Postumio con Mamerco. 3 4.

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scorrono non meno di tre anni) e i mercenari andavano nutriti e pagati ogni mese. Le nostre fonti si limitano ad accennare a tali difficoltà, quasi timorose di incrinare la perfezione della figura del protagonista investito di una missione divina; quando ne parlano, le risolvono in modo rapido ed efficace. A XVI 73.1 Diodoro, per esempio, afferma: Essendo a corto di denaro per pagare i mercenari, ne mandò 1.0 0 0 con i migliori comandanti nel territorio controllato dai Cartaginesi. Questi saccheggiarono una vasta area e raccolsero una gran quantità di bottino che consegnarono a T imo­ leonte. Egli dalla vendita del bottino ricavò una grossa somma di denaro, con la quale pagò ai mercenari lo stipendio per la maggior parte del tempo.

Un'operazione da manuale, espressione del tipico autofinanziamento della guerra che costituiva da sempre il miglior modo per far fronte alla penuria di mezzi. Poco prima del Crimiso, T imoleonte raggiunge un accordo anche con lceta, il tiranno di Lentini che da sempre aspirava a giungere, un giorno, a governare Siracusa, magari d'accordo con i Cartaginesi. lceta accetta infatti, un po' a sorpresa, di consegnare i suoi mercenari (Diod. XVI 77.5), dando un contributo considerevole a un esercito che, nono­ stante tutti i rinforzi ricevuti, era ancora modesto, soprattutto se raf­ frontato con l'esercito cartaginese. Quali dimensioni aveva raggiunto e da quali forze era composto, nell'imminenza della grande battaglia del Crimiso? Il problema non è certo facile da risolversi: Diodoro (xvi 78.2) è il più puntuale e parla di un esercito di non più di 12.000 uomini tra mercenari, alleati e cittadini siracusani. Questi ultimi sono quantificati da Plutarco ( Vita di Timoleonte, 25) in circa 3 .000; tutti gli altri, com­ presi i contingenti classificati come alleati, saranno stati mercenari3 6 • Ha 3 6. Sulla battaglia del Crimiso (esistono problemi di datazione che non ci competono) cfr. Diod. XVI 79.5- 8 1. 1 ; Plut. Vita di Timoleonte 27-29. Sulla consistenza dell'esercito, ri­ cordiamo che Plutarco dimezza la cifra fornita da Diodoro e ritiene che fossero schierati solamente 3 . 0 0 0 cittadini siracusani e altrettanti mercenari, un numero depurato dai mille che, come abbiamo visto ( cfr. pp. 1 9 3-4) avevano preferito non affrontare il peri­ colo. Accettando il numero dei cittadini, dobbiamo però aumentare la stima dei merce­ nari: circa 3.0 0 0 ( 1. 0 0 0 + 2. 0 0 0 poco tempo dopo) sono quelli che hanno compiuto la traversata, 2 . 0 0 0 quelli di Dionisio I I , un numero imprecisato quelli forniti da Mamer­ co e, soprattutto, da lceta (Diodoro XVI 77.5 accenna a un aumento « smisurato» delle forze di Timoleonte grazie a questo apporto) : pur considerando le inevitabili perdite nel corso di tre anni, difficile non raggiungere un totale - del tutto approssimato - di

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dunque ragione Parke (P, p. 172) nel concludere che > . Anche i soldati di lceta, erede della 'balcanizzazione' degli anni cin­ quanta, sempre in bilico, come lo stesso Dione, tra Lentini e Siracusa, sono mercenari. Un curioso episodio, della cui verisimiglianza è opportuno du­ bitare, ma che nondimeno non è privo di significato, ci informa che essi erano in larga misura di origine greca. Racconta infatti Plutarco ( Vìta di Timoleonte 20. 4-5): I mercenari di entrambi gli eserciti, nel tempo libero e nei giorni di tregua, anda­ vano insieme a pesca [ di anguille, che popolavano gli stagni intorno a Siracusa] . Poiché erano tutti Greci e non avevano motivo di animosità personale, nelle bat­ taglie combattevano vigorosamente, mentre nei momenti di tregua si frequen­ tavano e discorrevano tra loro. Uno di quei giorni, discutevano ammirati della bellezza del mare e delle opere umane in quei luoghi; uno, che militava nelle file dei Corinzi, disse : « Voi, che pure siete Greci, cercate di far sì che si realizzi la bar­ barizzazione (ekbarbarosai) di una città così grande e adorna di siffatte bellezze, permettendo che i Cartaginesi, i più malvagi e sanguinari tra gli uomini, abitino più vicino a noi [ ... ] » . Il significato di tale inverosimile siparietto dei mercenari 'filosofi' che di­ scettano di bellezza sta in una domanda che aveva tormentato a lungo i Greci dabbene: i connazionali che si dedicavano al mercenariato sarebbe­ ro stati disposti non tanto a combattere per committenti barbari - que­ sto, era scontato: anzi, erano i committenti migliori - ma contro i Greci che avrebbero difeso la propria terra in caso di aggressione, per esempio, persiana ( o cartaginese, che è, per così dire, una 'variante' siciliana)? La risposta, ahimè, era positiva, e questo disturbava non poco le coscienze: Plutarco, per il quale, a quasi cinque secoli di distanza, la questione era di­ venuta oziosa, cercava di tacitarle sceneggiando dialoghi idilliaci; Demo­ stene, all'epoca, cercava di rassicurare se stesso e gli ascoltatori in un passo piuttosto fumoso, che difficilmente sarà riuscito nell'intento (xiv 31-32, composto circa dieci anni prima dell'impresa timoleontea). almeno 8. 0 0 0 mercenari. Sottratti i 1. 0 0 0 ribelli, rimane spazio per circa 2 . 0 0 0 uomini per il contingente cosiddetto 'alleato', che non necessariamente sarà stato composto di cittadini, ma più facilmente - ancora una volta - da mercenari ( cfr. lo specchietto di P, p. 173 n. 4, con stime in parte diverse). Tutto ciò, sempre che si consideri ineccepibile il totale fornito da Diodoro : il che è opinabile.

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Non c'è dubbio che l'immagine dei mercenari greci come combattenti uscì bene dalla saga timoleontea. Merito, va da sé, della battaglia del Cri­ miso, una delle grandi battaglie della grecità contro i barbari: sotto una pioggia a dirotto, i mercenari greci . Al di là di circostanze particolari, i mercenari greci erano in grado di offrire un rendimento migliore: questo avrebbe indotto i Cartaginesi, poco dopo, a servirsi continuativamente di merce­ nari greci. Sulla scelta di utilizzarli, oltre all'esito disastroso del Crimiso, potrebbe aver giocato anche (FARIS ELLI, 20 0 2, p. 387) 37 •

I mercenari e l'identità della Sicilia I mercenari che cercano ( e spesso trovano, salvo poi rimanere disoccupati, circostanza che costituisce a ben vedere il pericolo principale) committen­ ze in Sicilia, tra la fine del v secolo e gli anni trenta del IV, non sono po­ chi. Sembra evidente, in ogni caso, che l'enfatica preoccupazione mostrata dalle fonti riguardo alla loro utilizzazione conduca antichi e moderni a ingrandirne il numero. Impossibile fornire cifre attendibili: si potrebbe ipotizzare, a seconda delle fasi che si succedono in questi settant'anni, una cifra fra 1 0.0 0 0 e 30.0 0 0 uomini pronti a combattere per l'uno o per l'altro dei contendenti, con scarsissimo interesse nei confronti di qualsiasi cosa che non sia la riscossione dell'ingaggio e la salvaguardia della propria persona. Ma non combattono certo tutti assieme, sono sparsi per tutta l'isola e non brillano di solito per organizzazione e coesione: altrimenti, 37. Cfr. Plut. Vita di Timoleonte 30.5, con Diod. XVI 8 1. 4. L'impiego di mercenari greci da parte cartaginese è un tema complesso; sembra, per esempio, in contraddizione con i passi appena ricordati la menzione di Greci a fianco dei Cartaginesi a Mozia (Diod. XIV 5 3. 4, con Polyaen. v 2 . 1 7 ) e, ancora prima, nel 409 (Diod. XIII 5 8. 1 ) . Si trattava di mercenari (solo Polieno, peraltro, sembra esplicitarlo) oppure di alleati, vale a dire di Greci di Sicilia che avevano scelto di schierarsi a fianco dei Cartaginesi? Esaustivo sull'impiego di contingenti greci da parte dei Cartaginesi, un fenomeno che si intensi­ fica negli anni conclusivi del periodo trattato nel libro, FARI S ELLI (20 0 2, pp. 3 83- 99 ) ; cfr. anche KRAS ILNI KO F F ( 1 9 9 6 ). Perché i Cartaginesi non li utilizzano prima? Forse perché non amavano le battaglie campali, per le quali gli opliti greci erano i migliori, ma gli assedi e altre forme di scontro.

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per spiegare il successo di Diane e T imoleonte, partiti con meno di mille uomini nella loro avventura, davvero bisognerebbe chiamare in causa la benevolenza degli dèi. I committenti sono tanti anch'essi: i signori di Siracusa, in primo luogo, effettivi ( la dinastia di Dionisio e gli altri tiranni) e potenziali, come lceta; i tiranni di ogni specie che si impadroniscono di borghi grandi e piccoli dell'isola e che di tanto in tanto, per fatti eclatanti o per puro accidente della nostra documentazione, riescono a emergere alla superficie della sto­ ria. E poi, i Cartaginesi, grandi reclutatori di mercenari e in questo perio­ do molto presenti nell'isola. Di tanto in tanto, giungono spedizioni dalla Grecia a infoltire ranghi già folti: ricordiamo ancora una volta quelle di Diane e di T imoleonte, non molto diverse nei numeri e, almeno all'inizio, nel risultato positivo. Chi sono questi mercenari? Ne abbiamo già detto ed è inutile ripetersi: a parte i Celti, ingaggiati mentre 'transitano' in Italia, essi rappresentano un campione variegato e significativo delle numerose etnie che all'epoca popolavano il Mediterraneo. Le fonti greche a questo proposito fanno un gran conto sulla di­ stinzione tra Greci e non Greci, senza che sia possibile avventurarci in percentuali ( l'impressione è comunque che i non Greci siano la mag­ gioranza). I non Greci sono, per l'appunto, barbari e come tali tendono a fare cose barbare, minacciando la grecità dell'isola. La ekbarbarosis, la barbarizzazione dell'isola, era un pericolo molto sentito: si fa carico di sensibilizzare i suoi contemporanei su tale rischio l'attento autore del­ l'vIII Lettera del corpus platonico, che potrebbe essere lo stesso Platone e che comunque non possiamo certo tacciare di superficialità ( cfr. in particolare Lettera VIII 353 d-e). Non aveva ragione, noi lo sappiamo, consapevoli come siamo del fatto che neppure i Romani riuscirono a romanizzare la Sicilia, assai più profondamente grecizzata di quanto gli stessi Greci non si rendessero conto: ma il tema della barbarizzazione va comunque segnalato come una questione di enorme importanza nell'a­ genda di quegli anni. Le comunità hanno sempre paura di perdere la loro identita: senza rendersi conto che l'identità non è qualcosa di fisso e immutabile ma si nutre continuamente di nuovi apporti. E poi, i Greci di Sicilia, di iden­ tità, tendenti ad alimentarsi 'per opposizione', ne avevano diverse: quella di Dori ( o Ioni) contro Ioni ( o Dori), quella di Greci contro gli indigeni dell'isola (Siculi, Sicani, Elimi), quella di isolani, contro tutti quelli che

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venivano da fuori3 8 • Vista da occhi esterni, dagli stessi Greci di Atene o del Peloponneso, la Sicilia era già caratterizzata da un melting-pot che costituiva una ricchezza, oltre che un problema. La paura per i mercenari che giungevano dall'Italia, o dall'Iberia, era - vista con occhio raziona­ le - immotivata. In primo luogo perché le forme di acculturazione, di assimilazione, erano numerose e spesso davano esiti del tutto rassicuran­ ti. Secondariamente, perché non esiste alcun indizio, neppure labile, di una qualsivoglia differenza di comportamento tra mercenari greci e non greci nei gesti quotidiani della guerra: quando i primi non sono ingen­ tiliti dalla bontà delle anguille delle paludi siracusane, tanto da sollevare finalmente lo sguardo ad ammirare le bellezze incomparabili della costa orientale della Sicilia, sono identici nei modi ai colleghi che non sanno parlare la lingua di Omero. Non che tali comportamenti siano ineccepibili. I mercenari amano (Plut. Vita di Dione 52.3), vorrebbero am­ mazzare persino lo stesso Platone (Plut. Vita di Dione 19.8: ma in fondo, nonostante > , frase non immediatamente perspicua, non lo ammazzano né gli fanno del male, nonostante il filosofo cercasse ogni giorno di convincere Dionisio II della loro inutilità), sono violenti e inaffidabili. Ma sono soprattutto armati. Nel senso che, in un mondo di per sé violento, hanno a disposizione le armi che li rendono temibili e potenzialmente sempre in grado di imporre il loro volere. Armi che, ricor­ diamolo, i poveri non hanno perché non sono in grado di procurarsele, mentre i cittadini ne vengono privati come misura precauzionale dai ti­ ranni che agiscono contro la legge e si tutelano nei confronti dei rigurgiti di costituzionalità da parte dei legittimi detentori del potere. Non solo, se paragonati ai cittadini, sono meglio armati o addirittura gli unici a essere armati: sono anche molto più allenati ed efficienti, un tema che abbiamo già affrontato e che riemerge anche qui in Sicilia, nel paragone istituito da Diodoro tra Siracusani e mercenari di Diane (Diod. XV I 17.3). Ma non sono bestiali: tale loro caratteristica è uno stereotipo, di cui gli antichi facevano largo uso, quasi quanto noi nei confronti di gruppi di 3 8. Una buona guida nella giungla delle identità incrociate dell'isola (e nella relativa, fluviale bibliografia) è ANTONAC C I O ( 20 0 1 ) . Sulla ekbarbarosis importante POCCETTI ( 19 8 9, pp. 1 10 ss.), attento al fenomeno del mercenariato italico in Sicilia. Sulla possibile individuazione di una 'sicilian way' al modo di combattere, latamente da inserire nel qua­ dro di un'identità siceliota, cfr. MO GGI (20 0 6 ) .

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emarginati dei nostri tempi. I soldati di Nipsio, per esempio: > (Plut. Vita di Dione 46.3), si danno alla sistematica devastazione di Siracusa. Una descrizione che ritroveremo un secolo dopo nel racconto polibiano della rivolta dei mercenari contro Cartagine (240237): descrizione giustamente celebre, nel corso della quale viene adopera­ to ben tre volte il termine apotheriosis ( o il verbo apotherioo) per indicare l'imbarbarimento dei comportamenti dei seguaci di Mato e Spendio, i capi della rivolta, di ; apotherioo vuol dire > e questo sem­ bra in effetti essere il destino di tanti mercenari nella documentazione let­ teraria conservata39 • La società non può fare a meno di spaventarsi del fantasma che ha evoca­ to, e, più si spaventa, più indulge a descrivere i mercenari come uomini fuori del consesso umano. Alla fine, il problema è sempre un problema di percen­ tuali: quando i mercenari diventano troppi la paura aumenta e scattano le reazioni. Il mondo greco è un mondo nel quale l'esercizio della violenza non è monopolizzato dallo stato, attraverso sue emanazioni ufficiali. E anche quando ciò avviene, si verifica su scala modesta, sporadica e poco organiz­ zata; si tratta inoltre di un mondo dove le dimensioni quantitative (numero degli uomini a disposizione) e qualitative (mezzi tecnologici, investimenti) degli eserciti erano basse. In tale contesto, una qualsiasi forza organizzata e dotata di armi, delle dimensioni di poche migliaia (poche centinaia!?) di uomini, poteva sovvertire con relativa facilità l'ordine costituito, così come era in grado di conquistare città e di saccheggiare impunemente territori. La Sicilia è un laboratorio dove tutte queste problematiche si scontra­ no in modo visibile e drammatico, a causa della debolezza delle strutture tradizionali di ordine politico e istituzionale e del numero complessivo di mercenari che si trovano a interagire con tali strutture.

Uno s g uardo alla Mag na Grecia Mentre in Sicilia domina la figura di Dionisio I, le città dell'Italia meridiona­ le mantengono, dal punto di vista militare, un assetto tradizionale, potendo 3 9. Sulla rivolta dei mercenari a Cartagine (cfr. Polyb. I 66 ss.), ben al di là dei limiti cro­

nologici che ci siamo assegnati, ci limitiamo a una bibliografia essenziale: LORETO ( 19 94) ; PELEGRIN CAMPO ( 1 9 9 9 ) ; PÉRÉ-NOGUÈS (200 1 ) ; FARIS ELLI ( 20 0 2, pp. 7 8- 1 20 ).

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contare ancora su eserciti cittadini. Con un'associazione che era già degli an­ tichi40, Gianluca Tagliamonte ha legato questa possibilità di schierare i pro­ pri cittadini a difesa delle città alla > 4 1 . In questo quadro, le tracce di impiego di mercenari ingag­ giati presso le popolazioni italiche sono davvero ben poca cosa4 2. Le cose cambiano intorno alla metà del IV secolo, dopo la morte a Taranto di Archita. I decenni successivi vedono il ricorso, da parte della Lega delle città italiote, all'interno della quale Taranto conservò sempre la leadership, di una serie di xenikoi strategoi, comandanti militari stranie­ ri, ingaggiati per tenere testa alla pressione delle popolazioni italiche4 3. Ricordiamo la sequenza: il re spartano Archidamo (ca 344-338), lo zio, cognato e pallido emulo di Alessandro Magno, Alessandro il Molosso (334-330), il principe spartano Cleonimo (ca 303-302) e infine il re epi­ rota Pirro, destinato, tra il 280 e il 275, a ingaggiare epici scontri con i Romani, i quali costrinsero Taranto alla definitiva resa nel 27 2. Gli ul­ timi due sono fuori dell'orizzonte cronologico che ci siamo imposti di rispettare. Questo non ci impedisce di chiederci se per essi sia corretta la definizione di comandanti mercenari, come sembrerebbe implicare il ter­ mine condottieri che spesso è stato impiegato per definirli4 4. La risposta è negativa. I personaggi che abbiamo elencato erano, in primo luogo, di altissimo lignaggio: re, o quanto meno principi di sangue reale, un dato che certo non collima con la nostra immagine dei comandanti mercenari, antichi o anche medievali e moderni. Ciò non toglie che essi agiscano in larga misura in un contesto militare che prevedeva l'impiego di mercenari e che essi stessi, entro certi limiti, si comportino come comandanti mercenari, non foss'altro perché il loro rapporto con Taranto e con le città dell'Italia meridionale potrebbe essere 40. Cfr. per esempio Strab. VI 3.4 c280, un passo molto famoso sulla decadenza della Taranto post-architea, interpretata in termini essenzialmente morali. 41. TAGLIAMONTE (1994, p. 166): le pp. 164-79 sono fondamentali; cfr. anche LOMBAR­ D O (19 87, pp. 247-8). 42. Cfr. l'elmo con dedica in lingua osca rinvenuto nel Metapontino, forse riconducibile a un contingente mercenario di origine irpina; cfr. TAGLIAM ONTE (19 94, pp. 167-9 ). 43. Sull'argomento, cfr. URS O (199 8); BETTALLI (2004). Un quadro d'insieme in MELE (2002). 44. Sul termine condottiero, rimandiamo a quanto scritto al C AP. 4, p. 9 o con la n. 3 3 a proposito dei 'condottieri' ateniesi.

MERCENARI

descritto in termini latamente contrattuali, in cui è possibile intravedere il committente che stabilisce determinate regole d'ingaggio45 • Sia Archidamo, sul quale ci siamo intrattenuti nel CAP. s (pp. 169-71), sia Alessandro il Molosso fanno uso di mercenari. Sull'e sercito di quest'ul­ timo, non abbiamo in realtà molte informazioni4 6 • La presenza di merce­ nari è intuibile dalla citazione di 200 esuli lucani, che poi finiscono per tradirlo e determinarne la morte (Liv. VIII 24.6). Altre tracce potrebbero essere dedotte dalla monetazione relativa agli anni in cui il Molosso si trat­ tenne in ltalia47 • In relazione all'esercito di Taranto, infine, abbiamo vaghi accenni che ci inducono a pensare che esso prevedesse un reparto di mercenari il quale, pur agendo a fianco dei cittadini, manteneva comunque una propria auto­ nomia, non diversamente da quanto avveniva a Sparta, dalla quale la 'colo­ nia' tarentina aveva mutuato, almeno in parte, gli ordinamenti militari4 8 •

45. Non sappiamo nulla dei legami che gli xenikoi strategoi intrattenevano con i com­ mittenti. Nel caso di Archidamo, essi potrebbero essere descritti forse nei termini di una summachia, vale a dire un trattato di alleanza (cfr. Teopompo FGrHist 115 F 232). Un vago accenno a sunthekai, cioè a un accordo scritto, in un autore tardo, Zonara (v111 2), a pro­ posito di Pirro. 46. Il fr. 614 Rose di Aristotele è il passo più importante sull'esercito del Molosso; cfr. BETTALLI (2004, pp. 1 1 8-9 ), con discussione sul testo. Sulla sua spedizione, cfr. WERNER (19 87 ); URSO (19 9 8, pp. 23-5 1); MUSTI (2005, pp. 280-4). 47. Cfr. BETTALLI (2004, p. 119 con la n. 19 ). 48. Cfr. Diod. XIX 4. 1 ; sui parallelismi tra istituzioni militari spartane e tarentine, cfr. LOMBARDO (1987 ).

Impossibili biografie Dexippo

Un uomo spre gevole ? Un'avventura come quella descritta da Senofonte nell'Anabasi (cfr. CAP. 11) mette a dura prova i rapporti tra gli uomini. Ne nascono, come è ine­ vitabile, eterne amicizie e altrettanto inestinguibili odi, senza che sia facile comprendere da che parte stia la ragione; ciò è vero soprattutto per noi, che abbiamo solo il meraviglioso testo delrAteniese, nel quale coloro che non erano 'nelle grazie' dell'autore ricevono qualcosa di simile a una dan­ nazione eterna. Uno di questi malcapitati è un certo Dexippo, che Seno­ fonte, tanto per mettere le cose in chiaro, 'presenta' descrivendo con una certa soddisfazione la sua successiva morte (Anab. v 1.15): [ i reduci, sulle coste del Ponto] ricevettero dai Trapezuntini una nave a 5 0 remi, a capo della quale misero Dexippo, un perieco lacone. Questi, senza preoccuparsi di raccogliere altre imbarcazioni, fuggì, allontanandosi dal Ponto con la nave. In seguito tuttavia subì la meritata punizione: mentre era in Tracia, coinvolto in in­ trighi alla corte di Seuthes [cfr. CAP. 1 5 ] , venne ucciso dal lacone Nicandro.

Le altre citazioni relative a Dexippo (Anab. VI 1.32 e il lunghissimo reso­ conto di un modesto incidente a VI 6.5-33) sono dello stesso tenore: De­ xippo ne esce come un traditore, un uomo inaffidabile, pronto al litigio e alla calunnia; insomma come un pessimo elemento. Oltre a questi tratti caratteriali, veniamo a sapere che è un perieco della Laconia e che ha rico­ perto incarichi di responsabilità all'interno dell'esercito dei Diecimila: la sua posizione più verosimile lo dovrebbe collocare tra i locaghi, vale a dire tra gli ufficiali; probabile, anche se non certo, che facesse parte del contin­ gente inviato da Sparta al comando di Chirisofo 1 . Cfr., p. es., ROY (19 67, p. 304), « in view of his earlier career in Sicily» , un'affermazione non cogente, che peraltro aggiunge l'autorità di James Roy all'elenco di quanti danno per 1.

MERCENARI

Fin qui, nulla di particolare: Spartani non ne mancavano tra i Diecimi­ la, che fossero spartiati esuli come Clearco (cfr. pp. 297-302) e Draconzio (Anab. IV 8.25, VI 6.30) o soldati inviati dalla città con il contingente di Chirisofo. Tra questi, i perieci, o altri Spartani 'di seconda categoria' saran­ no sicuramente stati la quasi totalità, stante che era del tutto improbabile che si fossero uniti alla spedizione degli spartiati. Il motivo per cui ci occupiamo di Dexippo alla fine della nostra narra­ zione delle vicende siciliane è che riteniamo che il personaggio delineato nell'Anabasi sia lo stesso che viene citato nel XIII libro di Diodoro Siculo come presente in Sicilia in qualità di comandante mercenario tra il 406 e il 405, pochi anni prima degli eventi narrati da Senofonte. Ciò rende possi­ bile stabilire un continuum di un qualche interesse: la condizione prelimi­ nare - che noi accettiamo - è che i due personaggi siano la stessa persona1 •

Uno Sp artano in Sicilia Diodoro (XIII 85.3) introduce la figura di Dexippo in occasione del dram­ matico assedio cartaginese di Agrigento, nel 406: Con gli Agrigentini era schierato anche lo spartano Dexippo, giunto da poco da Gela con 1.500 mercenari (xenon); secondo quanto ci ricorda T imeo, in questo periodo egli risiedeva a Gela, dove era circondato da una grande reputazione in virtù della sua patria di origine (echon axioma dia ten patrida). Per questo motivo gli Agrigentini gli avevano chiesto di venire ad Agrigento, dopo che avesse ingag. quanti. p1u . ' mercenari. poteva. g1ato

Come era finito a Gela il nostro uomo? Una risposta verosimile è che egli facesse parte del contingente mercenario raccolto da Ermocrate, di cui una parte (Diod. XIII 75.6-7) era stata lasciata appunto a Gela nel corso del 407, quando Ermocrate aveva tentato il colpo di mano su Siracusa in cui aveva perso la vita (cfr. CAP. 14 , p. 335). Una possibile alternativa è che egli scontata l'identità tra i due Dexippi; cfr. la nota successiva. Che Dexippo facesse parte del contingente di Chirisofo lo suppone per esempio CARTLEDGE (19 87, p. 3 20 ) . 2 . PÉRÉ-NO GUÈ S (199 8), autrice dell'articolo più completo sul Dexippo siciliano, non pare interessarsi molto al problema dell'identità con il collega dei Diecimila, anche se ov­ viamente è a parte della questione (p. 8 n. 3) ; si pronunciano per la coincidenza tra i due personaggi P, pp. 64-5, C ARTLED GE (19 87, p. 320 ) , MARINOVI C (19 8 8, p. 148) ; in dubbio NIESE (190 3).

DEXIPP O

fosse stato inviato in via più o meno ufficiale da Sparta, ansiosa di control­ lare le vicende siciliane (CARTLED G E , 1987, p. 3 20 ) . A favore di quest'ul­ tima ipotesi sta soprattutto il trattamento comunque rispettoso che gli ri­ serva Dionisio, quando, in mancanza di un accordo, lo rispedisce in patria, invece di liberarsene in modo più spiccio. Dexippo non era un mercenario qualunque: era un agente reclutatore (xenologos) con molte responsabilità e, possiamo presumere, molta autonomia, favorita anche dal fatto di esse­ re uno Spartano. La stretta relazione tra autorità e competenza in campo militare e l'origine spartana in grado di sostanziare la prima e garantire magicamente la seconda è un dato comune nelle nostre fonti. All'epoca di Dexippo tale relazione si nutriva anche della condizione di egemonia sul mondo greco di cui Sparta godeva; nei decenni successivi, fino alla piena età ellenistica, saranno sempre più la tradizione, l'immagine, insomma il ricordo di Sparta a giocare un ruolo attivo. Non è questa la sede per ripercorrere le complesse e poco chiare dina­ miche relative all'assedio di Agrigento. All'esito drammatico che concluse la vicenda si giunse attraverso una serie di colpi di scena, accuse e tradi­ menti, in un quadro di estrema tensione all'interno del quale Dexippo non venne certo risparmiato3 : in particolare, egli fu accusato di essere stato cor­ rotto dai Cartaginesi per l'enorme cifra di 15 talenti. Dexippo, se non la reputazione, ebbe comunque salva la vita e la carriera, perché, dopo la caduta di Agrigento, si ritirò nuovamente a Gela, dove venne raggiunto dalla proposta di Dionisio di unirsi a lui nell'avventura che stava per intraprendere a Siracusa (Diod. XIII 93. 1-4). Dexippo si rifiutò; di conse­ guenza, poco dopo (XIII 96.1) venne costretto da Dionisio a lasciare la Sici­ lia. Nulla sappiamo degli anni (circa 4, tra i primi mesi del 405 e la primavera del 401) che intercorrono tra le avventure siciliane e il servizio nei Diecimila. Il motivo del 'gran rifiuto' nei confronti di Dionisio non è chiaro, né lo sarà mai, e qualsiasi ipotesi in proposito è destinata a rimanere tale: secondo Sandra Péré-Noguès, Dexippo era rimasto legato all'oligarchia siracusana,

3. Cfr. soprattutto Diod. XIII 87.5; 88.7; per tutta la problematica, ineccepibile PÉRÉ ­ NO GUÈ S (1998, pp. 12-5). Nella complessa ricostruzione delle fonti di Diodoro, che qui esplicita la sua dipendenza da Timeo, c'è una sostanziale unanimità presso gli studiosi nell' indicare come fonte originale di Timeo lo storico Filisto, il quale, come è ben noto, fu sempre assai vicino a Dionisio I. Da qui, probabilmente, il tratteggio negativo della fi gura di Dexippo come traditore, quando i tentativi di collaborazione tra quest' ultimo e il tiranno non andarono a buon fine. Cfr. almeno S O RDI (1990 ).

MERCENARI

avversaria di Dionisio4• A noi tale rifiuto può sembrare sorprendente poiché conosciamo la grandezza che Dionisio riuscirà a raggiungere. Ma le cose non stavano così: tra la fine del 406 e i primi mesi del 405 il tiranno era ancora lontano dall'avere consolidato la sua posizione. In ogni caso, l'atteggiamento di Dionisio nei confronti di Dexippo, per quanto siamo in grado di intui­ re, è di riguardo, quale ci si aspetterebbe nei confronti di un personaggio che ha molto potere, non certo quello da riservare a un qualunque ufficiale mercenario che sia riuscito a fare un po' di strada. Qui sta un'apparente con­ traddizione tra il Dexippo dell'Anabasi e quello, di quattro anni precedente, siciliano: il secondo appare molto più importante. Ma si tratta di un gioco di specchi delle nostre fonti, le quali curiosamente hanno una sola cosa in comune: entrambe detestano il nostro, descritto da Senofonte così come da (Filisto)/T imeo/Diodoro come inaffidabile, venale e traditore. Sarebbe az­ zardato concluderne che Dexippo era così; certo possiamo dedurne che è stato poco fortunato per quanto riguarda la memoria della sua figura.

Conclusioni Per riassumere il tutto con una battuta, la storia di Dexippo è così interes­ sante che ci sarebbe piaciuto saperne qualcosa. Purtroppo, le fonti sono, come sempre, avare di notizie. Dexippo appare come un precursore delle grandi figure di comandanti mercenari del IV secolo; sfruttando la situa­ zione poco stabile che troviamo nel mondo greco sul finire della guerra del Peloponneso e una competenza militare che la sua origine spartana rafforza in termini di immagine, più ancora che di effettive capacità (come perieco, dobbiamo pensare che Dexippo non avesse avuto accesso all'ago­ ghe riservata agli spartiati), personaggi del genere riescono a riservarsi uno spazio crescente nella vita politico-militare del tempo. Uno spazio preca­ rio, legato a un'autorità non ben definita e alla possibilità di disporre della prestazione di 1.000 o 2.000 uomini. Ma comunque una figura con la qua­ le le potenze greche, negli anni successivi, non potranno non fare i conti 5 •

4. PÉRÉ-NO GUÈ S ( 1 9 9 8, pp. 1 6 - 8 ) ; cfr. SAMMARTANO ( 20 1 0, p. 74).

5. Cfr. p. es. Aen. Tact. x 1 1, scritto una cinquantina d'anni dopo le vicende di Dexippo, in cui gli eserciti, con i loro rappresentanti, sono messi politicamente alla pari delle città o dei tiranni. Si veda anche il capitolo di sintesi finale (C AP. 1 7 ) .

Parte quinta Le Sirene da Settentrione

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Seuthes e i dinasti della Tracia - Venite, Traci, che siete al seguito di Teoro ! - Ma che calamità è mai questa? - L'esercito degli Odomanti! [... ] Dagli due dracme e si fottono tutta la Beozia! Aristofane Acarnesi 1 5 5- 1 6 0

Barbarie e fascinazione La Tracia 1 identificabile grosso modo con la costa settentrionale dell'Egeo e il territorio al suo interno, sovrapponibile all'odierna Bulgaria, fu, nell'an­ tichità, una regione nei confronti della quale i Greci nutrirono sentimenti ambigui: fascinazione per alcuni aspetti (musica, ricchissimo artigianato, racconti mitici che vi trovavano un'ideale ambientazione), ripugnanza per l'irriducibilità culturale di molti dei costumi traci quali promiscuità ses­ suale, vendita dei figli, uso dei tatuaggi e soprattutto violenza anomica. Proprio quest'ultimo aspetto è forse quello che connota maggiormente i Traci, se cade nel cliché anche Tucidide, descrivendo come bestie asseta­ te di sangue i mercenari traci licenziati dagli Ateniesi e protagonisti della celebre strage di Micalesso, nel 413 (Thuc. VII 29 ; cfr. CAP. 3, pp. 63-4). Qualche anno prima, lo aveva preceduto Aristofane, quando negli Acar­ nesi (vv. 155-171) aveva inscenato l'irruzione nell'assemblea ateniese di un esercito mercenario di Odomanti ( una delle tribù tracie), circoncisi ( un segno 'generico' di barbarie, privo di riscontri nella realtà), pronti a com­ battere come galli , restii a ogni forma di disciplina l. Eppure, la grande famiglia dei Filaidi aveva legami con la Tracia: nel corso della sua conquista del Chersoneso tracico, grazie anche all'ingaggio di una guardia del corpo di 5 0 0 mercenari (epikouroi: Hdt. VI 39), Mil­ ziade aveva sposato, intorno al 515, la principessa Egesipile, figlia del re ,

Sulla Tracia, cfr. in generale H O D DINOTT ( 1 9 8 1 ) ; in sintesi, ARCHIBALD ( 1 9 9 4) e, sui Traci come guerrieri, il recente volume di WEBBER ( 20 1 1 ) . 2 . MARC AC CINI ( 1 9 9 5 ) ; BRAUND ( 2 0 0 1, pp. 7-2 5 ) , il quale nota (p. 1 5 ) che « la sfera mili­ tare costituisce un particolare settore di influenza della Tracia sulla cultura greca ». 1.

MERCENARI

tracio Oloro, e da questo matrimonio era nato Cimane; allo stesso ceppo familiare apparteneva lo storico Tucidide. Negli ultimi anni di vita, Alci­ biade si era rifugiato in Tracia ed era, a quanto pare, in ottimi rapporti con i dinasti dell'epoca (un discreto accenno in Xen. Anab. II 3.19). I rapporti con la Grecia - e con Atene in particolare - erano dunque significativi: del resto, la regione, vicina alla zona ellespontina, fondamentale per l'ap­ provvigionamento di grano, fu sempre considerata di primaria importan­ za strategica dagli Ateniesi. Le frequentazioni di Ificrate e altri Ateniesi nel IV secolo (cfr. più avanti) non dovranno quindi essere viste come una novità sorprendente. Negli anni in cui Alcibiade si era rifugiato in Tracia, cercando di tes­ sere le sue ultime trame, la regione stava attraversando un periodo di crisi. All'incirca nel 410 era morto Seuthes I, re degli Odrisi. Erano que­ sti l'unica tribù, tra le numerose in cui era diviso il popolo dei Traci, in grado di distinguersi dalle altre, avendo raggiunto fin dagli anni settanta del v secolo un assetto stabile, grazie a una dinastia di sovrani che aveva governato senza scosse una vasta porzione del territorio tracio, fino a identificarsi con la Tracia tutta3 . La morte di Seuthes I aveva scatenato conflitti di successione, non essendo stata riconosciuta la sovranità del successore Medocos da parte di vari pretendenti, tra cui risalta la figura di Seuthes II, che incontriamo come protagonista nel VII libro dell'Ana­ basi senofontea. Alla morte di Seuthes II , intorno al 383, il potere passerà al figlio Kotys (383-359 circa); ancora una volta, la sua morte causerà con­ flitti di successione, dai quali emergerà uno dei suoi figli, Kersebleptes, di cui Filippo II di Macedonia verrà a capo solo intorno al 342. Da quel momento la Tracia, ormai all'interno del regno macedone, perderà ogni reale autonomia.

I reduci di Ciro presso Seuthes È appunto per cercare di recuperare la leadership sui Traci che Seuthes ingag­ gia Senofonte e i circa 5.000 reduci dei mercenari di Ciro, tra il gennaio e il marzo del 399 (Xen. Anab. VII 1-7 : d'ora in poi, i riferimenti privi di ulteriori 3 . Sul regno degli Odrisi, cfr. ARCHIBALD ( 1 9 9 8). Hdt. VII 137 chiama Sitalce, il più im­ portante tra i sovrani odrisi del v secolo, «re dei Traci» e non « re degli Odrisi» come

p1u corretto. . \

SEU THES E I DINASTI DELLA TRACIA

specificazioni sono da intendersi a quest'opera) 4 • Dobbiamo in primo luogo riflettere su come tale committenza potesse essere vista come anomala da Se­ nofonte e dai suoi uomini. In linea teorica, il pagamento di una prestazione genera dipendenza e una situazione di minorità da parte di chi viene pagato. Abbiamo visto (cfr. CAP. 11) come Senofonte si sentisse lontano dalla con­ dizione stessa di mercenario; un conto, comunque, era servire il più nobile dei principi persiani, un conto essere ingaggiati da un furbo principe tracio che governava su uomini che i Greci solevano definire incivili. Dall'episodio di Micalesso, di cui Senofonte non poteva non essere venuto a conoscenza, erano trascorsi solamente tredici anni. In effetti, Senofonte non sembra in un primo tempo prendere in se­ ria considerazione le profferte di Seuthes. Le rifiuta una prima volta (v11 1.5-6) e una seconda in modo ancora più netto (v11 2.10) , nonostante nel frattempo la posizione in merito da parte di alcuni strateghi fosse stata am­ morbidita da alcuni doni di Seuthes. La decisione di accettare l'ingaggio, presa democraticamente da tutti i soldati riuniti in assemblea, matura per l'affievolirsi delle alternative: Senofonte si era vista preclusa la possibilità di tornarsene ad Atene, mentre i rapporti con le autorità spartane di Bisan­ zio giungono nel frattempo al momento più critico. Inizia così - circa alla metà del gennaio 399 - il rapporto dei reduci greci con Seuthes. Durerà solamente due mesi, caratterizzati dal freddo, da scontri con nemici mai realmente pericolosi (ancora una volta, non di­ versamente da Cunaxa, non morirà nemmeno un Greco!), da banchetti e molte incomprensioni. Soprattutto da queste ultime. L'ambiguità è la cifra delle relazioni tra Seuthes, il suo entourage - nel quale è tal Eraclide, un Greco di Maronea ( città della vicina costa dell'Egeo), a rivestire il ruolo di intermediario culturale, nonché di 'cattivo' nella sceneggiatura dell'autore dell'Anabasi - e Senofonte, in qualità di rappresentante di tutti i mercena­ ri. Gli equivoci sono inevitabili, tra persone che hanno usi, costumi, valori, backgrounds culturali diversi; ma sono anche provocati da Seuthes, come ci rendiamo conto dalla cursoria notazione (VII 6.8) che ci fa sapere che egli si serviva sempre di interpreti, ma in realtà conosceva il greco: l'uso dell'interprete gli consentiva di regolare a suo piacimento la manopola dell'incomprensione. 4.

STRONK

(1995) è fondamentale per tutta la parte finale dell'Anabasi. Per il numero dei

mercenari coinvolti, cfr. STRONK (ivi, p. 27 5 ) , corretto anche se eccessivamente fiducioso nella precisione di calcoli del genere.

370

MERCENARI

Il maggior grado di fraintendimento si manifesta nelle condizioni di ingaggio. Apparentemente, queste sembrano regolate da un vero e proprio contratto (sia pure non scritto: la literacy dei Traci era a livelli assai mode­ sti; cfr. Eliano Varia Historia 8.6; Hdt. IV 46). Vengono infatti specificati con un buon grado di precisione (cfr. VII 2.35-3 6; 3.10-12): - la paga: viene proposta, e accettata, la retribuzione di un ciziceno al mese per i soldati e, per locaghi e strateghi, quella 5 ; - i limiti spaziali dell'impegno dei soldati greci: non più di sette giorni di marcia dal mare; - le regole per la distribuzione del bottino. Nonostante ciò, come rilevò anche Marce! Mauss in un articolo di mol­ ti anni fa6 , il rapporto tra Seuthes e Senofonte mostra ben presto le diffi­ coltà tipiche di un rapporto tra culture profondamente diverse. L'atteg­ giamento di Seuthes è proprio di una mentalità nella quale il dare e l'avere si configurano all'interno di un sistema di 'prestazioni totali' che coinvol­ gono i contraenti e in cui l'alleanza viene cementata, nel corso di grandi banchetti, da scambi di doni che non hanno alcun significato economico in senso stretto. Da qui l'imbarazzo di Senofonte, che da una parte non ha nulla da donare e se la cava con un bel discorso (vII 3.29-31), dall'altra, ben presto, si trova nella scomoda posizione di richiedere continuamente a Seuthes il rispetto formale degli accordi, a nome dei soldati. Seuthes in effetti pagherà solo 20 giorni nel primo mese (VII 5.4) e una parte del debito rimanente - che assommava alla rilevante somma di circa 30 talenti (VII 7.25) - attraverso il dono di pecore e altri beni materiali (VII 7.55-56); egli dà l'impressione di ritenere poco sensata la posizione di Seno­ fonte, che si ostina a restare fedele ai suoi compagni e alla lettera degli ac­ cordi7 . Per il re, sono molto più cogenti le offerte fatte a Senofonte stesso, con la proposta di stabilire legami ben più vincolanti attraverso strategie matrimoniali (VII 2.3 8): «ta nomizomena » (v111 3. 1 0 ) , segno importante di continuità: cfr. S TRONK ( 1 9 9 5 , pp. 37 e 202). 6. MAUS S ( 1 9 2 1 ) ; sul tema, cfr. anche S EELINGER ( 1 9 9 7 ) . 7. Cfr. il giudizio (v11 6. 4) che lo stesso Seuthes darà su Senofonte agli inviati spartani: nell'insieme un buon figliolo (ou kakos), ma philostratiotes, amico dei soldati; uno che, come leggiamo subito dopo, demagogei tous andras, gioca a fare il demagogo, non certo un complimento in un dialogo tra due Spartani e un principe. Comunque, la finzione scenica del racconto è palese: Senofonte, nella realtà, tutto era meno che un amicone dei soldati, né tantomeno un demagogo. 5.

S EU THES E I D INASTI D ELLA TRACIA

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Ti darò in sposa mia figlia e, se ne hai una anche tu, la comprerò, secondo l'usanza dei Traci; inoltre ti donerò come residenza Bisante, la più bella delle località che possiedo sul mare.

Le offerte sono sostanzialmente identiche a quelle che verranno accettate all'incirca vent'anni dopo da Ificrate, segno che rientravano in un sistema di relazioni ben consolidato. C'è da considerare inoltre il fatto che Seuthes non era pienamente inserito in un'economia monetaria8 • Fa testo una sua dichiarazione, negli ultimi momenti del suo rapporto tormentato con Se­ nofonte. Alle reiterate richieste di quest'ultimo di saldare il conto, Seuthes replica, in modo almeno apparentemente sincero (vII 7.53): Denaro (argurion) non ne ho, se non qualche spicciolo, che ti offro: un talento. Ho poi 6 0 0 buoi, 4 . 0 0 0 pecore e circa 1 20 schiavi. Prenditi tutto, aggiungici gli ostaggi dei nemici che ti hanno attaccato e parti.

La ricchezza di Seuthes non era dunque calcolata in denaro, che nell'uni­ verso del dinasta rivestiva un'importanza secondaria. Il contratto - si può pensare - era per lui una formalità per accontentare la controparte, ma aveva un significato assai limitato. Non è il caso di discutere le circostanze in termini di rispetto dei patti/inganno: a dominare, né più né meno, è il fatto che Senofonte e Seuthes, pur parlando in greco, si esprimevano in lingue molto diverse. Infatti Senofonte, più che arrabbiarsi, alle parole di Seuthes che abbiamo riportato, si limita a scoppiare a ridere, come, forse, a riconoscere l'impossibilità di intendersi. Peraltro, è difficile decidere fino a che punto è opportuno fidarsi della narrazione senofontea, per la quale siamo privi di elementi di riscontro. Molti particolari, specie quelli relativi alle descrizioni etnografiche9 , sono attendibili; è la sua posizione nella storia che sa molto di agiografico ( in un breve spazio ci sono ben tre discorsi dello stesso Senofonte, di cui due assai lunghi ed 'edificanti': VII 6.11-38, in risposta ad attacchi di soldati arcadi, con i quali i rapporti non furono mai idilliaci; VII 7. 20-47 a Seuthes, oltre a VII 7. 4- 10 al regolo Medosade). La logorrea del nostro uomo sembra 8. Per la monetazione dei sovrani traci, cfr. PETER (1997 ) ; la monetazione - non ricchis­ sima - riconducibile a Seuthes II in JURUKOVA (1989 ). 9. Cfr. p. es. il banchetto offerto da Seuthes a locaghi e strateghi dei mercenari, uno splendido 'pezzo' di antropologia (v11 3.21-3 3), che ricorda il banchetto per il matrimonio di Ificrate, su cui cfr. sotto.

37 2

MERCENARI

costruita per creare l'immagine di un leader ispirato da principi assoluta­ mente stimabili, perfetta sintesi positiva dei vari comandanti - dallo stesso Ciro a Clearco, per citare solo i due più importanti - che si sono succeduti nell'Anabasi.

Strategie matrimoniali Senofonte, che pure doveva avere presente l'esempio di Milziade, un seco­ lo prima, sarebbe forse stato sorpreso di essere il primo di una lunga serie di cittadini ateniesi che, nel corso dei cinquant'anni successivi, verranno coinvolti nelle questioni dinastiche della Tracia, fino a rendere queste ul­ time argomenti centrali nella lotta politica ateniese dell'epoca. La nostra documentazione è in proposito assai frammentaria: essa ruota intorno ad alcuni passi della Contro Aristocrate, una lunghissima e complessa orazione che Demostene preparò nel 352 per Euticle di T iria, che aveva presentato un'accusa di illegalità nei confronti del decreto proposto da Aristocrate a favore di Caridemo, uno dei comandanti mercenari protagonisti dei fatti di Tracia in quegli anni. Ben cinque sono i 'condottieri' cittadini ateniesi (due ghenei, per nasci­ ta, gli altri politai gheghenemenoi, vale a dire stranieri che erano riusciti a ottenere la cittadinanza) coinvolti in Tracia. Tutti giungono a cementare il loro rapporto sposando le sorelle o le figlie di dinasti, segno che l'offerta di Seuthes a Senofonte era consona ai costumi di quel paese, mentre per gli Ateniesi poteva essere accolta come parte di una strategia che non esclude­ va situazioni al limite della poligamia10 • Il primo, per quanto ne sappiamo, a imboccare questa strada è niente meno che Ificrate (sul quale cfr. CAP. 4, pp. 91-3). Il suo rapporto con il re Kotys fu cementato dal matrimonio con la figlia o con la sorella di Kotys

inserisce i dati sulle strategie matrimoniali dei Traci in una prospet­ tiva antropologica, sottolineando come abitudini poligamiche non cancellassero l'impor­ tanza della moglie 'principale', la sola a essere abilitata a generare prole legittima. Meno chiari i rapporti poligamici visti dal coté ateniese : ricordiamo, per esempio, che Milziade, quando sposa Egesipile (Hdt. VI 39 ), aveva già una moglie ateniese (probabilmente legata al clan dei Pisistratidi) da cui aveva avuto figli; nondimeno saranno legittimi anche i figli di Egesipile, tra i quali lo stesso Cimone. Le cose cambieranno con la legge sulla cittadi­ nanza di Pericle del 451 che impose una moglie ateniese per avere figli cittadini. 1 0. KOTOVA ( 20 0 0 )

SEU THES E I DINASTI DELLA TRACIA

37 3

(Demostene XXIII Contro Aristocrate 129 ) . L'espressione impiegata dall'o­ ratore (Kotys kedestes di Ificrate) è ambigua, potendo appunto indicare sia il matrimonio con la figlia, sia quello con la sorella: la seconda ipotesi, non foss'altro per motivi di età (Kotys doveva essere troppo giovane per avere figlie in età da marito), sembrerebbe la più probabile. Non sappiamo quando esso fu celebratol i , ma ci è giunta eco dello scalpore che suscitò ad Atene; ne è testimonianza il frammento di una commedia dell'epoca, il Protesilao di Anassandrida, che mette in scena il banchetto nuziale che ebbe luogo in Tracia 12 • Nei versi si sottolinea la grossolanità e la mancanza di raffinatezza dei costumi barbari: Se fate quello che vi dico, daremo per voi uno splendido banchetto, non come quello di Ificrate che si tenne in Tracia. Eppure dicono che sia stato così greve che si sarebbero addormentati anche dei buoi [ ... ] a pranzo c'era una marea di gente coi capelli in disordine, divoratori di burro ; i calderoni di rame erano più grandi di cisterne da una dozzina di letti. Lo stesso Kotys [ ... ] a forza di assag­ giare vino dai crateri era già ubriaco prima che gli altri avessero iniziato a bere [ ... ] e ricevette in dono due mandrie di fulvi cavalli e un gregge di capre, uno scudo d'oro [ ... ]. Così dunque si dice che in Tracia Kotys abbia allestito la festa nuziale per Ificrate.

Il matrimonio straniero di Ificrate non si limitò ad alimentare i gossip de­ gli Ateniesi, ma sfiorò anche i tribunali: T imoteo coltivò l'intenzione, poi abbandonata, di denunciare Ificrate con una graphe xenias, vale a dire per usurpazione del titolo di cittadino, in quanto non avrebbe avuto più dirit­ to a fregiarsene dopo le sue scelte tracie (Demosth. XLIX 66). Gli altri matrimoni riguardano in primo luogo il comandante mer­ cenario Atenodoro, cittadino ateniese per nascita che aveva sposato la figlia di Berisade, dinasta tracio in lotta per la successione a Kotys. Dopo la sua morte prematura, Atenodoro cercò di difendere i presunti diritti

1 1. L'ipotesi più plausibile sembrerebbe convergere nei primissimi anni del regno di Kotys, intorno al 3 80 dunque; KOTOVA (2000, p. 3 6 ) afferma che ebbe luogo intorno al 386; PRI TCHETT (1974a, p. 6 6 n. 33) riporta opinioni che lo pongono un po' a caso intorno al 378, vale a dire alla fine del primo periodo di permanenza di Ificrate in Tracia (cfr. più avanti). 12. Fr. 42 Kassel-Austin = Athen. IV 1 3 1. Cfr. i commenti di WILKINS (2000, pp. 278-8 1) e KOTOVA (20 00, pp. 3 5-6), che dà per scontato che la moglie sia la figlia di Kotys, senza neppure prendere in considerazione l'ipotesi che potesse trattarsi della sorella.

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MERCENARI

dei figli. Altri due condottieri, di origine ignota ma divenuti poi cittadi­ ni ateniesi, Simon e Bianor, avevano in quegli anni ( presumibilmente i primi anni cinquanta) sposato due figlie di Amodocos, anche lui impe­ gnato nella lotta senza quartiere che si era scatenata alla morte di Kotys 1 3 (Demosth. XXIII 10-12). Per completare il quadro, dobbiamo accennare a Caridemo, il più noto dopo Ificrate tra gli Ateniesi coinvolti in Tracia. Anche il suo ap­ poggio a Kersebleptes 1 4 , il terzo dei pretendenti al trono dopo la morte di Kotys, fu cementato dal matrimonio con la sorella di questi (XXIII 129), dando luogo a un'alleanza molto solida, che dette numerosi pro­ blemi ad Atene.

Ificrate in Tracia Quanti si sono occupati degli anni trascorsi da Ificrate in Tracia sono co­ stretti a impiegare una dose eccessiva di intelligenza, che sconfina spesso nell'invenzione, per supplire alle lacune che troviamo nelle fonti a nostra disposizione. In pratica, tutto ciò che abbiamo è un passo della Contro Aristocrate di Demostene (§§ 129-132), accompagnato da vaghi aneddoti 15 di Polieno e da pochi riferimenti in altre fonti tarde • ... E ragionevole ritenere che Ificrate abbia trascorso almeno due lunghi periodi in Tracia. Il primo, iniziato subito dopo il 386, quando, alla stipula della pace del Re, si perdono le sue tracce nelle fonti ateniesi, termina fra il 379 e il 377; ma di questi anni non sappiamo praticamente nulla. Ificrate iniziò combattendo per Seuthes II, ormai vecchio ( Cornelio Nepote XI lficrate 2.1), per poi legarsi subito dopo a Kotys. L'ipotesi che Seuthes fosse 13. Demosth. XXIII 10-12. Cfr. RO, nr. 47, per un trattato provvisorio con il quale gli Ate­ niesi cercavano di mettere ordine nelle cose di Tracia in quegli anni. L'iscrizione ( I G 11 1 126) è dell'anno 357. 14. Oppure Kersobleptes, come si trova di solito nei testi letterari, per assonanza con il noto termine geografico 'Chersoneso'; ma le testimonianze epigrafiche chiariscono che il nome corretto è con la 'e' come seconda vocale. 15. Polyaen. 111 9.46 è il più importante della raccolta, poiché reca traccia del numero dei mercenari che Ificrate avrebbe portato con sé (ben 8.0 00, a quanto pare non reperiti in loco); cfr. anche ivi, 4, 41, 50, 60, 62; Cornelio Nepote XI I.ficrate 2.1 ; Seneca Controv. 6.5 ; Arpocrazione s.v. Drys. PRI TCHETT ( 1974a, pp. 62-72, sp. pp. 64-7) rimane la più puntua­ le trattazione sulle vicende tracie di Ificrate, insieme ad HARRIS (1989 ).

SEU THES E I DINASTI DELLA TRACIA

375

il padre di Kotys e quindi quello di Ificrate fosse un servizio continuato a una sola dinastia, è estremamente probabile. Ificrate appoggiò Kotys - dopo averne sposato, come abbiamo visto, la sorella - nel tentativo di creare un regno contro altri potentati del luogo. Il già citato passo di Demostene allude anche al fatto che a un certo punto - e gli studiosi sono d'accordo nel porre tale punto tra il 3 65 e il 3 61 circa, dopo ripetute e insoddisfacenti strategie nel nord della Gre­ cia - Ificrate tornò in Tracia, andando però incontro a gravi difficoltà 16 • In un primo tempo, cercò di barcamenarsi tra i doveri familiari e la fe­ deltà ad Atene: uno scontro navale in cui Ificrate avrebbe combattuto contro la sua città fu il punto più alto della tensione 1 7 • Ificrate in seguito si sarebbe rifiutato di seguire Kotys nell'attacco alle piazzeforti che Ate­ ne conservava nella regione e avrebbe preferito allontanarsi, recandosi in una sorta di volontario esilio a Drys, sempre nella zona tracia. Gli Ateniesi non mossero mai accuse nei confronti di Ificrate per il suo comportamento in Tracia 18 : eppure essi non perdonavano facilmente i loro generali, nemmeno quando erano innocenti. Viene perciò da chiedersi quanto la narrazione demostenica, recitata nel 352, qualche anno dopo la morte di Ificrate, sia da considerarsi affidabile: appare improbabile che Demostene abbia inventato i fatti di cui riferisce, ma è invece più che plau­ sibile che la battaglia navale sia stata solamente una piccola scaramuccia involontaria e senza conseguenze 1 9 • Ciò su cui vorrei attirare l'attenzione, più ancora che sui particolari cronologici e di altro genere, quasi impossibili da ricostruire con ragione­ vole certezza - è la tensione culturale originata dalle frequentazioni tracie di Ificrate. Questi sposa una donna straniera, diventa ricchissimo, vive praticamente sempre fuori di Atene, in occasione del processo causato dal disastroso esito della battaglia di Embata intimidisce la giuria con le sue guardie del corpo armate di pugnale (Polyaen. III 9.15 e 29), segno quanto

1 6. È plausibile che Ificrate si sia recato in Tracia per paura di ritorsioni del demos per il cattivo esito delle strategie nel nord della Grecia: da seguire HARRIS (1989 ); contra KAL­ LET (19 83). 17. Ammirevoli tentativi (CAWKWELL, 19 62b, p. 3 5) di datare la battaglia al 366/365, sul­ la base di un frammento di Iseo (fr. 8 Roussel), sono da rigettare: cfr. i giusti rilievi di PRITCHETT (1974a, p. 65 n. 3 1). 1 8. Lo fa notare T, pp. 150-1; cfr. anche PRITCHETT (1974a, p. 72). 1 9. Così anche PRITCHETT (1974a, p. 6 6 ) : « unwittingly» .

MERCENARI

meno di poco rispetto nei confronti delle istituzioni ateniesi. Eppure, la tensione, alla fine, è tenuta sotto controllo e non giunge mai al punto di rottura. Non solo Ificrate stesso, come abbiamo già notato, non subisce mai al­ cuna conseguenza per i suoi comportamenti: anche il figlio Menesteo è ateniese, serve la patria, paga le tasse, comprese onerose trierarchie. Con Atene si può litigare, ma non rompere definitivamente ( cfr. anche CAP. 4, pp. 100-3).

16

Filippo II e Alessandro Penso che, se in tutti i campi, più o meno, c'è stato un grande sviluppo e le cose di oggi non sono per nulla simili a quelle del passato, nulla più di ciò che riguarda le cose della guerra è cambiato e ha subito l'evoluzione più evidente. Demostene IX Terza Filippica 47

Filippo I I e la riforma dell'esercito macedone Nel mondo greco del IV secolo, in alcuni casi, i mercenari risultarono deci­ sivi per consentire un salto di qualità, in termini di potenza, a chi scelse di impiegarli in modo continuato e massiccio. Ricorderemo a questo propo­ sito Dionisio I di Siracusa ( CAP. 1 4) e, nella Grecia continentale, Giasone di Fere e i Focidesi durante la guerra sacra ( CAP. 6). Nei casi appena citati, l'ingaggio di mercenari era, per così dire, strutturale all'interno di un siste­ ma di potere apparentemente fragile e precario, che tale si rivelerà nel caso di Giasone e dei Focidesi e riuscirà invece a protrarsi per molti decenni nel caso di Dionisio. Giungendo ora a Filippo II di Macedonia e dunque al più straordinario e inaspettato sviluppo di una regione del mondo greco che mai si sia verificato nel corso dell'intera storia greca, verrebbe in un primo momento da sospettare un'evoluzione in qualche misura simile ai casi prospettati in precedenza: non foss'altro per il dominio autocratico che caratterizza i sovrani macedoni, al pari degli esempi riportati, e per gli eccezionali mezzi finanziari di cui Filippo, fin dai primi anni del suo regno, fu in grado di disporre, grazie al possesso delle miniere d'oro del Pangeo. Ebbene, il confronto non regge: Filippo, così come Alessandro dopo di lui, pur facendo uso di mercenari in talune occasioni, non fondò la forza dell'esercito macedone su di essi, ma mise a punto uno strumento militare assai più duraturo e solido, grazie a riforme strutturali basate sull'impiego, in primo luogo, di Macedoni. Non è questa la sede per analizzare il percorso della riforma dell'eser­ cito, grazie alla quale i Macedoni riuscirono a dominare sui campi di bat­ taglia del Mediterraneo fino a Cinoscefale, oltre un secolo e mezzo dopo.

MERCENARI

Tale riforma presenta numerosi punti oscuri: ci limiteremo a qualche ac­ cenno, lamentando come tutti la circostanza per cui una delle più grandi trasformazioni militari del mondo antico è conosciuta attraverso pochis­ sime testimonianze, confuse e imprecise quando non palesemente con­ traddittorie. Può essere considerato un dato sicuro che Filippo I I di tale trasformazione fu il protagonista assoluto e che Alessandro, per quanto riguarda la struttura delle forze armate, si limitò ad aggiustamenti: molte informazioni vengono riferite dalle fonti ad Alessandro, ma spesso vanno retrodatate al regno di Filippo. Molto in breve, Filippo, nel corso di pochi anni dopo il suo accesso al trono, prese atto di una tendenza già presente negli sviluppi militari dell'e­ poca, riducendo le armi difensive dei propri soldati, per renderli più leg­ geri e quindi più manovrabili: rinunciò così a far loro indossare qualsiasi tipo di corazza, che rimase ormai solo come un segno di distinzione per gli ufficiali, e diminuì sensibilmente le dimensioni - e quindi il peso - dello scudo, ridotto a non più di circa 60 cm di diametro. Al contempo, per quanto riguarda le armi di offesa, sostituì la tradizionale lancia oplitica (lunga circa 2 metri) con la sarisa, un'asta lunga fino a circa 6 metri, da impugnarsi con entrambe le mani, il cui impiego relativamente complesso necessitava di una buona dose di coesione e di esercizio da parte dei sol­ dati. Anche per questo, Filippo riservò una grande attenzione alla disci­ plina e all'allenamento: poiché si tratta di fattori che non possono essere disgiunti da una professionalizzazione dell'arte della guerra, è lecito affer­ mare che Filippo rese le forze armate del popolo macedone un esercito in larga misura professionale1 Ciò è chiaro per alcuni settori: la cavalleria de­ gli etèri, i 'compagni' del re, e i circa 3 .000 pezetèri (ipaspisti nell'epoca di Alessandro), scelti tra i più alti e robusti di tutta la Macedonia, erano corpi •

Sulle riforme dell'esercito macedone, cfr. Diod. XVI 3.1-3, vaghissimo; la descrizione più professionale e comprensibile è quella di Polyb. XVIII 29-32, che scrive quando ormai la parabola dell'esercito macedone è alla sua conclusione e la sua struttura serve ormai solo come pietra di paragone rispetto all'esercito romano. L'importanza della disciplina ( su cui cfr. C ARNEY, 199 6) è dimostrata anche da un documento epigrafico dell'età di Filippo v, che ci riporta parte del regolamento dell'esercito macedone dell'epoca: cfr. L. Moretti, Iscrizioni storiche ellenistiche, II, nr. 114. Bibliografia : GRIFFI TH (1979 ); recente sintesi in LE BOHEC-B O UHET (1999 ). Se le riforme di Filippo siano state ispirate da quanto egli, giovane ostaggio a Tebe, avrebbe appreso osservando la più efficiente macchina militare dell'epoca, è materia di dibattito: cfr. tra gli altri, H AMM OND (1997 ), che conclude ragio­ nevolmente per l'importanza dell'influenza tebana. 1.

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FILIPPO II E ALESSANDRO

di élite dediti esclusivamente all'attività bellica, il cui grado di efficienza e, insieme, di fedeltà, era eccezionale 2 Ma - come dimostrerà con chiarezza l'impresa di Alessandro - tutto l'esercito macedone si venne formando con uomini per i quali la guerra era l'attività principale, realizzando in qualche misura l'ideale dell'epoca, un esercito professionale composto da cittadini, già evocato da Isocrate in un famoso passo dell'Archidamo (Isocr. VI 76) che non a caso si riferisce esplicitamente al modello spartano, un modello vincente, fallito più che altro per l'inadeguatezza del numero di uomini dello stato dei Lacedemoni3 . Filippo, una volta sottomesse e unificate le varie etnie del nord della Grecia, non aveva problemi di scarsezza di uomi­ ni: poté così realizzare, senza un background ideologico particolarmente raffinato, ma con maggiore successo sul piano pratico, una 'grande Sparta', nella quale non solo la leadership del re, ma anche le attività dei cittadini erano volte in primo luogo alla guerra. •

L'impiego di mercenari da parte di Filippo I I Quanto detto non esclude la possibilità che Filippo abbia fatto uso, oltre che di contingenti di alleati (con la consueta difficoltà di distinguere con precisione quali contingenti vadano definiti con tale nome o non siano piuttosto da inserire nella categoria 'superiore' dei cittadini o 'inferiore', vale a dire quella dei mercenari), di un certo numero di mercenari4 • Demostene potrebbe portarci fuori strada, quando indulge, non senza una certa superficialità, a descrivere l'esercito di Filippo come un'armata formata - almeno in buona misura - da mercenari. Leggiamo un passo della Terza Filippica (ix 49), composta nel 341, quando ormai le capacità e il modus operandi dell'e sercito macedone erano ben conosciuti e non co. . . st1tu1vano p1u' una sorpresa:

(1985) insiste sul loro carattere permanente e professionale, da altri sfumato; cfr. anche ERS KINE (1989). Ottima sintesi è quella di MILNS (1976). 3. Per il passo, cfr. p. 184, con n. 18. 4. Sintesi sull' argomento in GRIFFITH (1979, pp. 438-44). I re macedoni precedenti a Filippo non sembrano aver fatto grande uso di mercenari. Sembra averne utilizzati il pre­ tendente Tolemeo, nel 368, in uno scontro con i Tebani guidati da Pelopida (Plut. Vi'ta di Pelopida 27 ) . Nello stesso anno, all' incirca, anche il pretendente Pausania utilizzò merce­ nari greci, almeno a stare all' accenno in Aeschn. I I 27 e 29. 2. ANSON

MERCENARI

Filippo arriva dove vuole, non perché abbia con sé una falange di opliti: l'esercito che si porta dietro è composto di truppe leggere, cavalieri, arcieri, mercenari.

Splendido esempio di come il grande oratore sia, appunto, un oratore e non uno storico, pronto a gratificare l'uditorio con la descrizione di un mondo in bianco e nero, semplificato quanto irreale. Da una parte i buo­ ni, vale a dire i cittadini che servono come opliti; dall'altra i cattivi, come Filippo, che si servono di un po' tutti gli altri tipi di combattenti (pruden­ temente, viene lasciata fuori la flotta: a Filippo non interessava, mentre era il simbolo stesso della democrazia ateniese). L'esercito del re macedone viene descritto come ricco di truppe leggere, in un'epoca nella quale la di­ stinzione stessa tra opliti e truppe armate alla leggera stava ormai perden­ do la sua importanza; di arcieri, quando sappiamo che questi combattenti non erano parte della tradizione macedone e che, per averne almeno un contingente modesto, Filippo e poi Alessandro ricorrevano ai soliti Crete­ si, seguendo una prassi adottata un po' da tutte le città greche che ne aves­ sero le possibilità economiche; di cavalieri, una notazione questa sì vicina alla realtà (la cavalleria fu sempre un fiore all'occhiello dei Macedoni), ma curiosamente inserita in un elenco 'negativo: valido solo se si vuole solleti­ care l'amor proprio del 'popolino', da sempre incline a vedere con sospetto i cavalieri; infine, appunto, di mercenari. La citazione di questi ultimi, da una parte, è ancora una volta strumentale (gli eserciti 'cattivi' sono fatti di mercenari, quelli 'buoni' di cittadini), dall'altra deriva da una conoscenza del potenziale militare macedone da parte di Demostene e del suo entou. . rage quanto meno 1mprec1sa. Demostene non ha mai studiato la nuova realtà macedone, anche se, con intelligenza, in vari passi, la evoca come segno di una 'rivoluzione' in campo militare. Non so bene se l'oratore avrebbe potuto avere i mezzi per approfondire la conoscenza della macchina da guerra macedone, lui che, a dire il vero, un grande esperto di cose di guerra non fu mai. Le sue fonti di informazione a volte sono sconcertanti: per esempio, nel ricordare come in realtà i corpi di élite e i mercenari5 di cui si circonda Filippo non sia­ no poi questa macchina da guerra straordinaria, egli afferma che sarebbe venuto a saperlo ! (11 17). 5. Secondo GRIFFITH (1979, p. 439 n. 1), xenoi, in questo passo (e solo in questo!), andrebbe tradotto con 'stranieri' e non con 'mercenari': non credo sia possibile accettare questa ipotesi.

FILIPPO II E ALESSANDRO

Con un po' di pazienza, è però possibile osservare come, al di là delle sem­ plificazioni e delle esagerazioni, Demostene individui una precisa funzione dei mercenari, così come venivano impiegati da Filippo: come strumenti per occupare guarnigioni (1x 32), un compito tipico dei mercenari, in quanto disagevole per i cittadini, oppure per compiere spedizioni mirate lontane dalla Macedonia che non prevedevano la mobilitazione dell'intero esercito. Chiaro nell'individuare i due distinti livelli di intervento è VI 15 : quanto ai Messeni e agli Argivi, contro gli Spartani, non è sul punto di interveni­ re, ma intanto invia dei mercenari e mette a disposizione del denaro nell'attesa del . . suo arrivo con un grosso esercito.

Mercenari vengono spediti in particolare in Eubea (1x 33; IX 58, una del­ le poche volte nelle quali si accenna alle dimensioni del contingente: 1.000 uomini al comando di Ipponico) e a Megara (xix 295), o anche come parte dell'avanguardia inviata in Asia Minore a preparare l'inva­ sione dell'impero persiano (Diod. XVII 7. 10, da legarsi a XVI 91. 2). Ma il loro impiego è comunque disgiunto da quello del vero e proprio eser­ cito, comandato quest'ultimo dallo stesso Filippo6 • Va comunque detto che, quando ne sappiamo qualcosa, troviamo che anche i contingenti mercenari sono sempre e comunque comandati da generali macedoni7 • I non macedoni si limitano a ricoprire posti minori nella gerarchia mi­ litare, come quel Dokymos di Taranto, entrato nella storia solo per il suo defenestramento, al momento in cui Filippo venne a scoprire che si permetteva di ritemprarsi con un bagno caldo, abitudine che, a seguire le usanze macedoni, non avrebbe potuto concedersi neppure una donna incinta (Polyaen. IV 2 . 1 ) . Questo schema, che abbiamo appena delineato, riconduce i mer­ cenari alla loro funzione originaria, che è complementare agli eserciti 6. Gli unici due episodi che collegherebbero direttamente Filippo con l'impiego di mercenari sono un aneddoto di Polieno (Iv 2. 1 8 : durante l'assedio della città tessala di Pharcedon, nei primi anni di regno) e un passo di Curzio Rufo (VIII 1. 2 4) , nel quale lo stesso Alessandro, ubriaco, si sarebbe vantato di avere una volta salvato il padre in una rissa scoppiata «inter Macedones milites et Graecos mercennarios » . Entrambi gli episodi non paiono molto attendibili. 7. Cfr. GRIFFITH (1979, p. 4 41 ) ; i nomi più famosi cui viene affidato il comando di con­ tingenti mercenari sono quelli di Parmenione e di Euriloco; cfr. il già citato passo di De­ mostene IX 5 8.

MERCENARI

cittadini, non di sostituzione. Filippo, grazie alle miniere d'oro della Macedonia, capaci di un gettito annuale pari a circa 1.000 talenti, una somma favolosa (Diod. XVI 8.6-7), non avrebbe avuto alcuna difficol­ tà a ingaggiare mercenari: ma a che scopo, quando aveva a disposizione truppe macedoni in abbondanza, più fedeli e più efficienti, grazie alla loro professionalizzazione e al diretto controllo che egli esercitava sulla loro disciplina? Dopo tante riflessioni di tipo economico, cui abbiamo fatto ricorso parlando della necessità di pagare i mercenari, una sorta di incubo senza fine che vissero tutti coloro che se ne servirono nel corso della tormentata storia greca del IV secolo, è interessante notare, in Filippo, il delinearsi di un homo totalmente non oeconomicus, nessuno dei cui atti è in alcun modo influenzato da considerazioni anche solo latamente economiche. Il passo di Teopompo (FGrHist 115 F 224) che ce lo descrive è troppo bello per non essere citaco: Quando Filippo divenne molto ricco, non è che spendesse il denaro velocemen­ te : proprio lo buttava, lo gettava via. Era completamente privo di attenzione per qualsiasi problema che avesse attinenza con il denaro, lui e il suo seguito. Il fatto è che nessuno di loro aveva la benché minima idea di come vivere un'esi­ stenza organizzata per quanto concerne l'amministrazione [ ...] . Filippo faceva tutto d'impulso, sempre pronto a guadagnare ricchezze e a darle via. Egli era veramente un soldato : non gli restava il tempo per tenere i conti delle entrate e delle uscite.

Non stupisce più di tanto, a fronte di questo quadro, che Filippo abbia trovato il modo di spendere tutte le ricchezze che riusciva ad accumulare di anno in anno, se è vero che, alla sua morte, Alessandro si ritrovò con il tesoro reale vuoto, nell'imminenza della grande spedizione in Asia8 • In un tale universo, i mercenari perdono la loro valenza economica, per essere restituiti a una funzione ancillare, mentre il nerbo della forza macedone risiede in una efficacissima interazione tra il re, che svolge in primo luogo la funzione di comandante militare, e il popolo macedone, che lo segue in battaglia e, vincendo, ne ricava grandi vantaggi materiali, oltre alla gloria. Demostene, che sognava (1 1 16) di sudditi macedoni che 8. Questo, almeno, è quanto ci raccontano Arr. Anab. VII 9.6; Plut. Vlta di Alessandro 2 . La notizia non è, con ogni probabilità, destituita di fondamento; peraltro lo stesso Ales­ sandro non sarà mai interessato a problemi di tipo strettamente economico.

FILIPPO II E ALESSANDRO

alla gloria per le imprese di Filippo non prendono parte ; al contrario, sfiancati ogni momento da queste spedizioni per ogni dove, soffrono e faticano senza inter­ ruzione e non si possono dedicare ai propri lavori e ai propri affari

non aveva colto il punto. Se il meraviglioso discorso di Alessandro in oc­ casione dell'ammutinamento a Opi, negli anni finali della sua avventura, è una elaborazione retorica da parte di Arriano, nondimeno non è privo di senso l'assunto sotteso che allude a un eccezionale miglioramento, direm­ mo noi, del tenore di vita del popolo macedone: Filippo vi trovò vagabondi e privi di risorse: vestiti di pelli, la maggior parte di voi pascolava poco bestiame sui monti e, per difenderlo, combattevate senza suc­ cesso con gli Illiri e i Triballi e i Traci confinanti. Al posto di pelli, Filippo vi fece indossare clamidi; dai monti vi fece scendere in pianura [ ... ] vi fece abitare in città e vi dette le migliori leggi e i migliori costumi. Di quegli stessi barbari [ ... ] vi rese signori, da schiavi e sudditi che eravate (Arr. Anab. VI I I 9 . 2 - 3 ) 9 •

I mercenari di Alessandro : la prima fase La più famosa tra le spedizioni militari dell'antichità inizia nella primavera del 334 10 • La sua consistenza ci è descritta, tra gli altri, da Diodoro Siculo (xv11 17.3-4): La fanteria poteva contare su 1 2 . 0 0 0 Macedoni, 7.0 0 0 alleati, 5 . 0 0 0 mercenari, tutti sotto il comando di Parmenione. Seguivano 7.0 0 0 Odrisi, Triballi e Illiri e 1.0 0 0 tra arcieri e i cosiddetti Agriani, in modo da raggiungere in tutto il numero di 30.000 [sic] fanti. La cavalleria era composta da 1. 8 0 0 Macedoni, al comando di Filata, figlio di Parmenione, e 1. 8 0 0 Tessali sotto il comando di Calla, figlio di Ar­ palo ; gli altri Greci erano 6 0 0 in tutto, comandati da Erigio, cui si aggiungevano

Sul discorso, cfr. ZAMBRINI ( 20 0 4, pp. 5 9 9 - 6 0 6 ) , con ulteriore bibliografia. Le tradu­ zioni di Arriano sono di norma tratte dall'ed. Lorenzo Valla, 20 0 1 - 0 4. 10. Tra le fonti relative alla spedizione di Alessandro, utilizzeremo, a seconda delle circo­ stanze, l'una o l'altra, senza preclusioni preconcette. La distinzione tra fonti ' buone' (Tole­ meo, Aristobulo > Arriano) e una vulgata ( Clitarco > Diodoro, Curzio Rufo, Giustino, lo stesso Plutarco) meno affidabile tende oggi a sfumare. Cfr. BAYNHAM ( 20 0 3 ) ; sempre fon­ damentale B O SWORTH ( 1 9 7 6 ) . Sui mercenari nell'esercito di Alessandro, per una sintesi, si può ricorrere a AGO S TINETTI S I MONETTI ( 1 9 77-7 8 ) ; WIRTH ( 1 9 84). LOMAN ( 20 0 5 ) affronta aspetti di solito trascurati (donne e famiglie al seguito dei mercenari). 9.

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Percorso di Alessandro

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FILI P P O I I E ALE S SAND RO

9 00 fra Traci, cavalleggeri dell'avanguardia e Peoni, comandati da Cassandra, per un numero totale di cavalieri uguale a 4.5 00 [sic] . Questo era dunque il numero di quelli che erano passati in Asia al seguito di Alessandro.

Non è questa la sede per discutere nei particolari questo elenco, a grandi linee confermato da altre fonti, pur con oscillazioni 1 Una delle principali cause di equivoci è rappresentata dal contingente inviato a suo tempo da Filippo in Asia Minore al comando di Attalo e Parmenione, che a volte viene conteggiato all'interno dell'esercito di Alessandro, a volte no. Pur­ troppo non siamo certi della consistenza e della composizione di questo contingente: un passo di Polieno (v 44.4) parla di 1 0. 0 0 0 uomini; Dio­ doro (xvi 9 1. 2; XVI I 7. 1 0 ) si limita a farci sapere che era composto insieme di Macedoni e di mercenari, senza che sia possibile precisarne le rispettive proporzioni: che i mercenari dell'avanguardia di Attalo e Parmenione fos­ sero all'incirca 2.0 0 0 è una vecchia illazione di Julius Beloch, temeraria­ mente accolta da Parke12 È ora il momento di tornare all'esercito che attraversa l'Ellesponto con Alessandro: il contingente di mercenari era composto da 5.0 0 0 uomini di fanteria greci, presumibilmente peloponnesiaci (ma non una parola trovia­ mo sulla loro origine), che non dovevano poi distinguersi molto dai 7.0 0 0 alleati greci della Lega di Corinto 1 3 • Una differenza in termini di armamento (alleati 'cittadini' /opliti, mercenari/armati alla leggera) è priva di senso: la distinzione era, semmai, in termini di responsabilità. I mercenari dovevano rispondere esclusivamente ai propri comandanti (gli xenagoi che li avevano reclutati e il comandante in capo, di solito un Macedone di alto rango, da identificarsi per tutta la prima parte della spedizione con lo stesso Parmenio­ ne), mentre i contingenti alleati erano i rappresentanti ufficiali di comunità 1 .



1 1. Cfr. almeno Arr. Anab. I 1 1.3; Plut. Vita di Alessandro 15.1; Giustino XI 6.2; Anassimene FGrHist 72 F 29. 12. P, p. 1 88. Possiamo aggiungere che da Arr. Anab. I 1 8. 1 + I 1 8.5 si deduce che Alessandro avesse a disposizione almeno 6.500 mercenari, una volta ricongiuntosi con Parmenione: non è una notizia particolarmente importante, ma è l'unica che abbiamo. Per la consi­ stenza dell'esercito di Alessandro all'arrivo in Asia Minore, cfr. BRUNT (19 63, pp. 32-6); GO UKOWSKY ( 1976, ad loc.); B OSWO RTH (1988, pp. 259-66); S I S TI (2001, pp. 339-40). Su Attalo, cfr. BERVE (1926, II, nr. 1 82) ; su Parmenione, BERVE (1926, II, nr. 60 6). 1 3. P, p. 1 87 fa notare che tra i contingenti alleati potevano ben trovarsi altri mercenari, ingaggiati dalle varie poleis in sostituzione di cittadini restii a imbarcarsi nella grande spe­ dizione. Che il contingente di 6 o o cavalieri greci fosse mercenario è un'illazione di BERVE (1926, I, p. 178), priva di fondamento.

MERCENARI

che aderivano alla Lega di Corinto e dovevano rendere conto alle autorità e alle istituzioni di tale comunità. Quando si rifletta sulla presenza di merce­ nari greci nell'esercito macedone, si dovrà sempre partire dal presupposto, qui dato per scontato, della profonda differenza culturale e politica, nonché di tradizione militare, che contraddistingueva Macedoni e Greci 4 • Da più parti si è sottolineato come il contingente mercenario dell'eser­ cito di Alessandro, che rappresentava una proporzione intorno al 10-15% delle forze complessive, fosse di piccole dimensioni. E si è imputata tale modestia alle gravi difficoltà economiche in cui si sarebbe trovato Alessan­ dro, stante, come abbiamo visto, che il figlio di Filippo aveva trovato vuoto il tesoro reale. Non credo che queste ultime considerazioni siano degne di nota: i mercenari, così come il resto dell'esercito, venivano pagati in modo non regolare, di solito al momento del congedo, persino quando, dopo il 330, Alessandro ebbe a disposizione tutte le risorse del mondo 1 5 • Il rapporto tra il re e le truppe rimase sempre un rapporto basato sulla fiducia: una fi­ ducia che, se era cementata da molti e fondamentali vincoli con i prediletti Macedoni, doveva necessariamente essere concessa al re anche dagli altri componenti della spedizione e venne ripagata dalla generosità del sovrano. Ma il punto fondamentale, a mio parere, rimane che Alessandro, seguendo l'originaria concezione del padre, non aveva alcuna necessità di portare con sé un numero più elevato di mercenari: forse anche per una questione di fi­ ducia ( si ricordi che l'esercito persiano con cui Alessandro si scontrò, come abbiamo visto - cfr. CAP. 12, pp. 312-5 -, era composto in parte da mercena­ ri greci), ma anche e soprattutto perché la strategia militare era incentrata sulla falange e la cavalleria macedoni, quest'ultima in grado di raggiungere i 3.600 elementi, in un rapporto intorno a 1: 4 (assai sbilanciato a favore della cavalleria: la norma negli eserciti delle poleis greche era uno stentato 1:10) che sembra costituisse lo standard per l'esercito macedone. Senza contare che un maggior numero di uomini avrebbe comportato inevitabilmente un aumento dei problemi di logistica, già molto gravi16 • 1

Cfr. B O RZA ( 1 9 9 6 ) ; FARAGUNA (20 0 3 ) . Quanto detto non ha nulla a che fare con la vexata quaestio della 'grecità' dei Macedoni, che peraltro non ci riguarda in questa sede: anche ammettendola, non devono per questo essere sottostimate le differenze culturali cui abbiamo accennato. 1 5 . Cfr. Arr. Anab. VII 1 2. 1, che accenna a un 'saldo' di stipendio dovuto al momento del congedo. Cfr. MILNS ( 1 9 8 7 ). 16. Sulla logistica dell'esercito di Alessandro, cfr. ENGELS ( 1 9 7 8 ) . 1 4.

FILIPPO II E ALESSANDRO

I mercenari - come già con Filippo - sono ricondotti a funzioni sus­ sidiarie, complementari: sono per esempio impiegati in spedizioni nelle quali non era richiesta la presenza dello stesso Alessandro e del grosso dell'esercito. Tali spedizioni erano a volte comandate da Parmenione, che in quegli anni rivestiva in qualche modo il ruolo di 'secondo' di Ales­ sandro e che - a quanto pare - godeva di una certa popolarità presso i mercenari 1 7 • I mercenari non sono neppure nominati al Granico, la prima delle grandi battaglie campali di Alessandro. Nonostante il ruolo secondario che essi rivestivano nell'esercito invasore, dopo la vittoria Alessandro ri­ tenne che un rinforzo di mercenari potesse risultare utile per le prove che lo attendevano. Un passo di Curzio Rufo (111 1.1 ; cfr. Arr. Anab. I 24. 2) ci informa infatti che Alessandro, una volta inviato Cleandro, fornito di denaro (cum pecunia) ad arruo­ lare soldati nel Peloponneso (ad conducendum ex Peloponneso mi/item), provvide a sistemare le cose di Licia e Panfìlia 18•

Siamo nella primavera del 333; poco dopo, la battaglia di Isso vede i mer­ cenari presenti giocare un ruolo marginale (Arr. Anab. II 9.3-4) 1 9 • Più o meno esattamente un anno dopo la sua partenza, Cleandro ritorna a Si­ done, mentre Alessandro è impegnato nelle prime fasi del lungo assedio 17. Cfr. l'elenco delle missioni in P, p. 1 9 1 ; sul servizio di guarnigione in Egitto, al co­ mando di Licida d'Ecolia, cfr. Arr. Anab. III 5 . 3 : ma, al contrario di quanto ritiene Parke, i

mercenari egiziani erano quelli in origine al servizio dei Persiani, non mercenari di Ales­ sandro. 1 8. Probabilmente, il denaro di cui Cleandro doveva essere fornito faceva parte della som­ ma raccolta dalle città dell'Asia Minore nel frattempo liberate: cfr. Curzio Rufo III 1.20 con il commento di ATKINS ON ( 1 9 8 0, pp. 94- 5 ; 1 9 9 8-20 0 0, I, p. 285). Cleandro, nobile macedone (BERVE, 1926, I I , nr. 422), era fratello del più noto Ceno, esperto generale (ivi, n. 439 ). Il loro padre si chiamava Polemocrates, « an unusual name, chat mighc suggest che guess chat his father had risen in that world apart, che world of che mercenaries » ( BURN, 1 9 6 5 , p. 1 43 ) . Ipotesi ardica, forse inconsistente, ma affascinante. 1 9. « I mercenari (hoi de misthophoroi xenoi) erano schierati a sostegno di cucci» , eviden­ temente nella retroguardia. È possibile, nota B OSWO RTH ( 1 9 80, pp. 210-1 ) , che insieme ad essi fossero schierati i contingenti della Lega di Corinto, a dimostrazione che Alessandro non faceva grandi distinzioni tra Greci 'alleaci' e Greci mercenari. Questi ultimi meritano comunque una menzione (Arr. Anab. II 10.2) nel discorso d'esortazione alla baccaglia di Alessandro: il sovrano fa mostra di avere presenti « coloro che erano più conosciuti per cariche o per qualche gesto di valore» .

MERCENARI

della vicina T iro, recando con sé un sostanzioso contingente di 4.000 mercenari greci, che si uniscono alla spedizione (Arr. Anab. II 20. 5 ; cfr. Curzio Rufo IV 3.11). A questi vanno aggiunti, mentre Alessandro si trova a Menfi, in Egitto, altri 400 mercenari inviati da Antipatro, al comando del macedone Menoitas20 • Nell'ultima delle battaglie campali prima della morte di Dario, Gau­ gamela, Arriano (Anab. III 12. 2) cita hoi archaioi kaloumenoi xenoi, al comando del già nominato Cleandro, schierati di rinforzo sull'ala destra: l'espressione sembra riferirsi a mercena­ ri in servizio già sotto Filippo, che facevano dunque parte del contingente guidato da Parmenione e Attalo che si trovava in Asia Minore prima della morte di Filippo e dell'arrivo di Alessandro due anni dopoll . Traendo le somme da quanto accennato, è facile concludere che i mer­ cenari nell'esercito di Alessandro non hanno una funzione decisiva per quanto riguarda le battaglie campali. Non credo sia corretta la conclusio­ ne secondo la quale (LANDUCCI GATTINONI, 1994, p. 33), quasi a sottolineare un'inesistente avversione 'ideologica' nei confronti di soldati ormai fami­ liari in ogni forza militare del tempo. Si trattava di rispettare un assetto dell'esercito, ormai da lunghi anni vincente, in cui i Macedoni, e in parti­ colare la cavalleria, si erano dimostrati assolutamente affidabili, forti come erano di un vincolo strettissimo con il sovrano macedone. In tale assetto, appunto, i mercenari erano chiamati a un ruolo secondario, ma non privo di importanza: un ruolo che, come vedremo, andrà sviluppandosi negli . . . anni success1v1. Arr. Anab. III 5.1; esistono discussioni sull'identificazione di questo personaggio, nonché sulla natura di questo rinforzo, forse un reparto di cavalleria ( data l'esiguità del numero: HAMILTON, 1 9 55, pp. 217- 8 ) , cui si aggiungono anche 5 0 0 cavalieri traci. 2 1. Cfr. B O SWORTH ( 1 9 8 0, pp. 3 0 2- 3 ) . Fin troppa importanza è stata data alla proposta di BERVE ( 1 9 26, I, pp. 1 44-9 ) , di basarsi sulla terminologia arrianea per distinguere i mer­ cenari originariamente facenti parte dell'esercito di Alessandro in Europa (xenoi, o xenoi misthophoroi) e quelli che si sono aggiunti via via in Asia (misthophoroi oppure Hellenes misthophoroi) : tale distinzione è destituita di fondamento (cfr. già GRIFFITH, 1 9 3 5 , pp. 29- 30, per una confutazione puntuale), così come le fonti antiche rarissimamente sono accurate nel denominare i mercenari in un modo o nell'altro. Nello stesso passo, vengo­ no anche citati da Arriano « arcieri macedoni» : gli arcieri non sono mai macedoni, per quanto ne sappiamo, ma appunto mercenari, di solito cretesi ( così come, a Gaugamela, li connota Curzio Rufo IV 1 3. 3 1 ) : più che un errore di Arriano, si può pensare a una glossa errata ( « incompetent, marginai gloss » : B O SWORTH, 1 9 8 0, p. 3 0 2 ) penetrata nel testo. 20.

F I L IPPO I I E ALES SAN DRO

Alessandro e i mercenari greci al servizio dei Persiani Come ben sappiamo (cfr. CAP. 12, pp. 312-5) , una parte consistente dell'e­ sercito persiano, oltre alle guarnigioni che presidiavano le città d�sia Mi­ nore, era costituita da mercenari greci. Alessandro si trovò ben presto alle prese con il problema del trattamento di quanti tra essi venivano via via presi prigionieri. All'inizio, all'indomani della vittoria del Granico, l'atteg­ giamento del re macedone sembra di grande intransigenza: Fece seppellire anche i capi dei Persiani e i mercenari greci che erano morti com­ battendo dalla parte dei nemici. Ma tutti quelli che aveva fatto prigionieri, li fece mettere in ceppi e li inviò in Macedonia ai lavori forzati: pur essendo Greci, in contrasto con la comune decisione, avevano combattuto a favore dei barbari con­ tro la Grecia (Arr. Anab. I 1 6.6).

È probabile che una simile inflessibilità dovesse servire in primo luogo come esempio per tutti i mercenari che ancora erano al servizio dei Persiani22 ; non­ dimeno, in seguito, l'atteggiamento di Alessandro diventò molto più tolle­ rante. Vennero infatti inglobati nel suo esercito 300 Greci asserragliati su un'isoletta di fronte a Mileto, quando la città era stata ormai conquistata (Arr. Anab. I 19.6). In questa occasione Alessandro, a detta di Arriano, ven­ ne colto da oiktos, pietà, : come abbia potuto - da lontano! - giudicarli in modo così magnanimo, resta un mistero. Con ogni probabilità, aveva già maturato la decisione di aumenta­ re gli effettivi del suo esercito. Non diversamente, non molto tempo dopo, quando i Macedoni conquistano Chio, ben 3 .000 mercenari al servizio dei Persiani sono > 23 • Tale inflessibilità viene confermata qualche mese dopo, a Gordio, quando « un'amba­ sceria degli Ateniesi che lo pregavano di liberare i loro prigionieri che erano stati catturati al Granico combattendo dalla parte dei Persiani, e che erano tenuti in catene in Macedo­ nia con i 2.0 0 0 prigionieri» viene rimandata indietro senza risultati, ma solo con qualche speranza per il futuro: Arr. Anab. I 29.5- 6 ; cfr. Curzio Rufo III 1.9- 10. 23. Curzio Rufo IV 5 . 1 8. L'accenno sulla 'redistribuzione' riguarda un tema che presto diventerà rilevante per l'equilibrio e la coesione dell'esercito di Alessandro: dove andava­ no sistemati i mercenari che via via giungevano ad aggregarsi alla spedizione? Secondo MILN S ( 1 9 7 6, pp. 1 1 3- 6 ) , che seguiamo, « Greek mercenaries were not recruited into the phalanx-taxeis at any stage in che campaign; the taxeis retained their national character throughout, Alexander preferring to allow numbers to drop below 'paper' strenght ra­ ther than face che problems that would arise from introducing foreign elements into their 22.

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MERCENARI

La presenza di molti mercenari greci nell'esercito persiano costituiva per Alessandro un motivo propagandistico, riassunto nel discorso pro­ nunciato nell'imminenza della battaglia di Isso ( il discorso - Arr. Anab. II 7.4 - è ovviamente un'elaborazione retorica): E quanti Greci si fossero scontrati con altri Greci, essi non avrebbero combattuto per la stessa ricompensa, ma quelli con Dario si sarebbero esposti ai pericoli per una paga, per giunta piccola; quelli che stavano con loro, invece, avrebbero com­ battuto di loro volontà in difesa della Grecia.

A onor del vero, i Greci nell'esercito di Alessandro non si trovavano lì per loro volontà, mentre capziosa appare la notazione sulla paga modesta of­ ferta ai mercenari al servizio di Dario. D'altra parte, non si può pretendere che la realtà venga descritta in modo corretto e senza forzature in un di­ scorso che si immaginava pronunciato nell'imminenza di una battaglia. I Greci morivano in entrambi gli schieramenti per una causa che non apparteneva loro. Da un lato, solo la povertà induceva parte di essi a com­ battere per i Persiani; dall'altro, la coloritura panellenica data alla spedi­ zione di Alessandro non era in grado di nascondere profondi contrasti, quanto meno potenziali, tra Greci e Macedoni. Contrasti che Alessandro era il primo a conoscere bene e che non furono mai risolti del tutto2 4 •

Dopo la morte di Dario , L inseguimento e la morte di Dario III (330), dopo Gaugamela, segnano una nuova fase nell'impresa di Alessandro. Egli è ormai il successore degli ranks » (p. 1 15). Al di là dei tecnicismi, un problema reale, e molto sentito : l'integrità 'etnica' dei Macedoni da preservare a ogni costo, anche nei riguardi di infiltrazioni greche: in un certo senso, in nuce, uno dei principali problemi del mondo ellenistico. Cfr. anche B O SWORTH (19 88, p. 266). 2 4. Va menzionata anche la vicenda relativa a un gruppo di 8. 0 0 0 mercenari che, sban­ datisi dopo Isso, si dividono a metà, rendendosi partecipi, da una parte, delle vicende del re spartano Agide in Grecia e, dall'altra, dell'avventura del macedone Aminta, vec­ chio avversario di Alessandro, in Egitto. La vicenda degli 8. 0 0 0 mercenari reduci da Isso è molto complessa, poiché le fonti (Arr. Anab. II 1 3.2; Diod. XVII 48. 1 ; Curzio Rufo IV 1.3 9 ) non sono unanimi e sembrano confondersi, 'duplicando' i contingenti. L' ipotesi più plausibile è quella riportata nel testo. Su tutto l'argomento, cfr. soprattutto RUZI C ­ KA

( 1 9 8 8, p. 1 46

n. 44).

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Achemenidi e non il capo di un esercito invasore; ha a disposizione tesori immensi e deve gestire una situazione complessa, nella quale, alla tradizio­ nale tensione tra Macedoni e Greci, si aggiunge la frizione tra Macedoni e Persiani, potenzialmente più pericolosa. I Persiani sono infatti sempre più presenti all'interno dell'esercito di Alessandro, anche per la necessità di rimpiazzare contingenti che erano in servizio ininterrottamente da al­ meno quattro anni e si trovavano a migliaia di chilometri di distanza dalle proprie famiglie. Le difficoltà di gestione dovevano estendersi anche agli aspetti ammi­ nistrativi: soldati che arrivavano, soldati che se ne andavano, stipendi da calcolare, premi da corrispondere, buonuscite, comportavano la necessi­ tà di prevedere registrazioni puntuali e uno staff apposito che svolgesse queste funzioni. Di tale apparato abbiamo una traccia solo in un passo di Arriano (Anab. III 5.3) che si riferisce all'Egitto, e null'altro2 5 . Desta qual­ che sorpresa, inoltre, la pressoché totale assenza, nella nostra tradizione, di cifre relative agli stipendi normali versati ai soldati di Alessandro, e in particolare ai mercenari. L'unico passo di un qualche interesse a questo proposito è Diod. XVII 64.6, da affiancare a Curzio Rufo v 1.45. Vi si par­ la delle gratifiche ricevute dai soldati, poco dopo Gaugamela, all'arrivo a Babilonia, nell'autunno del 331. Ai mercenari viene donata una cifra corri­ spondente a due mesi di stipendio, secondo Diodoro, a tre mesi, secondo Curzio Rufo. La differenza tra le due fonti salta all'occhio, perché tutte le altre cifre sono sostanzialmente identiche e tradiscono la derivazione da una fonte comune. Non sappiamo però a quanto equivalesse questa cifra in termini assoluti. Possiamo solo proporre una deduzione: se i fanti per-

Cfr. G RI F F I TH ( 1 9 3 5 , p. 2 5 ) che mette l'accento su questo tema assai trascurato. Il passo è molto interessante : « Al comando dei mercenari pose l'etolo Licida, come loro segretario (grammateus) Eugnosto figlio di Senofane, uno degli eteri, e loro ispettori ( episkopoi) nominò Eschilo ed Efippo figlio di Calcideo » . I mercenari in questione non sono, con ogni probabilità, parte dell'esercito di Alessandro, ma un contingente che si trovava a Menfi al servizio dei Persiani; sicuramente le cariche ricordate nel passo sono parte della tradizione burocratica egiziana e persiana insieme. Nondimeno, Alessandro la fa propria e ritiene necessario assicurare a un contingente mercenario uno staff che garantisca gli espletamenti burocratici relativi alla paga e quant'altro (persino eccessivo: B O S WO RTH, 1 9 80, p. 27 6 ritiene che gli ultimi due personaggi, Eschilo ed Efippo, fosse­ ro ispettori degli eteri e non di mercenari). Possiamo immaginare che si sia comportato in maniera simile anche per tutti gli altri, numerosi contingenti di mercenari che via via si uniranno al corpo di spedizione. 25 .

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cepivano 1 / 6 dei cavalieri, come apprendiamo, in un'occasione simile, da Diod. XV I I 74.3 (la 'solita' preferenza accordata dai Macedoni ai cavalieri; nella tradizione greca la proporzione è di solito 1:4), poiché i cavalieri non macedoni ricevono, come gratifica, 500 dracme, i fanti ricevettero forse 500 : 6 = poco più di 80 dracme, somma che fa propendere per Curzio Rufo e tre mesi di paga. Arrotondando a 90 dracme, infatti, si giungerebbe a uno stipendio di circa una dracma al giorno, un'ipotesi verosimilel6 • A seguire Diodoro, la prima decisione di Alessandro è quella di con­ vincere i Macedoni, i quali, non del tutto a torto, , a rimanere in servizio. Vengono invece congedati i Greci, sia gli alleati della Lega di Corinto, sia i cavalieri tessalil7 : non si fa menzio­ ne, invece, dei mercenari greci, che evidentemente vengono trattenuti. A quanti ritornano in patria, viene riservato un trattamento estremamente generoso, che avrebbe fatto dei beneficiati degli uomini ricchi, una volta tornati in patria: Alessandro concede infatti a ciascun cavaliere l'eccezio­ nale premio di un talento, a ciascun fante 1.000 dracme; a tutti, inoltre, viene corrisposto lo stipendio, non solo quello dovuto fino a quel mo­ mento, ma anche quello per tutti i mesi del viaggio che li attendeva. La naturale generosità di Alessandro era resa più facile - non c'è bisogno di sottolinearlo - dalla fantastica pioggia d'oro che era piovuta sui Macedoni una volta raggiunto il centro del potere persiano l8 • 2 6. GRI FFITH ( 1 9 3 5 , pp. 297-300) si impegna da par suo in una disamina dello scarsissimo

materiale sugli stipendi dei soldati di Alessandro, con una vertiginosa e inconcludente serie di ipotesi le quali, curiosamente, non sfruttano appieno le pur poche informazioni ricavabili da Diodoro e Curzio Rufo presentate nel testo. Griffith si basa invece, più che altro, sulle mutile 11. 9-10 di IG II 1 329, che citano la paga giornaliera di una dracma per un ipaspista. La cronologia e il contesto dell'iscrizione sono materia di discussione. Essa ha a che fare con una qualche forma di accordo tra Alessandro e Atene, in virtù del quale quest'ultima si farebbe carico del pagamento di truppe macedoni: a lungo si è pensato che si trattasse di una forma di alleanza legata al rinnovo dei patti della Lega di Corinto, e la si è quindi datata al 3 3 6 / 3 3 5. Più recentemente, WORTHINGTON (20 0 4) ha proposto una data di qualche anno successiva ( estate 3 3 1 ), sulla base di argomenti ingegnosi, anche se non in grado di dissipare ogni dubbio. 27. XVII 74.3-5 ; cfr. Arr. Anab. III 19.5- 6 ; Curzio Rufo VI 2. 17 : esiste una discrepanza sul momento in cui avviene il congedo, per cui cfr. ATKINSON ( 1 9 9 8-200 0, II, p. 415). 28. Curzio Rufo VI 2. 10, con Diod. XVII 74.5. La somma indicata da Curzio Rufo (in­ torno ai 26.00 0 talenti) è assai bassa: molto denaro, in un modo o nell'altro, veniva con­ tinuamente trafugato ( cfr. Diod., ibid. ). Tali cifre si riferiscono comunque al solo bottino di Susa: a Persepoli, poco dopo, Alessandro prese possesso di ricchezze almeno pari, o forse maggiori, così come aveva in precedenza ricevuto i tesori conservati nei templi di

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Ma, aggiunge Arriano (Anab. III 19.6), . I Greci possono dunque rimanere, cambiando, per così dire, status all'interno dell'esercito: da alleati a mercenari, una va­ riazione non particolarmente significativa. Molto rilevante, invece, è l'in­ centivo che, secondo Diodoro, Alessandro è disposto a concedere a ciascun soldato che decida di continuare l'avventura: ben 3 talenti ciascuno (XVII 74.4). La cifra, se veritiera, è impressionante, molto più di quanto un solda­ to, in situazioni normali, potesse sperare di guadagnare in una vita intera di servizio continuato! Si tocca qui un tema complesso, sul quale non è possi­ bile soffermarci: il fenomeno inflattivo generato dall'affiusso delle ricchezze orientali nel piccolo mondo greco, con un vero e proprio cambiamento dei parametri con cui venivano misurati i beni e le ricchezze. Le cifre che ci for­ niscono le fonti, in effetti, sono del tutto sproporzionate rispetto ai valori consueti in Macedonia o in Grecia in quegli stessi anni. Un piccolo esem­ pio, tra i tanti: mentre, all'inizio del secolo, Dionisio I ( cfr. CAP. 11) aveva offerto un premio di 100 mine ( = 1 talento e 4.000 dracme) per chi avesse scalato per primo le mura di Mozia (Diod. XIV 53.4), in un'occasione simile Alessandro offre 12 talenti (Arr. Anab. IV 18.7) ! I cavalieri tessali che avevano deciso di prolungare il loro servizio ver­ ranno poi congedati, insieme a un contingente di Macedoni anziani, dopo circa un anno, appena compiuto l'attraversamento del fiume Oxo (Arr. Anab. III 29.5). A più riprese, in almeno cinque circostanze, l'esercito di Alessandro, che dopo la morte di Dario ha ormai cambiato natura ed è dedito a nuove conquiste orientali, riceve rinforzi tra la fine del 331 e il 326. Il 'number­ game' destinato a conoscere la cifra esatta di tali rinforzi è un esercizio che può attrarre l'attenzione degli studiosi. Nondimeno, tra la corruzione delle cifre tipica dei testi antichi e il fatto che - tranne poche eccezioni - tali cifre siano fornite in larga misura dal solo Curzio Rufo, della cui attendibilità è spesso lecito dubitare, si tratta di una fatica il cui risultato

Babilonia. Il computo totale della somma di cui Alessandro venne in possesso nel corso di pochi mesi, probabilmente ben superiore ai 10 0. 0 0 0 talenti, è un argomento sfuggente e complesso (cfr. DE C ALLATAY 19 8 9 ) : si tratta comunque di cifre di ordini di grandezza totalmente differenti rispetto a quelli circolati nel mondo greco fino ad allora. Centomila talenti, tanto per farsi un'idea, corrispondono più o meno alla paga di 6 0 0. 0 0 0. 0 0 0 di giornate lavorative !

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non può che essere impreciso e comunque dubbio. Lasciamo i particolari a una nota 2.9 : qui diremo solamente che le cifre indicate sono imponenti, ben superiori a quanto il mondo greco aveva conosciuto fino a quel momento. In totale, le fonti parlano di oltre 50.000 uomini che via via si aggregano all'esercito di Alessandro: di questi, non meno del 25 % sono cavalieri, un dato impressionante, che rispetta peraltro le proporzioni tipiche dell'eser­ cito macedone. Un altro dato di rilievo è fornito dagli oltre 16.000 uo­ mini di fanteria provenienti direttamente dalla Grecia, in particolare dal Peloponneso, dei quali, ancora una volta, poco più di 3 .000 cavalieri: cifre importanti, se si pensa alla scarsa consistenza demografica di gran parte delle città greche, alla guerra di Agide III di Sparta contro i Macedoni che si stava svolgendo in quel periodo30 e al numero di mercenari che già si troI cinque arrivi di contingenti di rinforzo sono i seguenti: 1. Diod. XVI I 6 5 . 1, con Cur­ zio Rufo v 1. 41 : dopo Gaugamela, appena lasciata Babilonia, verso la fine del 3 3 1, Ales­ sandro riceve da Antipatro, reggente in Macedonia, 6. 0 0 0 fanti e 5 0 0 cavalieri macedoni (non conteggiabili, ovviamente, tra i mercenari: sono questi gli ultimi Macedoni a con­ giungersi con la spedizione), un nutrito contingente di Traci ( 3 . 5 0 0 fanti e 6 0 0 cavalieri; ma i fanti sono Traili in Diodoro) e infine 4.0 0 0 fanti e poco meno di 1.0 0 0 cavalieri dal Peloponneso (la cifra dei cavalieri è diversa in Curzio Rufo v 1. 41 ) . 2. Pochi mesi dopo l'incendio di Persepoli, appena entrato in Media, Alessandro riceve 5 . 0 0 0 fanti e 1.0 0 0 cavalieri provenienti dalla Cilicia (Curzio Rufo v 7. 12 ) . La regione era un noto centro di raccolta e smistamento delle truppe provenienti dalla Grecia e quindi si può pensare che il contingente provenisse dalla Grecia, anche se non ci sono informazioni precise in propo­ sito. Il comandante di tale contingente è chiamato da Curzio Rufo 'Platone ateniese'. Esi­ stono dubbi su entrambi i dati: che fosse ateniese, e che si chiamasse Platone (cfr. BERVE , 1 9 26, II, nr. 67, con ATKINSON, 1 9 9 8 -20 0 0, I , p. 43 4 ) . 3. Nel corso del 3 29, in Areia, appena partito da Artacana, Alessandro riceve ( Curzio Rufo VI 6.3 5 ; cfr. Arr. Anab. III 2 5 . 4 ) un rinforzo di quasi 4.0 0 0 cavalieri ( 5 0 0 Greci, ben 3.0 0 0 dall'Illirico, 3 0 0 Lidi e 1 3 0 Tes­ sali) e 2.6 0 0 fanti sempre dalla Lidia. 4. Nell'inverno dello stesso anno, o nei primi mesi del 3 28, a Zariaspa arriva, più che un rinforzo, un vero e proprio esercito, qualcosa come 1 9. 40 0 fanti e 2 . 6 0 0 cavalieri (Curzio Rufo VII 10. 1 1 - 1 2; in GRIFFITH, 1 9 3 5 , p. 20 la cifra è di 1 6. 40 0 perché viene accettata una lezione dei codici che dà 111 milia al posto di 1111 milia ), giunti da Tracia, Licia, Siria e Grecia. 5. Infine, proprio nel drammatico momento in cui Alessandro cede al rifiuto dei suoi soldati di avanzare ancora oltre l'Indo (anno 3 2 6 ) e decide quindi di tornare a Babilonia, giungono altre truppe, ben 5.0 0 0 cavalieri traci e 7. 0 0 0 fanti dalla Grecia (Curzio Rufo IX 3 . 2 1 ; cfr. Diod XVII 9 5 . 4, che fornisce l'iperboli­ ca cifra di 3 6.0 0 0 uomini, 30.0 0 0 fanti e 6. 0 0 0 cavalieri). Insieme a tutti questi soldati, va segnalato anche l'arrivo di 25.0 0 0 panoplie di splendida fattura, intarsiate d'oro e argento. 30. Cfr. CAP. 5, pp. 17 1 - 2. Accettando la data della primavera del 3 30 per la battaglia di Megalopoli, non sarebbe possibile pensare che i primi contingenti inviati ad Alessandro (cfr. punti I e 2 della nota precedente) comprendessero reduci della battaglia, come si è a lungo pensato. 29.

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vavano con Alessandro, fin dall'inizio della spedizione o per essersi aggre­ gati all'esercito macedone dopo aver servito contro i Macedoni con Dario. Le strade che collegavano la Grecia alla Mesopotamia erano, insomma, assai trafficate. Non siamo in grado di specificare le modalità attraverso le quali Antipatro, reggente in Macedonia, procedeva a raccogliere le for­ ze da inviare ad Alessandro. Ancora una volta, in taluni casi, potrebbero sussistere distinzioni tra uomini inviati formalmente come alleati della Lega di Corinto e veri e propri mercenari: le fonti difficilmente sono in grado di risalire a tale differenza di status. Nondimeno, è difficile sottrar­ si all'impressione che mai come in questo momento (alludiamo ai primi anni dopo Gaugamela) fosse facile reclutare uomini disposti a compiere il grande viaggio: basti pensare alle voci, l'unica reale fonte di informazio­ ne3 1 , che, attraversando l'Egeo e l'immensa penisola anatolica, dovevano giungere in Grecia a esaltare le ricchezze favolose destinate ad arricchire chi si fosse unito alla spedizione di Alessandro. Le informazioni così as­ sunte erano spesso del tutto inattendibili, come quando lo stesso Demo­ stene presenta all'Assemblea - sembra - niente meno che un testimone oculare della morte di Alessandro, nel 335 (Giustino XI 2.8) . Una descri­ zione molto pittoresca, ma non del tutto inverosimile, di come Demoste­ ne tenesse aperto un canale di comunicazione con l'esercito macedone in Asia e con lo stesso Alessandro la troviamo in Eschine III 1 6 2: la 'cinghia di trasmissione' sarebbe stato il bell'Aristione di Platea, , ex frequentatore della casa di Demostene e ora di casa nell'entourage di Alessandro. Le dicerie sui tesori d'Oriente non erano comunque infondate. Peral­ tro, la sorte che attende la stragrande maggioranza dei mercenari non è molto fortunata. Il loro contributo, infatti, consisterà nel popolamento di una serie di fondazioni che si susseguono negli immensi spazi delle zone orientali dell'impero. Per queste fondazioni, il cui numero non è così alto come si riteneva una volta, la ratio militare sembra evidente3 2 • Il modello Cfr. il già cit. Demosth. II 17, con riferimento però a Filippo. L'assunzione di informa­ zioni nella Grecia antica è un tema di grande fascino: cfr. LEWI S (1996); RUS S ELL (1999 ). 32. Sulle fondazioni di Alessandro in Asia, cfr. FRASER (1996). Tra esse, Alessandria nel Caucaso è uno dei casi più noti: cfr. Diod. XVII 83.2, Curzio Rufo VII 3.23, Arr. Anab. III 28. 4; per Alessandria Escate cfr. Arr. Anab. IV 1.3 con Curzio Rufo VII 6.27 ; per Nicea e Bucefala, sulle rive dell'Idaspe ai confini con l'India, cfr. Arr. Anab. v 19.4. Sulla ratio mi­ litare delle fondazioni, cfr. p. es. B O SWORTH (19 8 8, pp. 2 45-50 ) ; inutile fare la storia delle 'interpretazioni' della volontà di Alessandro, che hanno vagheggiato intenzioni commer3 1.

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seguito lo potremmo definire in una certa misura 'colonialista' ( o, se vo­ gliamo, 'spartano'): una minoranza di 'europei: veterani e mercenari, che si insedia in impianti urbanistici greci, provvisti di ginnasi e agora, e sfrutta la manodopera indigena, deportata e costretta a coltivare le terre intorno alla città. E un modello che si adatta anche alle risultanze archeologiche del celebre sito di Ai-Khanoum33 . Sembra altrettanto evidente che l'insediamento dei mercenari in queste sedi non fosse volontario: degli altri Greci, alcuni sono stati stanziati nelle città da te fondate, ma neppure questi rimangono volentieri, gli altri che continuano a sopportare fatiche e perico­ li - loro stessi e l'esercito macedone - hanno perduto in battaglia i propri compa­ gni, mentre altri inabili al combattimento per le ferite sono stati lasciati indietro in varie località delrAsia ; ma la maggior parte è morta di malattia; e quei pochi rimasti, da molti che erano, non hanno più la stessa forza nei corpi, ma soprattutto sono abbattuti nello spirito. Tutti costoro desiderano rivedere i propri genitori chi li ha ancora in vita - ; desiderano rivedere le proprie mogli e i figli; desiderano rivedere il suolo della terra patria ; ed è perdonabile il desiderio di rivederla, poiché con il prestigio che tu hai dato loro, tornerebbero come persone importanti inve­ ce che umili, ricchi invece che poveri (Arr. Anab. v 27.5-6).

Il discorso che Ceno rivolge, a nome dei soldati, ad Alessandro, durante il delicatissimo momento dell'ammutinamento dei soldati che si rifiutano di avanzare ancora verso Oriente, poco dopo l'arrivo in India, è fittizio, reto­ rico, ma centra i problemi che erano sul tappeto. Pochi mesi dopo, infatti, all'inizio del 325, quando si sparse la voce della morte di Alessandro, alimen­ tata da una gravissima ferita al polmone che gli era stata inferta mentre cercaciali o 'culturali'; per l'ipotesi che, in un'ottica militare, privilegia il timore da parte di Ales­ sandro per le difficoltà che tanti mercenari avrebbero potuto causare se fossero ritornati in patria, e sposa quindi un'ottica esplicitamente 'isocrateà (cfr. Isocr. v 120-1), cfr. LANDUC ­ C I GATTINONI (19 9 5b, pp. 135-7 ). Ragionamento non peregrino, ma Alessandro aveva più a cuore le conquiste appena realizzate piuttosto che la prevenzione di pericoli futuri. Delle fonti antiche, solo Paus. I 25.5 afferma che Alessandro aveva intenzione di « deportare in Persia tutti i Greci che avevano militato al soldo di Dario e dei suoi satrapi», esplicitan­ do il carattere punitivo degli insediamenti, che non avrebbero riguardato i mercenari al servizio di Alessandro. Più in generale, Curzio Rufo x 2.8 riporta il pensiero strategico di Alessandro a questo riguardo: il re avrebbe giudicato che « si potesse controllare l�sia con un piccolo esercito, visto che aveva collocato guarnigioni in parecchi luoghi e aveva riem­ pito le città da poco fondate di coloni che difficilmente potevano desiderare rivoluzioni». 33. Su Ai-Khanoum, cfr. B ERNARD et al. (1973-92), sp. i voli. XXI , XXVI-XXXI, XXXIII.

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va di prendere con la forza la cittadella indiana di Multan, . Il tentativo di ritornarse­ ne in patria ha successo, dopo varie peripezie 34 • Gli anni 325-323 vedono dunque emergere un problema relativo all'as­ sorbimento dei mercenari che avevano servito sotto l'impero persiano o sotto lo stesso Alessandro. Quest'ultimo non aveva la possibilità di inse­ rirli tutti nel proprio esercito, anche se qualche tentativo in tal senso viene fatto (cfr. Arr. Anab. VII 23.1). La politica di porli come soldati di guarni­ gione o come cittadini delle nuove poleis d'Oriente, all'origine del resto della scarsa attrattività del servizio mercenario, mostrava dei limiti. Due sono le decisioni che riguardano da vicino i mercenari, prese da Alessandro all'incirca un anno prima della sua morte. In primo luogo, mentre si trova ancora in Carmania (tra la fine del 325 e i primi mesi del 324), ordina lo scioglimento degli eserciti dei satrapi, composti in larga misura di mercenari (Diod. XVII 106. 3 ) . La decisione, che richiama quella presa dal Gran Re Artaserse III al momento del suo insediamento, 3 s anni prima ( cfr. pp. 3 10 - 1 ) , è frutto di una situazione generalizzata di paura e so­ spetto che caratterizza l'ultimo periodo di vita di Alessandro. Ai mercenari non resta dunque che vagare per l�sia (Diod. XVII 111. 1) o cercare di ritornare in Grecia, dove il capo Tenaro nel Peloponneso si va trasformando in un centro 'in­ ternazionale' di raccolta di mercenari3S . In quegli stessi mesi, va inserita 3 4. Cfr. Diod XVII 9 9.5; si veda la chiara espressione usata poco dopo: i Greci avrebbero avuto nostalgia del «modo di vita greco» : Diod. XVIII 7. 1. Secondo lo stesso Diodoro ( XVII 99.6) la rivolta ebbe un esito negativo e i mercenari - forse in numero di 3.0 0 0 -

furono tutti trucidati. Ma è probabile che lo storico si confonda con la rivolta successiva, scoppiata dopo l'effettiva morte di Alessandro: cfr. Curzio Rufo IX 7. 1 - 1 1, che ci trasmette il buon esito della vicenda. 3 5. Nel 3 46, i mercenari di Faleco si radunano presso Capo Malea, il promontorio orien­ tale del Peloponneso (Diod. XVI 62. 3 ). Più tardi, la guerra di Agide ( anno 3 3 1 ) porta in pri­ mo piano il promontorio centrale, il Tenaro (Arr. Anab. II 1 3. 6 ) , sotto controllo spartano (così, giustamente, BADIAN, 1 9 6 1, p. 26 ). Sconfitti gli Spartani, la zona, in qualche misura extra-territoriale e ben difendibile, assumerà la funzione di punto di raccolta di mercenari nella prima età ellenistica, per poi passare di moda nel I I I secolo. Su Capo Tenaro, tuttora ineccepibile GRI FFITH ( 19 3 5, pp. 259- 6 0 ). Su Leostene come 'traghettatore' dalfAsia al Tenaro, cfr. in particolare Paus. I 25.5 e VII I 52.5, che contiene la stima dei mercenari in numero di 50. 0 0 0. Non è impossibile che Leostene fosse, in un primo tempo, uno dei mercenari al servizio di Dario.

MERCENARI

(febbraio o primi di marzo 324) la fuga di Arpalo, tesoriere di Alessandro, che raccoglie 5.000 talenti e un esercito di 6.000 mercenari per poi diri­ gersi verso la Grecia, prima dell'arrivo di Alessandro a Babilonia (Diod. XV I I 108.6-7) 3 6 • Il celebre decreto sugli esuli, portato a conoscenza dei Greci durante le Olimpiadi del 324 da Nicanore (Diod. XVII I 8.4-5), con il quale Ales­ sandro intimava alle poleis greche di reintegrare nelle comunità gli esuli, restituendo loro le proprietà confiscate, aveva anche lo scopo, con ogni probabilità, di portare un contributo alla crisi innestata dalla presenza dei mercenari: il ritorno nelle proprie comunità di origine, anche se fo­ riero di ulteriori, gravi problemi, poteva in effetti costituire uno sbocco a quello che era ormai divenuto un motivo di timore per Alessandro37 • Preoccupava soprattutto il fatto che, senza un riassorbimento, almeno parziale, dei mercenari, i nemici dei Macedoni avrebbero sempre avuto a disposizione, senza grande fatica, soldati in grande quantità ( e si trattava di soldati ben addestrati) per le ribellioni contro il dominio macedone. Tale timore doveva sopravanzare un'altra preoccupazione, la possibilità che molti degli esuli fossero, almeno all'origine, dei fieri avversari dei Macedoni, così come lo erano una parte di coloro che si erano messi al servizio di Dario, anni prima, poiché le loro città erano state occupate da governi filo-macedoni. Diodoro (XVIII 8.5) racconta che gli esuli presenti a Olimpia per ascol­ tare le parole di Nicanore, accolte da manifestazioni di giubilo, erano più di 20.000. Non tutti saranno stati mercenari o ex mercenari; un'altra ov­ vietà è che non tutti gli interessati saranno stati presenti a Olimpia: ma che gli assenti fossero in numero almeno uguale ai presenti (così BAD IAN,

3 6. Su Arpalo, ancora fondamentale BADIAN (1 9 6 1 ) ; cfr. anche JAS CHINSKI (19 8 1, pp. 7-44) ; B LACKWELL (1999). Sulle vicende del tesoriere di Alessandro ad Atene, dove giunge nel maggio del 324, cfr. il riassunto di CARLIER (19 94a, pp. 1 8 8-9 3). En passant, noteremo come Arpalo, terminata l'avventura ateniese, abbia rivestito il ruolo, per lui probabilmente un po' incongruo, di condottiero, avendo appunto condotto i suoi mer­ cenari, che avevano oziato al Tenaro durante il suo agitato soggiorno ateniese, a Creta, dove viene ucciso quasi subito ( entro l'ottobre dello stesso 324) dal suo luogotenen­ te Tibrone. Del suo esercito, ingaggiato da esuli di Cirene, si perdono le tracce: cfr. B OSWORTH (19 8 8, pp. 291-2). 37. Diod. XVIII 8. 4-5. Sul decreto di Nicanore, BOSWORTH (19 88, pp. 220-8). Importan­ ti le testimonianze epigrafiche sulle conseguenze pratiche dell'applicazione del decreto a Tegea (Ro, nr. 101 ) ; cfr. HEISSERER (19 80, pp. 204-29 ).

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1961, p. 28) è un'illazione priva di basi. Certo, coloro che avevano tenta­ to la fortuna con il servizio mercenario erano tanti, probabilmente più di quanti siano mai stati nel mondo greco fino a quell'epoca: la cifra com­ plessiva di 100.000 uomini per > ( GRIFFITH, 1935, p. 39) è del tutto indicativa, ma può rendere l'idea.

Parte sesta Riassumendo

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Una visione d'insieme Il ributtante Nicia che aveva venduto se stesso a Cabria in Egitto. Demostene XIX 287 [ l'esercito spartano] , in quanto è libero da altre occupazioni e non si dedica che alla guerra, è simile a quelli mercenari. Isocrate VI Archidamo 76

Un mestiere ambig uo La caratteristica principale del mercenario nella Grecia antica è l'ambi. ' gu1ta. All'estremo negativo, abbiamo un uomo che, al pari di coloro che si prostituiscono, mette a disposizione il proprio corpo. Formulazione cruda, che troviamo almeno due volte: in Demostene, pronto come sempre a lan­ ciare i suoi strali su Eschine e familiari, e che in questo caso si concentra sul cognato, colpevole di avere > (xix 287 ); in Plutarco ( Vìta di Agesilao 36. 2), che non si perita di accusare Agesilao di aver permesso a un barbaro - il re egiziano Taco - di servirsi del suo corpo, vendendo il proprio nome e la propria fama in cambio di denaro. Si tratta di un aspetto che raramente viene alla luce in modo così privo di mediazioni, ma che nasconde un dato di fatto irrefutabile: l'uo­ mo kaloskagathos, l'uomo ben educato non si mette al servizio di un altro uomo per uno stipendio o un qualsivoglia compenso materiale. All'estremo positivo, il mercenario è un uomo che sa fare bene, gra­ zie all'esperienza e a un corpo bene allenato, l'attività considerata più consona per l'uomo, l'unica in grado di evidenziare le doti di coraggio e forza fisica che connotano i migliori. Ancora una volta, è una questione di corpi: come quelli degli schiavi e dei buoni a nulla sono > - come leggiamo sempre in Plutarco, quando lo stesso Agesi­ lao mette in mostra i corpi > (achreston) dei prigionieri di guerra catturati in Asia Minore (Plut. Vita di Agesilao 9.8) - così i corpi

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dei mercenari sono ben allenati, sono corpi di guerrieri, secondo quanto descrive Giasone sottolineando il loro addestramento di gran lunga su­ periore a quello dei cittadini. E ancora: da una parte, ci sono i mercenari traci autori della terribile strage di Micalesso, i Campani che si impadroniscono di Entella ucciden­ done gli abitanti, ma anche mercenari greci capaci di ogni nefandezza e di­ mentichi di ogni regola umana: quel tipo di comportamento che abbiamo, sulla scorta di Polibio, individuato come apotheriosis, 'imbestialimento: Dall'altra, ci sono molti uomini ( pochi conosciuti, come Pedon, Formi­ de, Astifilo; tanti anonimi) che hanno costruito la loro rispettabilità grazie al servizio mercenario; ci sono uomini come Senofonte e i suoi compagni di avventura che hanno lavorato sul concetto di 'eufemismo' per nobilitare la loro esperienza denegando la natura mercenaria del loro servizio e sot­ tolineando un coté sempre presente, dai tempi del cretese Hybrias: l'amore per l'avventura, per una vita diversa. Nel mezzo, ci sono i mercenari così come ci si presentano nei tanti pe­ riodi e nei tanti mondi che costituiscono l'universo greco: uomini diversi tra di loro che agiscono in contesti diversi. Irriducibili a una sola dimensio­ ne, se non dal punto di vista dei committenti: perché è un dato certo che l'impero persiano, gli Egiziani, i tiranni sicelioti o i re macedoni se ne sono serviti; così come ne hanno avuto bisogno le città greche, in un contesto nel quale la guerra, pur mantenendo il suo ruolo centrale nella società del­ la polis, non poteva più essere condotta solamente dai cittadini. In queste ultime pagine, cercheremo di riassumere alcuni aspetti fondamentali della natura del mercenariato nel mondo greco 1 •

La bibliografia relativa a singoli temi o periodi è stata presentata nel corso dei capitoli che compongono questo testo. Non sarà inutile ricordare che, dopo PARKE ( 1 9 3 3 = P ) , tra le opere che coprono interamente il periodo classico e arcaico, è stata pubblicata so­ lamente TRUNDLE ( 20 0 4 = T), rapida ed eccellente sintesi per problemi; divulgativo e superficiale invece YALI CHEV ( 1 9 9 7, pp. 8 0-20 3 ) . Molti sono invece gli articoli di sintesi sul fenomeno del mercenariato: cfr. almeno, a partire dal pionieristico AYMARD ( 1 9 5 9 ) , il fondamentale GARLAN ( 1 9 8 9, pp. 1 43-72) e ancora: TRUNDLE ( 1 9 9 8 ) , DUC REY ( 20 0 0 ) , TRUNDLE ( 20 0 5 ) . In questo capitolo conclusivo, spesso non ho indicato i rimandi al testo: chi lo desidera, potrà agevolmente trovarli grazie all'indice dei nomi. Non è questa la sede per indicare una bibliografia relativa al mondo ellenistico. Poiché molti problemi sono, in realtà, trasversali, citeremo almeno, oltre ai 'classici' GRIFFITH ( 1 9 3 5 ) e LAUNEY ( 1 9 8 8 ) , tra i più recenti contributi, M A ( 20 0 0 ) , importante per la rivalutazione degli eserciti cit­ tadini in epoca ellenistica, C O UVENHES ( 2 0 0 4), che affronta intelligentemente alcuni dei temi dibattuti in queste conclusioni, nonché l'eccellente sintesi di CHANI OTIS ( 20 0 5 ) . 1.

UNA VISIONE D'INSIEME

Chi Chi sono i mercenari nel mondo greco? Tenteremo una divisione triparti­ ta, di necessità semplificatoria: - giovani (a volte, anche uomini fatti, purché siano giunti almeno ai gradi di ufficiale) che praticano questa attività per desiderio di arricchirsi, amore dell'avventura, tradizione familiare; sono uomini non sprovvisti di rispetta­ bilità all'interno della propria comunità, dove potranno rientrare una vol­ ta terminato questo periodo della loro vita. Se ci limitiamo all'età arcaica, rientrano in questa categoria anche membri dell'élite aristocratica dotati di mezzi e costretti per un periodo limitato ad allontanarsi dalla propria patria; - persone che cercano un rifugio, una possibilità di vita dopo aver per­ duto il posto nella comunità di origine. Esuli per motivi politici o per cause più banali (colpevoli di qualche reato, per esempio) trovano spesso nell'ingaggio come mercenari un'occasione: tra i 6-7.000 della spedizione di Ciro che non erano Arcadi o Achei troviamo alcuni di questi casi (alla fin fine, lo stesso Senofonte, con tutti i distinguo che lui stesso cerca di frapporre tra sé e un normale mercenario), tanto da far assomigliare i Die­ cimila a una sorta di Legione straniera, nella quale, notoriamente, nessuno chiedeva il motivo dell'altrui presenza; - esponenti di popolazioni, comunità nelle quali i maschi adulti sono so­ liti, per tradizione secolare, andare a combattere al servizio di stranieri. Il servizio mercenario rientra a tutti gli effetti nell'organizzazione economi­ ca di queste comunità. La prima categoria (ne abbiamo discusso per quanto riguarda Atene, ma il fenomeno era presente in molte altre realtà) è la più misconosciu­ ta e la meno aderente all'immagine del mercenario, così come ci è più o meno familiare. La seconda, al contrario, è di gran lunga la più rappresen­ tata nelle fonti e la più vicina al modello archetipico di mercenario che ci portiamo dietro, valido per ogni epoca. E qui che si annidano molti casi di mercenari che intendono recuperare uno status di cittadino attraverso l'acquisizione di terra e la concessione della cittadinanza. La terza, infine, è quella che crediamo abbia fornito il maggior numero in assoluto di mer­ cenari nel corso dei secoli che abbiamo preso in considerazione: in questo ultimo gruppo rientrano anche quanti venivano ricercati per specifiche competenze nel maneggiare determinate armi. Da quanto abbiamo detto deriva che il servizio mercenario non è un fenomeno legato a poche popolazioni o a poche zone del Mediterraneo.

MERCENARI

Mercenari ne esistettero di provenienti da ogni polis e da ogni etnia del Mediterraneo. Per quanto riguarda le zone 'specializzate' come fornitrici di manodopera, lo schema si ripete costantemente: a offrirsi come mer­ cenari sono spesso i membri di comunità povere e attardate che vivono ai confini con le zone più ricche. In questa visione, è operante una serie di luoghi comuni, non escluso quello che lega il mestiere a una certa sauva­ gerie: basti pensare alla scena degli Acarnesi aristofanei ( vv. 155-171) in cui entrano in scena i mercenari odomanti. Grandi capacità fisiche, robustez­ za e resistenza, ma poca civiltà: ricordiamoci di Micalesso... I Traci, oppure le popolazioni indigene della Sicilia o dell'Italia, o an­ cora i Cretesi, la cui fama di pirati e di mercenari - senza che sia facile distinguere tra i due piani - si svilupperà soprattutto in età ellenistica, ma che già in età arcaica e classica sono famosi soprattutto come arcieri, sono gruppi etnici che, nel corso della storia greca, si distinguono per essere for­ nitori di mercenari all'interno del mondo greco2 Qui di seguito intendo approfondire il caso degli Arcadi e dei Cari, le popolazioni 'mercenarie' più connotate di tutto il Mediterraneo. •

Arcadi Il Catalogo delle navi dell'Iliade (11 603-614) ci rimanda una bella presen­ tazione dell�rcadia e dei suoi abitanti: Quelli che abitano l�rcadia, sotto il monte Cillene, presso la tomba di Epico, dove gli uomini sono abili nel corpo a corpo, quanti abitano Feneo e Orcomeno ricca di greggi e Ripe e Stratia ed Enispe ventosa, quelli che abitano Tegea e l'amabile Mantinea,

Per quanto riguarda i mercenari traci, cfr. CAP. 1 5 , dove li troviamo anche come com­ mittenti nell'episodio dell'Anabasi che ha per protagonista Seuthes, e i C APP. 3 ( guerra del Peloponneso) e 4, nei quali compaiono come fornitori, quasi esclusivamente di peltasti. Tra la bibliografia segnalata al C AP. 15, cfr. in particolar modo WEBBER ( 20 1 1 ). Per le po­ polazioni indigene della Sicilia e dell'Italia, cfr. i CAPP. 1 3 e 1 4; il libro di testo sull'argo­ mento è TAGLIAMONTE ( 1 9 94). Per i Cretesi, si vedano gli accenni a Hybrias a p. 5 0 e i riferimenti agli arcieri nei CAPP. 2, 3, 4, 1 1, 1 4. Il fenomeno della pirateria legato al servizio mercenario assumerà dimensioni ragguardevoli in età ellenistica (cfr. Strab. x 4. 10 ) : ma cfr. già Isocr. IV Paneg. 1 1 5. Per una breve introduzione, cfr. GARLAN ( 1 9 8 9, pp. 1 9 4- 8 ) ; sulla pirateria nel mondo greco, è d'obbligo il riferimento a D E SO UZA ( 19 9 9 ) . 2.

UNA VISIONE D'INSIEME

quelli che abitano Stinfalo e Parrasia, di essi ha il comando il figlio di Anceo, il potente Agapenore, su sessanta navi; e su ciascuna erano imbarcati molti guerrieri arcadi, esperti dell'arte della guerra. Le aveva loro fornite lo stesso Agamennone, l'Atride signore di popoli, navi dai solidi banchi, per attraversare il mare color del vino, poiché le arti del mare ad essi non stanno a cuore. ( trad. G. Paduano, con qualche variazione)

Il poeta ci ricorda che rArcadia, la regione situata al centro del Peloponne­ so, era priva di sbocchi al mare e i suoi abitanti ignari di arte marinara; che l'allevamento era assai diffuso in quelle zone collinari e montuose ( > ); che gli Arcadi erano combattenti valorosi ( > [agchimachetai] ed