Star Wars. La poetica di George Lucas. Le avventure di un ragazzaccio con ambizioni eroiche 8834608313, 9788834608319

Per la prima volta un’analisi a tutto tondo dell’universo di Star Wars, tra rigorosa riflessione sulla scrittura cinemat

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Italian Pages 656 [460] Year 2021

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Table of contents :
Copertina
Trama
Federico Greco
Collana
Frontespizio
Copyright
Sommario
Dedica
Legenda
Introduzione
Prologo
ATTO I. PREPARAZIONE – ARISTOLLYWOOD
La Poetica (di Aristotele)
Aristotele e Hollywood
Scrivere una sceneggiatura non richiede alcuna abilità di scrittore
ACTION!
Il difetto fatale
I “guru”
The Restorative Three-Act(ion) Structure
Cinque atti
Il Viaggio dell’Eroe
Salvare o non salvare il gatto?
I Libri dell’(auto)Rivelazione
ATTO II. COMPLICAZIONE – RICK E LA STREGA MALVAGIA DELL’OVEST
Lo stile invisibile
Tanto, tanto tempo fa, da qualche parte oltre l’arcobaleno...
Sospendere l’incredulità
Star Wars, un film muto
“Ti amo.” “Lo so.”
Gable, Solo e Il mago di Oz
La musica inaudibile
ATTO III. SVILUPPO – STAR BRAT
La fabbrica dei segni
I movie brats
Restaurazione
È così che funzionano le favole
Una luce che cammina nel cielo
Le persone felici non hanno più storia
Ammazziamo il drago!
Reaganite entertainment
Starbusters
Steamboat Luke
ATTO IV. CLIMAX – LA RIUNIONE DEI CLICHÉ
Il ritorno di “Action” e “Polemos”
La fantascienza e il Millennium Falcor
Luc Skywalker
Il fantasy, la Forza e la magia
Il western, Tuco e Mando
Mulholland drives726
L’adventure movie e la fortezza spaziale
Niente melodrammi, please
Romancing the Planet. All’inseguimento del pianeta nero744
La commedia: Marx Wars
La tv e il war movie
ATTO V. EPILOGO – CHE IL MONOMITO SIA CON TE
Campbell è stato il mio Yoda
Il figlio dei soli
Il Viaggio di Lucas e gli UFO
Si parte per il Viaggio
Lucas in fabula
Star Wars
L’anima di Luke
Apoteosi
L’impero colpisce ancora
Il ritorno dello Jedi
Alderaan rossa?
Titoli di coda
Ringraziamenti
Note
Bibliografia
Sitografia
Videografia
Recommend Papers

Star Wars. La poetica di George Lucas. Le avventure di un ragazzaccio con ambizioni eroiche
 8834608313, 9788834608319

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Per la prima volta un’analisi a tuo tondo dell’universo di Star Wars, tra rigorosa riflessione sulla scriura cinematografica e affascinante viaggio nel profondo del nostro inconscio. Federico Greco coniuga storie e suggestioni, genesi e influenze del più formidabile prodoo audiovisivo (e non solo) di tui i tempi: la saga di Guerre stellari, dalla prima, mitica, trilogia, fino alle uscite più recenti. Dall’antropologia alla storia, dalla psicanalisi alla filosofia, le vicende e le storie che hanno portato alla creazione di una grande mitologia contemporanea. Un libro utile per tui gli appassionati di cinema, filosofia, cultura pop e fantascienza. Un tentativo ambizioso, e riuscito, di ricollegare i punti, in un gioco di specchi che consente per la prima volta una visione completa, esaustiva e al tempo stesso accessibile e leggera della genesi ideale e della realizzazione del capolavoro di George Lucas.

Federico Greco alterna il lavoro di sceneggiatore, regista, montatore cinematografico e televisivo con l’insegnamento presso l’Università La Sapienza e l’Accademia di Belle Arti di Perugia. Tra i suoi lavori come regista e autore, spesso in collaborazione, figurano: Stanley and Us, Il mistero di Lovecra, PIIGS. Ha scrio di cinema per le maggiori testate italiane, tra cui Cineforum, Musica! di Repubblica. Ha pubblicato due libri sul cinema legati ai suoi lavori: Stanley and Us (2008) e PIIGS (2020).

i Delfini.

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Federico Greco Star Wars La poetica di George Lucas Le avventure di un ragazzaccio con ambizioni eroiche La nave di Teseo

Le immagini di questo libro sono state fornite dall’autore, l’Editore è a disposizione degli eventuali aventi dirio che non è stato possibile raggiungere.   © 2021 La nave di Teseo Editore S.r.l.     ISBN 978-88-346-0792-3     Prima edizione digitale La nave di Teseo novembre 2021     est’opera è protea dalla Legge sul dirio d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

Sommario

Legenda Introduzione Prologo ATTO I. PREPARAZIONE – ARISTOLLYWOOD

La Poetica (di Aristotele) Aristotele e Hollywood Scrivere una sceneggiatura non richiede alcuna abilità di scriore ACTION! Il difeo fatale I “guru” e Restorative ree-Act(ion) Structure Cinque ai Il Viaggio dell’Eroe Salvare o non salvare il gao? I Libri dell’(auto)Rivelazione ATTO II. COMPLICAZIONE – RICK E LA STREGA MALVAGIA DELL’OVEST

Lo stile invisibile Tanto, tanto tempo fa, da qualche parte oltre l’arcobaleno… Sospendere l’incredulità Star Wars, un film muto “Ti amo.” “Lo so.”

Gable, Solo e Il mago di Oz La musica inaudibile ATTO III. SVILUPPO – STAR BRAT

La fabbrica dei segni I movie brats Restaurazione È così che funzionano le favole Una luce che cammina nel cielo Le persone felici non hanno più storia Ammazziamo il drago! Reaganite entertainment Starbusters Steamboat Luke ATTO IV. CLIMAX – LA RIUNIONE DEI CLICHÉ

Il ritorno di “Action” e “Polemos” La fantascienza e il Millennium Falcor Luc Skywalker Il fantasy, la Forza e la magia Il western, Tuco e Mando Mulholland drives L’adventure movie e la fortezza spaziale Niente melodrammi, please Romancing the Planet. All’inseguimento del pianeta nero La commedia: Marx Wars La TV e il war movie ATTO V. EPILOGO – CHE IL MONOMITO SIA CON TE

Campbell è stato il mio Yoda

Il figlio dei soli Il Viaggio di Lucas e gli UFO Si parte per il Viaggio Lucas in fabula Star Wars L’anima di Luke Apoteosi L’impero colpisce ancora Il ritorno dello Jedi Alderaan rossa? Titoli di coda Ringraziamenti Note Bibliografia Sitografia Videografia

Ai miei genitori, che quarantatré anni fa diedero origine al viaggio di questo libro portandomi al cinema.

Legenda

I film «Star Wars»: il film originale del 1977. «L’impero colpisce ancora»: il film originale del 1980. «Il ritorno dello Jedi»: il film originale del 1983. «Star Wars: Una nuova speranza» (o, in alternativa, «Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranza»): la riedizione di Star Wars del 1997. «La saga di Star Wars»: tui e nove i film della «saga ufficiale» dal 1977 al 2019. «La trilogia originale» (o, in alternativa, «La trilogia classica»): Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranza (1977); Star Wars: Episodio V – L’impero colpisce ancora (1980); Star Wars: Episodio VI – Il ritorno dello Jedi (1983). «La trilogia prequel»: Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma (1999); Star Wars: Episodio II – L’aacco dei cloni (2002); Star Wars: Episodio III – La vendea dei Sith (2005). «La trilogia sequel»: Star Wars: Episodio VII – Il risveglio della forza (2015); Star Wars: Episodio VIII – Gli ultimi Jedi (2017); Star Wars: Episodio IX – L’ascesa di Skywalker (2019). Fuori dalla saga ufficiale hanno avuto distribuzione cinematografica altri tre film: Star Wars: e Clone Wars (2008); Rogue One: A Star Wars Story (2016); Solo: A Star Wars Story (2018). I nomi Mi riferirò sempre ai nomi originali inglesi dei personaggi della saga e non a quelli italiani, che in alcuni casi sono diversi. esto per evitare una fastidiosa confusione tra i

primi e i secondi, vista la mole di citazioni in lingua inglese del libro. Inoltre, con il tempo, gli adaatori dei dialoghi italiani hanno ripensato le loro scelte e hanno stabilito di chiamare i personaggi con i nomi originali. Per esempio, il nome che il doppiaggio italiano ha dato a Han Solo è stato Ian Solo, e poi Han. Mi riferirò a lui sempre come Han. Allo stesso modo per Leia (Leila), il piccolo droide R2-D2 (C1-P8), C-3PO (D-3BO), Chewbacca (Chewbecca), Darth Vader (Dart Fener).

Introduzione

A distanza di quarantasei anni da Star Wars, il 2023 potrebbe essere l’anno dell’Episodio X della saga di Guerre stellari, il primo della quarta trilogia. Al momento le notizie sulla storia e sul nome del regista sono ancora nel limbo delle ipotesi. A seembre del 2021 però, la Walt Disney Company ha fao trapelare la data di uscita del film Rogue Squadron, direo da Pay Jenkins (regista degli ultimi due Wonder Woman): il 22 dicembre 2023. È probabile che la nuova trilogia non ruoterà più intorno ai destini della famiglia Skywalker ma sarà ambientata in un’altra galassia e in un altro tempo, forse tra i cavalieri della Vecchia Repubblica (o dell’Alta Repubblica). D’altronde è stata la stessa Lucasfilm ad annunciare, nel 2018, che Star Wars: Episodio IX – L’ascesa di Skywalker sarebbe stato il capitolo finale della saga degli Skywalker. ello che è certo è che la Disney ci ha abituato a non poche sorprese. In ogni caso, che si trai di un episodio ufficiale, di uno spin-off o di un prequel, tra due anni i fan di Star Wars avranno nuovo pane per i loro denti. Ho visto Star Wars l’anno in cui uscì in Italia. Ricordo bene, anche se ero molto piccolo, l’eccitazione legata all’evento. La stessa di quando, ormai preadolescente, vidi i due episodi successivi. In quegli anni, durante le feste organizzate dai miei amici delle elementari si proieavano in Super8 le comiche di Stanlio e Ollio e Star Wars. Pochi mesi ed era già diventato un classico. Un termine, questo, non a caso al centro della nostra riflessione. Eppure negli USA il film era uscito nel maggio del 1977 in sole quarantadue copie. Paragonandole al numero degli schermi statunitensi (circa tremilacinquecento contro circa quarantamila), è lo stesso tipo di uscita che oggi sarebbe riservata in Italia a un piccolo documentario indipendente

italiano: quaro o cinque sale. E come un piccolo (fortunato) documentario indipendente italiano sarebbe dovuto rimanere in sala uno o due week-end. La Fox credeva così poco nel film infai che consigliò al Chinese eatre di prenderlo per sole due seimane e lo impose agli esercenti come fondo di listino, considerando come film di punta, di “serie A”, L’altra faccia di mezzanoe di Charles Jarro, trao dal mega best seller di Sidney Sheldon. alcuno si ricorda di questo film? alcuno non si ricorda di Star Wars? Ebbene, io sono tra quelli che non solo lo ricorda bene ma che può dire abbia contribuito significativamente alla decisione di intraprendere la carriera di regista. Ecco perché ho deciso di scriverne. Ed ecco perché questo libro ha una genesi creativa di quarantaquaro anni. arantadue passati a scriverlo inconsciamente, due lucidamente. Il secondo motivo risiede nel fao che l’approccio critico italiano alla saga è ancora oggi segnato da un certo snobismo. Il film del 1977, in particolare, è raramente considerato nei dizionari o nelle storie del cinema di fantascienza, così come è spesso considerato dai “recensori accreditati” poco più di un banale e superficiale prodoo per bambini. Eppure la leeratura non italiana sul film, al neo di quella esplicitamente promozionale, è sterminata e in alcuni casi davvero interessante. Mentre quella italiana è, almeno dal punto di vista quantitativo, molto scarsa. esto libro cerca di colmare questo vuoto, con la consapevolezza che dietro a Star Wars e la sua saga si muovono immaginari, conflii, riflessioni e politiche industriali non solo molto complessi ma anche, soprauo, capaci di rispondere a numerosi, cardinali quesiti sulla natura del cinema hollywoodiano e del Cinema tout court. Sono infai convinto che Star Wars sia stato un “filmcerniera” tra un prima (la Hollywood classica) e un dopo (la New Hollywood dell’epoca Reagan). Dopo Star Wars (e Lo squalo) nulla fu più come prima. Noi, non siamo stati più quelli di prima.

A metà strada tra una rigorosa riflessione sulla scriura cinematografica e un viaggio nel profondo del nostro inconscio, con Star Wars. La poetica di George Lucas proverò a coniugare saggio e suggestione, storia e storie, genesi e influenze del più formidabile prodoo audiovisivo (e non solo) di tui i tempi. Partirò dalla fotografia che Aristotele fa, nella Poetica, delle regole fondamentali della narrazione drammatica; araverserò il Novecento alla scoperta di come quelle regole siano state applicate alla scriura hollywoodiana, generando la narrazione “classica”; mi soffermerò sul periodo d’oro della New Hollywood quando si formarono i “ragazzacci”, i più grandi registi della vecchia generazione (Scorsese, Coppola, Lucas, Spielberg…); sbirceremo insieme dietro le quinte caotiche e rutilanti della genesi di Star Wars e dell’amicizia di Lucas con Spielberg; analizzerò al microscopio le influenze del film, i rimandi alla Hollywood “mitica”, la composizione stratigrafica dei generi, la cultura pop e i riverberi del drammatico momento storico degli USA degli anni sessanta e seanta; affronterò la polemica scatenata da Scorsese monopolio Disney-Fox, la Marvel e i film-parchi-a-tema;

sul

scenderò negli abissi dell’inconscio colleivo del nuovo eroe occidentale incarnato da Luke Skywalker per sondarne, non solo dal punto di vista psicanalitico, paure e desideri, destini di morte e rinascita, la rabbia dell’adolescenza e la resistenza alla maturità. Insomma tenterò di raccontare la storia di come è stata pensata, scria e filmata quella che è stata definita la Nuova Religione, la nuova mitologia contemporanea. Azzarderò in definitiva un’analisi a tuo tondo della scriura dell’intera saga di Star Wars, concentrandomi soprauo sulla trilogia originale affrontandone la genesi dalle più disparate prospeive disciplinari.

Sono convinto perciò che questo libro potrà essere utile non solo ai fan di Star Wars, agli appassionati di cinema, filosofia e antropologia, o ai semplici curiosi, ma anche a chi sta iniziando a immaginare una carriera da sceneggiatore cinematografico e per questo ha iniziato a leggere i manuali hollywoodiani moderni. Il motivo è che questo non è un manuale e dunque non deve vendere alcun paradigma ma, al contrario, vuole essere il più obieivo possibile su ciò che è stato deo in duemila anni di regole di scriura. L’unico punto di vista che esprime, da quest’oica, è che non esiste un sistema di norme oggeivamente efficace, che nessun “guru” ha o ha mai avuto la verità in tasca. Che nessun libro vi assicurerà la riuscita di un film. E che, nonostante questo, i manuali vanno lei e approfonditi. È l’unico modo per superarli. I personaggi principali della nostra storia George Lucas, Aristotele, Joseph Campbell, Martin Scorsese, Alfred Hitchcock, C.G. Jung, Luke Skywalker, Darth Vader, Leia Organa, Han Solo, R2-D2 e C-3PO, Steven Spielberg, Edipo, Flash Gordon, Buck Rogers, Christopher Vogler, Akira Kurosawa, Sergio Leone, David Lynch, Jaco Van Dormael, Marcia Lucas, Lawrence Kasdan, Umberto Eco, Ronald Reagan, Richard Nixon, Stanley Kubrick, Humphrey Bogart, Godzilla, Alien, Walt Disney e Mickey Mouse, J.J. Abrams, Frank Capra, Pinocchio, Deak Starkiller, Re Artù, Mando, il figlio dei soli, Bob McKee, Dorothy, Douglas Fairbanks…

Prologo

ando ho iniziato a scrivere mi sono reso conto che il mio obieivo – il tentativo di comprendere come Lucas abbia potuto creare un meccanismo mitopoietico così efficace nel depositarsi in modo permanente nell’immaginario colleivo – poteva avere senso solo se fossi riuscito a far dialogare tra loro più discipline in una reciproca risonanza. L’esercizio della critica cinematografica, infai, non può dimenticare che un film è un prodoo industriale e tecnologico prima ancora di essere un prodoo culturale e che è “geato nel molteplice” del reale. ando ho (ri)leo tuo ciò che di rilevante è stato scrio su Lucas e il suo cinema e l’ho confrontato con la mia esperienza di autore di film e documentari internazionali e di docente di cinema, mi sono reso conto che la strada capace di coniugare teoria e pratica mi era congeniale e che avrebbe potuto generare una prospeiva inedita: quella di chi rivede il cinema che l’ha formato con l’occhio ormai maturo del professionista che cerca sempre nuove risposte per il suo lavoro. Il passaggio fondamentale di un articolo del New York Times nel quale Scorsese spiega esaustivamente il suo pensiero sui Marvel Movies recita per esempio: “Il Cinema ha spazio solo se nell’industria esiste una tensione produiva” (si riferisce al periodo della New Hollywood, che traiamo nel Terzo Ao). Altrimenti, è solo cinema (con la “c” minuscola). Ergo, anche il Cinema con la “C” maiuscola è sempre, soprauo, una questione produiva. E per chi, come me, ha continuamente dovuto inventare dal nulla le condizioni produive per fare cinema – e ogni volta scrive e dirige un “prototipo”, alieno dalle forme industriali vigenti – comprendere a fondo queste dinamiche è fondamentale per

aggiornarsi e riuscire a strappare con i denti e le unghie il suo prossimo film al sistema. Fare cinema è un’operazione complessa, soggea a una moltitudine di imprevisti e di ostacoli di ogni ordine proprio perché oltre a essere scriura, e molto raramente arte, è anche tecnica, economia, finanza, industria. Non c’è altro modo dunque che affrontare la genesi di un tipo di cinema come quello della trilogia originale, prototipale, se non facendo costante riferimento agli inestricabili intrecci tra questi aspei. Come accennavo, durante la scriura del libro ho avuto il privilegio di seguire la polemica esplosa a partire dalle dichiarazioni di Scorsese rilasciate durante l’intervista a Empire nei primi giorni di oobre 2019. La discussione ha coinvolto, nel tempo, nomi pesanti come quelli di Francis Ford Coppola, Mark Ruffalo, James Gunn, Ken Loach, Chadwick Boseman, Bret Easton Ellis, Benedict Cumberbatch, Alan Moore, Bob Iger (CEO della Disney), che a diverso titolo si sono espressi più o meno a favore delle tesi del regista di Toro scatenato. Più volte e in vario modo equivocato, soprauo dai difensori del Multiverso Marvel che ritenevano che Scorsese stesse banalmente esprimendo i suoi gusti cinematografici, il discorso del regista italoamericano si concentrava invece sulla degenerazione del fenomeno dei blockbusters moderni. La lucidità e i veri obieivi della sua analisi sono comprovati dal termine che usa per definirli: theme park movies, cioè “film parco a tema”. Come vedremo, infai, il cosiddeo “film-concerto” è espressione coniata da Laurent Jullier per identificare “un cinema che ha lo scopo di suscitare nello speatore pure sensazioni, fino a una sorta di dolce ebbrezza, di leggera vertigine”. Approfondendo il senso di questa definizione scopriremo insieme che i prototipi di questo prodoo industriale contemporaneo sono Lo squalo (Steven Spielberg, 1975) e soprauo Star Wars (George Lucas, 1977). Molti tra gli analisti più raffinati sono caduti a loro volta nell’equivoco,

ritenendo che Scorsese stesse aaccando anche questi due film. Ma lo stesso regista ha più volte chiarito che ciò che fa di un blockbuster contemporaneo un mero prodoo commerciale senza anima, che Scorsese afferma “non essere Cinema”, è la sua natura esclusivamente produivoindustriale: sarebbero infai oggei pensati a tavolino dagli executives degli studios, privi quindi di una visione personale, quella del regista. Visione che invece Star Wars possedeva a pieno titolo. Visto che furono proprio (anche) gli stessi executives della Fox a non credere nelle potenzialità del film. È un dato di fao che il secondo incasso di tui i tempi, secondo solo a Via col vento, abbia prodoo una rivoluzione estetica, industriale, di marketing e narrativa senza precedenti. I motivi alla base di questo successo sono l’oggeo principale di questo libro e sono individuati nella capacità di Lucas di recuperare, al momento giusto e in piena sintonia non solo con lo Zeitgeist controculturale statunitense della sua epoca ma anche con quello conservatore reaganiano a venire, la cosiddea “narrazione mitica”. Da una parte quella legata al cinema hollywoodiano classico, con riferimenti, come vedremo, a Casablanca, Via col vento, Sentieri selvaggi e Il mago di Oz (e non solo); dall’altra quella di Campbell e Jung. Motivi che risiedono anche, non a caso, nel fao che Star Wars fu immaginato e realizzato in una fase in cui esisteva davvero una situazione di forte tensione produiva: la New Hollywood. La cosa davvero interessante è che oggi, nell’epoca dell’emersione quasi incontrollata delle piaaforme online come Netflix (anche a causa della pandemia), viviamo di nuovo la possibilità di una tensione produiva nel cinema, stavolta a livello globale. A seembre Denis Villeneuve ha tuonato contro lo streaming della HBO: “La Warner Bros. ha ucciso il mio Dune! Ci abbiamo messo tre anni per prepararlo meticolosamente con suono e immagini pronte per una sala: il futuro del cinema è su grande schermo, qualunque cosa dica un dileante di Wall Street” (Il Fao otidiano). Il giornalista,

Davide Turrini, commenta: “Che rinasca una nuova New Hollywood?” Ad agosto del 2020 la stessa critica energica era stata espressa da Christopher Nolan a proposito di Tenet. Chissà, magari Lucas ha venduto il suo franchise alla Disney nel 2012 proprio perché aveva capito che con la finanza di Wall Street ormai così incistata a Hollywood sarebbe stato impossibile continuare a fare il cinema che voleva, e che ormai le major avevano come unica necessità economica quella di aspeare i dividendi di fine anno per soddisfare gli shareholders? Per analizzare nella maniera più aenta possibile la genesi e le intenzioni del terzo lungometraggio di George Lucas, mi sono avvalso di una bibliografia molto ampia e ho dovuto fare molta aenzione a distinguere tra ciò che è ormai diventato leggenda e i fai oggeivi. La sterminata produzione critica sulla saga di Star Wars è senza dubbio un serbatoio di analisi formidabili e narrazioni biografiche interessanti, ma presenta anche una quantità non indifferente di testi agiografici o quantomeno incapaci di riconoscere ciò che è il prodoo di sofisticate strategie di marketing e ciò che non lo è. Il libro prende la sua rincorsa da molto lontano, affrontando nel Primo Ao la formazione del linguaggio narrativo della Hollywood classica araverso la storia della manualistica delle photoplays prima (così veniva chiamato “il film” all’inizio del secolo scorso) e degli scripts (le sceneggiature) poi, partendo dalla prospeiva aristotelica della Poetica. In questo modo ho potuto effeuare in seguito raffronti il più esai possibile tra lo stile e la sceneggiatura della saga di Lucas e la tradizione. Il Secondo Ao approfondisce le teorie sul cinema classico prendendo come esempio, tra gli altri, Via col vento, Casablanca e Il mago di Oz. Infine cerca di dimostrare come Lucas si sia avvalso della tradizione mitica della Hollywood

classica e della cosiddea “scriura invisibile” come strumento di stile, anche in relazione al discorso musicale. Con il Terzo Ao ci immergeremo nella New Hollywood, il decennio in cui si formarono Lucas e i suoi colleghi approfiando di un periodo in cui gli studios erano in difficoltà e si appoggiavano ai filmmaker e alle produzioni indipendenti. Approfondiremo soprauo le differenze di temi, scriura e stile che divisero Lucas dai movie brats e la complicità con Spielberg, fino a lambire le coste del fenomeno dei blockbusters moderni, che proprio con Lo squalo e Star Wars presero l’abbrivio. Il arto Ao è dedicato all’analisi delle influenze su Star Wars da parte dei generi hollywoodiani (western, fantascienza, melodramma, war movie…) e chiude il cerchio dell’analisi sul recupero degli elementi mitici del passato da parte di Lucas, per generare una nuova, universale, definitiva mitopoiesi capace di trasformarsi addiriura in una religione. Nel into Ao vengono riprese alcune riflessioni del Primo Ao (Vogler e Campbell) e vengono applicate alla trilogia originale: il Viaggio dell’Eroe Luke Skywalker. Anche da questo punto di vista Lucas ha sostenuto la narrazione della saga avvalendosi di premesse mitiche.

Ao I. Preparazione Aristollywood

Vi chiedo di fare un piccolo gesto di fiducia: più ci inoltreremo insieme nel sentiero che ci avvicina al into Ao e più vi renderete conto di come ognuno dei trai del sentiero risuoni con l’altro, generando una leura in cui le semine dei primi Ai saranno raccolte nei successivi. “Semina” e “raccolta” sono infai alcuni dei termini usati nella sceneggiatura moderna per indicare anticipazioni, oggei o dialoghi di solito posti all’inizio della sceneggiatura e che sono recuperati nei momenti chiave della storia. La pistola che lo sceneggiatore ci fa intravedere nel casseo, o nel portaoggei di un’automobile, prima o poi dovrà sparare altrimenti non le sarebbe stata dedicata un’inquadratura ravvicinata. Fate molta aenzione alle pistole che incontrerete durante la leura, dunque: prima o poi spareranno. Per aiutarvi a riconoscere semine e raccolte, ho ritenuto utile mutuare il sistema utilizzato da Giampaolo Dossena nella sua Storia confidenziale della leeratura italiana. I rimandi sono in parentesi tonde. Se il rimando è a un capitolo ancora da leggere, viene segnalato con una freccia che punta verso destra, posizionata prima del titolo del capitolo cui si rimanda; per esempio (→ ACTION!). Se il rimando è a un capitolo già leo, viene segnalato con una freccia che punta verso sinistra posizionata dopo il titolo del capitolo cui si rimanda per esempio (La musica inaudibile ←). Se vi lascerete prendere per mano dall’autore e lo seguirete anche per alcune tortuose mulaiere, alla fine anche voi sarete premiati con l’elisir, obieivo finale di qualunque avventura eroica. La Poetica (di Aristotele)

La Poetica non è altro che una teoria delle proprietà di un certo tipo di discorso leerario.1 Il Massachuses Institute of Technology (MIT) fa la mappa dei “famosi” a livello globale della storia. […] La longevità della fama conta nel posizionamento in graduatoria, ha spiegato al New York Times il direore del progeo Cesar Hidalgo: ecco perché molti dei più famosi sono morti da almeno 1.500 anni. A sorpresa nella top ten delle celebrità in assoluto a livello globale, primeggia Aristotele seguito da Platone. Gesù Cristo, al terzo posto, bae Socrate, Alessandro Magno e Leonardo da Vinci.2 Prima di inoltrarci nel cuore del Primo Ao è necessaria una ricognizione di quanto Aristotele ci ha lasciato nella Poetica, cioè l’analisi della tragedia (la forma drammatica, il teatro) e dell’epica (la forma narrativa, la leeratura). Aristotele fonda la sua riflessione sul conceo di “imitazione”. L’epica, così come la poesia tragica, nonché la commedia, la composizione di ditirambi e la maggior parte dell’auletica e della citaristica nel complesso sono tue imitazioni.3 Il filosofo e scienziato greco si chiede subito, infai, quali siano i mezzi con cui la poetica imita, cosa imita e come imita. I mezzi sono il ritmo, il linguaggio e l’armonia (o

musica) (1, 19-30). Per esempio la poesia epica, la commedia e la tragedia imitano tui e tre i mezzi. La poetica imita “persone che agiscono” (2, 1-18). Se le persone imitate sono nobili (migliori di noi) avremo la tragedia (Eschilo) o l’epos (Omero); se sono ignobili (peggiori di noi) avremo la commedia (Egemone di Taso); le persone imitate possono essere, infine, simili a noi (Cleofonte). Aenzione perché “le persone che agiscono” sono il cuore della riflessione di questo Ao (→ ACTION!). Non è un caso che Aristotele parli di azione e non di parola, canto o pensiero, caraere. Il modo in cui la poetica imita tue queste cose (3, 18-41) determina se la forma è drammatica (tragedia) o narrativa (leeratura epica). Aristotele riflee poi sull’origine della poesia e sulla sua evoluzione. Due cause appaiono in generale aver dato vita all’arte poetica, entrambe naturali: da una parte il fao che l’imitare è connaturato agli uomini fin dalla puerizia […], dall’altra il fao che tui traggono piacere dalle imitazioni.4 Conclude che da “imitazioni di persone che valgono meno” con canti di vituperio (commedia e parodia) si è passati a imitazioni di azioni di gente nobile (inni ed encomi). C’è poi stata una graduale introduzione del metro giambico nei canti di vituperio e dalla forma narrativa si è passati a quella drammatica (4 e 5). La tragedia sarebbe nata invece dal ditirambo: con Eschilo si passò dalla presenza in scena di un solo aore a due e diminuì l’importanza del coro; con Sofocle si passò da due a tre aori e fu introdoa la scenografia; ma fu con il passaggio dal tetrametro trocaico a quello giambico e con l’aumento del numero degli episodi che la tragedia fu definita. La commedia invece nacque dalle falloforie (processioni in onore di Priapo o Dioniso): il primo commediografo fu Cratete di Atene, contemporaneo di Eschilo.

Tragedia è dunque imitazione di un’azione seria e compiuta, avente una propria grandezza, con parola ordinata, distintamente per ciascun elemento nelle sue parti, di persone che agiscono e non tramite una narrazione, la quale per mezzo di pietà e paura porta a compimento la depurazione [catarsi] di siffae emozioni.5 Ed eccoci alla prima delle grandi riflessioni intorno alle quali gira il nostro viaggio. Joseph Campbell, lo studioso di mitologia e religioni comparate che impareremo a conoscere bene (→ Il Viaggio dell’Eroe), fa una descrizione approfondita di questi tre ingredienti principali dell’imitazione poetica, perno della riflessione di Aristotele: “pietà” e “paura” per l’oenimento della “catarsi”. La pietà è il sentimento che ci invade in presenza di tuo ciò che è grave e costante nelle sofferenze umane e ci unisce a colui che soffre. Il terrore è il sentimento che ci assale in presenza di tuo ciò che è grave e costante nelle sofferenze umane e ci unisce alla loro causa segreta. […] nella tragedia la catarsi (cioè la “purificazione” o “espiazione” delle emozioni dello speatore araverso la pietà e il terrore) corrisponde a una più antica catarsi rituale (“una purificazione della comunità dai miasmi e dai veleni dell’anno precedente, dall’antico contagio del peccato e della morte”) che costituiva lo scopo delle orge e dei misteri di Dioniso, il toro-dio smembrato.6 esto ragionamento ci consente di aprire subito una breve parentesi su un’altra questione che affronteremo meglio: i tre ai dello script hollywoodiano (→ e Restorative ree-Act(ion) Structure). Come dimostreremo, nonostante diversi manuali di sceneggiatura hollywoodiani si rifacciano alla divisione aristotelica della narrazione tragica in “inizio”, “metà” e “fine” (capitolo 7 della Poetica) per giustificare la divisione in tre ai di uno script, in realtà si traa di una forzatura interpretativa. Ciò non toglie che sia comunque presente in Aristotele una forte idea di flusso narrativo struurato in tre momenti, che coincidono – più o meno – con l’impostazione hollywoodiana dei tre ai che Syd

Field ha formalizzato nel 1979 (→ I “guru”). esti momenti sono secondo alcuni, appunto: “pietà”, “paura” e “catarsi”. A guardare bene infai, il primo ao hollywoodiano non è altro che la circostanza in cui la narrazione deve costruire nello speatore l’empatia nei confronti dell’eroe, cioè la “pietà” nei confronti del suo “conflio”, percepito come immeritato (→ Una luce che cammina nel cielo). Il secondo ao è quello in cui l’eroe inizia ad agire. Lo speatore adesso è costreo a provare quindi, in empatia con l’eroe, il suo stesso “terrore” (“paura”) per la loa in corso. Nella Retorica Aristotele spiega che si prova “terrore” per qualcosa di inevitabile, la cui soluzione (o acceazione) non si può più rimandare. In effei il secondo ao hollywoodiano segue il momento in cui l’eroe si trova spalle al muro ed è costreo ad agire (quello che in una sceneggiatura hollywoodiana è chiamato “incidente scatenante”, uno degli snodi narrativi più importanti del primo ao di una sceneggiatura, quello che dà l’abbrivio all’azione). Nel terzo ao infine, avviene la risoluzione del conflio, la “catarsi” che porta al nuovo equilibrio. Che si trai di “sollievo” dalle passioni vissute dall’eroe (interpretazione psicologica della catarsi); di un modo per imparare a sopportare i mali futuri; o infine del piacere che deriva dal sapere che le emozioni negative sono solo rappresentate e non vissute in prima persona (interpretazione estetica della catarsi, vedi nota 796 sul sublime), la “catarsi” non può che essere la conclusione del viaggio. Ecco quindi che “pietà”, “paura” e “catarsi” combaciano affao con primo, secondo e terzo ao hollywoodiani. Sempre nel capitolo 6 della Poetica troviamo nuovamente quell’aenzione al conceo fondamentale di “azione” che sarà così importante per la riflessione sul cinema hollywoodiano classico (→ ACTION!): “Poiché è agendo che si realizza l’imitazione” (6, 31-32); “Poiché è imitazione di un’azione ed è agita da alcuni che agiscono” (6, 36-37); “La tragedia infai è imitazione non di uomini ma di azioni e di modo di vita; non si agisce dunque per imitare i caraeri, ma si assumono i caraeri a motivo delle azioni; pertanto i fai, cioè il racconto, sono il fine della tragedia, e il fine è la cosa

più importante di tue” (6, 16-23); “senza azione non può esserci tragedia, senza caraeri può esserci” (6, 24-25). Aristotele individua qui anche i sei elementi costitutivi della tragedia: μữθος (mythos, variamente tradoo con “favola” o “racconto”), “caraeri”, “linguaggio”, “pensiero”, “speacolo” o “vista” (Őψις, òpsis) e “musica”. Un elenco cui viene faa una tripartizione solitamente spiegata così: musica e linguaggio sono i mezzi dell’imitazione; lo speacolo è il come; pensiero, caraeri e racconto sono ciò che la tragedia imita. E qui viene in mente un’altra importante considerazione: quella sulla differenza tra fabula e plot/intreccio (→ Lo stile invisibile; → Star Wars, un film muto). La fabula è infai “ciò che” si racconta, il plot è “come” lo si racconta, cioè la fabula una volta passata nel frullatore delle arti retoriche dell’affabulazione. Il capitolo 7 affronta la composizione dei fai, dal momento che si traa del primo e più importante elemento della tragedia.7 La tragedia ha, come abbiamo anticipato, un “inizio”, un “mezzo” e una “fine” e rappresenta il passaggio dalla felicità all’infelicità o viceversa, nel giusto lasso di tempo. Viene qui perciò introdoo il conceo di unità di tempo: Come per i corpi e gli animali ci deve essere una grandezza e questa deve essere facilmente abbracciabile con uno sguardo, così anche per i racconti ci deve essere una durata e questa deve consentire una facile memorizzazione.8 Mentre è nel capitolo 8 che Aristotele affronta l’unità di azione. Vale la pena soffermarci anche su questo passaggio perché è stato oggeo di diversi equivoci: è l’unica unità che, delle tre (tempo, azione e luogo), può essere ragionevolmente accreditata ad Aristotele. Il racconto è unitario, non come alcuni pensano, quando ha per argomento una sola persona, perché a uno solo accadono molti, innumerevoli fai, da alcuni dei quali

non scaturisce alcuna unità. Così anche vi sono molte azioni di una sola persona dalle quali non si produce alcuna azione unitaria.9 Il racconto, essendo imitazione di un’azione, deve imitare piuosto un’azione unica e intera in modo che le uniche azioni imitate siano necessarie, cioè quelle che, se soppresse o spostate, compromeono l’insieme dell’azione e viceversa. Un esempio che viene direamente da una delle regole base dello script hollywoodiano: “Nella scriura, è necessario entrare in una scena/azione il più tardi possibile e uscirne il più presto possibile” si dice tra sceneggiatori, cioè è fondamentale riconoscere quelle azioni non essenziali per la narrazione di una scena ed eliminarle. Anche secondo John Howard Lawson, nel suo eory and Technique of Playwriting and Screenwriting (1949), uno dei manuali storicamente più importanti di scriura drammaturgica e cinematografica (→ Il difeo fatale), la derivazione aristotelica delle tre unità è tu’altro che accertata. Si ritiene che le unità di tempo e luogo derivino da Aristotele, ma è inesao. Non ha mai menzionato l’unità di luogo e il suo unico riferimento al tempo è il seguente: “La tragedia si sforza, per quanto possibile, di limitarsi a una singola rivoluzione del sole o poco più.” Gli autori delle tragedie greche spesso mancavano di osservare tale limitazione.10 Un altro capitolo della Poetica che andrebbe studiato a fondo da alcuni cineasti contemporanei è il capitolo 9: è infai quello dedicato alla differenza tra “poesia” e “storia”. Perciò la poesia è cosa di maggiore fondamento teorico e più importante della storia perché la poesia dice piuosto gli universali, la storia i particolari.11 Per esempio Giuseppe Ferrara, parlando del suo Il caso Moro (1986) durante un’intervista nel documentario Fuori fuoco – Cinema, ribelli e rivoluzionari,12 ha dichiarato: “Io credo che il cinema sia una formidabile sonda per

rappresentare la realtà.” Il caso Moro, come altri film di Ferrara, cade infai nell’equivoco della mimesi totale dei personaggi poetici con quelli storici. Nello stesso documentario Marco Bellocchio esprime un’opinione opposta a quella di Ferrara. Bellocchio si riferisce al suo film su Moro, Buongiorno, noe (2003), in cui lo statista della DC interpretato da Roberto Herlitzka, nella scena finale, esce dalla prigione delle BR e cammina, libero, saltellando per una Roma livida ma carica di speranza: “Io continuo a insistere che il cinema italiano ha bisogno di questa immaginazione,” afferma Bellocchio. esto, pur essendo Herlitzka truccato e vestito esaamente come Moro, e dunque ricercando il regista quella stessa mimesi che Ferrara auspica e Bellocchio dice di voler rigeare. Si traa di una scena che in ogni caso tradisce intenzionalmente la verità storica per parlare del presente. In questo modo il regista piacentino prova a meere in pratica il deato aristotelico. Non è importante, insomma, che l’aore che interpreta Aldo Moro sia vestito in quel modo particolare e abbia quel modo particolare di parlare. È importante che sia poeticamente simile a Moro, che sia in grado cioè di restituirne gli universali, il senso profondo della sua figura. Nei capitoli 10 e 11 Aristotele introduce i concei di “peripezia” (rovesciamento) e “riconoscimento”, che fanno di un racconto un racconto complesso, cioè lo rendono la tragedia perfea: I racconti sono alcuni semplici altri complessi, perché tali sono anche le azioni di cui i racconti sono imitazioni. Chiamo semplice un’azione nel cui svolgimento, come si è definito, continuo e unitario, ha luogo il mutamento senza rovesciamento o riconoscimento; complessa invece quella dalla quale il mutamento ha luogo insieme con riconoscimento, rovesciamento o entrambi.13 È forse da questo passaggio (un’azione dallo svolgimento “continuo e unitario”) che si comprende il vero senso di ciò che Aristotele intende, rispeivamente, per unità di tempo e azione. L’unità della narrazione serve quindi a convogliare in un’unica direzione la carica emotiva della tragedia. Meglio si

realizza la connessione consequenziale degli avvenimenti, meglio cioè funziona il principio di verosimiglianza, che è lo strumento mimetico dell’unità, più alta risulta la tensione drammatica, più potente cioè l’effeo della tragedia. Potremmo applicare questa riflessione ad alcuni dei film che rispeano in modo estremo l’unità di luogo, tempo e azione, come alcuni drammi e horror del cinema moderno: Non aprite quella porta (Tobe Hooper, 1974, quasi tuo ambientato nella villa texana della famiglia Sawyer e considerato fra i film più spaventosi della storia del cinema); Buried – Sepolto (Rodrigo Cortés, 2010, in cui non si esce mai dalla bara di legno in cui è stato sepolto vivo Paul Conroy); Locke (Steven Knight, 2013), una noe di passione, scelte e catarsi per Tom Hardy durante un viaggio in automobile, dalla quale la MDP (macchina da presa) non esce mai. Oppure come alcune sequenze all’interno di film più complessi, come quella in cui Beatrice Kiddo è sepolta viva nel film Kill Bill – Volume 2 (entin Tarantino, 2004). Oppure infine lo straordinario, tesissimo Il colpevole – e Guilty (Gustav Möller, 2018), in cui un agente di polizia confinato al centralino del numero d’emergenza riceve la telefonata di una donna disperata e sarà costreo a scoprire che la sua tragica storia non è ciò che sembrava. Il film è interamente ambientato nei locali del centralino e il tempo della storia coincide con il tempo della narrazione. La condizione di coincidenza maggiore tra le tre unità, e di conseguenza di maggiore tensione emotiva e immedesimazione, si verifica nei cosiddei “piani sequenza”, in cui assistiamo a una narrazione priva di quelle seppur minime, virtuali, traumatiche ellissi temporali generate dallo stacco di montaggio. Esempi celebri sono la sequenza iniziale di tre minuti dell’Infernale inlan (Orson Welles, 1958); diverse sequenze dei film di Brian De Palma, che ha fao del piano sequenza una personale cifra stilistica nei suoi thriller; Nodo alla gola (Alfred Hitchcock, 1948), in cui l’intero film è un unico piano sequenza di seantasee minuti; e Arca russa (Aleksandr Sokurov, 2002), ambientato esclusivamente dentro l’Hermitage di San Pietroburgo.

L’ultima parte del capitolo 11 della Poetica affronta quello che Lanza traduce con “evento traumatico” (πάθος, pathos), e che Guido Paduano traduce invece con “sciagura”.14 Si traa perlopiù “di uccisioni, il cui realizzarsi o no costituisce un elemento per la classificazione delle tragedie”.15 Aristotele sceglie come esempio il momento in cui Edipo, nell’Edipo re di Sofocle, si acceca dopo aver scoperto che la profezia dell’oracolo di Delfi si è avverata: ha ucciso il padre e ha giaciuto con la madre. Nell’Amleto è la morte violenta di tui i protagonisti della tragedia ecceo Orazio: Ofelia, il re, la regina, Laerte e lo stesso Amleto. Il capitolo 13 sembra descrivere la matrice di gran parte delle narrazioni e dei personaggi (non necessariamente tragici) del cinema hollywoodiano, da Spielberg a Capra, da Bernie LaPlante (Dustin Hoffman in Eroe per caso, Stephen Frears, 1992) a Joan Wilder (Kathleen Turner in All’inseguimento della pietra verde, Robert Zemeckis, 1984). Vale la pena riportarne un lungo passaggio: Poiché la composizione della migliore tragedia deve essere non semplice ma complessa, e imitativa di fai paurosi e pietosi (ciò è proprio di questo tipo di imitazione), anzituo è chiaro che non devono essere mostrati gli uomini degni di stima, che volgano dalla buona sorte alla sventura, perché questo non è pauroso né pietoso, ma ripugnante; neppure i malvagi dalla sventura alla buona fortuna, perché questo è il massimo di estraneità alla tragedia, in quanto non presenta nulla di cui c’è bisogno: non è conforme al senso morale, né pietoso, né pauroso; neppure, per contro, il perfeo malvagio che cade dalla buona sorte nella disgrazia, perché una composizione siffaa comporterebbe sì senso morale, ma non pietà né paura, la prima è infai relativa a colui che è indegnamente tribolato, la seconda relativa a chi è simile (pietà per chi non merita, paura per chi è simile), pertanto ciò che avviene non sarà pietoso né pauroso. Resta dunque il caso intermedio tra questi. È di questo tipo colui che, non distinguendosi per virtù e per

giustizia, non è volto in disgrazia per vizio e malvagità, ma per un errore, tra coloro che si trovano in grande fama e fortuna, come per esempio Tieste, Edipo e gli uomini illustri provenienti da siffae stirpi.16 Al neo dell’interpretazione morale o intelleuale del conceo di “errore”, Lanza fa correamente notare che qui va considerata solo la sua funzione nell’azione tragica. Da questo punto di vista siamo apparentemente di fronte alla prima definizione di ciò che la manualistica hollywoodiana chiamerà millenni dopo “incidente scatenante”, oppure fatal flaw (ne riparleremo più avanti e nel Secondo Ao). Il capitolo 14 sembra riferirsi a quella che a me piace definire la distinzione tra cinema horror “erotico” e cinema horror “pornografico”. Aristotele descrive ciò che è specifico della tragedia (e più in generale della poetica) e ciò che non lo è: È possibile che quel che muove paura e pietà si produca per effeo della vista, ed è anche possibile che si produca per effeo della stessa composizione dei fai, ciò che è preferibile e del poeta migliore. Anche senza il vedere, il racconto deve essere composto in modo tale che chi ascolta i fai che si svolgono, per effeo degli avvenimenti, sia colto da tremore e pianga, ciò che si può provare udendo il racconto di Edipo. Procurare questo effeo per mezzo della vista è invece piuosto estrinseco all’arte e legato alla messinscena. Coloro poi che, per mezzo della vista, non procurano il pauroso, ma soltanto il mostruoso, non hanno nulla in comune con la tragedia, perché nella tragedia non si deve cercare un piacere qualsiasi, ma quello suo proprio. Poiché il poeta deve produrre il piacere che si dà grazie all’imitazione da pietà e paura […].17 Lanza rileva la chiave polemica del capitolo: “La vista, cioè l’aspeo visivo dell’esecuzione teatrale [speacolo, messinscena], viene considerata di fao inutile o addiriura supporto della pochezza poetica, e tuo viene riportato alle potenzialità del racconto.”18 Ritengo che qui sia in ballo

l’essenza dello specifico teatrale e cinematografico, cioè quelle due arti narrative che, diversamente dalle altre (musica, leeratura, poesia…), basano la loro tecnica anche, spesso soprauo, sull’aspeo visivo che, secondo quanto lo stesso Aristotele dichiara in un altro capitolo (il quinto), è utile ma non vincolante. Perché, quindi, cinema horror “erotico” e cinema horror “pornografico”? Perché la scelta di un tale genere moderno per spiegare Aristotele? Perché questo genere, proprio per la sua natura anche di prodoo meramente commerciale di serie B, ha la tendenza a “mostrare il mostro”, cioè a fare uso della “vista” a discapito della narrazione. In un horror, invece, ciò che davvero può generare paura e tensione è la perfezione del meccanismo narrativo e l’immedesimazione nei personaggi, nel loro “terrore”. Un horror è quindi “erotico” quando conta il meno possibile sull’effeo visivo fine a se stesso, cioè quanto meno fa vedere e quanto più allude. Potremmo prendere come esempio, tra i più efficaci e spaventosi (almeno alla prima visione), e Blair Witch Project – Il mistero della strega di Blair (Daniel Myrick e Eduardo Sánchez, 1999). Complice il genere scelto, il mockumentary (falso documentario) – in cui il pao di sospensione dell’incredulità tra opera e speatore viaggia su un filo soilissimo (→ Sospendere l’incredulità) – il mostro del film (la strega) è sempre fuori campo, solo evocato araverso la narrazione, eppure sempre presente. E proprio per questo più efficace. Si traa dello stesso modo di procedere di Steven Spielberg e Ridley Sco rispeivamente nello Squalo (1975) e Alien (1979): in entrambi i casi l’efficacia del mostro si basa sulla sua sorazione alla vista. Nello Squalo fu un problema tecnico che costrinse Spielberg a usare lo squalo meccanico solo molto tardi durante le riprese. In Alien l’intuizione arrivò solo in fase di postproduzione, quando si decise di tagliare la maggior parte delle pur costosissime scene girate con l’alieno creato da Carlo Rambaldi su idea di Hans Ruedi Giger. In un horror “pornografico”, invece, tuo è davanti agli occhi, tuo è mostrato, e ciò che viene generato non è “paura” o “pietà” ma “mostruoso”, l’orribile, il ribuante: cioè lo splaer. Ci sono

ovviamente casi in cui è un perfeo equilibrio tra “vista” e “racconto” a consentire il raggiungimento della massima efficacia: La cosa (John Carpenter, 1982). Ma è proprio la consapevolezza del rischio della “vista” da parte del regista a rendere così “pauroso” il film. Visto che abbiamo citato La cosa e ci stiamo occupando dell’horror, non possiamo non rilevare come questa riflessione si adai anche all’opera di H.P. Lovecra. Le infinite trasposizioni cinematografiche dei suoi racconti, soprauo quelle basate sul ciclo di Cthulhu, presentano quasi tue il medesimo problema. Lovecra descrive i mostri dei suoi racconti in maniera così minuziosa da renderli, in fin dei conti, astrai. Inoltre si traa di entità senza dubbio metaforiche, un formidabile strumento per rilevare l’impossibilità della mente umana di comprendere le – intollerabili – risposte alle domande più profonde sull’esistenza. Eppure il cinema lovecraiano ha sempre scelto di “mostrare il mostro”, disinnescando così la problematica complessità delle narrazioni e impedendo allo speatore di immergersi nell’oscura profondità dell’inconscio dei personaggi. Soprauo con Lovecra la strada dovrebbe essere, al contrario, quella indicata da Hitchcock: un assassino insegue una donna in un corridoio, la donna entra in una stanza, l’assassino la segue nella stanza. Il regista non entra in quella stanza con la macchina da presa. Lo speatore è molto più spaventato se può immaginare ciò che succede oltre la porta. Cthulhu fa molta più paura se lo si lascia fuori campo che se lo si mostra. È ciò che ho tentato di fare nel mio film Il mistero di Lovecra, in cui la sfida era proprio quella di posizionare la narrazione e la messa in scena al centro tra e Blair Witch Project e l’opera leeraria di Lovecra. Dal capitolo 15 al 22 Aristotele si concentra su alcune norme per comporre un buon intreccio. Dal capitolo 23 al 26, vengono delineate le differenze tra tragedia ed epopea. Si traa di riflessioni meno importanti ai fini della nostra analisi, perciò non le approfondiremo.

Aristotele e Hollywood Uno dei personaggi ricorrenti di questo libro, Christopher Vogler (→ Il Viaggio dell’Eroe), il più grande divulgatore del Monomito di Joseph Campbell, afferma nell’introduzione al libro di Ari Hiltunen Aristotele a Hollywood: Trovai che i due sistemi [quello di Aristotele e quello di Campbell] si completavano perfeamente a vicenda e condividevano lo stesso orientamento per cui il dramma e la narrazione mitica mirano entrambe [sic] a determinare nel pubblico un riequilibrio psicologico e una soddisfazione spirituale. Entrambi riguardano gli elementi necessari per creare l’esperienza drammatica catartica nel pubblico.19 Secondo molti la classicità hollywoodiana e Aristotele sono sinonimi. Per esempio, secondo Veronica Pravadelli: La classicità va intesa come una modalità narrativa i cui canoni sono in sintonia con la poetica artistotelica: il racconto è basato sulla “favola, cioè un ben ordinato intreccio di fai” in cui peripezie e riconoscimenti hanno un ruolo fondamentale. Nella tragedia la favola, l’azione, determina i caraeri, incarnati dai personaggi, e non il contrario. […] Del resto, sin dagli anni dieci i manuali di sceneggiatura americani prescrivevano che l’intreccio fosse costruito secondo le regole della Poetica.20 Come abbiamo visto più sopra, infai, Tragedia è dunque imitazione di un’azione seria e compiuta […]. Grazie a Pravadelli abbiamo anche introdoo altri elementi oggeo della riflessione, tra cui l’Azione. Un conceo che, come accennato, approfondiremo nel Secondo Ao dedicato alla narrazione classica. Sono molti altri i punti di contao tra le riflessioni di Aristotele e le regole dello script hollywoodiano. Ancora un

esempio, in merito al conceo aristotelico “verosimiglianza” (→ Sospendere l’incredulità):

di

Citando Aristotele, il narratore potrà e dovrà, dunque, “preferire l’impossibile verosimile al possibile incredibile”, perché anche la trama più realistica può risultare falsa se porta con sé buchi evidenti, balzi narrativi non giustificati, o una caraerizzazione abbozzata e incostante dei suoi protagonisti: “Se anche il personaggio che è alla base dell’imitazione è incoerente, e questo è dato come suo caraere, deve essere coerentemente incoerente.”21 Si traa, qui, di un aspeo macroscopico che segna una delle più profonde differenze tra il cinema statunitense e quello europeo. Se da un lato in Europa si è sviluppato un cinema dalle forti ainenze con il reale, un cinema ora impegnato socialmente ora capace di descrivere con grande maestria la travagliata psicologia dei propri personaggi araverso il ritmo e le immagini, in America si è scelta una strada differente: quella dell’apparente distacco dalla quotidianità, per raccontare, proprio come faceva il mito, l’ordinario araverso lo straordinario.22 Come vedremo, “raccontare l’ordinario araverso lo straordinario” è proprio ciò che farà Lucas con il suo Star Wars quando dovrà dare una forma cinematografica alle paure e le speranze degli USA del suo tempo. Che cos’è Incontri ravvicinati del terzo tipo (Steven Spielberg, 1978) se non la storia di un uomo di mezza età, Roy (Richard Dreyfuss), che si trova ancora nel mezzo del guado di una decisione importante: cercare di risolvere i problemi con la propria famiglia (la moglie e i due figli) oppure andarsene e cambiare vita? Raccontata così, poche persone saprebbero riconoscere il film, eppure è questo il vero conflio di Roy, che Spielberg decide di traeggiare immergendolo in un genere industriale, la fantascienza, che gli consentirà oimi incassi. La vita ordinaria di Roy è così raccontata, e

metaforicamente potenziata, araverso la straordinarietà di un incontro con gli alieni. In generale, la classicità greca sembra aver influenzato la struura narrativa cinematografica statunitense più di quanto abbia fao con quella europea, e su diversi fronti. […] il pianeta intero assiste ammirato, allora con la Grecia e oggi con l’America, alla messa in scena perfea e struurata di quello che Eraclito definiva il principio di tue le cose: “Polemos”. Il film americano si presenta perciò come tentativo esplicito di far vivere allo speatore la “catarsi” araverso l’esperienza della guerra o del conflio.23 Impossibile non notare ancora la perfea sovrapponibilità dei precei della classicità greca, non solo aristotelica, con l’impianto narrativo di Star Wars, film che introduce il termine “guerra” fin nel titolo (→ Il ritorno di “Action” e “Polemos”). Sembra di essere di fronte a una vera e propria applicazione leerale di tali norme, così come (lo vedremo nell’Epilogo) Lucas sembra aver applicato quasi pedissequamente alla trilogia originale gli insegnamenti di Joseph Campbell. Anche secondo la descrizione dell’eroe faa da omas M. Greene, Luke è del tuo sovrapponibile alla figura del “vero eroe”, che deve confrontarsi con “pietà, terrore e polemos”. [L’eroe] deve agire pericolosamente non solo per gli altri ma anche per se stesso. La sua azione deve comportare un esame. Inoltre, deve fare la differenza: deve in qualche modo modificare la propria condizione o quella della sua comunità. Giochi e competizioni hanno il loro posto nella poesia epica ma in se stessi non generano la meraviglia eroica. Le imprese comuni sono ammirevoli ma non grandiose. Ciò che per definizione mee alla prova non solo la forza ma anche il coraggio e la volontà è serio e deve essere preso seriamente dai personaggi del poema, dal poeta e dai suoi leori.24

Non c’è dubbio che Hollywood abbia trao con maggiore o minore fedeltà da Aristotele le regole principali della narrazione. E che le abbia rielaborate per usarle come sentiero unificatore della sua produzione industriale, enfatizzando (fin quasi a deformare) la struura in tre ai e la necessità di una catarsi finale. È interessante rifleere, come ci fa notare Andrew Horton (professore di Film and Video Studies all’Università dell’Oklahoma, sceneggiatore e autore di libri sulla scriura), su come questa preceistica a uso e consumo del cinema non sia stata utilizzata, come abbiamo visto più sopra, da chi avremmo creduto lo avrebbe fao. Horton cita l’esempio di eo Angelopoulos e del suo Lo sguardo di Ulisse (1995, Gran Premio della Giuria al 48° Festival di Cannes). Il regista greco, pur essendo un grande ammiratore del cinema hollywoodiano degli anni cinquanta, stabilisce di proposito un suo personale approccio alla trama, al personaggio e alla risoluzione finale. Ne Lo sguardo di Ulisse, Harvey Keitel interpreta il regista greco “A”, alla ricerca del primo film mai realizzato nei Balcani. Ma questo “road movie”, o questa moderna Odissea, invece che nei tre ai aristotelici e hollywoodiani è diviso in 8-10 ai, in base a come li si vuole identificare. E anche con i flashback della vita precedente di A in Romania, per esempio, noi speatori non riusciamo a cogliere con chiarezza i plot point e lo sviluppo del personaggio come invece, secondo Kristin ompson, cercano di fare i solidi film di Hollywood.25 Viceversa, il cinema hollywoodiano saccheggia la secolare e stratificata cultura europea trasformandola in oro, come neppure noi sappiamo fare: uno degli esempi più evidenti è Innocenti bugie (James Mangold, 2010), in cui è denunciato fin dal titolo originale, Knight and Day (intelligente gioco di parole tra knight, “cavaliere” e “noe”, night, nella frase “Noe e giorno”, a significare la profonda differenza tra i due protagonisti, che però finiranno per innamorarsi), il recupero dei poemi cavallereschi del nostro sedicesimo secolo.

In un articolo molto interessante di Jennine Lanouee, e Uses and Abuses of Aristotle’s Poetics in Screenwriting How-to Books,26 si sostiene che è probabile che la sceneggiatura cinematografica abbia dovuto accreditarsi araverso una qualche forma di collegamento con il passato remoto in quanto inizialmente sorella minore della drammaturgia. E che lo abbia fao anche rimandando alla Poetica di Aristotele, patriarca della struura del dramma. In effei la sceneggiatura è una forma imperfea di leeratura drammatica e molte osservazioni di Aristotele sulla natura del dramma ancora sono valide. L’articolo compie una ricognizione puntuale su come gli autori dei manuali hollywoodiani di sceneggiatura abbiano fao continuo riferimento ad Aristotele. Tenta anche di individuare le origini di alcune delle regole base su cui questi manuali si fondano (per esempio unità di tempo, luogo e azione; la divisione in tre ai; l’efficacia della catarsi araverso la “pietà” e la “paura”; la strea correlazione tra “azione” e “personaggio”). Ma l’obieivo è appunto quello di restituire obieività a tali retaggi, non sempre filologicamente precisi. Per esempio: “‘È arrivato adesso il momento di iniziare a parlare della due volte millenaria struura aristotelica iniziometà-fine,’ esordisce Lew Hunter, professore di sceneggiatura alla UCLA” scrive Lanouee. Aristotele fu il primo a meere su carta i trucchi dei narratori. Il conceo inizio-metà-fine è già nella Repubblica di Platone, ma l’elaborazione di questa intuizione è della Poetica di Aristotele. Per maggiori chiarimenti, comprate quel volume soile, leggetelo due volte, poi riprendetelo in mano ogni tre o quaro anni e leggetelo durante la vostra carriera di sceneggiatori. elle sono le poche regole che abbiamo e che ci servono.27 Il riferimento è al libro di Lew Hunter,28 un manuale molto accreditato presso registi, sceneggiatori e produori degli studios. Un libro che un regista e produore di successo come

Richard Donner (Superman, I Goonies, Ladyhawke, Arma letale) considerava “la parola finale sulla sceneggiatura”.29 Anche il professore di sceneggiatura della USC (University of Southern California), Richard Krevolin, considera Aristotele un faro della narrazione per immagini nel suo Screenwriting from the Soul: “al è esaamente la migliore forma di narrazione? Beh, la struura aristotelica sembra aver funzionato bene per migliaia di anni, perciò iniziamo da lì.”30 ando Lanouee affronta il manuale per eccellenza, Story, di Robert McKee, inizia ad affondare la lama nelle contraddizioni e nelle forzature di un’interpretazione come minimo oltremodo libera del deato aristotelico. McKee è tra i maggiori sostenitori dell’importanza del filosofo greco nell’ambito della consapevolezza drammaturgica: “Nei ventitré secoli da quando Aristotele ha scrio La Poetica, i ‘segreti’ della narrazione sono stati pubblici come la biblioteca soo casa,”31 afferma McKee. È quando affronta la divisione in generi, pilastro dell’efficacia industriale degli studios, che Lanouee individua i primi problemi. “Aristotele ci ha fornito i primi generi dividendo le tragedie secondo la carica valoriale dei loro finali rispeo all’architeura del racconto. Un racconto, faceva notare, può terminare con una carica sia positiva che negativa.”32 Secondo il guru, quaro generi sarebbero aribuibili ad Aristotele: Tragico Semplice, Fortunato Semplice, Tragico Complesso, Fortunato Complesso. Ma, afferma Lanouee: Aristotele non si esprime mai per polarizzazioni nella Poetica. Né parla mai di epilogo positivo. Se consultiamo la traduzione di Halliwell, citata da McKee, troviamo ancora forzature e distorsioni del pensiero di Aristotele. A ben vedere, i quaro generi per Halliwell sono: Tragedia Complessa, Tragedia della Sofferenza, Tragedia del Personaggio e la Tragedia Semplice […]. Come McKee abbia tirato fuori Positivo Semplice e Positivo Complesso dalla Tragedia della Sofferenza e dalla Tragedia del Personaggio è difficile da comprendere.33

In un altro articolo34 Lanouee approfondisce la divisione in tre ai acquisita pienamente dai manuali. Spesso accreditato presso gli autori di manuali come l’ideatore della struura inizio-metà-fine, Aristotele ha identificato le parti che compongono il dramma greco in “prologo” e “parodo” (l’introduzione della storia): inizio; “episodio” e “stasimo” (la scena drammatica vera e propria seguita da una canzone corale: un binomio replicabile più volte): metà; “esodo” (la risoluzione finale della storia): fine. Aristotele aveva semplicemente catalogato i cinque momenti prevalenti della narrazione tragica disponendoli in tre macro momenti. In realtà la tragedia greca non conosceva il conceo di divisione in ai né gli autori hanno mai fao riferimento a tale divisione. Un altro modo per distinguere le rappresentazioni greche era quello di dividerle in “protasi” (presentazione degli argomenti), “epitasi” (parte centrale, nodo dell’azione), “catastasi” (apice dell’intreccio) e “catastrofe” (risoluzione finale) senza che però fossero separate in modo esplicito. Fu Orazio in realtà, nella sua Ars Poetica, (tre secoli dopo) a proporre la suddivisione come l’unica forma possibile di struura: “La storia non deve essere più breve né più lunga di cinque ai” (Orazio, Ars Poetica, 189-190). Una regola seguita soprauo dal teatro del tredicesimo secolo e da quello classico francese. Un dogma rimasto vivo fino al dicioesimo secolo e oggi del tuo abbandonato, a teatro. Lanouee individua un’altra aporia. Nel manuale di omas Pope si afferma: “La teoria della tragedia inizia con Aristotele.”35 Pope aribuisce ad Aristotele l’idea che un dramma inizia quando inizia un problema e finisce quando il problema è risolto. Ma per Aristotele, soolinea Lanouee, il dramma significava tragedia, una storia in cui alla fine tui muoiono. Da nessuna parte nella Poetica infai viene affermato che l’obieivo della narrazione è la soluzione di un problema. “L’obieivo della tragedia greca era quello di muovere lo speatore a pietà e terrore nei confronti

dell’incauto protagonista che sta andando incontro alla sua fine”36 conclude infai Lanouee. Come abbiamo anticipato, anche sul fronte delle unità di tempo, luogo e azione alcuni quotati autori di manuali importanti cadono nell’equivoco. Field, Egri, Cowgill e Howard aribuiscono per errore le tre unità ad Aristotele. In realtà, rileva Lanouee, è possibile aribuirgli in maniera certa solo l’unità di azione. Ma l’errore più macroscopico, quello che l’autrice chiama una vera e propria gaffe, è di Syd Field, l’autore del geonatissimo Screenplay – e Foundation of Screenwriting.37 Field sostiene in un altro suo manuale, Screenwriter’s Workbook,38 che secondo Aristotele una commedia della durata di due ore doveva raccontare solo due ore della vita dell’eroe. Cioè tempo della storia e tempo del racconto devono coincidere. Ma, sostiene Lanouee, “l’unità di tempo merita solo una menzione nella Poetica, nel capitolo cinque, come ‘una singola rivoluzione del sole o poco più’”. Ciò non basta a sostenere che per Aristotele questa sia una regola fissa, “semmai ci consente di commentare che la tragedia ‘si sforza il più possibile’ di limitarsi così”. esto equivoco, insieme a quello dell’unità di luogo, reiterato fino alla fine del secondo millennio, ha avuto origine nell’Italia neoclassica del sedicesimo secolo ed è stato acquisito definitivamente in Francia nel diciasseesimo secolo. Si traava di incomprensioni dovute alla leura di Aristotele araverso la lente dell’Ars Poetica di Orazio. Ecco perché non posso che essere d’accordo con la riflessione che Lawson fa nel suo libro: La maggior parte degli errori di interpretazione è dovuta a una mancanza di prospeiva storica. Solo studiando il filosofo greco in relazione al suo periodo siamo in grado di certificare il valore delle sue teorie, di selezionare e sviluppare ciò che potrà esserci d’aiuto alla luce delle ultime conoscenze.39 Vediamole insieme, allora, queste “ultime conoscenze”.

Scrivere una sceneggiatura non richiede alcuna abilità di scriore Fu un’importante causa legale a costringere i produori statunitensi a introdurre un livello di professionalizzazione nell’ambito della scriura per immagini. Gli studios e gli adaatori di materiali non originali doveero diventare più scrupolosi nel riconoscere e nel pagare i materiali leerari cui aingevano. La scintilla venne dal “caso Ben-Hur” che iniziò nel 1907 e si concluse nel 1911. La società di produzione Kalem, che aveva realizzato il cortometraggio muto Ben-Hur nel 1907 (di Sidney Olco) facendolo adaare da Gene Gauntier, non si era preoccupata di riconoscere i dirii d’autore del romanzo originale che allora erano in capo alla Harper & Row. Ciò che ne seguì spinse i produori cinematografici a cominciare ad affidarsi a storie originali, piuosto che continuare a saccheggiare leeratura e teatro. Sembra che Gauntier avesse lavorato sullo script per soli due giorni e che l’azione si concentrasse soprauo sulla gara delle bighe, ma “nel film c’era abbastanza del romanzo perché l’editore e gli eredi dell’autore facessero causa a Kalem e la vincessero, imponendo così la legge sul dirio d’autore anche ai dirii cinematografici”. Ci sarebbero voluti quaro anni prima che la causa giungesse a termine ma i suoi effei si erano sentiti molto prima perché l’ansia sui dirii d’autore spinse gli studios a non adaare più film da romanzi e a concentrarsi su storie “originali”.40 La Corte Suprema si espresse definitivamente il 13 novembre del 1911: “L’esposizione di una serie di fotografie di persone e cose soo forma di immagini in movimento su pellicola, che in tal modo raffigura le scene principali dell’opera di un autore per raccontarne la storia, è una drammatizzazione dell’opera stessa, e la persona che produce il film e lo mostra traendone profio, anche se non è lei stessa a mostrarlo, viola i dirii dell’autore.”41

Con questa decisione la Corte Suprema generò la categoria di “sceneggiatura non originale” e una richiesta di professionismo nell’ambito della scriura per immagini che fu all’origine, a sua volta – in un periodo in cui “la nascente industria degli studios dipendeva ancora molto dall’offerta di sceneggiature e soggei da parte di professionisti indipendenti”42 –, della nascita dei manuali. Il primo manuale di “sceneggiatura”, in ordine di tempo, di cui siamo a conoscenza è datato 1911: e Photo-Play: A Book of Valuable Information for ose Who Would Enter a Field of Unlimited Endeavour (“Un libro di informazioni preziose per coloro che vogliono entrare in un campo di impegno illimitato”).43 Si traa di un volumeo di poche decine di pagine, diviso in undici brevi capitoli e un’introduzione che suona così: C’è una grande richiesta di sceneggiature e soggei per il cinema. Diversi produori stanno cercando sceneggiature e i manoscrii adai sono pagati bene. Se è vero che i requisiti sono tali che chiunque abbia comuni abilità leerarie è in grado di scrivere una sceneggiatura, solo pochi riescono a venderle a causa della mancanza di conoscenze di formule e tecniche di scriura per il cinema. Un produore di Chicago riferisce che su cinquemila copioni ricevuti, grazie a una campagna pubblicitaria molto costosa, sono state acceate solo cinque sceneggiature. Cioè, l’1%.44 Il manuale continua proponendosi di chiarire “regole” e “forma” di uno scenario con l’obieivo di spiegare ai suoi leori come ricevere aenzione da parte dei produori. esta concretezza è confermata dalla natura di alcuni dei capitoli. Nel capitolo Shun Crime Scenes (“Evitare le scene di crimine”), Stoddard offre questo consiglio, forse memore proprio del “caso Ben-Hur” che era in quei mesi in fase di risoluzione: “ello che i registi cercano di più sono soggei ben scrii, storie famigliari, con situazioni e personaggi

quotidiani. Le commedie sono tra le più richieste, mentre alcuni cercano in special modo western e storie di indiani.” Più avanti l’autore propone un esempio di ciò che secondo lui il mercato sta cercando: storie trae dalla vita reale, da articoli di giornale. Come quella del divorzio di un famoso artista che Hollywood ha trasformato in ben quaro diversi film. Un consiglio importante è quello di tener presente la realizzabilità dello script: “Lo sceneggiatore deve sempre tenere in considerazione i limiti della tecnica fotografica. Non inserite ‘noi buie e tempestose’ nelle vostre storie.” In quegli anni scene al buio o soo il diluvio non potevano essere realizzate cinematograficamente affidandosi agli effei speciali come invece accadeva a teatro, a causa dell’ancora scarsissima sensibilità della pellicola cinematografica. Nel capitolo Preparing Copy (“Preparare la copia”) Stoddard affronta anche mere questioni logistiche relative a come far arrivare lo script sulla scrivania di un produore e alla durata della storia da proporre. Mediamente, un rullo cinematografico che contiene 300 metri di pellicola equivale a quindici minuti di proiezione. Per rappresentare la scena davanti alla macchina da presa c’è bisogno all’incirca dello stesso tempo. Perciò la vostra storia deve consistere in tuo in quindici minuti di azione.45 Non vi è riferimento a regole di scriura, drammaturgia o narratologia di alcun tipo. Nel 1912 accadde un altro avvenimento molto importante per la storia della sceneggiatura. Fino a quel momento non era stato stabilito alcun metodo soddisfacente per la classificazione del copyright dei film, cioè sulle regole della titolarità del dirio di riproduzione di un’opera. Il 28 agosto del 1912 furono create finalmente due classi separate di classificazione, specifiche per i motion pictures: la L e la M. La Classe L per i film narrativi di finzione (photoplays) e la Classe M per i film non-fiction e i film di animazione.46

A quell’epoca le photoplays, i film narrativi, erano ormai divenuti la stragrande maggioranza della produzione statunitense (erano il novantasei per cento nel 1908, mentre nel 1900 appena il dodici per cento). Il sorpasso era iniziato nel 1906,47 periodo in cui nacque la cosiddea scenario fever (“febbre da sceneggiatura”). “ando nel 1907/08 avvenne il sorpasso dei film narrativi [su quelli documentaristici, N.d.A.], le case di produzione presero come modello il regista teatrale che controllava le scelte di scenografia, costumi e recitazione, e usava la sceneggiatura come traccia della storia.”48 Prima del 1910 i film erano creati da individui o da piccoli gruppi di persone che filmavano le actualités: “Registrazioni visive del movimento di treni, onde e vento, per esempio, che affascinavano il pubblico perché tali eventi non erano mai stati mostrati da alcun mezzo di comunicazione.”49 Il testo richiesto era poco più di qualche nota comprensibile solo agli stessi autori. Il primo sceneggiatore che potremmo definire professionista, Roy L. McCardell, aveva iniziato a lavorare per la Biograph nel 1898. Ma le sue “storie” erano estremamente semplici perché dovevano avere la durata di circa un minuto. “Nella loro struura più semplice, i film del 1898 erano solo fotografie di movimenti interessanti di qualche tipo. In quella più complessa, consistevano in una singola azione, fotografata in un singolo ciak, da un’unica angolazione.”50 Insomma in pochi anni le cose erano molto cambiate e il cinema aveva iniziato a basarsi sulla narrazione. “L’enorme messe di libri sul cinema che appare negli Stati Uniti tra il 1912 e i primi anni venti si presenta in apparenza come un composito insieme, non di rado ripetitivo, di istruzioni per l’uso di questa nuova macchina per narrare.”51 Michele Guerra rileva nel suo saggio che in quegli anni “l’autore del film è lo sceneggiatore”.52 Mentre Epes Winthrop Sargent considerava il cinema “la più giovane delle arti leerarie”.53 Ma doveero passare circa venticinque anni prima che un manuale di sceneggiatura prendesse sul serio la

sceneggiatura come forma drammatica. Fino a quel momento i manuali si concentravano più sulla tecnica filmica che sulla tecnica drammatica. Il manuale in questione sarà proprio quello di John Howard Lawson, eory and Technique of Playwriting and Screenwriting (1936). Nel 1912, Herbert Case Hoagland pubblicò How to Write a Photoplay (“Come scrivere un film”), anche questo concentrato su consigli su come vendere una sceneggiatura piuosto che su come scriverla. E sul fao che lo sceneggiatore dovesse essere una specie di contadino che vende i frui del suo orto: Scrivere una sceneggiatura non richiede alcuna abilità di scriore ma richiede doti da “struuralista”. Richiede l’abilità di saper afferrare un’idea e sapervi innestare (immaginatelo in senso botanico) una serie di cause all’inizio e una serie di conseguenze alla fine. Un’idea così innestata darà sicuramente dei frui. Imparare l’arte di questa specie di orticultura mentale è necessario innanzituo per comprendere, in linea generale, come sono fai i film e come si lavora in uno studio, all’aperto e negli stabilimenti.54 Interessante la particolareggiata catalogazione in pregeneri proposta dall’autore: Magico, Farsesco, Comico, Comico drammatico, Drammatico, Tragico, Speacolare, Industriale, Militare, Storico, Educativo, Biblico, Microcinematografico. Sempre del 1912 è il manuale di William Archer Playmaking: A Manual of Crasmanship. Con ogni probabilità siamo di fronte al primo testo di sceneggiatura che prova a struurare in maniera complessa un discorso drammaturgico e anticipa le riflessioni sui tre ai di presunta derivazione aristotelica. Riflessioni ancora acerbe, ma non possiamo non notare che la divisione del libro accoglie quella struura in maniera esplicita (quasi come la struura di questo libro): i cinque macro capitoli hanno infai come titoli, rispeivamente: Prologo, Inizio, Metà, Fine, Epilogo.55

Nel 1913 esce negli Stati Uniti How to Write Moving Pictures Plays di William Lewis Gordon. Da rilevare l’aenzione terminologica, che cerca di fare chiarezza sui termini photoplay, scenario, script, manuscript. Nel glossario d’apertura del libro, il termine photoplay è definito come “una storia raccontata con un’azione fotografica”,56 dunque un termine generico e non specificatamente riferito all’oggeo in sé della sceneggiatura come strumento di lavoro e regia. Infai, nella photoplay, “Dialoghi o conversazioni non possono essere usati. Perciò l’intera storia deve svelarsi al pubblico solo araverso ‘l’azione scenica’, senza il supporto di parole ecceo qualche didascalia occasionale”.57 Insomma photoplay è il termine con cui all’epoca si nominava il film: leeralmente opera teatrale fotografica. Lo scenario “dovrebbe essere scrio come uno ‘strumento di lavoro’ come se fossi tu a dirigere gli aori e i loro singoli movimenti”.58 Parrebbe riferirsi quindi alla vera e propria sceneggiatura per come la conosciamo oggi, lo strumento definitivo da usare sul set, anche perché “deve essere scrio con uno stile chiaro e conciso, con frasi brevi che spieghino bene le diverse emozioni degli aori, e deve dare al supervisore l’idea precisa di ciò che fa ogni personaggio con ogni suo singolo movimento, gesto o espressione”.59 Manuscript è invece la “Photoplay scria, dea anche script”.60 Il manuscript (o script) è la versione della photoplay prima che venga trasformata in scenario. È la sceneggiatura, in sostanza, che va spedita alle case di produzione. Nel 1914, A.W. omas pubblica How to Write a Photoplay “nel quale si danno suggerimenti sul soggeo, il tema e il suo contenuto, la divisione in scene, l’azione, l’unità, la sequenza, la suspense, l’imprevedibilità, la crisi e il climax”.61 Un manuale con una certa consapevolezza dell’importanza delle tecniche drammaturgiche. È nel 1916 però che finalmente viene pubblicato il manuale che inizia a porsi le domande giuste per un’emancipazione reale della scriura cinematografica da

quella del teatro e della leeratura: e Photoplay. A Psychological Study, di Hugo Münsterberg. Le photoplay ci restituiscono solo una riproduzione fotografica di una performance teatrale? Il loro obieivo è perciò solo quello di essere un sostituto a basso costo del vero teatro? La loro estetica è dunque molto distante da quella della vera arte drammatica, legata a essa come lo è la fotografia di un dipinto alla tela originale del maestro? Oppure il cinema ci offre un’arte indipendente, controllata da leggi estetiche proprie, basata su un fascino intelleuale fondamentalmente diverso da quello del teatro, con un proprio ambito e proprie mire ideali?62 Sta nascendo insomma la riflessione sullo “specifico” della scriura cinematografica, così come Rudolf Arnheim,63 quaordici anni dopo, inizierà a produrre la sua formidabile riflessione sullo specifico dell’arte cinematografica tout court (→ Star Wars: un film muto). Kristin ompson rileva che “con la crescita dello studio system durante gli anni ’20, gli sceneggiatori dipendenti divennero la norma e nei decenni successivi apparvero molti meno manuali di sceneggiatura”.64 Il discorso dei manuali di questo periodo era essenzialmente focalizzato sul suggerire regole che identificano le “buone” sceneggiature o quelle che potrebbero avere un potenziale commerciale. Un classico tra questi è e Palmer Plan Handbook – Photoplay Writing (1919), di Frederick Palmer. ACTION! La tragedia è infai imitazione non di uomini ma di azioni. Aristotele Le Photoplay sono fae di azione. Scrive Frederick Palmer in un altro dei suoi manuali, Technique of the Photoplay: “L’azione è solitamente

espressione esteriore di sentimenti interiori. […] È di azione che sono fai i film.”65 Anche David Bordwell, lo storico del cinema, rileva che il cinema hollywoodiano ha sempre posto l’enfasi sull’azione, “espressione esteriore di sentimenti interiori”.66 asi tue le azioni nel cinema classico, diceva Bazin, “sono direa conseguenza della supposizione di buonsenso che esista una necessaria e inequivocabile relazione tra i sentimenti e le loro manifestazioni esteriori”.67 L’importanza dell’Azione è soolineata da diversi altri manuali. Gordon, che abbiamo già citato, afferma nel suo testo del 1913: “Dedicate tua la vostra aenzione all’azione dell’opera teatrale e non alle parole che state usando per descriverla: è l’azione che fa il film.”68 Sempre secondo l’analisi di Michele Guerra, il termine è usato anche nel 1913 da Sargent per indicare: “a) ogni gesto compiuto dall’aore; b) le varie azioni dei singoli aori grazie alle quali la narrazione procede.”69 Guerra nota un deaglio interessante tra i consigli che Sargent dà agli aspiranti sceneggiatori nel suo manuale: poiché il film “va pensato come una catena di azioni che consentano alla storia di procedere e le diano al contempo continuità”, il modo migliore per scrivere uno scenario è quello di eliminare la punteggiatura e sostituirla con i traini, in modo da consentire allo scenario editor di visualizzare il film senza fatica. In pratica, conclude Guerra, secondo Sargent l’azione è l’unità di misura dello spazio-tempo filmico. Il termine “Azione” è usato anche da Phillips nel 1914 per significare “l’azione specifica di un personaggio; la sceneggiatura; gli elementi combinati che formano una narrazione”.70 Secondo Guerra la riflessione di Phillips sull’Azione è ancora più complessa di quella di Sargent perché assume in essa il significato di sceneggiatura. Tornando un momento alla terminologia da glossario, a quei tempi per indicare la sceneggiatura si usava anche il

termine “Complete Action”, cioè “gli elementi combinati che consentono alla narrazione di compiersi”.71 Considerato che all’epoca il cinema era muto, secondo Phillips le parole di una sceneggiatura devono essere aualizzabili non solo araverso i gesti ma araverso una linea di azione “che si può sviluppare a partire dalle forme di agency del corpo dell’aore come cellula di una continuity narrativa che va affidata all’articolazione delle inquadrature”.72 Il film perfeo non lascia dubbi, non offre spiegazioni, non inizia nulla che non possa finire – è tuo azione, azione, AZIONE! E per azione intendiamo interpretazione tecnicamente visualizzata di qualunque natura che contribuisce in maniera persuasiva alla perfea illusione di stare guardando una vicenda drammatica in modo emotivo.73 Vale la pena scomodare brevemente Ernst Cassirer, il filosofo tedesco autore di Filosofia delle forme simboliche. Cassirer aveva un problema con il conceo di “caraere” (nel senso di “caraere nazionale”). Al neo delle sue posizioni politiche e della sua preoccupazione per i rigurgiti sciovinisti che vedeva nascere nella Germania del secondo dopoguerra, Cassirer riteneva antilluministi coloro che parlavano del “vero caraere di un uomo” e credeva che l’“essenza” di un individuo fosse irriducibile a qualsivoglia definizione. In particolare, scriveva nel suo saggio Libertà e forma. Studi sulla storia spirituale della Germania: […] se cerchiamo di esprimere l’essenza di una cosa, non ci riusciamo. elle che conosciamo sono le qualità di una certa cosa, e una descrizione completa di queste qualità abbraccerebbe probabilmente anche l’essenza di quella cosa. È inutile sforzarsi di descrivere il caraere di un individuo: ci si rappresenti piuosto le sue azioni, e ci verrà incontro un’immagine del suo caraere.74 Cassirer non poteva saperlo, ma un paio di decenni dopo, dall’altra parte dell’oceano, sarebbe nata la struura dello script hollywoodiano proprio su queste basi. Basi condivise anche da uno dei più grandi registi di tui i tempi, Stanley

Kubrick, che nel 1991 parlando di Kieślowski sintetizzò l’essenza del Cinema e della narrazione: […] in questo libro di sceneggiature di Krzysztof Kieślowski e del suo coautore, Krzysztof Piesiewicz, non dovrebbe essere fuori luogo osservare che essi hanno la capacità molto rara di drammatizzare le loro idee piuosto che limitarsi a parlarne. Arrivando al punto araverso l’azione drammatica della storia guadagnano il potere aggiunto di permeere al pubblico di scoprire cosa sta realmente accadendo piuosto che sentirselo dire. Fanno questo con un’abilità così abbagliante che non vedi mai le idee arrivare e non ti rendi conto se non molto più tardi di quanto profondamente abbiano raggiunto il tuo cuore. Azione, azione, AZIONE! Il difeo fatale I manuali di sceneggiatura proliferano solo quando l’industria ha bisogno di sceneggiatori esterni e non di dipendenti. Come abbiamo visto, infai, tra il 1913 e il 1920 erano apparsi diversi manuali: le major stavano cercando e consolidando talenti. Un’altra ondata arrivò tra il 1928 e il 1930, per spiegare agli aspiranti sceneggiatori come scrivere “scenari” per il nuovo cinema sonoro. Ma subito dopo il mercato dei manuali si spense di nuovo. Gli studios adesso avevano le loro scuderie di scriori dipendenti e l’invio di sceneggiature dall’esterno veniva scoraggiato. Due manuali notevoli, Technique of Screenplay Writing (New York: Crown, 1944) di Eugene Vale e Practical Manual of Screen Playwriting (New York: World, 1952) di Lewis Herman si ergevano solitari sul mercato fino agli anni ’70.75 Come ho anticipato, un altro manuale molto significativo fu quello di John Howard Lawson, eory and Technique of Playwriting and Screenwriting (“Teoria e tecnica della

scriura teatrale e della sceneggiatura”). La prima edizione, del 1936, si intitolava però eory and Technique of Playwriting (“Teoria e tecnica della scriura teatrale”)76 e si concentrava esclusivamente sul metodo della scriura teatrale. Fu solo tredici anni dopo, nel 1949, che nel titolo apparve anche il riferimento alla scriura per il cinema. La versione del 1936 includeva una esaustiva e affascinante indagine sull’evoluzione delle teorie drammatiche fino ad allora. Partiva da Aristotele, affrontava il Rinascimento, il dicioesimo e diciannovesimo secolo e si soffermava su Henrik Ibsen. L’edizione del 1949 è invece secondo alcuni il primo manuale a prendere sul serio la sceneggiatura come forma drammatica. Fernaldo Di Giammaeo, curatore dell’edizione italiana del 1951 che traduce solo la parte dedicata al cinema della versione del 1949,77 afferma che l’opera ha di positivo il fao di riconoscere la legiima posizione della sceneggiatura nell’ambito della creazione cinematografica. Lawson era un pezzo grosso nel mondo degli sceneggiatori americani. Era infai, tra le altre cose, presidente del sindacato degli sceneggiatori di Hollywood (la Screen Writers Guild) e si baeva perché i colleghi oenessero le stesse regole di copyright degli autori degli altri media. Nel 1936 alcuni membri si erano staccati e avevano formato la più conservatrice Screen Playwrights. Del sindacato direo da Lawson faceva parte anche il più pagato e al contempo perseguitato (in quanto ritenuto comunista) sceneggiatore americano di quegli anni: Dalton Trumbo, autore tra gli altri di Spartacus (1960), il film direo da Stanley Kubrick e prodoo e interpretato da Kirk Douglas. I magnati degli studios erano naturalmente a favore della Screen Playwrigths. Jack Warner, anche se aveva dato il via libera a molti film che mostravano il presidente Franklin Delano Roosevelt soo una luce favorevole, tuavia deliberò che i suoi sceneggiatori divenissero membri della Screen Playwrigths. Trumbo rifiutò e, dopo appena due film e meno di un anno, il suo contrao fu

rescisso. Divenne ancora più aivo nella Screen Writers Guild pubblicando la sua rivista ufficiale, e Screen Writer.78 Come ricorda Sciltian Gastaldi nel suo libro sul maccartismo, nel 1937 Lawson fondò la prima sezione distaccata del partito comunista americano a Hollywood. Nel 1947 testimoniò davanti alla commissione per le aività antiamericane nel gruppo dei cosiddei “ostili” (alla commissione, cioè agli americani, secondo la propaganda dell’epoca), in contrapposizione agli “amichevoli” (tra cui c’erano Ronald Reagan, Walt Disney e Jack Warner). Disney e Lawson testimoniarono lo stesso giorno perché erano i più estremisti nei loro rispeivi schieramenti.79 In seguito alla testimonianza, Lawson fu trovato colpevole e inserito nelle “liste nere”. Con molto tempo a disposizione, visto che nessuno lo faceva più lavorare, decise di ultimare un lavoro che aveva lasciato indietro da anni: la scriura della seconda parte, quella sul cinema, del manuale eory and Technique of Playwriting and Screenwriting. Nel 1946 viene pubblicato e Art of Dramatic Writing di Lajos Egri.80 Nonostante si trai anche in questo caso di un manuale dedicato al teatro, le guidelines per la scriura drammatica sono in realtà molto utili per gli sceneggiatori. Bordwell afferma addiriura che il manuale di Egri sia diventato una Bibbia per gli sceneggiatori degli anni cinquanta. Oltre ad affrontare criticamente la struura in tre ai, Egri si sofferma in particolare su un aspeo fino ad allora non molto considerato, il cosiddeo fatal flaw, cioè l’importanza di identificare nel personaggio una debolezza, una crepa fatale, contro cui misurarsi per rendere più credibile e appassionante il processo di cambiamento del personaggio. Bordwell prende come esempi illuminanti di fatal flaw il personaggio di Ted Kramer, impersonato da Dustin Hoffman nel film Kramer contro Kramer (Robert Benton, 1979), e quello di Nora nel dramma Casa di bambola (Ibsen).

Egri esige che il personaggio cresca durante l’opera, e ci mostra come costruire una trama intorno a questo processo. Come può, si chiede, una moglie convenzionale e devota come Nora in Casa di bambola diventare una donna indipendente e pronta ad abbandonare suo marito e suo figlio? Il cambiamento è verosimile solo se avviene a piccoli passi, perciò Ibsen porta Nora araverso varie fasi: irresponsabilità, ansia, paura, disperazione; solo alla fine riconoscerà che il suo matrimonio si basa sull’inganno. La formula di Egri di una crescita psicologica progressiva aiuta lo scriore a pianificare i conflii che sfideranno il personaggio a svilupparsi gradualmente, proprio come Ted Kramer si trasforma da professionista maniaco del lavoro in padre sensibile.81 La stessa enfasi sul cambiamento del personaggio che riscontriamo nel “sistema” di Konstantin Stanislavskij. Non c’è altro che il fatal flaw infai, alla base del cosiddeo “arco di trasformazione del personaggio” come lo identifica Dara Marks nel suo manuale del 2007.82 Il testo dell’allieva di Linda Seger, riconosciuta dalla rivista Screenwriting come la migliore story editor americana, fonde gli studi di Joseph Campbell e la loro divulgazione da parte di Christopher Vogler con i modelli di Seger e di Robert McKee. Lo vedremo in maniera ancora più approfondita nell’Epilogo. In L’eroe dai mille volti, infai, Campbell afferma: Il primo compito dell’eroe è quello di abbandonare il mondo degli effei secondari e ritirarsi nelle zone causali della psiche dove risiedono le difficoltà e qui risolvere queste difficoltà, sradicarle (cioè dar baaglia ai demoni infantili della sua civiltà) e passare trionfante alla direa esperienza e all’assimilazione di quelle che Jung ha definito “le immagini archetipe”.83 L’ao di sradicamento dei demoni infantili della civiltà perpetrato dall’eroe mitologico si rispecchia nell’ao di crescita interiore dell’eroe narrativo. Secondo Dara Marks, “l’arco di trasformazione prende le mosse dal […] ‘fatal flaw’ del personaggio – la carenza essenziale, l’errore fatale del

personaggio – definita come ‘la condizione del personaggio se non cresce e non cambia’”.84 In una parola, il fatal flaw è la peculiarità del personaggio che ne stabilisce il falso equilibrio iniziale del primo ao. Ted Kramer infai, come abbiamo visto, deve il suo disinteresse nei confronti del figlio al fao di essere un workaholic. Nel 1948 il sistema degli studios cambia radicalmente e, anche a causa dell’avvento della televisione negli anni cinquanta e del sistema di package production,85 Hollywood precipita in una lenta crisi che avrà il suo picco negli anni sessanta e seanta. Gli studios subiscono un drastico ridimensionamento, e così gli sceneggiatori stipendiati. Nasce il fenomeno delle spec scripts, sceneggiature scrie da autori indipendenti e immesse sul mercato con la speranza che qualche grosso produore le intercei e le produca (da speculative script, cioè leeralmente: “sceneggiatura di un film la cui realizzazione è solo ipotetica”, perciò spesso scrie da esordienti). E così le case editrici tornano a sfornare manuali di sceneggiatura per migliaia di nuovi aspiranti screenwriters. I “guru” Con l’aiuto di J.T. Velikovsky, delineiamo una breve panoramica dei manuali più importanti a partire dalla fine degli anni seanta. Ma prima leggiamo la sintesi efficace che Bordwell fa di quanto accadde in quel periodo: L’aspirante sceneggiatore inviava una sceneggiatura originale (una “spec script”) a un agente, questi la inoltrava a uno studio o a un produore indipendente. Era altamente improbabile che la sceneggiatura venisse acquistata o realizzata. Se si era fortunati serviva al massimo come un intrigante esempio di scriura per altri incarichi. Il diluvio di manuali che videro la luce alla fine degli anni ’70 era la risposta a questo nuovo procedimento di sviluppo di un soggeo. Migliaia di aspiranti sceneggiatori si confrontavano con un mercato

decentralizzato ed erano privi di una formazione condivisa. Necessitavano di consigli sul formato, sulla pianificazione della trama e su ciò che i produori cercavano. Innanzituo lo script aveva bisogno di un “guardiano”, cioè lo staff di sviluppo delle sceneggiature conosciuto come “leore” o “story analist”. Passando diligentemente in rassegna le spec script con un compenso a pezzo, i leori sfornavano dei report – una sinossi della trama e una valutazione dei punti di forza e di debolezza di ogni singolo progeo. In effei, i manuali di sceneggiatura guidavano gli aspiranti scriori a scrivere script che entusiasmassero questi primi leori. Syd Field, Robert McKee, Christopher Vogler e altri guru della sceneggiatura avevano tui iniziato le loro carriere come story analist.86 Nel 1979 Syd Field pubblica Screenplay.87 Viene delineata ufficialmente, e in seguito acquisita da tui, la struura in tre ai. Il libro vende un milione di copie. Nel 1983 William Goldman pubblica Adventures in the Screen Trade: A Personal View of Hollywood and Screenwriting. “Nonostante non si trai di un manuale di sceneggiatura, contiene consigli sulla struura della storia e della scriura drammatica.”88 Nel 1987 una studentessa di Syd Field, Linda Seger, pubblica Making a Good Script Great. “esto schema narrativo è sostanzialmente simile a (un’estensione e un approfondimento di) quello di Field.”89 Nel 1990 T.L. Katahn pubblica Reading for a Living: How to Be a Professional Story Analyst for Film and Television, “che spiega come i leori di sceneggiature professionisti (cioè i “guardiani” dell’industria del cinema) analizzano le sceneggiature”.90 Nel 1997 Robert McKee pubblica Story. Substance, Structure, Style and the Principles of Screenwriting. Il libro diventa la base di un seminario che l’autore, ormai considerato un vero e proprio “guru”, tiene in giro per il

mondo negli anni novanta (anche in Italia) geando solide basi per la diffusione del “metodo McKee” applicato alla sceneggiatura. “Come Aristotele, McKee sceglie i suoi esempi per illustrare i propri argomenti (o ‘principi’), a prescindere che i film esaminati siano ‘di successo’ o no.”91 e Restorative ree-Act(ion) Structure Come ho anticipato, il primo manuale a proporre in maniera sistematica la struura in tre ai come necessaria per la costruzione narrativa di un film fu Screenplay di Syd Field (1979). Cinque anni prima anche Constance Nash e Virginia Oakley, nel loro Screenwriter’s Handbook, considerano la divisione in tre ai come uno degli elementi di base di uno script: il primo ao, della durata di trenta pagine, “introduce i problemi”; il secondo, di sessanta pagine, si concentra sul “Conflio tra il protagonista e l’antagonista per arrivare al problema apparentemente irrisolvibile”; nel terzo ao, di trenta pagine, “l’Azione offre la soluzione al problema”.92 Inoltre, Nash e Oakley dedicano un intero capitolo ai tre ai. Ao 1 – contiene il conflio o l’azione che si sviluppa fino a una crisi e imposta gli aspri scontri del secondo ao. Ao 2 – l’azione che finisce con l’eroe/eroina coinvolti in ciò che sembra essere un problema irrisolvibile. Ao 3 – la soluzione di tui i conflii, fino a un climax soddisfacente.93 In seguito, come riporta Bordwell in e Way Hollywood Tells It, i guru della sceneggiatura hanno rimaneggiato questa struura: Lew Hunter, Robert McKee,94 Hal Ackerman, Linda Seger, Russin e Downs, Christopher Keane. Molti definiscono l’evento scatenante del primo ao come “incidente scatenante”. Si raccomanda di posizionare un punto fermo di cambiamento a pagina

diciassee dello script; altri suggeriscono di dividere in due il primo ao. […] Alcuni manuali notano che il secondo ao spesso ruota intorno al midpoint [“snodo narrativo centrale”, N.d.A.], un contrassegno a metà della sceneggiatura, “un momento in cui il protagonista prova qualcosa di nuovo, prende il controllo del suo destino in un modo che non è ancora stato fao”. […] Il terzo ao dovrebbe consistere in un climax continuo, spesso una corsa contro il tempo con i minuti contati (una “bomba a orologeria”), che termina con una soluzione che segnala una nuova armonia e un nuovo equilibrio.95 Sembra complesso individuare chi sia stato il primo a proporre il template dei tre ai. Nash e Oakley non fanno riferimento a nessuna fonte, mentre Field si intesta la scoperta. Ma entrambi, ricorda Bordwell, ringraziano lo Sherwood Oaks Experimental College di Los Angeles, un ente di formazione creato nel 1971 da Gary Shuse, il fratello del cocreatore del franchise Alien, Ronald Shuse. Tra i suoi ex studenti figurano Sylvester-Rambo-Stallone, James-AvatarCameron e Ma-Simpson-Groening.96 Nel 1999 Linda J. Cowgill scrive: “Il fondamento della nostra comprensione della struura in tre ai risale ad Aristotele.”97 In una lunga citazione dal capitolo 7 della Poetica,98 Cowgill cerca di spiegare che il filosofo greco non intendeva prescrivere cosa dovesse accadere in ogni ao, ma che si riferiva alle convenzioni della tragedia greca. “Ai tempi di Aristotele, i drammaturghi usavano un prologo, seguito dal coro, che introduceva i personaggi principali della storia.”99 Secondo questa linea, nel manuale Alternative Screenwriting del 1990, gli autori dichiarano: “La formula dei tre ai deriva dal vago conceo aristotelico secondo cui tui i drammi hanno un inizio, una metà e una fine, e che queste parti sono in qualche rapporto l’una con l’altra. Sfortunatamente, tale formulazione è così generica che ci dice davvero poco. (Dopotuo siamo sicuri che Aristotele fosse serio quando diceva “Una metà è quella cosa che si trova dopo qualcos’altro e dopo la quale c’è qualcos’altro”?)100

Come ho scrio più sopra, anche alcuni manuali del passato menzionano la struura in tre ai. Oltre a William Archer, nel 1913 J. Arthur Nelson scriveva che “il film dovrebbe constare di causa, crisi ed effeo climax”.101 alche anno dopo, nel 1918, Victor Freeburg, in e Art of Photoplay Making suggerisce i termini “Premessa, Complicazione e Soluzione”. Francis Taylor Paerson va oltre e raccomanda un’organizzazione in base ai rulli: il primo rullo costituisce la premessa; il rullo due, tre e quaro la complicazione; il quinto è dedicato alla soluzione.102 Anche Lajos Egri cita la struura in tre ai, ma per criticarla aspramente: secondo il drammaturgo ungherese Aristotele non avrebbe mai affermato che ogni storia debba essere divisa in un Inizio, una Metà e una Fine. alunque scriore che abbia l’ingenuità di prendere sul serio questo consiglio è destinato a finire nei guai. Se è vero che ogni storia deve avere un inizio, allora ogni storia dovrebbe iniziare con il concepimento dei personaggi e finire con la loro morte. Potreste contestarmi che questa è un’interpretazione troppo leerale di Aristotele. Forse è vero, ma molte opere sono andate incontro a una disfaa proprio perché gli autori, più o meno consapevolmente, hanno obbedito al deato di Aristotele.103 Appoggiandosi a Steven Price e al suo A History of the Screenplay, Bordwell e ompson rilevano che negli anni trenta e quaranta in America i registi usavano due formati: il cosiddeo master scene oppure il formato che comprendeva istruzioni molto esplicite sui movimenti di macchina, la fotografia e altri aspei tecnici. “Ma ha trovato scarsa evidenza che gli sceneggiatori dell’epoca degli studios applicassero la struura in tre ai.”104 In ogni caso, nonostante fin dal 1913 nei manuali si parlasse di tre ai come da presunta derivazione aristotelica, Bordwell e ompson affermano che si è sempre traato di un equivoco: “Aristotele non parla di ai: le antiche commedie greche non

avevano divisioni in ai. E quasi nessuno dei manuali usa il termine ‘ai’ per descrivere le parti.”105 Nel manuale Alternative Screenwriting che ho citato più sopra gli autori introducono un’interessante teoria. La struura in tre ai (ree-Act Structure in inglese) divenuta dominante nei film mainstream della Hollywood classica, affermano, dovrebbe chiamarsi “struura conservatrice in tre ai” (Restorative ree-Act Structure) perché […] deriva dalla pièce bien faite [opera dalla costruzione impeccabile, N.d.A.], sviluppata dal drammaturgo francese Eugène Scribe nel 1820. Caraerizzata da uno scioglimento chiaro e logico, questa modalità conservatrice di narrazione era la forma drammatica più popolare della nuova middle class dominante francese e inglese che era apparsa nell’Europa ormai “sicura” dopo le guerre napoleoniche. Richiedendo un ritorno all’ordine più completo, la pièce bien faite permee di realizzare le nostre fantasie di roura delle regole senza in alcun modo minacciare la tenuta struurale della società. […] Da ciò, il nostro nome struura conservatrice in tre ai.106 Tale struura è incardinata sul personaggio, cioè su colui che più di ogni altro è portatore dell’Azione: […] “L’essenza della struura conservatrice in tre ai è che l’azione è espressione di moventi, di conflio del personaggio.”107 Eccola, la nostra ree-Act(ion) Structure. Chiunque abbia ragione e comunque stiano le cose, è McKee ad affermare l’unica verità che può darsi verosimilmente per certa: “[…] La scansione della storia in tre ai è stata il fondamento dell’arte narrativa per secoli prima che Aristotele la annotasse. Ma appunto è solo un fondamento, non una formula.”108 Veniamo finalmente a Syd Field e al suo fondamentale Screenplay. Field dedica ai tre ai il primo capitolo, Che cos’è una sceneggiatura? e li definisce il paradigma della struura drammatica: “Un film è un medium visivo che drammatizza una storia di base. E come tue le storie c’è un preciso inizio,

una metà e una fine.”109 È importante approfondire questo paradigma, definito nei deagli per la prima volta da Field perché, come vedremo, Star Wars, la cui sceneggiatura definitiva è del 1976, tre anni prima dell’uscita del manuale, basa precisamente su di esso la sua struura e in seguito la struura dell’intera trilogia originale (→ Star Wars; → “Ti amo.” “Lo so.”). La “preparazione” (l’equilibrio iniziale, beginning) corrisponde alle prime trenta pagine della sceneggiatura e il primo plot point (l’incidente scatenante) arriva intorno a pagina 25. Il “confronto” (da pagina 30 a pagina 90) prevede il secondo plot point intorno a pagina 85 e sviluppa il “conflio” vero e proprio. La “risoluzione” (fino a pagina 120) corrisponde al terzo ao, la fine. Il film di riferimento di questo paradigma è per Field Chinatown (Roman Polański, 1974). Il plot point del secondo ao di Chinatown, afferma Field, è il momento in cui Gies/Nicholson trova gli occhiali nella pozza dove è stato ucciso Mulwray e scopre a chi possono appartenere. Secondo Field tue le sceneggiature seguono il suo paradigma, che chiama “il fondamento della struura drammatica”. Ma c’è un altro paradigma relativo alla divisione in ai di una narrazione e nello specifico di uno script: la divisione in cinque ai. In Play-Making William Archer (1912) tentò di confutare una delle teorie che allora erano in voga rispeo all’uso degli ai in Shakespeare. Gli studiosi dell’epoca elisabeiana ritenevano che il drammaturgo inglese non pensasse in ai, ma concepisse le sue opere “come una serie continua di eventi, senza alcuna pausa o intervallo nel loro fluire”.110 In realtà nonostante nel teatro elisabeiano non ci fossero ragioni scenotecniche che imponessero lunghi intermezzi per il cambio scena, secondo Archer c’è un’abbondante evidenza che la divisione in ai fosse utilizzata “per offrire all’azione delle opere un ritmo che nella rappresentazione non deve essere oscurato o falsificato”.111 Secondo Lanouee, anche se Shakespeare non fu quasi per nulla influenzato dalle regole neoclassiche, era più esposto

all’influsso di Orazio che a quello di Aristotele e scriveva le sue commedie in cinque ai (Aristotele e Hollywood ←).112 Cinque ai Da una parte Rašid Nugmanov con Building a Screenplay: A Five-Act Paradigm, or What Syd Field Didn’t Tell You (“Costruire una sceneggiatura: un paradigma in cinque ai, o quello che Syd Field non ti ha deo”), del 2004.113 Dall’altra David Bordwell che richiama e sostiene la riflessione di Kristin ompson contenuta nel suo Storytelling in the New Hollywood: “La forma della maggioranza dei film narrativi sia dell’era degli studios che degli anni più recenti consiste di quaro macro parti, più un epilogo.”114 Secondo ompson, la scansione dovrebbe prevedere, infai, cinque ai: “Setup” (Preparazione), “Complicating Action” (Complicazione), “Development” (Sviluppo), “Climax” (Orgasmo), “Epilogue” (Epilogo). ella dalla quale abbiamo preso l’ispirazione per la nostra scansione. ompson afferma: Non sono l’unica a suggerire che un film può contenere più di tre ai. […] McKee ipotizza che i tre ai sono la norma ma non sono così immutabili come pretende Field.115 ompson si spinge anche a meere in discussione l’autorevolezza di Field sulla base di una particolareggiata analisi di venti film, a partire dalla standardizzazione della photoplay degli anni dieci (Scrivere una sceneggiatura non richiede alcuna abilità di scriore ←). Tra i più recenti Tootsie (Sydney Pollack, 1982), Ritorno al futuro (Robert Zemeckis, 1985), Amadeus (Miloš Forman, 1984), Alien (Ridley Sco, 1979), Il silenzio degli innocenti (Jonathan Demme, 1991). È il titolo del capitolo a chiarire le ragioni della sua riorganizzazione della struura in tre ai: A Maer of Timing. È una questione di ritmo.

Sembra probabile che i problemi degli sceneggiatori moderni con il secondo ao nascano in parte dal fao che le tre marco-parti siano di lunghezza diversa.116 Secondo ompson le storie tendono ad avere una scansione in parti più o meno uguali (e dunque non 30-60-30 come in Field). Per tua la storia del cinema hollywoodiano le macroparti sono rimaste pressappoco costanti, con una lunghezza media tra i 20 e i 30 minuti. Ciò ha permesso ai registi di creare soili schemi di equilibrio nei tempi di funzionamento di ogni sezione.117 La “Preparazione” (venti-trenta minuti) coincide all’incirca, per ompson, con il primo ao dei manuali. È il secondo ao tradizionale a essere rimodellato e diviso in due. La “Complicazione”, venti-trenta minuti di durata, serve a confermare o a risintonizzare l’obieivo del protagonista: una sorta di “Contropreparazione”. Il terzo segmento, la seconda parte del secondo ao tradizionale, è lo “Sviluppo”. i è dove solitamente avviene la loa del protagonista per raggiungere il suo obieivo, spesso araverso diversi eventi che creano azione, suspense e rallentamenti.118 esta terza parte si conclude, sempre dopo altri ventitrenta minuti, quando tue le premesse in merito agli obieivi e le linee di azione sono state introdoe. Il “Climax”, che spesso segue la parte più oscura della narrazione, “gira intorno alla domanda se gli obieivi possano essere oenuti o meno”.119 Mentre l’“Epilogo” conferma che tuo è tornato in equilibrio e tira le fila delle varie sootrame. Seguendo la giustificazione dei cinque ai per come la intendeva nel Seicento un filosofo ed esperto di retorica come l’olandese Gerhard Voss, sembra che in realtà dietro l’angolo ci sia sempre il teatro greco (Aristotele e Hollywood ←): è necessario esporre gli argomenti (protasi), sviluppare l’intreccio e arrivare al nodo dell’azione (epitasi),

dipanare l’intreccio facendolo arrivare al suo apice (catastasi) e infine concludere l’azione con la sua risoluzione (catastrofe). Nel 1863, qualche decennio dopo lo sviluppo della pièce bien faite di Eugène Scribe (e Restorative reeAct(ion) Structure ←) fu pubblicato, in lingua tedesca, il testo che avrebbe influenzato la scriura teatrale di lì a tuo il secolo, la cui traduzione inglese del 1894 è: Freytag’s Technique of the Drama: An Exposition of Dramatic Composition and Art, di Gustav Freytag, un politico e scriore tedesco. La sua “piramide” in cinque parti è una delle struure drammaturgiche più antiche che conosciamo. Ed è tuora utilizzata soprauo nelle narrazioni pubblicitarie e nel marketing.

Secondo Freytag, ogni drama dovrebbe essere diviso in due macro parti: play e counterplay (commedia e controcommedia), divise da una specie di giro di boa, il climax. A loro volta, le due macro parti sono divise in due soo parti, introduction e rise (introduzione e ascesa), return/fall e catastrophe (ritorno/caduta e catastrofe [risoluzione finale]). Freytag paragona l’introduction al prologo del teatro greco, prendendo come esempio quello di Sofocle, Euripide ed Eschilo. È la inciting force (forza scatenante) a dare l’abbrivio alla prima parte, e la descrizione che ne fa Freytag ricorda molto da vicino il conceo di “incidente scatenante”: “[…] nell’anima dell’eroe cresce un sentimento di volontà che diventa l’occasione per ciò che segue.” e rising movement (movimento ascendente), quello che potremmo definire il secondo plot point del primo ao, è quando “l’azione è cominciata, […] l’interesse [dell’eroe] è

stato risvegliato”. Il climax è il punto del dramma in cui “diventano forti e decisivi gli esiti del movimento ascendente”. Da notare il fao che Freytag pone il climax in una posizione molto anticipata a quella di altri autori, per i quali quel momento centrale della narrazione è il midpoint. ello che Freytag chiama “the force of the final suspense” è il momento che precede la catastrofe che “non deve arrivare al pubblico completamente a sorpresa”. La catastrofe è paragonata da Freytag all’esodo del teatro greco: “[…] il disagio dei personaggi principali è alleviato grazie a una grande impresa.”

Aristotele, il teatro greco, Field, ompson, Freytag. Il Viaggio dell’Eroe Il conceo stesso di uomo è legato a doppio nodo a quello di eroe.120 Nel 1992, dopo la struura in tre/cinque ai e il fatal flaw, nei manuali di sceneggiatura arrivò una terza innovazione: “il Viaggio dell’Eroe” cui dedicheremo l’intero into Ao del libro. Alcuni seguaci di Joseph Campbell, da cui prende spunto, insegnavano il template nei corsi di sceneggiatura già dal 1980, mentre nel 1987, in occasione della sua morte, uscì un volume celebrativo nella cui prefazione Phil Cousineau invitava gli sceneggiatori a costruire il personaggio protagonista dei loro film basandosi sul Viaggio.121 Bordwell, nel suo e Way Hollywood Tells It, cita anche il manuale di Linda Seger: Making a Good Script Great.122 Seger (I “guru” ←) dedica un intero capitolo all’argomento. Ma fu Christopher Vogler, un development executive di Hollywood, a farsi promotore universale del lavoro di Campbell. Come accennato, vedremo meglio più avanti i deagli del Viaggio dell’Eroe e del Monomito. i è opportuno soolineare unicamente che Vogler iniziò a richiamare il deato campbelliano proprio quando nel 1977 uscirono Star Wars e Incontri ravvicinati del terzo tipo (Steven Spielberg). Lavorando alla Disney, scrisse degli appunti di see pagine e iniziò a costruirci sopra dei seminari. In seguito a una strategia promozionale incrociata con gli interessi di George Lucas (→ Campbell è stato il mio Yoda), Campbell divenne l’argomento di una serie televisiva della PBS di grande successo e gli appunti di Vogler divennero oro per gli sceneggiatori hollywoodiani e i dipartimenti di sviluppo degli studios. Fu così che Vogler pubblicò il celebre e fortunatissimo e Writer’s Journey: Mythic Structure for Storytellers and Screenwriters (“Il viaggio dello scriore: struura mitica per narratori e sceneggiatori”).123

Il libro di Vogler fu tradoo in diverse lingue e divenne un nuovo vademecum per gli sceneggiatori, dando vita a ulteriori pubblicazioni (incluso Il viaggio dell’eroina). Vogler e altri integrarono la traieoria del viaggio in un’architeura narrativa in tre parti. (→ Si parte per il Viaggio) […] L’adozione del viaggio mitico si armonizzava anche con la progressiva dipendenza dell’industria dal genere fantasy durante gli anni ’90.124 Ecco come lo stesso Vogler descrive il successo del suo manuale. Con mio piacere, il libro si è guadagnato l’approvazione come uno dei manuali standard di sceneggiatura di Hollywood. Spy Magazine lo ha definito “la nuova Bibbia dell’industria”. Grazie alle varie edizioni internazionali (inglese, tedesca, francese, portoghese, italiana, islandese, ecc.) si è diffusa nella Hollywood più ampia, la comunità planetaria dei narratori.125 Salvare o non salvare il gao? Dei manuali successivi, che ancora oggi vanno di moda a Hollywood, vale la pena citarne due. Nel 2005 Blake Snyder pubblica Save e Cat!126 nel quale, analizzando diversi film, individua quindici momenti della narrazione, che chiama e Blake Snyder Beat Sheet, e compie una categorizzazione di tuo il cinema mai prodoo in dieci generi. Nell’introduzione Snyder si dichiara un seguace di Viki King,127 Joseph Campbell e McKee. Il titolo del libro, spiega, deriva dal fao che “l’elemento più importante che ci fa immergere in una storia è il fao che ci piaccia la persona con la quale facciamo un viaggio”.128 Perciò, visto che il protagonista di un film è come una persona con la quale dobbiamo affrontare un viaggio, è cosa buona renderlo cool il

più presto possibile. Esempio madre la presentazione di Indiana Jones nel primo film della saga: vediamo solo di spalle e di sfuggita un uomo con cappello e frusta guidare una spedizione in una foresta piena di pericoli. ando uno dei portatori indigeni si ferma e carica l’arma per ucciderlo alle spalle, l’uomo sente il rumore, afferra la frusta e in un baer d’occhio disarma il portatore, che è costreo a fuggire. Un carrello in avanti verso il primo piano dell’uomo adesso scopre Indiana Jones: un personaggio che ha salvato il gao, cioè ha fao un’azione che lo ha reso cool (si è difeso con la velocità della luce dimostrando un udito quasi soprannaturale, con un’arma molto meno letale della pistola che lo minacciava e ha risparmiato l’uomo che lo voleva morto). Approfondendo, potremmo dire che Snyder abbia tradoo “all’americana”, industrializzandolo, il conceo aristotelico di “pietà” (La Poetica di Aristotele ←): fai provare al più presto possibile pietà al pubblico nei confronti dell’eroe. Fai salvare il gao all’eroe, fallo entrare in empatia con il protagonista. Vedrai che da quel momento lo speatore sarà “agganciato” per tua la durata del film. Snyder reputa Field “il padre del modello cinematografico moderno” ma sostiene che la sua struura in tre ai avesse delle maglie troppo larghe, che “come per un nuotatore nell’oceano, la terra era troppo lontana tra l’inizio e la fine del secondo ao”. È da qui che nasce il Beat Sheet in quindici punti, che Snyder è riuscito a inserire tui in una pagina: “Immagine d’apertura” (Opening Image), “Esposizione del tema” (eme Stated), “Preparazione” (Set-up), “Incidente scatenante” (Catalyst), “Disputa” (Debate), “Entrata nel secondo ao” (Break into Two), “Trama parallela” (B Story), “Gioco e divertimento” (Fun and Games), “Punto centrale” (Midpoint), “Arrivano i caivi” (Bad Guys Close In), “Tuo è perduto” (All Is Lost), “La nera noe dell’anima” (Dark Night of the Soul), “Entrata nel terzo ao” (Break into ree), “Finale” (Finale), “Immagine di chiusura” (Final Image). Nel 2007 esce invece e Anatomy of a Story di John Truby,129 basato sulle lezioni del suo corso, di cui nel libro è

allegato il CD audio, Great Screenwriting. Il sootitolo recita: 22 Steps to Becoming a Master Storyteller (“22 passi per diventare un maestro della narrazione”). Ma gli steps chiave della struura di una storia sono solo 7: “Bisogno e debolezza” (Weakness and Need) – un richiamo esplicito al fatal flaw (Il difeo fatale ←); “Desiderio” (Desire); “Il nemico” (Opponent); “Il piano” (Plan); “La baaglia” (Bale); “L’autorivelazione” (Self-revelation) – (→ I Libri dell’(auto)Rivelazione); e infine “Il nuovo equilibrio” (New Equilibrium).Nulla di eccessivamente nuovo (Truby si rià chiaramente a Propp e Aristotele e l’analisi è molto più accademica e complessa di altri manuali simili), ma il libro ha una peculiarità (oltre a non voler seguire le orme di Syd Field e dei suoi tre ai): l’accento sul “Moral Need”. Secondo l’autore, spesso gli sceneggiatori confondono i trai psicologici del loro protagonista con la sua “necessità morale”. Nelle buone storie la necessità morale è generata dalla necessità psicologica: il personaggio ha una debolezza psicologica che lo porta a sfogarla con gli altri. “Per avere una necessità morale,” sostiene Truby, “il personaggio deve ferire almeno un’altra persona all’inizio della storia.”130 È il caso lampante di Jack Lucas, il protagonista di La leggenda del re pescatore (Terry Gilliam, 1991, sceneggiatura capolavoro di Richard LaGravenese): Jack tiene una rubrica radiofonica di successo, dalla quale un giorno consiglia a un ascoltatore di vendicarsi delle persone che odia. L’uomo segue il suo consiglio e compie una strage in un ristorante esclusivo di Manhaan. Jack viene licenziato ed entra in depressione. Finché non incontra un barbone che scopre essere stato un felice professore universitario caduto in disgrazia in seguito alla morte dell’adorata compagna… uccisa proprio in quel ristorante dal killer incitato da Jack. Il senso di colpa lo porterà a riconfigurare la sua intera vita. Molto interessante anche il discorso sul “bivio etico” del personaggio: prima del Climax, cioè lo snodo narrativo più importante del secondo ao, il protagonista è messo di fronte a una scelta che lo definirà dal punto di vista etico, sia

rispeo a se stesso sia rispeo alla comunità. È la risposta a quella scelta che determinerà la risposta alla domanda “Chi sono io?” del protagonista, cioè del conflio madre di tui i conflii. La propria autorivelazione. I Libri dell’(auto)Rivelazione Lo vedremo ancora meglio: rispondere alla domanda su noi stessi è il senso e l’obieivo profondo di ogni narrazione. La risposta può essere terribile. Secondo Lovecra è addiriura insostenibile, al punto che dobbiamo augurarci di non conoscerla mai: “Penso che la cosa più misericordiosa al mondo sia l’incapacità della mente umana di meere in relazione i suoi molti contenuti. Viviamo su una placida isola d’ignoranza in mezzo a neri mari d’infinito e non era previsto che ce ne spingessimo troppo lontano.” (Il richiamo di Cthulhu, 1926-1928). Da questa prospeiva, come abbiamo visto, la struura di una narrazione cinematografica può fare riferimento a molteplici templates, assunti da diverse forme. Tre ai, cinque ai, quindici beats, see steps. Nessuno di questi paradigmi ha un valore assoluto e ognuno esprime il proprio valore. La scriura non è un’automobile, per costruire la quale è necessaria una precisa e ineludibile conoscenza che, una volta stabilita, permee di produrre a catena di montaggio milioni di modelli tui uguali. Per un’automobile non funziona che un manuale di istruzioni vale l’altro. Per la sceneggiatura sì, perché le ragioni e gli obieivi dello scrivere sono sempre soggeivi. Ne consegue che le regole sono soggee a interpretazione, sia induivamente sia deduivamente. Abbiamo visto che probabilmente Aristotele non aveva alcuna intenzione di affermare che una tragedia andasse struurata in tre ai, ma una cospicua quantità di teorie e manuali di sceneggiatura ha basato la sua fortuna sul contrario. Eppure una regola ineludibile c’è, e ci permee di ricapitolare sinteticamente quanto ho spiegato fin qui. Nonostante non sia chiaro quante debbano essere le tappe, il

sentiero dell’arco narrativo di un personaggio classico è sempre lo stesso: la condizione iniziale di equilibrio apparente, o di inconsapevole squilibrio (che genera la “pietà” aristotelica), è messa in discussione da un evento esterno alla volontà del personaggio che rompe quell’equilibrio in modo intollerabile al punto che il personaggio si trova con le spalle al muro e deve prendere una decisione. Se decide di non fare i conti con lo squilibrio, e dunque di non “agire”, la narrazione si interrompe e quindi non c’è nessun film. Se decide di agire, allora la narrazione può partire, non prima però di una più o meno energica “resistenza” all’azione. Il personaggio quindi si immerge in un lungo momento di “paura”, ovvero una condizione esistenziale in cui perde via via tui i punti di riferimento precedenti. Finché non raggiunge il punto più alto, drammatico, della loa (“crisi”), nel quale può perdersi per sempre o rialzarsi. Il punto in cui deve compiere una “scelta etica”, dalla quale comprenderà la natura del suo vero sé, e dopo la quale, nel “climax”, raggiungerà la “catarsi”, il “nuovo equilibrio”. In estrema sintesi: non c’è narrazione se il personaggio alla fine del viaggio non è cambiato. Ogni scriore, come abbiamo visto in questa breve e comparata descrizione del Viaggio dell’Eroe, può aingere a diversi paradigmi, può decidere le tappe che vuole. Insomma può (deve) infrangere almeno una regola di ogni paradigma. Deve conoscere, elaborare e infine orientare verso la propria sensibilità ciò che ha imparato dalla tradizione, e poi decidere se e come applicarlo. Perché quindi, ad esempio, non rifarsi a quell’altra “scansione” di progressiva autorivelazione esistenziale che parrebbe essere presente, soo metafora, nell’Apocalisse di Giovanni: il Libro dai see sigilli? Perché non potrebbe essere questa la scansione giusta? Nella lingua originale greca, riportata più fedelmente nella traduzione inglese, il “Vieni” è in realtà “Vieni e guarda” (“Come and see”), cioè: “Abbi il coraggio di aprire gli occhi su te stesso”, “Guarda il drago”. Il che concorda con la traduzione leerale del termine “apocalisse”, e cioè “rivelazione”. Ancora, nella Bibbia il 7

indica completezza, diversamente dal 3 della nostra cultura, e il passaggio dei sigilli cui ci riferiamo ne enumera appunto see: l’intero arco narrativo esistenziale dell’eroe. In fondo un autore come Ingmar Bergman ne ha trao un film (Il seimo sigillo, 1957), una riflessione esistenziale sulla vita dalla prospeiva della morte. All’apertura del primo sigillo un “essere vivente” urla “Vieni e guarda”: appare un cavallo bianco cavalcato da un uomo viorioso munito di arco. L’equilibrio apparente iniziale. Va tuo bene, perché cambiare qualcosa? “Primo ao” (Field)? “Esposizione del tema” (Snyder)? “Bisogno e debolezza” e “Desiderio” (Truby)? “Pietà” (Aristotele)? Il secondo sigillo svela un secondo “essere vivente” che invita sempre a “guardare”: un cavallo rosso al cui cavaliere viene offerta una spada per “togliere la pace dalla terra”. L’equilibrio, la pace apparente, è compromesso. L’incidente scatenante invita al confronto con il proprio conflio e dunque con il proprio mondo. Primo plot point (Field)? “Incidente scatenante” (Snyder)? “Appello” (Campbell)? ando l’Agnello apre il terzo sigillo appare un cavallo nero e colui che lo cavalca ha una bilancia in mano. L’equilibrio si è ormai spezzato, siamo nel “secondo ao” (Field)? “Disputa” (Snyder)? “Il nemico”, “Il piano” (Truby)? Il quarto sigillo mostra un cavallo verde cavalcato dalla Morte, che ha il potere di sterminare. Il vecchio sé è ormai in completa discussione. L’eroe deve combaere per trovare un nuovo sé. L’eroe si confronta con il “terrore” (Aristotele)? “La baaglia” (Truby)? “Arrivano i caivi” (Snyder)? “Complicazione” (ompson)? ando viene aperto il quinto sigillo, si mostrano “le anime di coloro che furono immolati” in nome di Dio, che gridano giustizia. La colleività chiede all’eroe di combaere per tui e si prepara a un nuovo sacrificio. All’apertura del sesto sigillo “vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero, […] la luna diventò tua simile al sangue. […]. Allora i re della terra e i grandi” e tui gli

uomini “si nascosero nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle rupi: […] è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può resistere?”. L’eroe è ormai al culmine della baaglia. Fine del “secondo ao”? “Tuo è perduto” (Snyder)? “Crisi”? Il seimo sigillo: “Dopo ciò, vidi quaro angeli che stavano ai quaro angoli della terra, e traenevano i quaro venti, perché non soffiassero sulla terra, né sul mare, né su alcuna pianta. Vidi poi un altro angelo che […] gridò a gran voce ‘Non devastate né la terra, né il mare, né le piante, finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi’. […] Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tui stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. […] e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi.” Come non pensare qui al “Nuovo equilibrio” (Truby), al “Finale” (Snyder), alla “Catarsi” (Aristotele), all’“Epilogo” (ompson), “Catastrofe – Risoluzione finale” (Freytag)? O all’ultima sequenza di Star Wars?

Ao II. Complicazione Rick e la Strega Malvagia dell’Ovest

Voi europei avete la mitologia, noi americani l’abbiamo dovuta costruire da zero. Sam Scimemi, direore della stazione spaziale internazionale della NASA131 Il secondo ao è quello in cui dopo il primo plot point, l’incidente scatenante, l’eroe è costreo ad agire. Nel nostro caso l’incidente scatenante è stato l’arrivo sulla scena del Viaggio dell’Eroe: George Lucas, nel fraempo è stato adolescente, onnivoro speatore del cinema classico di Hollywood. Ma prima, un breve flash forward: il film è finito, gli incassi sono stati sorprendenti e Lucas è diventato uno dei registi più commerciali di sempre: i numeri della risoluzione del suo “conflio” sono impressionanti. ella di Star Wars è la saga di fantascienza che ha bauto ogni record di incassi. Il primo giorno, il 25 maggio del 1977, Star Wars uscì in sole quarantadue sale e guadagnò duecentocinquantaquaromila dollari. Nel primo week-end di agosto le sale erano cresciute fino a più di mille e il film aveva guadagnato novanta milioni di dollari. Alla fine della prima, lunghissima, finestra di sfruamento theatrical, nel 1979, aveva guadagnato più di trecento milioni di dollari raggiungendo un massimo di sale di programmazione di milleseecentocinquanta: due volte e mezzo i “centoventoo milioni incassati dal secondo film di maggior successo di quell’anno, Incontri ravvicinati del secondo tipo”.132 La riedizione di Star Wars del 13 agosto del 1982 incassò quindici

milioni di dollari mentre in occasione di quella del 31 gennaio del 1997 (Special Edition) il film, che da quel momento si sarebbe chiamato Star Wars: Episode IV – A New Hope, ne incassò centotrentoo. Circa quarocentoquaranta milioni di dollari in totale quindi, solo negli USA e solo per il primo episodio della trilogia originale. Sono seecentoseantacinque milioni i dollari incassati comprendendo anche il mercato estero.133 Insieme a Lo squalo, Star Wars avrebbe cambiato Hollywood per sempre, inaugurando l’era moderna dei blockbusters (→ Starbusters). Al 2015 gli ormai sei capitoli della saga avevano incassato quaro miliardi e mezzo di dollari.134 Al 2018 gli undici film (compreso Solo: A Star Wars Story, Star Wars: e Clone Wars e Rogue One: A Star Wars Story) avevano incassato nove miliardi di dollari in tuo il mondo.135 Per fare un paragone, i ventitré film del Marvel Cinematic Universe hanno incassato, al 2019, ventidue miliardi.136 Se consideriamo i dati aggiustandoli all’inflazione, a oggi Star Wars (1977) risulta il secondo film di tui i tempi per incassi al boeghino: 1.604.857.600 di dollari. Prima di esso, solo Via col vento (Victor Fleming, 1939) con 1.822.598.200 di dollari.137 Il più grande movie franchise di tui i tempi è anche il primo dal punto di vista del merchandising: trentadue miliardi di dollari al gennaio 2016.138 George Lucas mantenne tui i dirii di merchandising per i film della serie di Guerre stellari come clausola del suo contrao originario con la 20th Century Fox ed essendo figura leggendaria della Nuova Hollywood si favoleggia abbia guadagnato miliardi di dollari, ben più delle somme ricavate dagli incassi dei film della serie in corso.139 Negli anni seanta il merchandise non era un’aività imprenditoriale struurata e i proventi derivanti dai gadget costituivano un incasso meno che marginale. “Tranne un caso, una serie televisiva dedicata a Davy Crocke e prodoa

dalla Disney nel 1954, capace, a fine anno, di incassare trecento milioni di dollari fra armi giocaolo e repliche in pelliccia di procione del copricapo dell’eroe.”140 Ma la saga ha bauto anche ogni record di penetrazione e persistenza nell’immaginario colleivo. Star Wars è diventata senza dubbio la prima mitologia del ventesimo secolo, una favola così conosciuta da essere studiata all’università insieme a Shakespeare e Dostoevsky. […] È diventata leeralmente una religione: secondo il censimento inglese del 2001 migliaia di persone hanno dichiarato di appartenere alla religione dei Cavalieri Jedi e ciò ha portato al suo riconoscimento ufficiale; stando alle statistiche, c’erano più Jedi che ebrei e il fenomeno si diffuse anche in Australia dove 70.000 persone si proclamarono seguaci del jeidismo.141 Il film si comportò come una “classica valanga”.142 Carrie Fisher dichiarò al Time che l’anteprima di Star Wars al Chinese eatre “fu come un terremoto”. Sunstein aggiunge, citando Chris Taylor nel suo Come Star Wars ha conquistato l’universo, che Star Wars era “molto di più del semplice incasso al boeghino. Era famoso per essere famoso”. Cass R. Sunstein – docente di dirio, coordinatore dell’Office of Information and Regulatory Affairs soo l’amministrazione Obama, e secondo il New York Times autore best seller con il suo Il mondo secondo Star Wars – afferma che Star Wars farebbe parte dei cosiddei solidarity goods, ovvero quei beni il cui valore cresce al crescere del numero di persone che ne godono. In altre parole, quei beni di consumo di cui la gente gode autonomamente ma sapendo che anche altri ne stanno godendo. Un modo per creare e mantenere delle identità condivise esprimendo il proprio desiderio di appartenenza araverso scelte di consumo.143 Anche il mondo della scienza è ossessionato dalla saga di Star Wars. I ricercatori hanno assegnato nomi a nuove specie di animali come Wockia chewbacca (una falena messicana), Xenokeryx amidalae (un fossile di ruminante), Adelomyrmex vaderi (una formica colombiana), Aptostichus sarlacc (un

ragno a lenta digestione), Albunione yoda (un parassita del gambero di Taiwan), Han solo (un trilobite di quarocento milioni di anni fa).144 Nell’oobre 2019 l’Oxford English Dictionary ha acquisito, accanto a “arancini” e “fake news”, i termini “lightsaber” (spada laser), “Jedi”, “Padawan” (apprendista Jedi), and “the Force” (la Forza).145 alche mese dopo l’uscita dell’ultimo capitolo della saga (oobre 2019), Star Wars: e Rise of Skywalker (J.J. Abrams) – una ricerca su Google di “Star Wars” genera seecentodicioo milioni di risultati. A seembre 2021 più di novecento milioni. Solo la chiave di ricerca “Covid-19” lo supera, con circa quaro miliardi di risultati. “Avengers: Endgame”, al momento il più grande successo al box office (considerando gli incassi non aggiornati all’inflazione e non considerando la riedizione di Star Wars del 1997), ne genera solo seantacinque milioni. “Gone with the Wind” quaordici milioni; i “Beatles” duecentosee milioni; “Jesus Christ” centoquarantaquaro milioni. Infine Star Wars è soprauo, dal punto di vista della costruzione del racconto, il primo film a essere stato accostato in maniera ufficiale e approfondita agli studi sulle religioni e i miti di Joseph Campbell, lavorando così sul “mito” in una doppia accezione: quella antropologicoreligiosa campbelliana e quella oggeo dell’indagine del presente Ao e del arto: il recupero da parte di Lucas della struura mitopoietica del cinema classico hollywoodiano. Procedendo strato dopo strato, cercheremo di compiere una riflessione il più possibile esaustiva che offra, almeno in parte, la Risposta “Sulla Vita, l’Universo e Tuo anto” di Star Wars. Sarà però necessario, prima, comprendere quali siano le Domande giuste.146 al è il rapporto tra Star Wars e il racconto mitico del cinema classico? Come si è interfacciata l’intera esperienza di Star Wars con i film e i registi della New Hollywood che in quello stesso periodo avevano deciso di fare altre scelte sul

piano narrativo e stilistico, ancorché simili su quello produivo di loa al sistema in decadenza delle major? ale fu il contesto politico, sociale e culturale degli anni seanta nel quale Star Wars venne a trovarsi e con il quale dovee fare i conti? ali sono i riferimenti del film alla cultura popolare, ai generi cinematografici e alla formazione personale di Lucas? E infine: stante l’evidenza che l’architeura del racconto della prima trilogia è influenzata dall’eroe dai mille volti, quale fu il vero rapporto tra Lucas e Campbell? anto consapevole fu l’utilizzo del Viaggio dell’Eroe da parte di Lucas? Ma soprauo: è davvero utile analizzare il grado di consapevolezza di una determinata struura narratologica da parte di un narratore riferita alla sua opera? Noi sospeiamo che la Risposta a questa Domanda sia: “arantadue.” Sono quarantadue, infai, gli anni trascorsi da Star Wars (1977) all’episodio che conclude la saga, il nono e ultimo (L’ascesa di Skywalker, 2019). arantadue, come abbiamo visto, le sale in cui il film uscì al suo esordio. E, certo non a caso, il festival Aky-Aky degli antenati su Pasaana, in cui si imbaono Rey, Poe, C-3PO, BB-8, Chewbacca e Finn nel film, si tiene ogni quarantadue anni. Lo stile invisibile Primo, la storia si deve capire.147 Alcuni ritengono che i tuoi lavori contengano troppi effei gratuiti. I o invece penso, al contrario, che i movimenti di macchina del tuo cinema stiano diventando quasi invisibili.148 François Truffaut ad Alfred Hitchcock Nel Primo Ao abbiamo affrontato in chiave storica la manualistica della sceneggiatura e abbiamo così potuto

comporre un mosaico abbastanza significativo di come si sia venuta formando la narrazione della Hollywood classica, cioè le regole soese alla scriura di una “buona storia” che fosse in grado di incontrare i favori del pubblico rispondendo alla domanda di evasione generalmente richiesta. Kristin ompson, infai, sostiene che “i manuali evidenziano utilmente le tecniche di base della narrazione classica – o almeno quelle che i professionisti di Hollywood ritengono tali. E questi manuali hanno avuto un impao sulla recente cinematografia classica”.149 Come abbiamo visto, fin dagli anni dieci i manuali di sceneggiatura americani conferivano enorme importanza alle regole della Poetica di Aristotele, con la quale è in perfea sintonia la modalità narrativa della classicità. Ricapitoliamo brevemente, con l’aiuto di Pravadelli: Il racconto è basato sulla “favola, cioè un ben ordinato intreccio di fai” in cui peripezie e riconoscimenti hanno un ruolo fondamentale. […] L’azione determina i caraeri, incarnati da personaggi, e non il contrario. Di qui il dominio dell’azione sul personaggio. In secondo luogo, il racconto classico ha una forma organica, nel senso che la favola “costituisce un tuo compiuto; e le parti che la compongono devono essere coordinate per modo che, spostandone o sopprimendone una, ne resti come dislogato e roo tuo l’insieme”.150 Prima di analizzare il modo con il quale George Lucas si è rapportato con questo tipo di racconto è necessario approfondire alcuni aspei della narrazione della Hollywood classica, affrontando anche lo stile di ripresa e il montaggio; e, infine, dalla prospeiva della leeratura critica, le cui dissonanze tra autore e autore non sono altro, a volte, che forme diverse di rielaborazione e riorganizzazione del deato aristotelico. In questo modo avremo il maggior numero possibile di elementi per percorrere l’accidentato sentiero di quel raffronto e chiederci con quale grado di intensità Lucas abbia recuperato la narrazione “mitica” hollywoodiana con il suo Star Wars.

“Le supposizioni sulle quali si fonda tua la narrazione cinematografica convenzionale (hollywoodiana) [sono] che il mondo è completamente decifrabile, che le motivazioni delle persone possono essere comprese, che tui gli eventi hanno delle cause chiare e che la fine di una narrazione ci offrirà la possibilità di fondere tui gli elementi della trama in una singola, coerente azione drammatica.”151 C’è quasi tuo, in questa sintesi della narrazione e dello stile propri della Hollywood classica di Roy Armes. Decifrabilità dell’universo della storia, personaggi motivati nelle loro azioni, rapporto causa-effeo degli eventi e forte coerenza dell’impianto narrativo. “Motivazione, chiarezza e drammatizzazione,” per dirla ancora più sinteticamente con Bazin. Per questo l’happy end “si è rivelato il grande alleato del cinema hollywoodiano”,152 afferma Jacqueline Nacache. L’happy end, secondo la docente francese di cinema, “è il risultato di tuo quel complesso sistema interno fao di profezie, di richiami, di eco, di allusioni che è il racconto hollywoodiano; è il film che dice, all’indirizzo privilegiato dello speatore: ‘Ve l’avevo deo’”.153 Il finale del film è altreanto importante per Veronica Pravadelli, ma non è necessario che sia happy. Ciò che conta è che “la conclusione sia motivata, sostanzialmente necessaria, non positiva, perché il dispositivo funzioni”.154 È necessaria una cura particolare affinché alla fine del film non rimangano irrisolte domande importanti “che inficino l’apprezzamento del pubblico”.155 Il cartello finale “e End” del film hollywoodiano è lì insomma a dirci che sì, adesso è tuo chiaro, è come avevi capito, caro speatore: che questa storia è finita, che, tendenzialmente, il disequilibrio iniziale ha trovato un suo equilibrio e infine che anche il finale, dove ogni narrazione ha il suo peso maggiore, conferma la coerenza delle regole interne, della fluidità del torrente narrativo e che nulla di rilevante è sfuggito. La prospeiva di Roy Armes che ho proposto più sopra è simile a quella di Bordwell, che lui stesso sintetizza all’inizio del suo libro seminale Classical Hollywood Cinema. Bordwell si appoggia, nel passaggio che segue, a uno dei manuali che

ho citato nel primo Ao (e Restorative ree-Act(ion) Structure ←) in cui l’autore, Paerson, affermava nel 1920: “La trama è un logico e accurato esercizio delle leggi di causa ed effeo. Una mera sequenza di eventi non genera una trama. L’enfasi deve essere messa sulla causalità e sull’azione e reazione della volontà umana.”156 È questa, spiega Bordwell in breve, la premessa della costruzione della narrazione di Hollywood: “Causalità, consequenzialità, motivazioni psicologiche, la spinta verso il superamento degli ostacoli e l’oenimento degli obieivi. La causalità centrata sul personaggio – cioè personale o psicologica – è l’armatura della narrazione classica.”157 Il termine “motivazione” è ripetuto più volte da chi analizza la struura narrativa del cinema classico. Per Bordwell la motivation è streamente collegata alla story causality, cioè il rapporto causa-effeo che offre al cinema classico la sua caraeristica progressione narrativa: “L’azione innesca la reazione: ogni passo ha un effeo che a sua volta diventa una nuova causa.”158 Perciò, continua Bordwell, se è chiaro come funziona la causalità nella narrazione classica, è più semplice comprendere come un film classico generi quella necessaria sensazione di unità: “In linea generale l’unità è una questione di motivazione.”159 Ovviamente la motivazione che genera il rapporto causa-effeo, offrendo così la sensazione di unità, è innescata nel cinema classico dal personaggio. Un personaggio, come lo definisce Bordwell, goal-oriented. Agisce per oenere un obieivo: l’azione, come d’altronde per Aristotele, è il motore principale della narrazione. È l’azione che determina il personaggio, non viceversa (ACTION! ←). Al punto che a Hollywood il meccanismo dello star system,160 una delle basi su cui era fondata l’industria cinematografica americana, supportava la tendenza a insistere su “un protagonista fortemente caraerizzato. L’eroe con un obieivo [goal -oriented], incarnato da Douglas Fairbanks, Mary Pickford e William S. Hart, fu presto identificato come un trao distintivo del cinema americano”.161

Riparleremo di Douglas Fairbanks più avanti in quanto figura centrale per Lucas (→ Campbell è stato il mio Yoda). La tesi bordwelliana per cui la narrazione classica intesa per come l’abbiamo descria sia il caraere esclusivo che determina la natura del cinema hollywoodiano non è condivisa da tui. Al contrario, per Geoff King, “la narrazione classica è solo uno degli aspei della Hollywood classica. Non meno importanti sono gli aspei non-narrativi e, tra questi, gli elementi sensazionali e speacolari”.162 Per esempio, Elizabeth Cowie sostiene che il meccanismo di causalità non è sempre soddisfao e che “era acceata a Hollywood una narrazione episodica, non lineare, in cui viene presentata una serie di scene narrative autosufficienti oppure unite solo da un esile filo di causalità”.163 Sempre nel solco di una critica al paradigma di Bordwell, la visione di Veronica Pravadelli è impostata secondo parametri cronologici diversi. Secondo lei infai, è verso la metà degli anni trenta che, “scomparsi i residui formali della visionarietà del cinema precedente,164 si stabilizza una messa in scena trasparente, razionale e funzionale al racconto: sono gli anni dell’apogeo della scriura classica”,165 anni che la professoressa di teoria del cinema delimita in un arco temporale molto ristreo, tra l’uscita di Accadde una noe (Frank Capra, 1934) e Ombre rosse (John Ford, 1939). Una scriura, soprauo quella della screwball comedy, chiamata “classic realistic text”, pienamente immersa nell’ideologia del tempo. Si traa di una proposta di leura simile a quella di André Bazin, secondo il quale Hollywood raggiunge il suo zenit nel 1939.166 Dagli anni quaranta, per Bazin l’uso sempre più frequente di nuovi dispositivi tecnico-stilistici come il piano sequenza e la profondità di campo oenuta con obieivi a focale corta (di cui fu maestro, per esempio, Orson Welles a partire da arto potere, 1941) segna un importante passo in avanti non solo dal punto di vista della struura del linguaggio ma anche perché influenza l’interpretazione del film da parte dello speatore.167 Per Pravadelli, a parte il war movie, che dà linfa al modo di rappresentazione classico, diversi altri generi invece “meono in discussione alcuni

paradigmi di fondo della classicità”: il noir, il woman’s film, il family melodrama e il musical.168 Generi che – in linea con Elsaesser – vengono definiti da Pravadelli “subversive texts” (“testi sovversivi”) e aprono la fase postclassica di Hollywood. Elsaesser infai, nel suo fortunato articolo del 1972 Tales of Sound and Fury, rileva che in linea con la tradizione melodrammatica a teatro e nel romanzo il melodramma hollywoodiano è costruito “sull’evidenza di crepe e roure nel tessuto dell’esperienza e sul richiamo alla realtà della psiche”.169 La tesi è quella che il melodramma funzioni sulla “discontinuità drammatica” e che questa sia più centrale di altre “strategie” nel cinema americano. In contrapposizione soprauo con Bordwell, per cui i cosiddei “subversive texts” possono essere perfeamente integrati all’interno della classicità, Elsaesser ritiene che la discontinuità drammatica (che si fonda sul “lasciar salire le emozioni e poi farle precipitare all’improvviso con un tonfo”, cioè una struura che consente di passare “dal momento sublime al momento ridicolo”)170 sia un dispositivo formale molto potente perché consente alla narrazione di offrire un’efficace interpretazione del mondo moderno. In sintesi, invece che la strategia del cinema classico propugnata da Bordwell, sarebbe la strategia della discontinuità drammatica propria del melodramma lo strumento narrativo centrale del cinema hollywoodiano. Ciò perché: […] il cinema americano è una drammaturgia speacolare (piuosto che mimetica) “caraerizzata da un utilizzo dinamico delle categorie spaziali e temporali, in opposizione a quelle intelleuali”. Il cinema americano si fonda su cambi di umore, obieivi raggiunti e azione rinnovata piuosto che continuata. […] In altre parole, il significato (simbolico) non è fissato dalle relazioni ai testi esistenti, ma invece si sviluppa nel contesto, nelle frasi “musicali” che compongono il film.171 Il paradigma di Bordwell è divenuto con il tempo il punto di riferimento per chiunque desideri accostarsi a un’analisi

del funzionamento del cinema classico. E, come abbiamo seppur succintamente affermato, è oggeo di diverse critiche e integrazioni. Ne riporto alcune altre: ci aiuteranno a comprendere a fondo i pilastri della costruzione di Star Wars. Secondo Pravadelli, i limiti del lavoro di Bordwell sono due: “Da un lato il grado eccessivamente astrao e generale del paradigma classico, che soovaluta i cambiamenti stilistico-rappresentativi che si verificano negli anni quaranta e cinquanta rispeo agli anni trenta; dall’altro la semplificata visione dell’esperienza speatoriale che viene ridoa a mera comprensione diegetica.”172 Cioè nello speatore, secondo la teoria di Bordwell, scaerebbe un mero meccanismo cognitivo che per Pravadelli escluderebbe qualunque processo di identificazione, di interpretazione o di coinvolgimento psichico. Anche Rick Altman, nel suo Dickens, Griffith and Film eory Today (1989), mee in dubbio il paradigma di Bordwell e propone un’analisi che fa riferimento non solo al teatro borghese naturalistico di fine Oocento ma soprauo alle forme popolari di intraenimento come il melodramma popolare, in cui l’elemento speacolare ed emotivo era rilevante. Campione di questo tipo di narrazione e messa in scena era David Belasco, drammaturgo e imprenditore, così famoso da essere citato da Henry Miller nel Tropico del capricorno; talmente di successo da aver lanciato Mary Pickford. Perciò, secondo Altman, sarebbe da rigeare l’idea secondo cui l’esperienza di fruizione cinematografica dello speatore del cinema classico consista unicamente nella possibilità di risalire alla fabula (la mera storia del film) araverso l’intreccio (cioè tui quei dispositivi narrativo-stilistici che trasformano la fabula in una narrazione il più coinvolgente possibile: idee di sceneggiatura, flashbacks, movimenti di macchina…).173 Da un lato, sostiene quindi Altman, il film classico “segue la formula aristotelica di causa-effeo ed è incentrato sulla traieoria di un personaggio, dall’altro perpetua simultaneamente gli scopi del teatro popolare, in quanto la ‘speacolarità e una varietà di emozioni forti sono necessarie’ al film hollywoodiano”.174 In questo imparentando la sua visione con quella di omas

Elsaesser e accostandosi a quella di Pravadelli che va oltre e sostiene fermamente che il melodramma, ma non solo, sovrasta la tradizione classica facendo entrare in crisi il paradigma di causalità e motivazione di Bordwell e rende protagonisti “sia i processi di speacolarizzazione dell’immagine che la messa in scena di emozioni forti, tipici elementi cardine delle forme popolari di intraenimento”.175 Per Miriam Hansen, infine, riporta sempre Pravadelli, il discorso sulla fruizione speatoriale è ancora più stringente: “La dimensione riflessiva del film hollywoodiano in rapporto alla modernità può assumere forme cognitive, discorsive e narrative, ma essenzialmente è ancorata all’esperienza sensoriale, a processi di identificazione mimetica che sono per lo più svincolati dai meccanismi di comprensione narrativa.”176 Secondo Hansen e Altman quindi alcuni generi classici come il melodramma, la slapstick comedy e il noir sarebbero il risultato sia della fusione dell’elaborazione meramente cognitiva dell’intreccio sia delle tensioni emotive e psicologiche e delle “sensazioni basse da blood melodrama di sesso e violenza”.177 Ci occuperemo più a fondo dei generi del cinema classico nel arto Ao. In ogni caso, come avrete notato, qui si sta parlando anche della dicotomia aristotelica tra mythos e òpsis: racconto e messa in scena (La Poetica (di Aristotele) ←). Le divergenze tra teorici sono sostanziali anche quando si affrontano argomenti non preamente relativi a stile e racconto. La consuetudine vuole che la narrazione del cinema hollywoodiano che chiamiamo classico sia nata alla fine degli anni venti, in particolare dopo la Grande Depressione successiva alla crisi del 1929, e si sia interroa negli anni sessanta con l’avvento della New Hollywood (→ Ao III), in contrasto con l’ipotesi Pravadelli-Bazin. Come sostiene Sandro Bernardi, oltre al New Deal di Roosevelt (che rilanciò l’economia sulla base delle idee di John Maynard Keynes), al taylorismo e al fordismo (due nuove impostazioni del lavoro industriale), fu proprio il cinema a farsi “faore di ripresa ideologica e psicologica, per rifondare la fiducia nelle istituzioni sociali, la speranza nel futuro, la gioia di vivere, e

restituire credito ad alcuni valori fondamentali, come il rapporto di coppia, la famiglia, il lavoro, la colleività urbana”.178 Come afferma invece Geoff King citando Richard Maltby, in realtà “fu per ragioni commerciali che il filmracconto divenne la forma predominante della produzione americana” e non alla fine degli anni venti ma negli anni dieci, “per airare un pubblico borghese che poteva permeersi di comprare bigliei a un prezzo più alto e per dare una reputazione più rispeabile all’industria del cinema che si trovava nei guai”.179 este ragioni commerciali erano alla base del funzionamento dello studio system per il quale il film era il “prodoo di uno sforzo colleivo, all’interno di una logica di catena di montaggio in cui a emergere come ruolo dominante è la figura del produore, piuosto che quella del regista”.180 Vedremo più avanti (→ Ao III) come un regista del livello di Capra, il regista di La vita è meravigliosa (1946), tenti di ritagliarsi uno spazio di indipendenza tematica e produiva dentro Hollywood, ma anche nel suo caso il “sistema” era l’unico modo, e ne condivideva i principi stilistici e narrativi. Mentre “George Cukor, per esempio, come ricorda Gandini,181 dichiarava esplicitamente: ‘Nel mio caso lo stile di regia deve perlopiù coincidere con un’assenza di stile’”.182 L’invisibilità del titolo di questo capitolo. Vediamo di cosa si traa. È indubitabile che la scriura classica funzioni secondo una narrazione e uno stile (di ripresa e di montaggio) che Bordwell ha individuato basarsi sulla “continuità”, e secondo “un’omogeneità tra logica narrativa e logica della messa in scena”.183 Il dispositivo della continuità ha come obieivo più importante quello di far funzionare il pao tra lo speatore e l’opera che ha di fronte ed è basato sulla cosiddea “sospensione dell’incredulità” (→ Sospendere l’incredulità).184 Perché tale pao funzioni è importante che il mondo della narrazione sia comprensibile, ordinato e coerente e che nulla della “macchina” narrativo-tecnico-stilistica sia di intralcio all’intelligenza di tale coerenza: cioè gli ingranaggi che concorrono a creare quel mondo devono rimanere “invisibili”. Lo speatore non deve mai accorgersi del lavorio continuo

del montaggio, della regia, della recitazione, degli artifici retorico-narrativi messi in campo per creare l’illusione di realtà. “La verosimiglianza del narrato funziona sull’effeo di continuità e naturalezza di ciò che si svolge sullo schermo; continuità e naturalezza che possono darsi solo a pao dell’invisibilità dei processi di scriura su cui si basano.”185 La fluidità della progressione narrativa, impostata sulla motivazione per come l’abbiamo descria mira dunque a oenere tale invisibilità: questa fluidità,186 capace di restituire un racconto comprensibile, coerente e al contempo efficace, è alla base delle regole dello script hollywoodiano per come l’abbiamo analizzato nel Primo Ao. Ed ecco che torna ancora una volta in nostro aiuto la riflessione su una di queste regole, la “struura restauratrice in tre ai”, proposta in Alternative Screenwriting: Uno degli aspei dominanti del cinema tradizionale è la misura con la quale cerca di cancellare la presenza del narratore e di implicare che ciò che vediamo sullo schermo accadrebbe a prescindere dal fao che la macchina da presa lo stia registrando. […] la struura conservatrice in tre ai si basa su uno schema disegnato per distrarre la nostra aenzione dalla narrazione e per suggerire che la storia si narri da sola.187 Se c’è qualcosa di molto evidente che accade quando viene infranta questa regola è che il “narratore invisibile” diventa visibile. Come vedremo, non c’è nulla di più invisibile in Star Wars del “narratore”. Non a caso i vari episodi delle trilogie hanno quasi sempre mani diverse che si alternano alla regia: così invisibili da essere interscambiabili. Diversamente dalla leeratura e da altre arti, il cinema è composto di tre scriure, di cui la seconda e la terza sono riscriure della prima e della seconda: la seconda scriura coincide con la fase della messa in scena, che avviene durante la preproduzione e la produzione (il set), araverso le scelte di regia e stile; la terza scriura coincide con la fase di postproduzione, cioè il montaggio della scena, del suono, delle musiche e degli effei speciali visivi e sonori, che può, a

volte, rimeere completamente in gioco anche entrambe le scriure precedenti. ali sono le regole di queste due riscriure? Sono le stesse che da decenni vengono insegnate in qualunque corso di regia e montaggio e che – come anos difende il suo Guanto dell’Infinito dagli aacchi degli Avengers – la segretaria di edizione difende (a volte troppo) strenuamente dalle intemperanze (o dall’inesperienza) del regista. esto ruolo, indispensabile nel reparto regia, in Italia consiste, in estrema sintesi, nel supervisionare la “continuità” linguistica e narrativa delle inquadrature (il cosiddeo découpage), in modo che nella fase del montaggio il girato acquisti la coerenza, l’efficacia e la chiarezza previste. Insomma un ruolo che ha (anche) il compito di impedire quegli “errori” intesi come mera deviazione dalle norme sintaiche di base proprio affinché il meccanismo narrativo sia in grado “di oscurare sia [quelle stesse] operazioni sintaiche che quelle semantiche” e rendere, così, invisibile lo stile.188 Il continuity editing (“montaggio in continuità”) che assicura questa invisibilità è una delle tecniche preferite della Hollywood classica. In questo Bazin è d’accordo con Bordwell, e rilancia: Nella versione originale francese Bazin utilizza il termine “insensibile” quando si riferisce al cosiddeo stile invisibile del montaggio in continuità, che prendo come corollario a: non si sente l’incongruenza nascosta del taglio di montaggio tra un’inquadratura e l’altra […]. Per contrasto, nella traduzione di Hugh Gray viene invece menzionato come “occultamento”. […] A sua volta, Timothy Barnard sceglie il termine “imperceibile”.189 Vediamo in breve queste regole, pilastri della grammatica classica hollywoodiana. Innanzituo ogni scena del film deve possedere unità di spazio, tempo e azione, cioè le inquadrature che la compongono devono avvenire nello stesso arco temporale delle altre, nello stesso luogo, e devono mostrare la stessa azione.

Un’eccezione a questa regola è consentita nel caso del “montaggio alternato”, quando si vuole mostrare la contemporaneità della progressione narrativa di due scene/sequenze diverse e intrecciate fra loro. A livello meramente sintaico, le regole servono a soddisfare la “continuità” e preservare l’invisibilità di cui stiamo parlando e a evitare che il torrente di immagini e suoni che scorre a ventiquaro fotogrammi al secondo risulti lutulento o incomprensibile. Per far ciò la scelta delle soluzioni di montaggio, che si basa sulla disponibilità delle inquadrature girate sul set, ha come obieivo minimo proprio quello di nascondere le soluzioni di montaggio, di evitare che gli “stacchi” generino un trauma perceivo nello speatore che lo indurrebbe a uscire da quella sorta di continuum onirico in cui è immerso e, in definitiva, a rompere il pao della sospensione dell’incredulità. La più importante delle regole, il corrispeivo della regola soggeo-verbo-complemento della lingua italiana, è il “raccordo sul movimento”: Il raccordo sul movimento è il segno più esplicito della continuità. Se in un’inquadratura un personaggio inizia ad alzarsi e continua il movimento nell’inquadratura successiva, si presume che non è passato del tempo. I montatori sanno bene che se collegano male le azioni il pubblico sarà confuso sulla progressione temporale.190 Il “raccordo di sguardo” è invece uno stacco di montaggio che aiuta lo speatore a non perdere il controllo della direzione degli sguardi dei personaggi in scena. Il “raccordo di posizione” serve a fare in modo che allo speatore venga offerta la stessa dinamica prossemica tra personaggi a ogni cambio di inquadratura. Il “raccordo di direzione” ha l’obieivo di mantenere la continuità della direzione di uno o più personaggi in movimento. Un dispositivo di montaggio molto delicato soprauo nelle scene di azione o inseguimento.

È ovvio che la dinamica di una scena complessa può prevedere, come spesso accade, l’applicazione simultanea di più di uno di questi raccordi. Ma l’obieivo è sempre quello di evitare che lo speatore si accorga che il regista e il montatore lo stanno trascinando – più o meno freneticamente – da una parte all’altra dello “spazio cinematografico” (il corrispeivo dello “spazio scenico” teatrale) facendogli perdere l’orientamento e quindi “traumatizzandolo”, cioè impedendogli di seguire con chiarezza lo svolgersi delle azioni. La gestione del tempo, dello spazio e dell’azione dei personaggi è dunque un faore che il montaggio classico deve sempre tenere soo controllo. alunque variazione rispeo a una riproposizione realistica dei tre elementi (cioè una roura di una qualunque delle unità di spazio, tempo e azione) all’interno di una scena o sequenza deve essere segnalata, pena – come sempre – il rischio della roura della sospensione dell’incredulità. È il caso per esempio dei flashbacks, che il cinema classico fa precedere da primi piani, leggeri carrelli verso i volti dei personaggi e/o dissolvenze incrociate. L’unica manipolazione permessa dell’ordine narrativo è il flashback. Nei film hollywoodiani i flashback sono più rari di quanto normalmente crediamo. Durante gli anni ’60 e ’70 i manuali di sceneggiatura di solito raccomandavano di non usarli. Ecco cosa scriveva un manuale [e Technique of Screenplay Writing di Eugene Vale, N.d.A.]:191 “I flashback protrai o frequenti tendono a rallentare la progressione drammatica.”192 Oppure delle ellissi temporali (sorta di flashforward ma senza l’intenzione dell’immediatezza), che lo stile classico segnala con dissolvenze incrociate, dissolvenze a nero o tendine. Chiaramente, la completa e consapevole conoscenza di tali regole offre al regista un altro grande strumento, quello di romperle per oenere effei emotivi o sensoriali più o meno intensi seppur (o proprio perché) inconsueti.

Come abbiamo appena visto, la gestione ordinata e coerente dello spazio è uno degli elementi più importanti dello stile classico. Secondo Pravadelli “la dimensione spaziale è la principale artefice della costruzione del senso del film classico. Lo spazio non solo è unitario, organico e coerente, rispondendo a un’idea di ordine e razionalità (Bordwell), ma è anche, e soprauo, uno spazio relazionale, che include o esclude i soggei, li pone in rapporto di alterità l’un l’altro (Bellour)”.193 Vediamo all’opera queste regole analizzando il modo di lavorare di uno dei più grandi registi di tui i tempi. Nonostante Hitchcock sia considerato uno dei tre grandi indipendenti della Hollywood classica insieme a Orson Welles e John Ford e abbia prodoo innovazioni stilistiche e tecniche formidabili rispeo al linguaggio a lui contemporaneo, è a tui gli effei un regista classico. Così ne parla Elsaesser, approfondendo ulteriormente la sua visione dello stile classico: Che si traasse di un thriller di Hitchcock o di una commedia di Hawks, una cosa era certa: che le scene scivolavano una dopo l’altra come gli ingranaggi di un orologio, e che ogni informazione visiva era intenzionale, coniugata verso la maggior significazione possibile, satura di segnali che spiegavano la motivazione e il personaggio.194 E questo era il giudizio di Roger Ebert: “Aveva una visione molto raffinata per due motivi: usava immagini ovvie e le circondava con un contesto sofisticato.”195 Un sootesto e un contesto sofisticati e a volte trasgressivi incastonati nella solida roccia dei metodi del cinema narrativo hollywoodiano basato sull’invisibilità del linguaggio. La somma di questi due elementi in apparenza inconciliabili, e il fao che si sia formato in Inghilterra all’epoca del muto, quando per Rudolf Arnheim196 il cinema era ancora Cinema, lo ha reso uno dei filmmaker dallo stile più riconoscibile: un continuo alternarsi di priorità tra quelle dell’azione e quelle dello sguardo della macchina da presa. È stato lui stesso, d’altronde, ad

ammeere le “colpe di gioventù” del suo primo cinema: “trucchi folli con violenti tagli di montaggio, dissolvenze, panoramiche con la stanza che girava tu’intorno capovolta” e ad affermare nel 1936: Oggi ho smesso con tuo questo. […] Voglio che lo schermo venga usato nel modo giusto, che ogni suo angolo sia riempito e non voglio teorie pseudoartistiche che ingombrino l’azione. Oggi voglio che il montaggio dia il più possibile la sensazione di continuità e la mia sola preoccupazione è che i personaggi siano ben sviluppati e che la storia venga raccontata chiaramente, senza idiosincrasie registiche.197 Una parabola che ha tua l’aria di essere simile a quella di George Lucas, nei sei anni trascorsi tra il suo L‘uomo che fuggì dal futuro (1971) e Star Wars. È lui stesso a confermarlo, in un’intervista a Rolling Stone del 1977: “American Graffiti [1973] era una sfida, perché fino a quel momento avevo fao solo film folli, astrai e d’avanguardia.”198 Ma le similitudini tra Hitchcock e Lucas non finiscono qui. I due registi, a prima vista così lontani e diversi, condividono la stessa tipologia di approccio alla realizzazione di un film. Per Hitchcock “Un film è già completato nella mente del suo creatore – ‘L’ho inventato in solitudine, e adesso non devo far altro che uscire e girarlo’”.199 Lucas ha la visione completa del film nella sua testa. “Per lui il problema è come rendere concreta quella visione, praticamente, sullo schermo, nella forma più non adulterata possibile.”200 Non bisogna però fare confusione: Lucas e Hitchcock non potrebbero essere più lontani, invece, da altri punti di vista: se ogni film del regista inglese è riconoscibile come suo, quasi ognuno degli episodi della saga, come abbiamo accennato, è stato direo da un regista diverso. Segno che a Lucas non interessava la riconoscibilità autoriale ma la realizzabilità seriale streamente legata alle regole classiche dell’invisibilità dell’autore-narratore. Il film finito deve essere “il meno possibile unadulterated” rispeo allo script, cioè con la minore intromissione possibile di qualunque personalità registica. Non è un caso infai che

Lucas, dopo il primo non abbia direo tui gli altri capitoli della saga e della Star Wars Anthology, ecceo la trilogia prequel, affidandone la regia ai registi più disparati. In ordine di produzione: Irvin Kershner, Richard Marquand, J. J. Abrams, Gareth Edwards, Rian Johnson, Ron Howard. Uno dei punti più alti del linguaggio classico di Hitchcock è secondo noi una delle prime sequenze di La donna che visse due volte (1958),201 quella tra Scoie (James Stewart) e Midge (Barbara Bel Geddes). Un film che, con l’entrata in scena di Madeleine (Kim Novak), diventerà sempre più disubbidiente alle regole dimostrando così come Hitchcock sia stato in grado di far coabitare nel suo cinema entrambi gli elementi. La sequenza che prendiamo in esame per mostrare il “lavorio” del cinema classico è pura narrazione classica. Il personaggio di Midge sembrerebbe del tuo secondario allo sviluppo del plot, che è invece incentrato sulla complessa relazione tra Scoie e Madeleine. In realtà, la seconda sequenza del film – quella che segue la tragedia accaduta durante l’inseguimento di un malvivente sui tei, in cui Scoie acquisisce la sua acrofobia quando rischia di cadere da un palazzo subito dopo la morte del suo collega polizioo – è la sequenza-chiave per iniziare a comprendere il conflio apparente e il conflio profondo del protagonista. Vale la pena approfondirne l’analisi perché siamo di fronte al capolavoro dello stile classico, pienamente recuperato da Lucas nei film della saga, in particolare Star Wars: estrema semplicità grammaticale al servizio di una formidabile efficacia narrativa. Hitchcock apre con un master shot, un’inquadratura del totale dell’atelier di Midge, l’amica d’infanzia di Scoie. A livello di ricostruzione scenografica, nel frame è presente tuo ciò che serve alla narrazione e che anticiperà i temi che saranno affrontati. Midge sta disegnando il modello di un capo d’abbigliamento, Scoie sta tenendo il suo nuovo bastone, per gioco, in precario equilibrio: ne deduciamo che il tragico inseguimento del ladro della sequenza precedente ha avuto per Scoie, per il momento, solo delle sopportabili

conseguenze fisiche. Sullo sfondo vediamo lo skyline della cià araverso i vetri della grande finestra. I due sono entrambi seduti, lei al tavolo da lavoro, a sinistra, e lui sul divano di fronte, a destra. I rapporti prossemici e il livello emotivo di partenza sono chiariti grazie alla classica inquadratura “larga”. Tuo è in equilibrio. Per fare un paragone ricordiamo la sequenza di apertura di Gangster Story (Arthur Penn, 1967), in cui la MDP segue, con una serie di jump cuts ravvicinatissimi e mossi, i deagli del volto di Faye Dunaway. L’ambiente non è raccontato, non ci sono dialoghi né master shots introduivi. Ci sono solo la destruurazione del linguaggio di Godard e l’introspezione di Antonioni.202 Siamo proieati ex abrupto dentro la psicologia di Bonnie. ando il bastone gli cade dalle mani, Scoie si lamenta per un forte dolore alla schiena e abbiamo il primo taglio di montaggio, cioè un raccordo sul movimento (il gesto di Scoie per recuperarlo). La macchina da presa si è avvicinata e si è posizionata di fronte all’aore, senza “scavalcare il campo”, dunque Scoie continua a rivolgersi a Midge guardando a “sinistra macchina” e lei a lui guardando a “destra macchina”. esto taglio di montaggio serve anche a soolineare un primo indizio di “squilibrio”: Scoie non sta bene come sembrava, ma il malessere è ancora solo sul piano fisico. Continuando a perseguire alla perfezione l’armonia e la fluidità del classicismo, la terza inquadratura del dialogo, speculare alla precedente, è su Midge. Subito dopo, un “deaglio”, cioè un’inquadratura ravvicinata su un oggeo: scopriamo che Midge sta disegnando il modello di un reggiseno. Un altro elemento è entrato in gioco: la tensione erotica. Seguono una serie di campi e controcampi sempre sui piani ravvicinati precedenti che assecondano il dialogo, leggero, che continua. Finché Scoie informa Midge che ha intenzione di lasciare la polizia. Midge, come solo le donne sanno fare, lo mee di fronte alle sue vecchie ambizioni di giovane avvocato che avrebbe voluto diventare capo della polizia. L’inquadratura che raccoglie la reazione di Scoie a questa bauta adesso è ancora più strea (ci stiamo infai

avvicinando all’interiorità di Scoie) e diventa una “mezza figura”. Il dialogo sta procedendo verso il cuore del conflio del personaggio, la MDP si è avvicinata per coglierne la reazione escludendo così parte dell’ambiente, che in questo momento non ha più la stessa importanza di prima (visto che ne ha sempre di più l’interiorità). ando Scoie risponde che è stato costreo dalle circostanze, la camera stacca sulla mezza figura di Midge, per cogliere stavolta la sua reazione, perplessa. È evidente che non approva. Una seconda serie di campi e controcampi, ancora più strei dei precedenti, racconta le motivazioni di Scoie: a partire dall’incidente ha sviluppato una forma di acrofobia e ha continui incubi nei quali rivede la scena della morte del collega che precipita nel vuoto. Midge cambia completamente aeggiamento. Se prima neppure lo guardava, concentrata sul lavoro, adesso alza la testa e cerca di spiegargli con la dolcezza che userebbe una madre che non è stata colpa sua. Scoie si alza in piedi e la camera lo segue finendo per inquadrarlo in “piano americano” (inquadratura a partire dalle ginocchia). Il beat (come lo chiamerebbe Robert McKee, I “guru” ←)203 è cambiato e dunque cambia anche il modo di inquadrare i personaggi. Ora Scoie vuole spiegarle in cosa consiste la sua acrofobia. Anche il controcampo su Midge adesso è tornato a essere più largo. La prossemica è cambiata ma le direzioni degli sguardi sono rimaste identiche: la macchina da presa non ha scavalcato il campo. Lo speatore è rassicurato rispeo allo spazio perché questo nuovo beat torna a raccontare un’atmosfera per il momento più distesa. L’alternanza di queste due nuove inquadrature sui personaggi continua finché Scoie non pronuncia una frase che mee in gioco, stavolta, il conflio di Midge: il suo amore non ricambiato per Scoie. Lei gli chiede perché non se ne vada da qualche parte, fuori cià, per rilassarsi e lui le risponde: “Non essere così materna.” Taglio improvviso sul mezzo primo piano di Midge, il più ravvicinato visto finora su di lei, che incassa il colpo in silenzio. Per evitare di approfondire Midge cambia discorso e i piani si allargano di nuovo, l’atmosfera torna a rilassarsi. Secondo la sceneggiatura il

secondo beat della sequenza è finito, e stavolta la prossemica cambia al punto che interviene un’inquadratura nuova che rimee in gioco gli equilibri spaziali. Midge si alza per spegnere la radio e la MDP finisce per inquadrare entrambi i personaggi, adesso però vicini, non più lontani come nel totale iniziale quando ognuno era ancora nel proprio mondo. Il nuovo beat, infai, è la raccolta della semina del deaglio sul disegno di Midge: inizia il suo sofisticato tentativo di predazione erotica. È la prima inquadratura strea, infai, che li “raccoglie” a due carrellando in avanti e posizionandoli accanto a un modello già terminato di reggiseno. L’ambiente è di nuovo poco importante, conta solo un elemento: il simbolo di una possibile relazione sessuale. Ma Scoie non coglie (o fa finta) le intenzioni di Midge e si allontana, finendo per rimanere solo nell’inquadratura. el mondo possibile a due, appena germogliato, è già appassito. Nuovo beat: tornano i campi e controcampi larghi, separati. Scoie, per fare pura conversazione, chiede a Midge come vada la sua vita sentimentale e se ha intenzione di sposarsi. Midge risponde che c’è un unico uomo nella sua vita e Scoie la interrompe soolineando ironicamente che sa traarsi di lui. ando le chiede di confermargli se una volta erano fidanzati (Scoie non lo ricorda con certezza) il taglio di montaggio su Midge ha l’effeo di una bomba: se finora le oiche larghe hanno consentito una relativa ampia profondità di campo, adesso l’utilizzo di un’oica a focale lunga produce un’inquadratura su Midge in primissimo piano che non ha bisogno di parole, solo di un imperceibile sguardo di soecchi della donna, rivolto più che verso Scoie verso ciò che ha deo e che ancora aleggia nell’aria. A fuoco, solo una piccola porzione del suo volto, compresi gli occhi che occupano la parte più potente dell’inquadratura. Il resto dell’ambiente è sfocato. Nella sua risposta, “Tre intere seimane”, inquadrata in quel modo, c’è più di quanto si possa dire in un intero film: c’è il conflio profondo di Midge, una donna rifiutata e ancora innamorata del suo ex compagno.

Il racconto procede senza soluzione di continuità classica finché Scoie cerca di convincere Midge che è in grado di vincere le sue vertigini e per dimostrarlo sale su una piccola scala-sgabello, gradino dopo gradino. Ma quando è in cima, lo sguardo gli cade inavvertitamente oltre la finestra e la vista dell’altezza (il palazzo è al quinto piano) lo costringe ad accasciarsi tra le braccia di lei, che lo accoglie come una madre farebbe con un bambino che ha provato a salire su un albero ma ne è dovuto scendere terrorizzato. L’inquadratura in soggeiva che permee di vedere allo speatore ciò che vede Scoie, la vista insopportabile nel vuoto araverso la finestra, è realizzata con una tecnica sofisticata e innovativa per l’epoca. “Speacolare”, un vero e proprio subversive text. Le vertigini di cui Scoie soffre sono la metafora del suo conflio profondo, cioè la contezza di uno stato di completa impotenza e mancanza di controllo sulla sua vita, che in seguito tenterà di risolvere trasformandosi, inutilmente e tragicamente, in un pigmalione. La paura e il desiderio di cadere nel vuoto, la loa interiore tra repulsione e arazione verso il fallimento, la disfaa, la perdita. Anche quando Hitchcock sperimenta nuove grammatiche l’invisibilità della grammatica è fondamentale. Parlando del suo Nodo alla gola204 (1948) affermò: Girare Nodo alla gola con tecniche da palcoscenico ma in uno studio cinematografico, con la necessità della continuità dell’azione, richiese mesi di preparazione e diversi giorni di prove entusiasmanti. Ogni singolo movimento della macchina da presa e degli aori venne accuratamente elaborato nel corso delle prove, con una tecnica simile a quella con cui si preparano gli schemi per le partite di football. Ogni porta venne segnata con dei numeri per permeere i venticinque-trenta movimenti di macchina presenti in ogni rullo. Intere pareti dovevano scivolare via per permeere alla macchina da presa di seguire gli aori nel passaggio araverso stree porte, per poi ritornare silenziosamente alla loro posizione precedente. Anche i mobili erano “ballerini”. Tavoli e

sedie dovevano essere spostati dagli assistenti e poi rimessi negli stessi punti nel tempo in cui la macchina da presa tornava alla sua posizione originale, dal momento che questa era montata su un apparecchio a rotelle e non si muoveva sui binari, potendo così muoversi liberamente in mezzo a tuo come un camion. esta tecnica, ovviamente, aveva uno scopo. Il pubblico non doveva mai rendersene conto. Se il pubblico capisce che la macchina da presa sta compiendo miracoli, allora lo scopo viene a mancare.205 Seppure “invisibile” lo stile classico è capace di miracoli. Miracoli che descrive molto bene Walter Benjamin nel libro di filosofia più famoso del Novecento, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica: “Nel mondo del film la realtà appare spogliata dell’apparecchiatura solo araverso i più grandi artifici e la realtà immediata vi si presenta come il fiore blu nel paese della tecnica.”206 Tanto, tanto tempo fa, da qualche parte oltre l’arcobaleno… George si trovava in moviola ad aggiustare una scena quando qualcuno disse: “el taglio di montaggio scavalca il campo” (un piccolo errore di continuità all’interno in una sequenza di immagini), e George rispose: “È roba da accademia. i stiamo facendo un film.” Una volta che hai imparato le regole allora puoi infrangerle. È così che lavorano i registi.207 Il rapporto tra George Lucas e il cinema classico, a partire dai suoi cortometraggi, proseguendo con il suo primo lungometraggio (L’uomo che fuggì dal futuro, 1971) per finire con la trilogia di Star Wars, è molto complesso, in equilibrio tra il recupero di alcuni aspei della narrazione mitica dei tempi d’oro dello studio system e la volontà di rielaborazione di alcune delle regole tematiche, narrative e stilistiche fondamentali di quest’ultimo.

Se da una parte, come si deduce dalla sua risposta a Bill Kimberlin in sala di montaggio durante il lavoro di postproduzione del Ritorno dello Jedi (era il 1983), Lucas considerava le regole stringenti dello stile invisibile del cinema classico “roba da scuola di cinema” (in questo caso la regola aurea dello scavalcamento di campo), dall’altra aveva compreso che spostare le avventure dei suoi personaggi molto indietro nel tempo, un tempo astrao e dunque mitico, e in uno spazio indefinito, “da qualche parte oltre l’arcobaleno” (come recita la canzone del film Il mago di Oz), era ciò di cui il pubblico della sua epoca aveva bisogno, come ne aveva avuto bisogno il pubblico statunitense a dieci anni dalla crisi del 1929 e dopo la fine della seconda guerra mondiale. E Il mago di Oz è “un ‘classico tra i classici’”, “la quintessenza del modello produivo hollywoodiano”208 dello studio system. ello che è certo è che, come afferma lo stesso Bill Kimberlin, “una volta che hai imparato le regole allora puoi infrangerle”. E Lucas le regole del cinema classico le conosceva molto bene. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, il montaggio continuo crea un’impressione coerente del rapporto tra spazio e tempo, una convenzione che suggerisce, ad esempio, “un mondo ordinato e comprensibile […] e offre allo speatore un punto di vista ‘rassicurante e soddisfacente per interpretare il mondo presentato sullo schermo’”.209 Continua King, “falsi raccordi e scavalcamenti di campo sconvolgono questa coerenza” e questa rassicurazione. Forse per Lucas si traava di “sconvolgere la coerenza” in un particolare momento di una scena del film, oppure riteneva che quella specifica roura delle regole non fosse particolarmente invasiva. Ma, a parte L’uomo che fuggì dal futuro, il suo cinema non fu certo anticlassico nel seguire le regole della continuità stilistica e narrativa. E come vedremo neppure tematica. Come abbiamo anticipato e approfondiremo nel Terzo Ao, le immagini del film di Lucas restituiscono allo speatore anche un’esperienza fisica e immediata, “sensoriale”, che secondo Pravadelli “non cancella, ma

piuosto si alterna a quella emotivo-identificatoria”. Star Wars, afferma Pravadelli, […] presenta molti episodi esclusivamente narrativi [che] mostrano, significativamente, un linguaggio molto più tradizionale: l’inquadratura è centrata sul personaggio e sulle sue interrelazioni con lo spazio circostante, i movimenti di macchina sono diegeticamente motivati e contribuiscono, assieme ai raccordi, all’identificazione speatoriale.210 Una descrizione che sembra aderire perfeamente alla sequenza de La donna che visse due volte e a centinaia di sequenze di film classici. Così come sembrano sovrapponibili le intenzioni del sootesto, quel torrente continuo e inarrestabile che nel caso dei grandi autori come Hitchcock scorre soo la superficie dell’apparente innocuità del linguaggio classico, e come abbiamo visto prepara a un ben più complesso e oscuro Viaggio dell’Eroe-Scoie. ando all’inizio di Star Wars il famoso testo leerario dei titoli di testa sfuma in profondità lasciando il posto al testo cinematografico e quindi all’inizio del film, la MDP fa una panoramica verso il basso e mostra l’immagine di un universo sconosciuto fortemente simbolica del nostro inconscio. Star Wars ci presenta subito, in questo modo, il contesto nel quale sarà inserita la narrazione: il mito junghiano. Con l’arrivo dello Star Destroyer che insegue la piccola astronave dei ribelli, Lucas introduce subito, nel sootesto, il “conflio” della sua narrazione epica, incarnato poi dal protagonista: la paura di essere vinti da qualcosa di più potente di ciò che siamo e allo stesso tempo il desiderio della ricerca e del controllo di quella potenza: l’inconscio. Darth Vader è infai la parte oscura e potente della Forza, cioè della personalità di Luke, e il Viaggio dell’Eroe di Lucas, sulla distanza della trilogia originale, consiste proprio nel fare i conti con la propria zona oscura. L’archetipo che spinge la personalità verso la completezza, che Jung chiamava il Sé, può sembrare, in sostanza, la ricerca da parte dell’ego di una maggiore

realizzazione, usando una varietà di modi per oenere la sua aenzione. Tale ricerca portata sul grande schermo è ovviamente inquietante: è prevedibile che l’astronave più piccola appartenga ai ribelli e quella più grande al diabolico Impero galaico.211 O anche il conflio tra il desiderio di rimanere umani e la paura di diventare inumani (come gli stormtroopers coperti da maschere che li privano di identità, e lo stesso Darth Vader). Non a caso i primi personaggi che ci vengono presentati, in opposizione alla minacciosa, aseica astronave imperiale, sono tra quelli paradossalmente più umani dell’intero film, i due droidi. Sospendere l’incredulità Sedersi in una sala buia, osservare muoversi, piangere, ridere, uccidere e amare figure antropomorfe bidimensionali colorate – a volte invece solo nelle tonalità del grigio – il cui labiale è artificialmente sincronizzato con le parole che ascoltiamo provenire da altoparlanti posti a un minimo di tre metri di altezza; vedere teste tagliate (che qualche esperto chiama primi piani), mani mozzate (che qualche esperto chiama particolari); e decidere che stiamo assistendo a una “reale rappresentazione del reale” nella quale spesso ci immedesimiamo come se sullo schermo ci fossimo noi stessi. esto significa “sospendere l’incredulità”. Nei tre capitoli della saga originale Lucas ha ben presente il conceo di “sospensione dell’incredulità”, che abbiamo visto essere una pietra fondante dello stile classico. Peraltro, La sospensione dell’incredulità è ancora più forte nella fantascienza, dove immaginiamo il mondo che potremmo avere un domani partendo dal mondo reale di oggi, con tue le scoperte tecnologiche e scientifiche che sfidano o contraddicono le auali leggi dell’universo.212 E quello di Star Wars è addiriura un retrofuturo che non si preoccupa di alcuna verosimiglianza scientifica né di

alcuna riflessione sull’evoluzione delle tecnologie. Il Millennium Falcon dovrebbe disintegrarsi ogni volta che entra nell’atmosfera, per esempio, e a volte sembra tenersi in piedi “con lo sputo”;213 oppure, nonostante nel vuoto dello spazio il suono non si propaghi, possiamo sentire il tuonare dei motori delle astronavi e il rumore delle esplosioni. È un mondo fao di pezzi di lamiera, sabbia, antichi vestiti medievali, rinnegati, pistoleri con i caschi rigati dall’uso, schiavi e sfruatori che popolano improbabili suk.214 ello che qualcuno chiama used future. Per Star Wars, dunque, generare e mantenere il pao di sospensione dell’incredulità è molto difficile. Eppure ci riesce bene, forse anche perché ha dato ascolto a quel tipo di fantascienza “dove l’enfasi era sul ‘sentire’ la tecnologia piuosto che sul suo realismo”.215 Nel testo di R.G. Collins Star Wars: e Pastiche of Myth and the Yearning for a Past Future, leggiamo una riflessione che conferma questa ipotesi: […] una ragione che spiega il vasto successo accordato a Una nuova speranza è che il regista-scriore George Lucas è uno dei pochi autori di film di narrazione ad aver compreso la capacità unica di questo mezzo di comunicazione: in questo film gli effei tecnici sono genuinamente creativi e artistici perché la magia visiva è oenuta con vecchi materiali cui è stato dato un nuovo movimento.216 Per questo Star Wars: Episodio VII – Il risveglio della forza (2015) richiama Star Wars, “ed è perché J. J. Abrams e la sua squadra non si sono preoccupati – spoiler – delle ragioni scientifiche di un cannone laser che risucchia un sole, ma di come sarebbe apparso sullo schermo”.217 E di quanto quell’effeo fosse efficace al servizio del racconto. Ma quando Lucas progea e realizza la trilogia prequel a partire dal 1999, quella in cui scopriamo la back story di Anakin (Darth Vader), commee un errore dovuto con ogni probabilità a quell’entusiasmo che lo ha reso uno dei guru degli effei speciali, in particolare di quelli digitali, con la sua Industrial Light and Magic. esto errore è “spiegato” da una riflessione di Umberto Eco del 1994 secondo il quale la

sospensione dell’incredulità è più efficace con la fotografia e il cinema piuosto che con il disegno, perché l’occhio della camera ha più agio a far credere “vero” ciò che le accade davanti. Eco infai si chiede cosa succederà quando il cinema sarà realizzato interamente in CGI (Computer Generated Images, “immagini generate al computer”) e dunque sarà “disegnato”, cioè una mera “animazione”.218 Una risposta, negativa,219 alla sua domanda è proprio la trilogia prequel di Star Wars, in cui l’artificio del digitale in funzione iperrealistica (cioè del “disegno”, che rimane sostanzialmente la tecnica alla base della CGI, anche alla luce delle ultime novità quali il motion capture)220 è così evidente, monopolizzante e poco integrato con l’analogico da risultare respingente. Forse più del personaggio di Jar Jar Binks.221 Ecco cosa ne pensa Roger Ebert, uno dei più famosi critici cinematografici statunitensi, premio Pulitzer e sceneggiatore di alcuni film di Russ Meyer: ando si traa di immagini generate al computer [la cosiddea CGI, N.d.A.] sento di non potermi fidare interamente dell’esperienza cinematografica che ho fao. Dal punto di vista del loro concepimento queste sequenze sono certamente mozzafiato e inventive. Mi è piaciuto il pianeta piovoso, e l’enorme Colosseo dove eroi combaono contro strane bestie aliene, e la camera del senato a forma di torre, e la fabbrica segreta dove vengono costruiti i cloni. Ma avevo la sensazione di dover avvicinare lo sguardo verso lo schermo per capire cosa stavo vedendo. Le immagini non si staccavano dal film e non mi colpivano con la delizia dei capitoli precedenti. C’era come una sfocatura, una confusione che sembrava indebolire la loro potenzialità.222 È lo stesso regista del Ritorno dello Jedi, Richard Marquand, a confermare che gli effei speciali nel successo della trilogia originale hanno un posto meno importante della narrazione: “[…] prima di tuo viene la storia.”223 Mentre Peter Jackson afferma che “venticinque anni dopo non ricordi gli effei speciali. Sono i personaggi a rimanere in testa”.224

Lucas insomma ha applicato alla fantascienza la lezione di Kurosawa, che affermava che quando si fa un film si deve creare una “realtà immacolata”. Non un singolo pezzo del puzzle della ricostruzione di una realtà inesistente deve essere fuori posto. Paradossalmente (?) Lucas è riuscito in questo intento quando la tecnologia per gli effei speciali era ancora analogica e non quando, una volta digitale, gli consentiva di rendere sullo schermo qualunque idea gli venisse in mente. Ma forse è proprio questa “libertà di potenza” che gli ha impedito di fare le scelte giuste nella trilogia prequel. Un po’ quello che dice di Stanley Kubrick Sarah Maitland intervistata in Stanley and Us a proposito di quando lavorarono insieme alla stesura dello script di A.I.: “Stanley voleva la perfezione, aspeava la tecnologia giusta, non si accontentava. Non si autolimitava neppure nella scelta del genere del film, mescolava Pinocchio con Aldiss e Clark. È questa totale ‘libertà di potenza’, il desiderio di poter avere e fare tuo che gli ha impedito di fare il film. Come con il Napoleon.” Va tenuto anche presente che la trilogia prequel è stata realizzata tra il 1999 e il 2005, un periodo in cui la tecnologia degli effei speciali digitali cinematografici era ancora acerba. È questo il motivo per cui, in particolare il primo capitolo, La minaccia fantasma, dà l’impressione di essere così statico: era molto più semplice, veloce ed economico produrre la CGI su immagini fisse che in movimento. Inoltre non fu possibile girare il film con la telecamera Sony ad alta definizione prevista. Già nel secondo capitolo invece, L’aacco dei cloni, durante la baaglia su Geonosis i movimenti di macchina che insistono sulle scene action sono molto più dinamici e artificialmente “sporchi”, con zoomate e panoramiche a schiaffo improvvise. L’atmosfera del western (→ Il western, Tuco e Mando) torna a farsi sentire, soprauo nel personaggio di Jango Fe e nel ritorno alla dimensione materiale, sabbiosa, alla Dune (David Lynch, 1984). Una risposta positiva alla domanda di Eco è invece la trilogia sequel, in cui la Disney e Abrams recuperano le

“sporcature” della prima trilogia in un tentativo (in parte) riuscito di restituire realismo al digitale, araverso per esempio l’uso del lens flare (un’aberrazione dell’oica in determinate condizioni di luce che imprime strisce luminose sul fotogramma e dichiara – seppur “anticlassicamente” – la presenza della “macchina cinematografica” al lavoro) che tenta di nascondere l’artificio dell’illuminazione digitale. Oppure araverso il ritorno all’effeo speciale “analogico” con ambientazioni esterne desertiche, con edifici fatiscenti agli antipodi degli splendori marmorei della Reggia di Caserta, dei canali similveneziani o delle luminose ma metalliche cià della trilogia prequel come Coruscant, la Dubai della galassia. Secondo e Hollywood Reporter, in una recensione pubblicata nel 1999, nella trilogia prequel è difficile non provare la sensazione che Lucas abbia messo tanta enfasi nel tentare di surclassare se stesso da aver perso di vista quello che aveva reso così divertenti i suoi film precedenti. Ci saranno, certo, coloro che risponderanno con entusiasmo alla sbalorditiva meraviglia tecnica, ma ciò che ha permesso a Star Wars di risuonare così a lungo nell’immaginario colleivo non è il suo stile visivo – per quanto importante – ma la sua abilità di trasportarci in un’altra dimensione, di offrire ai suoi immaginifici, fantastici ambienti una ricca sensazione di umanità.225 Inoltre, come vedremo meglio anche nel Terzo Ao, la struura narrativa della trilogia sequel, diversamente da quella della trilogia prequel, ricalca in maniera sistematica l’arco narrativo del protagonista della trilogia originale: Rey è la versione femminile di Luke da quasi tui i punti di vista.226 La sospensione dell’incredulità del cinema classico, che Lucas opera in pieno nella trilogia originale e recupera in parte in quella sequel, non ha quindi a che vedere con il realismo della messa in scena. Ma con la sua verosimiglianza: una volta che il film ha stabilito in maniera ferrea e chiara le regole del mondo nel quale si muoveranno i suoi personaggi,

ciò che è possibile e ciò che non è possibile, deve mantenersi coerente con quelle regole.227 ando inserisci degli effei speciali in un film, e dunque li immergi nel suo flusso narrativo, dovresti fare sempre aenzione a rispeare le regole del mondo del film. La stessa cosa viene faa oggi con il product placement (inserimento in un film di prodoi commerciali o marchi a uso promozionale). Il Nino Manfredi di turno che fuma Marlboro rosse è ormai impossibile da vedere (non solo perché la pubblicità al tabacco è stata vietata). esto tipo di product placement si chiama “screen placement” e ha un valore puramente visuale: il prodoo o il marchio vengono posizionati nel punto di maggiore visibilità del fotogramma, con debole relazione, a volte nessuna, con la storia. Ormai è giustamente relegato alla TV di bassa lega. Oggi esistono società specializzate nel product placement cinematografico che introducono il cliente ai segreti del “linguaggio invisibile” di cui abbiamo parlato: quale automobile è verosimile che guidi Daniel Craig in 007? La scelta dell’Aston Martin è dovuta perciò al cosiddeo “script placement”, cioè il brand viene collegato al protagonista del film in maniera coerente con il personaggio. Infine, con il “plot placement” l’inserimento del prodoo è fortemente integrato nella trama stessa del film. Ad esempio Il diavolo veste Prada. Insomma, maggiore è la coerenza di un brand (o di un effeo speciale) con il mondo di regole del plot, dello script e del character, maggiore è l’invisibilità di quell’inserto, minore è il trauma e minore è il danno inferto alla storia. Ecco un estrao dall’intervista che Bill Moyers ha fao a Lucas che ci permee di comprendere le riflessioni rispeo alla verosimiglianza e alla coerenza interna del mondo di regole. Lucas sta parlando del primo capitolo, La minaccia fantasma, e della cià soomarina di Otoh Gunga dove Jar Jar Binks ha condoo i-Gon Jinn e Obi-Wan Kenobi: GEORGE LUCAS:

Una delle cose su cui mi impegno molto è creare una sorta di immacolato realismo in un mondo totalmente irreale e fantasioso. Una scienza che posso

inventare dal nulla. Ma quando invento una regola poi devo conviverci. BILL MOYERS:

Cioè?

GEORGE LUCAS:

Beh… voglio dire… una delle regole è che nello spazio c’è il suono. Perciò nello spazio c’è il suono. Non posso all’improvviso far volare delle astronavi senza suono, perché l’ho già viste con il suono. Ho stabilito questa come una regola della… della mia galassia e devo conviverci.228 Come abbiamo visto, nei primi minuti di Star Wars assistiamo subito – come l’establishing shot che in un film classico mostra i luoghi dove si svolgerà la vicenda (per esempio una strada, l’esterno della casa del protagonista, la Monument Valley) – a un’immagine dello spazio stellato, il profilo di un pianeta con un’atmosfera e due lune. Il testo che precede ci ha spiegato che ci troviamo nel mezzo di una guerra civile dei ribelli contro l’Impero Galaico. Lo spazio e l’inquadratura vengono gradualmente invasi dalla pancia di un’enorme, minacciosa astronave da guerra che insegue una piccola astronave priva di aeggiamenti minacciosi. ando entriamo in interni, i primi personaggi che ci vengono presentati sono due droidi, R2-D2 e C-3PO, quest’ultimo antropomorfo. Tui e due “parlano”, il primo emeendo una bizzarra varietà di suoni eleronici, il secondo in perfeo inglese. Ma i due sembrano, comicamente, comprendersi (→ La commedia: Marx Wars). Potrebbero perciò accadere due cose: che il pubblico rida dei personaggi e dunque del film perché “estranei” al suo mondo di regole; che il pubblico rida con il film. È chiaro però fin dall’inizio che ci troviamo di fronte a un mondo di regole del tuo non realistiche, seppur verosimili e coerenti fra loro al punto che due robot che litigano non vengono percepiti come estranei. E il pubblico ride con il film. Cioè l’inserto dell’“effeo speciale” è riuscito. La definizione di “verosimile” dell’Enciclopedia Treccani è: “Che ha l’aspeo, l’apparenza della verità, e perciò potrebbe anche essere vero, o ritenuto tale e acceato per tale.”

Star Wars soddisfa anche entrambe le caraeristiche narrative che Tzvetan Todorov cita nel suo La leeratura fantastica (1970). È una narrazione fiabesca, che Todorov inserisce nella categoria del “meraviglioso”, ambientata in un mondo composto da pianeti lontanissimi e abitato anche da esseri non umani che affrontano avventure improbabili, e dunque fiizio. Ed è una narrazione fantastica, cioè “perturbante”, in cui all’interno di un sistema di regole reali si inserisce qualcosa di alieno. Fuori della sfera del noto, il “fantastico” e il meraviglioso acquistano libera ciadinanza e riescono con facilità ad apparire “plausibili”.229 Lucas riesce a coniugare entrambe le categorie anche perché mantiene sempre coerenti – a partire dal setup iniziale – sia le regole del linguaggio classico sia quelle della fiaba e del fantastico. Inoltre, grazie all’intuizione di seguire il deato di Campbell, proiea il racconto in un passato/futuro mitico basato sugli archetipi, a noi familiari, della magia, della filosofia e della religione. Tra qualche trilogia (se esiste un franchise immortale, Star Wars lo è) a chi importerà se un drone militare farà meglio di quanto uno stormtrooper possa fare sul campo di baaglia? Non sono queste le domande che cerchiamo e la storia di Star Wars – insomma i miti – sono tanto più forti per questo.230 Come abbiamo visto, le regole del linguaggio e le convenzioni del montaggio classico, adoate anche da Lucas, “servono in generale per airare l’aenzione sulla storia, o narrazione [mythos, N.d.A.], piuosto che sulla tecnica [òpsis, N.d.A.]. Se ne evincono notevoli implicazioni,” spiega Geoff King, aiutandoci a suffragare la nostra riflessione. “Si ha l’impressione che il mondo davanti alla macchina da presa si dispieghi in modo naturale e spontaneo. Lo speatore ha accesso immediato al mondo fiizio del film. Rimane nascosto che tuo è stato costruito con cura fino all’ultima posizione di macchina e inquadratura.”231 E che dentro R2-D2 ci sia un nano.

Abbiamo anche visto che, come spiega Sylvie Magerstädt, non è sempre necessario neppure un grado intenso di realismo perché il pubblico sospenda l’incredulità: “La realtà alternativa può ben essere una versione esagerata e idealizzata del nostro mondo.”232 Se le immagini che vediamo sono immagini di speranza e idealismo, anche se sappiamo che sono fantasie ci piacciono lo stesso: ci ispirano l’idea che le cose possono migliorare. Secondo Magerstädt è proprio in Star Wars che possiamo vedere bene al lavoro questo meccanismo: il film infai promuoveva valori come la resistenza alla paura e all’odio, la coltivazione dell’amicizia, della fede e della lealtà, così come anche la redenzione araverso l’amore e il perdono. Anche se questi aspei possono sembrare versioni prosaiche dei “veri” valori religiosi, possono offrire un sistema di valori che influenza molti speatori molto oltre l’esperienza cinematografica.233 Star Wars, un film muto Ciò che più ammiro della tua arte, è che è universale. Tu non dici una parola, tuavia il mondo ti capisce. Albert Einstein a Charlie Chaplin Limiti al budget possono anche incentivare l’uso di dialoghi eccessivi e sopra le righe per evitare costose scene d’azione. L’uso di scene dialogate di entin Tarantino è un buon esempio di questo impulso.234 Biskind rileva che Star Wars “ha messo a fruo la lezione di Lo squalo, secondo cui bambini e giovani sono pronti a vedere e rivedere un film senza grandi star”.235 Nel cast del film non ci sono divi del cinema (neppure Alec Guinness, il nome di

maggior richiamo, lo era) ma solo aori di secondo piano, soprauo tra i tre protagonisti: Mark Hamill (Luke) era solo una piccola star televisiva; Harrison Ford (Solo) fino ad American Graffiti era un carpentiere con irrilevanti esperienze di recitazione alle spalle; Carrie Fisher (Leia), aveva avuto solo un ruolo secondario, seppur memorabile, in Shampoo (Hal Ashby, 1975). È significativa questa assenza di uno degli aspei più importanti del classicismo hollywoodiano, quello dello star system, che negli anni seanta aveva perso la penetrazione nell’immaginario colleivo che aveva avuto dagli anni dieci agli anni cinquanta raggiungendo l’apice negli anni venti. esta scelta fu dovuta soprauo a ragioni economiche e a una serie di rifiuti da parte di aori all’epoca molto famosi che non accearono il ruolo. Prima di meere soo contrao Ford, Lucas aveva provato a offrire la parte a Kurt Russell,236 Al Pacino237 e Burt Reynolds.238 Mentre aveva contaato Toshiro Mifune239 per il ruolo di Obi-Wan Kenobi e poi di Darth Vader. Ma tui avevano rifiutato adducendo come motivazione di non aver compreso la natura del film (un modo eufemistico per dire che non avevano gradito lo script), per poi pentirsene amaramente in seguito. Anche James Earl Jones chiese di non apparire tra i titoli di coda del film come voce di Darth Vader. La scelta di Hamill invece avvenne, suggerita a Lucas dal grande amico di Hamill Robert-Nightmare-Englund e dall’agente di Lucas, dopo che Lucas aveva scartato John Travolta, Nick Nolte e Tommy Lee Jones e aveva messo gli occhi su Robby Benson (anche lui all’epoca aveva fao solo TV) e Will Seltzer (che nel 1979 avrebbe interpretato una parte secondaria nel sequel di American Graffiti). La composizione finale di un cast di aori sconosciuti ha rappresentato paradossalmente un elemento fortunato per la sospensione d’incredulità di cui il film, come abbiamo visto, aveva molto bisogno. Soprauo nella scelta di Hamill nel ruolo del giovane Skywalker, uno sconosciuto abitante del pianeta Tatooine, un ragazzo come noi, eppure destinato a salvare la galassia. Extrafilmicamente sconosciuto al pubblico

cinematografico, quindi filmicamente “comune”. Un aspeo importante per far scaare il meccanismo dell’immedesimazione nello speatore: un volto non troppo riconoscibile non porta con sé la memoria di altri ruoli e altri film e dunque è vergine rispeo alla proiezione che su di esso fa il pubblico. Ognuno, così, poté riconoscersi in quel young adult240 orfano e impaurito dalla vita. Ma come vedremo più avanti a proposito del tentativo di far rivivere sullo schermo Bogart e Gable, Lucas era estremamente consapevole dell’importanza della mitologia del divismo che “l’urbanizzazione e l’industrializzazione hanno alimentato e potenziato […], venendo incontro a quei ‘bisogni di mito’ che sono ancora latenti nella colleività”.241 Un film classico inizia con un’esposizione che proiea lo speatore in medias res, sostiene Bordwell, perché: […] innesca una prima impressione forte, che diventa la base delle nostre aspeative per tuo il film. […] In ogni narrazione, le informazioni offerte per prime su un personaggio o una situazione creano una linea di riferimento rispeo alla quale viene giudicato il resto. […] il cinema classico sfrua l’effeo primato. Una volta che la descrizione iniziale ha traeggiato il personaggio, questi dovrebbe rimanere coerente. Ciò significa che le azioni devono essere univoche e significative.242 La linea di riferimento è quel mondo di regole cui abbiamo accennato più sopra e l’incipit di ogni film ha il compito di esporlo in maniera chiara. Il ventre interminabile dello Star Destroyer che sfila all’inizio di Star Wars offre al pubblico “uno shock meraviglioso nel vedere ciò che sembra solo un piccolo accenno delle formidabili sorprese in serbo per lui”.243 Sempre in equilibrio tra la narrazione e lo stile classici e le intenzioni di una fruizione sensoriale da luna park (→ Reaganite entertainment; → Starbusters), Lucas tranquillizza lo speatore: “Siete in buone mani, potete aspearvi un racconto fantascientifico di alto livello: azione, eroi e commedia. Vi divertirete: non è 2001: Odissea nello spazio con le sue complicate filosofie esistenziali!” ando più tardi

introdurrà i personaggi (bidimensionali)244 e gli snodi narrativi (elementari) non ci sarà infai da temere di perdere l’aenzione del pubblico. Facendo riferimento a Richard Mealand,245 Bordwell rileva inoltre che Anche lo star system incoraggia l’abitudine della prima impressione. “Chi recita in un film è selezionato per la parte proprio per le impressioni che induce nel pubblico rispeo al personaggio. Per esempio, appena vedete Walter Pidgeon sullo schermo sapete immediatamente che non potrebbe mai fare nulla di caivo o meschino.” Tui questi faori convergono a rinforzare l’effeo primato.246 Privo di divi, Star Wars non può che contare, per oenere l’effeo primato, sul mondo stesso nel quale agiscono i personaggi. I personaggi bidimensionali e la trama elementare, “l’approccio morale manicheo, i cappelli bianchi e i cappelli neri, ha[nno] restituito lustro a valori ritenuti superati, come l’eroismo e l’individualismo. Al tempo stesso, dopo mezzo decennio di film corali o a tema, finali tristi, narrazioni spezzate, disseminate di flashback e sequenze oniriche psichedeliche” – il cinema della New Hollywood che approfondiremo più avanti – “Lucas ha ristabilito il piacere di un racconto direo, senza ironie, insieme a personaggi bidimensionali accessibili, le cui storie finivano bene”.247 Oltre che in Narration in the Fiction Film, Bordwell ha affrontato la differenza tra “fabula” e “intreccio” (story e plot, termini mutuati dal formalismo russo) anche in Classical Hollywood Cinema. Nel linguaggio cinematografico inglese story sta per “soggeo”, una narrazione ordinata cronologicamente i cui eventi scorrono nelle loro presunte relazioni spaziali, temporali e causali. Diremmo: la narrazione che succede. Plot è invece la narrazione finale, il film finito sullo schermo. Diremmo: la narrazione come succede.248 Oppure: la “fabula” è il “materiale grezzo di una storia”, l’“intreccio” il “modo in cui la storia è organizzata”.249 “Per esempio, la trama può presentare alcuni eventi in ordine non

cronologico; per comprendere il film dobbiamo essere capaci di ricostruire quell’ordine cronologico, quella fabula.”250 Il cinema classico utilizzava i flashbacks (caso esemplare è il lungo flashback in Casablanca che mostra il passato di Rick e Ilsa a Parigi). Star Wars, in oemperanza a quanto affermato da Biskind, ne è invece privo. Se la narrazione classica tendeva, come abbiamo visto, alla semplicità, alla fluidità e all’invisibilità di stile e montaggio, Lucas va oltre, in una sorta di furia di semplificazione in reazione al cinema coevo, dimostrandosi più classico del classico evitando di chiedere allo speatore anche lo sforzo di ricostruire la story a partire dal plot, negandogli il “caraere costruivo della percezione”. ello che lo storico dell’arte austriaco E.H. Gombrich chiama mental set:251 ogni ao visivo è culturalmente orientato.252 L’obieivo della semplificazione a tui i costi, figlia a sua volta anche dell’obieivo di ricalcare la narrazione mitica, quindi generica, il più possibile universale, di Campbell, è rintracciabile anche nel fao che il racconto della loa tra il Bene e il Male in Star Wars è molto poco specifico. “La storia dell’eroe e del grande caivo non può concedersi particolarità: l’Impero Galaico non ha nulla di brutale oltre al nome; l’Alleanza Ribelle non è gravata da nessuna seria ideologia esplicita. Tuo ciò che ci è consentito sapere è che una fazione è buona e l’altra è caiva.”253 Affronteremo brevemente più avanti il poema su Gilgamesh (→ Il fantasy, la Forza e la magia) ma qui vale la pena anticipare che si traa di uno dei pochissimi esempi di leeratura babilonese che può essere lea senza alcuna specifica conoscenza della civiltà cui fa riferimento. “I nomi dei personaggi possono risultare poco familiari e i luoghi bizzarri, ma alcuni dei temi sono così universali nell’esperienza umana che per il leore non è difficile comprendere cosa spinga l’eroe ad agire e identificarsi con le sue ambizioni, il suo dolore e la sua disperazione.”254 Sembra la descrizione di Star Wars.

Sempre seduto orgogliosamente sull’altare della semplificazione, “Lucas insisteva perché gli aori recitassero i dialoghi in maniera piana, direa, senza calcare la mano e senza ammiccare”.255 I dialoghi non hanno molto senso nei miei film256 spiega Lucas. Sono il primo a riconoscere di non saper scrivere i dialoghi. Dipende dal fao che non mi piacciono.257 E ancora: Un’altra ragione per cui [Star Wars] ha funzionato così bene, ho pensato, è che fondamentalmente è un film muto. In questo modo chiunque, non importa quanto fosse giovane o di quale cultura fosse, poteva capirlo. Non c’era bisogno di capire i dialoghi.258 Robert G. Collins scrive nel suo Star Wars: e Pastiche of Myth and the Yearning for a Past Future: Poiché [Lucas] sta creando una leeratura visiva, il linguaggio parlato diventa secondario, un mero supplemento all’immagine che fluisce dalla macchina da presa, dalla quale emerge il mito. Le baute, tue praticamente trae da situazioni tipo, sono segni acustici, le espressioni così familiari che ci è sufficiente ascoltare solo metà frase per sapere quale sarà la seconda metà.259 Esprimersi leeralmente senza parole può essere uno straordinario strumento di comunicazione per arrivare a tui. Da Charlot e Keaton a Khaby Lame (che Dio mi perdoni), passando per Mr. Bean. Non a caso una delle sequenze più esilaranti e significative dell’intera filmografia chapliniana è quella di Tempi moderni (1936): erano passati quasi dieci anni dall’avvento del sonoro ma Chaplin non aveva ancora trovato il modo di far parlare la sua maschera. La sequenza in questione rappresenta dunque una formidabile riflessione su come immergere Charlot in un nuovo sistema di segni nel quale il vagabondo riuscisse a continuare a comunicare con tuo il mondo. Chaplin sceglie una transizione “morbida” e

con il pretesto di far perdere a Charlot i polsini su cui aveva scrio le parole della canzone Je cherche après Titine inventa un “gramelot” privo di senso.260 La maschera muta finalmente parla (o meglio, canta): “In questo modo chiunque, non importa quanto fosse giovane o di quale cultura fosse, poteva capirlo” lo stesso. Se dunque, come afferma Gombrich, ogni ao perceivo presuppone un orientamento culturale, mantenendo i dialoghi al più basso livello di complessità e facendo parlare quasi solo le immagini Lucas ha fao in modo di semplificare anche il problema della comprensione del film da parte degli speatori di ogni parte del mondo. D’altronde se il cinema classico è tale lo “è anche per la sua capacità di parlare a speatori appartenenti a classi e nazioni diverse”.261 Lucas aveva dalla sua evoluti strumenti dell’òpsis aristotelico e dunque poteva permeersi di usare poco lo strumento dialogico. Il contrario esao del teatro elisabeiano, molto parlato anche a causa della sua povertà scenica. Nonostante l’eccesso di òpsis configuri un’aporia rispeo al deato aristotelico, come vedremo Lucas è stato capace di usarlo in armonia con il mythos, il racconto. Sembrerebbe quasi che Lucas tentasse di allontanarsi il più possibile dalle riflessioni di Zavaini, secondo il quale è sufficiente riportare sullo schermo la realtà così com’è. “Ogni momento è infinitamente ricco, il banale non esiste,” diceva il teorico del Neorealismo citato da Francesco Casei nella sua analisi delle teorie del cinema. “Perciò,” chiosa Casei “se si parlerà ancora di speacolo e di racconto, si dovrà sapere che si è al di fuori della logica che li ha fin qui contraddistinti.”262 Al contrario, sempre seguendo la definizione di Casei di “speacolo”, Lucas si inserisce “nella tradizione dell’allestimento teatrale, cui il cinema offre nuove e più ampie possibilità tecniche”, essendo lo Speacolo “un’area composita in cui dominano lo splendore scenografico e la volontà di raccontare, l’alleamento del pubblico e il gioco della finzione”.263

A una valutazione superficiale sembrerebbe che questo cinema di Lucas sia in sintonia con le tesi di Rudolf Arnheim espresse nel suo Film come arte, tesi sposate da registi come Ejzenštejn e Chaplin. Arnheim considerava quello del periodo del muto come l’unico cinema che poteva essere considerato arte. La sua riflessione era a tui gli effei la confutazione dell’idea che il cinema fosse una mera riproduzione tecnica della realtà, una specie di sofisticatissima fotocopiatrice delle immagini del reale in movimento.264 Secondo Arnheim, al contrario, sono precisamente i limiti tecnici di riproduzione della realtà propri del cinema muto a renderlo potenzialmente un’arte a tui gli effei. Tali limiti, come l’assenza del sonoro, il bianco e nero, la limitatezza del quadro visivo rispeo a quello dell’occhio umano, la bidimensionalità dell’immagine, l’assenza del continuum spazio-temporale dovuta al montaggio, l’impossibilità di restituire allo speatore il senso dinamico dell’equilibrio (cioè “l’assenza del mondo non visivo dei sensi”)265, sono per Arnheim i “mezzi formativi” del cinema, i suoi strumenti artistici. Limiti che andrebbero enfatizzati, e non nascosti, a fini espressivi. I nostri occhi non sono un meccanismo che funziona indipendentemente dal resto del corpo. Lavorano in continua cooperazione con gli altri organi sensoriali. Perciò nascono fenomeni sorprendenti quando si chiede agli occhi di trasmeere al cervello idee non supportate dagli altri sensi. Così, per esempio, è notorio che guardare un film registrato con una macchina da presa che viaggia ad alta velocità produce un senso di vertigine. […] Gli occhi agiscono come se il corpo intero si stia muovendo, mentre invece gli altri sensi, compreso quello dell’equilibrio, ci dicono che è a riposo.266 Il linguaggio che secondo Arnheim quel cinema aveva le potenzialità di esprimere non è certo dunque il linguaggio invisibile del cinema classico hollywoodiano. Ecco perché, nonostante le apparenze, l’obieivo di Lucas era opposto a quello di Arnheim. Per esempio, come approfondiremo nel

Terzo Ao: per l’utilizzo del Dolby Surround grazie al quale Lucas cercava di ricostruire nello speatore un’esperienza sensoriale immersiva, oltre che narrativa, da luna park, per recuperare in parte il mondo non visivo dei sensi e spingerli a “non essere a riposo”. È l’esao opposto di ciò che secondo Arnheim accade con la limitatezza della percezione visiva cinematografica e che andrebbe preservata, così come oggi – immaginiamo – preserverebbe il cinema in 2D dagli aacchi del 3D. Col mitra in mano. Il recupero della narrazione classica da parte di Lucas si evidenzia anche nell’utilizzo del double plot. Hollywood ci ha abituato a due trame che viaggiano parallele e a volte convergono: una avventurosa e una romantica, che interessano i personaggi principali. Il plot dominante è quello che caraerizza il genere del film.267 Notorious – L’amante perduta (Alfred Hitchcock, 1946) e Casablanca (Michael Curtiz, 1942) rappresentano esempi perfei di film con double plot. Nel film di Hitchcock si traa della storia della missione in Brasile per conto del governo statunitense e la storia d’amore tra i due protagonisti, Devlin (Cary Grant) e Huberman (Ingrid Bergman). Nel film di Curtiz l’impossibile, lunga storia d’amore tra Rick (Humphrey Bogart) e Ilsa (Ingrid Bergman) si svolge in parallelo alle vicende del doppio gioco patrioico di Rick a favore di Victor (Paul Henreid), il marito di Ilsa, e a discapito del generale nazista: “Una storia di taglio melodrammatico [innestata] su una storia di war film.”268 Stessa dinamica è presente nella prima trilogia di Lucas: la principessa Leia, leader dei ribelli, è contesa dal protagonista Luke e dal good-bad-boy Han Solo. Fraanto Luke e i ribelli (e alla fine anche Solo) si occupano di distruggere l’arma fine di mondo dell’Impero Galaico, la Morte Nera. Lucas “voleva che ci fosse una sorta di triangolo amoroso che coinvolgesse i tre personaggi principali, una specie di Casablanca intergalaico, quindi la chimica tra i tre protagonisti era di importanza cruciale”.269 Jay Jones, biografo di Lucas, rileva anche, a proposito di Star Wars, che il secondo plot, quello romantico e dunque vissuto da star in carne e ossa, aveva l’obieivo di aiutare il pubblico a non

sospendere l’incredulità rispeo alla presenza massiccia di robot e alieni nel film, “affinché nessuno speatore finisse impantanato nei tanti deagli della storia”.270 Tout se tient. “Ti amo.” “Lo so.” Come abbiamo approfondito nel Primo Ao, un altro degli aspei più frequenti dei film della Hollywood classica è la divisione in tre ai della struura narrativa. Ci viene in soccorso anche qui Casablanca, spesso citato come esempio ideale di divisione dello script nei tre momenti chiave che qui ricapitoliamo: 1) Preparazione, introduzione del mondo e del conflio dell’eroe: l’equilibrio imperfeo e l’incidente scatenante; 2) Confronto, la loa dell’eroe per risolvere il proprio conflio e il confronto con prove sempre più difficili fino alla crisi; 3) Risoluzione, l’eroe risolve il conflio e porta il suo mondo (colleivo o interiore) su un livello di equilibrio superiore. Oppure, per maggiore chiarezza (e Restorative reeAct(ion) Structure ←): Ao 1 – contiene il conflio o l’azione che si sviluppa fino a una crisi e imposta gli scontri affilati nel secondo ao. Ao 2 – l’azione che finisce con l’eroe/eroina coinvolti in ciò che sembra essere un problema irrisolvibile. Ao 3 – la soluzione di tui i conflii, fino al climax risolutivo. Secondo Chihiro Kameyama, che Variety chiama “il super produore”, che Bordwell definisce “il Bruckheimer del Giappone” e che per sua stessa ammissione produce film con una struura narrativa basata sui modelli hollywoodiani, “La struura in tre ai di Star Wars è vicina alla perfezione”271. Se proviamo a meere in parallelo i tre ai del film di Curtiz e quelli del film di Lucas scopriremo deagli

interessanti. Primo ao di Casablanca: Rick gestisce un locale di successo nel quale si è ritirato dopo anni di combaimento e contrabbando a favore della repubblica spagnola. Ci troviamo in un periodo di conflii, la seconda guerra mondiale. L’incidente scatenante: Rick entra in possesso di alcune leere di transito rubate a due nazisti, quando nel suo locale si presenta Ilsa, suo antico amore perduto, che insieme al marito (Victor Laszlo) ha bisogno disperatamente di quelle leere di transito. Rick tornerà a combaere per la resistenza antitedesca, aiutando anche la donna che lo ha abbandonato? Riuscirà a vincere la sua resistenza interiore? Primo ao di Star Wars: Luke, giovane agricoltore, vive con gli zii sul desertico pianeta Tatooine. Siamo in un periodo di conflii galaici. Luke conosce la ribellione e ne è affascinato ma non può lasciare gli zii adoivi. Un giorno acquista due droidi e dentro uno di essi scopre un messaggio di Leia destinato a Obi-Wan Kenobi: la principessa, leader della ribellione, è prigioniera di Darth Vader e chiede aiuto al vecchio Jedi. Luke fa resistenza e non riesce a decidere di abbandonare tuo per la loa. L’incidente scatenante: un giorno tornando alla faoria degli zii, la trova in fiamme. Gli zii sono stati uccisi dalle Truppe d’Assalto Imperiali alla ricerca dei droidi. Così decide di seguire Obi-Wan Kenobi su Alderaan per imparare la dorina degli Jedi. Secondo ao di Casablanca: Rick non ha ancora dimenticato Ilsa, che ha amato a Parigi e da cui è stato abbandonato. La donna prega Rick di dar loro le leere di transito per fuggire: il marito è in pericolo a Casablanca. In cambio rimarrà a Casablanca: è ancora innamorata di lui. Rick è in difficoltà. Ma più tardi scopre che Laszlo è disposto a lasciargli Ilsa, che ama, pur di non meerla in pericolo. Secondo ao di Star Wars: Luke e Kenobi incontrano nuovi compagni di viaggio, tra cui Han Solo e Chewbacca. I quaro scoprono che Alderaan è stato distruo dalla Morte Nera. Il Millennium Falcon di Han Solo viene risucchiato nell’astronave imperiale. Aaccati dagli stormtroopers, i

quaro riescono a salvare la principessa e a disaivare il raggio. Ben sacrifica la sua vita. Luke, sulla via del ritorno e con i piani per distruggere la Morte Nera, è preso dallo sconforto: il suo mentore è morto. Terzo ao di Casablanca: Rick pianifica il doppio gioco con il capitano Renault, funzionario francese che “gestisce” Casablanca – e controlla il locale di Rick – per conto dei nazisti comandati dal maggiore Strasser, promeendogli di consegnargli Laszlo. Ma quando Rick dà a Laszlo le leere costringe Renault ad accompagnarli all’aeroporto. A sua volta Renault, di nascosto, telefona al maggiore Strasser avvisandolo dell’accaduto. All’aeroporto, Ilsa vorrebbe rimanere con Rick ma lui la costringe a partire, proprio per l’amore che prova per lei. ando Ilsa e Laszlo sono sull’aereo e arriva il maggiore Strasser che cerca di contaare la torre di controllo, Rick lo uccide. Renault si rivela il patriota che è sempre stato e non denuncia Rick per l’omicidio. Rick ha ritrovato il suo entusiasmo per la loa. Il suo equilibrio perduto. Tra lui e Rick inizierà una bella amicizia. Terzo ao di Star Wars: Luke e compagni pianificano la baaglia per distruggere la Morte Nera. Han Solo si sfila dalla loa. Per riuscire a combaere le sue paure, abbandonato da Ben e Solo, Luke deve usare tuo quello che ha imparato. Decide di fidarsi della Forza e, con l’aiuto di Solo che a sorpresa torna per combaere Vader, riesce a distruggere l’arma dell’Impero. L’equilibrio della Galassia e di Luke sono stati ripristinati. Tra lui e Solo nascerà una bella amicizia. Come si può rilevare facilmente, al neo delle differenze tra i generi e delle intenzioni produive, gli archi dei personaggi sono simili: in seguito all’incidente scatenante entrambi i protagonisti partono da una resistenza iniziale a entrare (o rientrare, nel caso di Rick) nella loa, continuano confrontandosi con il loro passato per sciogliere le aporie della loro presente identità e infine, quando comprendono di essere pronti, o di non avere alternative, “combaono il

drago”. Ma Casablanca e Star Wars hanno molti altri punti in comune. Avvalendoci ancora una volta delle riflessioni di Umberto Eco, e anticipando un gioco che riproporremo più avanti, immaginiamo che il seguente testo sia stato pensato per descrivere Star Wars. Eco lo dedica invece a Casablanca. E immaginiamo che il momento in cui il pubblico della sala cinematografica esplode in un applauso liberatorio sia quello in cui Han Solo torna con il Millennium Falcon a salvare Luke per consentirgli di distruggere la Morte Nera, come in effei accadde soprauo durante le prime seimane di proiezione nel 1977. “Era il fuoco dell’artiglieria o era il mio cuore che baeva all’impazzata?” Ogni volta che viene proieato Casablanca, in questo punto il pubblico reagisce con un entusiasmo che di solito riserva al football. A volte è sufficiente una sola parola: i fan urlano ogni volta che Bogart dice “bambina”.272 Spesso gli speatori citano a memoria le migliori baute prima ancora che gli aori le dicano. Secondo i canoni estetici tradizionali, Casablanca non è un capolavoro, sempre che tale espressione abbia ancora senso. […] È un miscuglio di scene sensazionali tenute insieme in modo assurdo, i personaggi sono psicologicamente inverosimili, gli aori recitano in modo manieristico. Nonostante ciò è un grande esempio di testo cinematografico, un palinsesto per futuri studenti della religiosità del ventesimo secolo, un laboratorio di primaria importanza per la ricerca semiotica di strategie testuali. In più, è diventato un cult movie.273 L’influenza del film di Curtiz, una delle vee della Hollywood classica, su Star Wars è nota. Vediamone altri aspei. Durante la seconda stesura dello script, e dopo aver abbandonato l’idea che il personaggio di Han Solo fosse un alieno, Lucas decise: “Meiamo Han in un bar come Bogart: un tipo duro, un mercenario.”274 In questo modo Lucas applica in toto ai suoi personaggi l’influenza ricevuta da Casablanca

anche dal punto di vista della riconciliazione tra due tipi di eroi: “La contrapposizione tra Rick e Laszlo,” così come quella tra Solo e Luke, “riprende il conflio classico tra outlaw hero e official hero, cioè tra l’eroe che si colloca fuori dalla legge o dagli schemi istituzionali, pubblici, e l’eroe ufficiale che tanta parte ha nei generi classici americani.”275 Ovviamente, Luke è Laszlo e Solo è Rick: fino alla fine non sai mai se salverà qualcuno o no. In Casablanca l’eroe senza legge è il protagonista, in Star Wars, assecondando le intenzioni di “pulizia etica” di Lucas (→ I movie brats), il protagonista è l’eroe ufficiale mentre l’outlaw ne è la spalla. Anche se Rick è proprietario di un bar e non ha debiti, desidera tenersi fuori dal conflio tra le due fazioni in loa e si fa gli affari suoi. Joseph Campbell direbbe che sta rifiutando il suo Richiamo all’Appello (→ Star Wars) scegliendo di bere, ma alcune forze cospirano contro di lui e rivelano la sua natura migliore, quella che sta cercando di negare. Il suo cinismo svanisce nel nulla, per essere sostituito dal suo eroismo. Forse non c’era uno schema migliore per Han Solo che una figura complessa come quella di Richard Blaine.276 Anche Solo, infai, come Rick e Luke, rifiuta il primo “richiamo all’avventura”, rifiutando inizialmente di entrare nel conflio cui vanno incontro Luke e Obi-Wan. A costo di rischiare di aribuire a Lucas e agli sceneggiatori della trilogia intenzioni non volute, non possiamo non notare un deaglio disarmante nella sua evidenza. Nel primo ao di Casablanca c’è una scena in cui Victor Laszlo dice a Ilsa: “Ti amo.” Lei risponde: “Lo so.” Nella sequenza del Ritorno dello Jedi dell’aacco al generatore di energia sulla Luna Boscosa di Endor, il pianeta degli Ewok, Han e Leia sono in difficoltà: alcuni stormtroopers li hanno scoperti e stanno per ucciderli. Leia, nascosta da Han, gli mostra che è ancora in possesso della sua arma e Han, con il sorriso più caldo di cui è capace, le dice: “Ti amo.” Leia risponde: “Lo so.” Si traa di una piccola schermaglia amorosa tra i due iniziata nell’Impero colpisce ancora quando

Han stava per essere immerso nella grafite. Leia gli aveva deo, come ultime drammatiche parole prima di perderlo forse per sempre: “Ti amo.” E lui aveva risposto: “Lo so.” È probabile che tali risonanze mitiche con Casablanca fossero colte dal pubblico di Star Wars nel 1977 e che abbiano aiutato il film di Lucas a entrare nella leggenda. Se Humphrey Bogart/Rick è diventato un archetipo che Lucas ha recuperato nella sua trilogia vestendolo coi panni di Harrison Ford/Solo, un tale destino è toccato anche a Sydney Greenstreet/Ferrari, il caivo di secondo piano del film che gestisce il mercato nero delle leere di transito per gli USA. Il personaggio che Ferrari ha ispirato è stato tagliato da Star Wars, ma si ripresenta nel Ritorno dello Jedi: stiamo parlando di Jabba the Hu. Inizialmente Jabba the Hu venne descrio da George Lucas come “una grassa creatura simile a una lumaca con gli occhi su antenne estese e una larga brua bocca”.277 Ma Lucas a un certo punto desiderava ripensarlo e chiese qualche idea al supervisore degli effei speciali visivi della ILM, Phil Tippe. esti confermò Jabba “come ‘una grande massa pulsante di carne simile a una lumaca’, nonostante il costumista del film, Nilo Rodis-Jamero, lo avesse concepito come un personaggio raffinato simile a Orson Welles da anziano”.278 In due tweet consecutivi del 12 novembre 2015, Tippe scrive: “ando stavo immaginando Jabba non riuscivo a sintonizzarmi con George. Gli chiesi ‘se Jabba fosse un aore, quale sarebbe?’. Sydney Greenstreet [mi rispose]. Così provai a meergli un fez sulla testa ma fu bocciato.”279 Approfondisco qui (→ Mulholland drives) (→ Star Wars) la complessa vicenda relativa all’aore inizialmente scelto per interpretare Jabba the Hu, Declan Mulholland. Insomma: “Forse ogni generazione ha il Casablanca che merita.”280 Nel 1977 gli americani “si meritavano” Star Wars. Gable, Solo e Il mago di Oz

Tra gli outlaw heroes come Rick e Solo o – come li chiama Roberto Nepoti – i good-bad-boy del cinema classico hollywoodiano,281 c’è senza alcun dubbio anche Clark Gable che, come Bogart, “è il risultato della sintesi fra il villain violento e peccatore e l’antico giustiziere senza macchia. […] L’uomo che ha vissuto, equivoco, ma profondamente generoso e umano, una quintessenza di virilità”.282 Han Solo non corrisponde in pieno a una simile descrizione: è troppo giovane e adolescenzialmente geloso. È più un fascinoso e simpatico “eroe per caso” alla Bernie LaPlante che un giustiziere senza macchia violento e peccatore. Ma dobbiamo sempre ricordare che il cinema che Lucas aveva in mente era un cinema per adolescenti, innocuo, ripulito e semplificato, un entertainment parapolitico giocaolabile (→ Steamboat Luke) (→ Starbusters). Han Solo, in questo contesto, era la rielaborazione perfea dell’outlaw hero della mitologia hollywoodiana. Oppure una derivazione di Napoleon Solo, l’affascinante spia della serie degli anni sessanta e Man from UNCLE. Eppure Lucas a Gable aveva pensato eccome. In una conversazione del 29 novembre 1975 con Alan Dean Foster, che stava già preparando la versione del romanzo del film, Lucas, che non aveva ancora impostato definitivamente i rapporti tra i personaggi e ancora non sapeva che Luke e Leia erano fratelli, disse: “Voglio che nel secondo libro Luke baci la principessa. Il secondo libro dovrà essere Via col vento nello spazio. A lei Luke piace, ma è Han il Clark Gable della situazione.”283 Per non parlare delle similitudini anche sul piano dell’avventura produiva. David O. Selznick acquistò i dirii del popolare romanzo di Margaret Mitchell, un libro di quasi mille pagine e scrisse una sceneggiatura di sei ore. Nessuno però voleva fare il film: Selznick tentò di vendere i dirii alle grandi major e infine fu costreo a realizzarlo per non perdere i cinquantamila dollari. Fu così che divenne uno dei produori più famosi e importanti della Hollywood classica. È interessante notare però che, proprio come un “classico film classico”, Via col vento fu direo da almeno quaro registi diversi che si avvicendarono durante i cento giorni delle

riprese. Senza contare il fao che uno dei manifesti dell’Impero colpisce ancora richiama in maniera evidente quello di Via col vento: Scarle/Leia è abbandonata tra le braccia di Rhe/Han nell’aimo che precede il bacio. Un rapporto di odio-amore molto simile, e divertito, quello tra le due coppie: Rhe e Scarle hanno praticamente la stessa relazione che c’è tra Han e Leia. È impossibile non notare come le sfumature tra gli aspiranti amanti di Via col vento siano state riprese in L’impero colpisce ancora. Per esempio, pensate alla scena in cui Han e Leia si baciano per la prima volta a bordo del Millennium Falcon e paragonatela alla scena in cui Rhe dice a Scarle: “Non penso che ti bacerò, anche se hai un gran bisogno di essere baciata. Ecco cos’hai che non va. Dovresti essere baciata e spesso, e da qualcuno che sa come farlo.”284 Ecco la scena in questione, dalla sceneggiatura desunta dell’Impero colpisce ancora.285 INT. MILLENNIUM FALCON

-

AREA STIVA PRINCIPALE

[…] HAN

Ehi! Vostra grazia, volevo solo aiutare un po’. LEIA

(ancora in difficoltà) Ti dispiace di non chiamarmi così? Han percepisce un tono diverso nella sua voce. La osserva tirare la leva. HAN

Certo, Leia.

LEIA

A volte rendi tutto così difficile. HAN

Lo so, è proprio vero. Tu però stai così sulle tue… (osserva la sua reazione) Andiamo, ammettilo. A volte mi trovi gradevole. Lei lascia la leva e si strofina la mano dolente. LEIA

Qualche volta, può darsi… (fa un sorriso esitante) … quando non ti comporti come una canaglia. HAN

(ride) Canaglia?! Canaglia… È carino detto da te. Han le prende la mano e inizia massaggiarla. LEIA

Lasciami! HAN

Perché dovrei? Leia arrossisce, confusa. LEIA

a

Smettila, ho le mani sporche… HAN

Anche le mie lo sono, di cosa hai paura? LEIA

(guardandolo dritto negli occhi) Paura? Han le lancia uno sguardo penetrante. Non è mai sembrato così affascinante, focoso, sicuro di sé. Si avvicina lentamente e afferra di nuovo la mano di Leia, che è appoggiata alla console. La trascina verso di sé. HAN

Stai tremando. LEIA

Non sto tremando. Il pirata spaziale inizia ad avvicinare Leia verso di sé, molto lentamente… con un’irresistibile combinazione di forza fisica ed energia emotiva. HAN

Ti piaccio perché sono una canaglia… non ci sono canaglie nella tua vita. Leia adesso è molto vicina a Han e la sua voce diventa un sussurro eccitato, con un tono completamente opposto alle sue parole. LEIA

A me piacciono gli uomini per bene. HAN

Io sono per bene. LEIA

No, non lo sei. Lui la bacia lentamente, ma focosamente. Si prende tutto il tempo, come se ne avesse infinito, facendola piegare all’indietro. Lei non era mai stata baciata così prima, e quasi sviene. Quando lui si ferma lei riprende fiato e prova a simulare un po’ di indignazione, ma le riesce difficile parlare. Nel Terzo Ao (→ Steamboat Luke) affronteremo i rapporti tra il mondo di Lucas e Disney. In direa competizione con la multinazionale statunitense (e Walt Disney Company), che nel 1939 era una semplice casa di produzione cinematografica e televisiva (Walt Disney Productions), fu Il mago di Oz, un classico tra i classici. Nel 1937 la MGM decise di fare l’ennesimo adaamento del romanzo di Baum perché sapeva che la Disney stava per uscire con Biancaneve e i see nani (David Hand [e Walt Disney], 1937), il suo primo lungometraggio. La convinzione generale, presto suffragata dai fai, era che Biancaneve e i see nani avrebbe oenuto oimi risultati al boeghino. Perciò, anche alla MGM pareva necessario disporre di una favola in Technicolor da offrire al pubblico. Non per nulla, Il mago di Oz viene costruito sullo stesso schema adoato da Disney: un soggeo fiabesco ibridato con il paern del musical.286 A questo punto è facile accogliere l’ipotesi, che però Lucas non ha mai confermato direamente,287 che Star Wars debba molto anche a questo altro classico seminale della Hollywood del 1939, lo zenit della Hollywood classica secondo Bazin:

Star Wars influenzato da Il mago di Oz influenzato da Disney, che a sua volta – come vedremo – ha aderenze non poco significative con l’intera saga. Lo rilevò per primo Roger Ebert nel 1977: “Star Wars è una favola, un fantasy, una leggenda, che trova le sue radici in alcune delle nostre narrazioni più popolari. Il robot dorato, il pilota spaziale dalla faccia di leone, e il piccolo, insicuro robot su ruote devono essere stati suggeriti dall’Uomo di laa, il Leone codardo e lo Spaventapasseri di Il mago di Oz.”288 Ma c’è altro: quando il Mago si presenta a Dorothy lo fa araverso un’immagine olografica della sua testa, così come l’Imperatore Palpatine con Darth Vader nell’Impero colpisce ancora. La somiglianza visiva e conceuale tra le due scene è forte, così come è forte il parallelo fra la scena in cui ObiWan Kenobi muore e di lui rimangono solo le vesti, e quella in cui Dorothy lancia dell’acqua contro la Malvagia Strega dell’Ovest che scompare lasciandosi dietro, anche lei, solo le vesti.

Il mago di Oz

L’impero colpisce ancora

Non ci addentreremo più oltre nella ricerca di specifiche somiglianze e rimandi tra i due film, tale è l’evidenza che si trai di due eventi culturali di straordinaria importanza grazie a molteplici e spesso ineffabili risonanze mitiche e di impao sull’immaginario colleivo. Star Wars e Il mago di Oz sono due prototipi, molto poco il prodoo della catena di montaggio dello studio system, che seppero interceare il bisogno di evasione del pubblico americano in periodi specifici (il primo tra le conseguenze della crisi del Ventinove e l’apice di fascismo e nazismo, il secondo nel pieno della reazione culturale e politica dell’America degli anni sessanta e seanta) in cui il cinema era ancora un formidabile momento di elaborazione colleiva, rituale, dei problemi della società. Più in generale, spiega Nepoti, nel cinema classico “riscuotono largo successo di pubblico i film che realizzano i desideri di evasione in un mondo fantastico, racconti di accadimenti remoti e affascinanti, imbevuti di romanticismo e capaci di vellicare le nostalgie degli americani per il passato e le dinastie che non hanno mai potuto vantare (e ree Musketeers, Robin Hood,289 e Prisoner of Zenda, Beau Brummel…)”.290 Non è la prima volta che l’industria multimiliardaria statunitense saccheggia la millenaria storia europea e asiatica per raccontare grandi favole cinematografiche che altrimenti non saprebbe come costruire basandosi esclusivamente sulla relativa giovinezza della storia americana (e Restorative ree-Act(ion) Structure ←). Leia, con le sue nobili origini ereditarie non è, nelle intenzioni di Lucas, il segno contraddiorio di un’aristocrazia rivoluzionaria ma più banalmente la principessa delle favole, dei miti e delle leggende antiche che Lucas, come vedremo meglio, utilizza insieme al recupero dell’unica mitologia che l’America ha saputo esprimere: quella prodoa dal suo cinema sulla base dell’unico epos che riconosce, “la conquista del West”. Non a caso, “il rapporto della nazione americana con il proprio passato mitico si istituisce principalmente per la mediazione di un genere cinematografico”,291 il western, le cui forme, sempre secondo Nepoti, “sono mitostoriche: se in parte

ripetono le immagini mitiche direamente dagli archetipi, ne creano contemporaneamente delle altre, che, pur generate su modelli atavici, hanno caraere di originalità”.292 Approfondiremo meglio il rapporto tra Star Wars e il genere western nel arto Ao (→ Il western, Tuco e Mando). La musica inaudibile Torniamo al passato: sarà un progresso. Giuseppe Verdi Concludiamo il Secondo Ao con una riflessione dedicata alla colonna sonora, che conferma una volta per tue la ricca eredità che il film ha incamerato dal cinema hollywoodiano classico. Nel libro di Emilio Audissino John Williams’s Film Music l’autore dedica un intero capitolo al lavoro di ideazione e composizione delle musiche per Star Wars da parte di John Williams. ando Lucas, in sala montaggio, stava immaginando le musiche del film, il cinema di fantascienza hollywoodiano aveva da tempo inaugurato la consuetudine di affidarsi al “modernismo del ventesimo secolo – l’atonalismo, il dodecafonismo, la musica aleatoria e via dicendo – o [al]l’uso di strumenti eleronici, timbri, o anche la musica concreta per oenere l’equivalente musicale delle parole futuriste o ipertecnologiche”.293 Oppure era ancora fresca, nella memoria dei cineasti di tuo il mondo, la scelta inusuale di Stanley Kubrick per 2001: Odissea nello spazio (1968): dopo aver rifiutato la partitura originale di Alex North, il regista del Bronx aveva optato per una compilation composta di brani non originali che spaziavano da Richard Strauss al contemporaneo György Ligeti. L’obieivo era quello di creare uno speciale contrappunto con le immagini e generare una dimensione intertestuale per spingere lo speatore a decifrare l’enigma del film. Lucas aveva scelto inizialmente l’approccio kubrickiano. Ricorda Emilio Audissino: “Scrisse la sceneggiatura ascoltando il repertorio sinfonico tardoromantico di William Walton, Richard Wagner, Gustav Holst, Richard Strauss, Antonín Dvořák e Maurice Ravel insieme

con le colonne sonore di Erich Wolfgang Korngold e Miklós Rózsa.”294 Ma poi arrivò Spielberg. E cambiò tuo. Il regista dello Squalo gli consigliò l’autore della colonna sonora del suo stesso film: John Williams.295 Dopo aver leo la sceneggiatura, Williams convinse Lucas che la sua idea di usare musica sinfonica non originale non avrebbe funzionato in Star Wars perché, essendo un film narrativamente tradizionale, con archi narrativi di diversi personaggi, non era deo che un brano non originale e quindi melodicamente blindato che Lucas avrebbe voluto associare a un personaggio avrebbe funzionato in ognuna delle parti del film in cui quel personaggio compariva. “D’altro canto non volevo sentire un pezzo di Dvořak qui, un pezzo di Tchaikovsky lì, e un pezzo di Holst da un’altra parte” aveva specificato Williams, “sentivo che il film aveva bisogno di unità tematica.”296 Bordwell spiega che, come la musica di un’opera, la colonna sonora di un film classico entra in un sistema di narrazione, dotato di un certo grado di autoconsapevolezza, una certa conoscenza, e un grado di abilità comunicativa. […] L’accompagnamento musicale è comunicativo solo all’interno dei confini tracciati dalla narrazione classica. Come la macchina da presa, la musica può essere ovunque e può interceare l’essenza drammatica dell’azione. In ogni caso, trova la sua motivazione nella narrazione. ando è presente il dialogo la musica deve scendere o almeno confinarsi al livello di un tenue soofondo coloristico.297 La cosiddea musica inaudibile, così come è invisibile lo stile hollywoodiano: Nel cinema della Hollywood classica l’aenzione dello speatore e i suoi processi analitico-sequenziali sono concentrati sul dispiegarsi della narrazione, e tui i dispositivi stilistici, compresa la musica, diventano imperceibili. Lo speatore medio non nota la natura o addiriura la presenza della musica così come non fa caso neppure al numero e alle modalità dei tagli di

montaggio in una scena, o allo schema dell’illuminazione di un’inquadratura.298 Audissino e Williams danno ragione a Bordwell e, vista la natura particolare del film di Lucas, entrano ancora di più nel deaglio. In un film del genere la colonna sonora non solo dovrebbe sostenere la narrazione ma deve anche avere una funzione mitopoietica rafforzando quelle struure e quei riferimenti archetipici nell’inconscio colleivo e nel retaggio mitico ispirato dai lavori di Joseph Campbell. Pertanto, Williams ha inserito nella musica indizi, allusioni e citazioni che possono evocare nell’ascoltatore esperienze musicali passate e conneerlo a una sorta di inconscio colleivo. […] “Non sono solo note, è un’immersione nel passato.”299 Così Lucas disse a Williams che avrebbe preferito qualcosa di “tardo-romantico”, una colonna sonora tipica della Hollywood classica. “Una cosa romantica vecchio stile, alla Max Steiner.”300 Audissino soolinea che in effei Star Wars non era esaamente uno sci-fi ma un “super-genere”, un miscuglio di western, fantasy e cappa e spada più vicino ai film di Michael Curtiz con Errol Flynn che al Pianeta delle scimmie (Franklin J. Schaffner, 1968) (→ Ao IV). John Williams “Voleva fare una musica forte, che ricordasse qualcosa di classico in certi punti, ma che fosse completamente originale” ricorda Lucas. È stata immaginata come il classico di animazione Pierino e il Lupo, con una musica per ogni personaggio, che parte ogni volta che questi compare sullo schermo. Avevo paura della reazione del pubblico: “Oh mio Dio, che cosa fuori moda, come puoi essere così banale?” Invece la gente ha reagito bene. Mi aspeavo che mi facessero a pezzi su tuo, e facessero a pezzi anche John.301 “Classico e originale” sembra essere la descrizione anche di uno dei brani più famosi del film, quello che viene suonato

nella taverna del porto spaziale Mos Eisley dai Cantina Band: un misto di ragtime, hot jazz e swing alla Benny Goodman, il più grande clarineista degli anni trenta. E così venne fuori un film che, nonostante le aspeative tradizionali e qualche mal di pancia della critica che si aspeava un traamento musicale futuristico, basava la sua partitura su una colonna sinfonica tonale che copriva quasi interamente il film: il tema di Luke, il tema di Leia, il tema dei Jawa, il tema di Kenobi/la Forza, il tema dell’Impero… Presentano tui ampie e rifinite soolineature dialogiche alla Korngold:302 pensate al dialogo tra Kenobi e Luke dopo che hanno visto il messaggio della principessa Leia araverso R2D2; fanfare eroiche vecchia maniera, come quando Luke salva Leia e, con lei tra le braccia, araversa l’abisso à la Robin Hood soo il fuoco degli stormtrooper. Oppure l’episodio di perfeo mickey-mousing,303 per esempio, nella scena dell’agguato nel blocco di detenzione.304 E fu così che i primi secondi della saga cinematografica che tuo il mondo avrebbe imparato ad amare divennero una sorta di manifesto del recupero della tradizione musicale della Hollywood classica. Al punto che “per il logo di apertura della 20th Century Fox, fu resuscitata la versione Cinemascope integrale della Fanfara della 20th Century Fox di Alfred Newman, dopo un decennio in cui era stata usata meno che sporadicamente”.305

Ao III. Sviluppo Star brat

Vista in retrospeiva, l’impressione di uno sviluppo lineare, quasi logico, da un realismo classico a un cinema modernista e riflessivo […] è in buona parte un’illusione.306 In questo Terzo Ao le cose si fanno più complicate per il nostro eroe, George Lucas. Dopo aver tentato una (commercialmente fallimentare) sperimentazione in piena sintonia con i tempi della New Hollywood araverso il fantascientifico L’uomo che fuggì dal futuro, il suo esordio alla regia, si è proieato verso una narrazione più classica con American Graffiti con la quale ha trovato finalmente il favore del pubblico. Ma il suo più grande desiderio è quello di rifare Flash Gordon ripescando gli stilemi classici del western. Come riuscire a coniugare la fantascienza cinematografica, considerata serie B, con il classicismo hollywoodiano? Come convincere i produori che il suo prossimo film non è quella robaccia adolescenziale che sembra? Ma soprauo: sarà costreo a tradire i suoi colleghi movie brats (i “ragazzacci” della New Hollywood, tra cui Scorsese e Coppola), insieme ai quali è stato il campione del “Rinascimento” del cinema in contrasto con le consuetudini dello studio system? Lucas è qui alle prese con il “bivio etico” di John Truby (Salvare o non salvare il gao? ←) e la difficile costruzione di un personaggio, Luke, in grado di “salvare il gao” secondo Blake Snyder. Forse la soluzione è affidarsi al suo “Mentore” Joseph Campbell e credere al “Messaggero” Steven Spielberg. Il giudizio in esergo di Alexander Horwath sulla New Hollywood contenuto nel saggio scrio a sei mani con Elsaesser e King è solo uno dei vari momenti di (equilibrato) sceicismo nei confronti di quello che viene di solito considerato un periodo di significativo affrancamento di alcuni filmmaker dalle major e di grande rinnovamento stilistico, tematico e produivo in contrapposizione allo studio system della Hollywood classica, durato all’incirca un decennio tra la fine degli anni sessanta e la fine dei seanta.

“ando Easy Rider irruppe sulla scena nel 1969 fu una rivoluzione per il cinema americano”307 afferma per esempio Michael Kaminski, con speculare oimismo, in e Secret History of Star Wars.308 E con altreanto, un po’ ingenuo, oimismo, lo stesso Lucas dichiarò: “Il mondo delle major è finito. È morto quando… le società per azioni hanno avuto il sopravvento e i boss degli studios sono diventati all’improvviso agenti, avvocati e contabili. Ora il potere è in mano alle persone. I lavoratori hanno i mezzi produivi!”309 È questa la “tensione produiva” in cui si trova Lucas di cui parlavamo all’inizio del nostro viaggio (Prologo ←). Horwath non è il solo a disporre in una prospeiva critica la New Hollywood. Anche David Bordwell e Janet Staiger, nel loro e Classical Hollywood Cinema, sono sceici nei confronti di quella che viene chiamata anche Hollywood Reinaissance310 e in particolare “rivoluzione giovanile”. Se è vero che registi come Cimino, Scorsese, Coppola, De Palma e Spielberg esordirono giovanissimi (intorno ai trent’anni), i registi della Hollywood classica non erano da meno: per fare solo qualche esempio, Frank Capra, Stanley Kubrick, Robert Wise, William K. Howard, William Wyler e John Frankenheimer esordirono tui prima dei trent’anni. E se è anche vero che, per marcare la differenza tra i nuovi filmmaker e i vecchi, Bill Kimberlin, (Tanto, tanto tempo fa, da qualche parte oltre l’arcobaleno… ←) uno dei dipendenti della Lucas Film e poi della ILM, soolinea che “nessuno dei grandi registi del passato aveva frequentato scuole di cinema, mentre la nostra generazione sì”,311 le scuole di cinema non potevano essere considerate innocenti “visto che molti dipartimenti universitari di cinema si sono impegnati a trasmeere gli standard dominanti agli studenti desiderosi di entrare nell’industria”,312 replicano Bordwell e Staiger, coadiuvati da Elsaesser che apre il discorso industriale a una prospeiva più larga: “Nel tardo-capitalismo le cosiddee alternative si rivelano quasi sempre essere mere variazioni della stessa logica economica. Un rapido sguardo ci dice che il processo di ringiovanimento che l’industria cinematografica impose dopo il 1967-1968 e che divenne la cosiddea ‘New Hollywood’ fu il prodoo della medesima logica.”313 Tanto è vero che non parrebbe difficile confutare il fao che “la versione ufficiale, esposta da Biskin e gli altri”, secondo la quale “l’industria ha offerto queste nuove libertà a una generazione di registi, che si avvalsero della teoria degli autori come manifesto, e poi persero quelle libertà alla fine degli anni ’70, è troppo semplicistica e l’impao concreto della teoria degli autori, come

progeo omogeneo, è sovrastimato”.314 Peter Biskind è appunto tra coloro che affermano senza esitazioni che quelli “tra Gangster Story del 1967 e I cancelli del cielo del 1980 furono l’ultimo periodo in cui fu un’esperienza veramente entusiasmante fare film a Hollywood; […] l’ultima volta che si poté andare costantemente orgogliosi dei film prodoi”.315 Eppure, come ci ricorda Franco La Polla, quando Richard Zanuck e David Brown, i produori che sponsorizzavano lo script di Sugarland Express di Spielberg (che certo non era un film così anarchico come Easy Rider [Dennis Hopper, 1969] o Gangster Story), lo sooposero alla Universal e alla MCA, si sentirono rispondere da Wasserman, il capo dello studio, che “ormai i tempi allegri degli eroi anarchici erano finiti nel cinema americano”.316 Era già il 1973. Bordwell soolinea inoltre che neppure l’aenzione alle nuove tecnologie espressa nel decennio che stiamo analizzando (per esempio gli effei speciali sofisticati, la Steadicam, la Louma Crane e la registrazione sonora multitraccia) può essere considerata una peculiarità significativa della New Hollywood. Hollywood ha sempre utilizzato le innovazioni tecnologiche per promuovere i film: Dal 1931 Hollywood aveva un modello per promuovere e assimilare una nuova tecnologia. Durante i due decenni successivi, l’unità produiva del sistema garantì una base stabile per l’innovazione tecnologica. […] È all’interno di questa solida cornice che dobbiamo individuare i cambiamenti stilistici che facevano tendenza nella tecnica fotografica della profondità di campo e delle riprese in Tecnhicolor. Le ultime innovazioni più importanti furono lo schermo panoramico e la stereofonia.317 E ancora: secondo omas Schatz, storico cinematografico e televisivo, la New Hollywood “aribuisce un valore molto diverso ai personaggi monodimensionali, alle trame meccaniche e allo stile tirato a lucido”,318 indebolendo i personaggi complessi e gli approcci visivi del cinema hollywoodiano classico tra il 1920 e il 1960. È sempre Bordwell a rispondere, affermando che la Hollywood “postclassical” non è “anticlassical”.319 Gli fa eco Wesley D. Buskirk: “Benché rimodellata dalla caduta dello studio system, dalla nascita della nuova ondata di registi e dall’arrivo dei blockbusters, la New Hollywood non mise in pericolo la Hollywood classica, piuosto

continuò la sua ‘sempre vigorosa tradizione’ adaandosi ai ‘nuovi elementi’.”320 Non possiamo escludere da questa breve carrellata il pensiero di Geoff King, secondo il quale “le definizioni complessive della Nuova Hollywood come di qualcosa di totalmente diverso trascurano importanti continuità e si basano spesso su generalizzazioni semplificate del periodo precedente”.321 Tra gli esempi, per confutare la vulgata secondo la quale “nei film della fine degli anni cinquanta o degli inizi degli anni sessanta si trova un contenuto più ‘adulto’ o esplicito che non nella maggior parte dei film dell’era degli studios”322 a King basta ricordare che alcuni film degli anni venti o trenta avevano contenuti sessuali più espliciti dei film dei decenni successivi,323 o anche che – semplicemente – prima del 1968 vigeva il Codice Hays, una normativa che dal 1934 impediva alle produzioni hollywoodiane degli anni trenta di mostrare un tasso troppo elevato di crudezza e immagini sessualmente troppo esplicite. Senza dimenticare che all’inizio degli anni sessanta vennero anche abbandonate le liste nere del maccartismo, prodoe dalle indagini sulla “sovversione rossa” nel mondo di Hollywood che la Commissione della camera sulle aività antiamericane aveva condoo tra il 1947 e il 1953. Da questa prospeiva si potrebbe quindi dire, con un ossimoro, che la New Hollywood sia stata una “rivoluzione autorizzata”. Permessa dalle circostanze industriali (la crisi dello studio system), culturali (la fine del Codice Hays), politiche (la fine del maccartismo) e sociali (la controcultura che avanzava). Un tappo che saltò opportunamente non per l’eccesso di pressione accumulatosi negli anni ma per l’allentamento dell’anello della boiglia. Che pochi anni dopo, però, si sarebbe ristreo di nuovo costringendo il tappo a rientrare. Continuando ad avvicinarmi all’analisi di Star Wars e a come i suoi riferimenti culturali e cinematografici rispeo al cinema hollywoodiano classico e al mito siano multiformi e necessitino di una riflessione per nulla scontata, mi soffermerò brevemente su uno dei film western che la leeratura su Star Wars ha maggiormente associato alla saga: Sentieri selvaggi (John Ford, 1956) (→ Il western, Tuco e Mando), un pilastro del cinema hollywoodiano. Ne parleremo più a fondo, ma qui ci è utile soolineare ciò che afferma Giaime Alonge nel volume scrio con Giulia Carluccio Il cinema americano classico:

ello di Sentieri selvaggi è un mondo spietato di morte e di vendea. Non per niente, Scar [il capo Comanche, N.d.A.] dichiara di agire per vendicare i suoi due figli morti nelle guerre contro i bianchi. Gli indiani sono dei selvaggi sanguinari, ma Ethan [John Wayne, il protagonista, N.d.A.] non è da meno, tanto che toglie lo scalpo a Scar, proprio come farebbe un guerriero Comanche. Ethan e Scar insomma, sono due facce della stessa medaglia […]. In questo senso risulta piuosto evidente che la demistificazione del mito della Frontiera operata dalla New Hollywood, in film quali Piccolo grande uomo, 1970 di Arthur Penn o Buffalo Bill e gli indiani, 1976 di Robert Altman, è stata ampiamente preparata dai cineasti della Hollywood classica.324 E se è vero che, come afferma Noël Carroll, la New Hollywood è stato un periodo caraerizzato dal cosiddeo cinema of allusion, cioè “un miscuglio di pratiche che includevano citazioni, la commemorazione di generi del passato, omaggi e la riproposizione di scene ‘classiche’, inquadrature, trame, baute, temi, gesti e via dicendo della storia del cinema”,325 allora “Sentieri selvaggi è stato l’ur-text di questa New Hollywood, un cult movie cui hanno fao riferimento Scorsese per Taxi Driver (1976), lo Star Wars di Lucas (1977) e Hardcore di Paul Schrader (1978)”.326 Oltre a Sentieri selvaggi potremmo citare anche Il grande sentiero (1964) o Il massacro di Fort Apache (1948). Oppure Sfida infernale (1946), tui di John Ford. Film che precedono anche di venticinque anni il periodo che stiamo analizzando, che ribaltano la narrazione etica/epica cui erano abituati gli speatori raccontando storie a favore degli indiani, descrivendo il generale Custer come un sanguinario mosso da sete di gloria o facendosi pervadere da una forte ambiguità morale. Si può individuare anche qui, soo vari aspei, una comprovata continuità della New Hollywood con la Hollywood classica, o parte di essa, e forse, diversamente da quanto espresso dalla vulgata corrente, addiriura una forma di complicità. Certo, il cinema americano degli anni seanta rimpiazza il modello affermativo e consequenziale del cinema classico con una narrazione più indefinita e meno inflessibile: “L’affievolita fiducia nella capacità di raccontare una storia,”327 ma “variando e modificando i generi e i temi tradizionali, senza mai perdere il loro supporto.”328 Neppure il regista più ambizioso poteva allontanarsi troppo dai generi classici,

afferma infai Bordwell: “Il cinema della New Hollywood è fao di pellicole di gangster e criminali, di thriller, di western, musical, film di fantascienza, commedie e di melodrammi occasionali. Apocalypse Now è prima di tuo e quasi interamente un film di guerra.”329 E furono proprio i film di guerra della Warner Bros. che Lucas utilizzò come prototipi per le sequenze di azione dei caccia Ala-X, gli X-wing, in Star Wars (→ La TV e il war movie). Molto nea l’opinione in merito di Kristin ompson, che sostiene che ciò che accadde negli anni seanta non fu un passaggio da una narrazione classica a una postclassica: “Semmai, alcuni tra i registi più giovani aiutarono a rivivificare il cinema classico dirigendo film di enorme successo. Tre tra i più significativi tra questi furono Il padrino, Lo squalo e Star Wars, ed è difficile immaginare film più classici nell’impianto narrativo.”330 Sulla stessa linea, Bordwell sostiene (è la sua famosa linea continuista) che lo stile cinematografico classico abbia ingoiato e digerito i prestiti che arrivavano dal cinema d’arte internazionale (soprauo europeo) al nuovo cinema, addomesticandone in qualche modo la capacità distruiva. Lo stesso André Bazin scriveva, nel 1957, sui Cahiers du Cinéma: Il cinema americano è arte classica, ma allora perché non ammirare in esso quanto c’è di più ammirabile, per esempio non solo il talento di questo o quel regista, ma il genio del sistema, la ricchezza della sua sempre vigorosa tradizione e la sua fertilità quando viene in contao con elementi nuovi.331 Diversamente dall’interpretazione di omas Schatz, che ha utilizzato l’espressione di Bazin “genio del sistema” riferendola solo allo studio system,332 Bazin si riferisce qui più compiutamente all’intreccio costituito dal mezzo, dai suoi professionisti, il suo pubblico e la congiuntura sociale, culturale e storica che ha consentito all’arte classica di Hollywood di prosperare, “enfatizzando la sua adaabilità”.333 Se vogliamo vederla da una prospeiva antropologica, potremmo dire, con Dario Sabbatucci, che si è traato dello stesso processo che viene identificato come “romanizzazione della cristianità”, e non, viceversa, come “cristianizzazione della romanità”:334 la civiltà romana ha “assorbito” la rivoluzione cristiana, “istituzionalizzandola”. Mentre da una prospeiva politico-economica potremmo richiamare quello che è accaduto nel processo di progressiva struurazione dell’Unione Europea a partire dal 1992 (traato di Maastricht), dal

quale ci si aspeava una europeizzazione della Germania e invece si è avuta una germanizzazione dell’Europa.335 Per questo potremmo parlare, riguardo alla New Hollywood, di “rivoluzione autorizzata” dalla Vecchia Hollywood. Sempre secondo Bordwell, il fruo della frammentazione della narrazione hollywoodiana classica (aristotelica, come la chiamerebbe Umberto Eco), della dissoluzione delle convenzioni dei generi, della sostituzione della linearità con l’ambiguità,336 o dei nuovi protagonisti senza obieivi, delle narrazioni di viaggi picareschi, delle parodie o delle storie sul “terrore del fallimento” di film come Sugarland Express (Steven Spielberg, 1974), Il laureato (Mike Nichols, 1967), Easy Rider o American Graffiti,337 non ha generato uno stile preciso, neamente riconoscibile. Si traa semmai di una tendenza, che deriva da ciò che la New Hollywood “ha seleivamente preso in prestito dal cinema d’arte internazionale”.338 L’art cinema di Federico Fellini, Ingmar Bergman, François Truffaut, Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni, JeanLuc Godard, Alain Resnais e Bernardo Bertolucci, per fare solo alcuni esempi, era realistico e autoriale. Realistico dal punto di vista psicologico, concentrato su narrazioni di alienazione, mancanza di comunicazione, su personaggi confusi o ambigui, senza obieivi precisi, ipersensibili. All’opposto degli eroi goal-oriented del cinema classico, quelli del cinema d’arte agiscono senza ragioni precise, aori di un “cinema concentrato più sulla reazione che sull’azione”339 e realistico dal punto di vista della costruzione spaziale e temporale: “Le violazioni delle regole classiche di tempo e spazio sono giustificate, così come l’intrusione di una realtà quotidiana imprevedibile o come la realtà soggeiva di personaggi complessi.”340 Furono i registi europei infai, a partire da quelli della Nouvelle Vague francese (1958-1960), a meere in discussione per la prima volta i contenuti, la struura drammatica e lo stile classici. “Al posto di pellicole che si basavano sulle convenzioni della trama chiusa, il pubblico adesso si confrontava con lavori basati sulla premessa secondo cui, con le parole di Umberto Eco, ‘il mondo è una rete di possibilità’ di cui l’arte deve riprodurre la fisionomia.”341 All’improvviso insomma si sono viste apparire sugli schermi “opere che rompevano decisamente con le struure tradizionali dell’intreccio per mostrarci una serie di eventi privi di nessi drammatici convenzionalmente intesi, un racconto in cui non succede nulla, o succedono cose che non hanno più l’apparenza di

un fao narrato, ma di un fao accaduto per caso”.342 Ciò che Armes chiama, appunto, open plot e Umberto Eco opera aperta. Non mi soffermerò qui sulla politique des auteurs (“politica degli autori”), secondo cui “i film dovrebbero idealmente essere mezzi di personale espressione artistica del loro regista”,343 e che Andrew Sarris chiamò più tardi “auteur theory”344 in riferimento ai registi della New Hollywood ispirati dagli europei. Non è questo il contesto per approfondire la polemica che generò, suscitata in prevalenza da Pauline Kael e che si trascinò per anni: “Per esempio, secondo la teoria, tui i film di un autore sono considerati migliori dei film di non autori. Ciò significa che se prendiamo, per esempio, e Girl in Number 29 (1920) di John Ford, che su IMDB ha una media voti di 3.0, è automaticamente un film migliore di Il falcone maltese (1941) di John Huston, oppure che come minimo si suppone abbia un maggiore valore artistico.”345 Mi limiterò a soolineare che, paradossalmente, fu proprio il “genio del sistema” hollywoodiano a evitare che la New Hollywood diventasse solo “un pastiche del cinema d’arte continentale”,346 spesso fao di citazionismo e recupero di modelli, come ci ricorda Geoff King: Penn cita il Godard di Fino all’ultimo respiro (1959) nel suo Gangster Story (1967); Paul Schrader e Scorsese contraggono debiti con il Bresson di Diario di un curato di campagna (1950) per Taxi Driver; Scorsese ha riconosciuto di aver preso i film di Godard, Truffaut e Resnais come modelli per il suo lavoro.347 King è deciso nel relativizzare le infrazioni, sia narrative sia stilistiche, alla routine hollywoodiana da parte dei movie brats: “I ritocchi non convenzionali alle struure narrative di alcuni film della Hollywood Reinaissance sembrano piuosto modesti a confronto con gli esempi più radicali forniti dai film ‘d’arte’ europei.” Per esempio, continua King, nessun film di Hollywood “si avvicina allo stile elliico e all’enigma narrativo di un film come L’anno scorso a Marienbad (Alain Resnais, 1961)”.348 Personalmente, ritengo tra le più efficaci e suggestive descrizioni di cosa sia il cinema d’autore questa risposta del montatore hollywoodiano Walter Murch349 a Michael Ondaatje, lo scriore canadese autore del romanzo Il paziente inglese (1992), alla domanda “Il cinema europeo è stato importante per tui voi? ali erano i modelli più significativi per voi?”: Il momento in cui sono stato colpito dall’idea del cinema è stato quando avevo quindici anni e andai a vedere Il seimo sigillo di Ingmar Bergman. […] Il seimo sigillo fu il film dove compresi

all’improvviso il conceo che quel film era stato fao da qualcuno, e che c’era una serie di decisioni che avrebbero potuto essere diverse se il film l’avesse fao qualcun altro. Mi arriva la sensazione dell’interesse e delle passioni di una singola persona quando lo guardo. Fu pazzesco: dopo tuo era Ingmar Bergman!350 È il senso della risposta che la moglie di Hitchcock, Alma Reville, nel film sul regista inglese (Hitchcock, di Sacha Gervasi, 2012) diede al produore quando suo marito, impossibilitato a essere sul set di Psyco, le aveva delegato la direzione di alcune scene del film. Lew Wasserman le aveva offerto di sostituirla con un altro regista: “Mi dispiace, ma un film di Hitchcock può essere direo solo da Hitchcock.” Grazie al meccanismo automatico del “genio del sistema”, da una parte era impossibile per chiunque non fare i conti con i generi cinematografici classici, dall’altra il conservatorismo dello stile hollywoodiano fece in modo che “le premesse classiche di tempo e spazio rimanessero potentemente in auge, con solo piccole modifiche strumentali”.351 D’altronde, continua Bordwell, nessun regista americano di quel periodo ha prodoo uno stile paragonabile a Truffaut o Bergman, figurarsi Antonioni o Bresson. La domanda posta sulla quarta di copertina del testo di Robert B. Ray A Certain Tendency of the Hollywood Cinema, 1930-1980 è quindi particolarmente stimolante: I registi americani hanno evitato di impegnarsi, sia dal punto di vista narrativo che tecnico. Invece che scegliere la destra o la sinistra, l’avanguardia o la tradizione, il cinema americano cerca di aver entrambe le cose. Come arte strea all’interno di un obieivo teorico ma ricca di variazioni individuali, il cinema americano pone la domanda di cultura popolare più interessante di tue: le forme dissenzienti hanno una possibilità di rimanere libere dal tentativo dei mezzi di massa di cooptarle?352 Forse la risposta ce la offre sempre Eco dalle pagine del suo Opera aperta: “Mentre il romanzo e il teatro […] prendevano decisamente questa via [il rifiuto del closed plot, N.d.A], pareva che un’altra delle arti fondate sull’intreccio, il cinema, se ne astenesse. Astensione motivata da numerosi faori, non ultimo quello della sua destinazione sociale, proprio perché il cinema […] era in fondo

tenuto a mantenere il rapporto con il grande pubblico e a fornire quell’apporto di drammaturgia tradizionale che costituisce un’esigenza profonda e ragionevole della nostra società e della nostra cultura.”353 Insomma, fu in gran parte la natura principalmente industriale del meccanismo produivo hollywoodiano a impedire che le istanze narrativamente, stilisticamente e produivamente sovversive dell’art cinema europeo venissero traslate in maniera completa nelle opere dei registi della New Hollywood. Ma, anche in questo caso, nulla di nuovo: il desiderio dei registi di scardinare il sistema hollywoodiano non fu un fao inaspeato ascrivibile esclusivamente e per la prima volta alla New Hollywood. Frank Capra, per esempio, dopo lo straordinario successo di critica e pubblico del suo Orizzonte perduto (1937), comprese che lo slogan “un uomo, un film” aveva possibilità di essere applicato: “Esistevano ormai due modi di fare cinema a Hollywood: il modello ‘produore-regista’ sperimentato da Capra; e il ‘colleivo’, utilizzato dalle major, sperimentato da L.B. Mayer,” scrive nella sua autobiografia. Nel 1941 infai Capra girò uno dei film più amari della sua carriera, Arriva John Doe. “L’opera che testimonia il sempre difficile rapporto tra lui e lo studio system. Prodoo fuori dai canoni hollywoodiani, in forma completamente 354 indipendente,” Così, mentre oimi registi legati alle grandi case di produzione rimanevano anonimi, Cohn [presidente della casa di produzione indipendente Columbia, N.d.A.] mise insieme un agguerrito gruppo di registi sempre più famosi.355 Finché, nel 1945, Capra si svincolò e fondò la LIBERTY FILMS, INC. insieme a Samuel Birskin e David Tannenbaum, con l’obieivo di meere assieme dei registi-produori ancora in servizio in una associazione indipendente di realizzatori cinematografici indipendenti. […] I primi candidati furono John Ford, Willi Wyler, George Stevens, John Huston, Garson Kanin e Frank Capra.356 “Tanti film, tante catene di montaggio” non era più l’unica via. esto, trent’anni prima di Easy Rider e venti prima di Fino all’ultimo respiro. Ovviamente ciò non si riferiva a questioni di stile e non meeva in discussione il deato aristotelico del cinema classico ma aveva a che vedere solo con le modalità di produzione.

Ma siamo anche trent’anni prima del Coppola del 1969 e della sua Zoetrope.357 Ancora una volta è Walter Murch a offrirci una breve ma efficace rappresentazione della Zoetrope, di Coppola e dell’atmosfera di quel periodo: La maggior parte delle persone a Hollywood credeva che quello che stavamo facendo fosse da folli. Ma eravamo alla fine degli anni ’60, a S. Francisco, era tuo parte di ciò che allora vedevamo come l’inizio della democratizzazione tecnologica del processo cinematografico: con relativamente meno soldi potevi davvero scendere in strada e girare un lungometraggio, potevi ambientarlo ovunque volessi. Inoltre, l’umore a Hollywood in quel periodo era a terra. Alcuni dei capi dei vecchi studios tenevano duro – Sam Goldwyn, Jack Warner – ma il vecchio paradigma non stava più funzionando. In retrospeiva si poteva vedere che stava emergendo qualcosa di nuovo, ma non era ancora davvero successo. […] Perciò, pensammo: se deve andare male perché non farlo andar male in un luogo interessante? Scoprimmo che quel luogo era S. Francisco.358 In sintesi: la leeratura critica sulla New Hollywood è divisa in due grandi correnti. ella che mee in luce le continuità con il sistema e quella che ne soolinea le differenze, anche radicali. Ma “Hollywood è senza dubbio una creatura sfacceata, e non può essere ridoa a un’unica essenza, ‘Vecchia’ o ‘Nuova’”.359 Che cosa è stata, allora, la New Hollywood, dal punto di vista della roura con il passato? anto è stata New? In quale contesto, esaamente, George Lucas stava cercando la sua strada? In realtà, per alcuni aspei, fu molto New, in un modo tuo suo. Prendiamo per esempio il discorso sui generi. Abbiamo accennato alla dissoluzione delle convenzioni dei generi, o al fao che i movie brats non li hanno mai del tuo rinnegati. La tesi, convincente, di Pier Maria Bocchi è che in realtà lo studio critico su quel periodo sia stato in parte falsato dalla prospeiva snobistica di chi non ha saputo o voluto dare la giusta importanza a un certo tipo di cinema, quello di serie B. Eppure una parte importante dei ragazzacci si è formata nella factory di Roger Corman, la New World Pictures, il re della serie B: Scorsese, Bogdanovich, Coppola (che a sua volta ha sostenuto il primo Lucas con la Zoetrope), Nicholson, Hopper. i hanno imparato a fare film in poco tempo e con soldi (pochi), metodi e condizioni che spesso hanno replicato nei loro film di

serie A. Secondo Bocchi “è esaamente nel contesto del genere, anche il più scalcagnato, che la politica e il senso ultimo della New Hollywood trovano la quadratura”, perché “parlare di serie A o B non ha più alcuna ragione se pensiamo a essa come a un immaginario coeso”.360 E coeso, l’immaginario della New Hollywood lo era, a causa della deriva “della società e dello speatore verso la paranoia generalizzata” dovuta al Watergate, la crisi petrolifera e tuo il resto che stava succedendo, continua Bocchi. Perciò quel movimento così “definito, duraturo e fecondo” sarebbe stato in grado per la prima volta di essere in sé “un unico genere, che chiamerei precisamente il genere New Hollywood costituito sia dai generi che si rifondano e nascono da nuovi, sia da quelli che si ispessiscono o diventano il proprio contrario”.361 Cioè: Una sola ideologia per un solo genere: la New Hollywood è la sintesi di tui i generi, il loro accorpamento in un übergenere che funge da rappresentazione esemplare di sensibilità e di sguardi, di sentimenti e di visioni.362 I faori che diedero origine a questa sintesi di tui i generi, questa “rivoluzione autorizzata”, eppure così feconda di cambiamenti e a volte di inversioni a U sulla strada della narrazione cinematografica, tematica e produiva, furono diversi. Dal punto di vista produivo, la Hollywood classica aveva iniziato a entrare in crisi a partire dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Ce lo spiega bene ancora Frank Capra, un insider e insieme outsider del sistema: “Il lento scivolare di Hollywood verso il basso, sia dal punto di vista economico sia da quello artistico […] è stato originato non dall’avvento della televisione363 e neanche dall’intransigenza dei governi stranieri,”364 ma dalla vioria dei grandi affaristi, che entrarono nei consigli di amministrazione delle major, e dall’estinzione delle produzioni indipendenti. Secondo Capra il paragone tra la Hollywood degli anni trenta e quaranta e quella della fine degli anni quaranta è impietoso. “Una crisi profonda aveva colpito Hollywood. La frequenza di pubblico delle sale americane era caduta dal teo degli oanta milioni la seimana del 1946 ai sessantadue milioni del 1948,” al punto che il presidente della Paramount Pictures, Barney Balaban, aveva fao scrivere a caraeri cubitali all’ingresso degli studios: NESSUN FILM IL CUI BUDGET SUPERI SIA PUR DI UNA SCOREGGIA IL MILIONE E MEZZO DI DOLLARI SARÀ MAI APPROVATO. SENZA ECCEZIONI!

BALABAN.365

Capra riporta un articolo dell’Hollywood Reporter del 9 agosto 1949 in cui si fotografava “la totale estinzione delle produzioni indipendenti”. Nel 1957 sarebbe addiriura crollata la RKO, una delle cinque major insieme a Metro-Goldwyn-Mayer, Paramount Pictures, Warner Bros. e 20th Century Pictures. Le macro ragioni della crisi furono il cambiamento demografico e degli stili di vita degli americani nel dopoguerra, la deurbanizzazione,366 “lo scioglimento forzato dello studio system a integrazione verticale” (1948)367 e la loa dell’House Un-American Activities Commiee (HUAC), la commissione per le aività antiamericane che mise al bando decine di presunti sovversivi rossi soprauo tra gli sceneggiatori. Insomma, negli anni cinquanta Hollywood si trovava a fronteggiare problemi che imponevano una rielaborazione del sistema di produzione e le major cominciarono a licenziare e a vendere risorse per diventare più leggere. Le produzioni indipendenti tornarono a fiorire e il “sistema di produzione cinematografica divenne più frammentato. Altreanto lo divenne il conceo che Hollywood aveva del suo pubblico”.368 A questo proposito, fu importante anche la fine del Codice Hays, nel 1968, il sistema di autoregolamentazione e autocensura nato nel 1934. Molti film erano ancora rivolti a un vasto pubblico, potenzialmente quello ideale della “famiglia”. Ma alcuni cominciavano a guardare al crescente pubblico di “giovani”, oppure a un mercato di “adulti” con contenuti più provocatori ed espliciti.369 L’anello della boiglia si stava allentando e il tappo era pronto per esplodere. Ma qual era il contenuto della boiglia? ale liquido il “genio del sistema” avrebbe prima annusato, poi bevuto, solo poi digerito e infine risputato, a suo vantaggio? Secondo l’editore di Variety, Peter Bart, i primi anni seanta furono un momento in cui “ogni singolo film è diventato ‘un’industria a sé’ perché fare cinema diventa una faccenda di vendere il film come un franchise ‘in ogni sua piccola parte’”.370 E allo stesso tempo avvenne il miracolo della coesistenza tra un cinema d’autore esteticamente sperimentale e socialmente consapevole, e la nuova, ingorda mentalità dei blockbusters. Un arco

narrativo che il nostro Lucas ha percorso nella sua interezza: da L’uomo che fuggì dal futuro a Star Wars. L’industria cinematografica fu trasformata, ma nel processo i grandi studios persero il loro potere perché vennero acquisiti da gigantesche corporation. […] In ogni caso Hollywood come industria cinematografica sopravvisse quando la vecchia guardia fu sostituita da una nuova generazione di filmmaker indipendenti che apportarono un po’ di aria fresca di modernizzazione e innovazione. […] esta “improvvisa messe di grazia”, per citare Welles nel suo articolo “Ma dove stiamo andando” (1970), descriveva adeguatamente il fenomeno della Hollywood Renaissance.371 Una “improvvisa messe di grazia”, scriveva Welles a proposito della New Hollywood, ricordando e celebrando la libertà che aveva avuto lui stesso con il suo primo film, arto potere (1941). Ma ai suoi tempi i grandi capi non avevano ragione di dubitare che le loro scelte coincidessero con i gusti del pubblico, un pubblico “di mezza età, middle-class, di cultura media. Oggi i boss, perché questo sono, non possono fingere di conoscere molto del mercato ecceo che è molto giovane. Soluzione: giovanissimi registi nel pieno controllo del proprio lavoro”.372 Gli studios in quel periodo si comportavano più “come banche che come produori per diversi anni, assicurando un inconsueto grado di libertà creativa a un gruppo di registi che aspiravano a essere autori”.373 Auteurs che parlarono a un’intera generazione che non si riconosceva nel sogno americano fao di esistenze predigerite. Una generazione composta dai vari Curt durante la loro ultima noe di innocenza prima di (non) partire per il college; dai Benjamin che il college l’hanno fao ma non sanno cosa fare della loro vita se non tentare disperatamente di recuperare l’amore della figlia della donna da cui sono stati sedoi per noia; da ventenni gangster per gioco in fuga dalla violenza della società rurale americana di provincia postdepressione; dai Bickle disadaati e rabbiosi reduci del Vietnam; dai randagi coi capelli lunghi che percorrono le autostrade americane in Harley Davidson senza sapere dove andare, basta che il motore canti…374 esta volta le cose sembravano diverse dagli anni quaranta: Come all’epoca della Goldwyn and Mayer l’obieivo degli studios è fare soldi: ma adesso i clienti pagano desiderando un prodoo diverso. “Il cambiamento principale è stato il pubblico” afferma Robert Evans, Head of Production della

Paramount. Oggi la gente va a vedere un film, non va più al cinema. Non possiamo più cullarci sulle abitudini. Dobbiamo produrre film per cui il pubblico dica “voglio andare a vedere quello”.375 “Il cinema che arrivò dagli States in quei quindici anni, altalenante in qualità e onestà, ondivago, spesso ingenuo, talvolta geniale e altre volte furbo, fao da maestri o da mestieranti, parlava la lingua di chi lo vedeva, la lingua di quel pezzo della vita nel quale non si sa dove andare.”376 Non una questione “di opere esteticamente memorabili” scrive La Polla, ma in quegli anni “ogni film rimee[va] in discussione il cinema”.377 Gangster Story per noi era emblematico dei tempi che vivevamo. Iniziammo a comprendere che stava succedendo qualcosa in questo paese e che tui i nostri valori – non solo culturali ma anche psicologici, mitologici e romantici – stavano cambiando in un modo molto interessante.378 Tuo questo, e molto altro, c’era “nella boiglia” dal punto di vista produivo e tematico. Dal punto di vista preamente narrativo e stilistico abbiamo già accennato alle tesi cosiddee “continuiste” di Bordwell, ompson e King: il cinema hollywoodiano sarebbe in grado di introieare qualunque novità rendendola funzionale al canone linguistico del closed plot. Un sistema geniale. E così avrebbe fao anche con le roure della New Hollywood. “In questa prospeiva, scarti, innovazioni, trasgressioni tendono a essere riportati a una funzionalità di tipo espressivo, al servizio della caraerizzazione dei personaggi, dell’ambiente o della situazione, e dunque a un immutato e immutabile asservimento alla motivazione e alla logica superiore del racconto.”379 Così Giulia Carluccio descrive “l’ipotesi genio del sistema” proposta da Bazin e accolta da molti. Ma la Carluccio è di tu’altro avviso e per dimostrare la sua tesi si concentra su Gangster Story e Il laureato. Nel suo saggio pubblicato nel libro scrio a più mani a cura di Emanuela Martini, cita un passaggio della recensione di Pauline Kael di Gangster Story, il film su Bonnie e Clyde con Faye Dunaway e Warren Beay: “Durante la prima parte del film una donna seduta accanto a me stava allegramente rassicurando i suoi accompagnatori: ‘È una commedia, è una commedia’. Dopo un po’ non disse più niente.”380 Secondo la Kael, il cinema, da quel momento e per qualche anno,

avrebbe spiegato al pubblico americano il senso della frase di Werner Herzog: “Io voglio mostrare a cosa può assomigliare un albero quando lo si vede per la prima volta nella vita.” Forse i registi della New Hollywood stavano facendo vedere per la prima volta al loro nuovo pubblico a cosa assomigliava, davvero, la loro vita, al neo dell’ipocrisia del sogno americano. Per esempio al film su Bonnie e Clyde, un’“alternanza e confusione di registri, tra il comico e il drammatico (o il tragico)”.381 Carluccio fa anche notare come la critica si divise furiosamente a proposito del film, che fu bollato in alcuni casi, come “un insolente slapstick da quaro soldi”.382 O peggio: “Gangster Story è scrio, recitato, direo e prodoo così male che non varrebbe neppure la pena di annotarlo, se non fosse che una claque non sta cercando di promuovere l’idea che la sua sociopatologia è arte.”383 Mentre il Time, a proposito di Gangster Story, di Il laureato e dei primi film di quel periodo, parlò di “Lo shock della libertà al cinema”. Vale la pena riportare un lungo passaggio dell’articolo, in cui lo shock del nuovo cinema è riconosciuto appieno. Soprauo dal punto di vista narrativo. La novità non è solo una questione di tempi ma di aeggiamento. Nonostante l’eredità di rari maestri come D. W. Griffith e Sergei Eisenstein, la stragrande maggioranza dei film un decennio fa era poco più che un pallido riflesso del teatro o del romanzo. Il Nuovo Cinema ha sviluppato una poesia e un ritmo propri. Tradizionalmente, dice l’editore dei Cahiers JeanLouis Comolli, “un film era una forma di divertimento, una distrazione. Raccontava una storia. Oggi sempre meno film vogliono distrarre. Sono diventati non più uno strumento di fuga ma uno strumento per affrontare un problema. Il cinema non è più schiavo di una trama. La storia diventa solo un pretesto”. Che i registi vogliano o meno raccontare una storia, non sono più costrei a seguire la convenzione secondo cui un film deve avere un inizio, una metà e una fine. L’ordine cronologico delle sequenze non è più una necessità quanto un lusso. Il flashback lento, logico, ha ceduto il posto al brusco cambio della scena. Il tempo sullo schermo può essere mescolato, in primo piano o sullo sfondo come avviene nel nostro cervello. La trama può scomparire dietro una foresta di effei e avvenimenti; delle motivazioni si può fare a meno, si possono ignorare le

questioni in sospeso, mentre il pubblico è invitato a diventare un collaboratore dello sceneggiatore riempiendo i vuoti che questi lascia. La macchina da presa può velocizzare o rallentare l’azione con determinazione; il sonoro può offuscare una conversazione o amplificarla fino a renderla incoerente.384 La disinvoltura stilistica e narrativa del cinema della New Hollywood è tale da neutralizzare, afferma Elsaesser, l’immediatezza del personaggio goal-oriented del cinema classico e avverte lo speatore di non aspearsi obieivi e significati precisi. L’esempio, in questo caso, è Strada a doppia corsia, il cult movie di Monte Hellman con James Taylor e Warren Oates che Esquire giudicò il miglior film del 1971. “C’è solo una minima ombra di trama, l’azione evita provocatoriamente i conflii interpersonali potenzialmente inerenti sia la relazione triangolare che la sfida personificata dal personaggio di Warren Oates, e finalmente il film gioca con gli obieivi (la corsa verso Washington) in un modo quasi gratuito, esplicitamente disinvolto.”385 Si chiede, quindi, Giulia Carluccio: come è possibile che “quello stile percepito come ‘nuovo’ dalla maggior parte della critica [nel bene o nel male, N.d.A.] e del pubblico rientri in realtà nel ‘solito’ paradigma classico”?386 E come è possibile notare, seppur in negativo, la pesante sgrammaticatura del linguaggio e l’assenza di qualunque schema narrativo aristotelico e contemporaneamente continuare ad affermare che “le convenzioni del montaggio continuo e della struura narrativa basata sul principio causaeffeo rimangono decisamente in vigore”?387 La sua risposta, basata anche sul riconoscimento, in questi film, del complesso gioco metacinematografico di rimandi, del citazionismo e di una moderna riflessione sull’immagine, è che il cinema della New Hollywood è sempre stato sia classico sia moderno sia postmodermo. Una risposta vicina alla soluzione proposta da Elsaesser. Il cinema, caraerizzato dalla continua, irriducibile dinamica tra “arte e commercio”, sostiene infai Elsaesser, è unico tra le altre arti perché deve la sua esistenza alla particolare, ineludibile interazione tra capitalismo e stato borghese. Più delle altre arti sarebbe quindi influenzato dalle mutevoli relazioni tra queste due forze dal momento che economia capitalista e stato borghese sono in perenne competizione per accaparrarsi legiimazione e controllo dello spazio pubblico. Perciò, secondo Elsaesser, c’è una terza via per comprendere il cinema americano degli anni seanta ed è quella di osservarlo non “come un periodo di radicale innovazione

o di mera transizione” ma come un periodo di incroci, miscugli (“crossovers” è il termine specifico usato da Elsaesser), cioè “variazioni che mescolano il senso dei segni per creare ogni tipo di scostamento […] possibile e funzionale”.388 Uno dei bacini che portarono acqua a questo fiume di incroci fu senza dubbio ciò che l’immaginario colleivo, lo stato borghese, registrò come conseguenza del delicatissimo periodo storico, politico e culturale che l’America stava passando in quegli anni. Ne approfieremo per cercare di comprendere come Lucas e il suo Star Wars si interfacciarono con questo Zeitgeist. La fabbrica dei segni Viviamo in un tempo in cui tui i miti sono morti, e questo significa che siamo nei guai, perché vuol dire che non sappiamo come raggiungere la saggezza. Non abbiamo un mito stabile che funzioni, e perciò è compito dell’artista provare a creare nuovi miti.389 Joseph Campbell scrisse L’eroe dai mille volti nel 1949, pochi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Secondo Gough, il passaggio dell’intervista a Campbell sulla morte dei miti che abbiamo riportato qui sopra fu una risposta alla devastazione esistenziale seguita al conflio. A proposito della genesi del libro di Ernesto De Martino La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali,390 Fabio Dei scrive su Alias che le narrazioni in cui si prospea una simbolica discesa agli inferi e ritorno (come quella offerta dal Viaggio dell’Eroe di Luke) servono a proteggere e guarire i membri della comunità da quella che il filosofo chiama la “‘crisi della presenza’, vale a dire dal rischio radicale del non esserci”. Secondo De Martino infai, il tema dell’Apocalisse può essere individuato […] nelle diverse declinazioni della cultura contemporanea, per esempio i grandi movimenti ideologici, come quelli anticoloniali, marxisti e religiosi, nei quali il mutamento storico si configura come il collasso di un vecchio mondo cui segue la nascita di uno radicalmente nuovo. Ma anche le rappresentazioni della leeratura e dell’arte contemporanea vengono contemplate, e le inquietudini dell’immaginario di massa, ad esempio le fantasie di quello che si chiamava allora

l’“olocausto nucleare”, in grado di concepire, per la prima volta nella storia, la distruzione del mondo e dell’umanità nella sua interezza.391 Ricordate? Ci siamo occupati di Apocalisse anche qui (I Libri dell’(auto)Rivelazione ←). In molti sembrano concordare sul fao che anche il cinema classico hollywoodiano “almeno all’inizio […] fu soprauo la vibrante risposta a quella crisi del sociale che colpì l’America – e con lei tuo il mondo – dopo la Grande Depressione del ’29”.392 Alonge e Carluccio soolineano infai che “il cinema americano è stato certamente la grande ‘fabbrica dei sogni’ del ventesimo secolo, un luogo mentale in cui intere generazioni si sono rifugiate per lasciarsi alle spalle le angosce della vita quotidiana, la disoccupazione, la miseria, la guerra”.393 In quegli anni, sostiene Sandro Bernardi, Anche il cinema ebbe una grandissima importanza, come faore di ripresa ideologica e psicologica, per rifondare la fiducia nelle istituzioni sociali, la speranza nel futuro, la gioia di vivere, e restituire credito ad alcuni valori fondamentali, come il rapporto di coppia, la famiglia, il lavoro, la colleività urbana. Il messaggio proposto dal cinema americano classico va quindi leo nella temperie successiva alla grande crisi, come tentativo, perfeamente riuscito, di restituire umanità e piacevolezza alla vita sociale altrimenti distrua dalla fame e dalla miseria.394 Nella sua autobiografia Frank Capra ci offre un suggestivo esempio di come lo studio system si muovesse nella scelta dei copioni nel 1932, un periodo in cui la crisi mordeva le caviglie anche di Hollywood, costrea a licenziare e a veder fallire alcune delle sue major, la Paramount e la Fox. Capra racconta di come confezionò una “storia confusa su un presidente di banca (Walter Huston) pieno di allegro oimismo e fiducia negli uomini, a cui si oppongono ferocemente i suoi stessi direori e le altre banche criticando la sua disponibilità ‘imprudente’ e ‘dannosa’ a far prestiti sulla fiducia”.395 Capra si riferisce al suo La follia della metropoli (1932). Si traava di un film che toccava senza mezzi termini il tema della Depressione e lo declinava in chiave marcatamente oimistica, al punto da essere definito “un film da New Deal”. Alla fine il direore della banca riesce a convincere gli ultraconservatori direori/investitori a erogare alcuni prestiti senza le sufficienti

coperture. Era la descrizione di un meccanismo e di una situazione totalmente diversi in confronto a ciò che stava dilagando negli USA in quegli anni: il terrore della crisi aveva irrazionalmente fao chiudere alle banche i cordoni della borsa dei prestiti: il cosiddeo, purtroppo tuora aualissimo, credit crunch. Capra ne approfiò per rivendicare la sua appartenenza alla schiera dei registi “oimisti” contrapposta a quella dei registi “pessimisti”. Li chiamava Ashcan, dal nome di un movimento artistico di inizio Novecento famoso per le rappresentazioni realistiche dei quartieri degradati delle grandi cià. Senza immaginare che più di trent’anni dopo quella riflessione diventerà di streissima aualità con l’avvento della New Hollywood. E infai, quando negli anni sessanta e seanta arrivarono i ragazzacci, Capra, l’epitome del cinema classico più conservatore e della screwball comedy più leggera, non la prese bene. Ma la sua riflessione non è incolore e ci aiuta a comprendere quanto quel periodo fosse sfacceato e non necessariamente “eroico”: Certamente il mondo non aveva bisogno di altri film di sesso, violenza, lascivia. Stando ai film che si producevano allora a Hollywood gli Stati Uniti erano fai di donne provocanti, omosessuali, lesbiche, sadici, ubriachi, e anche bella gente, radicali, renitenti alla leva e santi molto teatrali che versavano il loro sangue finto per la Causa e la Macchina da presa. […] Dimenticati oltre le urla di protesta restavano i lavoratori dalla fronte madida che tornavano a casa troppo stanchi per gridare slogan o far dimostrazioni nelle strade – operai dell’industria pesante, camionisti, commessi viaggiatori, impiegati dei telefoni, segretarie, sartine. […] Chi avrebbe fao dei film su di loro, per queste ruote che scivolavano avanti senza un lamento, senza uno scricchiolio per oliare quelle altre, gracchianti e lamentose? Non io, la mia Hollywood di “un uomo, un film” aveva cessato di esistere. Gli aori se l’erano faa a fee lucrandoci su.396 Veronica Pravadelli, nel paragrafo dedicato ai film biografici e d’avventura, ricorda che uno dei film più acclamati e premiati di quegli anni fu Emilio Zola (William Dieterle, 1937). I due generi, fa notare, sono preamente maschili e pienamente classici e sono capaci di “promuovere una rappresentazione del mondo lineare e precisa, in cui il soggeo umano (purché di sesso maschile) può, araverso l’azione fisica o l’impegno intelleuale, produrre un significativo cambiamento per il bene comune, per i suoi simili e

per la patria. […] La fiducia nelle capacità umane di intervenire e influire sulle vicende del mondo appare quanto mai salda e forte”.397 In definitiva, il cinema dei “registi oimisti” era quello prevalente. alcosa di molto diverso accadde invece nel rapporto tra cinema e società tra la fine degli anni sessanta e la fine degli anni seanta. “Mentre i film dell’epoca degli studios generalmente mostrano fiducia nel potere della narrazione di dare un ordine agli eventi e di suggerire che praticamente tui i conflii, personali o sociali, possono trovare una soluzione soddisfacente, molti film degli anni sessanta e seanta non possono esplicare una fiducia simile”398 nei confronti di ciò che stava accadendo in quel periodo. Il mondo vide la nascita di un’America che per la prima volta non riusciva a trovare le risposte (oppure cominciava a farsi le domande giuste). “Ha senso, dopo la disastrosa esperienza del Vietnam, parlare ancora di eroi?” La figura consacrata dalla seconda guerra mondiale sembra ormai una statua in ombra e corrosa dalle intemperie. E dai dubbi etici. […] Il Vietnam lascia nella società americana anche vistosi sensi di colpa: di fronte a tanti massacri che nulla hanno portato, ha ancora senso giustificare la guerra? Ha senso mantenere un conflio permanente con metà del globo, anche solo se “freddo”? ale deve essere il ruolo degli USA nel mondo? A questi interrogativi, e al disagio inerente al “sentirsi americani”, si aggiunge la conferma della caiva coscienza del potere: lo scandalo Watergate. La politica può ancora essere pura? Esistono ancora gli ideali? Dove sta andando il Sessantoo?399 Una veloce rassegna degli avvenimenti di quel periodo mostra che le domande da farsi erano molte e complesse e riguardavano ogni aspeo della società, da quello economico a quello politico e culturale. • Guerra del Vietnam (1955-1975) e fronti interni di resistenza sempre più aggressivi (a partire dagli anni sessanta); • Omicidio del presidente degli USA John Fitzgerald Kennedy (1963); • Assassinio di Martin Luther King (1968); • Massacro di più di cinquecento tra anziani, donne, bambini e neonati inermi a Mỹ Lai in Vietnam (1968); • Assassinio di Robert Kennedy (1968);

• Estensione del conflio a Cambogia e Laos (1970); • Rivolte razziali, scontri di Chicago, uccisione di studenti alla Kent State University (1970); • Scandalo Watergate: alcuni uomini del Partito repubblicano vengono scoperti a effeuare alcune interceazioni abusive nel Comitato nazionale democratico (1972); • Tra il 1973 e il 1974 ci fu uno dei peggiori crolli del mercato azionario, accompagnato dalla crisi petrolifera dell’oobre 1973 e dal fenomeno della “stagflazione” (quando aumentano sia disoccupazione che inflazione); • Dimissioni di Richard Nixon (1974). Fu un momento di grande insicurezza, che fotograò soprauo il tracollo morale del paese, un paese dal quale il cinema contribuì a strappare la tenda dell’happy ending: “Ci fu un riconoscimento di cosa significasse la violenza, nell’epoca degli assassinii. […] Il Vietnam smascherò i limiti della potenza americana, la fragilità della sua morale e l’ineitudine dei suoi leader” ricorda Elsaesser. Il Watergate aveva lasciato tui con la sensazione che la nazione fosse finita in un gran pasticcio, che esistevano un “loro” e un “noi”. “Nixon era il nostro Michael Corleone reale: isolato, freddo, paranoide, un aore alla disperata ricerca di potere e controllo.”400 Arthur Penn, il regista di Gangster Story – secondo Warren Beay “il film più violento mai proieato in un cinema” – 401 fa una riflessione molto significativa a proposito: Credo che la violenza sia parte del caraere americano. È cominciato tuo con il West, con la frontiera. L’America è un paese di persone che meono in pratica la propria visione delle cose in modo violento – non esiste una vera tradizione di persuasione, ideazione e legalità. Basta guardare alla storia: Kennedy è stato ucciso. Siamo in Vietnam a uccidere persone e a essere uccisi. Siamo sempre stati coinvolti in una guerra in ogni momento della mia vita. I gangster sono fioriti durante la mia giovinezza, ero in guerra all’età di dicioo anni, poi c’è stata la Corea, poi il Vietnam. Noi abbiamo una società violenta. Non è la Grecia, non è Atene, non è il Rinascimento – è la società americana e desidero descriverla dicendo che è una società violenta. E allora perché non fare film a proposito della violenza?402

Per la prima volta, negli anni sessanta e seanta una nuova generazione di registi decise (o fu messa in grado da temporanee circostanze) di affrontare di peo il male oscuro che sentiva avanzare. E di raccontarlo. Si traava di un “impao cumulativo” di crisi e sconvolgimenti “in un periodo di tempo relativamente breve”, ricorda Geoff King, che “ci autorizza a presupporre una contestazione di più vasta portata dei valori e principi di fondo degli americani. Le immagini dell’America come luogo di libertà e democrazia furono intaccate o anche danneggiate più seriamente”.403 Ovviamente, anche Lucas ne era consapevole anche se – a parte L’uomo che fuggì dal futuro – continuava a fare film che rimuovevano il problema mitizzando il passato (American Graffiti) e il futuro (Star Wars), accuratamente evitando il presente (almeno direamente: qualunque narrazione ha a che fare con il presente). Disse infai a proposito del suo secondo lungometraggio: “Non c’è alcun messaggio né alcun ampio discorso, ma ci si rende conto che alla fine della storia l’America ha affrontato un cambiamento drastico. I primi anni ’60 furono la fine di un’era. Ci ha colpito tui molto forte.”404 Il capitolo che segue, che affronta la storia di quella generazione (i cosiddei movie brats), andrà leo però, anche qui, araverso la lente di un approccio il più cauto possibile nei confronti della fiducia nel fao che “tui i film rispecchino, in un modo o nell’altro, la realtà. Non esiste evasione, neanche nei film più dichiaratamente d’evasione”.405 È una tesi che, secondo Alonge e Carluccio, non va generalizzata. “Le interpretazioni di tipo sociologico basate sulla teoria del ‘rispecchiamento’ – ossia l’idea che nei film si rifleerebbero le pulsioni che araversano la società – vanno praticate con aenzione, perché non esiste mai un rapporto meccanico, osmotico, tra testo e contesto, e le ‘tracce’ di cui si diceva all’inizio vanno cercate con un’analisi rigorosa. Se il cinema è uno specchio della società, si traa di uno specchio deformante, perché vi sono una serie di ‘filtri’ – la volontà dell’autore, il condizionamento del sistema produivo, i meccanismi della censura – che interagiscono con gli stimoli provenienti dalla cultura che circonda i film.”406 Franco La Polla, nella sua monografia del 1995 su Steven Spielberg, è ancora più deciso nel meere in guardia la critica (soprauo quella italiana) da sovrainterpretazioni politiche delle opere filmiche: “È il cinema il protagonista primario. Al solito, la strada del sociologismo è

infinitamente più facile. Così come era stata facile qualche anno prima, quando il ‘nuovo’ cinema americano aveva sferrato la sua offensiva antihollywoodiana con opere a volte di riguardo. Regolarmente, da noi, troppi si sono affreati a leggerle e catalogarle ufficialmente con testimonianze di caraere politico.”407 In ogni caso, “più o meno casualmente” gli anni tra il 1967 (Gangster Story) e il 1975 (Nashville, di Robert Altman), che Elsaesser chiama la Golden Age della New Hollywood, furono anche gli anni dei più violenti sconvolgimenti sociali e politici che gli Stati Uniti avessero affrontato da almeno una generazione, e forse dalla Depressione degli anni ’30.408 Tuo ciò, continua Elsaesser, fu […] acutamente rispecchiato in un diluvio di film tanto più senza successo presso il pubblico quanto più erano audaci, creativi e anticonformistici secondo la critica. Il paradosso della New Hollywood fu che la perdita di fiducia del paese, i suoi dubbi sul conceo di “libertà e giustizia per tui” in quegli anni, non bastarono per soffocare le energie di diversi gruppi di giovani filmmaker. Costoro registrarono il malessere morale ma non smussarono il loro appetito per esperimenti stilistici o formali. Portarono sullo schermo personaggi depressi o (auto)distruivi ma i temi erano spesso audaci e non convenzionali, in contesti sorprendentemente bellissimi anche – specialmente – nella loro poco affascinante quotidianità.409 Geoff King concorda con la possibilità che alcuni dei film più significativi della Hollywood Reinaissance non avrebbero visto la luce senza quello specifico contesto sociale e quella inedita, per alcuni versi insostenibile, sensazione di “perdita della verginità” che quasi ogni americano provava. Film che, sempre secondo King (consapevole della semplificazione), correvano lungo il binario di una doppia corrente: quella della contestazione e quella della paura e della disillusione. Ci piace qui ricordare di passaggio, per esempio, due pellicole poco citate di quel periodo di cui almeno la seconda ha lasciato una traccia indelebile nella storia del genere horror. Film che, come lamenta giustamente Pier Maria Bocchi nel suo saggio contenuto in New Hollywood, sorprendentemente in Easy Riders, Raging Bulls di Biskind non vengono neppure citati: Messia del diavolo (Willard Huyck, Gloria Katz, 1973), direo e sceneggiato dai cosceneggiatori di American Graffiti “un horror a

basso costo romeriano e perfeamente aderente allo spirito dei tempi”;410 e il leggendario Non aprite quella porta (Tobe Hooper, 1974). Due esordi fulminanti e ultraviolenti entrambi ancora oggi considerati dei film cult, “collegati al clima della guerra in Vietnam e del periodo postbellico”.411 Ma, precisa King, “non c’è, d’altronde, nessuna sicurezza che la sovversione sociale si trasferisca automaticamente in prodoi commerciali come i film di Hollywood”.412 “Commerciali” è la parola chiave di Hollywood. E specialmente i suoi film, continua King, “rimangono non solo un prodoo della loro cultura e società ma anche di un particolare regime industriale”,413 che in effei, proprio in quegli anni, come abbiamo visto, era in un momento di profonda trasformazione. Il “genio del sistema” non si ritagliava mai momenti di riposo. ello che è certo è che dopo la crisi degli anni cinquanta il cinema, “aveva ristabilito una connessione, aveva scovato un nuovo pubblico”. Una buona notizia per l’industria hollywoodiana. La caiva notizia (per Capra, per esempio) era che “Easy Rider era un altro pugno nello stomaco, persino peggiore di Gangster Story”.414 Un particolare tipo di connessione che aveva al suo interno i germi della sua stessa estinzione, se è vero, come vedremo, che proprio due tra i ragazzacci, Spielberg e Lucas, la stabilirono con il pubblico in tu’altro modo rispeo ai loro colleghi e a discapito dell’intera “corrente”. I movie brats “Noi siamo i maiali,” dice George Lucas. “Noi siamo quelli che scovano i tartufi. Potete meerci al guinzaglio, tenerci soo controllo. Ma siamo noi quelli che estraggono l’oro dalla miniera.”415 Giorgio Ghisolfi, nel suo Star Wars – L’epoca Lucas, dice: Star Wars arriva al momento giusto. Nel 1977 George Lucas incontra lo Zeitgeist – lo spirito del tempo – come si traasse di un appuntamento. Se, dai suoi albori sino agli anni sessanta, il cinema poteva considerarsi come una forma di proposta culturale, dagli anni sessanta (in Italia dagli anni cinquanta, grazie al Neorealismo) comincia a essere anche una forma di risposta. Proprio questo fa Lucas con la sua prima trilogia:

risponde. Agli interrogativi identitari della società americana post ’68, ma anche ai dubbi della società internazionale, divisa in blocchi.416 ale fu dunque la risposta di Lucas? A sentire King – al neo della rabbia contro il sistema produivo del regista californiano – 417 fu innocua: “La Hollywood Renaissance è solo una tendenza in un periodo in cui il boeghino continuava a essere dominato da pellicole più convenzionali.” Oltre a Il laureato, Easy Rider e pochi altri che raggiunsero traguardi ragguardevoli al boeghino, quelli erano gli anni di Un maggiolino tuo mao (Robert Stevenson, 1968), Love Story (Arthur Hiller, 1970), La stangata (George Roy Hill, 1973) e… Star Wars. Cioè “film per lo più con una scarsa carica sovversiva”,418 continua King. Diane Jacobs è ancora più estrema, forse troppo: “Il film di Lucas ci offre una fantasia inoffensiva – ma non particolarmente ingegnosa […] e costituisce un momento infelice del New American Cinema.”419 In realtà la faccenda è più complessa e per comprenderla appieno dobbiamo prima analizzare come decisero di rispondere i colleghi registi di Lucas, i movie brats:420 un gruppo di filmmaker – gruppo del quale Lucas, inizialmente, faceva parte a pieno titolo – capaci di cavalcare a loro favore la momentanea impasse dello studio system alla fine degli anni sessanta. “Ragazzacci” che non erano cresciuti nell’establishment ma si erano formati nelle scuole di cinema (UCLA, USC, NYU, Columbia) e guardando la TV. Citazionisti, appassionati di cinema europeo, arrabbiati, pienamente inseriti nella controcultura americana dell’epoca, ma soprauo decisi a cambiare le regole di Hollywood acquisendo il controllo creativo dei loro film. “Primo,” rappresentarono “uno stile filmico diverso da quello precedente. Secondo,” significarono “un nuovo quadro industriale.”421 Infine, filmmaker che ebbero la libertà di tornare a occuparsi di temi scomodi con la giusta crudezza, forse anche in virtù dei “cambiamenti avvenuti nel più ampio contesto sociale o storico”.422 A proposito dei movie brats Peter Biskind fa dire a Paul Schrader, critico cinematografico e uno dei registi e sceneggiatori (Taxi Driver, 1976) più importanti della New Hollywood: Grazie alla catastrofica crisi del ’69, ’70 e ’71, quando l’industria ha finito per implodere su se stessa, avevi le porte spalancate, potevi entrare tranquillamente, chiedere un appuntamento e

proporre qualsiasi scandaloso.423

cosa.

Non

c’era

niente

di

troppo

E a Peter Guber, allora un pezzo grosso della Columbia Pictures (che ha prodoo tra gli altri Taxi Driver): Se eri giovane, preferibilmente appena uscito da una scuola di cinema, o avevi direo un piccolo film sperimentale a San Francisco, quello era il tuo biglieo per entrare nel giro.424 Ma forse la sintesi migliore è quella di Diane Jacobs: Ciò che distingue certi film degli anni seanta non è né la loro superiorità artistica né la loro autonomia produiva, ma una felice combinazione di entrambe, una fusione di abilità, accessibilità e, sì, ispirazione, in una fortuita congiuntura temporale. A qualcuno entrò in testa che là fuori esisteva una massa informe di speatori soo i trent’anni, che era stanca dei drammi in costume e delle commedie televisive innocue, e che con gli affari che andavano così male bisognasse almeno provare qualcosa di nuovo. Il fenomeno che ne risultò non fu una faccenda di due o tre individui eccezionali – di prodigi come Welles o Huston – ma di un insieme di talenti che calarono su Hollywood e insisteero nell’aver voce in capitolo sul futuro del cinema. Come affermò Mazurski, per la prima volta i registi americani stavano facendo film “personali” che venivano pubblicizzati come tali.425 Oppure quella, sospeosa, di Elsaesser: La questione è se l’estetica non-classica, romantica, europea, barocca, così come le energie antagoniste, critiche e controculturali della prima New Hollywood fossero un’alternativa genuina, anche se di breve durata e subito interroa, o se invece i ribelli disadaati e fuori dagli schemi fossero necessari al “sistema” per ricomporlo prima e poi rinnovarlo.426 In ogni caso, non possiamo non citare il sarcasmo di Orson Welles, che paragona la Hollywood degli anni seanta a una “vecchia signora nervosa” che “ha bisogno di mani giovani e forti per guidarla”.427 Lo spazio e il tema del libro non mi consentono di addentrarmi troppo nell’analisi della complessa storia dei movie brats. Ci limiteremo a soolineare alcune delle risposte che diedero con il

loro cinema per poi confrontarle con quelle che diede George Lucas araverso Star Wars. Una delle prospeive più interessanti che ci consente di inquadrare in poche efficaci righe la natura dei ragazzacci è quella di Franco La Polla, secondo il quale i registi protagonisti della New Hollywood arrivarono in tre ondate distinte. La prima, di cui fa parte a pieno titolo Dennis Hopper con il suo Easy Rider, approfiò dell’aria nuova generata dalle proteste studentesche che si respirava negli anni sessanta per proporre “temi di notevole risonanza nell’America di Johnson e Nixon, in piena armonia con la sostanza politica della protesta studentesca fondata su un riformismo di obieivi ben lontano da una proposta sociale meditata e organizzata”.428 Un film e una generazione politici quindi, non partitici. Ed è quella politica, quell’aria che alla fine del film viene cancellata dall’America più retrograda quando, dal vigliacco anonimato di un furgone, uccide Wya e Bill e dà fuoco alla loro moto. La seconda ondata, all’inizio degli anni seanta, fu composta da alcuni giovani, colti registi statunitensi che stavano per iniziare le loro carriere cinematografiche e intercearono la ormai decennale stratificazione delle esperienze controculturali europee e asiatiche dei decenni precedenti: il Neorealismo italiano di De Sica, Rossellini, Fellini e Antonioni (anni quaranta e cinquanta), il cinema giapponese di Mizoguchi, Ozu e Kurosawa (anni cinquanta) e la Nouvelle Vague francese degli anni sessanta, un punto di svolta nella storia del cinema, quando giovani e appassionati registi (che erano soprauo ex critici dei Cahiers du Cinéma) come François Truffaut e Jean-Luc Godard respinsero le forme stabilite della convenzione cinematografica e offrirono al mondo un nuovo tipo di cinema, indipendente dalle case di produzione: l’introduzione di macchine da presa e materiale sonoro leggeri, obieivi e pellicole più luminose permisero loro di girare da soli per le strade e negli appartamenti degli amici.429 Ultracinefili che hanno lavorato nella factory di Corman, “cioè con il maggior rappresentante americano di un ritorno all’essenzialità del cinema come linguaggio”:430 Scorsese, Bogdanovich, Spielberg, Lucas…431 La terza ondata, pur non abbandonando le istanze metalinguistiche e citazionistiche di tali registi, è più speacolare e meno riflessiva, identificandosi con “un rilancio della ‘grande avventura’, del cinema plateale e

sensazionalistico, eccitato e sostanzialmente infantile”.432 Cineasti tecnologici per i quali “l’etica si semplifica in rapporto direamente proporzionale alla complessità eleronica degli effei speciali”.433 Cineasti i cui film non propongono un rapporto realtà/cinema ma cinema/cinema, senza alcuna altra struura referenziale. Lucas fece parte anche di questa terza ondata, e fu questa che alla fine si rivelò a lui più congeniale. Restaurazione Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana dal Vietnam, dalle strade di New York e dal Watergate… È un prodoo degli anni oanta. Non vai in giro a uccidere le persone. Non è bello. George Lucas Se c’è una riflessione capace di introdurre con efficacia il senso di questo capitolo è quella del libro di Miguel Benasayag e Angélique Del Rey, Elogio del conflio: “Tuo, nella nostra cultura e nella nostra educazione, aspira alla cancellazione del conflio, o almeno alla sua aenuazione.” Lo vedremo meglio più avanti (→ Una luce che cammina nel cielo). George Lucas fu indubbiamente uno degli esponenti di punta della New Hollywood: “La Warner Brothers aveva acceato di produrre l’astrao e controculturale L’uomo che fuggì dal futuro,” il suo primo lungometraggio, “perché di lì a poco sarebbe esplosa l’American New Wave, altrimenti dea la ‘New Hollywood’.”434 Il suo secondo lungometraggio, American Graffiti (prodoo da uno dei più ambiziosi e carismatici ragazzacci, Francis Ford Coppola), si rivelò il film più redditizio della storia nel rapporto tra costi e incassi.435 Ma Lucas fu anche uno di coloro che contribuirono a decretare, della New Hollywood, la fine. Il suo rapporto con i movie brats e la nuova corrente che rappresentarono fu infai piuosto articolato e a volte confliuale. Riprendiamo per un momento la riflessione di Geoff King sulla differenza tra New Hollywood e Hollywood Renaissance: per alcuni, ricorda King, i due termini sono sovrapponibili per indicare il periodo a partire dagli anni sessanta fino alla seconda metà degli anni seanta, per altri New Hollywood definisce invece “una maniera di fare cinema quasi del tuo opposta a quella della

Hollywood Renaissance: la Hollywood dei giganteschi conglomerati mediatici e dei blockbusters ad alto costo”. Da questa prospeiva potremmo dire che George Lucas contribuì inizialmente a dare l’abbrivio alla Hollywood Renaissance con il distopico e sperimentale L’uomo che fuggì dal futuro436 e con lo sgargiante e nostalgico American Graffiti). “Col suo enorme successo Lucas fu salutato come il salvatore del cinema indipendente, visto che si traava di uno dei pochi film indipendenti successivi a Easy Rider a penetrare davvero il mainstream, e all’indomani di American Graffiti e di Il padrino (uscito l’anno precedente) un nuovo modo di fare cinema finalmente arrivò alle masse, come L’esorcista di Friedkin e Mean Streets di Scorsese (nel 1973): si traava di un’American New Wave.”437 Ma, ironicamente, il terzo film di Lucas avrebbe anche decretato la fine della Hollywood Renaissance “perché i blockbusters prodoi dagli studios riguadagnarono il loro potere negli anni ’80”,438 e l’inizio della New Hollywood dei blockbusters. Insomma, così come Lucas contribuì a preparare il terreno agli indipendenti del cinema americano, allo stesso tempo, qualche anno dopo, fu proprio il suo Star Wars, secondo Geoff King, a toglierglielo, rendendo “inutile la concessione di spazi a coloro che continuavano a operare lontano dal filone commerciale dominante”.439 Il nuovo sistema industriale hollywoodiano, continua King, ormai non riteneva adai al nuovo sfruamento intensivo multimediale e di merchandising neppure i maggiori successi di cassea del periodo della rinascita. Durante la seconda metà degli anni seanta, infai, intossicata dal successo dello Squalo e di Star Wars, Hollywood inaugurò un nuovo mantra: investire enormi somme di denaro in pochi film da boeghino. “este aspeative così alte fecero impennare ancora di più i costi, alzare i compensi a nuovi livelli e aumentare il costo della pubblicità e della promozione di ogni singolo film. […] Per la fine del decennio i blockbusters ripagarono gli sforzi grazie al fao che vendevano un grande numero di bigliei.”440 A questo punto, grazie anche al fao che la generazione del baby boom era diventata il pubblico di questo tipo di film, si arrivò a generare i cosiddei “franchises”, film multipli “generati da un primo film di successo. I franchises andarono oltre la precedente consuetudine di fare dei sequel. Si traava spesso di una serie di film, alcuni pianificati due o tre film prima”.441 Come c’era da aspearsi, questa nuova epoca di grandi uscite inaugurata dallo Squalo e dall’imprevedibile successo di Star Wars ebbe un impao

anche sulle percentuali sugli incassi degli esercenti. Fino a quel momento le sale avevano il potere di contraare termini vantaggiosi per il noleggio di un film. Ma a partire dalla fine degli anni seanta furono i distributori e non più gli esercenti a oenere potere contrauale, visto che adesso offrivano i loro film a centinaia di sale contemporaneamente. Come risultato, la percentuale dei ricavi del box office che rientrava agli studios aumentò dal 31% nel 1970 a quasi il 46% nel 1977. esto diede ai distributori un nuovo potere e cambiò il modello economico delle sale. Adesso la maggior parte dei ricavi dei bigliei tornava al distributore, mentre l’esercente faceva più profii al boeghino.442 È così che funzionano le favole “Dopo L’uomo che fuggì dal futuro mi resi conto che alla gente non importa di come il paese stia andando in rovina,” disse George Lucas, che decise che non avrebbe più voluto fare “qualche film arrabbiato e socialmente rilevante.”443 Ormai la prima trilogia di Star Wars stava per concludersi. Dopo Star Wars e L’impero colpisce ancora (1980) era la volta del Ritorno dello Jedi (1983). Il titolo originale avrebbe dovuto essere Revenge of the Jedi (“La vendea dello Jedi”). Non è chiaro se George Lucas sia stato in qualche modo costreo a cambiare il titolo dai fan (a due mesi dall’uscita, con il merchandise, i poster e i trailer ancora con il vecchio titolo) o se abbia deciso di cambiarlo all’ultimo momento con l’intenzione di impedirne la contraffazione. Nel primo caso, l’esigente pubblico della trilogia era ormai diventato più realista del re: i cavalieri Jedi, affermavano gli appassionati, avrebbero dovuto essere superiori a sentimenti negativi come la vendea.444 Nel secondo caso, questa dichiarazione di Lucas è molto esplicita: “Credo che la Vendea, nel bene e nel male, meerebbe tuo in prospeiva. Non so se alla gente piacerà tanto, ma la verità è che questo è il modo con cui il film è stato pensato originariamente… Sono incastrato all’interno del modo con cui è stato pianificato all’inizio e non posso andarmene all’improvviso per la tangente.”445 Per Lucas il termine “vendea” era invece ampiamente applicabile ai villains, i Sith del terzo capitolo (La vendea dei Sith, 2005).

L’aenzione ossessiva di Lucas per questo tipo di deagli si rivela anche nella scelta del cognome del personaggio principale. Come vedremo più avanti (→ Il figlio dei soli), nelle prime stesure della sceneggiatura Luke era stato chiamato “Starkiller” ma, afferma Lucas in un’intervista del 2005 su Rolling Stone, “poi mi resi conto che non era appropriato per il personaggio. Era giusto per Anakin, ma non per suo figlio. Dissi: ‘Un momento, non posso appesantirlo troppo, in fondo [Luke] è colui che lo redime’”.446 Immaginate la reazione del pubblico se Luke si fosse presentato nella cella di Leia e togliendosi la maschera le avesse deo: “Sono Luke Starkiller e sono venuto a salvarla” (Star Wars →). In quegli anni nell’immaginario colleivo “l’assassino delle star” (star killer) era Charles Manson, che nel 1969 aveva brutalmente ucciso Sharon Tate e aveva programmato l’omicidio di Steve Mceen, Liz Taylor, Frank Sinatra. Mark Hamill nel 2018 rivelò che questa scena era stata in effei realizzata con il vecchio nome e che Lucas decise di girarla da capo. Lucas aveva sempre avuto le idee chiare sulla natura favolistica e innocua del suo space-fantasy.447 In un dialogo con uno degli sceneggiatori più importanti del film, Lawrence Kasdan, i due “esprimono due visioni radicalmente diverse della storia, e anche del cinema”: KASDAN: LUCAS:

Credo che dovresti uccidere Luke […]

Non si può uccidere Luke.

KASDAN:

Ok, allora uccidi Yoda.

LUCAS:

Non si può uccidere Yoda. Non c’è bisogno di uccidere qualcuno. È un prodoo degli anni oanta. Non vai in giro a uccidere le persone. Non è bello… KASDAN:

No, ti sbagli. Sto solo cercando di rendere la storia più incisiva. […] LUCAS:

Per me ti alieni il pubblico.

KASDAN:

Dico solo che il film avrebbe più spessore emotivo se si perdesse qualcuno che si ama lungo la strada. […] LUCAS:

Non mi piace e non credo sia vero. […] Ho sempre odiato queste cose nel film, quando vai avanti e uno dei personaggi principali viene ucciso. esta è una favola. Vuoi che tui vivano felici e contenti e che non accada niente di bruo a nessuno. […] La cosa fondamentale, tua l’emozione

che sto cercando di suscitare alla fine del film, sta nel sentirsi davvero sollevati, emotivamente e spiritualmente, e avere sensazioni positive sulla vita. È la cosa migliore che possiamo fare.448 Gli stessi dubbi sulla mancanza di spessore del film li avevano Harrison Ford e Mark Hamill. Ma Lucas non se ne preoccupava: “È così che funzionano le favole.”449 ando, molti anni più tardi, Kasdan firmerà la sceneggiatura di Star Wars: Episodio VII – Il risveglio della forza (2015), direo da J.J. Abrams, ormai Lucas aveva ceduto la serie alla Disney. “È giunto per me il momento di passare Star Wars a una nuova generazione di filmmaker,” diceva. “Sono sicuro che con Kathleen Kennedy alla guida della Lucasfilm, e con una nuova casa nell’organizzazione della Disney, Star Wars continuerà a vivere e prosperare per molte generazioni future.”450 Lucas continuò a essere presente nella writing room ma solo con il compito di “spiegare le regole dell’universo che egli stesso aveva creato”.451 E Kasdan poté così coronare il suo sogno omicida, facendo uccidere Han Solo. Dal figlio Ben (Kylo Ren).452 Tra i maggiori registi operativi negli anni seanta, in piena New Hollywood, ce ne fu forse solo uno che condivideva in parte la visione di Lucas: Peter Bogdanovich, il re dei remake della Hollywood classica, da Ma papà ti manda sola? (1972) a Paper Moon (1973), quest’ultimo ispirato al cinema del “re degli oimisti”, Frank Capra. “Il grande problema per un regista oggi è tornare a quello spirito innocente, a quella schieezza e semplicità”453 dichiarava nostalgicamente Bogdanovich negli anni seanta. Ma l’aria che tirava in quel periodo tra i nuovi registi di punta era ben diversa. Ecco quaro brevi esempi. Arthur Penn: “Siamo in guerra contro il Vietnam,” affermava a proposito del suo Gangster Story. “Il film non può essere puro, disinfeato, con qualche pistoleata. Deve essere foutamente cruento.”454 Dennis Hopper: “Nessuno aveva mai avuto l’opportunità di identificarsi coi personaggi dei film. A ogni love-in, in tuo il paese, la gente fumava erba e si faceva di LSD, mentre al cinema si vedevano ancora film con Doris Day e Rock Hudson!”455

William Friedkin: “C’è un lato oscuro nella mia anima, un profondo lato oscuro che mi accompagna sempre quando sono sveglio.”456 Friedkin, autore dell’Esorcista (1973), rivoluzionò il genere poliziesco con Il braccio violento della legge (1971), un film in cui i segni di valore sono ribaltati e l’eroe della storia, Jimmy Doyle (Gene Hackman) è tuo fuorché “buono”. Martin Scorsese. Un giorno si trovò a parlare con Lucas, che era passato a trovarlo in sala montaggio durante la postproduzione di New York, New York (1977). est’ultimo gli consigliò di cambiare il finale immaginando De Niro e la Minnelli alla maniera dei finali di Charlot (come Chaplin e Paulee Goddard in Tempi moderni, per esempio, che vanno via di spalle, in campo lungo, mano nella mano, al tramonto). “Disse che avremmo potuto incassare dieci milioni di dollari in più se avessimo chiuso il film così.”457 ando Scorsese gli ha sentito dire quelle cose, ha pensato: “Non ce l’avrei mai faa ad avere successo in questo mondo, ho capito che non posso fare film commerciali, che non posso fare il regista a Hollywood. […] Sapevo che non sarei più riuscito a guardare in faccia né loro, né me stesso, se li avessi fai andare via mano nella mano.”458 New York, New York e Star Wars uscirono nello stesso periodo. Il primo fu un fiasco al boeghino, il secondo un successo mai visto. La New Hollywood era finita. Per fortuna Scorsese, invece, stava ancora solo scaldando i motori. “La rivincita del nerd”, quindi? Biskind titola così un capitolo del suo libro dedicandolo a Spielberg e all’enorme successo del suo Lo squalo. Ma è un fao che fu la coppia di nerd Spielberg-Lucas a cambiare tuo a Hollywood, e in un solo biennio. Anche se, pur essendo Lo squalo e Star Wars i primi blockbusters moderni della New Hollywood, Spielberg era considerato far parte del sistema.459 Lucas no perché stava con la Zoetrope di Coppola. Cambiò tuo così tanto e così in frea che stavolta tui sono concordi nell’individuare nel periodo successivo al 1975-1977 la terza, definita e definitiva fase della New Hollywood. L’industria del cinema, forse la stessa cultura americana, non si è mai ripresa da quel fine seimana elerizzante del giugno 1975 quando Lo squalo esordì in tuo il paese e Hollywood si rese conto che un film poteva guadagnare quasi 48 milioni di

dollari in tre giorni. Da allora l’unico vero prestigio [di uno studio] arrivava dall’avere un grande film di successo.460 Nell’estate del 1975 Lo squalo diventa il film di maggior successo della storia del cinema. “È una rivoluzione che interessa pubblico, strategie di marketing, linguaggio, modalità produive. […] Hollywood si ritrova improvvisamente tra le mani un nuovo tipo di kolossal: il film concerto, che sempre Laurent Jullier (un teorico e ricercatore francese di cinema) preferisce ricondurre storicamente all’uscita del primo Star Wars in Dolby Surround nel 1977.”461 Ovviamente le ragioni della fine della New Hollywood risiedono anche in un ambito preamente industriale, in qualche modo speculare a quello del suo inizio. Gli executives dello studio system, soprauo in seguito al gigantesco flop dei Cancelli del cielo (Michael Cimino, 1980), tornarono ad avere il final cut sui film che producevano. Circostanze di rischio del genere, sommate alla nascita dei nuovi costosissimi blockbusters, hanno spinto gli studios a ritrovarsi “all’interno di corporation di notevoli dimensioni ma distribuite in modo meno disordinato e più coerentemente organizzate intorno a un numero di industrie mediatiche e affini”.462 In questo modo “si è consolidata la stabilità e si sono minimizzati i rischi”.463 Mi sembra il momento perfeo per raccogliere una delle semine più importanti del nostro viaggio. Grazie allo straordinario libro Alternative Screenwriting – Beyond Hollywood Formula di Ken Dancyger e Jeff Rush, abbiamo scoperto (e Restorative ree-Act(ion) Structure ←) che il paradigma dei tre ai, accolto pienamente da Hollywood soprauo a partire dalla pubblicazione del manuale di Syd Field Screenplay (1979), deriva dall’opera teatrale ben faa (la well-made play) dell’Oocento: la forma narrativa preferita dalla classe dominante francese e inglese all’indomani delle guerre napoleoniche. Preferita perché rassicurante, in grado di alleggerire il tempo libero mentre ci si occupa di tornare all’ordine costituito, capace di rompere le regole solo nella fantasia senza in alcun modo toccare lo schema rigido della società. Abbiamo anche visto (“Ti amo.” “Lo so.” ←), paragonandola a quella di Casablanca, che la struura in tre ai di Star Wars è “vicina alla perfezione”.

Se ci fosse stato bisogno di un altro indizio per individuare la natura conservativa, proto-reaganiana di Star Wars (→ Ammazziamo il drago!; → Reaganite Entertainment), questo è quello definitivo. Una luce che cammina nel cielo Prima di continuare mi pare importante tentare di comprendere meglio, dal punto di vista esclusivamente narrativo, cioè della struura dello script (così come approfondito in quasi tui i manuali di sceneggiatura che proliferavano in quegli anni), in cosa consisteva la profonda differenza tra il nuovo cinema americano, a sua volta influenzato dagli autori europei, e quello di Lucas a partire da Star Wars. Il termine “conflio” è usato a Hollywood per definire il rapporto tra l’obieivo, i desideri, le ambizioni di un personaggio e gli ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione. Il conflio è quindi ciò che definisce il personaggio. O meglio, il conflio coincide con il personaggio, perché lo costringe ad “agire” e dunque a mostrare il suo “caraere” (ACTION! ←). In sostanza, il conflio risiede in ciò che il personaggio vorrebbe (più o meno consapevolmente) fare/essere ma non riesce a fare/essere. Il plot del film nasce da questo desiderio incompiuto nel momento in cui tenta di compiersi. “Il tuo è un film di personaggi o di plot?” rivela un vecchio adagio spesso citato nei moderni manuali di sceneggiatura per meere in evidenza la mancanza di senso della domanda: il personaggio (cioè il suo conflio) è il plot. Non esiste l’uno senza l’altro. Aristotele docet. Sempre in riferimento alla ormai consolidata consuetudine delle regole dello script hollywoodiano, sappiamo che possono esserci, tendenzialmente, due tipi di conflii. Il conflio interno, che ha a che vedere con la complessa, dolorosa crescita interiore dell’eroe (e il cui dipanarsi lungo il film coincide sostanzialmente con il Viaggio dell’Eroe di Campbell → Ao V: Il Viaggio dell’Eroe ←); e il conflio esterno, cioè il conflio non tra il personaggio e se stesso ma tra il personaggio e il mondo: forze esterne o altri personaggi che gli impediscono di oenere il suo obieivo. Il conflio interno definisce il personaggio e, come abbiamo visto, genera il conflio esterno, cioè il plot. Come afferma la docente di sceneggiatura di Peter Parker in una delle ultime scene di e

Amazing Spiderman (Marc Webb, 2012), pur generando miriadi di plots diversi il conflio interno alla fine si riduce sempre nel tentativo di avere una risposta alla domanda “Chi sono io?”. Un adolescente qualunque o un eroe mascherato che salva il mondo? Un adolescente mascherato che potrebbe salvare il mondo ma non ne ha il coraggio? Un ragazzino immaturo dedito al “principio di piacere” o un uomo ormai sopraffao dal “principio di realtà” che non può più sorarsi alle proprie responsabilità? Tuo ciò che l’eroe fa, nel cinema hollywoodiano, lo porta inevitabilmente, araverso l’azione, a rispondere a questa domanda, e quindi, in definitiva, a crescere. Nel primo Star Wars, Luke Skywalker è definito dal suo desiderio di combaere con i ribelli e dalla paura di allontanarsi dalla zona di comfort della sua faoria sul pianeta Tatooine (conflio interno). Alla fine, costreo dalle circostanze esterne (la morte degli zii, quindi la fine del suo mondo personale), si tufferà nell’avventura e ne uscirà vincitore, cioè più adulto, imparando a contare sulle proprie qualità (la Forza). In All’inseguimento della pietra verde (Robert Zemeckis, 1984), il personaggio di Joan Wilder (Kathleen Turner) è, coincide con, la sua arazione e insieme la sua repulsione per l’avventura, motivo per il quale non ha ancora trovato l’amore nonostante per vivere scriva romanzi rosa. L’incidente scatenante è la telefonata che la informa che la sorella è stata rapita da un gruppo di razziatori archeologici: se vuole rivederla dovrà portar loro una mappa di cui è appena venuta in possesso. Costrea a confrontarsi con il “principio di realtà”, da cui è terrorizzata, alla fine troverà addiriura l’amore nella figura di un bizzarro avventuriero, Colton (Michael Douglas). E scoprirà la sua vera natura, quella di una donna forte e temeraria. Cioè risponderà alla domanda “chi sono io”? In e Truman Show (Peter Weir, 1998), il personaggio di Truman (Jim Carrey) è identificato dal conflio tra la sua natura esuberante, sincera e libera e quella falsa e monotona che deve meere in scena ogni giorno per il reality show televisivo di cui non sa di far parte. Una volta scoperto l’inganno troverà la forza di meere in gioco tuo il suo mondo, scoprendo che la sua vera anima è quella di un uomo libero. In tui e tre i casi, come si può notare, lo sceneggiatore ha scelto per i protagonisti, cioè i detentori del conflio, nomi che indicano la soluzione del medesimo. Luke Skywalker (luce: dal greco λευκός, leukós, “bianco” e per estensione “luce”; dal latino Lux, “luce”; skywalker: dall’inglese “che cammina nel cielo”), diventerà un eroe della

ribellione e scorrazzerà per lo spazio con uno X-Wing Starfighter; Wilder (da wild, “selvaggia”), affronterà l’avventura tra foreste piene di animali selvaggi; Truman (true man: “uomo autentico”), scoprirà l’inganno e fuggirà verso una nuova vita, inesplorata, rischiosa ma vera. A costo di generalizzare, potremmo affermare che la differenza fondamentale dal punto di vista della struura narrativa tra il cinema hollywoodiano e quello europeo non industriale – struura, quest’ultima, che i registi della New Hollywood in parte acquisiscono – consiste in due opzioni. In un film statunitense classico l’eroe riconosce il proprio conflio e agisce per superarlo (oppure lo riconosce quando/perché lo ha superato). esta azione, per dirla con Jung, coincide con quel conceo che abbiamo già usato: “combaere il drago” (“Ti amo.” “Lo so.” ←). In un film d’autore europeo invece, il plot solitamente non è generato dall’azione per risolvere il proprio conflio perché il fine principale dell’eroe non è combaere o vincere il drago ma “nominarlo”.464 In realtà, in effei, riconoscere il proprio problema irrisolto più profondo, il drago, è molto più difficile e spaventoso che combaerlo una volta individuato. Perché nominarlo significa “confessare” di esserne viima. Spesso, secondo C.S. Pearson, gli individui che si trovano in profondi momenti di transizione e non sanno rispondere alla domanda archetipale “Chi sono io?”, […] meono l’enfasi sulla trama “uccidi-il-drago” […]. Di conseguenza molti ingaggiano una “pseudo loa”, nella quale il mito è messo in scena in modo fine a se stesso, ma sono costrei a scoprire che lo stesso rituale non è in grado di trasformare né l’eroe né il regno. Ironicamente, coloro che seguono vecchi valori culturali sono viime di meno conflii delle persone che sono impegnate a vedersela con problemi di identità sollevati dai cambiamenti del tempo. I conservatori, per esempio, si trovano più a loro agio nell’uccidere il drago dei progressisti, per i quali la baaglia è complicata sia da questioni identitarie irrisolte sia dal loro desiderio di riconciliare i loro valori e i loro timori con i bisogni degli altri.465 Potremmo quindi affermare che, tendenzialmente, il cinema americano si fonda sulla struura conservatrice “slaying-the-dragon plot” (la trama “uccidi-il-drago”, faa di “pseudo loa”) e quello europeo, o in generale non statunitense, sulla struura “namingthe-dragon plot” (la trama “nomina-il-drago”).

Sempre in L’elogio del conflio (Restaurazione ←) Benasayag riflee sui nostri conflii interiori: “L’uomo senza qualità non è un uomo senza conflii, ma un uomo che vive i propri conflii come qualcosa di anormale. […] Siamo travolti dall’angoscia ogni volta che constatiamo in noi pulsioni, passioni, fantasmi che risultano contraddiori, che assediano i ruoli che ci sforziamo di assumere.” Insomma non facciamo altro che normalizzare e rimuovere le nostre istanze più profonde per paura di non sapere più chi siamo secondo i canoni impostici dalla società capitalista. Così facendo cerchiamo di guadagnarci una felicità posticcia. Se il cinema europeo non industriale cerca una strada narrativa critica in questa direzione, Star Wars la evita accuratamente: l’eroe astrao, irreale, il campione della normalizzazione sociale, è l’obieivo da raggiungere. Inutile dire che nessun individuo potrà diventare come Luke e dunque “quel progeo di emancipazione dal sentirsi inadeguati finiva col determinare il presente in nome di un’astrazione che veniva percepita come più reale della realtà. Si traa di una vera e propria ‘Restaurazione’: “Le passioni che ci agitano, i desideri e gli angoli morti della nostra razionalità, i comportamenti non normalizzati e le abitudini che non ambiscono con sufficiente lena a realizzare il “bene”, la salute, la ragione: tuo questo è inadeguato”. 8½ (Federico Fellini, 1963) è un perfeo esempio, antihollywoodiano, di naming-the-dragon plot, cioè di narrazione che si sviluppa intorno al tentativo di nominare il drago, invece che ucciderlo. Cioè di rispondere alla domanda “al è il mio conflio profondo”? Guido Anselmi, un affermato regista quarantatreenne, sooposto alla pesante tensione dovuta alla responsabilità del suo nuovo film, è in uno stallo creativo e professionale e ciò lo gea in una profonda crisi esistenziale. Solo quando deciderà di lasciarsi andare, di interrompere il film in corso e andar via, comprenderà cos’era che lo bloccava. Una volta che la tensione professionale è scemata a causa della decisione – sofferta – di non fare più il film, Guido riesce a nominare il drago (cioè finalmente a trovare il coraggio di chiedersi consciamente “Chi sono io?”) e a comprendere che in fondo lui non viene definito dal suo ruolo sociale e professionale di regista ma dai suoi conflii irrisolti, dai suoi fallimenti sociali, personali e professionali, dall’interazione contraddioria con le persone più importanti della sua vita (le donne) e del suo cinema (il produore, i critici) che, in un carosello circense finale, lo circondano festosi mostrandosi per quello che

sono facendolo tornare all’innocenza e all’indeterminatezza dell’infanzia. Non sappiamo, adesso che Guido ha nominato il drago, se combaerà la baaglia per ucciderlo definitivamente (ce n’è davvero bisogno?), non sappiamo se finirà il film, ma sappiamo che il primo grande passo è stato compiuto e che ora è in pace. Insomma la loa, in questi casi, non è per sconfiggere il drago ma per arrivare a nominarlo – che è il passaggio precedente alla baaglia vera e propria la quale, altrimenti, è solo “pseudo loa”, cioè una baaglia incompiuta, falsa. Parte di questa impostazione fu accolta da molti film della New Hollywood: “Le sensibilità artistiche del cinema li avvicinarono [i film americani degli anni seanta, N.d.A.] alle loro controparti europee.”466 Per esempio Il laureato che insieme a Gangster Story e a Easy Rider contrassegnò l’avvento della New Hollywood.467 Un film che secondo Elsaesser potrebbe aver “importato” dal cinema europeo alcuni dispositivi espressivi (il fermo immagine, il ralenti), “dispositivi che inizialmente venivano percepiti come non-classici […], perché airavano troppo l’aenzione su se stessi, depauperando la storia di motivazione e cancellando l’invisibilità [dello stile, N.d.A.] e quindi l’identificazione dello speatore: peccati capitali nel manuale della Hollywood classica che erano diventati, se non propriamente virtù, certamente convenzioni ben acceate”.468 Continua Elsaesser, a proposito della sequenza iniziale del film di Nichols: “Andrew Sarris, nella sua recente recensione di Il laureato, notava che queste ‘teste ondeggianti e barcollanti riprese in tremolanti Primi Piani da incubo’ sembrano un ‘omaggio’ a 8½ di Fellini.”469 Un film che si offre come un “oggeo europeizzato”, un “catalogo di prestiti da Resnais, Bergman e Fellini”.470 Il finale del film appare molto ambiguo. Benjamin ha rapito Elaine perché ha riconosciuto il proprio conflio e ha agito per risolverlo? Sa cosa vuole, adesso? O l’alienazione di quella generazione di giovani borghesi è parte ineluabile del loro destino esistenziale? I volti di Benjamin e Elaine, seduti uno accanto all’altro nell’autobus che li porta lontani dalla chiesa in cui lei stava per sposare un altro, raccontano una fuga piena di incertezze e “priva di un reale progeo”.471 “Una non-conclusione esistenziale.”472 “La cosa che mi piace di più del Laureato,” ha affermato lo stesso regista, “sono gli ultimi tre minuti del film, durante i quali i due giovani stanno seduti sull’autobus, frastornati e totalmente consapevoli di non aver risolto alcunché… Non sanno che diavolo

dirsi… Molte cose sono possibili. Non si traa di una conclusione, per Benjamin molte scelte rimangono aperte.”473 Non sembra ancora una volta di sentir parlare Umberto Eco (Ao III ←)? E se Harry Caul (Gene Hackman), nella Conversazione (Francis Ford Coppola, 1974), ha agito per sconfiggere i propri sensi di colpa evitando che qualcun altro sia assassinato a causa del suo lavoro di esperto di sorveglianza e interceazioni, quello che è certo è che ha perso. Mentre suona il sassofono seduto tra le macerie del suo appartamento, metaforicamente osservato da chi avrebbe dovuto osservare, sta imparando che loare è inutile. Uno dei finali più suggestivi e drammatici dell’intera New Hollywood. Di segno diametralmente opposto al podio olimpico finale di Star Wars. Un altro film profondamente europeo dal punto di vista della struura narrativa (“intrecciato” al punto che la fabula è particolarmente difficile da ricostruire) è Toto le héros – Un eroe di fine millennio (Jaco Van Dormael, 1991). i assistiamo al funzionamento di un meccanismo ancora più sofisticato. omas (omas Godet da bambino, Michel Bouquet da vecchio) è un adolescente convinto di essere stato scambiato nella culla e che la sua vera famiglia sia quella, molto ricca, del suo coetaneo vicino di casa, Alfred (Hugo Harold Harrison da bambino, Peter Böhlke da vecchio). est’ultimo, un bulleo borghese, lo costringe a subire episodi di violenza e in sovrappiù ha una storia con la sorellina, della quale omas è innamorato. Crescendo, omas perde suo padre in un incidente aereo mentre questi stava lavorando per il padre di Alfred. Da adulto, omas scopre inoltre che la donna di cui è innamorato e da cui è ricambiato, Evelyne (Gisela Uhlen), è la moglie di Alfred, ma quando i due decidono di fuggire insieme lei non si fa trovare. Depresso, privo ormai di qualunque legame se non l’amato fratello con la sindrome di Down che vive in un istituto, omas si abbandona da quel momento a una vita anonima, mediocre, la vita di “uno a cui non è capitato niente”. Con il passare degli anni omas matura un forte sentimento di vendea nei confronti di Alfred. Ormai vecchio, fugge dall’ospizio deciso a ucciderlo. ell’uomo, è convinto, gli ha rubato tuo: la famiglia, la sorella, il padre, la donna che amava. La vita. Il desiderio di vendea sembra essere quindi il conflio di omas. Ma quando, raggiunto Alfred in una casa isolata di campagna, se lo trova davanti e lo vede vecchio e solo come lui, ancora distruo, come lui, per esser stato a sua volta abbandonato da Evelyne, comprende che quella vendea non ha senso. In questo momento il

conflio dell’eroe (è il caso di dire) del film cambia. ello che appariva come il “conflio interiore” (vendicarsi dell’uomo che gli ha rovinato l’esistenza) non era altro che un “conflio apparente” e si scioglie come neve al sole. Prende piede adesso una nuova consapevolezza, il vero “conflio interiore”, cioè il “conflio profondo”: Io non sono più colui cui non è successo nulla e che adesso si vendicherà uccidendo l’artefice della sua sfortuna, ha pensato il vecchio omas sull’uscio della villa del vecchio Alfred, guardandolo negli occhi. Perché se fossi questo continuerei a non essere nulla. Continuerei a essere un fallito. Uccidere Alfred non cambierà il mio destino futuro, né cambierà il passato. Perciò omas, che fin da bambino ha sognato di essere l’eroe di un sanguinoso film noir in cui salva il padre dagli scagnozzi del gangster Alfred, comprende che l’unico modo per diventarlo davvero, un eroe, l’eroe della propria esistenza, è agire per sé (vendicarsi infai non è davvero agire, ma è subire l’agire altrui). E tuo ciò che gli rimane da fare, ormai oantenne, non è altro che chiudere Alfred in un ripostiglio della sua lussuosa villa, vestirsi dei suoi panni e aendere coraggiosamente che alcuni cecchini che puntano Alfred da tempo lo uccidano credendolo l’amico. Rubargli la morte. Come l’eroe dei suoi sogni noir. L’approdo dell’arco del personaggio quindi, in questo caso, non solo non è uccidere il drago dopo averne compreso la natura, e neppure semplicemente comprendere la natura del drago. Si traa di ammeere che il conflio profondo che ha improntato l’intera vita dell’eroe era sbagliato e che per seant’anni omas si è lasciato tragicamente ammaliare dalle sirene di un conflio apparente. Il drago che pensava di combaere aveva un nome diverso da quello che credeva. Le persone felici non hanno più storia La Storia non è il terreno della felicità. I periodi di felicità sono in essa pagine vuote. Friedrich Hegel L’obieivo del terapeuta è certo quello di aiutare i pazienti ad andare verso una stabilità, ma quest’ultima dev’essere il più lontano possibile dall’equilibrio.

Miguel Benasayag Proviamo ad applicare le considerazioni del capitolo precedente a Star Wars. Innanzituo adesso sappiamo che siamo di fronte a un perfeo esempio di trama “uccidi-il-drago”, e, come abbiamo visto, di closed plot (Ao III ←). All’inizio Luke non sa di avere un conflio (né profondo, né apparente), si lascia trasportare dalle circostanze esterne (l’arrivo del pod con R2-D2 e C-3PO su Tatooine, l’incontro casuale con Obi-Wan Kenobi, la distruzione della faoria degli zii da parte dell’Impero) che lo costringono ad agire finendo per farlo diventare il leader dei ribelli. Parafrasando Pearson (Una luce che cammina nel cielo ←) e tenendo a mente la struura restauratrice in tre ai (Lo stile invisibile ←; e Restorative ree-Act(ion) Structure ←), Luke è il prodoo dei valori di una cultura conservatrice: la baaglia deve iniziare, il drago va ucciso prima di nominarlo (cioè di comprenderlo a fondo). Il plot deve svilupparsi senza ulteriori esitazioni, con il rischio di uccidere “il drago sbagliato” (che infai è ciò che accade, almeno in Star Wars). Approfondiremo più avanti questo aspeo, caraeristico dei blockbusters successivi agli anni seanta (→ Reaganite Entertainment). Nel primo episodio della trilogia originale Luke percorre pertanto una versione aderente a quella del Viaggio dell’Eroe di Campbell, come vedremo nel into Ao, ma “in superficie”: Luke alla fine riconosce e sconfigge solo il suo conflio apparente: passare dall’adolescenza priva di responsabilità alla prima maturità. Il suo vero conflio interiore, quello profondo, e cioè scoprire “Chi sono io?” (come si chiama davvero il drago?) è stato solo sfiorato, anche perché il suo mentore (Kenobi) si guarda bene dal dirgli che suo padre è Darth Vader, all’anagrafe Anakin Skywalker, cioè il suo più grande nemico. L’integrazione del Viaggio, e il confronto con il proprio conflio profondo, avviene con l’episodio successivo, L’impero colpisce ancora. È qui che Luke è costreo a risolvere il problema tragico della sua identità. Paradossalmente, le avventure meno dinamiche e più introspeive di Luke di questo capitolo (la lunga, lenta sequenza di apprendistato su Dagobah con Yoda e l’incontro statico, in interni, con il padre Darth Vader) lo hanno reso il più amato della saga.474 È solo adesso che Roger Ebert può affermare che: “Siamo in un’avventura, in un viaggio, in una spedizione mitologica. Gli elementi narrativi della trilogia di Star Wars sono profondi e universali come la stessa narrazione.”475 Il Viaggio dell’Eroe di Campbell si compie dunque pienamente solo

con il secondo capitolo, quando la saga fa un salto dalla trama “uccidi-il-drago” a quella “nomina-il-drago”, ovvero nella zona più oscura della storia, il metaforico bosco di tue le favole, l’inconscio di Luke dove il drago sta ancora dormendo. “Non ho paura,” dice Luke a Yoda per convincerlo a trasformarlo in un vero Jedi. “Ne avrai,” risponde il vecchio maestro, scuro in volto. “Ne avrai.” Yoda sta immaginando il momento in cui Luke nominerà il drago. Un momento che arriverà molto presto, nell’anticipazione dell’esperienza centrale della prima trilogia, la celebre sequenza “Io, sono tuo padre”: Luke si inoltra nella zona più oscura del bosco e ingaggia un duello con il fantasma di Darth Vader. Alla fine riesce a decapitarlo, ma soo la maschera nera di Vader Luke vede… il suo stesso volto. Ecco perché “quello che a dea di tui è il miglior film della saga, L’impero colpisce ancora, è proprio quello in cui ‘le forze del bene sono in roa e il male trionfa’”.476 Perché stavolta Luke sta combaendo contro il vero drago, e l’applicazione del Viaggio dell’Eroe di Campbell alla storia raggiunge il massimo grado di intensità. Dedicherò un intero capitolo alla discesa agli inferi di Luke (→ L’impero colpisce ancora). Che sia proprio Vader il “vero drago” di Luke è confermato anche dall’analisi di James F. Iaccino nel suo Jungian Reflections Within the Cinema. Secondo l’autore, la storia di Luke è scandita dall’incontro con una serie di “padri extraterrestri”: Luke è un orfano che durante le sue imprese si imbae un gran numero di figure paterne junghiane piuosto interessanti. Sono questi personaggi genitoriali che concorrono a formare la personalità del giovane Skywalker, nel bene e nel male, dall’adolescenza alla maturità.477 Un altro indizio che aiuta a comprendere la maggiore profondità di questo capitolo rispeo al primo e quindi la maggiore aderenza al deato di Campbell è il finale. “Le persone felici non hanno più storia,”478 ci ricorda sagacemente Jacqueline Nacache nel suo libro sul cinema classico hollywoodiano. Se sei felice, centrato, se il tuo conflio è stato risolto, se non hai più alcuno squilibrio da riequilibrare, allora non c’è più ragione che tu agisca, e quindi non c’è più narrazione. A Hollywood si usa dire, tra sceneggiatori: “Non puoi fare un film su Dio” (a meno che ovviamente non lo si umanizzi, spogliandolo

perciò inevitabilmente della sua perfea essenza divina: vedi per esempio Dio esiste e vive a Bruxelles, Jaco Van Dormael, 2015, in cui Dio è uno scorbutico ubriacone che ha un pessimo rapporto con la moglie, e vive, appunto, in un appartamento di Bruxelles). Se Star Wars termina con un happy ending carico di enfasi – al punto che per il pubblico non era possibile immaginare un sequel (se non per sapere che fine avesse fao Darth Vader scagliato nello spazio nel suo TIE fighter)479 – L’impero colpisce ancora, invece, finisce male. Luke e Leia non possono far altro che guardare Lando Calrissian e Chewbacca partire per Tatooine alla ricerca di Solo, ibernato nella grafite e nelle grinfie del pericolosissimo Jabba. La resistenza è a un punto morto. Nessuna baaglia è stata vinta, c’è da salvare l’amico dell’eroe, che ha perso una mano. Un cliffhanger di puntata o di stagione perfeo per una serie Netflix. Perfeo per generare il giusto hype nei confronti di un nuovo capitolo. A riprova del fao che “non si può fare un film su Dio”, c’è un passaggio del diario giovanile dello stesso Joseph Campbell, riportato nella biografia di Stephen e Robin Larsen, A Fire in the Mind. Se l’universo fosse perfeo, rifleeva il giovane metafisico, allora il suo fine sarebbe concluso e arriverebbe la fine dei giorni. […] in queste sue prime speculazioni filosofiche sembra aver riconosciuto che in questo mondo si possa solo cercare – non raggiungere – la perfezione. “Se tuo fosse perfeo Dio probabilmente farebbe cadere il pianeta sul sole, e scomparire […]”480 Vorremmo spingerci ad arrischiare un’ipotesi, a questo proposito, per spiegare un altro dei (fortuiti?) motivi che hanno reso questo capitolo il più intrigante. Per i fan si traa di uno dei misteri finora irrisolti dell’intera saga. Alla fine delle riprese del primo episodio, nel gennaio del 1977, Mark Hamill, l’interprete di Luke Skywalker, ebbe un gravissimo incidente d’auto e rimase visibilmente sfigurato al naso e allo zigomo. Per decenni ci si è chiesti se, quindi, la prima sequenza dell’Impero colpisce ancora in cui Luke viene sfigurato da un Wampa (una deforme, gigantesca bestia a metà strada tra un orso bianco e un caprone) sia stata scria appositamente per giustificare il cambiamento estetico del volto del protagonista o se si sia traato di una coincidenza. Lucas afferma che la sequenza era già prevista: “Avevamo bisogno di qualcosa per tenere alta la tensione all’inizio mentre l’Impero li sta

cercando.”481 Carrie Fisher (la principessa Leia) invece sostiene il contrario: “Hanno modificato il film con questo mostro delle nevi per sfregiargli la faccia subito per essere coerenti con il suo nuovo aspeo.”482 In ogni caso quello che interessa noi è che nel capitolo più introspeivo, “campbelliano”, della trilogia originale, l’eroe porta metaforicamente visibile sul volto la ferita deformante del suo doloroso, imminente viaggio interiore. Una ferita che rende il personaggio, agli occhi del pubblico, più vulnerabile (e fa, inevitabilmente, scaare nel pubblico la “pietà” aristotelica). Non a caso, secondo la psicoanalisi junghiana: “Solo quando siamo vulnerabili siamo davvero connessi agli aspei più profondi della nostra realtà psicologica e spirituale.”483 Un deaglio, certo, ma cinematograficamente non insignificante: il cinema è fao di deagli. Si traa, tra l’altro, di un espediente abusato dal cinema di ogni tempo e latitudine, non solo di avventura. Spesso, a metà di una pellicola e quindi del suo “viaggio”, l’eroe si procura una ferita in qualche parte del corpo, se non addiriura una mutilazione, simbolo – per lo speatore – della necessità di non rimuovere il dolore ma di usarlo, di averlo sempre presente: le ferite sono una prova della loa contro il drago che ha consentito all’eroe di crescere e tornare viorioso nella sua terra d’origine. Un esempio? Proprio L’impero colpisce ancora: nella drammatica sequenza di confronto con Darth Vader Luke perde una mano, che poi dovrà sostituire con un arto artificiale (così come l’aveva perso suo padre, Anakin, nella trilogia prequel). L’ulteriore metafora qui è che anche Luke è ormai un cyborg esaamente come il padre, cioè un ibrido uomo-macchina, una creatura “potenziata con tecnologie che escludono l’intervento sul DNA”.484 Ammazziamo il drago! 8½, Il laureato, La conversazione, Toto le héros. Esempi, tra centinaia, di film con struura “nomina-il-drago” o “open plot” che hanno influenzato o “fao” la New Hollywood, che finalmente affronta temi complessi come l’alienazione, la perdita dell’identità, la violenza, la droga, i sensi di colpa, la mancanza di senso, la guerra, e lo fa con messe in scena spesso cruente, senza autocensure. Roger Ebert invece, di Star Wars, scrisse questo nella sua prima recensione del film:

Ciò che rende l’esperienza di Star Wars unica, però, è che [perdendo il mio distacco e le mie riserve critiche, N.d.A.] avviene su un livello così innocente e, spesso, buffo. Di solito è la violenza che mi risucchia a fondo dentro un film – la violenza che spazia dal tormento psicologico di un personaggio di Bergman al macinare meccanico delle mandibole di uno squalo. Forse i film che ci spaventano trovano il sentiero direo al cuore della nostra immaginazione. Ma non c’è quasi violenza in Star Wars (e anche quando c’è è presentata essenzialmente come un’incruenta spacconata). Invece c’è un divertimento così direo e semplice che tue le sofisticazioni dei film moderni sembrano svanire nel nulla.485 E infai lo stesso Lucas “rabbrividiva all’idea di potersi inserire in un filone così cinico” come quello di Apocalypse Now che Coppola gli aveva chiesto di dirigere nel 1974. “All’epoca lavoravo fondamentalmente su film negativi, Apocalypse Now e L’uomo che fuggì dal futuro, entrambi pieni di rabbia. Dopo L’uomo che fuggì dal futuro mi resi conto che alla gente non importa come il paese stia andando in rovina. E quel film non faceva altro che rendere le persone più pessimiste, più depresse, meno disposte a darsi da fare per rendere il mondo un posto migliore.” E così decise: “Dobbiamo tornare a generare oimismo.”486 A quanto pare, George Lucas non aveva intenzione di rimuovere completamente il problema politico. Solo, sentiva di doverlo rielaborare a suo modo. Compresi che non potevo fare quel film perché si riferiva alla guerra in Vietnam, così ho affrontato alcuni dei temi interessanti che avrei dovuto usare e li ho convertiti in un fantasy spaziale, ed ecco che abbiamo un grande impero tecnologico alla caccia di un gruppo di combaenti per la libertà, un gruppo di esseri umani.487 E allora, Let’s slay the dragon! Ammazziamo il drago! Ma aenzione a non chiedersi “che cos’è”, questo terribile drago. Potremmo scoprire traarsi del capitalismo predatorio dell’ordoliberismo avanzante di impronta friedmaniana (il sanguinario colpo di stato in Cile di Pinochet era avvenuto proprio mentre Lucas stava ideando il film, nel 1973), cioè l’istanza economica dell’imperialismo statunitense.

L’aveva capito girando American Graffiti, un film per sedicenni: “Fare un film positivo ti rende euforico,”488 disse. E così aveva deciso di girare “la pellicola più convenzionale che potessi fare”489 ambientandola “tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana dal Vietnam, dalle strade di New York e dal Watergate…”. “Un’intera generazione era cresciuta senza favole. E non è che puoi recuperarle o riaverle indietro, ma sono la cosa più bella del mondo, avventure in posti lontani”:490 terre esotiche e strane creature, immaginava Lucas. “Importante, all’epoca, è vivere in un altro tempo e in un altro mondo”491 afferma Davide Brullo nel suo articolo su Pangea riferendosi agli anni oanta, epoca in cui il cinema, che grazie a Star Wars entrerà in un periodo di ubriacatura fantasy e fantascientifica, non si preoccupa di cogliere e restituire le soigliezze “oscure” di romanzi come La storia infinita (Wolfgang Petersen, 1984), o di Labyrinth – Dove tuo è possibile (Jim Henson, 1986), Ladyhawke (Richard Donner, 1985), Dune (David Lynch, 1984). Lynch infai aveva rifiutato la proposta di Lucas di girare Il ritorno dello Jedi, e parlava così di Star Wars, interrogato su Dune: “Meendomi a lavorare sulla sceneggiatura mi sono preoccupato di non fare un’operazione alla Lucas. Dune può piacere più o meno, ma non è Star Wars, non riduce nella parola Forza la complessità filosofica della pagina scria, non cerca la complicità infantile.”492 Per intenderci, ecco cosa ha deo Lynch in merito alla proposta di Lucas durante un’intervista alla Hudson Union Society: George mi chiese di parlare dell’ipotesi di dirigere quello che sarebbe stato il terzo capitolo di Star Wars. Mi interessava praticamente zero. […] Parlammo per un po’ e poi mi disse: “Voglio mostrarti una cosa.” Fu allora che iniziai ad avere un po’ di mal di testa. […] Mi mostrò queste cose chiamate wookies. Il mal di testa diventò più forte. Mi mostrò animali, diverse cose… Poi mi portò a pranzo con la sua Ferrari. […] Il mal di testa era diventato gigantesco. Non vedevo l’ora di andare a casa. Ma prima riuscii a raggiungere una cabina telefonica e a telefonare al mio agente. Gli dissi: “Non lo farò mai!” Mi rispose: “David calmati, non devi farlo.” Il giorno dopo chiamai George e gli dissi che avrebbe dovuto dirigerlo lui […]. Alla fine fu direo da qualcun altro. Poi chiamai il mio avvocato e dissi che non lo avrei fao. E lui mi rispose: “Hai perso non so quanti milioni di dollari, David. Lo sai?”

Eccola, quindi, la risposta che George Lucas diede “agli interrogativi identitari della società americana post ’68” secondo Brian Jay Jones, un biografo di Lucas. Gli bastava solo che Star Wars fosse divertente, lo scopo era appunto questo. Appena un anno prima, il pubblico aveva riempito i cinema per vedere film come Taxi Driver, Tui gli uomini del presidente, into potere e Cielo di piombo, ispeore Callaghan, titoli che sposavano la figura dell’antieroe e rafforzavano negli speatori americani una sfiducia sempre più diffusa nei confronti dei media, della legge e della politica. Lucas trovava deprimente questo malanimo; temeva gli effei che avrebbe avuto su una generazione cresciuta all’ombra del Watergate e del Vietnam, tirata su a film di criminali e cospirazioni. Star Wars, dunque, era la sua risposta al cinismo, un’iniezione di oimismo nelle vene della coscienza colleiva americana.493 Fu la stessa risposta che diede il “classico” Capra alla fine della seconda guerra mondiale rifleendo sul suo progeo successivo: “Ok, genio, di che cosa parlerà il tuo prossimo film? Una cosa la sapevo bene: non avrebbe parlato della guerra. Avvertivo la crescente repulsione della gente nei confronti della guerra. Avvertivo che il mondo guardava verso la serenità e presto l’avrebbe cercata […].”494 A distanza di trent’anni, i due registi più ideologicamente integrati di Hollywood (mentre lo erano meno, paradossalmente, dal punto di vista produivo) avevano entrambi capito come fare soldi dal processo di rimozione del pubblico statunitense della drammatica realtà che lo circondava. Entrambi emuli di un adagio nato dopo la prima guerra mondiale: “La guerra […] aveva sancito per il cinema [hollywoodiano, N.d.A.] una funzione ‘evasiva’ che gli sarebbe stata aribuita a lungo: ‘Se sei stanco della vita va’ al cinema. Se sei pieno di guai va’ al cinema…’ consigliava in quegli anni la rivista Photoplay.”495 Entrambi votati a un cinema consolatorio, in cui ogni crisi aperta viene chiusa. Lucas in particolare a un cinema da romanzo popolare,496 in cui Nella loa tra il bene e il male vince sempre il primo definito secondo i valori dominanti. Lo scontro avviene all’interno del gruppo dei dominatori, buoni e caivi, che sta al di sopra del popolo oppresso. La soluzione deve essere fantastica, immaginaria, anche se con sembiante realistico. Il leore deve essere impressionato con colpi di scena, ma soprauo deve

essere tranquillizzato riproponendogli quello che già sa. I caraeri dei personaggi sono dunque prefabbricati, privi di penetrazione psicologica, favolistici, monodimensionali. La necessità di chiudere le crisi tende a una ideologia riformista, paternalista: cambiare qualcosa affinché tuo il resto rimanga immutato.497 A proposito del lasciare immutata la realtà che ci circonda: in uno dei molti articoli sul Viaggio dell’Eroe del Gruppo di Studio Antongiulio Penequo pubblicati da Carmilla Online, Fabio Ciabai afferma: […] chi non si emoziona di fronte alle gesta più o meno fantastiche di un eroe che sconfigge il male difficilmente sarà capace “di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo”, come diceva Che Guevara. Ciò non toglie che chi pensa sia necessario un eroe per combaere l’oppressione difficilmente prenderà parte a una loa contro quella stessa oppressione.498 Secondo Ciabai, “l’eroe riempie illusoriamente il vuoto, [rappresenta] una mancanza di […] ardimento colleivo”.499 L’eroe ci “fa sentire assolti” nonostante dovremmo “essere coinvolti”, come direbbe De André in La canzone del maggio. È da questa prospeiva, continua, che la frase del Galileo di Brecht, “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”, acquista un nuovo senso. “Spesso nella storia, infai, questa figura si è trovata associata a dannosi patrioismi.”500 Non a caso nel film campione della “struura restauratrice in tre ai”, Star Wars, possiamo individuare l’applicazione di questa affermazione degli autori di Alternative Scriptwriting: “La struura in tre ai privilegia l’individuo su qualunque altra limitazione sociale, storica, economica e famigliare.”501 Afferma lucidamente Tony Judt, il famoso storico britannico, in Guasto è il mondo, a proposito di individualismo: [Negli anni sessanta] la nuova sinistra (e i suoi eleori, in stragrande maggioranza giovani) rifiutava il colleivismo tramandato dai suoi predecessori. […] La giustizia sociale non interessava più i radicali. L’elemento unificante della generazione degli anni Sessanta non era l’interesse di tui, ma i bisogni e i dirii di ognuno. L’“individualismo”, l’affermazione del dirio di ogni persona alla massima libertà privata e alla

libertà assoluta di esprimere desideri autonomi, oenendo il rispeo e l’istituzionalizzazione di tali desideri da parte della società nel suo insieme, divennero le parole d’ordine della sinistra. “Fai quello che ti senti”, “Spogliati di tue le inibizioni”, “Facciamo l’amore, non la guerra”: non sono obieivi irrilevanti, ma sono per loro stessa natura beni privati, non pubblici […].502 Star Wars era un film degli anni oanta, della cosiddea “Reaganite Era” basata sulla fede, molto americana, nei valori dell’individualismo e del patrioismo. Infai Star Wars sfiora in qualche modo la superficie della politica reale “così che Ronald Reagan possa vedere l’Impero Galaico come un’immagine dell’Unione Sovietica”.503 esta era l’opinione di Walter Murch, all’epoca montatore del suono di Star Wars: Dopo il successo di American Graffiti nel 1973, George voleva rilanciare l’interesse [per la guerra in Vietnam, N.d.A.], ma era un tema ancora troppo caldo, la guerra era ancora in corso e nessuno voleva finanziare una cosa del genere. Perciò George rifleé sulle possibili opzioni: cosa voleva dire davvero in Apocalypse Now? Il messaggio si poteva sintetizzare nell’abilità di un piccolo gruppo di persone di sconfiggere una enorme potere semplicemente con la forza delle proprie idee. E allora decise: Ok, se politicamente è troppo caldo, allora meerò l’essenza della storia nello spazio e la ambienterò in una galassia lontana e molto tempo fa. Il gruppo di ribelli erano i nord vietnamiti e l’Impero erano gli Stati Uniti. E se hai la forza non importa quanto sei piccolo, puoi sconfiggere un potere gigantesco. Star Wars è la versione transustanziata di George di Apocalypse Now.504 Un’opinione che sembra coincidere, sostanzialmente, con quella di Lucas: Lucas creò questi film come reazione a un vuoto che sentiva nella nostra cultura. “Avevo l’impressione” spiega Lucas, “che non c’era più molta mitologia nella nostra società – quel tipo di storie che raccontiamo a noi stessi e ai nostri bambini, che è il modo con il quale tramandiamo le nostre tradizioni. Una volta ci pensava il western ma non c’erano più western. Volevo trovare una forma nuova. Perciò mi guardai intorno e provai a

immaginarmi da dove venissero i miti. Vengono dai confini della società, da lì fuori, da luoghi misteriosi come il mar dei Sargassi. E, pensai, dallo spazio. Perché all’epoca lo spazio era una fonte di grande mistero. Misi tuo in una borsa, insieme con un po’ di Flash Gordon e poche altre cose, e venne fuori Star Wars.”505 In ogni caso, le impressioni alle prime visioni private di Star Wars, ancora senza effei speciali, furono impietose. Brian De Palma era orripilato. Per Gloria Katz, che aveva aiutato George supervisionando la sceneggiatura insieme a Willard Huyck, era “roba senza senso”. Lucas uscì dalla sala pallido e depresso. Ma il giudizio più pesante arrivò da sua moglie, la montatrice del film, Marcia Lucas: “È il Finalmente arrivò l’amore506 della fantascienza. È orribile!”507 disse sconvolta. Guarda caso, un film di Peter “oimista” Bogdanovich. Star Wars era “il film perfeo per quel momento?”508 si chiede Sunstein. Star Wars aveva centrato in pieno lo Zeitgeist? “Secondo una certa linea interpretativa, il film arrivò in un momento in cui l’opinione pubblica americana, scossa da una serie di fai deprimenti, aveva enorme bisogno di essere rincuorata da qualche mito.”509 Una linea interpretativa molto comune, come abbiamo già visto.510 Una riflessione che non è possibile considerare sbagliata, sostiene legiimamente Sunstein, ma nemmeno si può dimostrare che sia giusta. E allora? Star Wars fu “il primo film degli anni oanta”511 affermò Roger Simon nel 1977 (uno degli scriori, commentatori e giornalisti più premiati d’America) e inaugurò una nuova era. Il “pessimismo culturale” che Alexander Howarth aribuisce al suo libro scrio con Elsaesser e King, e Last Great American Picture Show, che abbiamo già più volte citato (Lo stile invisibile ←), definisce molto bene questa nuova era. E forse, intrecciandosi con le riflessioni del teorico del cinema francese Laurent Jullier, trova una risposta alla domanda di Sunstein. Una risposta per nulla scontata. Star Wars […] è un film che segna piuosto esaamente il punto in cui il dibaito pubblico e il cinema popolare negli Stati Uniti subirono un cambio cruciale di intensità. Verso la fine degli anni ’70 la negoziazione narrativa sempre più complessa delle contraddizioni (sia immaginarie che reali) e dei

conflii iniziò a ritirarsi dietro i fantasmi del dibaito neoconservativo di remitologizzazione, rievangelizzazione e rimilitarizzazione, scomparendo gradualmente del tuo dalla vista durante l’era Reagan. Così da un certo punto di vista [questo cinema] era già “postclassico” e postmoderno – un cinema di ipergeneri, spesso accompagnato da una sarcastica conferma di miti ormai logori e che si basava più sui testi, le apparenze, gli effei visivo-auditivi e su una risposta “somatica” del pubblico.512 Star Wars film postmoderno quindi, oltre che classico, capace di rappresentare lo spirito di due tempi: quello degli anni sessanta e seanta, durante i quali, come continua a ricordarci Howarth, “l’intensità dei movimenti sociali, dei cambiamenti e delle crisi” era alta, così come era alta “l’intensità con la quale la cultura popolare registrava queste crisi”.513 E quello degli anni oanta e novanta, durante i quali, pur assistendo a crisi altreanto intense, cambiarono completamente le “modalità della loro trasformazione narrativa nel dibaito pubblico”. Il cinema industriale e quello degli indipendenti “si piegò alle stesse modalità di repressione e rimozione cui si era piegata la vita pubblica”.514 Star Wars, dunque, era sia un film perfeo per un’epoca di controcultura, pessimismo e introspezione, sia per l’epoca reaganiana dell’oimismo, della deregolamentazione finanziaria su larga scala, dell’avvento del neoliberismo, dell’esaltazione della competitività a discapito della cooperazione, dell’edonismo, dei tagli allo stato sociale, dell’individualismo e della fine della contestazione. “I caivi ultratrentenni dell’era Nixon sarebbero divenuti gli adulti benevoli dell’era Reagan.”515 D’altronde Darth Vader si pente, prima di morire, e viene redento dal sacrificio del figlio Luke. Una “catarsi” colleiva in piena regola. Che sarebbe servita, secondo alcuni, per nascondere la trasformazione della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale da creature di John Maynard Keynes per risollevare l’economia mondiale dopo il 1939 a strumenti di imperialismo neoliberista secondo i deami dei Chicago Boys. Secondo Pauline Kael, acuta osservatrice di quei tempi e tra i più influenti e celebrati critici cinematografici statunitensi (nonché stroncatrice seriale della saga), le premesse di Lucas sono condivisibili, la gente era stanca di film “pieni di incidenti d’auto, di omicidi e perversità”. Ma poi affonda la penna, affermando che il pubblico adesso voleva “film addomesticati capaci di turbare quanto il vecchio polite theater, il teatro educato. Stiamo dunque

vivendo un nuovo puritanesimo culturale: la gente va verso l’innocuo…”.516 Sei anni dopo non aveva cambiato idea, e a proposito del Ritorno dello Jedi scrisse: “La risposta di Lucas è di affastellare gli effei – e, con i suoni roboanti di cose che esplodono in Dolby Surround, ti senti fisicamente soo un bombardamento. Non c’è sangue negli omicidi di Il ritorno dello Jedi, ma l’omicidio senza sangue è davvero migliore? Il film è innocuo in modo indecente: finisce col trionfo dei buoni e l’apoteosi di una (incruenta) esplosione nucleare. Con nessuna ansia, nessuna conseguenza, nessun fallout.”517 Il pubblico voleva spegnere il cervello e lasciare che immagini e suoni lo rapissero. “Con il bene e il male raffigurati così chiaramente in Star Wars e il pubblico che tifava per gli eroi, fu un grande sollievo rispeo alla sfida morale che aveva caraerizzato il decennio. […] Gli studios riguadagnarono il loro dominio, i produori si sostituirono ai registi mentre le menti creative del cinema e dell’American New Wave crollarono.”518 Buoni e caivi, nulla nel mezzo. “Scontro” militare bidimensionale invece che complessità del “conflio”. M. Benasayag e A. Del Rey (Restaurazione ←) ci vengono ancora in soccorso con il loro Elogio del conflio: Credere […] che il conflio tra una resistenza organizzata [i “ribelli” di Star Wars, N.d.A.] e una diatura [l’impero di Darth Vader, N.d.A.] si riduca al loro scontro militare è riduivo […]. D’altra parte, non è forse vero che proprio quando le forze della resistenza finiscono per vedere nella loro baaglia la sola dimensione dello scontro, esse fanno il loro ingresso in una fase di decadenza? […] ciò che fa la superiorità del capitalismo [l’era Reagan a venire, N.d.A.] rispeo alle utopie del “grande cambiamento” o dell’eterna fratellanza tra gli uomini [la controcultura statunitense degli anni sessanta e seanta, N.d.A.] è la sua capacità di servirsi della dimensione dello scontro. [Lo scontro] è una figura ideologica, un racconto di superficie [del capitalismo].519 Il pubblico sensibile alla critica radicale, che aveva fao la fortuna della New Hollywood, in realtà rappresentava una nicchia. Mentre il nuovo cinema speacolare, che aveva budget che i ragazzacci si sognavano, non poteva correre il rischio di interceare solo una piccola porzione degli speatori potenziali,

“per questo motivo tende (con qualche eccezione) a gravitare verso una posizione mediana nel sistema di classificazione, in modo da non sembrare né troppo infantile per non alienarsi il pubblico dei teenagers, ventenni, trentenni e oltre, né troppo ‘adulto’ per non giocarsi il pubblico delle famiglie”.520 Non era una pesca difficile, questa, alla fine degli anni seanta, se volevi farla: ormai il profilo demografico si era già spostato “dagli speatori politicizzati e cinefili di alcuni anni prima a un pubblico più giovane e più conservatore nei gusti e nella sensibilità”.521 Chissà quale tipo di pubblico abbiamo oggi, dovessimo chiederlo a Martin Scorsese. È illuminante, a questo proposito, la leera che Marcia Nasatir della United Artists inviò al suo boss Mike Medavoy dopo aver leo una delle prime versioni della sceneggiatura di Star Wars. Lucas aveva inviato lo script alla Fox e non aveva ancora avuto nessuna conferma.

Leera della United Artists su Star Wars. Era il 13 oobre del 1975 e la versione era ancora quella con Luke Starkiller dal titolo e Star Wars (→ Il figlio dei soli). La

Nasatir giudicava il film molto positivamente: “È davvero un film per bambini di tue le età.” Ma il reader della “minor” espresse un commento sfavorevole all’ipotesi di produrlo. La motivazione è molto lucida dal punto di vista dello studio, che quell’anno decise invece di produrre alcuno volò sul nido del cuculo (Miloš Forman, 1975) e Rocky (John G. Avildsen, 1976): “È un film su cui non avremmo il controllo.” Cioè, alla luce anche di quanto segue: visto il nome di peso, non potrà essere che Lucas ad avere il director’s cut. In questo modo lo studio non avrà il controllo sugli esiti del film, che si prospea molto costoso e dunque troppo rischioso per lasciarlo nelle mani del regista e per poter contare in fase distributiva e promozionale solo sul passaparola. Che invece è esaamente ciò che ha favorito il successo del film: un film “personale” e non un mero prodoo degli studios che sbanca il box office grazie al passaparola. Anche da questo punto di vista Star Wars si rivela essere un unicum. Per questo è stato impossibile replicarlo. Addiriura dallo stesso Lucas nella trilogia prequel. Nella seconda pagina il commento del reader continua: La sceneggiatura è un incrocio tra un’animazione fantasmagorica alla Walt Disney e un’eccitante, adolescenziale avventura di FLASH GORDON. È un mondo fantasy ovviamente molto ben ideato dal suo creatore George Lucas. L’impianto scenografico ed estetico allegato alla sceneggiatura è notevole e ingegnoso. Non c’è alcun dubbio che il film, dal punto di vista visivo, potrebbe essere davvero straordinario, e costoso. L’azione della sceneggiatura va dria al punto. Ma non c’è alcun messaggio metafisico come in 2001, nessuna salvezza per i giovani di oggi nel futuro. THE STAR WARS è un film d’azione ambientato nello spazio per l’intera famiglia. È un film molto personale. Se Lucas lo farà adeguatamente eccitante e fantastico, in grado di tenerti legato alla sedia in modo che la storia ti travolga completamente, allora sarà un successo. Ma se la storia, semplice, e le prodezze eroiche rallentano rischiate di avere tra le mani una bomba molto costosa. Perché non vedo come possa essere fao in economia. Fondamentalmente non ci sono ruoli di rilievo per qualche star. Dovrà funzionare al boeghino grazie al passaparola. Dovete decidere se avete abbastanza fiducia nel far fare al regista un costoso film per famiglie. Io non lo produrrei.

Mi sembra che questo tipo di storia giovanile costi troppo. Ma il regista sa ovviamente quello che vuole e potrebbe essere in grado di realizzarlo. Nonostante la parte visiva sia preponderante, la mia immaginazione non è stata particolarmente stimolata seguendo le divertenti vicende eroiche che accadono. Un progeo rischioso, che non produrrei. Altri possono pensarla diversamente.522 In ogni caso, poco dopo la 20th Century Fox acceò di distribuire il film e con la United Artists tuo sfumò. Reaganite entertainment Neanche David Cook, un importante docente di cinema statunitense, ci andò leggero su quanto accadde dopo quegli anni, puntando un faro impietoso sulla fine di un’illusione di cui fu responsabile l’elezione di Reagan (20 gennaio 1981): che i film americani mainstream potessero aspirare in modo permanente a un serio contenuto politico e sociale. “esta prospeiva fu messa in seria discussione quando a Hollywood prese piede la mentalità dei blockbusters sulla scia de Lo squalo e Star Wars.”523 Nasce così il “Reaganite Entertainment”, l’intraenimento reaganiano. […] la politica controculturale, “progressiva” della prima New Hollywood fu rimpiazzata negli anni ’80 da film e serie la cui prima funzione era “reazionaria”, definita come una scaltra mistura di repressione e rassicurazione, con storie che non solo erano politicamente conservatrici ed estremamente patrioiche, ma affermavano senza rimorsi anche la virtù di essere stupidi. Così, mentre i personaggi diventavano semplicistici, i conflii puerili e la psicologia ridoa all’essenziale, i film davano sempre più spazio allo speacolo, all’azione muscolare e alle distruzioni senza senso.524 Anche se Lucas sembra rivolgersi ai bambini piuosto che agli eleori è molto esplicita la sua intenzione “didaica”: “Volevo fare un film per bambini che potenziasse la mitologia contemporanea e introducesse una sorta di moralità di base. Nessuno dice le cose più semplici; si perdono tui in riflessioni astrae. Tui dimenticano di

parlare ai bambini: ‘Ehi, questo è giusto e questo è sbagliato.’”525 Lo conferma anche Alec Guinness in una rara intervista: “La gente ci legge troppe cose nel film. Invece è semplice, è roba per tue le età.”526 Lucas voleva “presentare valori positivi” ai bambini in un’epoca in cui la religione tradizionale era ormai fuori moda e la struura famigliare era disintegrata. I “buoni” in Star Wars combaono per la restaurazione di un ordine sociale tradizionale. “Non sono ribelli ma conservatori che sperano di far rinascere la vecchia Repubblica in cui vengano rispeate le autorità istituzionali e la legge.”527 Anche per Laurent Jullier, Star Wars è il primo esempio di film postmoderno (con buona pace dello Squalo). Il cinema postmoderno è fun. […] Ci fa risuonare e vibrare. Si rivolge alla nostra pancia, bombardandoci di immaginisensazione pirotecniche, e al contempo alla nostra testa, bombardandoci di allusioni, di riferimenti e di strizzatine d’occhio (immagini di immagini che siamo lusingati di riconoscere). Ci porta via, ci rapisce, più che raccontarci delle storie – un nuovo carrello in avanti a tua velocità e a distanza focale corta, ed eccoci di nuovo imbarcati nella vertigine. I suoi personaggi parlano poco – non credono più ai grandi racconti – ma sono cool. Si accontentano della trasformazione del mondo in speacolo.528 Aggiunge Pravadelli: un cinema “caraerizzato da una peculiare esperienza speatoriale aivata da precisi trai espressivo-formali visivi e sonori, a loro volta legati a ‘innovazioni tecnologiche’. Un supporto quale la Louma (gru snodata) o le MDP endoscopiche trasformano la MDP da ‘testimone invisibile secondo modalità antropomorfiche’ a ‘testimone invisibile al di fuori dell’umano’. Da un lato dunque un cinema ‘centrato sul personaggio’ (con la MDP come testimone invisibile il cui sguardo si proiea sul mondo diegetico – cioè come nel cinema classico), dall’altro un cinema centrato sullo speatore (con la MDP che diviene un’entità dai poteri sovrumani e il cui sguardo si cala al di fuori del mondo diegetico)”.529 La fusione dello stile invisibile del cinema classico, tuo proteso a rendere chiaro ed efficace il conflio dei personaggi e dunque il plot, con quello nuovo, inaugurato da Spielberg con Lo squalo, che

immerge lo speatore sin dai titoli di testa dentro una soggeiva impossibile che araversa un mondo alieno. Steven Spielberg si muove nel buio degli abissi, sostituisce la macchina da presa con lo sguardo della bestia e rende visibile l’invisibile. È un occhio che uccide le abitudini speatoriali, ricostruendo una grammatica che cambierà per sempre la fruizione su grande schermo e la stessa industria cinematografica. In un colpo solo nascono il blockbuster e il cinema postmoderno nell’accezione di Laurent Jullier, ovvero di “un cinema che ha lo scopo di suscitare nello speatore pure sensazioni, fino a una sorta di dolce ebbrezza, di leggera vertigine”.530 Un cinema che Lucas rilancerà, da par suo, con le lunghe sequenze mozzafiato dell’aacco alla Morte Nera di Star Wars, posizionando la MDP come soggeiva dei piloti, che diventa così quella di uno speatore durante un viaggio sulle montagne russe. Un “film concerto”, continua la Pravadelli citando sempre Jullier, “film la cui strategia principale è di ‘trasmeere direamente delle sensazioni forti non verbalizzabili’. Il film concerto solletica fisicamente lo speatore e il termine stesso indica il ruolo del sonoro: il Dolby Surround accerchia il corpo di chi sta in sala trasformando l’esperienza di visione in un ‘bagno di sensazioni’”.531 È per questo che Jullier preferisce dare a Star Wars la palma del primo film postmoderno, ignorando Spielberg: per l’aenzione particolare al sonoro.532 Dice Walter Murch, all’epoca montatore del suono (Il padrino, Apocalypse Now, American Graffiti, L’uomo che fuggì dal futuro), e in seguito uno dei più grandi montatori di Hollywood: “Star Wars è stato l’apripista che ha fao capire a tui non solo quanto fosse importante il sonoro, ma anche l’effeo che un buon sonoro poteva avere sugli incassi.”533 Nel 1982 la Lucasfilm lanciò il pioneristico THX Sound System, uno standard di creazione e riproduzione del suono che ancora oggi è installato in numerose sale in giro per il mondo. Suono avvolgente e ad alta risoluzione; movimenti di macchina extradiegetici (lo speatore entra nel film come se si trovasse in un simulatore moderno di un parco giochi); recupero di un vecchio formato cinematografico (Vistavision) affiancato all’inedito sistema di motion control digitale della macchina da presa (il Dykstraflex, dal nome del suo inventore e supervisore degli effei speciali fotografici di Star Wars, John Dykstra) (→ Il western, Tuco e Mando); scarsa aenzione alla narrazione; semplicismo e puerilità.

Il nuovo fenomeno dei blockbusters stava nascendo, e con esso fu necessario elaborare una nuova riflessione critica. “La nuova speatorialità è più vicina all’eccitazione del luna park che alla tradizionale esperienza cinematografica.”534 Tra schermo e speatore non vi sarebbe più comunicazione ma fusione: così concepita l’immagine non è più traccia del profilmico, ma stimolo puro, sintetizza Pravadelli. esta riflessione di Andrea Rabbito per Scenari è una perfea sintesi di quanto abbiamo affrontato finora. Insieme a Mark Fisher ci aiuta a introdurre il paragrafo successivo, dedicato alla nascita del nuovo blockbuster. Il cinema anni oanta ha seguito in questo modo quel percorso vincente che venne indicato da Lucas, e tramite questi, ha compreso bene su quali leve emotive fare affidamento e, ancora di più, tramite l’opera del duo Lucas-Spielberg, ha preso coscienza chiaramente che uno degli aspei dell’essere dello speatore che risultano particolarmente coinvolti sono il suo lato irrazionale e il suo lato infantile; o meglio, se prendiamo in considerazione i termini e corrispeivi studi di Morin e di Huizinga, possiamo dire che il cinema anni oanta prese chiara coscienza, maggiormente rispeo al passato, che doveva dialogare con il lato demens e il lato ludens del pubblico, e così facendo avrebbe potuto oenere quel notevole successo che realmente riuscì a raggiungere; è stato così in grado di saper ben sviluppare quelle potenzialità del linguaggio cinematografico che come osserva Lukács, permeono che “il fanciullo che vive in ogni uomo spadroneggi sulla psiche”. E per realizzare questo dialogo intenso tra il nostro lato demens e ludens ha creato storie che, usando le parole di Brecht, inducevano lo speatore a “gearsi nella vicenda come si geerebbe in un fiume”, ponendo anche particolare aenzione ad avere il supporto di una tecnologia che consentisse quel “bagno di sensazioni” di cui traa Jullier.535 Mark Fisher (filosofo, critico musicale, accademico e sociologo britannico) affermava una cosa simile nel suo formidabile Realismo capitalista: il capitalismo neoliberista reaganiano non può che generare “stagnazione e conservazione” perché i sentimenti predominanti “nel tardo capitalismo sono paura e cinismo”. Ma emozioni del genere portano al conformismo, “l’eterna

riproposizione di prodoi-copia di quelli che hanno già avuto successo”. Nel fraempo, film come Solaris e Stalker – entrambi girati dal già citato Tarkovskij e saccheggiati da Hollywood sin dai tempi di Alien (1979) e Blade Runner (1982) – vennero originariamente prodoi soo le condizioni apparentemente disperate dello Stato sovietico brezneviano […]536 In poche parole, così come gli “autori” europei per i registi della New Hollywood, “l’URSS ha funzionato da imprenditore culturale per Hollywood”. Una sorta di “realismo hollywoodiano”, parafrasando il senso del libro di Fisher: non c’è alternativa537 alla Hollywood degli studios, neppure dopo la fase di transizione della New Hollywood. Più avanti Fisher nota infai che “nonostante le iniziali apparenze e speranze”, le stesse ingenue speranze che esprimeva George Lucas, il realismo capitalista [o il genio del sistema, N.d.A.] non è stato messo in discussione nemmeno dalla crisi del 2008 [quella seguita al fallimento della Lehman Brothers, così ben descrio nei film Inside Job, di Charles Ferguson, 2010, e La grande scommessa, di Adam McKay, 2015, N.d.A.]. Le speculazioni che volevano il capitalismo sull’orlo del collasso si sono rivelate infondate; fu anzi subito chiaro che, anziché essere un segnale dell’imminente fine del capitalismo, il salvataggio delle banche serviva a ribadire nella maniera più manifesta possibile l’assunto fondamentale del realismo capitalista: non c’è alternativa.538 alunque colpo di coda è destinato sempre a rientrare all’ovile, che si trai del sistema economico occidentale o del sistema industriale cinematografico statunitense. Vedremo ancora meglio nel capitolo che segue il senso di questa affermazione. Starbusters Non li vedo. Ci ho provato, sa? Ma non è cinema. Onestamente, la cosa cui posso avvicinarli di più […] sono i parchi a tema. Martin Scorsese539

In quel periodo Jack Valenti, per anni presidente della Motion Pictures Association of America (MPAA), descriveva l’uscita di un film in sala come una mera piaaforma di lancio per altri mercati, dove i film vengono considerati più o meno giocaolabili (traduzione di “toyetic”), “(‘giocaolabile’ è considerata una buona cosa)”540. Fu Star Wars a introdurre il conceo di film giocaolabili, come afferma Peter Biskind: Star Wars ha aperto gli occhi alle case di produzione riguardo al potenziale del merchandising. […] Il merchandising [di Star Wars] ha acquisito vita propria (tanto da faurare oltre tre miliardi di dollari in dirii quando nel 1997 la trilogia è tornata nelle sale), aggiungendo così un incentivo a sostituire personaggi complessi con figure semplici che potessero essere facilmente trasformate in giocaoli.541 I blockbusters quindi come mero detonatore di stimoli sensoriali impoverito dell’impalcatura narrativa character-driven (“sostituire personaggi complessi con figure semplici”) che aveva fao la fortuna del cinema precedente alla New Hollywood? Sempre Pauline Kael scrive, nella già accennata recensione del Ritorno dello Jedi, che “I produori meono tanta azione e così poco caraere o senso nei loro film che allo speatore non rimane nulla cui aggrapparsi. La baaglia tra il bene e il male, che è il tema principale di praticamente tui i grandi film fantasy d’avventura, è diventata una debole scusa per un sacco di giochei visivi e sonori. È arrivata al punto che alcuni di noi sarebbero felici di vedere il bene e il male smeere di loare e diventare amici”.542 Ancora: se volessimo vedere il Viaggio dell’Eroe Lucas da una prospeiva meramente commerciale – che è parte integrante del processo creativo del film, come lo è di qualunque film hollywoodiano (e spesso non hollywoodiano: potremmo dire della natura del cinema tout court) – e in particolare da quella del merchandising, dovremmo rivolgerci a Guy Debord, il famoso filosofo marxista dei mass media: Lo sviluppo delle forze produive è stato la vera storia inconscia che ha costituito e modificato le condizioni d’esistenza dei gruppi umani, in quanto condizioni di sopravvivenza e ampliamento di queste condizioni: la base economica di tue le loro imprese.

Lo speacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della vita sociale. Non solo il rapporto con la merce è visibile, ma non si vede altro che quello: il mondo che si vede è il suo mondo.543 La storiella hollywoodiana che soolineava l’impossibilità quasi ontologica di un’opposizione tra un film character-driven e uno plot-driven è quindi ormai acqua passata? È davvero diventato possibile fare un film basato sulla trama senza che questa scaturisca dal conflio profondo di un personaggio? Il dibaito se ciò sia davvero accaduto o se invece lo schema conflio-cioè-personaggiocioè-plot recuperato tra le vestigia della “vecchia esperienza cinematografica” sia ancora presente in queste pellicole è stimolante, soprauo in relazione a Star Wars. In realtà il blockbuster “[non ha necessariamente rinunciato] alle componenti narrative consuete dell’era ‘classica degli studios’”,544 afferma Geoff King, come d’altronde dimostrano secondo lui alcuni tra i blockbusters degli ultimi decenni. E come sostiene Francis Ford Coppola, secondo il quale la “narrazione” fa necessariamente parte anche di questo tipo di cinema: “Un blockbuster è una combinazione di successo finanziario, successo di critica, grande narrazione e ritmo. Perché un film diventi un blockbuster bisogna che abbia un impao sulla cultura e l’abilità di superare la prova del tempo.”545 Vale la pena tenere presente a questo proposito anche l’opinione del regista del Ritorno dello Jedi, Richard Marquand: Se c’è una cosa che ho imparato lavorando a Il ritorno dello Jedi è semplicemente che ciò che conta davvero è la storia. […] Gli effei speciali hanno il loro posto – ed è un posto molto speciale – nella saga di Star Wars. Ma prima di tuo viene la storia. Il passaparola è il mezzo promozionale più potente ed efficace per qualsiasi film e nessuno dirà al suo amico di andare a vedere un film in cui la storia è noiosa o priva di senso, non importa quanto siano belli gli effei speciali.546 Tra i blockbusters narrativi citati da Geoff King c’è Duri a morire (John McTiernan, 1995). Noi scegliamo invece Godzilla (2014), di Gareth Edwards, già autore dello splendido Monsters (2010), in cui riusciva a generare nel pubblico empatia non solo nei confronti della coppia protagonista ma anche dei mostri lovecraiani che stanno devastando la terra. Godzilla è il primo capitolo del

MonsterVerse crossover tra Godzilla e King Kong, di cui il secondo capitolo, Godzilla II – King of the Monsters (Michael Dougherty, 2019), è solo un pallido emulo. La prima recensione che abbiamo scelto è estremamente significativa nel meere in luce ciò che oggi – in negativo – ci si aspea da un blockbuster. Gli aspei “inopportuni” del film soolineati dal giornalista sono proprio ciò che, invece, fa potenzialmente di un blockbuster un buon film. È troppo chiedere che in un film su Godzilla si veda più Godzilla di quanto si vede Amleto, per esempio, in Rosencrantz e Guildenstern sono morti? Sessant’anni dopo aver debuato sul grande schermo, Godzilla è ancora una star planetaria: se gli americani devono costruire colossal su di lui potrebbero almeno concedere a questa leggenda un po’ più di tempo sul grande schermo.547 Davvero capolavori come il primo Alien, Incontri ravvicinati del terzo tipo e Lo squalo ancora non hanno insegnato nulla (La Poetica (di Aristotele) ←)? La seconda recensione al film – di segno diametralmente opposto – ci aiuta a comprendere invece che, per fortuna, c’è ancora chi si aspea da un blockbuster almeno un tema profondo, da affiancare al conflio del protagonista. E lo oiene. ello che leggerete da tue le parti è che Godzilla ci mee una vita ad arrivare. È vero, la prima ora è tua storia, una storia che funziona perché pulita da tuo l’esuberante che il cinema d’azione ama. Nulla è raccontato per il semplice piacere di farlo così come nessuna azione è mostrata per il piacere dello speacolo. […] Non esiste, a dirla tua, alcun stereotipo sui generi. A far da padrona qui è la ricerca quasi maniacale del realismo e, di conseguenza, del giustificato, con l’unico obbieivo di immergere gli speatori in un mondo talmente verosimile da non permeergli di sospendere l’incredulità quando entrano in gioco dei mostri atomici giganti, qui giustificati da un contesto nucleare in cui la nostra dipendenza da quella energia non è differente dai bisogni biologici dei mostri risvegliati.548 “La ricerca […] del giustificato, con l’unico obbieivo di immergere gli speatori in un mondo talmente verosimile da non permeergli di sospendere l’incredulità”: una sintesi perfea della narrazione cinematografica classica, basata su una serie di

strumenti narrativi e stilistici il cui obieivo è proprio quello di rispeare il pao tra pubblico e opera che abbiamo affrontato all’inizio del Secondo Ao: la sospensione dell’incredulità. Pao che invece il nuovo cinema americano rompeva, “meendo in scena la messa in scena”, inaugurando il filone metalinguistico e destruurando narrazione e stile. Da questo punto di vista quindi i migliori blockbusters non meono necessariamente in discussione la narrazione e lo stile classici. Tu’altro. Spesso li recuperano. Per non parlare del franchise Blade Runner (Ridley Sco, 1982), il cui sequel del 2017, Blade Runner 2049 (per la regia di Denis Villeneuve), seppur a nostro avviso inferiore all’originale del 1982, è stato definito dal Telegraph “Il più speacolare, profondo blockbuster del nostro tempo”549. Sarà un caso? Oppure no, visto che il conflio profondo del protagonista interpretato da Ryan Gosling (Joe/Agente K, un replicante) che mee in moto la sua investigazione e dunque il plot è, precisamente, dichiaratamente, direamente il conflio madre di ogni conflio: “Chi sono io? Una macchina o un robot?”550 (Una luce che cammina nel cielo ←). Perciò “la costruzione narrativa rimane un ingrediente cruciale persino nelle produzioni di blockbuster sovraccarichi di un misto di straordinaria speacolarità e di effei speciali”, continua Geoff King. “I piaceri della narrazione non sono probabilmente i maggiori o più evidenti motivi di arazione in questo tipo di film. Tuavia, le struure narrative rimangono importanti in termini di fabula/intreccio e istanze tematiche, spesso combinandosi con le immagini speacolari.”551 Ma furono soprauo i primi colonizzatori di questo nuovo territorio dell’industria cinematografica hollywoodiana a dimostrare che lo speacolo non ha preso del tuo il posto della narrazione, e cioè i ragazzacci tra i ragazzacci della New Hollywood con Lo squalo e la prima trilogia di Star Wars. Innanzituo, ancora secondo Geoff King, il formato narrativo dei blockbusters “ha qualcosa in comune con la struura episodica delle storie d’avventura di serie B degli anni trenta e quaranta che passano da una situazione di pericolo con scadenza mortale a un’altra analoga”.552 Per omas Schatz, Star Wars è un capolavoro di tecnica narrativa. E per Kristin ompson, che ha esaminato diverse decine di film successivi agli anni sessanta, anche blockbusters come Lo squalo dimostrano uno storytelling altamente coerente. La richiesta sempre più pressante di blockbusters da parte

di Hollywood può aver portato a enfatizzare certe forme narrative episodiche ma non è la stessa cosa che dire che la narrazione è stata cancellata, conclude King. Eppure lo stesso George Lucas ha affermato, sorprendentemente: “I miei film sono più simili a un parco divertimenti che a una pièce teatrale o a un romanzo.”553 In realtà, come ricorda sempre King554 citando Fred Pfeil (nel suo From Pillar to Postmodernism: Race, Class, and Gender in the Male Rampage Film),555 si traa solo di stabilire una nea divisione tra il blockbuster dell’epoca classica (“una struura disciplinata tenuta soo controllo [con un] calcolato aumento della tensione rilasciata soltanto – o soprauo – alla fine”) e quello dell’epoca contemporanea delle corporations (“una vera e propria corsa emozionante e ininterroa sulle montagne russe”). Lo abbiamo visto: la contrapposizione tra plot-driven stories e character-driven stories non ha senso in se stessa. Secondo Stefano Benedei tale distinzione, in ogni caso, […] non ha più ragione di essere poiché, paradossalmente, proprio negli anni dell’effeo speciale senza confini, dove l’arte del mostrare non ha potenzialmente più alcun limite, ci si trova a dover affrontare un pubblico che, in virtù di questo, ci dice Baudrillard, fatica a emozionarsi, è disilluso. Anche il più roboante film d’avventura, dunque, dovrà sempre assicurare contenuti oltre la seducente cortina della computer-grafica. Per quanto speacolare possa essere, l’azione pura, senza immedesimazione, appare fredda, mentre anche il più ripetitivo dei videogiochi può emozionare nel momento in cui riesce a creare l’atmosfera giusta, a coinvolgere.556 Semmai il problema del film di Lucas è che, pur non rinunciando alla narrazione, la mantiene su un piano di totale mancanza di ambiguità etica. Pur cronologicamente contemporanei, i ragazzacci della New Hollywood sono da questo punto di vista lontani anni luce. Lo sono anche da un punto di vista meramente commerciale: negli anni seanta c’erano pochissimi film con un appeal da box office vasto e intergenerazionale come Star Wars. Steamboat Luke Ho preso il controllo del merchandising non perché credessi che

mi avrebbe reso miliardario, ma perché volevo controllarlo. Volevo prendere una posizione per ragioni sociali, di sicurezza e di qualità. Non volevo che qualcuno usasse il nome Star Wars su una porcheria. George Lucas Il discorso sui “parchi divertimenti” di cui parla Lucas, quello sui mercati secondari (gli ancillary markets come la TV, il cavo, l’home video, la pay-per-view, il VOD e via dicendo) e quello sul merchandising, di cui Star Wars è stato campione, meritano un apposito approfondimento. Prima di affrontarlo e con l’obieivo di inquadrarlo nel suo giusto contesto teorico, mi pare importante riportare ancora il pensiero di Debord. Il filosofo francese riflee su quello che chiama “l’abbandono mistico alla trascendenza della merce” per spiegare il feticismo nei confronti dei gadget. […] Colui che colleziona i portachiavi, appena fabbricati per essere collezionati, accumula le indulgenze della merce, un segno glorioso della sua presenza reale tra i suoi fedeli. L’uomo reificato esibisce la prova della propria intimità con la merce. Come nei raptus dei convulsionari o dei miracolati del vecchio feticismo religioso, il feticismo della merce arriva a momenti di fervente eccitazione. Il solo uso che qui si esprime ancora è l’uso fondamentale della soomissione.557 Ci limiteremo a una breve riflessione, seppur indirea, appoggiandoci a Walter Benjamin e a Bret Easton Ellis. Una riflessione che avvicina l’immaginario cinematografico di Lucas e le sue ricadute su quello colleivo all’immaginario di Disney (campione ante lieram del merchandising). Il legame tra George Lucas e la Disney era inevitabile: il libro di Christopher Vogler Il viaggio dell’eroe, “trao” da Joseph Campbell, divenne la Bibbia di quelli della Walt Disney, presso cui Vogler lavorava. “Se Star Wars ha avuto tanto successo, se la Walt Disney è rinata dopo anni di crisi con storie nuove e accaivanti […], lo si deve al libro di Campbell.”558 Nel 2012 fu proprio a Disney che Lucas decise di vendere i dirii della saga per produrre i tre sequel. Ma le convergenze erano iniziate decenni prima.

Nel giugno del 1977, l’Hollywood Reporter annunciò che Lucas avrebbe fao affari con diverse aziende, compresi fabbricanti di giocaoli come Kenner, per lanciare la linea di prodoi di Star Wars che avrebbe generato “forse i più grandi [profii di merchandising] di sempre di qualunque altro film”, superando così il leader di mercato precedente, Disney.559 L’ur-blockbuster dell’era postmoderna; il blockbuster dal “profilo [narrativo] a montagne russe” di cui parla Geoff King che si presta anche particolarmente bene ad alimentare i mercati secondari e il merchandising; il film giocaolabile capace di, e scrio anche per, generare parchi a tema, viene ceduto al detentore e creatore di parchi a tema e merchandising per eccellenza. Ho girato la pellicola più convenzionale che potessi fare. È un film alla Disney. I titoli della Disney incassano sedici milioni di dollari: il mio ne incasserà altreanti. È costato dieci milioni, per cui perderemo qualcosa all’uscita, ma conto di riprendere un po’ di soldi dai giocaoli.560 È quanto aveva affermato Lucas nel 1977, pessimisticamente, prima di dare un’occhiata alle pagine del box office su Variety. E passarle subito dopo alla moglie e montatrice del film Marcia Lucas, prendendosi la sua piccola rivincita personale. (Ammazziamo il drago! ←). “Un po’ di soldi” infai sarebbero diventati 32 miliardi di dollari. Per questo quando leggo Walter Benjamin su Mickey Mouse non riesco a non pensare a Star Wars. Nel 1931 Benjamin, nel suo notevole libro su Kracauer, fa alcune annotazioni su Mickey Mouse. Benjamin suggerisce come “i film di Disney, analogamente alle slapstick comedies americane, possano servire a dissipare in modo preventivo, araverso il riso colleivo, un potenziale altrimenti distruivo. In altre parole, aivando individualmente, e soprauo in modo ludico, le tendenze psicotiche di massa nello spazio dell’esperienza sensoriale colleiva, il cinema potrebbe impedire che si manifestino nella realtà, in forma di violenza organizzata, persecuzione, genocidio o guerra”.561 Siamo tra gli anni venti e gli anni trenta, in pieno fascismo e qualche anno prima del nazismo. Ma soprauo dopo la prima guerra mondiale. Benjamin stava cercando di spiegare l’enorme popolarità del fenomeno Topolino nato nel 1928 con il cortometraggio Steamboat Willie, e concluse che si traava “semplicemente del fao che il pubblico riconoscesse in essi la propria vita”. Una conclusione apparentemente generica e

stravagante, che ovviamente non alludeva “a una somiglianza rappresentativa, ma al fao che il cinema dà espressione ad aspei salienti dell’esperienza moderna mediante humour iperbolico, ritmi cinetici e fluide fantasie”.562 In seguito a una proiezione in Germania nel 1930, la stampa tedesca, che iniziava per la prima volta ad apprezzare “Micky Maus”, scriveva proprio della sua capacità di distrazione per le masse: “[Micky Maus è] un animale che vive a ritmo di jazz. Ogni suo passo è un passo di danza, ogni suo movimento una sincope. […] Che dono per le masse dei lavoratori! Dimenticare la quotidianità in un’ora di gioia e serenità. E il tuo in una forma all’altezza delle più soili esigenze artistiche.”563 Di lì a pochi anni la Germania fu presa da una vera e propria isteria nei confronti del personaggio disneyano. Negli anni cinquanta, quando si impose la TV e il cinema hollywoodiano era ormai entrato in crisi, Disney approfiò del conflio tra studio system e grandi network televisivi (che non erano disposti a pagare le cifre enormi richieste dagli studios per i loro classici) e conquistò una posizione di rilievo con programmi rivolti ai più giovani. Lucas (e Spielberg) furono particolarmente esposti a questo immaginario (nel 1955 la Disney inaugurò anche il Disneyland Park in California).564 Un immaginario fondato sul culto del matrimonio, della famiglia e del consumismo. E, come abbiamo visto, dell’anticomunismo (Il difeo fatale ←). Mi sono reso conto che i bambini al giorno d’oggi non hanno più la fantasia che avevamo noi un tempo; non hanno i western, i film di pirati… le avventure alla Errol Flynn o alla John Wayne. La Disney ha rinunciato al suo monopolio sul mercato dei bambini, e non è stata rimpiazzata da nulla.565 Una fusione di intenti così solida – o addiriura un vero e proprio doppio passaggio di testimone Disney-Lucas-Disney – che il primo capitolo della trilogia sequel prodoa da Disney a partire dal 2012 ha il medesimo impianto narrativo di quella originaria. Lo scriore e giornalista Sam Kriss, infai, sostiene che “laddove i prequel tentavano di estendere la storia, i sequel probabilmente la ricapitoleranno soltanto”566 (Ammazziamo il drago! ←). Cambiano solo i nomi, ma i personaggi sono gli stessi: il ruolo originario di Luke è affidato a Rey; quello di Yoda a Luke; quello di Obi-Wan Kenobi a Maz Kanata; quello di Darth Vader a Kylo Ren e quello di R2-D2 a BB-8. Un giovane orfano che vive su un pianeta desertico e popolato di esseri selvaggi viene in contao, del tuo

casualmente, con un droide che porta un messaggio importante per la Resistenza. Il ragazzo inizialmente non vuole abbandonare la sua zona di comfort nonostante il suo mentore lo inviti a farlo. Ma circostanze esterne lo costringeranno a meersi in gioco. Finirà per essere allenato fisicamente e psicologicamente dal più vecchio Jedi ancora in vita e farà i conti con il (proprio) Lato Oscuro della Forza, osservando un altro se stesso dal di fuori in un bosco dove un XWing giace soo l’acqua; si convincerà di poter convertire l’ex Jedi passato al Lato Oscuro della Forza che invece lo porterà al cospeo dell’Imperatore che proverà a convertire lui; volerà su un’astronave che si chiama Millennium Falcon e scoprirà infine di essere a sua volta un Jedi. Star Wars è diventato a sua volta un archetipo che ha generato un’intera mitologia che fa da base a infinite varianti. Lo conferma Andrew Hartman in un articolo su Society for U.S. Intellectual History: I precedenti di Star Wars rievocavano un’intera storia culturale. Ha distillato secoli (addiriura millenni) di evoluzione della psiche occidentale (con molti prestiti da altre culture). I precedenti de Il risveglio della forza sono, sostanzialmente, se stesso. La mitologia che prende in prestito è la mitologia di Star Wars.567 Secondo Hartman, J.J. Abrams non aveva bisogno, diversamente da Lucas, di altre mitologie perché Star Wars è la sua stessa mitologia. “Lucas ha creato un mito moderno.”568 Con la seguente dichiarazione, Hartman sta in definitiva descrivendo il metodo di lavoro degli executives hollywoodiani che Capra, come abbiamo visto all’inizio di questo Ao, disprezzava (il “metodo colleivo”, come lo chiamava il regista di Accadde una noe (1934), cioè non aribuibile a un’unica sensibilità autoriale ma a impersonali scelte industriali dei vari executives): “Tanti film, tante catene di montaggio.” I primi sei film di Star Wars raccontavano la storia che George Lucas […] voleva raccontare, nel modo in cui voleva raccontarla. Non è chiaro di chi sarà invece la storia, se mai ve n’è una, della versione Disney di Star Wars.569

Ebbene, il 20 oobre del 2019, rispondendo a una domanda di Alberto Crespi sulla polemica innescata da Martin Scorsese relativa ai theme park movies,570 e in seguito alla dichiarazione successiva di Coppola,571 Bret Easton Ellis ha dichiarato, sulla Disney e sulla Marvel: Credo che a Coppola non piacciano i film della Marvel perché hanno brutalmente interroo il suo sogno di una colleività artistica hollywoodiana, in neo contrasto con l’ideale capitalista. […] A me non piacciono assolutamente, sono blandi e molto conservatori. […] Non è arte ma un prodoo di un’azienda. Mi piacerebbe vedere altri film ma ormai la Disney possiede tuo, anche la Marvel. Il cinema si sta marvelizzando e questa cosa mi preoccupa.572 Easton Ellis ha colto in pieno il pensiero di Scorsese, altrove derubricato a una mera e banale questione di gusto rispeo ai cosiddei cinecomics. Scorsese, infai, qualche seimana dopo chiarisce estensivamente il senso delle sue affermazioni sul New York Times. In un passaggio fa riferimento alla New Hollywood, “luogo” della sua nascita professionale e artistica. ando lo studio system hollywoodiano era ancora vivo e vegeto, la tensione tra artisti e coloro che conducevano gli affari era costante e intensa, ma era una tensione produiva che ci ha regalato alcuni dei più grandi film mai fai […].573 In un altro, è in piena sintonia con Hartman: Per me, per i registi che amo e rispeo, per i miei amici che hanno iniziato a fare cinema pressappoco quando ho iniziato io, il cinema aveva a che vedere con una rivelazione – una rivelazione estetica, emotiva e spirituale. Aveva a che fare con personaggi – la complessità delle persone e la loro natura contraddioria e paradossale, il modo con cui possono ferire qualcuno e amare qualcun altro e improvvisamente ritrovarsi di fronte allo specchio con se stessi. […] Molti film oggi sono prodoi perfeamente realizzati per un consumo immediato. Molti di essi sono ben fai da squadre di individui talentuosi. Ma allo stesso tempo sono privi di una cosa fondamentale per il cinema: la visione unificatrice di un singolo artista.574

Proprio ciò che spaventava il reader della United Artists (Ammazziamo il drago! ←). A proposito di Scorsese e Coppola ci sembra appropriato ascoltare di nuovo il “cinico”, realista Elsaesser: Per dirla […], speriamo, non troppo cinicamente, gli autori [della New Hollywood, N.d.A.] trassero la loro comprensione di sé identificandosi con l’ideologia dell’artista europeo (o dello spirito libero dell’operazione Corman e delle varie controculture), mentre a un altro livello interpretarono anche il ruolo del pesce pilota: aiutando le balene bianche (o, più appropriatamente, gli squali) dell’era dei blockbusters a nuotare vicino alla spiaggia in sicurezza e con profio.575 Pesci pilota, a loro insaputa, della coppia di “squali” più redditizia e geniale di Hollywood: Lucas e Spielberg. Non c’è alcun giudizio implicito nel definire squali i due registi, solo un gioco di parole e, in trasparenza, la fotografia della realtà industriale che abbiamo descrio fin qui. Lo stesso Scorsese non potrebbe negare, come in effei non fa – vista la sua grande preparazione di storico del cinema – che, diversamente dai theme park movies contemporanei – che nell’articolo sul New York Times vengono aaccati anche perché considerati il prodoo di un’impostazione industriale che tenta di meere sempre più ai margini il rischio d’impresa – Star Wars fu al contrario il prodoo di un gigantesco rischio. Come abbiamo più volte soolineato. Perché, ovviamente, l’artista individuale è il faore più rischioso di tui.576 C’è un altro rischio da tener presente, ed è quello che ha soolineato Scorsese quando ha sollevato il problema del monopolio Disney e dei theme park movies. È il rischio cui abbiamo accennato più sopra: e cioè che film come Star Wars possano dare origine, come hanno in effei fao, a un cinema pensato per chi ha rinunciato al tentativo di comprendere la complessità della realtà. Un rischio che ha ben presente anche il guru dei comics Alan Moore (autore di fumei come Watchmen e V for Vendea). In un’intervista rilasciata nel 2013 al sito Slovobooks, riportata dal Guardian l’anno successivo, Moore mee in guardia da quella che chiama una “ritirata dalle pur realmente travolgenti complessità dell’esistenza moderna”.577 Un altro articolo del Guardian, sempre relativo a Moore, stavolta del 2013, titola: “Perché non dovresti

divertirti un po’ mentre ti confronti con i problemi più profondi della mente?”578 Moore si sta riferendo al fao che il pubblico adulto ha ormai acceato di essere in grado solo di comprendere il tentacolare e insignificante Multiverso della Marvel e della DC pensato per gli adolescenti di cinquanta anni fa. Lo stesso pubblico adolescente per cui era stato pensato Star Wars. […] trovo preoccupante il fao che il pubblico dei film di supereroi sia adesso quasi interamente composto da adulti, uomini e donne su trenta, quaranta e cinquanta anni che non vedono l’ora di meersi in fila per vedere personaggi e situazioni che sono stati creati espressamente per divertire i dodicenni di cinquanta anni fa.579

Ao IV. Climax La riunione dei cliché

ando tui gli archetipi irrompono così sfacciatamente, si raggiungono profondità omeriche. Due cliché ci fanno ridere, ma cento cliché ci commuovono perché percepiamo vagamente che i cliché stanno comunicando tra loro e festeggiando una rimpatriata.580 ando Annie (Geraldine Chaplin) chiede a Buffalo Bill per ché non dica la verità al suo pubblico, la superstar risponde: “Perché ho un senso della storia migliore del tuo.”581 Il Climax è il momento verso il quale tende ogni film, il turning point più aeso, l’ultimo, la scena o la sequenza per la quale davvero ci sediamo carichi di aspeative su quella poltrona. È “la radice e il culmine dell’azione”, afferma Lawson nel suo libro del 1936 (Il difeo fatale ←). Nella scansione di Syd Field si trova verso la fine del Terzo Ao, in quella adoata da noi sulla base della riflessione di Kristine ompson, coincide con il arto. Per alcuni, per esempio McKee, il termine da usare è “Crisi”, mentre per altri la Crisi è parte della lunga sequenza del Climax e lo precede. Si traa in ogni caso del momento in cui il protagonista si confronta con il culmine del suo conflio: l’anziano omas di Totò le héros indossa i panni di Alfred, il suo nemico di una vita, e si fa uccidere al posto suo; Travis (Robert De Niro) salva Iris (Jodie Foster) nella sanguinosa sequenza del bordello di Taxi Driver; Ben (Dustin Hoffman), nel Laureato, irrompe alla cerimonia di matrimonio di Elaine (Katharine Ross) e la porta via; nello Squalo Brody (Roy Scheider) uccide il gigantesco predatore facendo esplodere una tanica di aria compressa nelle fauci del mostro; Luke si abbandona alla Forza e distrugge la Morte Nera; Scoie scopre che Judy è Madeleine salendo i gradini della torre campanaria in La donna che visse due volte… Insomma, potremmo dire che il Climax è il momento in cui tui i nodi vengono al peine.

Il Climax del nostro eroe George Lucas è il momento in cui tui i generi vengono al peine. Scopriremo quali sono i riferimenti culturali che Lucas ha utilizzato, più o meno consapevolmente, nella lunga fase di scriura di Star Wars. Tenendo però bene in mente una cosa: il genere è la meta-struura della sceneggiatura, cioè: Organizza la premessa, il personaggio e la struura. Poiché un genere specifico ha il suo specifico arco del personaggio e arco drammatico, è impossibile andare avanti nella sceneggiatura in modo efficace finché non ne è stato determinato il genere della narrazione. È la scelta del genere che dice allo scriore se l’arco del personaggio è positivo o negativo e se nell’arco drammatico si sta usando abbastanza trama.582 Alla luce di ciò risulta ancora più straordinaria la capacità di Lucas di mescolare e sovrapporre tanti generi in un solo film. Vediamo come. Nonostante nella prima citazione in esergo Umberto Eco si stia riferendo a Casablanca, è impossibile non vederci qualcosa di Star Wars. Ho già dimostrato nel Secondo Ao come i due film siano intimamente correlati (“Ti amo.” “Lo so” ←). Nel documentario Star Wars, e Legacy Revealed, la dooressa Joan Breton Connelly, professore associato all’Università di belle arti di New York, afferma qualcosa di molto simile a ciò che dice Eco ma stavolta direamente a proposito del film di Lucas: “ello che è eccitante nell’affrontare il ciclo di Star Wars è che si traa di una specie di scavo archeologico. In superficie tui diciamo: ‘Ah, Excalibur è la spada laser!’ A un livello più profondo, quando entriamo nella Morte Nera viene in mente l’eroe greco e l’Odissea. Ma si può andare ancora più a fondo nei livelli stratigrafici.”583 Se provassimo a sostituire il cult movie di Michael Curtiz del 1942 con Star Wars, nella seguente, successiva affermazione di Eco su Casablanca, nessuno forse si accorgerebbe dello scambio: “Casablanca è riuscito a diventare un cult movie perché non è un solo film. È ‘il film’. E questa è la ragione per cui funziona, a dispeo di qualunque teoria estetica. Perché mee in scena il potere nella Narratività allo stato brado, prima che l’arte intervenga a domarlo.”584 Forse il gioco che abbiamo fao ormai più di una volta non è così avventato, visto che Eco, nello stesso paper, fa un riferimento esplicito a come Lucas (e Spielberg) accumulino citazioni, generi e archetipi della Hollywood classica: “Un altro (e diverso) caso è la citazione del

topico duello tra il gigante arabo nero con la scimitarra e l’eroe indifeso in I predatori dell’arca perduta. 585 Se ricordate, il topos si trasforma all’improvviso in un altro: l’eroe indifeso si trasforma, in una frazione di secondo, nella Pistola più Veloce del West.”586 Come dicevo, Star Wars è (anche) un film postmoderno: “Dove la citazione del topos è riconosciuta come l’unico modo per far fronte al peso della nostra enciclopedica competenza filmica.”587 Ci occuperemo in maniera approfondita nel into Ao degli archetipi presenti nella saga dal punto di vista del Monomito di Campbell. i ci soffermeremo sul rapporto tra Star Wars e i generi classici, che segue a grandi linee lo stesso schema, nel senso di una “relazione calcolatamente ingenua con i generi classici”,588 “un tentativo non di rielaborarli ma di resuscitarli”.589 Si traa di due dichiarazioni che King e Hoberman fanno a proposito dei blockbusters della terza fase della New Hollywood (dopo quella dell’iniziale incertezza dello studio system e quella dei movie brats, vedi Restaurazione ←) e che King riferisce anche, nello specifico, alla maggior parte dei blockbusters della coppia Lucas-Spielberg dei tardi anni seanta e degli anni oanta, preceduti da un “testo di transizione” come American Graffiti, il secondo film di Lucas, che anticipò “quel mix di nostalgia retro e populismo americano medio”590 e apparteneva alla scuola di pensiero che recita “una volta le cose erano migliori, dal punto di vista personale e nazionale”.591 Molti critici cinematografici, tra cui Krämer e Wood, hanno in effei individuato in Star Wars “un invito al pubblico a regredire e a indulgere in fantasie infantili”.592 “Per questi studiosi, quasi tuo il cinema successivo al 1977 è caraerizzato da infantilizzazione, regressione e nostalgia.”593 Come spiega Franco La Polla, “se qualcosa caraerizza gran parte del ‘nuovo’ cinema, è la difficoltà di aribuzione dei suoi prodoi a un genere preciso, o almeno […] alle formule classiche del genere specifico”.594 Western, war movie, fantascienza, fantasy, film d’avventura, melodramma, favola per bambini? Space opera? Space fantasy? Science fantasy? È impossibile decidere un unico genere – e un unico approccio narratologico – per Star Wars, sia perché, come abbiamo visto, i riferimenti espliciti alle pellicole del cinema classico hollywoodiano sono molteplici e di diversa provenienza, sia perché i collaboratori di Lucas, e lo stesso Lucas, nel corso degli anni hanno offerto interpretazioni diverse e dichiarazioni

discordanti tra loro. Che hanno generato, a loro volta, una grande varietà di interpretazioni da parte degli studiosi. Ecco alcune definizioni del film, trae dalle fonti più disparate. La visione originale di George Lucas era sostanzialmente “cowboy nello spazio”, un’avventura di scavezzacollo con eroi e caivi, ambientata in un mondo fantascientifico. In un’intervista faa dopo l’uscita di American Graffiti (1973), a Lucas viene chiesto quale sarà il suo progeo successivo: “Sto lavorando a un western ambientato nello spazio. […]”595 L’enciclopedia britannica cinematografica space opera”.

lo

definisce

una

“serie

È un fantasy, non è sci-fi. È uno space-fantasy, e parla di persone. Alla fine riguarda le persone, non la scienza.596 A partire dal 1973 mi sono concentrato molto sulla fantascienza – il genere, le convenzioni, le riviste, ogni cosa fantastica su cui potessi meere le mani – per capire dove fosse l’interesse della gente.597 “[È] una storia ambientata nello spazio, sulla falsariga di Flash Gordon e Buck Rogers. Ci sono James Bond e 2001: Odissea nello spazio fusi insieme: un fantasy con i supereroi, cappa e spada e pistole laser e baaglie tra le astronavi e cose del genere. Ma niente melodrammi” insisté. “Deve essere un film esaltante, pieno di azione e avventura.”598 È evidente che, almeno all’inizio del lungo lavoro di scriura, Lucas non aveva ancora le idee ben chiare. ando Jeff Berg, il suo agente, lesse le prime quaordici pagine del traamento per consegnarlo alla United Artists, che tre seimane dopo lo rifiutò, confessò che non ci aveva capito nulla (Ammazziamo il drago! ←). Come ricorda ancora Kaminski nel suo e Secret History of Star Wars, “Come dice Lucas, la ‘ricerca’, se possiamo chiamarla così, gli ha permesso di capire sensazioni, temi e motivi ma è stata la combinazione di questi elementi a entrare lentamente in lui e nella sceneggiatura, il che spiega l’enorme serie di riferimenti e influenze nel film. ‘[Analizzarlo] rischia di diventare accademico ma mentre lo facevo non era accademico’, afferma”.599 È alla luce anche di questa dichiarazione che quella che segue, dell’aprile 1977, sembra fare definitivamente chiarezza sul senso generale dell’operazione. Perché mee finalmente a tema la

complessità dei riferimenti del film e delle leure del regista; perché è molto vicina al momento della chiusura della quarta versione dello script, dopo quaro lunghi anni di lavoro; perché è coerente e onesta: come affermerebbe qualunque registasceneggiatore, lo sforzo creativo nel cinema di narrazione è composto da una forte parte di lavoro inconscio e comunicarlo con precisione è impossibile. Da bambino ho leo un sacco di fantascienza. Ma […] a me interessava Harry Harrison e il suo approccio fantastico e surreale al genere. Ci sono cresciuto. Star Wars è una sorta di compilazione di questa roba che però non era mai stata messa soo forma di storia prima, e neppure di film. C’è molto trao dai western, dalla mitologia e dai film di samurai. Sono tue cose che sono fantastiche messe insieme. Non è come un tipo preciso di gelato ma piuosto come un grande sundae.600 Come è noto, il sundae è una sorta di gelato-dessert composto di più palline diverse di gelato, sormontate da sciroppo e in alcuni casi anche da praline, panna montata, marshmallow, noccioline, ciliegie al maraschino, o altra frua (per esempio banane e ananas) in una banana split. “Sapevo fin dall’inizio che non stavo facendo fantascienza. Stavo facendo una space opera, un fantasy, un film mitologico, una favola. Sapevo che avrei dovuto stabilire fin da subito che si traava di un mondo completamente inventato in modo da poter fare ciò che volevo.”601 Un mondo completamente inventato. Sarà necessario allora analizzare, fruo per fruo, gusto per gusto, pralina per pralina, genere per genere, questo colossale “ursundae”. Forse, il primo film mainstream della storia a essere insieme classico, postclassico e postmoderno. ello che nell’estate del 1977, quando il primo Star Wars era ancora in sala, Robert G. Collins chiamò “un pastiche di Mito e il Desiderio per un Futuro Passato”.602 Il saggio di Collins è forse il primo articolo su Star Wars mai apparso in una rivista accademica. Andrew Hartman, in un articolo del 2015 apparso su S-USIH (Society for U.S. Intellectual History), analizza in maniera deagliata i primi interventi saggistici mai dedicati a Star Wars e rileva che fin da subito era stata individuata la natura sincretica del film: “‘‘Pastiche’, ‘compendium’, ‘omnibus’, – sono stati usati tui questi termini”603 ma nota anche che nessuno dei saggisti ha

utilizzato per Star Wars il termine “derivativo”. “È una parola che si usa per indicare quando si vedono le cuciture, quando gli ingredienti non sono stati digeriti, quando le parti sono più grandi del tuo. Star Wars non è derivativo in questo senso rozzo e peggiorativo.”604 Come esempio di film derivativo Hartman sceglie invece, come abbiamo visto nel Terzo Ao, Star Wars: Episodio VII – Il risveglio della forza (Sospendere l’incredulità ←): “Collins, Gordon e Wood enfatizzano i precedenti del mito d’origine di Lucas. Come ho approfondito, la mitologia da cui ha ainto era il western, il romanzo cavalleresco, i serial di fantascienza degli anni trenta, la fantascienza popolare, i film di Kurosawa e così via. Mentre la mitologia su cui si è basato J. J. Abrams era… Star Wars. E questo, più di ogni altra cosa, spiega il problema narrativo di Il risveglio della forza.”605 Nel libro di Donald E. Palumbo troviamo questa riflessione: “L’indizio per risolvere il mistero dell’incredibile popolarità di Una nuova speranza (e, per estensione, di tua la trilogia) potrebbe essere il moo generale di Eric Rabkin che fa: ‘La delizia del fantastico è la scoperta di vino vecchio in boiglie nuove.’”606 Rabkin sostiene infai che la leeratura fantastica “sia di grande successo quando riconfeziona vecchi e familiari cliché soo forma di qualcosa di nuovo e non familiare, e araverso questo gioco di prestigio assicura soilmente il pubblico che del nuovo e del non familiare non bisogna avere paura”.607 Una precisazione doverosa: definire Star Wars un “supergenere”, un “pastiche”, un “compendium”, non significa definirlo anche uno strano “ibrido”. Da più parti infai viene soolineato che una delle caraeristiche del cinema della New Hollywood608 sia stata proprio l’hybridity. Sono d’accordo però con quanto afferma Gene Neale, che confuta questa teoria. Secondo Neale, infai, non c’è alcuna evidenza che i film in questione abbiano un inusuale “ibridismo” (approfondisco qui → Il western, Tuco e Mando). Lo stesso vale per esempio per Star Wars: [Star Wars e Terminator 2] sono film di fantascienza con un accento su quegli elementi di avventura che hanno compreso parte del repertorio di genere fin dall’inizio del secolo. Come molti altri blockbusters di Hollywood – I predatori dell’arca perduta (1981), Superman (1978), Alien, Dick Tracy (1990), Independence Day (1996) e simili – derivano da un’allusione, come è noto, a film di avventura di serie B, alla fantascienza e

ai film d’azione, ai serial e ai film a basso budget degli anni trenta, quaranta e cinquanta. Pertanto, mentre nell’industria i loro budget e il loro status sono cambiati, non sono più ibridi di quanto lo siano Flash Gordon, Dick Tracy (1973), Perils of Nyoka (1942), Superman (1948), La guerra dei mondi (1953), Il mostro dell’astronave (1958) e gli altri serial e film che li hanno preceduti, o dei serial radiofonici, le strisce a fumei e le riviste pulp sui quali questi serial e film erano spesso basati. Certo si potrebbe sostenere che dobbiamo ancora vedere un blockbuster di Hollywood che sia ibrido quanto e Phantom Empire (1935), un vecchio serial hollywoodiano su un cowboy canterino nello spazio.609 ello che cercherò di fare in questo Ao, in definitiva, è rispondere alla domanda di David Bordwell “Da dove arrivano le innovazioni?”, riportata da Doug Wise nel suo interessante On the genealogy of switcherooity:610 dal punto di vista del modo in cui funzionano i sogni secondo Freud, l’analisi che Bordwell fa in Reinventing Hollywood dimostrerebbe che fare film è una sorta di realizzazione onirica faa in collaborazione. Cioè i film sarebbero l’equivalente hollywoodiano dei “residui diurni” freudiani (i residui importanti, gioiosi o drammatici, delle aività dello stato di veglia): “Possibilità già dischiuse nel cinema, nella radio, nel teatro e altri media, […] schemi… che circolano nei media popolari e nella cultura alta, […] luoghi comuni culturali, […] prestiti da media vicini […] pezzi di teoria, […] la borsa dei moderni dispositivi narrativi.”611 esti residui vengono ricombinati, reinterpretati e associati. Spiega Wise: “Il cinema trasforma i prestiti dai media vicini. […] l’originalità di un film degno di nota deriva da uno switcheroo: la revisione di uno schema che era già in circolazione, non solo in altri film ma anche in altri media.”612 Come vedremo, Star Wars è un campione di switcherooity: prendi in prestito un film, cambi il contesto e alcuni deagli e lo ripresenti come originale.613 Una pratica molto comune a Hollywood. Come è uso comune, il cupo I see samurai di Kurosawa (1954) diventa, mutatis mutandis, un western, I magnifici see (1960). Che in seguito viene rifao soo forma di space opera in I magnifici see nello spazio (1980) [nel quale Robert Vaughn interpreta praticamente la stessa parte che interpreta nell’originale, N.d.A.], soo forma di commedia in I tre amigos! (1986), di cartone animato comico in A Bug’s Life –

Megaminimondo (1998), e di una commedia fantascientifica in Galaxy est (1999).614 Come dimostrerò anche più avanti, è impossibile soprauo per Star Wars stabilire con precisione a quale genere ufficiale appartenga.615 Come è spesso stato notato, a volte è difficile […] distinguere tra horror e crime, ma anche tra fantascienza, avventura e fantasy. Film come Frankenstein (1931), Psycho (1960) e Gli occhi della noe (1967), e Star Wars, E.T. (1982), La cosa (1982) e Sherlock Holmes e il mastino di Baskerville (1939) ognuno a suo modo testimonia la propensione di Hollywood per la varietà e la sovrapposizione tra ognuno e ciascuno di questi generi.616 Se questa premessa è vera, c’è da chiedersi perché, invece, Star Wars abbia richiamato subito un grande pubblico. Perché fin dal primo giorno le file al boeghino fossero così lunghe. La storia della distribuzione di Star Wars racconta di un film con un grande, immediato potere di richiamo sugli speatori, al di là di qualunque previsione, in particolare di quelle di Lucas e dei suoi stessi produori e distributori.617 esto potere di richiamo è per l’appunto ciò che costituisce uno degli aspei dei generi cinematografici: “Agli speatori di solito piace avere una vaga idea di cosa aspearsi dai film che vanno a vedere. […] L’etichea di un genere è una promessa implicita.”618 Se anche il pubblico fosse stato arao dalla “promessa” da parte di Star Wars di essere un film di fantascienza, ciò non spiegherebbe ancora il successo immediato del film. La fantascienza degli ultimi dieci anni precedenti il 1977, infai, non aveva abituato il pubblico a un film di quella natura, tantomeno ad affollarsi in code senza precedenti fuori dalle sale cinematografiche. 2001: Odissea nello spazio e Solaris (Andrej Tarkovskij, 1972), due pellicole ambientate nello spazio e immerse in una tecnologia futuristica come Star Wars, che quindi avrebbero potuto vagamente restituire un’estetica starwarsiana, erano film metafisici e astrai. Se non addiriura filosofici. Mentre 1975: Occhi bianchi sul pianeta terra (Boris Sagal, 1971) e Rollerball (Norman Jewison, 1975), e lo stesso L’uomo che fuggì dal futuro di Lucas erano pellicole distopiche, cupe e pessimistiche di scarso successo al boeghino. Secondo Charles Lippinco, il supervisore del marketing di Star Wars, “quando uscì 2001 [1968, N.d.A.] credevamo che sarebbe andato bene, ma 2001, che è costato all’incirca come Star Wars, non

ha mai sfondato fino al novembre del 1975 […]. Dovevi essere mao per fare un film di fantascienza quando lo volevamo fare noi”.619 Lo stesso Lucas, quando vide i primi indizi del successo in sala, disse ad Alan Ladd Jr., che aveva sempre creduto nel film nonostante tuo, che: “I film di fantascienza tendevano ad andare forte al debuo per poi crollare bruscamente. […] Mi aspeo che la seimana prossima il film vada male.”620 Non sarebbe successo. e Black Hole – Il buco nero (Gary Nelson, 1979) e Star Trek – e Motion Picture (Robert Wise, 1979) sarebbero usciti due anni dopo. Solo Il pianeta delle scimmie (1968), che incassò trentadue milioni di dollari a fronte di un costo di sei milioni,621 poteva essere paragonabile a Star Wars (anche per il fao di aver dato origine a una saga lunga e redditizia), ma stiamo parlando di un film di dieci anni prima che vira spesso sul dramma sociale. E se è vero quanto afferma Neale a proposito della derivazione di Star Wars dall’usuale ibridismo del cinema seriale degli anni trenta, quaranta e cinquanta,622 certo gli adolescenti che nel 1977 affollarono le sale non potevano conoscere e amare quel tipo di film. Proprio a partire dal 1977 fino al 1986 (Top Gun, Tony Sco), infai, Hollywood “disdegnò gli adulti”.623 Neppure l’operazione di marketing che si appoggiava al libro, uscito nel dicembre del 1976 per Ballantine Books (Star Wars: From the Adventures of Luke Skywalker) e scrio da Alan Dean Foster sulla base della sceneggiatura non definitiva di Lucas, può spiegare il successo iniziale.624 D’altronde gli appassionati di fantascienza e di fumei non erano all’epoca ancora un vero e proprio fenomeno sociale.625 August Ragone, che ebbe la fortuna di partecipare alla prima proiezione del film, afferma: “Se a scuola parlavi a voce alta di fantascienza ti emarginavano. Poi, con Star Wars, tuo cambiò e potevi fare coming out.”626 E se anche qualcuno avesse riconosciuto nel trailer del film, prima della sua uscita, quello che senza dubbio in Star Wars c’era e cioè forti riferimenti nostalgici all’epopea del western classico, Nepoti ci ricorda che negli anni seanta la decadenza del genere era ormai incontestabile: La negazione del mito si spinge all’estremo. […] La sua eredità, i suoi caraeri costitutivi, il suo stesso statuto […] vengono stravolti e negati senza riguardo dagli spaghei-western ciociaro-madrileni. […] Buffalo Bill e gli indiani, 1976 di Robert Altman, si affranca da ogni nostalgia dell’epopea nella spietata,

groesca mise en scène del Wild West Show di William Cody, proprio quel Buffalo Bill che fu il primo e più clamoroso risultato dell’elaborazione, perfino anticinematografica, della mitologia western.627 Un film in cui il contestatore Altman mee in discussione l’epopea del western, cerca di “‘uccidere il padre’ per guardare dentro la storia con gli occhi ripuliti da ogni immaginazione mitica e alla ricerca di un’altra verità che potesse svelare quello che nessuno aveva voluto mai raccontare. […] e così anche la leggenda creata aorno a Buffalo Bill nasce da una manipolazione degli eventi che egli perpetua nelle sue rappresentazioni circensi. La storia diventa show business e come sempre a scrivere il copione sono i vincitori”.628 “Ho un senso della storia migliore del tuo,” immaginiamo avrebbe potuto dire Lucas ad Altman, come Buffalo Bill dice a Annie nel film quando lei gli chiede perché non rivela la verità nel suo speacolo. Dal suo punto di vista Lucas aveva ragione: In oo seimane ha guadagnato cinquantaquaro milioni di dollari al box office, mentre il libro trao dalla sceneggiatura di Lucas, pubblicato senza troppa enfasi da Ballantine Books lo scorso inverno, è arrivato al n. 4 nella classifica dei tascabili, con due milioni di copie già in corso di stampa. Stanno arrivando anche i poster, le t-shirt, i modellini, le maschere dei personaggi e altri libri. La colonna sonora è già disco d’oro. Niente male per un film che stava per non iniziare mai, e di cui nessuno ha saputo quasi niente fino alla data di uscita.629 Come abbiamo visto, Star Wars, costato undici milioni di dollari, ne ha incassati, solo nel lungo periodo della sua prima uscita, oltre trecento milioni. Al neo di quanto successe a partire dal secondo giorno grazie al formidabile passaparola che si generò – e alla favorevole e singolare congiuntura distributiva dei primi sei giorni (il weekend di uscita del film fu particolarmente lungo perché andò dal mercoledì 25 al lunedì 30 maggio, il Memorial Day) – il primo giorno accadde questo: Alle prime ore del pomeriggio di mercoledì 25 maggio, Lucas e Marcia [la moglie di Lucas e montatrice del film, N.d.A.] decisero di pranzare insieme malgrado l’ora tarda, avviandosi così verso l’Hamburger Hamlet su Hollywood Boulevard, di fronte al Grauman’s Chinese eatre. Dal loro tavolo in fondo

alla sala potevano vedere la strada, che andava facendosi sempre più affollata. “Era come se stessero girando una scena su una manifestazione pubblica” ricordò Lucas. “Un’intera corsia era chiusa al traffico. C’era anche la polizia. E tanta gente in fila, a gruppi di oo o nove persone, tuo intorno all’isolato.” I due finirono di mangiare, poi uscirono in strada per capire quale fosse la causa di tanto clamore. “Pensai che doveva esserci la prima di un qualche film” disse Lucas in seguito. Aveva ragione. A caraeri cubitali sui cartelloni ai due lati dell’ingresso, sopra una folla brulicante e rumorosa, erano scrie due parole: STAR WARS630

Il ritorno di “Action” e “Polemos” I più grandi eroi sono prima di tuo uomini di guerra.631 L’umanità non può sopportare troppa realtà.632 Una nostra seconda ipotesi è che proprio queste due parole, “Star” e “Wars”, che ritroviamo unite per la prima volta nel titolo di un film hollywoodiano, siano entrate in una imprevedibile ed efficace risonanza e abbiano così contribuito al miracolo, cioè a scatenare nell’immaginario di un colossale pubblico potenziale – certo, preparato, come ogni film del genere, da una campagna di marketing mirata alla nicchia degli appassionati di fantascienza – quelle aspeative che quel pubblico aendeva da tempo. “Il film,” sembrava dire quel titolo non solo a quella nicchia, “vi racconterà la realtà delle Guerre di questi anni: la Guerra fredda (nucleare), la Guerra in Vietnam, la Guerra sociale, la Guerra culturale”, il “Polemos” del nostro Primo Ao (Aristotele e Hollywood ←). “Ma ve la racconterà sublimandola, elevandola ad altezze così da capogiro – stellari appunto – che non potrete che coglierne (quasi) solo l’aspeo dell’entertainment.” “Un epico conflio di soldati galaici” come afferma McKee parlando del film. I titoli sono importanti: “Dare un titolo significa dare un nome. Un titolo efficace soolinea qualcosa di solido che c’è davvero nella storia: il personaggio, l’ambientazione, il tema o il genere. I titoli migliori spesso nominano due o tui insieme questi elementi.”633

Eppure il seore marketing del film non aveva alcuna idea di come lo avrebbe venduto ed era in crisi proprio con la scelta del titolo, afferma Gareth Wigan, un esecutivo alla Fox in quel periodo. “Mi sembra che all’epoca si dicesse che nessun film di fantascienza avesse incassato più di dieci milioni di dollari, e che nessun film con la parola Guerra nel titolo avesse incassato più di sei o see milioni. Perciò l’idea di un film di fantascienza con la parola Guerra nel titolo era una combinazione piuosto pericolosa.”634 La scelta originale del titolo fu di Lucas e risale a prima del 1971, quando il 3 agosto e Star Wars era stato registrato dalla United Artists presso la MPAA. “L’articolo determinativo, per quanto strano possa sembrare oggi, sarebbe rimasto curiosamente aaccato a quelle due più famose parole per i successivi cinque anni.”635 Non è chiaro quanto il titolo derivi da Star Trek, che Lucas amava e aveva visto a partire dal 1966, ma è certo che Lucas “aveva in mente il titolo prima di avere la benché minima idea di una storia”.636 Secondo Lévi-Strauss, come fa notare King, la funzione della mitologia popolare “è precisamente quella di prospeare soluzioni illusorie di problemi reali”.637 ando una cultura è in difficoltà il cinema serve a elaborarla araverso la finzione narrativa. “Elaborare e trovare soluzioni a difficili problemi sociali è indubbiamente fonte di piacere,” continua King. Scomodiamo ancora il filosofo tedesco Ernst Cassirer, che scrisse anche lui in anni di profonda crisi per il suo paese, quelli successivi alla prima guerra mondiale (1922-1923). Se è vero, come abbiamo deo, che l’America era immersa in una guerra, anche culturale, è plausibile che il film di Lucas si sia addiriura comportato da argine nei confronti di una probabile “ricaduta liberatoria” verso la dissoluzione sociale: I pericoli fondamentali a cui è esposta ogni cultura in ogni momento del suo sviluppo sono […] soprauo due. Da una parte, ogni cultura corre sempre il rischio di tornare indietro […]. Dall’altra, proprio nei momenti di massima crisi, di tensione e di confusione generale […] è maggiore il pericolo di una ricaduta “liberatoria” nei modelli esplicativi chiari e perentori del pensiero mitico.638 Non sappiamo dove sarebbe finita l’America se fosse divenuta preda di un “meccanismo mitico elementare”, ma sappiamo cosa accadde alla Germania un decennio dopo rispeo a quando

Cassirer scriveva: “I tedeschi regredirono a una condizione culturale ‘totemica’, ‘loro’ contro ‘ebrei’.” Vale la pena scomodare altri due giganti: Debord e Freud. Nel suo La società dello speacolo, Debord cita il padre della psicoanalisi: “Tuo ciò che è conscio si consuma. Ciò che è inconscio resta inalterabile. Ma una volta liberato, non cade in rovina a sua volta?” È possibile che Star Wars abbia “liberato l’inconscio”, speacolarizzandolo, derubricandone in questo modo la potenza, spuntando le armi della latenza rivoluzionaria delle masse? È a questo che sono sempre serviti i riti religiosi? È a questo che è servito, in parte, il rito religioso della visione cinematografica di Star Wars? Stando a Ernst Bernhard, lo psicanalista tedesco amato da Fellini, parrebbe di sì: “I miti sono i sogni iniziali degli uomini,” scrive Bernhard citando a sua volta Jung. “Se il mito non diviene cosciente, se permane troppo a lungo nell’inconscio, l’inconscio colleivo aggredisce l’uomo e lo distrugge.”639 Da questa prospeiva si vede come Star Wars, figlio di una crisi epocale, sia un film reaganianamente “assertivo”; diversamente da un’altra grande opera seminale, figlia anch’essa di una profonda crisi (quella dovuta alla transizione verso la modernità), l’Amleto di Shakespeare, che si pone invece come punto di domanda. Insomma il film, invece che porsi come momento di riflessione critica alla stregua delle pellicole dei ragazzacci, cercò di ricomporre artificiosamente sul grande schermo quella che Foucault chiama la “roura dello storicismo teleologico, [il] venir meno cioè di quella credenza che stava a fondamento delle nostre società e che si manifestava nella speranza in un futuro migliore e inalterabile, una sorta di messianismo scientifico che assicurava un domani luminoso e felice, come una terra promessa”. A chi parlavano quei due concei: Guerra e Stelle/spazio profondo? Come già accennato all’inizio di questo Ao, Molti studiosi di cinema, fortemente critici verso l’estetica e le preoccupazioni ideologiche di Star Wars e del cinema hollywoodiano contemporaneo in generale […] hanno sostenuto che Star Wars […] invita gli speatori adulti […] a ritornare nostalgicamente a un periodo precedente della storia (gli anni cinquanta), quando erano bambini e il mondo intorno a loro poteva essere immaginato come un luogo migliore. Per questi studiosi, molto del cinema hollywoodiano successivo al

1977 è caraerizzato da tale infantilizzazione, regressione e nostalgia.640 Parlavano quindi all’inconscio del pubblico? Secondo Andrew Gordon sì: “La roba per bambini, dopotuo, è la materia di cui sono fai i sogni.”641 Ma Krämer sostiene che i “i film pensati per i bambini e i loro genitori, così come per gli adolescenti e i giovani adulti, girano intorno alle avventure speacolari di gruppi famigliari (molto pochi dei quali sono famiglie tradizionali), e ritraggono sia l’infanzia che la vita famigliare in termini lontani dall’essere idealizzati: perdita, solitudine e aesa, bugie, tradimento ed equivoci, aggressività latente, colpa e uno schiacciante senso di responsabilità”.642 Se dunque possiamo affermare che Star Wars “si rivolge al ‘bambino’ che ogni speatore si porta dentro e lo riporta all’infanzia”,643 allora deve essere vero anche che, come le fiabe che lo psicologo austriaco Bruno Beelheim analizza nel suo saggio del 1975 e Use of Enchantment, i film meono lo speatore di fronte a una stimolante visione dell’infanzia, della vita familiare e del difficile processo del raggiungimento della maturità che, alla fine, viene sempre raggiunta con successo. “Giocando sul titolo paradossale di un altro, archetipico blockbuster hollywoodiano contemporaneo [Ritorno al futuro, N.d.A.],” continua Krämer, “si potrebbe perciò dire che Star Wars e molti dei grandi successi realizzati sulla sua scia invitano lo speatore a ‘regredire alla maturità”. D’altronde il libro di Beelheim fu di grande influenza per Lucas mentre scriveva le prime versioni di Star Wars tra il 1973 e il 1975. Lo rivelano il carteggio tra il regista e la moglie Marcia e gli appunti privati di Lucas, evocati nella biografia di Dale Pollock, Skywalking. esta “regressione alla maturità” pare essere il motivo che ha consentito a un altro testo di colossale successo internazionale (uno dei libri più lei e tradoi della storia della leeratura) di incardinarsi a livello intergenerazionale nell’immaginario di miliardi di persone da quasi un secolo e mezzo: Pinocchio. Secondo la leura critica più accorta,644 la storia di Pinocchio è, come quella di Luke Skywalker, quella di un eroe epico. L’arco narrativo del Viaggio dell’Eroe del buraino di Collodi si fonda su istanze mitologiche quali la discesa all’inferno (per esempio Dante nella Divina Commedia) e la rinascita araverso la metamorfosi. Si traa

di viaggi molto comuni nell’epica leeraria occidentale: Gilgamesh, Ulisse, Enea. Ma le similitudini con il processo creativo tra Collodi e Lucas non finiscono qui. Anche per Collodi Pinocchio era “solo” un libro “dedicato ai bambini”. Come abbiamo visto, “Il film vi racconterà anche” sembra ancora dire quel titolo, “la realtà della vostra personale Guerra esistenziale”. Il conflio, anzi, più precisamente la guerra, è alla base sia della cultura americana che della cultura greca classica. La loro Arte maggiore (il Teatro allora e il Cinema oggi) basa la propria capacità di rappresentazione del mondo sulla guerra tra i personaggi e sulla impossibilità etica del compromesso. Lo scontro, il conflio, il dramma deve essere vissuto fino in fondo e senza possibilità di mediazioni perché quello che è in gioco tra i personaggi sulla scena è, molto spesso, la loro esistenza stessa o comunque la modalità etica della loro esistenza sulla terra.645 Ci viene ancora in aiuto Campbell. Il nostro inconscio, afferma, è affollato da immagini “strane, irreali, terrificanti,” materiali “spesso pericolosi”. Tuavia “possiedono un malefico fascino, poiché ci aprono la via verso quell’avventura sognata e temuta che è la scoperta di noi stessi. La distruzione del mondo che ci siamo costruiti e in cui viviamo, e di noi stessi, e poi la ricostruzione di una vita più libera, più pulita, più ampia: ecco cosa promeono e minacciano questi affascinanti e inquietanti visitatori nourni, usciti dal regno mitologico che rechiamo in noi”.646 In sostanza: è possibile che la saga parlasse, araverso il titolo, anche agli adulti non necessariamente appassionati di fantascienza che, come i bambini, volevano rimuovere, magari inconsciamente, la realtà spiazzante e drammatica che stavano vivendo e al contempo riviverla in una condizione di completa deresponsabilizzazione. Il film era eccitante e divertente e ciò ha reso accessibile quell’insolito argomento a un pubblico che altrimenti non avrebbe avuto alcun interesse verso la fantascienza o il fantasy. Il che ha reso la freschezza dei contenuti di ancora maggiore impao. Fu questo il vero segreto del successo della pellicola, mentre molti altri film dello stesso genere fallivano. […] “So cosa mi piaceva da bambino e ancora mi piace” [affermò

Lucas]. Star Wars ebbe successo perché Lucas si permise di pensare come un membro del pubblico: come affermò ripetutamente all’epoca, tui i film che venivano fai a quei tempi ricordavano agli speatori quanto fosse orribile il mondo, ed era troppo tempo che film stupidi, fantasy spensierati non offrivano loro una via di fuga. È proprio su questo che riuscì a dare al pubblico esaamente ciò di cui aveva bisogno e che desiderava.647 Insomma, è possibile che gli americani stessero inconsapevolmente cercando di rielaborare da zero la loro mitologia, per la seconda volta dopo quella della frontiera, mentre archiviavano quella precedente. E magari stavano sostituendo, sempre inconsciamente, il mito della “frontiera terrestre” con il mito della “frontiera stellare” nel contesto della guerra fredda che in quegli anni si giocava contro i russi nello spazio, tra le stelle. Ovviamente, passando prima araverso un processo di rimozione colleiva. D’altronde mentre Lucas creava il suo Star Wars, il vecchio West non era l’unica frontiera nell’immaginario degli americani. Il 4 oobre del 1957 era stato lanciato in orbita lo Sputnik I dai sovietici. Nel 1958 gli americani avevano inviato nello spazio l’Explorer. Nel 1961 Gagarin (russo) e Shepard (statunitense) divennero i primi viaggiatori umani nello spazio. E proprio in quell’anno, Kennedy si impegnò davanti a tui gli Stati Uniti a far meere un piede sulla luna a un americano prima della fine del decennio. Lucas affermò, nel 1996: Rimasi affascinato dal modo con cui rimpiazzammo questa mitologia che era passata di moda: il western. Una delle questioni principali della mitologia era che era sempre la frontiera, oltre la collina. Un posto misterioso dove poteva accadere di tuo, e in questo modo si poteva avere a che fare con le metafore e cose del genere. Io dicevo che insomma l’unico luogo che ci era rimasto era lo spazio – cioè la frontiera. […] Eravamo solo all’inizio dell’Era Spaziale ed era molto alleante dire, cavolo, possiamo costruire una mitologia moderna in questa terra misteriosa che stiamo per esplorare.648 Cosa di meglio, quindi, di un film/sogno che fin dal titolo ti porta su montagne russe spaziali deresponsabilizzanti e oimiste e ti rende protagonista di una guerra che non puoi perdere perché vissuta dalla comoda poltrona di una sala cinematografica, al di qua del vetro antiproieile che è lo schermo? Prendendo in prestito una

riflessione di Robert Warshow, che in realtà parla del gangster movie hollywoodiano, potremmo dire che il cinema di quegli anni così difficili è “il grande ‘no’ al grande ‘sì’ americano stampato a caraeri cubitali sulla nostra cultura ufficiale, ma che ha davvero poco a che fare con il modo in cui percepiamo davvero le nostre vite”.649 E adesso ribaltiamola: “Star Wars è il grande ‘sì’ al grande ‘no’ americano stampato a caraeri cubitali sulla storia e sulle vite degli americani degli anni seanta…” Infine, vale la pena riprendere una riflessione di Jung sul cinema che, come quella di Warshow, fa riferimento a un genere (leerario, in questo caso) e che mi aiuta a spiegare ancora meglio quanto sto dicendo: Il cinema, come la detective story, ci permee di sperimentare senza pericolo per noi stessi tue quelle emozioni, passioni e fantasie che devono essere represse in un’epoca umanistica. Non è difficile vedere come questi sintomi siano collegati alla nostra condizione psicologica.650 Confortato anche dalle riflessioni di Campbell, che nel suo L’eroe dai mille volti dedica un intero capitolo al rapporto indissolubile tra mito e sogno,651 mi permeo di arrischiare una riflessione inedita, di cui subito sintetizzo la conclusione: mutatis mutandis, Star Wars ha nell’immaginario colleivo americano il posto che in Mulholland Drive (David Lynch, 2001) il sogno della prima parte del film ha nell’immaginario di Diane (Naomi Was). Star Wars combacerebbe quindi con la lunghissima sequenza del sogno di Diane con il suo doppio Bey (sempre Naomi Was): la protagonista Diane, appunto, ricombina, reinterpreta e associa (e assegna loro un valore positivo ribaltandoli di segno) i residui diurni raccontati nella seconda parte del film cioè la sua stessa, tragica vita reale, quella di un’aricea fallita che delude i genitori e per gelosia fa uccidere l’amante omosessuale da un killer prezzolato. La prima parte di Mulholland Drive, il sogno in cui Diane ribalta tuo araverso la sua proiezione onirica, Bey – utilizzando anche lo “spostamento” freudiano –652 e si autoracconta oniricamente sia come vincente dal punto di vista professionale sia come leader proteiva della coppia, è simile a ciò che fa Lucas con il suo film. In poche parole, Star Wars è la storia di Bey/Luke Skywalker, ovvero ciò che il pubblico di quegli anni desiderava sentirsi raccontare su se stesso (la narrazione che Diane avrebbe desiderato per se stessa): un popolo nuovamente vergine e ancora

una volta padrone del suo destino. La realtà fuori dalle sale cinematografiche, invece, assomigliava molto di più alla vita reale di Diane. Che alla fine, svegliatasi dal sogno trasformatosi in incubo, carica di sensi di colpa, si spara un colpo alla tempia. Come, metaforicamente, si suicida Travis Bickle (il protagonista di Taxi Driver) alla fine del film, puntandosi alla tempia la mano sanguinante a mo’ di pistola: in questo come in molti altri film della New Hollywood, infai, incubo e realtà sono la stessa cosa. Campbell descriveva i sogni come “miti privati”. Star Wars è, potremmo quindi dire, un “sogno pubblico ad occhi aperti” per difendersi dall’incubo della realtà. E se Star Wars fosse una commedia? D’altronde, come spiega sempre Campbell, La mitologia […] è tragica. Ma poiché colloca il nostro vero essere non nelle forme che si disintegrano, ma nell’eternità da cui esse riemergono immediatamente, può considerarsi eminentemente anti-tragica. In verità, dovunque prevalga lo spirito mitologico, la tragedia è impossibile, e regna piuosto un’atmosfera di sogno. Il vero essere, infai, non è nelle forme, ma nel sognatore. Come nel sogno, le immagini vanno dal sublime al ridicolo.653 Forse. Ma Star Wars, come abbiamo visto e vedremo meglio, è inclassificabile dal punto di vista dei generi hollywoodiani classici. E non è neppure una favola: “L’eroe delle favole oiene un trionfo domestico, microcosmico, mentre l’eroe del mito riporta un trionfo macrocosmico, di portata storica e universale,”654 la sconfia dell’Impero da parte di un manipolo di sgangherati ribelli.655 Star Wars è la prima, più straordinaria ed efficace trasposizione contemporanea del Monomito di Campbell, che a sua volta “corre parallelo al pensiero di C.G. Jung, che scrisse degli archetipi mitologici” e della struura dei sogni, “suggerendo che entrambi provengono da una sorgente più profonda, nell’inconscio colleivo dell’umanità”.656 Una “trasposizione” di Campbell, abbiamo deo, che ha reso il film un mito esso stesso. Miti che “non sono fai solo di temi classici ricorrenti ma anche del contesto specifico da cui sono generati”.657 Abbiamo visto nel Terzo Ao quali fossero le storie che la Storia stava scrivendo mentre Lucas progeava il suo film (La fabbrica dei segni ←) e abbiamo provato a capire se e in quale modo abbiano avuto un’influenza su di lui. Nei prossimi

capitoli cercheremo invece di approfondire le altre storie, quelle che erano già state raccontate dal cinema hollywoodiano classico. Ecco un’introduzione sintetica perfea, da leggere in un fiato, di tuo ciò da cui Star Wars ha trao la sua immagine finale, prima di immergersi nei particolari di ogni singola influenza: Mentre i media, negli anni oanta e novanta, sperimentavano soprauo i legami cinematografici tra re Artù e l’Odissea, le origini di Star Wars erano […] nei fumei e nella fantascienza popolare, la spazzatura della leeratura. Lucas aveva iniziato con Flash Gordon e, non essendo riuscito ad assicurarsene i dirii, si spostò su La fortezza nascosta. Non potendo neppure stavolta, o non volendo, assicurarsi i dirii, vestì quella semplice trama con un assortimento di elementi della fantascienza, selezionando tuo dei fumei di Alex Raymond e Jack Kirby fino alle saghe fantascientifiche di E.E. Smith e di Isaac Asimov, punteggiandolo con influenze cinematografiche di ogni dove, da Sentieri selvaggi di John Ford alla pietra miliare della propaganda nazista Il trionfo della volontà e con l’infusione delle trame di azione e montagne russe dei serial degli anni trenta.658 A tui questi corsi d’acqua, e altri ancora, Lucas è andato ad abbeverarsi per costruire il suo personale eroe e il cinema mitopoietico-didaico che ha irretito un intero pianeta. La fantascienza e il Millennium Falcor Gli anni seanta erano costellati di film di fantascienza che non sfondavano al box office, come Andromeda, La fuga di Logan e L’ultima odissea, solo per nominarne alcuni.659 L’abbiamo anticipato: il responsabile marketing di Star Wars, Charles Lippinco, e uno degli executives della Fox, Gareth Wigan, erano convinti, in quei giorni della tarda primavera del 1977, che il film sarebbe stato un fiasco. La fantascienza negli ultimi anni non tirava al box office. “In passato rientrava soprauo nella categoria dei film di serie B a basso costo o nella produzione di mero sfruamento commerciale.”660 Secondo Pauline Kael forse l’unica vera ispirazione rintracciabile in Star Wars è stata appunto quella di innestare la sua galassia fantascientifica nella cultura pop del

passato, “e di trasformare la goffaggine dei vecchi film in consapevole Pop Art”.661 In ogni caso Lucas, quel giorno, era fuggito alle Hawaii disertando la prima. Tui però, comprese altre decine di executives, gli aori e i tecnici del film, e la stessa moglie di Lucas, Marcia, che condividevano quella convinzione, si sbagliavano… perché Star Wars non era un film di fantascienza. Se non altro non lo era in senso streo, perlomeno per come Hollywood aveva abituato il suo pubblico a quel genere. Star Wars era un film di fantascienza fino alla terza stesura dello script. Nell’ultima, era diventato un’altra cosa. Il romanzo di Frank Herbert [Dune] sta alla fantascienza come Il Signore degli Anelli sta al fantasy. Anche in questo caso le somiglianze tra Dune e Star Wars non mancano: il pianetadeserto in cui i condensatori di vapore rappresentano la principale fonte di sostentamento, i contrabbandieri, gli antagonisti interstellari dall’enorme stazza e la forza mistica in grado di controllare la mente. Lo stesso Herbert ha individuato ben trentasee similitudini con Guerre Stellari, rintracciabili soprauo nelle prime versioni della sceneggiatura di Lucas, in cui la principessa Leia, invece di tenere nascosti i piani della Death Star, aveva il compito di proteggere una spezia particolare. Gli altri punti di contao più significativi riguardano la compresenza di antagonisti legati all’eroe da uno streo rapporto di parentela e tecniche d’addestramento in grado di conferire doti eccellenti e capacità sovrumane.662 Nella seconda stesura del 28 gennaio 1975, per esempio, che aveva come titolo Adventures of the Starkiller (“Le avventure dello Starkiller”), Lucas inserì un dialogo tra Deak Starkiller, un Jedi mascherato,663 e un pilota della ribellione, infarcendolo di fumose terminologie tecniche futuristiche, che in seguito scompariranno. In sintesi, le prime idee sul mondo di Star Wars sembravano configurare il genere cosiddeo hard-science fiction (“fantascienza tecnologica”), in cui viene posta una forte enfasi sui deagli tecnologici e scientifici, anche se Lucas ha sempre ammesso di non avere Asimov tra i suoi autori preferiti.

Deak si avvicina al bancone del computer e parla nell’interfono.

DEAK

Tutte le unità R2 in stand by per una nuova programmazione di prima direttiva… Si volta verso il pilota. DEAK

Qual è il codice cifrato di R2? PILOTA (TYREE) “Tan-takk RS-411”. Credi che uno di loro possa farcela? DEAK

Temo che le possibilità di un’unità R2 di trovare Luke laggiù siano maggiori di quelle che Luke possa trovare suo padre… Le unità R2 calcolano come segue: codice cifrato, tan-takk RS-411. Prima direttiva. Codice di contatto “Angel blue”. Cerca OWEN LARS alla posizione esatta o approssimata: 321-DC-28. Riferire la seguente trascrizione. La versione finale, come sappiamo, è invece priva di questa intenzione. In Star Wars, infai, i concei tecnico-scientifici sono usati soprauo per rendere più divertenti i dialoghi e sono scrii in modo quasi poetico. “Si fa decisiva nel DNA di Star Wars la personalizzazione della tecnologia: soprauo l’umanizzazione dei robot (chiamati Droidi)664 ma anche l’animalizzazione dei caccia/falconi o cargo spaziali/cavalli, degli Star Destroyer imperiali/draghi.”665 Potremmo dire che Lucas, in anticipo su La

storia infinita, decide di regalare agli eroi del suo film il drago volante di Atreiu (Falcor) che in Star Wars potremmo quindi ridenominare, cambiando la sola leera finale, Millennium Falcor (l’astronave di Han Solo si chiama Millennium Falcon). “In questo modo l’elemento della scienza fantasiosa diventa basilare per Star Wars: gli elementi fantascientifici, che non sono nemmeno pochi, sono costantemente allusi, dati per scontati, non espressi ma presenti; non sono superficiali e contribuiscono in maniera decisiva sia al contenuto che alla forma del racconto.”666 Non c’è dubbio, a ogni modo, che la fantascienza fosse l’elemento portante della complessa e originale architeura narrativo-stilistica che Lucas stava per gradi meendo a fuoco tra il 1974 e il 1977. Seduto soo il sole dell’Arizona, Lucas continuava a leggere quanto più possibile, immergendosi in tematiche, schemi e stratagemmi narrativi. Aveva con sé il romanzo di Edgar Rice Burroghs Soo le lune di Marte, il cui eroe, John Carter (Luke?), ha l’incarico di salvare una coraggiosa principessa, Dejah oris (Leia?);667 e il ciclo dei Lensman, la serie di storie scrie da E.E. “Doc” Smith su dei polizioi spaziali dotati di superpoteri (gli Jedi?), una variante dei suoi adorati fumei su Tommy Tomorrow. Lucas divorò anche qualsiasi cosa fosse uscita dalla penna di Harry Harrison, il cui Largo! Largo! era di recente stato trasposto su grande schermo con il titolo di 2020: i sopravvissuti.668 Nel romanzo di Harrison, la spalla del protagonista Andrew Rush si chiama Solomon ‘Sol’ (Solo?) Khan. Lucas leggeva Harry Harrison su riviste come Amazing e Astounding Tales, che ospitavano regolarmente autori come Robert A. Heinlein ed E.E. Smith. “‘Da ragazzino leggevo moltissima fantascienza,’ ricorda Lucas ‘ma invece di leggere autori di fantascienza tecnologica come Isaac Asimov, ero interessato più a un approccio fantastico, surreale al genere.’”669 (Ao IV ←) In realtà spesso Harrison si divertiva a parodiare i grandi come con Bill, the Galactic Hero, parodia di Starship Troopers di Heinlein. Harrison, oltre che essere stato anche uno degli autori della serie a fumei Flash Gordon, era anche un glooteta, cioè un creatore di linguaggi artificiali, come J.R.R. Tolkien e Anthony Burgess (l’inventore del Nadsat, la lingua parlata da alcuni personaggi di Arancia meccanica,

romanzo scrio dallo stesso Burgess e trasposto al cinema da Stanley Kubrick nel 1971). Potrebbe essere stato anche questo a ispirare a Lucas l’idea di un universo composto di una miriade di razze ognuna con la propria lingua, a partire dalla scena della cantina di Mos Eisley. In occasione della sua morte, ha deo di Harrison Michael Carroll, suo collega e amico, rivelando ancora più a fondo l’influenza che deve aver avuto su Lucas: “‘Prendete I pirati dei caraibi o I predatori dell’arca perduta, e immaginateli come romanzi di fantascienza. Sono avventure dirompenti, ma sono anche storie con un sacco di anima.’”670 A proposito di Flash Gordon. La serie a fumei ideata da Alex Raymond nel 1934 e poi trasformata in serial radiofonici e cinematografici, con una puntatina nel vero e proprio lungometraggio nel 1974 soo forma di parodia erotica (Flesh Gordon), e ripresa nel 1980 da Mike Hodges, era per Lucas un’ossessione. Ma i dirii erano stati acquistati da Federico Fellini, perciò Lucas fu costreo a immaginare da zero una storia che ricalcasse le avventure di Flash, Dale Arden (Leia), il door Zarkov (Obi-Wan Kenobi), l’imperatore Ming (Darth Vader) e il pianeta Mongo e quelle successive di Flash come pilota spaziale in giro per l’universo.671 ella di incardinare un’epopea fantascientifica su un eroe come Gordon o Buck Rogers672 (altra passione di Lucas, versione anni trenta del moderno Capitan Harlock),673 “due prototipi dell’eroicizzazione dell’americano indistruibile, il campione pronto a baersi per sport contro gli abusi della tirannide (nel futuro o in mondi lontani)”674 fu una delle idee chiave per risolvere il problema della sospensione dell’incredulità: “Il genere fantascientifico oppone due limiti costituzionali alla partecipazione emotiva dello speatore: tematicamente, l’elaborazione fantastica è antefilmica e introduce un raddoppiamento della convenzione; in sede iconografica, il materiale profilmico non comporta qualità mimetiche, ma è fruo di aività soltanto immaginativa.”675 Per questo motivo, sostiene Nepoti, diventa necessario ovviare al pericolo del disorientamento con il “sicuro punto di riferimento della personalità eroica”.676 Una personalità eroica che, però, deve essere familiare e dunque derivare “da modelli preesistenti e noti”.677 Lucas è uno junghiano (in quanto campbelliano e americano) e dunque, come abbiamo potuto vedere, non particolarmente affascinato dall’Unheimlich freudiano, che in italiano traduciamo con il termine “perturbante” e che può fare

anche riferimento a qualcosa di pauroso, spaesante.678 Ma la cui traduzione leerale, semplificando molto è “non familiare”.679 Se ci fosse bisogno di un altro indizio per individuare una volta per tue in Flash Gordon uno degli archetipi alla base di Star Wars, basterebbe confrontare il testo introduivo (cosiddeo opening crawl) di Lucas con quello dei serial degli anni trenta di Flash Gordon.680

L’impero colpisce ancora

Flash Gordon

Union Pacific Per chiudere, ecco un passaggio del libro di Kaminski e Secret History of Star Wars, in cui l’autore ci permee di addentrarci nella minuziosa opera di scriura e nelle note di Lucas mentre stava costruendo i personaggi. In particolare C-3PO, ispirato alla donna meccanica di Metropolis (Fritz Lang, 1927): [Lucas] si preparò con lo stesso metodo che aveva usato all’inizio dell’anno: facendo liste di nomi. “Kane Highsinger/amico dello Jedi; Leia Aquilae/principessa; General Vader/comandante imperiale; Han Solo/amico.” Aggiunse alla lista anche “Citrepio” e “Erredue Didue” come “operai” ma in seguito pensa: “Due lavoratori robot? Uno nano e uno stile Metropolis”, quest’ultimo è un riferimento alla donna meccanica del film del 1927 di Fritz Lang; l’idea di avere come personaggi dei robot operai rimase, e nell’ultimo appunto si legge “rendere il film più dal punto di vista dei robot”.681 Nella quarta stesura dello script, del 15 gennaio 1976, le intenzioni di Lucas a questo proposito erano molto chiare. È l’inizio del film, siamo appena entrati nella navicella spaziale dei ribelli. INT. SALTABLOCCHI RIBELLE – CORRIDOIO PRINCIPALE

Un’esplosione scuote la nave mentre due robot, R2-D2 e C-3PO, cercano di inoltrarsi nel corridoio nonostante i balzi e gli scossoni. Entrambi i robot sono vecchi e malconci. Erredue è un tripode basso e dotato di artigli. Il volto è una massa di luci di

computer che circondano un occhio-radar. Citrepio, invece, è un robot alto e slanciato dall’aspetto umanoide. La sua superficie metallica e scintillante color bronzo ha un design Art Deco. Un altro colpo li scuote mentre camminano. C-3PO

Hai sentito? Hanno colpito il reattore principale. Saremo certamente distrutti. Questa è pazzia! Siamo condannati. Non c’è scampo questa volta per la principessa. Fu così che l’Art Deco entrò in Star Wars, oltre che nell’ispirazione per i bozzei di Cloud City, il luogo dove, nell’Impero colpisce ancora, Luke scopre la vera identità di Darth Vader. In quest’ultimo caso, “Lucas aveva mostrato a Ralph Mcarrie [il conceptual artist della prima trilogia] immagini delle cià dai palazzi slanciati dei fumei di Flash Gordon degli anni trenta, come ispirazione”.682 Luc Skywalker Pochi immaginano che uno dei fumei di fantascienza che Lucas, molto probabilmente, “teneva sul comodino” era quello delle avventure per ragazzi di Luc Orient, un giovane spaccone scavezzacollo alla Douglas Fairbanks, bello e coraggioso, assistente del door Hugo Kala. Luc, Hugo e Lora – riproposizione del terzeo (Flash) Gordon, Zarro e Dale? – fanno la loro prima apparizione il 17 gennaio 1967 nel numero 952 di Tintin. La storia s’intitola Les dragons de feu (Il drago di fuoco) ed è sceneggiata da Greg (Michel Reigner) e disegnata da Eddy Paape, entrambi belgi. In Italia apparve nel 1967 per la prima volta sul Corriere dei Piccoli. Luc ha a che vedere con alieni, astronavi, guerre, caivi intergalaici, ed è portatore di una buona dose di ingenuo eroismo. Ma l’elemento che in particolare mi fa ritenere che abbia offerto a

Lucas una direa influenza per la saga è un passaggio della storia La fortezza d’acciaio, originariamente pubblicata nei numeri 10821102 di Tintin nel 1969 (Lucas aveva venticinque anni e avrebbe iniziato a ideare Star Wars due anni dopo). La base dei ribelli di Terango su Xorramango sta aspeando l’aacco dell’esercito di Argon (come nell’Impero colpisce ancora). ando i rilevatori sentono la presenza del nemico, Luc e i suoi compagni si trovano di fronte a una scena terribile: decine di bizzarri carriarmati che si muovono su zampe, molto simili a quelli sul pianeta ghiacciato Hoth del quinto episodio di Star Wars, gli AT-AT. Luc impugna un’arma che ha tua l’evidenza di essere una corta spada laser ed è costreo ad affrontare, da solo (come Luke), uno dei mezzi, compiendo un ao di enorme coraggio.

Immagine traa dal nº 12 del 22 marzo 1970 del Corriere dei Piccoli, p. 7. Luc Orient e gli ordigni semoventi di Argos. Il fantasy, la Forza e la magia “La serie di Star Wars incoraggiò la riemersione del fantasy, un altro genere minore degli anni degli studios.”683 Secondo Bordwell, a partire dal Mago di Oz il cinema fantasy è stato un’appendice del cinema d’animazione, di quello “a passo uno” del leggendario Ray Harryhausen e dei film eroici della Disney. Possiamo quindi anche in questo caso individuare il desiderio del recupero di un genere cinematografico classico come uno dei molteplici ingredienti della costruzione immaginifica della saga. Amavo i serial della Universal con Buster Crabbe. Dopo L’uomo che fuggì dal futuro volevo fare Flash Gordon. […] È il supereroe elementare dello spazio. Mi resi conto che quello che volevo fare davvero era un action fantasy contemporaneo.684

La definizione di action fantasy di Lucas relativa a Flash Gordon ci aiuta a introdurre una riflessione importante. Il destino di Star Wars di non poter essere inquadrato in un genere specifico è condiviso in realtà da quasi tue le opere di finzione, leerarie o cinematografiche, seppure nella stragrande maggioranza dei casi con un grado di complessità molto inferiore a quello di Star Wars. È impossibile che una narrazione appartenga a un esclusivo genere, che sia “pura”. C’è sempre l’intervento di qualche elemento proveniente da altri lidi semiotici o tematici ad aiutare l’autore a essere il più originale ed efficace possibile. Nella maggior parte delle narrazioni fantascientifiche la scienza non è tuo: spesso “sono permeate di motivi fantastici, connessioni narrative che derivano dalla logica del mito, metafore di credenze magiche o religiose…”.685 Così come nel fantasy spesso intervengono elementi scientifici. Sono generi non omogenei. “Il loro fruo potrebbe essere fantascienza ma le radici sono fantasy, e i fiori e le foglie, magari, altro ancora.”686 La stessa definizione di “fantasy”, da sola, non è sufficiente a catalogare in maniera precisa un’opera. Tanto più il discorso vale per Star Wars che è, da questo punto di vista, un amalgama (un sundae, direbbe Lucas) di vari soogeneri del fantasy. Al neo delle dichiarazioni di Lucas, rimane comunque manifesto che Star Wars è, anche, un fantasy, se non altro perché, diversamente dalla fantascienza, questo genere è basato sul mito.687 Tra i soogeneri che aderiscono alla narrazione della saga il primo e più evidente è lo science fantasy, un filone al crocevia tra science fiction e fantasy. Considerato quanto ho appena evidenziato in nota 687 a proposito della Forza, lo science fantasy aggiunge alla fantascienza elementi di magia. Nella biografia di Dale Pollock, Skywalking, scopriamo infai che una forte influenza sulla concezione della Forza arrivò dalla leura di L’isola del Tonal di Carlos Castaneda (1974), un libro che racconta anche del ruolo delle pratiche magiche nella formazione spirituale di uno sciamano. Cos’è infai la Forza se non un sinonimo di Potere? O magari di intuito? La terza Tavola dell’epopea classica babilonese di Gilgamesh, uno dei primi eroi della leeratura epica di tui i tempi, ha questo incipit, in accadico (la lingua che veniva parlata nel nord della Mesopotamia più di quaromila anni fa): “Gli anziani lo benedicono e danno a Gilgamesh un consiglio sul

viaggio: Non confidare, o Gilgamesh, su tua la tua forza; considera aentamente (ogni cosa), fidati del tuo intuito.”688 O, forse, del potere dell’intuizione? Un altro soogenere che emerge dall’analisi della saga è quello cosiddeo sword-and-sorcery (leeralmente: spada e stregoneria), spesso collegato all’heroic fantasy. Accompagna la fantascienza con sfumature di narrazioni di cappa e spada, prevedendo in sostanza l’action, coerentemente con la visione di Lucas del proprio film di action fantasy. Brian Aldiss, uno dei giganti della leeratura di fantascienza, definì così l’heroic space fantasy, o la space opera, nel 1974: Idealmente, la terra deve essere in pericolo, deve esserci una missione e un uomo che si scontra con il proprio destino. ell’uomo deve affrontare alieni e creature esotiche. Lo spazio deve fluire araverso le porte come vino dalla brocca. Deve scorrere sangue per le scale dei palazzi, e le astronavi devono lanciarsi nell’oscurità minacciosa. Deve esserci una donna più bella del cielo e un caivo più oscuro del Buco Nero. E alla fine tuo si deve aggiustare.689 A parte il sangue e il fao che a essere in pericolo è la galassia e non la terra, la descrizione dell’autore del racconto Supertoys Last All Summer Long (da cui Kubrick ha trao, insieme a Ian Watson e Sarah Maitland, lo script di A.I. – Intelligenza artificiale, poi realizzato da Steven Spielberg, 2001) sembra aderire perfeamente a Star Wars. Soprauo se teniamo presente quest’altra sua dichiarazione: “[Le space operas] sono, a loro modo, sintesi degli stessi impulsi che stanno dietro alle favole tradizionali.”690 Il Planetary Romance, altro soogenere del fantasy, contempla “storie d’avventura quasi interamente ambientate sulla superficie di qualche mondo alieno, con duelli con le spade (o simili), mostri, telepatia […] o altre magie inspiegabili, e civiltà aliene simili all’uomo che spesso sembrano quelle del passato preistorico della terra (con dinastie reali, teocrazie, ecc…)”.691 Un aspeo molto importante della struura iconografica e narrativa di Star Wars è il côté da fantasy medievale in cui i protagonisti sono cavalieri-eroi (come i cavalieri Jedi) e principesse (Leia), e il cui mondo è popolato da creature inventate o soprannaturali del fantasy (Chewbacca, Jabba). “La nostalgia del tardo ventesimo secolo per il medioevo è particolarmente evidente

nei film di fantascienza come Star Wars ed E.T. Anche se nessuno di questi film è ambientato nel Medioevo, entrambi impiegano temi medievali per suggerire che le cose erano migliori nel passato.”692 È stato notato, per esempio, che Obi-Wan Kenobi sembra un cavaliere eremita medievale che sta scontando una penitenza su un pianeta inospitale per aver commesso chissà quale errore.693 Mentre Luke, in fin dei conti, è un orfano “che si sforza di diventare un cavaliere Jedi come suo padre prima di lui. Proprio come re Artù scopre la sua identità solo dopo aver estrao una spada dalla roccia, Skywalker scopre il suo passato solo dopo che Obi-Wan Kenobi gli mostra la spada laser del padre”.694 È evidente, tanto da non richiedere ulteriori approfondimenti, che tra le carte giocate da Lucas c’è anche quella del fantasy mitico, che prende spunto dai temi e dai simboli della leggenda, del mito e della fiaba. Tanto da far dire a Giampaolo Dossena nel suo straordinario libro Storia confidenziale della leeratura italiana: Possiamo leggere le storie di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda come storie di fantasy, e meerle insieme ad altre cose che ci piacciono, dai libri di John Ronald Reuel Tolkien (18921973) ai film di George Lucas, dai fumei di Hugo Pra ai giochi di Gary Gygax.695 Chiudiamo questa ricognizione nei soogeneri del fantasy con quello che più di ogni altro coincide con il genere maggiore: l’high fantasy, o fantasy epico. L’elemento interessante di questo mondo di regole è l’eroe: spesso un ragazzo ingenuo, inconsapevole di quanto avvenga al di là della sua zona di comfort, il suo villaggio, ma che all’improvviso viene catapultato nell’occhio del ciclone della baaglia tra Bene e Male grazie a un saggio o un veggente. Finché si rende conto di essere l’unica persona al mondo in grado di sconfiggere il nemico e si gea nell’agone. L’eroe viene aiutato dal suo maestro, spesso un mago (Obi-Wan Kenobi), e circondato da amici (Solo), personaggi dai grandi poteri (Yoda) anche di popoli diversi (Chewbacca). È arrivato il momento di confessarlo. La riflessione di questo arto Ao potrebbe essere sintetizzata in poche parole, che sono davanti agli occhi di tui da quarantacinque anni: […] La storia di un ragazzo, una ragazza e l’universo. […] Una saga spaziale di ribellione e amore [romance, N.d.A.]. È

un’epopea di eroi, caivi e alieni provenienti da migliaia di mondi diversi. È la voce off che accompagna il teaser-trailer di Star Wars (→ Romancing the Planet. All’inseguimento del pianeta nero), uscito nel 1976 quando Lucas non aveva neppure incontrato John Williams e le musiche restituivano tua un’altra atmosfera rispeo a quella definitiva (La musica inaudibile ←). Il western, Tuco e Mando I western erano imponenti quando ero piccolo. ando finalmente comprammo la televisione trasmeevano western in continuazione. I film di John Wayne direi da John Ford prima ancora che sapessi chi fosse John Ford. Credo abbiano avuto una forte influenza sul mio amore per il cinema. George Lucas696 Il western è nato dall’incontro di una mitologia con un mezzo d’espressione.697 L’abbiamo visto all’inizio di questo arto Ao: “Sto lavorando su un western ambientato nello spazio” rispose Lucas quando, dopo l’uscita di American Graffiti, gli chiesero quale sarebbe stato il suo prossimo film. Dovendo scegliere un unico genere per Star Wars sceglierei il western. I motivi sono molti, li abbiamo affrontati e li affronteremo ancora in questo capitolo. Ma ce n’è uno in particolare più convincente di tui. Citando Warshow, gli autori di Alternative Screenwriting rifleono sul genere e sembra di sentir parlare di Luke: […] Nel genere western è presente la visione oimistica dell’eroe. L’eroe nel western funziona su un piano di moralità non disponibile al gangster dei tempi moderni. Nel mondo idealizzato del western, risoluzioni semplificate ai conflii e alle aspirazioni etiche consentono al pubblico quel tipo di realizzazione che è associata a un tempo semplificato, bucolico.698 Sono due i trai macroscopici che collocano Star Wars anche tra le fila del genere western: l’ambientazione del pianeta desertico di

cui è originario Luke e il personaggio di Han Solo. E anche qui le similitudini con Dune non mancano, se è vero che sia Dune sia Star Wars vengono inseriti entrambi tra i “western interstellari”, film che “hanno invaso gli spazi un tempo occupati da film come Il grande cielo o Sentieri selvaggi”.699 Vediamo per esempio una scena di Star Wars traa dalla quarta stesura (15 gennaio 1976), che recupera uno dei topoi classici del genere: il cacciatore di taglie a confronto con la sua preda, finalmente raggiunta. È la scena ambientata nella cantina di Mos Eisley tra Greedo, il bounty killer, e Han Solo, il cowboy antieroe dal cuore d’oro. Anche se basterebbero gli schizzi disegnati da Ralph Mcarrie per comprendere come Solo fosse a pieno titolo un personaggio del western: il cinturone, la mano destra protesa sulla pistola laser infilata nella fondina all’altezza dell’anca e legata alla coscia, gli stivali.700

INT. MOS EISLEY – CANTINA

Han sta per andarsene quando GREEDO, un alieno con una faccia verde e viscida e un corto naso tronco, gli punta la pistola a un fianco. La creatura parla in una lingua straniera tradotta con sottotitoli inglesi. GREEDO

Vai da qualche parte, Solo?

HAN

Sì, infatti. Per essere esatti stavo andando a trovare il tuo capo. Di’ a Jabba che ho i suoi soldi. Han si siede e l’alieno si siede di fronte a lui puntandogli contro la pistola. GREEDO

È troppo tardi. Avresti dovuto pagarlo quando ne avevi la possibilità. Jabba ha messo una taglia così grossa su di te che qualunque cacciatore di taglie della galassia ti sta cercando. Sono fortunato ad averti trovato per primo. HAN

Sì, ma questa volta ho i soldi, capisci… GREEDO

Se li dai a me potrei dimenticarmi di averti trovato. HAN

Ma i soldi non li ho mica qui con me. Di’ a Jabba… GREEDO

Jabba non ne vuole sapere di te. Non ha tempo per trafficanti che abbandonano il carico al primo avvistamento di un incrociatore

imperiale. HAN

Beh, a volte vengo abbordato anch’io. Credi che avessi un’alternativa? Han Solo raggiunge lentamente la sua pistola sotto il tavolo. GREEDO

Puoi dirlo a Jabba. Magari si prende solo la tua nave. HAN

Mi dovrà prima accoppare. GREEDO

È una buona idea. È molto tempo che aspetto di ucciderti. HAN

Ci credo proprio. L’alieno scompare accecante bagliore. fumante da sotto il avventori guardano meraviglia. Han si l’uscita, lanciando moneta.

all’improvviso in un Han solleva la pistola tavolo, mentre gli altri la scena con attonita alza e si avvia verso al taverniere qualche HAN

Scusa se ho sporcato un po’. A proposito della realizzazione di questa scena, Harrison Ford ha dichiarato, nel 2004: Arrivi in tua questa stramberia e scopri che la scena che stai facendo è simile a scene che hai già visto in altri film che puoi immaginare facilmente. C’è una scena basata su una sorta di concezione western. ando sparo al tizio da soo il tavolo. Non c’era alcun mistero. Era solo una faccia nuova su qualcosa di molto familiare.701

Vogler fa notare che spesso nei western è presente un legame duraturo tra l’eroe e un compare, un alleato che supporta le sue avventure. “Lone Ranger ha Tonto, Zorro ha il servo Bernardo, Cisko Kid ha Pancho.”702 A sua volta, da Enkidu (la prima figura “antropoeccentrica” della leeratura di tui i tempi) “discende” Tarzan. Mentre Palumbo rileva che Chewbacca “è per Han Solo quello che Tonto è per Lone Ranger”.703 La sequenza della cantina, inoltre, prende in prestito tue quelle immagini dei saloon dei western come luoghi di “ricognizione, sfide, alleanze e apprendimento di nuove regole”.704 Come abbiamo avuto già modo di vedere, Star Wars è un film postmoderno, pieno di “allusioni, riferimenti e strizzatine d’occhio” (Ammazziamo il drago! ←; Reaganite Entertainment ←). Il riferimento più immediato della scena appena presa in esame è una sequenza di Il buono, il bruo e il caivo (Sergio Leone, 1966). Tuco (Eli Wallach) è immerso in una vasca piena di bolle di sapone. Nella stanza entra un killer che tenta di ucciderlo. Tuco lo lascia parlare, come Solo fa con Greedo, per prendere tempo e prepararsi a sparare. “ando si spara si spara, non si parla” gli dice dopo averlo freddato usando la pistola che nascondeva soo la schiuma da bagno, così come Solo la nascondeva soo il tavolo. Né Tuco né Solo hanno l’apparenza di essere spaventati dalla situazione, piuosto sembrano annoiati, come se fossero abituati a correre rischi simili. Ma questa scena, a sua volta, Leone l’aveva rubata a Il grande sentiero (John Ford, 1964). Non a caso Baudrillard definì Leone “il primo regista postmoderno”.705 “L[eone] è stato il primo cineasta moderno a realizzare film autenticamente popolari che, al tempo stesso, rivelano in maniera sorprendente un’impronta decisamente personale (i ricordi d’infanzia e del periodo di guerra; le citazioni dai film amati).”706 Sergio Leone, come è noto, aveva leeralmente rubato l’idea del suo primo film, Per un pugno di dollari (1964), a un film che aveva amato: La sfida del samurai (Akira Kurosawa, 1961). Provando in questo modo che un remake quasi identico del film giapponese poteva funzionare in un nuovo contesto. Per Lucas, Leone era un punto di riferimento fondamentale. “[…] il film del 1968 di Leone C’era una volta il West era uno dei film che Lucas proieava alla troupe per illustrare il look che desiderava. L’iconica entrata di Vader in Star Wars somiglia

all’entrata di Frank (Henry Fonda) in C’era una volta il West, con entrambi gli uomini che appaiono araverso il fumo nella devastazione di un massacro che hanno appena ordinato. Se ci fai aenzione, il tocco western è ovunque.”707 Ma Leone e Lucas, e i loro film, condividono altro, di altreanto importante: il desiderio di raccontare storie epiche, di riproporre il mito araverso la rimodulazione del favolistico. Il primo, lontano da Disney; il secondo, come abbiamo visto, molto vicino. Leone dichiarò: I film sono per gli adulti ma rimangono favole e hanno l’impao delle favole. Per me il cinema ha a che vedere con l’immaginazione e l’immaginazione si comunica al meglio soo forma di parabole – cioè di favole. Ovviamente non come fa Walt Disney, che arae su di sé l’aenzione come favole: è tuo costruito e ripulito e zuccheroso, e questo rende il racconto meno suggestivo. Almeno per me. […] La fusione di ambientazioni realistiche e storie fantasy può dare al film il senso del mito, di leggenda. C’era una volta…708 Perciò non deve essere un caso che, seppure Leone non amasse, da regista, il cinema di fantascienza, da bambino fosse un avido leore… di Flash Gordon. E che quel film che Lucas avrebbe tanto voluto trarre dai fumei di Alex Raymond, Leone stesso lo avesse sfiorato nel 1980. “[Arrivò] un’offerta da De Laurentiis per dirigere Flash Gordon (‘Ma la rifiutai quando scoprii che il progeo non aveva nulla a che vedere con i disegni originali di Alex Raymond’)”.709 D’altronde “nonostante l’assoluta centralità di questo genere all’interno del cinema americano classico, soprauo a partire dagli anni quaranta, l’establishment hollywoodiano ha sempre guardato ai western con sufficienza, come a film da adolescenti, struuralmente incapaci di esprimere valori ‘artistici’”.710 Un destino subito inizialmente, per la miopia critica istituzionale italiana, anche dal cinema di Sergio Leone nel suo stesso paese. Se paragoniamo Star Wars ad altri film che mescolano il western con la fantascienza notiamo che Lucas non ha realizzato un vero e proprio ibrido tra i due generi. Esempi perfei di questo amalgama sono invece Wild Wild West (Barry Sonnenfeld, 1999) e Ritorno al futuro – Parte III (Robert Zemeckis, 1990). Il primo è ambientato nel West ma si avvale di elementi di fantascienza steampunk, il secondo è fantascienza ma parte della storia ha luogo nel vecchio West. Star

Wars non è neppure, ovviamente, un western decostruito come Piccolo grande uomo del collega ragazzaccio Arthur Penn (1970). È piuosto, semplicemente, un western decontestualizzato. esta scelta avrebbe potuto essere pericolosa per il pubblico, che si sarebbe trovato di fronte a un oggeo misterioso e avrebbe rischiato di fare fatica a entrare nella storia. Ma Lucas, che amava Kurosawa – di cui aveva apprezzato I see samurai (1954) e di cui adorava lo stile “‘così forte e unico’ con le tendine orizzontali per passare da una scena all’altra, il montaggio serrato, e l’aspeo polveroso e un po’ usurato di set e costumi” –711 era tranquillo. “Gli piaceva la sicurezza con la quale il regista giapponese sprofondava gli speatori nel mezzo del Giappone medievale o in quello del diciannovesimo secolo senza neanche una spiegazione. Lascia il pubblico in compagnia della mitologia per un po’ di tempo, pensava Kurosawa, e ciò che sembra estraneo [uneimlich, N.d.A.] diverrà familiare [eimlich, N.d.A.].”712 Forse il più evidente copiaincolla che Lucas ha fao con il western è la sequenza in cui Luke scopre l’assassinio di Owen e Beru Lars, gli zii che lo hanno adoato dopo la (presunta) morte dei genitori. Deriva dalla sequenza di Sentieri selvaggi in cui Ethan (John Wayne), tornato dalla caccia ai ladri del bestiame del fratello, scopre che la famiglia del fratello è stata massacrata e che la nipote è stata rapita dai comanche.713 Ma questo è un riscontro superficiale, che non basterebbe a sostenere la tesi, ormai più che accreditata, secondo la quale Lucas abbia tenuto presente il western di Ford nell’ideazione del primo film della sua saga. L’eredità è più profonda: innanzituo sia Sentieri selvaggi sia Star Wars “giocano su un’antica tradizione americana di natura leeraria e mitica, quella della ‘narrativa di caività’”:714 il captivity tale, una narrazione basata sul rapimento o lo stupro da parte degli indiani di una donna bianca. Il secondo ao di Star Wars, come abbiamo visto nel nostro Secondo Ao, inizia, come in tue le struure in tre ai, dopo che l’incidente scatenante ha completato il suo lavoro: l’uccisione degli zii. Allo stesso modo, il secondo ao di Sentieri selvaggi inizia dopo la strage della famiglia. In entrambi i casi i due eroi partono in una missione di soccorso di una donna (la principessa Leia in Star Wars). La differenza sta come sempre nella visione manichea di Lucas, opposta all’ambiguità morale che Ford mee in scena con il personaggio di Ethan: se Sentieri selvaggi “mee in discussione i valori dell’uomo di frontiera”, Lucas propone invece “una frontiera ‘alta’ a cui Luke Skywalker può

tendere e che gli offre l’agognata evasione dalla vita di routine del coltivatore, con possibilità di azione, eroismo, trionfo e amore”.715 Da questo punto di vista è probabile che Lucas sia stato influenzato dal primo Ford, quello degli anni trenta (Furore, 1940; Alba di gloria, 1940; Ombre rosse, 1939; La più grande avventura, 1939). Il regista rooseveltiano pervaso di oimismo: el che in Ford rimane del New Deal, dopo la sua fine storica, è una concezione dell’America in termini di grandezza e di possibilità, la volontà mitologica di disegnarne i destini in chiave di missione storica, di grandezza epica cui l’americano è chiamato nel nuovo continente.716 Ancora delle importanti analogie: come fanno notare Alonge e Carluccio, l’uso dello spazio in Sentieri selvaggi è fondamentale per proieare la narrazione in una dimensione archetipica, quella della quest, la ricerca, il Viaggio dell’Eroe. “[…] è una scenografia fortemente stilizzata: è lo spazio del Mito, svincolato da precise coordinate geografiche. L’esistenza di una faoria in mezzo alla Monument Valley, infai, è inverosimile, perché si traa di un territorio del tuo inospitale. Ma la forza di questa location sta nella sua portata simbolica.”717 Stesso discorso vale per la faoria di Luke, sperduta nel deserto. Inoltre Lucas utilizza gli spazi immensi dello spazio, di cui quasi mai ci offre le coordinate, per ambientare la sua narrazione epica, universalmente comprensibile e per questo il più possibile non specifica. Più in generale nel western “la dimensione spaziale non ha valore di puro ambiente fisico, ma è sede di una poesia drammatica. […] Il paesaggio si ammanta, in alcuni autori, di risonanze spirituali profonde. Si pensi al sentimento dei grandi spazi nel Ford della Monument Valley o alle montagne e foreste di Mann, terre antropomorfiche e ‘paesaggio dell’anima’”.718 E si pensi ora al tramonto con il doppio sole su Tatooine, il pianeta dove Luke è cresciuto. Nel primo capitolo della saga Lucas indugia molto su Luke, in piedi, la mano appoggiata sulla coscia della gamba sinistra, appena rialzata per un dosso del terreno, che medita sul suo futuro con lo sguardo rivolto verso l’orizzonte. Nella scena finale della trilogia prequel, Star Wars: Episodio III – La vendea dei Sith, quando il giovane Obi-Wan Kenobi porta il piccolo Luke appena nato agli zii Lars, Owen è inquadrato in figura intera, in piedi, di fronte al tramonto incendiato alla Rembrandt e impreziosito dai due soli. La gamba sinistra appena rialzata per un dosso nel

terreno. Anche l’ultima scena della trilogia sequel, la chiusura definitiva della saga, vede Rey e BB8 in silhouee sullo sfondo del doppio sole di Tatooine. I momenti più introspeivi della saga sono sempre affidati a un tramonto, a un campo lunghissimo. A Rossella O’Hara. Come Lucas, molto aento ai deagli tecnologici della macchina cinematografica (il Vista Vision e il Dolby Surround), anche Ford aveva fao una riflessione profonda su quale formato di ripresa usare e alla fine scelse il Technicolor. “Il Technicolor di per sé è uno strumento più adao alla mitizzazione che al realismo.”719 Infai, nato nel 1922 e usato estensivamente fino al 1952, cioè quaro anni prima del film di Ford, il Technicolor veniva scelto per film musicali, film in costume (per esempio Robin Hood) e film d’animazione a causa dei colori brillanti della sua emulsione. Ford ne scelse una versione innovativa, panoramica, con un rapporto di 1,96:1.720 Per intenderci, un formato più largo dell’auale panoramico 1,85:1, chiamato Academy flat, e più streo del Cinemascope standard (2,35:1). Si chiamava appunto VistaVision ed era il concorrente del Cinemascope dell’epoca.721 Il VistaVision, creato dagli ingegneri della Paramount nel 1954, era lo stesso formato che John Dykstra scelse di utilizzare per Star Wars nel 1977 in quanto assicurava un’elevata definizione per gli effei speciali. Il negativo molto ampio, infai, compensava la perdita di definizione dell’immagine quando si componevano oicamente le inquadrature girate con gli effei. Anche per quanto riguarda la categoria del tempo, l’obieivo era quello di astrarre e mitizzare: “La ricerca di Ethan e Martin dura cinque anni, ma si traa di un tempo assolutamente astrao, come i ‘dieci anni’ dell’Odissea: ciò che conta è il tempo interiore del viaggio iniziatico.”722 L’iniziale destinazione di Luke è Alderaan. Ma il pianeta è stato distruo dalla Morte Nera. Da quel momento – come Ulisse che a pochi chilometri da Itaca è costreo a tornare indietro, o come il popolo d’Israele che è costreo a una peregrinazione imprevista di diversi anni prima di raggiungere la terra promessa – Luke non farà più ritorno a casa. Così come Ulisse è l’eroe per eccellenza della mitologia greca, il cowboy è l’archetipo non solo del western ma di tua la mitologia americana: “Precedente all’elaborazione cinematografica, esisteva già una nutrita mitologia dell’eroe, veicolata in primis dalla stampa popolare. Oltre al mito di Buffalo Bill (creato da Ned Buntline: circa duemila titoli fino al 1933), i pulps e le riviste specializzate avevano

definito un Gotha della Sei Colpi (Rieupeyrout) comprendente tue le personalità leggendarie della Frontiera.”723 Da un documento interno della Warner Bros relativo all’anteprima privata di Sentieri selvaggi emerge una riflessione interessante faa da Walter MacEwen, uno dei producer della major, soo forma di appunti sulle reazioni del pubblico. La cosa magistrale che ha fao John Ford è stata di inframmezzare il film con alcune grandi, aspre scene comiche, creando un bellissimo contrappunto con i passaggi tetri e feroci…724 Avventura, eroismo, grandi spazi, tempo metafisico, ribellione, donne rapite. E ironia. ella che Lucas delega soprauo alla coppia di droidi e all’iniziale rapporto di odio-amore tra Leia e Solo e che permea di sé soprauo la trilogia originale. In ogni caso, Star Wars è stato solo il primo di una serie di “western spaziali” di grande successo: Atmosfera zero (1981, Peter Hyams), Aliens – Scontro finale (1986, James Cameron), Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie (2001, Tim Burton). E Mando? Din Djarin, il vero nome del personaggio protagonista della serie Disney e Mandalorian, spin-off di Star Wars ambientato cinque anni dopo Il ritorno dello Jedi nell’anno 9ABY (dopo la baaglia di Yavin), è il ronin senza nome della Sfida del samurai (Akira Kurosawa, 1961), il film copiaincollato da Leone per il suo esordio. Mando è Clint Eastwood/Toshiro Mifune all’ennesima potenza, lo Straniero di Per un pugno di dollari, non solo senza nome ma addiriura senza volto, visto che Mando indossa un casco che impedisce allo speatore di conoscerne l’identità. Yojimbo è un mercenario, senza poteri magici ma acuto e ben allenato. C’è chiaramente un personaggio che soddisfa questi requisiti: si chiama Boba Fe. (Li soddisfa molto: l’aore che interpretava Boba Fe si ispirò a Clint Eastwood per la sua performance.)725 In origine infai il personaggio influenzato dal ronin è Boba Fe, un cacciatore di taglie antagonista di Solo che compare per la prima volta in una scena tagliata di Star Wars (di cui ci occuperemo nel prossimo capitolo) e recuperata nella riedizione del 1997. Boba Fe veste infai la stessa divisa da Mandalorian di Mando.

Probabilmente e Mandalorian è, tra tui gli episodi e gli spinoff, quello che deve di più al western. Mulholland drives726 Subito dopo il duello tra Solo e Greedo (Il western, Tuco e Mando ←), Lucas ne aveva previsto un altro, rendendo così ancora più esplicita la sua ispirazione all’archetipo del cowboy per la figura di Han. Si traa del dialogo tra Han e Jabba the Hu, inizialmente previsto per Star Wars e poi inserito nella riedizione del 1997 (Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranza).727 Lucas tagliò la scena perché non riuscì, per problemi di tempo e di budget, a realizzare il personaggio che voleva. Il viscido alieno creditore di Han era interpretato da Declan Mulholland, un aore rotondo e sovrappeso. Dal punto di vista della grammatica cinematografica, la scena è costruita come la più classica delle scene western di duello.728 Proviamo a desumerne la sceneggiatura, aiutandoci anche con la riedizione del 1997. INT. DOCKING BAY 94 – GIORNO

Un uomo corpulento, vestito con uno spolverino di pelliccia marrone, è rivolto verso l’astronave. È JABBA THE HUTT e parla in lingua huttese. Alcuni suoi scherani, la pistola in pugno, stanno cercando Solo nei pressi dell’astronave. JABBA

(urla) Solo! Vieni fuori, Solo! Solo arriva alle sue spalle, la mano vicina alla pistola nella fondina pronta per essere sfoderata. JABBA

Solo! SOLO

Sono qui, Jabba.

Jabba si volta. SOLO

Ti stavo aspettando. JABBA

Ti ho in pugno. SOLO

Non pensavi che sarei scappato, vero? Solo si avvicina a Jabba, la mano sempre pronta a impugnare la pistola. JABBA

Han, ragazzo mio, mi deludi. Anche Jabba si avvicina a Han. JABBA

Perché non mi hai pagato, e perché hai ucciso il povero Greedo? SOLO

(irritato) Senti, Jabba, la prossima volta che vuoi parlarmi vieni tu direttamente. Non mandarmi uno di quegli imbecilli. Nel montaggio finale la bauta di Solo “Sono qui, Jabba” è consumata fuori campo. A destra vediamo Jabba, di spalle, chiamare Solo. A sinistra entra in campo la “quinta” di Han, di cui vediamo solo la vita, il cinturone, la fondina e la pistola. Dopo alcuni campi e controcampi sui due personaggi, torniamo sul campo lungo di Jabba con la quinta della pistola e della mano di Han. È su questa inquadratura minacciosa che Han si avvicina, facendoci intendere che è pronto a usare la pistola in qualunque momento. Si traa di una delle inquadrature più western che il primo capitolo della saga abbia osato.

Frame trao da Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranza – La riedizione del 1997. Jabba the Hu nella versione definitiva digitale.

Foto dal set della versione originale di Star Wars (1977) con l’aore Declan Mulholland nei panni di Jabba the Hu. L’adventure movie e la fortezza spaziale Una volta Alfred Hitchcock disse che non vedeva molti film. Un executive, perplesso, gli chiese: “Ma allora da dove prende le sue idee?”729 In questi capitoli stiamo cercando di meere a fuoco il numero maggiore di influenze che Lucas può aver avuto nel processo di ideazione di Star Wars. L’obieivo non è quello, ovviamente, di dimostrare con esaezza quali istanze narrative, stilistiche, iconografiche e culturali abbiano ispirato il regista californiano, bensì quello di verificare se tali influenze configurino ulteriormente, e con quale grado di intensità, un recupero del classicismo hollywoodiano. Abbiamo visto cosa si intende per

classicismo e abbiamo visto che una delle caraeristiche del cinema hollywodiano dei tempi d’oro (tra gli anni venti e la fine degli anni cinquanta) è la categorizzazione dei film in generi. Il cinema d’avventura è tra questi. Anche in questo caso, come per il fantasy, siamo di fronte a un genere molto eterogeneo: “Più che un’unica tipologia, potrebbe essere definito un ‘genere-raccoglitore’, che porta con sé elementi della fantascienza classica, del mito, dei film di cappa e spada,730 del western, del fantasy e della fiaba. L’adventure movie è una categoria che, più di ogni altra, fa uso di qualunque spunto, a livello tematico o figurativo, che possa garantire il coinvolgimento dello speatore.”731 Abbiamo così, di fao, individuato alcuni primi punti di contao tra Star Wars e l’adventure movie. Il fao di essere entrambi raccoglitori di generi farebbe pensare che Star Wars sia struurato fondamentalmente come un film d’avventura, dentro il quale sono stati accolti altri generi o soogeneri quali la fantascienza, il fantasy e così via. D’altra parte questo tipo di narrazione ha come obieivo quello di garantire il coinvolgimento dello speatore a ogni costo. E noi ormai sappiamo che anche questo è stato l’obieivo di Lucas negli anni in cui stava meendo a fuoco struura e anima del suo terzo film. I riferimenti più immediati a questo tipo di film sono senza dubbio La leggenda di Robin Hood (Michael Curtiz, 1938) con Errol Flynn e i film con Douglas Fairbanks degli anni venti. Film i cui protagonisti sono, classicamente, goal-oriented heroes. Per completezza, non rimane che approfondire un’altra tipologia di film d’avventura, culturalmente diversa e non aribuibile al cinema classico hollywoodiano, almeno non direamente: quella del cinema di Akira Kurosawa. In particolare il suo La fortezza nascosta (1958). La fortezza nascosta è a tui gli effei un film d’avventura, o almeno così è considerato dallo showbiz statunitense.732 “La fortezza nascosta influenzò Star Wars fin dall’inizio”, disse Lucas. “Mi stavo guardando intorno alla ricerca di una storia. Avevo in testa delle scene – quella della cantina e quella della baaglia nello spazio – ma non riuscivo a trovare la trama. All’inizio il film non era altro che una buona idea in cerca di una storia. E poi pensai a La fortezza nascosta, che avevo rivisto

nel 1972 o 1973, e così le prime trame furono molto simili a quel film”.733 È vero. La sinossi originale di e Star Wars di quaordici pagine, del maggio del 1973, sembra traa dal film di Kurosawa. Il generale Rokurota Makabe (Toshiro Mifune) è incaricato di salvaguardare l’incolumità della sua principessa durante l’araversamento delle linee nemiche, accompagnato da due imbranati e avidi contadini in fuga dalla guerra. Azione, dramma e commedia sono gli ingredienti che hanno reso questo film diverso dalle altre pellicole epiche feudali giapponesi. E hanno dato a Lucas l’idea di fondo del punto di vista della narrazione: le vicende dell’Impero e dei Ribelli vengono viste dalla prospeiva degli “ultimi” (come i personaggi del film di Kurosawa), i due droidi e Luke. La parte più interessante della Fortezza nascosta era il fao di essere raccontata dal punto di vista dei due contadini e non dal punto di vista della principessa. Mi piacque quell’idea. Mi ha instradato su un percorso molto interessante perché sono riuscito a inquadrare il film in un modo davvero interessante.734

Uno dei manifesti promozionali giapponesi di La fortezza nascosta. Le somiglianze risultano impressionanti se si comparano una breve sintesi del soggeo di Lucas e il riassunto della trama che si

trova nella biografia di Donald Richie del 1965, e Films of Akira Kurosawa: e Star Wars: “Siamo nel trentatreesimo secolo, un periodo di guerra civile nella galassia. Una principessa ribelle, con la sua famiglia, i suoi servitori e le ricchezze del clan, è inseguita. Se riescono ad araversare il territorio controllato dall’Impero e a raggiungere un pianeta amico saranno tui salvi. Il Regno ne è a conoscenza e mee una ricompensa per la caura della principessa.” La fortezza nascosta: “Siamo nel sedicesimo secolo, un periodo di guerre civili. Una principessa, con la sua famiglia, i suoi servitori e le ricchezze del clan, è inseguita. Se riescono ad araversare il territorio nemico e a raggiungere una provincia amica saranno salvi. Il nemico lo sa e mee una ricompensa per la caura della principessa.” Ovviamente la sintesi di e Star Wars non abbraccia l’intera sinossi del film ma offre uno sguardo significativo sull’influenza del film giapponese mentre Lucas cercava di trovare la sua strada. Stimolati dallo scrio di Jan Helander del Dipartimento di comunicazione e linguaggi dell’Università della tecnologia di Luleå, ecco più nel deaglio gli elementi principali somiglianti tra loro. Sia e Star Wars che La fortezza nascosta contengono un viaggio araverso il territorio nemico, ma laddove i personaggi di Kurosawa vanno a cavallo, Lucas fa viaggiare il generale [Skywalker, N.d.A.], la principessa e gli impiegati su dei “land speeders”. Il tesoro del clan della principessa ribelle consiste in duecento pound di “spezia aurea”, mentre la principessa di Kurosawa trasporta milleseicento pound di oro. La scena dell’inseguimento del film giapponese è stata sostituita con una scena in cui i ribelli, sui loro jetstick, vengono inseguiti da alieni pelosi che cavalcano creature simili a uccelli come quelle presenti in John Carter of Mars dei libri di Edgar Rice Burroughs. Il generale Skywalker è sfidato da uno degli alieni a un duello con le lance, duello presente anche in La fortezza nascosta. La scena della cantina, che rimane praticamente intaa araverso le modifiche delle varie stesure, e la cerimonia finale della premiazione sono anch’essi elementi presi in prestito da

Kurosawa. Anche se alcune parti delle stesure successive possono ricalcare il film giapponese, Star Wars parte come un film basato su La fortezza nascosta e finisce come un film meramente ispirato a essa. Proprio come nel film definitivo, l’eroe di questa prima sinossi si chiama Luke Skywalker, ma invece di un giovanoo è un generale incredibilmente potente, quasi inumano nelle sue azioni. Come Makabe, il generale di La fortezza nascosta (interpretato da Toshiro Mifune), Luke è duro, inflessibile, freddo e spietato, purtuavia un uomo da ammirare. La fortezza nascosta potrebbe addiriura aver ispirato Abrams nell’ideazione del personaggio di Rey nei tre episodi della trilogia sequel.735 Lucas ha deo che Leia è “una principessa alla ‘alzati e combai’”, diversa dall’eroina di Kurosawa, ma è un’affermazione sbagliata visto che Uki in effei resiste e combae: quando Tahei e Mataschichi inizialmente la spiano nella foresta, lei li colpisce con un bastone. […] Il personaggio di Daisy Ridley è una combaente migliore di qualunque sua controparte maschile. Infai il suo aeggiamento quando maneggia un bastone o una spada laser potrebbe essere stato rubato direamente dai duelli di Kurosawa.736

La principessa Yuki (La fortezza nascosta)

Rey, nella trilogia sequel Nell’oobre del 2020, in occasione dell’uscita del libro di Pablo Hidalgo (Star Wars: Fascinating Facts, Portable Press), il creativo

della Lucas Film (→ Alderaan rossa?) ha affermato che il fao che il nuovo eroe della trilogia sequel fosse una giovane donna era già nella mente di Lucas prima che arrivasse la Disney: avrebbe dovuto essere una quaordicenne di nome Taryn. Poi ea, Winkie, Sally, Kira, Echo e infine Rey. Lo stesso regista che ai tempi della scuola di cinema aveva fao conoscere Kurosawa a Lucas, e che ne era artisticamente innamorato, John Milius, affermò durante l’intervista in un documentario: “La messa in scena visiva di Ford non è stata mai superata da nessuno. […] ando chiesero a Kurosawa quali artisti, quali piori studiasse per trarre ispirazione, Kurosawa rispose: ‘Studio John Ford.’”737 Ricapitolando: Lucas trae una profonda ispirazione per la prima versione del traamento di Star Wars da Akira Kurosawa.738 Inoltre, per spiegare ai suoi collaboratori cosa voleva, fa loro vedere Sergio Leone. Sia Kurosawa sia Leone sono “allievi” di Ford. Lucas dunque si appoggia anche in questi due casi al cinema classico hollywodiano, oltre che araverso l’ispirazione direa a Sentieri selvaggi, recuperando più o meno consapevolmente quello che forse è stato il più grande dei suoi filmmaker. esto gioco labirintico di citazioni, influenze e a volte veri e propri plagi non è raro nel processo creativo. “Gli artisti prendono ispirazione da ciò che conoscono e che hanno visto e lo combinano in modi nuovi, ed è questa unica somma di influenze che genera la variazione creativa quando è combinata con le caraeristiche dell’artista.”739 Lo stesso Kurosawa ha raramente girato dei film (compreso La fortezza nascosta) basati su sceneggiature originali. Le sue fonti erano Shakespeare, i racconti popolari e diversi romanzi. Le novità nascono quindi da un processo inedito di ricombinazione di materiale edito (vedi l’inizio del arto Ao). Bordwell, nel suo Reinventing Hollywood, arriva a parlare dello storytelling di Hollywood come di un “ecosistema”: Motivo, formula, regola, convenzione, switcheroo – in qualunque modo vogliamo chiamare il processo di variazione di schemi comuni a tui… le migliaia di film di Hollywood usciti dal 1939 al 1952 sembrano una vasta gamma di alternative, di combinazioni di storie che si moltiplicano selvaggiamente. […] ando cerchiamo di visualizzare un regista mentre sceglie tra le alternative, è utile pensare a un

menu, con più o meno opzioni disponibili. Ma l’analogia del menu non restituisce la qualità dinamica, il senso delle varianti che si mescolano e generano nuovi ibridi. Perciò forse dovremmo immaginare la cosa come un brulicante ecosistema. Un ecosistema che ospita copie esae […] insieme a varianti più o meno inesae: formule che si mescolano, si dividono, si fondono, e mutano.740 Risulta interessante notare perciò che nelle quasi seicento pagine del libro di Bordwell Star Wars venga citato, e solo di passaggio, una sola volta. Niente melodrammi, please Secondo l’imponente studio di Steve Neale sui generi cinematografici hollywoodiani, basato su un lavoro d’archivio dedicato alla pubblicistica dell’epoca, i melodrammi, contrariamente a quanto comunemente ritenuto, significavano per l’industria […] crimine, pistole e violenza; significavano eroine in pericolo; significavano azione, tensione e suspense; e significavano caivi, caivi che nei melodrammi scadenti, in ogni caso, potevano travestirsi da tipi apparentemente innocui per meere i bastoni tra le ruote dell’eroe, sorarsi alla giustizia e alimentare la suspense fino all’ultimo minuto. este storie sono definite, a volte implicitamente e a volte esplicitamente, col termine “melodrama” nelle riviste e nella promozione degli stessi film.741 Perciò il melodrama è tuo fuorché sinonimo di una serie di soogeneri che enfatizzano l’emotività e il sentimentalismo, quali il family melodrama, il woman’s film, i film strappalacrime e le soap opera.742 Poco importa, ai fini della nostra analisi, che per la Pravadelli questo stile altamente espressivo “veicolato più da elementi visivi e sonori che da quelli verbali e narrativi”743 sia anticlassico. Come abbiamo anticipato all’inizio del capitolo, rileva invece riportare come Lucas, anche lui equivocando la definizione del genere, descriveva il suo film – ancora soo la forma del traamento iniziale di quaordici pagine – come “una storia ambientata nello spazio tra Flash Gordon e Buck Rogers, James

Bond e 2001. Ma niente melodrammi”. Nella foga confusionaria dell’esposizione della storia del film al suo agente, Lucas confondeva quasi certamente il melodrama con il family romance. Perché quello che aveva appena descrio a Jeff Berg era a tui gli effei anche un melodramma. Romancing the Planet. All’inseguimento del pianeta nero744 Nessuna leggendaria avventura del passato può essere tanto eccitante quanto questa storia d’amore del futuro.745 Nel teaser trailer precedente a quello del 1977, quello del 1976,746 la profonda e retorica voce fuori campo soolinea che si traa della “storia di un ragazzo, di una ragazza e dell’universo”, una “saga spaziale di ribellione e amore”. Lucas e i suoi produori avevano deciso quindi di promuovere il film puntando soprauo sulla storia d’amore tra Luke e Leia, e sulla captivity tale (la scena in cui Luke salva Leia alla Douglas Fairbanks è al centro del trailer, bene in evidenza). Contraddicendo così per esigenze di marketing le premesse iniziali di Lucas che non voleva sentir parlare di family romance.

Il titolo originale è Captive Girl (William E. Berke, 1950). Si traa del titolo di punta dei serial d’avventura della Universal con Buster Crabbe. La Captivity Tale per antonomasia, storie basate sul

rapimento di una donna bianca (come in All’inseguimento della pietra verde, Sentieri selvaggi, Star Wars, vedi poster precedenti). La commedia: Marx Wars Così rispondeva Lucas al giornalista di Rolling Stones nel 1977. C-3PO è molto affezionato a R2-D2. Esao, sono stati progeati come una versione del futuro di Stanlio e Ollio. Rappresentano la parte comica del film, sono quelli che fanno ridere. Non volevo che fosse una commedia, ma volevo che fosse comunque un film divertente. Non potevano essere gli uomini a fare sempre baute, quindi le ho lasciate tue ai robot perché volevo che sembrassero più umani.747 È vero: Star Wars non è ascrivibile al genere commedia, almeno nel senso classico hollywodiano del termine, altrimenti avrei l’arduo compito di forzare un paragone con il cinema di Ernst Lubitsch, Frank Capra, Howard Hawks, René Clair, Preston Sturges e addiriura dei fratelli Marx. Ma della commedia ha almeno due caraeristiche importanti. La prima è lo stesso Capra a definirla: “La commedia è esaudimento, compimento, successo. È la vioria sulle contrarietà, un trionfo del bene sul male.”748 Una descrizione perfea, almeno del primo capitolo della trilogia originale. La seconda caraeristica è quella di essere popolata di eroine spesso femministe (Jean Arthur, Barbara Stanwyck, o la Barbra Streisand di Ma papà ti manda sola?), forti, sicure di sé, che ricordano molto, in effei, il personaggio di Leia Organa (Carrie Fisher), la principessa inizialmente araa dall’ingenuo Luke e dall’uomo di mondo Han Solo ma che fin da subito si rivela donna forte e determinata, all’altezza di comandare l’esercito dei ribelli. Inoltre, come ci ricorda Stanley Cavell, e come abbiamo anche noi già accennato, alcune commedie degli anni trenta – seppur non le see che lo stesso Calvell approfondisce – furono chiamate […] favole per la Depressione, come Se avessi un milione (1933) [ma è del 1932, N.d.A.], che consistono in una serie di episodi su cosa succederebbe a varie persone quando per caso vengono in possesso della somma del titolo.749

ello che è certo è che Star Wars non corrisponde alla definizione che ha fao della commedia Andrew S. Horton nel suo Comedy/Cinema/eory (1991) come citato da Neale: […] le commedie sono sequenze intrecciate di scherzi e gag che proieano la narrazione sullo sfondo: la commedia quindi si appoggia in misura diversa verso una qualche dimensione del non comico (realismo, film d’amore, fantasy), oppure usa la narrazione solo come un pretesto per tenere insieme momenti di aività comiche (come nei film dei Fratelli Marx).750 La tv e il war movie Il cinema mi ha influenzato pochissimo quando ero bambino. La televisione ha avuto molto più peso.751 È un periodo di guerra civile. Navi spaziali ribelli, colpendo da una base segreta… Star Wars752 Non c’è dubbio che il contesto politico degli anni quaranta, quando Lucas nacque, gli orrori del nazismo e della seconda guerra mondiale, compreso il terrore della bomba atomica e delle immagini di Hiroshima e Nagasaki, doveero rimanere nell’immaginario colleivo mondiale molto a lungo. Secondo Michael Ortiz, il terrore generato dal primo utilizzo della bomba atomica è ancora profondamente radicato nella psiche umana.753 ando la Morte Nera cancella il pianeta Alderaan, l’immagine di quell’esplosione ha un significato psicologicamente molto forte. Su un livello riflee la situazione del nostro tempo da quando, con lo sviluppo delle armi nucleari, abbiamo la capacità di distruggere il nostro stesso pianeta. Visto che abbiamo la capacità di generare nuove forme di energia – energia molto più potente – dobbiamo fare aenzione a come la usiamo. È un problema che riguarda l’evoluzione della nostra stessa civiltà.754 Perciò non è inverosimile pensare che la Morte Nera sia una derivazione dell’ordigno nucleare e che l’aspeo dell’esercito di Star Wars sia un lascito visivo del nazismo. Ci sono infai altri riferimenti alla seconda guerra mondiale oltre alla scelta di determinati costumi: “Lucas chiamò un gruppo di soldati

dell’Impero ‘gli stromtroopers’: era anche il nome dato alle guardie del corpo personali di Adolf Hitler.”755 Negli anni cinquanta la televisione americana cominciò a riproporre i vecchi serials cinematografici di Flash Gordon e Buck Rogers. Ed è proprio grazie alla TV che Lucas acquisì la conoscenza di quei racconti di eroi, fantascienza e avventura. Dopo il 1954, quando George senior decise finalmente di comprare la televisione, i Lucas videro loro figlio perdersi nelle tremolanti immagini in bianco e nero. Il programma preferito di George era “Adventure eater”, trasmesso alle sei di sera da KRON-TV di San Francisco, l’unico canale visibile a Modesto. Si traava di serial cinematografici degli anni trenta e quaranta, film dai titoli esotici come Flash Gordon – Il conquistatore dell’universo, Don Winslow of the Navy, e altri con Lash La Rue, Tailspin Tommy, Spy Smasher e e Masked Marvel.756 Così come fu grazie alla TV che Lucas imparò ad amare il war movie757 degli anni cinquanta, uno dei generi maggiori della Hollywood classica insieme al noir, il melodrama, il western, il comedy e il musical.758 Un destino che lo accomuna a Spielberg. Come scrive Andrea Minuz, il padre di E.T. guardava “i film alla televisione, ogni genere di film, fino a noe fonda, dai classici di hollywood ai film europei. […]. La formazione televisiva […] diventerà un tassello decisivo nella creazione del mito di Spielberg come regista dell’immaginario popolare e maestro dell’entertainment”.759 “Ogni volta che c’era un film di guerra alla TV, come I ponti di Toko-Ri, io lo guardavo, […] e quando c’era una baaglia aerea la registravo in video. Poi abbiamo portato tuo in pellicola 16mm e l’ho montata secondo la storia di Star Wars.” Lucas iniziò a registrare dalla TV fin dal 1973, e più tardi la squadra degli effei speciali usò i suoi montaggi come guida. Ken Ralston, che lavorava agli effei speciali, spiegò: “Copiavamo fotogramma per fotogramma l’azione dei combaimenti, dovevano essere identici.”760 Ovviamente, un film che ha nel titolo il termine “guerra” non può esimersi dal prestare aenzione all’equipaggiamento militare come ispirazione per la creazione di quello dei propri personaggi. Tre soli esempi tra i mille possibili. Il primo: qualcuno afferma che

Lucas non potesse non aver visto Gli angeli dell’inferno (1930, Howard Hughes) e non essersi ispirato per esempio alla sequenza iniziale del mastodontico Zeppelin tedesco che entra lentamente e minacciosamente nell’inquadratura come lo Star Destroyer all’inizio di Star Wars. Il secondo: “Il lungo naso e le ali provviste di missili dell’Ala-X hanno una somiglianza incredibile con il formidabile aereo da combaimento F-16 di oggi.”761 I combaimenti aerei dei Ponti di Toko-Ri (Mark Robson, 1954), furono infai la direa ispirazione delle scene finali di Star Wars. Mentre, terzo esempio, per l’aacco alla Morte Nera degli squadroni di X-Wing Starfighter che dovevano volare a bassa quota per non essere interceati Lucas ricopiò quasi inquadratura per inquadratura e bauta per bauta una sequenza dei Guastatori delle dighe (Michael Anderson, 1955), un film di produzione inglese che fu considerato il film dai maggiori incassi in Gran Bretagna del 1955.762 “In I guastatori delle dighe, 617 Squadron volano a bassa quota sulla valle di un fiume, evitando il fuoco dei cannoni antiaerei, per sparare un singolo colpo impossibile nell’unico punto debole della diga.”763 Lucas ingaggiò per Star Wars lo stesso direore della fotografia dei Guastatori, Gilbert Taylor. Se osserviamo con aenzione il Millennium Falcon dall’esterno possiamo accorgerci che sulla sua destra è riprodoa la “greenhouse” window di un B-29 Superfortress, cioè la cabina di comando vetrata del bombardiere strategico bimotore della seconda guerra mondiale che sganciò le bombe nucleari in Giappone. La finestra posta sulla fusoliera è identica alla “finestra” del Millennium dentro la quale, a partire dal quarto capitolo fino al seimo, si avvicendano Luke, Han, Chewbacca e Poe per gestire il mitragliatore computerizzato. Ma la TV per Lucas non fu solo un modo per recuperare film che per questioni anagrafiche non aveva potuto vedere in sala: “Il modo in cui vedo le cose, il modo in cui le interpreto, è influenzato dalla televisione. […] Impostazione visiva, ritmo svelto, tagli veloci. Non posso farci niente. Sono un prodoo dell’era della televisione.”764 Un’affermazione, questa, che meriterebbe un intero libro a parte.

Ao V. Epilogo Che il Monomito sia con te

Dopo che il nostro figlio più piccolo aveva visto Star Wars per la dodicesima o tredicesima volta, gli ho chiesto: “Perché lo guardi così spesso?” Ha risposto: “Per la stessa ragione per cui tu hai leo il Vecchio Testamento per tua la tua vita.” Era in un nuovo mondo mitico.765 Secondo la struura in cinque ai, l’epilogo consta di pochi minuti, alla fine del film. È il “at’s Not All, Folks”, Non è tuo, gente. La storia è finita, gli archi narrativi di tui i personaggi sono stati soddisfai… ma rimane ancora qualcosa da dire. Martin e Ma tornano a nuoto chiacchierando e sorridendo della tragedia appena occorsagli in Lo squalo. omas, una volta morto e cremato, si gode il volo soo forma di cenere in Toto le héros. In American Graffiti scopriamo che alla fine Curt è diventato uno scriore e vive in Canada, mentre Steve si è trasferito a Modesto e lavora nelle assicurazioni. In Stand by Me – Ricordo di un‘estate (Rob Reiner, 1986), alla fine Gordie (Will Wheaton da bambino, Richard Dreyfuss da adulto) racconta il destino degli altri: Chris (River Phoenix), Teddy (Corey Feldman) e Vern (Jerry O’Connell). Diciannove anni e see libri dopo le vicende ambientate a Hogwarts, alla fine di Harry Poer e i doni della morte scopriamo che cosa sono diventati da adulti i tre protagonisti della saga. Per quanto ci riguarda, abbiamo seguito le rocambolesche vicende dell’eroe Lucas e lo abbiamo visto alle prese con gli

archetipi del Mutaforma (gli aori, prima sceici, poi entusiasti), del Guardiano della Soglia (le produzioni cui non interessava il film), il Mentore (Campbell) e il Messaggero (Spielberg). Adesso il narratore onnisciente ci spiega quanto dura sia stata la loa che il nostro eroe ha dovuto combaere con il suo Sé. Tui i personaggi che vissero e disputarono durante quel burrascoso periodo della New Hollywood, buoni o caivi, belli o brui, ricchi o poveri, ora sono tui registi di successo: chi ha acceato il pao faustiano, chi ha provato a rimanere fedele a se stesso. (Chissà se qualcuno ha riconosciuto in quest’ultima frase la citazione dall’epilogo di Barry Lyndon [Stanley Kubrick, 1975].) Ricapitoliamo. Nel Primo Ao abbiamo affrontato in chiave storica la nascita della narrazione cinematografica classica araverso la manualistica e i riferimenti aristotelici. Negli Ai successivi abbiamo analizzato come Lucas abbia recuperato gli strumenti mitopoietici di quella Hollywood precedente agli anni sessanta in un periodo in cui diversi giovani registi approfiarono della crisi industriale dello studio system e di una colleiva messa in discussione dei valori tradizionali per decostruire quella narrazione e proporne una nuova, un sundae di generi cinematografici. Abbiamo anche tentato brevemente di individuare le ragioni che spinsero Lucas a meere in scena la sua versione del Viaggio dell’Eroe e abbiamo ipotizzato i legami tra il messaggio di Star Wars e il problematico contesto politico, sociale e culturale del periodo. Dal punto di vista narrativo, la New Hollywood aveva preso piede a causa di quella che per lo storico del cinema omas Elsaesser era stata la “crisi della motivazione”. Lo spiega bene Drehli Robnik nel suo saggio766 contenuto nel libro di Elsaesser, Horwath e King che abbiamo più volte citato, affermando che esistono “gigantesche differenze tra ‘il protagonista centrale della Hollywood classica con una ragione, un obieivo, uno scopo (in breve, una motivazione come base per l’azione’) e ‘l’eroe non motivato’”.767 La

“motivazione come base per l’azione”, uno dei capisaldi della narrazione classica, scomparve per far posto a un “un senso di azione insignificante quasi fisico, di inutilità e incapacità, uno sceicismo radicale, in breve, sulle virtù americane dell’ambizione, della visione, della motivazione”.768 Ne parla anche Chris Hugo nel suo saggio su Easy Rider: Erano l’opposto di quei personaggi nei classici film hollywoodiani che si scoprivano capaci di agire positivamente nel mondo perché mostravano fede nella necessaria correezza dei valori dominanti che il cinema classico abbracciava.769 Il recupero da parte di Lucas dei personaggi e delle loro forti e positive motivazioni del cinema classico fu, come approfondiremo in questo Ao, una delle maggiori ragioni del successo della saga. elle motivazioni e quei valori poggiavano sul Viaggio dell’Eroe di Campbell (Il Viaggio dell’Eroe ←). ello analizzato nel Monomito è infai un eroe fortemente motivato. Alla luce di quanto abbiamo dimostrato fin qui siamo in grado di poter affermare che la prima trilogia è diventata, a sua volta, un nuovo mondo mitico, come lo era stato, prima di essa, un intero genere, almeno fino a quando gli eroi che lo popolavano erano motivated heroes: il western. È la tesi di libri e saggi seminali come Star Wars: A Myth for Our Time di Andrew Gordon: Star Wars è un capolavoro di sintesi, un trionfo dell’ingenuità e dell’intraprendenza americane, che dimostra come il vecchio possa tornare a esser nuovo: Lucas ha saccheggiato le discariche della nostra cultura popolare e ha creato un mito funzionante dal nulla. Come le auto sportive del suo film precedente, American Graffiti, Star Wars è un amalgama di pezzi di cultura di massa realizzata su misura, potenziata e lanciata a tuo gas. Ha assemblato apertamente e con amore parti da vari generi di cultura popolare, ma il motore che canta è “il Monomito”.770

Oppure del paper di Jessica Tiffin, secondo cui la trilogia è “un mito a tui gli effei”.771 Per capire come un semplice film realizzato con enormi problemi di budget e privo di qualunque appeal per gli stessi produori e gli aori che lo interpretavano sia riuscito in questo intento, non rimane che analizzare l’ultimo degli strumenti che Lucas ha applicato alla costruzione di questa formidabile caedrale. Una caedrale destinata a distinguersi e a resistere nel tempo come poche altre e a diventare un vero e proprio luogo di culto (sia in senso metaforico sia leerale) per centinaia di milioni di persone in tuo il mondo da ormai più di quarant’anni. Approfondiremo insieme perciò adesso le analogie tra il mondo di Campbell e quello della scriura di Star Wars e lo faremo da una prospeiva puramente narrativa, analizzando le sceneggiature dei primi tre capitoli della saga originale. È solo su questa lunga distanza, infai, che diventa chiara l’applicazione più profonda del Monomito al mondo di Star Wars. Affronteremo con particolare aenzione il film del 1977 perché, come ho anticipato, è stato il “primo film a essere accostato in maniera ufficiale e approfondita agli studi sulle religioni e i miti di Joseph Campbell” (anche se non il primo a usarli). Sarà inevitabile, ogni tanto, affacciarsi anche sulla trilogia prequel e i tre capitoli della trilogia sequel a oggi disponibili, che offrono diversi spunti alla nostra riflessione. Campbell è stato il mio Yoda Nel suo libro e Monomyth in American Science Fiction Films, Donald E. Palumbo ha approfondito ventoo film di fantascienza dal punto di vista del Viaggio dell’Eroe. Analizzando anche tua la cinematografia di fantascienza precedente a Star Wars, ha scoperto che il film di George Lucas fu il primo a usare il Monomito di Campbell in modo apparentemente intenzionale e sistematico. Gli unici altri film che sembrano aderire, seppur in minima parte, allo schema di Campbell, sono: L’uomo che visse nel futuro (George Pal,

1960); La fuga di Logan (Michael Anderson, 1976); L’uomo venuto dall’impossibile (Nicholas Meyer, 1979). “I molti elementi mancanti [del Monomito di Campbell] in questi film suggeriscono che i registi non hanno intenzionalmente cercato di replicare le qualità dell’eroe del Monomito o le sue tappe dell’avventura.”772 Nonostante la formidabile aderenza del Monomito alla saga, però, è plausibile dubitare che George Lucas fosse stato consapevole nel seguire quel sentiero definito. Le dichiarazioni del regista in merito, infai – e altre voci, come vedremo – sono contraddiorie e fanno pensare più a una ragionata strategia di marketing ex-post che a una vera e propria intenzionale applicazione del deato campbelliano. L’equivoco che ha dato origine alla leggenda secondo cui Lucas è stato “il più grande studente di Campbell” nasce in realtà dal documentario L‘Impero dei sogni: La storia della trilogia di Star Wars (Kevin Burns e Edith Becker, 2004), dalla serie TV della PBS Joseph Campbell and the Power of Myth (1988) e dal documentario Mythology of Star Wars (1999) della PBS. In questi lavori Bill Moyers, l’intervistatore, sembra credere che Campbell sia stato per Lucas un vero e proprio mentore o addiriura un consulente durante la scriura della prima trilogia. Ma, come afferma Kaminski, “come ammee lo stesso Lucas, non aveva nemmeno incontrato Campbell o ascoltato qualcuna delle sue lezioni se non dopo aver terminato la trilogia originale”.773 Come ci ricorda David Bordwell, nel 1985 Campbell fu insignito di un premio dal New York Arts Club. In quell’occasione, secondo lo stesso Campbell, George Lucas dichiarò, al contrario, che la scoperta dell‘Eroe dai mille volti fu fondamentale mentre scriveva la sua “storia per bambini”774: “È possibile che se non mi fossi imbauto in lui, oggi starei ancora scrivendo Star Wars.”775 Bordwell riporta ancora che “dopo che la prima trilogia fu terminata, Lucas invitò lo studioso a guardarla e a tenere alcune lezioni allo Skywalker Ranch. Campbell, affermava orgoglioso Lucas, è stato ‘il mio Yoda’”.776 Secondo John Baxter, invece, Lucas non

aveva neppure leo il libro ma si era limitato ad ascoltarne qualche passaggio da una musicassea nella radio della sua auto.777 Anche secondo lo stesso Bordwell Lucas non sembra aver mai dichiarato una tale profonda ispirazione prima di quella cerimonia. Per l’evidenza degli strei contai tra Lucas e l’opera di Campbell possiamo contare, in effei, solo su dichiarazioni lasciate dai due. John Williams, l’autore delle musiche, sembrerebbe confermare la versione di Kaminski, Baxter e Bordwell. A proposito di una delle numerose conferenze che Campbell tenne in seguito allo Skywalker ranch, disse: “Finché [Campbell] non ci ha spiegato cosa significasse Star Wars […] lo guardavamo come uno space movie del sabato maina.”778 E fu proprio allo Skywalker Ranch di Lucas che Bill Moyers e Campbell registrarono la serie PBS Joseph Campbell and the Power of Myth, usando diverse clip dai film di Star Wars. In effei, prima, Lucas aveva sempre ammesso che l’aderenza del Viaggio dell’Eroe di Campbell all’arco narrativo dei suoi film era una concidenza. ando stava revisionando le prime stesure dello script le confrontò con lo schema di Campbell: Stavo andando avanti con la storia per conto mio […]. Torno indietro e la confronto con i modelli classici del viaggio dell’eroe e quel tipo di cose per vedere se li avessi seguiti fino in fondo e, semplicemente seguendo la mia ispirazione, la cosa che mi intrigò di più fu che la storia era molto vicina al modello.779 Alla fine dei conti la verità potrebbe essere molto semplice: “Lucas […] fu benedeo da un innato senso della narrazione che, come tui i grandi naturali narratori, interceava lo stesso inconscio colleivo che interceano i più grandi miti dell’umanità.”780 D’altra parte, è esaamente questo ciò che sostiene in sintesi Campbell (supportato da Jung) nei suoi lavori: il paern del Viaggio dell’Eroe appartiene all’intera umanità. Perciò, Lucas può affermare, nel 1988, in una occasione di completa schieezza sull’argomento:

Mi occupo di mitologia da vent’anni sin dai tempi del college. È vero, i miei film (da Star Wars in poi) sono un assemblaggio di luoghi, di motivi fiabeschi, ma vi assicuro che e un processo del tuo inconscio, io parto dalla storia che voglio raccontare e, sviluppandola insieme allo sceneggiatore mi trovo a utilizzare degli archetipi, degli elementi di fiabe preesistenti.781 All’inizio del arto Ao abbiamo citato una dichiarazione della dooressa Joan Breton Connelly rilasciata nel documentario Star Wars: the Legacy Revealed. Star Wars, afferma in sintesi, è come uno scavo archeologico con diversi livelli stratigrafici. Nel seguito dell’intervista Connelly dice: “La cosa più divertente per me però è quando ho pensato: ‘George Lucas era consapevole di tue queste connessioni? Oppure ero io che le stavo facendo? Ero io che stavo partecipando al testo poetico, ero io il creatore delle connessioni?’ esto è il processo mitologico: ognuno vede se stesso nell’opera.”782 Un conceo simile è espresso da Joseph Campbell: il mito è una metafora dell’esperienza della vita.783 Una risposta alla domanda di Connelly è ovviamente impossibile da offrire ed è altreanto impossibile stabilire il preciso livello di consapevolezza con cui Lucas ha ainto dal profondo pozzo degli studi di Campbell. ello che è certo è che Lucas ha saputo interpretare i contenuti del Viaggio dell’Eroe descrio nell’Eroe dai mille volti di Campbell come pochi altri prima e dopo di lui. Nel suo libro su Campbell, Sco Myers ci spiega bene perché: Concedetemi di fare questa osservazione come metafora dello stato del Viaggio dell’Eroe nella Hollywood di oggi. Alcuni sceneggiatori lo prendono come un ‘fao’: c’è questo paradigma di 12 stadi e ogni sceneggiatura deve conformarsi a questo schema. Non credo che questo sia tanto un ao di fedeltà a Campbell o alla teoria più di quanto non sia una riflessione sulla disperazione che gli scriori hanno per cercare di trovare qualche modo, qualunque modo, per concretizzare una storia.

alunque sia il motivo, quando si analizza una sceneggiatura e vi si trova una storia “stereotipata” e “piaa” che centra tui i segni dei presunti dodici stadi del Viaggio dell’Eroe, suggerirei che lo sceneggiatore di quello script non sta guardando al Viaggio dell’Eroe come a una metafora ma come a una verità leerale. Campbell condannerebbe questo approccio.784 Mentre Terrie Waddell, professore associato di studi cinematografici alla Trobe University (Australia) ed esperta di Jung, rileva che troppo spesso gli studi sul cinema scelgono un approccio limitato, soo la forma dell’individuazione dei singoli archetipi: un problema se si vuole andare davvero a fondo nell’analisi. Anche lei, infai, spiega che “per Jung gli archetipi erano solo un punto di partenza, un seme, da cui evolvono le immagini”.785 Ma, più importante, afferma che poiché i miti sono un fenomeno molto radicato nel nostro inconscio, è facile che pervadano la creazione artistica anche se l’artista li sta usando in modo inconsapevole. Ciò ci permee di analizzare, come faremo, la struura mitica di Campbell soesa alla saga a prescindere dalla consapevolezza o meno degli intenti di Lucas, “o degli interessi commerciali che li circondano”. D’altronde per il pubblico non fa alcuna differenza che la narrazione sia stata costruita come un mito consciamente o meno. L’importante è che funzioni come un mito. L’approfondimento di questa riflessione richiederebbe un capitolo a parte, e quasi tuo ha già scrio, in generale, Harold Bloom nel suo L’angoscia dell’influenza (2014). Basti ricordare, per chiudere, la vicenda Dante/Petrarca (Petrarca, in piena “angoscia di indebitamento”, faceva finta di non aver leo la Divina Commedia perché desiderava che nessuno rintracciasse nella sua opera riferimenti all’opera di Dante); oppure le vicende simili tra D’Annunzio e Nietzsche, Svevo ed Elliot. “ale autore forte” afferma Bloom “vorrebbe riconoscere ch’egli non è riuscito a creare con le sue sole forze?” Non deve stupire il fao che invece Lucas volesse, al contrario, che si rintracciasse nel suo Star Wars un’influenza

da Campbell perché, come abbiamo visto nel Primo Ao, la scriura cinematografica, diversamente da quella leeraria, ha sempre fao fatica a essere considerata “arte” tanto che i manuali di sceneggiatura si sono rifai spesso ad Aristotele, equivocando più o meno volutamente, ma assorbendo le sue riflessioni sulla Poetica. In ogni caso la vicinanza tra Lucas e Campbell era scria nel destino. Così come Lucas aveva una spiccata predilezione per i western, Campbell fu folgorato a sei anni da un’immagine che non lo avrebbe più abbandonato mentre guardava il Buffalo Bill’s Wild West Show: “Divenni presto affascinato, ossessionato […] dalla figura di un indiano americano nudo con l’orecchio appoggiato al terreno, arco e frecce in mano, e negli occhi uno sguardo che emanava una consapevolezza speciale.”786 Campbell aveva incontrato il potere del mito nella tragica storia degli indiani d’America, degli sciamani, di quelli che lui riteneva le viime dell’epopea western. “Non c’è mai stato alcun dubbio che preferisse il piccolo indiano al generale Crook.”787 L’ennesimo elemento che salda in maniera definitiva il legame tra Lucas e Campbell è Douglas Fairbanks, eroe dei film amati con la stessa intensità da Lucas e Campbell nell’infanzia. Basta confrontare quest’altro passaggio trao dalla biografia di Joseph Campbell di Stephen e Robin Larsen con il fao che nel cortile spagnoleggiante accanto all’edificio intitolato a George Lucas della USC, la scuola di cinema che il giovane Lucas frequentava da ventenne, c’è una statua di Douglas Fairbanks nella sua caraeristica posa swashbuckling (da avventuroso scavezzacollo):788 “Un altro eroe che avrebbe avuto molta influenza sull’identità del piccolo Joe fu Douglas Fairbanks, che ricorda di essere spesso andato a vedere al cinema. Ne amava l’eleganza, lo stile e l’agilità fisica.”789 L’obieivo di questo capitolo è quello di analizzare il film prototipo che ha lanciato la consuetudine da parte degli sceneggiatori della Hollywood contemporanea di utilizzare il Viaggio dell’Eroe. Dimostreremo così che, se una volta era vero – come diceva Malraux – che l’arte è in definitiva il

tentativo di rivelare all’uomo la sua propria grandezza e quindi “L’eroe, in questa prospeiva, è la proiezione poetica dell’uomo che si affaccia inevitabilmente sul senso o la mancanza di senso della vita”,790 nell’epoca del postmoderno l’eroe ha un altro problema: la relazione con se stesso. Una maggiore sofisticazione psicologica accompagna un’epoca di dubbio e demitizzazione. La fraura tra pensiero e azione, la scissione interiore della personalità, il rapporto soggeo-oggeo nei recessi della mente, la particolare malaia dello specchio, sono manifestazioni diffuse di una crisi d’identità. Pirandello non ha il monopolio sul personaggio alla ricerca di se stesso.791 Ma certamente questo eroe postmoderno non può essere studiato senza correlarlo all’eroe tradizionale. Insomma, nonostante una certa tendenza della critica, anche leeraria, l’eroe di oggi non è postmitico. Il figlio dei soli La visione di Lucas incorporava altre mitologie perché non ne aveva una propria.792 Ho già affrontato la funzione mitica in senso campbelliano di Star Wars come nuova autonarrazione colleiva di una nazione che aveva perso i suoi punti di riferimento ed era alla ricerca di una nuova Arcadia (Il ritorno di “Action” e “Polemos” ←). E ho anche soolineato come, nel primo Star Wars, Lucas abbia fao uso nella sceneggiatura della struura del Monomito di Campbell in maniera edulcorata, riservandosi di approfondirne le parti più oscure solo in un secondo momento (Le persone felici non hanno più storia ←). Una scelta legiima se è vero che il mito, tra l’altro, serve a tramandare “il ricordo di un tempo in cui un ordine felice regnava nel mondo e l’uomo stesso godeva di uno statuto privilegiato”.793 D’altra parte però,

“Il mito non è, in se stesso, una garanzia di ‘bontà’ e di moralità,” spiega Mircea Eliade nel suo Mito e realtà. […] Il Mondo “parla” all’uomo e, per comprendere questo linguaggio, basta conoscere i miti e decifrare i simboli. […] Non bisogna [però] immaginare che questa “apertura” verso il mondo si traduca in una concezione bucolica dell’esistenza. I miti dei “primitivi” e i rituali che ne dipendono non ci rivelano un’Arcadia arcaica.794 Può traarsi, continua Eliade, “di una concezione tragica dell’esistenza, risultato della valorizzazione religiosa della tortura e della morte violenta”.795 Anche questa “parte oscura” del mito è usata da Lucas, in particolare nella scriura dell’Impero colpisce ancora, ma sempre in modo aseico, privo di tue quelle sfumature di realismo e complessità tragica che per esempio farebbero sanguinare abbondantemente il braccio di Luke quando gli viene mozzato da Darth Vader, o che mostrerebbero gli orrori di un intero pianeta abitato che esplode. O che farebbero uccidere, per esempio, Han Solo. Lucas vuole raccontarci Hiroshima (l’esplosione di Alderaan in Star Wars?) e il Vietnam (la resistenza degli Ewok nel Ritorno dello Jedi?), ma “da lontano”. Edipo senza che arrivi ad accecarsi. Niente torture. Niente morti realisticamente violente. Niente sangue. In maniera “sublime”.796 I personaggi non fanno mai i conti con il vero orrore, il disgusto, le tenebre, la febbre violenta che è la vita. ello che segue è uno dei passaggi più suggestivi dell’Eroe dai mille volti e spiega molto bene il senso di quanto sto dicendo. La difficoltà maggiore risiede nel fao che il nostro conceo di ciò che dovrebbe essere la vita raramente corrisponde a ciò che la vita è realmente. In genere noi ci rifiutiamo di ammeere con noi stessi o con i nostri amici la gravità di quella febbre violenta, maleodorante, carnivora, lasciva, che costituisce la natura stessa della cellula organica. Preferiamo profumare, imbiancare, e reinterpretare, illudendoci che la mosca nella pomata, il capello nella minestra, siano colpe di qualcun altro.797

Sir Alec Guinness afferma in sostanza le stesse cose nell’intervista del 1977: [È un film di] una meravigliosa, sana innocenza. […] Non c’è nulla di spiacevole, non ci sono orrori, poco sesso. In effei non c’è alcun sesso… Una grande “freschezza”.798 Come fa notare Vogler, in Star Wars anche i confini tra la vita e la morte sono “deliberatamente sfocati”:799 la morte di Obi-Wan Kenobi, per esempio. La morte stessa è un “imbroglio” nei film della saga. Gli eroi avventurosi dei film di Star Wars […] scaraventano ripetutamente il pubblico sull’orlo della morte e poi lo riportano indietro. Le persone pagano per aver qualcosa in più di straordinari effei speciali, dialoghi buffi e sesso. Amano vedere l’eroe ingannare la morte. Di fao amano ingannare la morte loro stessi. Identificarsi con un eroe che torna indietro dalla morte è il bungee jumping soo forma drammatica.800 È plausibile motivare questa scelta di aseicità, o di sfocatura, a partire dalle diverse affermazioni del regista che ho riportato fin qui relative alle sue intenzioni di differenziarsi dalla violenza e dal pessimismo del cinema a lui coevo.801 Da questo punto di vista Lucas tenta una sorta di mediazione tra il contesto politico e sociale degli anni sessanta e seanta e quello dei successivi anni oanta. Il risultato – commercialmente positivo vista l’accoglienza della trilogia originale – è molto interessante, sia perché, appunto, in controtendenza nei confronti delle modalità di narrazione e delle scelte tematiche del cinema di quegli anni, sia perché, più in generale, si contrappone al percorso di “demitizzazione” che il cinema dello studio system aveva intrapreso negli ultimi decenni soprauo rispeo al genere mitico per eccellenza, il western. In poche parole, Lucas ripropone una mitologia oimistica e riesce nel suo intento nonostante le intenzioni storiche del momento non apparissero congruenti con quella mitologia. Si traa quindi di una contraddizione se leggiamo il mito di oggi dal punto di vista di Roland Barthes. Secondo il linguista e semiologo

francese, infai, il mito è in estrema sintesi un tipo particolare di discorso e dunque qualunque cosa può essere mito a pao che sia veicolata da un discorso. Ne consegue, secondo Barthes, che la sopravvivenza di un mito dipende dalla storia umana perché è essa a convertire la realtà in discorso, e dunque il discorso mitico è selezionato dal contesto storico. Da una prospeiva più preamente semiologica, Barthes sostiene che il significato di un mito è arbitrario, nonostante (o proprio perché) le sue intenzioni sono “‘congelate’ ‘purificate’, ‘eternalizzate’, private del loro senso leerale”. Ma il mito “ha l’obieivo di offrire a un’intenzione storica una giustificazione naturale, facendo così apparire eterno un fao contingente”.802 In conseguenza di ciò, il mito compone gli elementi che gli offre la storia in un’immagine “naturale” di quegli elementi. Ma il ciadino americano della fine degli anni seanta non aveva più miti né religioni di riferimento e quelli che rimanevano erano ormai inadeguati ai cambiamenti occorsi negli ultimi, drammatici decenni. Perciò quella condoa da Lucas ha rinverdito e rinforzato “i propositi e l’essenza propri del cinema classico hollywoodiano, il quale con nuova e rinnovata forza, mediante la spinta e la capacità del regista californiano di riuscire a captare il nuovo Zeitgeist, ha trovato il modo per chiudere il capitolo dei passati ‘miti d’oggi’ della vecchia Hollywood per aprire le porte ai nuovi miti”.803 Campbell sintetizza con maestria le più importanti interpretazioni del mito nell’Eroe dai mille volti: La mitologia è stata interpretata dall’intelleo moderno come uno sforzo primitivo e maldestro di spiegare il mondo della natura (Frazer); come un prodoo della fantasia poetica dei tempi preistorici, frainteso dalle epoche successive (Müller); come una raccolta di insegnamenti allegorici per uniformare l’individuo al suo gruppo (Durkheim); come un sogno colleivo, sintomatico delle aspirazioni archetipe nelle profondità della psiche umana (Jung); come il veicolo tradizionale delle più profonde intuizioni metafisiche dell’uomo

(Coomaraswamy); e come la Rivelazione di Dio ai propri figli (la Chiesa). La mitologia è tuo ciò.804 A suo modo, anche Lucas era un “comparativista”. Come afferma Sunstein,805 Star Wars ainge consapevolmente a una molteplicità di tradizioni religiose. Lucas pensa che essenzialmente dicano tue la stessa cosa. Su questo punto è molto chiaro: con questi apporti “sta raccontando un mito antico in modo nuovo”.806 Campbell stesso sosteneva che “molti miti e religioni hanno radici in un’unica narrazione che scaturisce dall’inconscio”.807 Impossibile non far intervenire in questa riflessione il lavoro fondamentale di Oo Rank, uno dei più grandi discepoli di Freud, raro caso di filosofo divenuto psicanalista, aento in particolare alle questioni artistiche. Nel suo Il mito della nascita dell’eroe, del 1909, Rank cerca di individuare l’origine dei miti e delle narrazioni epiche e religiose, in una parola le diverse storie e leggende che glorificavano gli eroi nazionali delle prime civiltà, da quella babilonese a quella egizia, da quella ebraica a quella persiana e greca. La sua tesi è che le storie di Gilgamesh o Mosè, per esempio, fruo di diverse culture “anche se ampiamente lontane dal punto di vista geografico e interamente indipendenti l’una dall’altra, presentano sconcertanti somiglianze o, in parte, una corrispondenza leerale”.808 Sempre in perfeo allineamento con Campbell, Rank sostiene che “La manifestazione dell’intima relazione tra sogno e mito […] giustifica pienamente l’interpretazione del mito come un sogno delle masse popolari”.809 Lucas, infai, dichiarava nell’intervista di Bill Moyers: “Certe cose vanno oltre le culture, e il divertimento è una di queste. E i film e le storie che racconto araversano le culture, sono visti in tuo il mondo.”810 Non a caso, come rivela Brian Jay Jones nella sua biografia su Lucas, Scorsese ricordava di “aver visto Lucas alle prese con la guida alla Bibbia scria da Isaac Asimov, nonché con il tomo di Sir James George Frazer Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione”.811 È dunque molto probabile che l’idea della Forza, un’energia onnipresente nell’universo composta da un Lato

Oscuro (perseguito dai Sith) e un Lato Chiaro seppur mai esplicitamente dichiarato (perseguito dai Jedi), provenga dal tentativo di operare un sincretismo religioso e culturale universalmente comprensibile. In un’intervista con Charlie Rose realizzata il 17 oobre 2014 e trasmessa il 23, Lucas spiegava che la sua intenzione era quella di instillare i valori del Bene e del Male nel suo pubblico utilizzando la mitologia. “Star Wars aveva a che fare con la religione. Tuo era messo in una forma che era facile per tui acceare, in questo modo non si toccava il mondo contemporaneo e nessuno poteva lamentarsi. Andò ovunque nel mondo.”812 E ancora: Nella mitologia o nelle narrazioni antiche non esiste un particolare personaggio direamente collegato a Luke Skywalker. Luke Skywalker è un eroe, è più generico: è piuosto un motivo che ricorre nei vari libri sulla mitologia e le favole.813 Come abbiamo visto, quando Lucas nella trilogia prequel dimentica le vere ragioni che hanno dato fama e successo alla trilogia originale commee alcuni errori. Abbiamo affrontato l’aspeo estetico-stilistico di tali errori (l’eccessivo utilizzo della CGI). E potremmo azzardare che un altro motivo risieda nell’allontanamento dalla matrice kurosawiana del primo Star Wars: “Il pubblico vuole sempre la stessa cosa ma in un’altra veste,” un truismo ben spiegato dal conceo di switcherooity (Ao IV ←). Ma il problema è ancora più profondo e ha a che vedere proprio con la differenza tra le modalità della costruzione mitopoietica della trilogia originale e quella prequel: “La meraviglia delle capacità narrative di George Lucas sta nel fao che ambienta la storia in un orizzonte temporale futuristico che supera ed elude quello della nostra razionalità quotidiana – non abbiamo ancora quel tipo di tecnologia – e lo lega con creature di natura primordiale.”814 esto aspeo di primordialità che contrasta con l’ambientazione futuristica scompare – o almeno diminuisce sensibilmente – a partire da Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma (1999). È qui appena il caso di soolineare che in quello stesso capitolo

Lucas offre al pubblico, tramite il maestro di Obi-Wan Kenobi i-Gon Jinn, una spiegazione scientifica della Forza, che sarebbe in qualche modo composta dall’interrelazione fra i cosiddei midi-chlorian. Maggiore è il numero di midichlorian in un essere umano, maggiori sono le possibilità che diventi un Jedi o un Sith e maggiore è la potenza che la Forza può esprimere: ANAKIN

Maestro, signore, mi chiedevo: cosa sono i midi-chlorian? QUI-GON

I midi-chlorian sono una microscopica forma di vita che si trova in tutte le cellule viventi e comunicano con la Forza. ANAKIN

Vivono dentro di me? QUI-GON

Vivono dentro le tue cellule, sì. E noi siamo simbionti di esse. ANAKIN

Simbionti? QUI-GON

Organismi che vivono sempre insieme, con reciproco beneficio. Senza i midichlorian non esisterebbe la vita, e noi non saremmo consapevoli

della Forza. In ogni istante essi ci parlano, comunicandoci il volere della Forza. Rendendo “specifico” e non più “generico”, scientifico e non più religioso, il mistero della Forza se ne dissipa il fascino, e lo si estirpa dal suo ambito mitico. In poche parole, se la Forza era la risposta di Lucas, come sempre oimistica, alla “domanda decisiva per l’uomo: siamo collegati in qualche modo all’infinito o no?”,815 la presenza dei Midi-chlorian finitizza quell’aspirazione limitandone l’afflato spirituale. Confrontando il passaggio dell’Episodio I che abbiamo appena leo con la prima descrizione di Luke all’inizio dello script di Star Wars che segue (quarta stesura), risulta evidente, al contrario, l’intenzione di Lucas di servirsi quasi didascalicamente del deato di Campbell e dunque la sua maggiore consapevolezza della necessità di struurare narrazione e personaggi in aderenza al Viaggio dell’Eroe, e dunque di proiearlo nello spazio e nel tempo universale del mito. i Luke è addiriura descrio come un “giovane contadino con aspirazioni eroiche”. L’urgenza di definirlo subito come il protagonista del Viaggio è forte. Sembra quasi un appunto, che poi verrà infai eliminato dalla sceneggiatura definitiva. Traandosi di una stesura intermedia, infai, Lucas non si preoccupa di rispeare le regole dello script hollywoodiano che in teoria vieterebbero di descrivere un personaggio aribuendogli qualità astrae, non filmabili, come può essere per esempio un’intenzione o un’aspirazione. EST. TATOOINE – LANDA DESERTA – GIORNO

Una landa desolata accecante si estende da orizzonte a orizzonte. Il caldo terribile generato da due soli gemelli si deposita su una figura solitaria, Luke Skywalker, un contadino con ambizioni eroiche che sembra molto più giovane dei suoi diciotto

anni. I capelli arruffati e la tunica sformata gli danno l’aria di un giovanotto semplice ma adorabile, con un sorriso luminoso. 816

Sembrerebbe che Lucas stia applicando leerariamente, e non cinematograficamente, il seguente passaggio dell’Eroe dai mille volti di Campbell, in cui l’antropologo afferma che l’eroe che inizia il Viaggio è già tale, deve però ancora dimostrarlo a sé e al mondo: Il ciclo cosmogonico è presentato con sconcertante conformità negli scrii sacri di tui i continenti, e dà all’avventura dell’eroe un caraere nuovo e interessante. Con esso infai appare chiaro che il pericoloso viaggio era una prova imposta non per oenere ma per rioenere, non per scoprire ma per riscoprire. Appare chiaro che i poteri divini conquistati con tanta fatica erano già insiti nel cuore dell’eroe. Egli è il “figlio del re” che scopre di essere tale e quindi assume il ruolo che gli compete – “il figlio di Dio” che ha appreso ciò che significa essere tale. Considerato da questo punto di vista, l’eroe è il simbolo di quella divina immagine creatrice e redentrice che è celata entro tui noi e aende soltanto d’essere riconosciuta e portata alla luce.817 Se risaliamo cronologicamente la corrente e arriviamo alla seconda stesura, quella del 28 gennaio 1975, ancora intitolata Adventures of the Starkiller, possiamo notare che l’arco narrativo di Luke Starkiller è già quello definitivo di Luke Skywalker e “per qualche verso è anche più vicino alla struura di Campbell”.818 Lucas addiriura introduce la sceneggiatura con la seguente citazione traa dal suo Journal of the Whills,819 confermando ancora di più quanto scrio più sopra da Campbell e quanto dichiarato da noi: … E nel tempo della più grande disperazione verrà un salvatore, e sarà conosciuto col nome di: IL FIGLIO DEI SOLI. Per diverso tempo, alcune scuole di mitologi e antropologi dell’inizio del ventesimo secolo, in particolare tedesche e

americane, sostenevano che tui i miti avessero un riferimento metaforico originale al sole, al suo sorgere, al suo tramontare e alle sue influenze soprannaturali. Oppure alla luna. Perciò, l’eroe delle culture primigenie sarebbe stato una rappresentazione del sole o della luna. Va deo, per correezza, che tali teorie col passare degli anni sono diventate minoritarie. “Il figlio dei soli” non può che essere Luke, visto che il suo pianeta di origine, Tatooine, ha la particolare caraeristica di essere illuminato da due soli. E visto che, come abbiamo dimostrato, Luke significa “luce”, “risplendere” (Una luce che cammina nel cielo ←). L’intento mitico del film, evidentemente religioso, in un senso ancora più profondo ed esplicito di quanto poi lo sarà nella versione definitiva, è fortissimo. In questa stessa versione Luke, il cui nome in codice è “Angel Blue”, è il fratello di Deak Starkiller ed è stato quest’ultimo a inviare R2-D2 a Luke con un messaggio, invece che, come nella stesura definitiva, Leia a Obi-Wan Kenobi. La descrizione che ne fa Lucas è molto diversa da quella della quarta versione. 33 EST ORRIDO DESERTO

Solitario, in un canyon spazzato dal vento, c’è LUKE STARKILLER, un ragazzo basso, paffuto, di circa diciotto anni. Sembra congelato, una spada laser ronzante tenuta saldamente sopra la testa. I gemelli si arrestano sul crinale sovrastando il loro fratello e si azzittiscono. I robot si posizionano immediatamente accanto a loro. C-3PO

Quello è “Angel Blue”? Biggs si volta e spiega a gesti all’alto uomo di bronzo di fare silenzio. Sospesa ad altezza occhi – a circa un metro e mezzo davanti a Luke – una palla da baseball cromata galleggia lentamente compiendo un arco. La palla si sposta al

lato del ragazzo, poi all’altro. All’improvviso fa un affondo fulmineo e si arresta a pochi centimetri dal volto di Luke. Luke non si muove e la palla arretra. Si muove lentamente dietro al ragazzo, poi fa un altro affondo stavolta emettendo un raggio laser rosso sangue. Luke si attiva. Con un’unica mossa straordinaria si volta e fende l’aria con la spada laser respingendo il raggio, ma perde l’equilibrio e cade sul terreno desertico. La palla si posiziona velocemente a circa due metri e poi cade come un sasso sparando un altro raggio laser che colpisce Luke proprio sul fondo dei pantaloni. Luke emette un grido di dolore e cerca di rimettersi in piedi ma viene colpito diverse volte prima di riuscire a ritrovare l’equilibrio e schivare i colpi. alche riga più soo, C-3PO chiede a Luke se è lui “Angel Blue”, il destinatario del messaggio. Luke risponde preferendo presentarsi con il suo soprannome(n): “Lo Skywalker” (“ello che cammina nel cielo”). C-3PO

“Angel Blue”?… LUKE

“…lo skywalker…” I due robot fanno un piccolo inchino davanti al ragazzo. C-3PO C-3PO,

e la mia controparte al suo servizio, signore.

R2-D2,

In questa risposta c’è tuo il desiderio di Luke, già consapevole, di diventare l’eroe stellare della sua fantasia: “Un contadino con aspirazioni eroiche”. Nella stesura definitiva della sceneggiatura, invece, Luke non si riferisce a se stesso come lo Skywalker, perché l’istanza psichica dello zio Owen gli impedisce di vedersi separato dalla sua vita auale su Tatooine. Anzi, nella stessa scena Lucas fa rispondere a C-3PO esaamente il contrario: C-3PO

Capisco, signore. LUKE

Ah! Puoi chiamarmi Luke. C-3PO

Capisco, signor Luke. LUKE

(ridendo) No, solo Luke. George Lucas ha deciso di far partire il Viaggio del suo Eroe “da più lontano” rispeo alle versioni precedenti dello script, in modo da renderlo più faticoso e sorprendente: all’inizio Luke è solo Luke, un ragazzo umile, sconosciuto e gentile. La mitopoiesi diventa così ancora più potente. Il Viaggio di Lucas e gli UFO […] Sullo schermo leggiamo: Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana… Leggiamo queste parole in silenzio – per un breve momento siamo lasciati da soli con i nostri pensieri. Come “C’era una volta…” si traa di un’introduzione a un tempo mitico, a un tempo dei sogni, un regno senza tempo che esiste solo nell’immaginazione. Ci viene anche deo che ci troviamo in un luogo lontano,

uno spazio ovviamente immaginario, mitologico, una terra dei sogni.820 Ho già accennato un’analisi junghiana di Star Wars affrontando la prima scena del film (Tanto, tanto tempo fa, da qualche parte oltre l’arcobaleno… ←). Campbell è stato infai influenzato dall’individuazione da parte di Jung di figure archetipiche, come quella dell’eroe, nell’inconscio colleivo.821 Prenderemo spunto, in particolare, da due testi: e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol di Steven A. Galipeau, un’analisi junghiana della trilogia, tangenzialmente correlata al Monomito di Campbell; e da Star Wars: e Magic of Myth, di Mary Henderson, un testo edito nel 1997 in occasione dello Smithsonian Institution National Air and Space Museum Exhibition, la cui tesi è che gli elementi principali della trilogia siano allusioni alla mitologia e alla cultura popolare. E, evidentemente, dai libri di Campbell e Vogler: L’eroe dai mille volti (e Hero with A ousand Faces, 1949) e Il viaggio dell’eroe (e Writer’s Journey, 1992). A mo’ di ulteriore premessa, vale la pena provare a esporre un’altra teoria per spiegare il successo della saga. Stavolta non si traa di analizzare lo scenario politico e culturale degli anni sessanta e seanta, né di individuare i debiti che Lucas deve al cinema classico hollywoodiano, alla cultura pop o alla leeratura di serie B, ma di tenere presente il contesto antropologico e psicanalitico, in chiave junghiana, dell’intera era contemporanea. Che gli americani (e forse l’intero mondo occidentale) avessero bisogno di una nuova mitologia era stato suggerito anche dalla nascita del fenomeno degli UFO fin dalla fine della seconda guerra mondiale.822 Nel suo famoso saggio del 1958 sui “dischi volanti” e il mito moderno,823 Jung interpretò il fenomeno come un’espressione della necessità dell’anima dell’uomo di oggi di trovare una nuova connessione simbolica con il Sé (Self). Il Sé è l’archetipo dell’insieme, della totalità della psiche e, secondo Jung, si trova tra la consapevolezza dell’ego e l’inconscio. La realizzazione del Sé è l’obieivo finale del

cosiddeo processo di Individuazione, cioè il processo araverso il quale ognuno di noi diventa se stesso (lo vedremo meglio più avanti). L’archetipo del Sé nell’Occidente – per Jung il Self è l’archetipo degli archetipi – è stato rappresentato per duemila anni essenzialmente dall’immagine di Cristo, il dio-uomo. Ultimamente però “la funzione religiosa della psiche, che connee l’anima ai suoi strati archetipali, si è lentamente spostata dalle forme istituzionali della connessione spirituale verso quelle intrinseche alla personalità individuale. L’influenza sempre minore della religione (nella nostra cultura) e dei miti religiosi (in generale) sono il segno di questo cambiamento epocale”.824 Jung propose l’ipotesi che l’archetipo del Sé si rappresentasse invece araverso nuove immagini, come gli UFO a forma di mandala.825 Si traa di immagini presenti con frequenza nei sogni e nei film e per questo, sostiene, il fenomeno UFO ha creato una mitologia che ha affascinato molti. Una mitologia, quella degli UFO, che, come l’astrologia, suggerisce che dalle stelle possa arrivare qualcosa di “salvifico”, qualcosa che può modificare la nostra vita. Secondo Galipeau, “creando un intreccio tra i miti della tecnologia e della religione in un’altra galassia, Lucas rappresenta un ‘tempo mitico’ dove c’è un cambiamento nel mito religioso dominante e la sua relazione con l’energia psichica”.826 Non è un caso forse, dunque, che Lucas nella stesura del 1975 abbia inserito la finta citazione dal forte sapore messianico ed evangelico: “Verrà un salvatore, e sarà conosciuto col nome di: IL FIGLIO DEI SOLI.” È questo un problema nuovo poiché fino a oggi gli uomini hanno sempre creduto negli dei, in una forma o nell’altra. Soltanto uno straordinario impoverimento del simbolismo ci ha permesso di riscoprire gli dei come faori psichici, cioè come archetipi dell’inconscio… Il cielo è divenuto per noi un luogo deserto, un bel ricordo di cose che furono. Ma il nostro cuore brucia, e una segreta inquietudine rode le radici del nostro essere.827

Sempre meno persone sono arae dai miti fondanti o religiosi, molte sono alla ricerca di nuove storie. E, sempre secondo Galipeau e molti altri,828 “uno dei luoghi in cui inconsciamente cerchiamo queste nuove immagini è nei film”.829 Il cinema, grazie alla sua natura onirica, asseconda la fusione di mito e sogno: come abbiamo visto nel arto Ao, per Campbell “il sogno è la versione individuale del mito e il mito è la versione colleiva del sogno” (Il ritorno di “Action” e “Polemos” ←) (Il figlio dei soli ←). Gli UFO sono streamente legati all’idea della tecnologia, e Jung vedeva la tecnologia come parte di un sistema mitologico di senso. In effei, dietro l’osservazione che in un oggeo di origini tecnologiche, per esempio un UFO, ci sia la manifestazione di un archetipo c’è la premessa implicita che i prodoi della tecnologia siano parte di un più vasto sistema di senso. Messa diversamente, che sono parte di una mitologia contemporanea.830 Che Lucas abbia compreso anche questo quando ci racconta che gli Ewok, gli abitanti della luna boscosa di Endoor, cadono in religiosa adorazione di C-3PO durante Il ritorno dello Jedi? Che ci stia dicendo “Ehi, guardate che noi uomini occidentali ci comportiamo come creature primitive, proprio come quei buffi animali, rispeo alla tecnologia e all’Intelligenza Artificiale”?

Le scansioni del Viaggio del Monomito di Campbell (in L’Eroe dai mille volti), in nero, e del Viaggio dell’eroe di Vogler, in bianco. In maiuscolo, gli archetipi di Vogler. Si parte per il Viaggio Il dialogo tra i libri di Campbell e Vogler è particolarmente interessante. Entrambi cercano di stabilire un approccio comparativistico e non interpretativo. Campbell dichiara apertamente che il suo obieivo è quello di produrre uno schema che mostri come nei diversi miti di ogni tempo e luogo esistano dei parallellismi fondanti. Vogler rielabora Campbell per creare a sua volta un altro schema, semplificato rispeo all’originale e coerente con la divisione in tre ai della sceneggiatura hollywoodiana, in grado di offrire allo sceneggiatore cinematografico un sentiero in grado di aiutarlo nella scriura. Un modello, non una formula, popolato di archetipi,831 non di stereotipi. Vogler, così, individua due macrosistemi: quello degli archetipi e quello del viaggio. Il primo è composto da basic figures, “personaggifunzione”. Eccoli: Eroe, Guardiano della soglia,

Messaggero/Araldo, Imbroglione, Alleati.

Mentore,

Ombra,

Mutaforma,

Abbiamo già incontrato il conceo di “istanza psichica” in questo libro (Il figlio dei soli ←), e lo incontreremo nuovamente. Se i personaggi di un film che segue le impronte di Cambpell/Vogler sono basati sugli archetipi è anche perché gli archetipi non sono altro che istanze psichiche cioè, secondo Freud, le componenti costitutive della personalità: Es, Io e Super-Io. este tre istanze sono a loro volta influenzate dalla realtà esterna, e in particolare dalle persone importanti che incontriamo nella nostra vita. Nostro padre, per esempio, influenza il Super-Io (la necessità di seguire la norma familiare e sociale), e può dunque essere considerato a sua volta un’istanza psichica. esto significa che la nostra vita, il nostro Viaggio, è disseminato di istanze psichiche (nostro padre, un amico di successo, la nostra ex…) con cui facciamo i conti mentalmente, più o meno consapevolmente, ogni volta che dobbiamo prendere una decisione o dobbiamo agire. Se la nostra vita fosse un film, tali istanze psichiche non sarebbero altro che i personaggi secondari, gli archetipi, le figure base. I “personaggi funzione”, appunto. La nostra ragazza che, quando le diciamo che stiamo pensando di lasciarla, ci risponde “Non ce la farai mai” (il Guardiano della Soglia); lo zio simpatico e giramondo che durante l’adolescenza ci comprende più dei nostri genitori (il Mentore); il capo che ha minacciato di licenziarci (l’Ombra)… È utile perciò, per chi vuole intraprendere il mestiere di scriore di cinema, tenere presente che gli archetipi, cioè i personaggi secondari ma importanti per la vita dell’eroe, non sono altro che istanze psichiche della mente dell’eroe stesso che, per ragioni di efficacia e chiarezza narrativa, si incarnano appunto in personaggi funzione. In leeratura, i dialoghi interiori tra il protagonista e una sua istanza psichica (la paura di andare in Colombia o di entrare nei ribelli) possono essere espressi a parole. A teatro, con un monologo in cui l’aore si rivolge verso il pubblico. Insomma, in questi due ambiti narrativi meere in pausa la narr(azione) ed entrare nella testa dell’eroe è lecito. Al cinema no, al cinema l’eroe

deve (re)agire per farci capire chi è. Tali archetipi/istanze psichiche/personaggi funzione sono lì per questo: far (re)agire l’eroe. Aiutandoci in questo modo a comprenderne la natura senza dover meere in pausa la narrazione utilizzando magari una retorica voce narrante. Per questo le istanze psichiche devono diventare personaggi in carne e ossa. Per questo Solo e Leia, C-3PO, R2-D2 e Darth Vader sono così importanti. Sono tue facce della stessa persona: Luke. Il secondo si snoda lungo dodici “tappe”. Gli stage descrii da Campbell sono in realtà più numerosi: diciassee, divisi però secondo la stessa scansione proposta da Vogler, cioè in tre “fasi”. Li analizzeremo insieme più avanti nel deaglio. Dalla prospeiva di un quadro generale della trilogia classica, vedremo come il viaggio dell’eroe Luke Skywalker sia perfeamente aderente al Viaggio dell’Eroe di Vogler e alle conclusioni di Campbell. Secondo Campbell, infai, l’eroismo può esprimersi in entrambe le fasi della vita, quella che va dalla nascita alla postadolescenza, e quella successiva, dall’indipendenza alla vera e propria maturità. L’arco narrativo di Luke considerato sulla trilogia originale si sviluppa assegnando al primo film, Star Wars, le tappe della prima parte della vita; al secondo film, L’impero colpisce ancora, e al terzo, Il ritorno dello Jedi, la seconda. Inoltre ognuno dei tre stadi dell’avventura dell’eroe, che Campbell definisce “l’unità nucleare del Monomito”, coincide perfeamente, e nello stesso ordine, con ciascuno dei capitoli della prima trilogia, oltre che coincidere, soprauo in Star Wars, con i tre ai della scansione del plot. esto è lo schema di Campbell (ripreso da Vogler soo forma dei tre ai) confrontato con la trilogia: – Star Wars: “Separazione” e primo ao. – L’impero colpisce ancora: “Iniziazione” e secondo ao. – Il ritorno dello Jedi: “Ritorno” e terzo ao. esto invece rispeo solo al primo episodio:

Star Wars: “Separazione”, primo ao; “Iniziazione”, secondo ao; “Ritorno”, terzo ao. In ognuno dei due casi è rispeata la seguente sintesi che Campbell fa del Viaggio dell’Eroe: L’eroe abbandona il mondo normale per avventurarsi in un regno meraviglioso e soprannaturale; qui incontra forze favolose e riporta una decisiva vioria; l’eroe fa ritorno dalla sua misteriosa avventura dotato del potere di diffondere la felicità fra gli uomini.832 Lo schema Separazione-Iniziazione-Ritorno sembra essere coerente, tra l’altro, con lo sviluppo dell’individuo per come lo intendevano sia Jung sia Freud. Nella loro formula, il bambino si allontana dalla madre, che rappresenta il mondo indifferenziato, verso il mondo dell’individuo separato e infine un livello spirituale di autoespressione. Uno schema riassumibile quindi, a sua volta, in tre ai: DifferenziazioneIndividuazione-Integrazione. Perfeamente aderenti alla struura di Star Wars: prima l’eroe agisce e reagisce a stimoli inconsci e gradualmente si pone in una posizione di maggiore consapevolezza. “Un movimento che si allontana dalla propria storia individuale verso l’identificazione con un senso più trascendente del sé in cui ci si identifica con Dio.”833 Il doppio schema (sulla distanza sia di un solo film sia dell’intera trilogia) richiama ciò che viene proposto da diversi manuali di sceneggiatura cinematografica, in particolare dal testo di Robert McKee, Story (I “guru” ←). Secondo McKee, la scansione narrativa in tre ai di una sceneggiatura dovrebbe essere tenuta presente anche all’interno di una singola sequenza, di una singola scena e addiriura di una singola inquadratura. Se, per esempio, torniamo alla sequenza della Donna che visse due volte (Lo stile invisibile ←), ci accorgiamo che essa è struurata in tre parti: l’equilibrio iniziale (apparente) di Scoie e Midge, in cui i due personaggi parlano serenamente del più e del meno (primo ao); la parte centrale in cui Scoie si avvicina al suo conflio interiore (il lavoro, l’acrofobia) e Maggie al suo (l’amore non corrisposto per Scoie), che termina con il climax di fine secondo ao

(Scoie sale sulle scale dello sgabello sfidando la sua acrofobia); il nuovo equilibrio, terzo ao, in cui Midge accoglie Scoie nelle sue braccia e Scoie si lascia andare. esta composizione a “scatole cinesi” è discussa estensivamente anche da Campbell nel paragrafo La suddivisione dell’uno nei molti,834 e nella seconda parte dell’Eroe dai mille volti, Il Ciclo Cosmogonico, in cui descrive il processo creativo come l’“Uovo Cosmogonico”. In una leggenda polinesiana sulla creazione, mostrata in un dipinto, l’Uovo Cosmogonico viene descrio così: “L’universo,” disse Paiore, “era come un uovo, che conteneva Te Tumu e Te Papa. Alla fine scoppiò e produsse tre strati sovrapposti – lo strato in basso sosteneva i due più alti. Sullo strato inferiore stavano Te Tumu e Te Papa, che crearono l’uomo, gli animali e le piante. […] “ando lo strato inferiore della terra fu colmo di cose create, gli uomini si aprirono un varco al centro dello strato superiore, per poter entrare anche in questo, e qui si stabilirono, portando con sé dallo strato inferiore piante e animali. Poi sollevarono il terzo strato (così che facesse da soffio al secondo)… e infine si stabilirono anche lassù, cosicché gli esseri umani ebbero tre dimore. “Sopra la terra vi erano i cieli, anch’essi sovrapposti l’uno all’altro, che scendevano ed erano sostenuti dai rispeivi orizzonti, alcuni uniti a quelli della terra; e gli uomini continuarono a lavorare, espandendo un cielo sopra l’altro allo stesso modo, fino a che tuo fu sistemato.”835 Si traa di un’immagine fraale, in cui “‘la struura dell’intero è spesso riflessa in ogni sua parte’, e ogni parte può sembrare ‘una piccola riproduzione dell’immagine più ampia’”.836 Allo stesso modo, per Campbell, il Monomito è un “ingrandimento” della formula rappresentata nei riti di passaggio: Separazione-Iniziazione-Ritorno. Palumbo spiega quindi che

[…] la rievocazione di questa formula in questi riti simboleggia il ciclo morte-e-rinascita come una metafora del passaggio dell’iniziato da uno stadio della vita a un altro, in modo che ogni ripetizione del motivo di morte-erinascita all’interno del Monomito è una reiterazione simbolica della più ampia struura separazioneiniziazione-ritorno su scala più piccola.837 Perciò, sulla base dei diciassee stadi del Monomito di Campbell si può dedurre che quasi ogni episodio rispecchi il Monomito nella sua interezza. Campbell ha ipotizzato questa “autosomiglianza” fraale nell’Eroe dai mille volti per suggerire che la mitologia ha la “singolare capacità di raggiungere e stimolare i più profondi centri creativi […] anche nella più semplice favola infantile – così come il profumo dell’oceano è contenuto in una minuscola goccia o l’intero mistero della vita nell’uovo di una mosca”.838 Il cerchio (che da Jung passa per Campbell e ritorno) sembrerebbe chiudersi a favore di questa ipotesi, visto che secondo alcuni studiosi839 anche la struura dei nostri sogni sarebbe fraale. Il “soggeo” di ogni sogno conterrebbe infai, secondo gli scienziati, ripetizioni delle preoccupazioni fondamentali del sognatore. “‘Le riflessioni di queste preoccupazioni posso essere individuate sia nella storia più ampia che nei deagli più infinitesimali’. E questo è esaamente il caso dello schema di quel sogno controllato consciamente che è il Monomito.”840 Ci avvarremo perciò, come macro guida, della scansione in tre stadi di Campbell in relazione all’intera trilogia originale. E useremo prevalentemente Vogler per analizzare le micro scansioni delle tappe dei singoli film della saga e i personaggi/archetipi.

i sopra uno schema ricapitolativo che mee a confronto i diciassee soo-stadi del Monomito di Campbell, i dodici soo-stadi del Viaggio dell’eroe di Vogler, la nostra tripartizione derivata da Aristotele, i Tre Ai e i Cinque Ai, e infine i tre capitoli della trilogia classica, ognuno dei quali, pur essendo struurato in tre ai, si appoggia in particolare a uno di essi. Lucas in fabula Prima di imboccare il sentiero nel bosco con Luke, Anakin, Han, Leia e gli altri personaggi creati da Lucas, dobbiamo infilare nello zaino ancora una cosa: un libro di Propp. La morfologia della fiaba di Vladimir Propp, pubblicato nel 1928 a Leningrado, è uno dei saggi di narratologia più importanti del Novecento. Propp ha fao con cento fiabe russe la stessa cosa che Campbell ha fao con i miti, i racconti epici e le religioni: ha scoperto che la struura narrativa di ogni fiaba è riconducibile sempre allo stesso schema, composto di trentuno “funzioni” e see “personaggi tipo”. Potremmo chiamarlo la “Monofiaba”, così come Campbell chiamò il “Monomito” il modello comune ai miti, le leggende e le religioni che ha individuato nel suo L’eroe dai mille volti. Le funzioni dello schema di Propp sono infai paragonabili agli stadi del Viaggio dell’eroe, i personaggi tipo agli archetipi. Il tuo, a sua volta, risuona con quanto abbiamo deo nel capitolo precedente e nel Primo Ao (Il viaggio dell’eroe ←) (Salvare o non salvare il gao ←) (I Libri

dell’(auto)Rivelazione ←). alche breve esempio. Tra le funzioni di Propp ci sono “l’Allontanamento”, “l’Inizio della reazione”, “la Partenza”, “l’Acquisizione dell’oggeo magico”, “la Prova”, “il Salvataggio”, “il Ritorno”. Tra i personaggi tipo: “l’Eroe”, “il Caivo”, “l’Aiutante magico”, “la Principessa e suo padre” (sic!). Almeno all’apparenza, il cinema non ha streo la mano a Propp come l’ha strea ad Aristotele e Campbell. Ma il lavoro di Propp ha influenzato personaggi importanti come il semiologo A.J. Greimas, il linguista Roland Barthes e l’antropologo Claude Lévi-Strauss. Eppure, analizzando nel deaglio le funzioni e gli archetipi del folklorista russo, è difficile non riconoscere anche il viaggio dell’eroe Skywalker. Ci aiutiamo con un passaggio molto significativo di un libro di Gianni Rodari, ispirato proprio alla Morfologia della fiaba. Ciò che le fiabe narrano – o, al termine della loro metamorfosi nascondono – una volta accadeva: giunti a una certa età i ragazzi venivano separati dalla famiglia e portati nel bosco (come Pollicino, come Nino e Rita, come Biancaneve), dove gli stregoni della tribù, abbigliati in modo da far spavento, con il viso coperto da maschere orribili (che a noi fanno subito pensare ai maghi e alle streghe) li sooponevano a prove difficili, spesso mortali (tui gli eroi delle fiabe ne incontrano sul loro cammino). I ragazzi ascoltavano il racconto dei miti della loro tribù e ricevevano in consegna le armi (i doni magici che nelle fiabe donatori soprannaturali distribuiscono agli eroi in pericolo) e infine facevano ritorno alle loro case, spesso con un altro nome (anche l’eroe torna talvolta in incognito). Erano maturi per sposarsi (come nelle fiabe, che nove volte su dieci si concludono con una festa di nozze).841 Facciamo il solito gioco. Giunto a una certa età, il destino separa Luke dai suoi genitori putativi, gli zii, e lo costringe a entrare nel “bosco”, la

cantina di Mos Eisley. i incontra per la prima volta bizzarri e spaventosi personaggi, poi viene sooposto a prove difficili, spesso mortali (il salvataggio della principessa Leia nel labirinto della Morte Nera) e riceve in consegna la spada laser da Obi-Wan Kenobi, un donatore soprannaturale il cui corpo fisico scompare nel nulla quando viene ucciso da Vader. Dopo aver superato la prova più difficile di tue, la distruzione dell’arma micidiale dell’Impero Galaico, Luke torna dagli amici, i ribelli, e partecipa a una cerimonia che, sootraccia, ha il sapore delle probabili nozze future tra Luke e Leia (ricordiamo sempre che nel 1977 Lucas “non sapeva” ancora che i due fossero fratelli). Star Wars Il primo grande stadio dell’avventura è quello della separazione, o partenza.842 Al primo stadio di Campbell, la “Separazione”, Vogler fa precedere una fase che lo stesso Campbell definisce il “Mondo normale”, e la chiama “il Mondo Ordinario” (e Ordinary World). In una sceneggiatura cinematografica il “Mondo Ordinario” coincide con la condizione iniziale dell’eroe nel primo ao: il suo falso equilibrio. L’inizio di ogni storia, che sia mito, favola, sceneggiatura, romanzo, racconto o fumeo, deve soostare ad alcune regole precise. Deve agganciare il leore o lo speatore, impostare il tono della storia, suggerire dove andrà, e araversare una grande quantità di informazioni senza perdere il ritmo.843 Star Wars è l’unico dei tre capitoli in cui possiamo ritrovare rispeata sia la macroscansione di Campbell sia quella di Vogler. Anche se l’“Iniziazione” e il “Ritorno” coincidono, come abbiamo anticipato, con il secondo e il terzo capitolo della trilogia, la sceneggiatura del primo capitolo presenta una struura che comprende a sua volta,

seppur in modo non sempre approfondito, anche le tappe dell’Iniziazione e del Ritorno. La trilogia classica non è l’unico esempio di “stagione” di un prodoo seriale impostato sui tre ai. Il pitch book della serie televisiva targata Netflix che divenne nota in seguito come Stranger ings (in origine il progeo aveva un altro titolo, e Montauk Project),844 propone la stessa impostazione. Innanzituo la serie viene considerata come un unico film: “Montauk è un film epico horror fantascientifico. […] sarà struurato come un film.”845 E, come un film, è pensata secondo una struura in tre ai: “Ci sarà un inizio, una metà e una fine. Non rimarranno questioni in sospeso dopo il finale e tui i caraeri principali avranno degli archi narrativi completi.” A proposito di quest’ultima frase: ricordate come il cinema hollywoodiano classico concepisce il e End (Lo stile invisibile ←)? Esaamente così. In ogni caso, il primo ao comprende gli episodi da 1 a 3, il secondo ao quelli da 4 a 6, il terzo ao gli episodi 7 e 8. A proposito del “Mondo Ordinario”, Vogler afferma: “Alcuni prologhi introducono il caivo o la minaccia della storia prima che appaia l’eroe. In Star Wars il malvagio Darth Vader è mostrato mentre rapisce la Principessa Leia prima che l’eroe, Luke Skywalker, venga presentato nel suo mondo ordinario.”846 Nella prima parte del “Mondo Ordinario” infai, Lucas introduce solo alcuni dei personaggi principali – Darth Vader, la principessa Leia e i due droidi, il cui arco narrativo è già iniziato prima dell’inizio del film – entrando nella narrazione in medias res. Imposta inoltre quel mondo di regole che stabilisce il genere cinematografico (o il pastiche di generi, nel caso di Star Wars). E infine “semina” alcuni elementi narrativi basilari che verranno “raccolti” in seguito: in particolare il messaggio che Leia affida a R2-D2. Ma c’è un’anticipazione più profonda, che Lucas affida proprio alla decisione di iniziare in medias res: viene anticipato subito, in questo modo, il contrasto tra il “Mondo Ordinario” di Luke e il “Mondo Speciale” che Luke è destinato ad “abitare” nel secondo ao: “Così il pubblico e l’eroe proveranno un

cambiamento drammatico quando la soglia viene finalmente superata. In Il mago di Oz il Mondo Ordinario è descrio in bianco e nero, per creare un contrasto meraviglioso con il Technicolor del Mondo Speciale di Oz.”847 È solo nella seconda sequenza che Lucas presenta il protagonista. È l’occasione per iniziare a far scaare l’immedesimazione del pubblico con l’eroe (“la sensazione che in qualche modo siano simili”);848 e per introdurci al suo mondo, al suo fatal flaw (Il difeo fatale ←) e al suo conflio. In sintesi: al suo “equilibrio apparente”. ando C-3PO chiede a Luke su quale pianeta si trovino, Luke risponde: “Beh, se nell’universo c’è un centro luminoso sei sul pianeta più lontano.” Per Jung il simbolismo del centro era un’indicazione dell’archetipo del Sé, che lui vedeva come l’archetipo organizzativo centrale della personalità. Perciò potremmo dire che a questo punto della sua vita, in un tale ambiente desolato, psicologicamente Luke non ha alcun centro ed è molto lontano dal sapere chi sia e, nel linguaggio cinematografico, dallo scoprire il suo “destino”, il suo scopo nella vita.849 L’equilibrio apparente di Luke, il non avere ancora un centro, un equilibrio, consiste nell’aver introieato psichicamente la vita da farm boy che gli propone lo zio Owen e nel non credere più che esista alternativa. Ha acceato lo status quo come una realtà immodificabile, nonostante il suo desiderio più grande sia quello di essere il pilota di un caccia stellare. Ha deciso cioè di non vedere quanto sia squilibrato il suo equilibrio. Owen non si comporta così perché non desideri la felicità o la realizzazione del nipote ma perché vuole proteggerlo dal suo destino. Ha paura che Luke replichi quello di suo padre Anakin Skywalker/Darth Vader. Owen, infai, incarna il secondo archetipo dopo quello dell’Eroe: “Il Guardiano della soglia”. […] l’eroe procede nell’avventura sinché incontra il “guardiano della soglia”, all’ingresso della zona delle

potenze soprannaturali.850 Il padre sostitutivo di Luke non lo ha preparato in alcun modo alle sofferenze della vita, anzi, “ha instillato in Luke una falsa visione della sicurezza e dell’amore, senza considerare che l’universo crudele potrebbe intrufolarsi nel suo paradiso fiizio con conseguenze disastrose,”851 spiega James Iaccino. Per questo Luke si appoggerà sempre di più a Obi-Wan, il suo nuovo pseudopadre, come continua a spiegarci Iaccino: “Si potrebbe dire che Obi-Wan assume il ruolo del padre spaziale per Luke che nei suoi anni di formazione è stato privato della figura del mentore.” Come vedremo, infai, grazie all’aiuto del Mentore ObiWan Luke inizierà il suo viaggio ma prima dovrà sconfiggere l’istanza psichica dello zio, che lo vuole traenere al di qua del “Mondo soprannaturale”. INT. FATTORIA DEI LARS – ZONA PRANZO LUKE

E se poi quell’Obi-Wan viene a reclamarlo [R2-D2, N.d.A.]? OWEN

Non credo che esista più. Deve essere morto quando è morto tuo padre. LUKE

Conosceva mio padre? OWEN

Ti ho detto di lasciar perdere. Il tuo solo compito è di preparare quei nuovi droidi per domani. In mattinata li voglio sul crinale

sud a lavorare a quei condensatori. LUKE

Sì, zio. […] Anche questo è un topos ricorrente nelle narrazioni mitiche e religiose analizzate da Campbell: “Al giovane principe Gautama Sakyamuni, il Futuro Buddha, il padre aveva tenuto celato tuo ciò che concerne l’età, la malaia, la morte e la vita monastica, nel timore ch’egli venisse indoo da questi pensieri a rinunciare al mondo.”852 Ovviamente il Futuro Buddha finirà invece per trovare seducente l’idea di ritirarsi dal mondo. Così come Luke finirà per essere sedoo dall’idea dell’avventura proprio perché gli viene negata. Ciò accade fin troppo spesso in famiglia: la realtà viene nascosta, in apparenza per proteggere il figlio o la figlia per il “suo bene”, ma in questo modo si recide la connessione del ragazzo con una parte vitale della sua storia, bandendo così aspei della sua vera personalità.853 In All’inseguimento della pietra verde Joan Wilder, dopo aver deciso di “acceare la chiamata” e provare a salvare la sorella tenuta prigioniera in Colombia, deve confrontarsi anche lei con un “Guardiano della soglia”. In questo caso si traa della sua agente leeraria, che non crede che la sua assistita possa essere un’eroina e le sconsiglia di partire. In questo modo Joan, anche se determinata a salvare la sorella, viene lacerata da dubbi e paure e rischia di cambiare idea. La “Separazione” è composta per Campbell di cinque soo-sezioni: l’”Appello”, il “Rifiuto all’appello”, l’“Aiuto soprannaturale”, il “Varco della prima soglia” e il “Ventre della balena”. Il primo ao è composto per Vogler in altreanti stadi del viaggio: il “Mondo Ordinario”, il “Richiamo all’avventura”, il “Rifiuto del richiamo”, l’“Incontro con il Mentore” e il “Varco della prima soglia”. Come si può notare si traa di passaggi quasi del tuo sovrapponibili tra loro.

Nella struura della sceneggiatura hollywoodiana moderna, l’incidente scatenante – quell’evento esterno alla volontà del protagonista che si verifica per meere in discussione l’equilibrio apparente dell’eroe e rimescolare le carte del suo Mondo Ordinario – coincide con il momento in cui l’eroe non ha più scelta e deve agire per riequilibrare ciò che il destino ha squilibrato nel suo mondo o in se stesso (nelle migliori narrazioni le due cose coincidono). Al cinema e nei miti antichi, l’eroe non ritroverà più l’equilibrio iniziale bensì uno superiore, perché alla fine del suo lungo viaggio non sarà più la stessa persona che è partita. Secondo lo schema di Vogler, l’incidente scatenante coincide con il “Varco della prima soglia”. Per Luke è il momento in cui la morte degli zii lo mee con le spalle al muro e lo costringe ad acceare di andarsene da Tatooine e partecipare all’avventura che gli propone Obi-Wan Kenobi sulla base del messaggio di Leia Organa affidato a R2-D2. Ma cosa è successo a Luke tra il “Mondo Ordinario” e il “Varco della prima soglia”? Innanzituo c’è stato un “Appello” (Campbell), “che consiste negli avvertimenti dati all’eroe perché comprenda qual è la sua vocazione”854. Come abbiamo visto, Vogler lo definisce “Richiamo all’avventura”. […] solitamente è il fato a portare il richiamo, spesso araverso un araldo – una persona o un animale che porta leeralmente il messaggio che fa iniziare il viaggio.855 Il messaggero di tale appello, o “Araldo”, è il terzo archetipo principale individuato da Vogler. Secondo la tradizione, l’araldo era un messaggero di un re o una regina. In Star Wars è l’ambasciatore di una principessa, Leia, che ha custodito i suoi segreti all’interno di R2-D2 perché arrivassero a Obi-Wan. Ma il primo a interceare il messaggio è Luke. R2-D2 è uno dei pochi robot della saga a non avere un aspeo umanoide. Da questo punto di vista è l’esao contrario di C-3PO. Risulta così un personaggio misterioso, ermetico. Il pubblico può comprendere ciò che

dice solo perché è C-3PO a tradurlo e se non ci fosse l’amico droide che lo rende simpatico sarebbe, di per sé, respingente. Infai, secondo Campbell, L’araldo o annunciatore dell’avventura, quindi, è spesso cupo, ripugnante o spaventevole, e considerato malefico dal mondo; eppure a chi lo segue si schiude fra le mura del giorno la via che conduce alle tenebre ove rifulgono i gioielli. A volte (come nella favola) l’araldo è un animale e simboleggia la repressa fecondità di istinti che è in tui noi; altre volte è una misteriosa figura velata – l’ignoto.856 È colui che porta sulla scena l’incidente scatenante, anche se l’eroe può non riconoscerlo subito in quanto tale. Nel ciclo arturiano, l’Araldo è un vecchio eremita che visita i cavalieri della Tavola Rotonda e svela loro che colui che troverà il Graal deve ancora nascere. Ascoltata la notizia, Lancilloo inizia la sua quest. Incontrerà una principessa imprigionata, Elaine, la libererà e la sposerà. Dal matrimonio nascerà Sir Galahad che, alla fine, riuscirà a compiere l’impresa. “E così all’insaputa di Lancilloo […], il vecchio eremita lo ha indirizzato sulla inevitabile strada della sua vita.”857 Spesso infai, nella mitologia, l’Araldo è foriero di presagi. Come lo è R2-D2, nel cui cuore eleronico c’è questo messaggio olografico: INT. DIMORA DI KENOBI

La piccola e spartana casupola è stipata di rottami del deserto ma riesce ancora a irradiare un’aria di comfort e sicurezza senza tempo. Luke è in un angolo e sta riparando il braccio di C-3PO. Ben è seduto, assorto. LEIA

Ho affidato delle informazioni vitali per la sopravvivenza della Ribellione al sistema

mnemonico di questa unità R2. Mio padre saprà come recuperarle. Devi far sì che questo droide arrivi da lui sano e salvo ad Alderaan. È la nostra ora più disperata. Aiutami, Obi-Wan Kenobi. Sei la mia unica speranza. Lo step successivo è il “Rifiuto all’appello” (per Campbell); il “Rifiuto del richiamo” (per Vogler). Luke ha incontrato Obi-Wan (Ben) Kenobi nel deserto inseguendo R2-D2 che era fuggito. Al ritorno, Ben parla a Luke di suo padre e gli porge la spada laser che Anakin desiderava che il figlio avesse una volta cresciuto. i accade una cosa molto interessante, che sembra confermare in pieno la validità delle interpretazioni junghiane del film. “In quanto archetipi, i droidi possono essere paragonati ad aspei della psiche. C-3PO sembra essere tuo Ego e nessuna introspezione. […] R2-D2 è invece più simile alla mente subconscia: il suo potere risiede tuo dentro di esso.”858 Abbiamo visto infai che il messaggio di Leia, cioè il “Richiamo all’avventura” per Luke, è leeralmente dentro il piccolo droide. Luke in questo momento sta confrontandosi per la prima volta con il suo “conflio profondo”, sta affacciandosi, seppur distraamente, sul suo inconscio. Ben nasconde a Luke che Anakin è diventato Darth Vader decidendo di servire il Lato Oscuro della Forza e l’imperatore Palpatine. Luke lo scoprirà drammaticamente solo in seguito, nel sequel. Ebbene, proprio dopo che Ben ha dato la spada laser a Luke, C-3PO, l’ego, chiede se può spegnersi e Luke rimane da solo con Ben, il suo Mentore, e R2-D2, il suo inconscio/Araldo.859 INT. DIMORA DI KENOBI

[…]

BEN

Oh, a proposito, ho qui qualcosa per te. Tuo padre voleva che tu l’avessi quando raggiungevi l’età giusta, ma tuo zio non ne volle sapere. Temeva che potessi seguire il vecchio Obi-Wan in qualche pazza crociata idealistica come fece tuo padre. C-3PO

Se non ha bisogno di me, signore, io mi spegnerei per un po’. LUKE

Fai pure, certo. […] Ben porge la spada laser a Luke. A conferma di ciò, per esempio, in Star Wars: Episodio VIII – Gli ultimi Jedi C-3PO dice: “Se devo essere la voce della ragione, l’ammiraglio Holdo non approverà mai questo piano.” Il droide si riferisce all’idea di Poe e Finn di disaivare il tracciatore sull’ammiraglia del nemico per consentire ai ribelli di fuggire nell’iperspazio. In effei, un’idea pericolosa. Subito dopo, Luke riesce ad aggiustare il droide e ad ascoltare l’intero messaggio di Leia. Ben insiste nel tentativo di convincere Luke a rispondere al Richiamo all’avventura. Sta cercando di parlare al suo inconscio, o alla sua coscienza (come vedremo più avanti), ma Luke resiste: rifiuta l’Appello. BEN

Dovrai imparare le vie della Forza se devi venire con me ad Alderaan.

LUKE

(ridendo) Alderaan? Ma io non ci vengo ad Alderaan. Devo tornare a casa. È tardi. Sono già nei guai così. BEN

Ho bisogno del tuo aiuto, Luke. Anche lei ne ha bisogno. Sto diventando troppo vecchio per questo genere di cose. LUKE

Non posso essere coinvolto. Ho del lavoro da fare. Non pensare che mi piaccia l’Impero, anzi lo detesto. Ma non ci posso fare niente in questo momento. Ed è lontanissimo da qui. BEN

Sembra di sentire tuo zio. Luke è dunque venuto in contao con il Mentore Obi-Wan (Ben) Kenobi, il quarto archetipo, “una figura umana importantissima che sfiderà Luke a scoprire aspei della propria vita cui finora non aveva accesso”.860 Nonostante le prime resistenze, Luke alla fine sarà costreo ad affrontare il Viaggio che il suo Mentore gli propone. Sogno o mito, in queste avventure v’è sempre una figura che appare all’improvviso quale guida, e la cui comparsa inizia un nuovo periodo, un nuovo stadio nella vita del protagonista, e questa figura possiede sempre un fascino irresistibile. Con la sua apparizione ciò che deve essere affrontato, e che è in qualche modo profondamente

familiare all’inconscio – anche se stranamente ignoto, e persino spaventevole per il conscio – si palesa; e ciò che prima era pieno di significato diventa privo di valore.861 Il Mentore caraerizza lo stadio successivo della prima parte del Viaggio dell’Eroe: l’“Aiuto soprannaturale”, cioè l’inaeso aiuto offerto a colui che ha iniziato l’avventura (per Campbell); l’“Incontro con il Mentore” (per Vogler). In Star Wars Luke incontra il suo Mentore quando Obi-Wan lo salva dai sandpeople. Ad analizzarla bene, la scena sembra davvero una narrazione soprannaturale quando dal nulla appare l’uomo incappucciato (Obi-Wan) che emee strani suoni che fanno fuggire i sandpeople. Nell’impero colpisce ancora l’incontro col nuovo Mentore avviene quando Luke si reca sul pianeta Dagobah e incontra Yoda. Vogler ci ricorda che nella mitologia greca molti eroi ebbero un mentore: Chirone, “un prototipo di tui gli Uomini e le Donne saggi”.862 Tra questi vi erano Achille ed Ercole. Il termine Mentore deriva da un personaggio dell’Odissea, Μέντωρ (Mentor), grande amico di Ulisse e colui che ne allevò il figlio Telemaco durante il lungo viaggio di ritorno dell’eroe dalla guerra di Troia. Nel suo studio sulle fiabe russe, Vladimir Propp chiama questa tipologia di personaggio “donatore” o “prestatore” perché la sua funzione esaa è di fornire all’eroe qualcosa di cui ha bisogno durante il viaggio. L’incontro col Mentore è lo stadio del Viaggio dell’Eroe nel quale l’eroe guadagna le risorse, la conoscenza e la fiducia necessarie per vincere la paura e iniziare l’avventura.863 Uno dei Mentori più affascinanti del cinema hollywoodiano è il personaggio del fisioterapista di Jacob (Tim Robbins) nel film Allucinazione perversa (Adrian Lyne, 1990): Louis (Danny Aiello). Il suo ruolo di “voce di Dio”, di coscienza, è fondamentale per Jacob per comprendere che l’unico modo per uscire dallo sconforto e cessare di avere le sue raccapriccianti allucinazioni popolate da demoni è “lasciarsi andare”, non rimanere aaccato alla vita, smeere di punirsi per i sensi di colpa generati dalla morte del figlio.

Solo allora Jacob avrà l’illuminazione e sarà in grado di raggiungere “in cima alla scala” il figlio morto. Adesso possiamo vedere che quando C-3PO si disaiva durante la consegna del Talismano (la spada laser) da parte di Obi-Wan, Luke rimane da solo con il suo inconscio (R2-D2) e la sua “coscienza” (Obi-Wan). esta scena infai racconta l’inizio dell’illuminazione dell’eroe, anche se Luke se ne renderà conto appieno solo più avanti. Il Mentore è anche colui che porta qualità magiche nel mondo dell’eroe. Obi-Wan infai educherà Luke all’uso della Forza. Così come la Strega buona del Nord consiglia a Dorothy di recarsi dal Mago di Oz. E come il mago Merlino, nel ciclo arturiano, aiuta il giovane Artù a oenere il trono e lo assiste finché non sarà in grado di cavarsela da solo. Arriviamo ora al “Varco della prima soglia”. Secondo Vogler questo stadio segna la fine del primo ao. In seguito al “Rifiuto del richiamo”, l’eroe è costreo ad agire, ad acceare il Richiamo. Ben ha anche deo a Luke che suo padre era un cavaliere Jedi e un bravissimo pilota (come Luke) di uno space figther. Owen aveva deo alla moglie Beru che Luke non era solo un contadino, ma che dentro di lui aveva molto di suo padre. Il vero Sé di Luke si sta risvegliando, ma perché ciò generi quella motivazione sufficiente a farlo agire deve accadere qualcosa di importante. alcosa che stabilisca un punto di non ritorno per il suo viaggio eroico: quando Luke e Ben si trovano davanti al massacro dei Jawa, i piccoli alieni che avevano venduto a Owen i due droidi, Ben sospea che si sia traato delle truppe imperiali. Luke, preoccupato, corre a casa e trova gli zii carbonizzati e la faoria incendiata. A volte è necessario che le zone oscure della vita emergano violentemente per spingerci a liberarci delle voci interiori che ci traengono e ci impediscono di diventare chi siamo veramente. Adesso, di fronte a questo disastro personale, in Luke si risveglia qualcosa e trova le forze per andare avanti. Col linguaggio di Jung diremmo che in Luke è stato aivato il Sé…864

E in effei la scena in cui Luke torna alla faoria è particolarmente drammatica. EST. TATOOINE – DIMORA DI LARS

Lo sprinter ruggisce fino ad arrivare nei pressi della dimora in fiamme. Luke salta giù e corre verso i crateri fumanti che prima erano la sua casa. Ci sono macerie ovunque come dopo un grande combattimento. LUKE

Zio Owen! Zia Beru! Zio Owen! Luke si trascina stordito alla ricerca degli zii. All’improvviso si imbatte dei loro resti carbonizzati. È sconvolto, non riesce a dire nulla. L’odio si sostituisce alla paura e dentro di lui si fa strada una nuova determinazione. Secondo Jung è adesso che inizia il sentiero dell’Individuazione cui abbiamo accennato, cioè il cammino verso il proprio vero Sé. Entriamo in una strana terra di nessuno, un mondo tra i mondi, una zona di araversamento che può essere desolata e solitaria, o a trai pullulante di vita. Si percepisce la presenza di altri esseri, altre forze con spine o mandibole affilate, a guardia della via verso il tesoro che si sta cercando. Ma adesso non c’è ritorno, lo sentiamo bene: l’avventura è iniziata, nel bene o nel male.865 La terra di nessuno è la famosa cantina di Mos Eisley, nel cui misterioso ventre oscuro pieno di meraviglie e orribili entità Luke deve calarsi. Così come Dorothy è catapultata nel “Mondo Speciale” da un tornado e Frodo entra nel Prancing Pony Inn (nel romanzo Il signore degli anelli, J.J. Tolkien, 1954), Luke è catapultato all’ingresso di quel Mondo grazie a Ben, un mondo del quale inizia a conoscere i poteri che gli derivano dalla Forza. L’eroe ha anche bisogno di compagni di

viaggio (l’archetipo degli “Alleati”) e la Cantina è il luogo ideale dove trovarli. Come i nobili eroi che Giasone ingaggia come equipaggio della nave Argo per aiutarlo a conquistare il Vello d’Oro. Secondo la visione di Freud, concentrata sulla soluzione ai problemi del mancato adaamento sociale, Luke sta araversando la soglia che divide l’infanzia dall’età adulta. Deve iniziare ad agire per diventare indipendente, trovare il suo posto in società, scegliere un lavoro e una compagna di vita. Staccarsi dalla famiglia d’origine e farsene un’altra. Per Jung, invece, “nella prima parte della vita l’eroe junghiano tenta di separarsi non solo dai suoi genitori e dai suoi istinti antisociali, ma anche dal suo inconscio”.866 Cioè tenta il raggiungimento della consapevolezza, non solo l’aggiustamento sociale. Come vedremo, e come abbiamo anticipato più volte, il primo capitolo della trilogia originale racconta il Viaggio dell’Eroe limitatamente alla prima parte della vita.867 Sarà solo nei due capitoli successivi della saga che Luke, una volta “diventato adulto”, farà il passaggio ulteriore. Anche in questo caso la differenza con Freud è evidente: “Così come i problemi freudiani riguardano il fallimento di trovare un equilibrio con l’esterno, i problemi di Jung riguardano il fallimento di trovare un equilibrio con il proprio interno.”868 Come abbiamo visto, secondo la scansione di Campbell il quinto e ultimo stadio è il “Ventre della balena”. In Star Wars, però, questo è un passaggio ascrivibile a un momento successivo e lo approfondiremo insieme all’“Avvicinamento della caverna recondita” secondo la scansione di Vogler. La prima tappa del secondo ao è “La strada delle prove” (per Campbell); “Prove, nemici, alleati” (per Vogler). Il primo stadio del viaggio mitologico – che abbiamo definito “l’appello” – dimostra che il destino ha chiamato l’eroe e trasferito il suo centro spirituale di gravità dalla società in cui vive a una zona sconosciuta. esta regione fatale, piena di tesori e di pericoli, viene

rappresentata in vari modi: una terra lontana, una foresta, un regno soerraneo, soomarino o celeste, un’isola ignota, la vea di un’alta montagna, o un profondo sonno; ma è sempre un luogo popolato di esseri stranamente fluidi e polimorfi, di tormenti inimmaginabili, di fai sovrumani e di inconcepibili delizie.869 Per Luke, la cantina di Mos Eisley è senza dubbio, in senso leerale e simbolico, una zona sconosciuta. Già prima di entrarci. Mentre si avvicinano, infai, Luke assiste al potere della Forza di Ben che manipola la mente di due stormtroopers imperiali e riesce a far passare al quarteo il posto di blocco. EST. TATOOINE – MOS EISLEY – STRADA

Lo sprinter si arresta in una strada affollata da diversi stormtroopers armati di tutto punto che osservano i due robot. Uno dei Trooper si rivolge a Luke. […] Luke è molto nervoso mentre armeggia per cercare il suo documento, mentre Ben parla al Trooper con tono molto controllato. BEN

Non c’è bisogno che controlliate i suoi documenti. TROOPER

Non c’è bisogno che controlliamo i suoi documenti. BEN

Questi non sono i droidi che state cercando. TROOPER

Questi non sono i droidi che stiamo cercando. BEN

Ora siamo liberi di proseguire. TROOPER

Ora siete liberi di proseguire. BEN

(a Luke) Muoviamoci. TROOPER

Muovetevi. Muovetevi! Entrando nella cantina, Luke per la prima volta deve scendere, guidato da Obi-Wan, nelle regioni del suo inconscio: la cantina è infai popolata di “esseri polimorfi” e “fai sovrumani”. INT. TATOOINE – MOS EISLEY – CANTINA

Il giovane avventuriero e i suoi due servi meccanici seguono Ben Kenobi nella cantina fumosa. L’antro oscuro e ammuffito è affollato da una gamma impressionante di bizzarre ed esotiche creature aliene, e mostri al lungo bancone metallico. A prima vista il luogo è spaventoso. Si accalcano a bere creature da un occhio solo, con mille occhi, viscide, pelose, squamate, con tentacoli e artigli. Ma c’è prima una resistenza: Luke vi entra portandosi dietro il suo Ego. È il barista (parlando a nome dello sceneggiatore) a chiarire subito le cose: qui dentro non c’è spazio per la parte conscia. TAVERNIERE

Ehi! Qui non serviamo quei tipi lì! Luke, che sta ancora cercando di riprendersi dalla vista di tante creature così stravaganti, non coglie subito le parole del taverniere. LUKE

Cosa? TAVERNIERE

Quei droidi. Dovranno aspettare fuori. Non li vogliamo qui. Luke guarda il vecchio Ben, occupato a parlare con uno dei pirati galattici. Nota che diverse delle raccapriccianti creature al bancone gli lanciano sguardi ostili. Luke dà un colpetto alla spalla di C-3PO. LUKE

Aspettate fuori vicino allo sprinter. Non vogliamo fastidi. C-3PO

Sono d’accordo con lei, signore. Come prima si era spento in un momento cruciale per Luke, adesso C-3PO si allontana. Un Mondo Speciale, anche figurativo, ha un sapore diverso, un diverso ritmo, diverse priorità e valori, e regole diverse.870 Il bar è un microcosmo del “Mondo Speciale”, secondo Vogler, un luogo araverso il quale tui devono passare prima o poi. “Everybody Comes to Rick’s” (“Tui vengono da Rick”), dice il titolo della commedia su cui è basato

Casablanca.871 È il momento in cui ti rendi conto che non sei più in Kansas.872 esto stadio all’inizio del secondo ao è un momento di prova per l’eroe, un “test per l’anima”873 che mee in gioco nuovi valori e procede secondo nuove regole, ma si traa di una prova che ancora non prevede rischi letali. Tra questi, un combaimento tra un minaccioso avventore alieno della cantina e Obi-Wan, che è costreo a renderlo inerme mozzandogli il braccio con la spada laser.874 Senza dubbio, però, i rischi mortali li “semina”. È infai in questa occasione che Luke e lo speatore conoscono Han Solo e Chewbacca, due futuri compagni di loa, e con loro – seppur indireamente – un futuro e crudele grande nemico, Jabba the Hu, il creditore di Han che farà la sua comparsa in pompa magna come villain nel Ritorno dello Jedi.875 Per Han Solo, l’arrivo di Luke e Ben rappresenta il suo personale “Richiamo all’avventura”. Inizialmente “un pirata, trafficante e capitano del Falcon […], anche Han diventerà un eroe”.876 Il suo personale “Richiamo all’avventura” – che rischia di impedirgli di aggregarsi al gruppo di Luke, Ben e i droidi – è Greedo, un cacciatore di taglie mandato da Jabba the Hu. “Diversamente da Luke, Han non ha bisogno di un aiuto soprannaturale per varcare questa soglia.”877 Come abbiamo visto (Il western, Tuco e Mando ←) Han si sbarazza del suo Guardiano uccidendolo alla maniera di Tuco, quasi fosse prassi quotidiana. D’altronde il Viaggio dell’Eroe di Han non comporta la stessa profondità di introspezione di quello di Luke. Al contempo deve essere il più suggestivo e potente possibile. A questo proposito (Mulholland drives ←) risulta estremamente interessante la discussione sorta nei commenti del video di YouTube che abbiamo citato. L’utente “Dax A.” si pone un dubbio importante: Insomma, ecco quello che non capisco. Continuo a leggere e rileggere che George Lucas avrebbe girato la scena con Declan Mulholland solo come rimpiazzo per qualche tipo creatura aliena inserita con un effeo speciale. Ma o perché questo “pupazzo” non andava bene

o perché non poteva permeerselo, la scena poi è stata tagliata. Ma se ciò fosse vero, allora perché ha vestito l’aore che avrebbe dovuto essere completamente sostituito con un effeo speciale? Non ha senso! Fare un costume per qualunque aore, in particolare uno grosso come Mr. Mulholland (senza offesa) non costa poco, quindi perché? Soprauo se il budget era così ristreo come continuiamo a leggere. Inoltre, Han avrebbe davvero chiamato Jabba “essere umano”? Ok, magari era ironico.878 I punti critici di questa scena sono diversi. Da una parte, come abbiamo affermato (e come tui i fan della saga rilevano disorientati), il risultato finale dell’inserimento di Jabba the Hu con la CGI, nella riedizione del 1997, è sorprendentemente amatoriale. Dall’altra si rileva l’incongruenza del fao che l’ultima bauta di Han Solo sia: “Jabba, sei un meraviglioso essere umano.” Ma Lucas ha sempre affermato che la sua intenzione era quella di sostituire l’aore irlandese Mulholland con un alieno in stop motion.879 Perciò, perché Han dovrebbe chiamare Jabba “essere umano”? Ma soprauo, perché la scena è stata tagliata nella pellicola del 1977? La risposta più convincente, a nostro parere, l’ha data l’utente YouTube “John Smith”: Perché questa scena stride con la storia. Le motivazioni di Han sono esclusivamente di salvarsi il culo pagando il suo debito. Durante la storia, però, cresce fino a preoccuparsi per Luke e Leia e la loro loa. Il suo conflio interno cresce, e quando prende i soldi come compenso e vola via, crediamo che sia un bastardo (anche se comprendiamo che ne va della sua vita). Così, quando torna durante la baaglia del Climax e toglie Luke dai guai, è implicito che alla fine abbia scelto di sacrificare il proprio tornaconto per i suoi nuovi amici. Roba potente. Ma perché funzioni – perché il conflio interiore di Han funzioni davvero – Jabba deve essere una forza malvagia spietata e implacabile. Uno scozzese gioviale che sembra

piuosto uno zio simpatico che un brutale tiranno indebolisce l’arco narrativo di Han.880 Perciò la scena è stata tagliata all’inizio perché in seguito Lucas si è reso conto che il personaggio interpretato da Mulholland non era abbastanza caivo per giustificare la decisione di Han nella chiave più eroica possibile. Un conto è decidere di rischiare la pelle meendosi contro il Jabba letale che abbiamo visto nel Ritorno dello Jedi, un conto contro il “pacioccone” Mulholland. Il secondo stadio del secondo ao di Vogler è l’“Avvicinamento alla caverna più recondita”. Lo meiamo in parallelo con le due tappe di Campbell: il “Ventre della balena” e l’“Incontro con la dea”. Siamo dunque arrivati alla lunga sequenza ambientata all’interno della Morte Nera, dove Luke incontra Leia, ObiWan si fa uccidere da Darth Vader, e Han scopre la vera missione per cui è stato ingaggiato. Ma prima di essere risucchiato dal raggio traente dell’arma finale dell’Impero Galaico con la quale è stato distruo il pianeta Alderaan, Luke compie un rito di iniziazione fondamentale: inizia a conoscere il potere della Forza con l’aiuto di Ben. I quaro sono in viaggio con il Millennium Falcon di Han… INT. MILLENNIUM FALCON – AREA DI CONTENIMENTO CENTRALE

Luke è nel mezzo della piccola area di contenimento; sembra pietrificato. Tiene una spada laser ronzante sopra la testa. Ben lo osserva da un angolo, studiando i suoi movimenti. Han guarda la scena con spocchia. BEN

Ricordati che un Jedi può sentire la Forza scorrere dentro di lui. LUKE

Vuoi dire che controlla le tue azioni? BEN

In parte. Ma inoltre obbedisce ai tuoi comandi. Sospeso ad altezza occhi, a circa dieci piedi di fronte a Luke, un “remoto”, un robot dall’aspetto di una palla da baseball cromata coperta di antenne, si libra lentamente compiendo un largo giro. La palla galleggia da una parte all’altra del giovane. All’improvviso fa un affondo fulmineo e si arresta a pochi centimetri dal volto di Luke. Luke non si muove e la palla arretra. Si muove lentamente dietro al ragazzo, stavolta emettendo un raggio laser rosso sangue. Colpisce Luke a una gamba, facendolo cadere. Han esplode in una risata. BEN

Ti consiglierei di tentare di nuovo, Luke. Ben mette a Luke un elmetto che gli copre gli occhi. BEN

Questa volta, non seguire il tuo io cosciente… e agisci solo con l’istinto. LUKE

(ridendo)

Con il paralaser abbassato non ci vedo neanche. Come faccio a combattere? BEN

Gli occhi a volte ingannano. Non fidarti di loro. Han scuote la testa, scettico, e Ben lancia il remoto in aria. La palla sale e poi cade come un sasso. Luke fa oscillare la spada laser intorno a sé, cieco, mancando il remoto. Questo spara un raggio laser che colpisce Luke proprio sul fondo dei pantaloni. Emette un grido di dolore e cerca di colpire il remoto. BEN

Espandi le tue sensazioni, Luke. Luke è in piedi, immobile. Il remoto si tuffa verso Luke e, incredibilmente, Luke riesce a parare il colpo. La palla smette di sparare e torna alla sua posizione originale. BEN

Visto? Ce l’hai fatta. esta scena sembra essere la perfea trasposizione cinematografica del seguente passaggio di Campbell, in cui lo scriore statunitense dà l’impressione di descrivere il senso della Forza di Star Wars: Capelli Viscosi, l’orco che simboleggia il mondo cui ci tengono legati i cinque sensi, e che non può venir geato da parte con il solo aiuto delle forze fisiche, venne domato soltanto quando il Futuro Buddha, non più proteo dalle cinque armi cui doveva il suo nome, ricorse

a una sesta arma, non nominata e invisibile: il divino fulmine della conoscenza del principio trascendente, che sta al di là del regno fenomenico dei nomi e delle forme. E subito non fu più prigioniero, ma libero.881 Si traa di una scena che ha luogo poco prima che i quaro ingaggino un vero e proprio conflio a fuoco nella Morte Nera. Forse per evitare che il suo soldato del Bene appaia troppo simile agli stormtroopers, i soldati del Male, Lucas caraerizza Luke in una maniera inusuale per un cavaliere (Jedi). I soldati sono addestrati per disconneere le loro emozioni di fronte al nemico che devono uccidere. “Al cavaliere Jedi, all’opposto, viene insegnato a espandere le sue sensazioni in modo da schivare aacchi ‘pungenti’.”882 Espandere le proprie emozioni ci soopone a diversi rischi e ci rende vulnerabili, ma “in definitiva offre come ricompensa una più grande e più misteriosa esperienza di vita”.883 Ormai Luke ha fao il passo decisivo verso la seconda parte della sua vita, quella in cui grazie al dialogo con il suo inconscio, seppur inizialmente superficiale, diventerà adulto. La soglia che divide il prima dal dopo è l’entrata nella Morte Nera. Lucas la racconta con una scena epica, lasciando che la colonna sonora di John Williams si sbizzarrisca come non è ancora accaduto, segno che per il regista questo è un momento chiave del film. Il Millennium Falcon è raccontato come un inseo, con insistenza, in confronto alla maestosità non abbracciabile con lo sguardo dell’arma dell’Impero. Il mondo dell’inconscio può essere terribile ma soprauo è vasto come l’oceano. Una volta dentro, i quaro si dividono: Obi-Wan Kenobi disaiverà il raggio traente per permeere al Millennium Falcon di fuggire, mentre gli altri cercheranno la principessa Leia. Il production designer del film ha ideato la “Caverna più recondita”, l’interno della Morte Nera, come un labirinto. Nella mitologia classica il labirinto ha sempre rappresentato la metafora di un difficile viaggio nell’ignoto. Cioè nell’esistenza stessa dell’uomo. “È interessante notare che

George Lucas ha creato ambienti labirintici anche in L’uomo che fuggì dal futuro; infai quando concepì il film, mentre era uno studente di produzione cinematografica, la prima parte del titolo era e Labyrinth.”884 Secondo Vogler, La nostra banda di Cercatori lascia l’oasi alla fine del mondo, rinfrescata e carica di maggiore conoscenza sulla natura delle consuetudini del gioco. Siamo pronti a concentrare gli sforzi sul mondo nuovo dove grandi tesori sono vigilati dalle nostre più grandi paure.885 Il tesoro più grande che la Caverna custodisce è Leia. La paura più grande che vi sta a guardia è rappresentata da Darth Vader: il padre di Luke guadagnato alla parte oscura della Forza, la mostruosa zona nascosta dell’inconscio dell’eroe che Lucas decide di non aivare ancora in questo capitolo della saga. In poche parole, l’archetipo vogleriano dell’“Ombra”, che a sua volta proviene dal Predatore, il Nemico, lo Straniero Caivo di Jung.886 Vader qui si scontrerà solo con Obi-Wan Kenobi. In questo modo Obi-Wan potrà trasferire nell’allievo la sua energia spirituale senza che Luke si confronti, ancora, con il suo conflio profondo: lui, soldato/cavaliere Jedi del Bene, è figlio del cavaliere Jedi del Male per antonomasia. La straordinaria capacità di narratore di George Lucas è molto ben evidenziata dalla lunga sequenza del salvataggio della principessa a capo dei ribelli. i Lucas riesce a fondere Campbell con un’ironia tua figlia del suo tempo. Il sentimentalismo era ormai fuori moda alla fine degli anni seanta e la scena dell’incontro tra l’eroe e la dama diventa un capolavoro, se non di recitazione almeno di scriura. INT. MORTE NERA – BRACCIO DELLA PRIGIONE

Luke si arresta di fronte a una delle celle e fa saltare una porta con una pistola laser. Quando il fumo si dirada, Luke vede l’affascinante, giovane principessa-senatrice. Stava dormendo e adesso lo sta guardando con un’espressione

incomprensibile sul volto. Luke è stordito dalla sua incredibile bellezza e rimane in piedi lì davanti a lei a bocca aperta. LEIA

Non sei un po’ basso per appartenere alle truppe d’assalto? Luke toglie il casco, rivelandosi. LUKE

Eh? Ah, l’uniforme. Sono Luke Skywalker. Sono venuto a salvarla. LEIA

Sei chi? LUKE

Sono venuto a salvarla. Ho la sua unità R2. Sono qui con Ben Kenobi. LEIA

Ben Kenobi? Dov’è? LUKE

Andiamo. È una vera e propria “satira della classica storia della ‘Bella addormentata nel bosco’. È vero che Leia dorme, che è stata intrappolata da un potere malvagio nel cuore di una fortezza molto ben difesa, e che il suo cavaliere ha combauto per arrivare a stare al suo fianco. Ma non ci sarà alcun bacio magico per questa coppia”.887 Ma ha ragione Leia: a salvarla dovrebbe essere un principe azzurro, un eroe già formato e con una propria identità ben definita. Un uomo con il quale passare il resto dei giorni, per sempre felici e contenti. E invece è solo Luke, che ha appena iniziato il suo

viaggio. “Sono Luke.” “Chi?” La domanda fondamentale alla quale Luke non sa ancora rispondere: “Chi sono io? Un adolescente qualunque o un eroe mascherato che salva il mondo?” (Una luce che cammina nel cielo ←). La risposta di Lucas, invece, è chiara: Luke è un adolescente sulla strada, ancora lunga, per diventare un eroe mascherato. Non a caso Luke, quando risponde a Leia, è costreo a togliersi il casco/maschera da stormtrooper, mostrandole così la sua identità ancora acerba. Eppure Luke ha già fao almeno un po’ di cammino: ha già perso parte dell’ingenuità che caraerizzava la sua relazione con gli altri e con il mondo. Il dialogo chiave di questo giro di boa è avvenuto poco prima con Han Solo. Han ha appena scoperto che Luke e Ben Kenobi sono alla ricerca di una principessa e non ha alcuna intenzione di dar loro una mano. Luke riesce a convincerlo dimostrando doti inedite: astuzia e capacità di persuasione. LUKE

È ricca. Chewbacca ruggisce. HAN

Ricca? LUKE

Ricca, potentissima. Senti, se tu dovessi salvarla, la ricompensa sarebbe… HAN

Quanto? LUKE

Beh, più soldi di quanto tu riesca a immaginare. HAN

Guarda, ragazzo, che io me ne immagino un bel po’. LUKE

Li avrai. HAN

Un bel po’? LUKE

Contaci. Allo stesso tempo, per Luke Leia è esaamente ciò che per Campbell rappresenta la donna nel linguaggio figurato della mitologia. E cioè: […] la totalità di ciò che si può conoscere. L’eroe è colui che viene a conoscere. Ella lo affascina, lo guida, lo induce a spezzare le proprie catene. E se egli riesce a eguagliare la sua grandezza, i due, il conoscitore e la conosciuta, saranno liberi da ogni limitazione.888 Leia è, da una prospeiva junghiana, l’anima di Luke, cioè il suo lato femminile inconscio, che trascende la psiche. Svegliandola, Luke risveglia la sua propria anima.889 Un’altra parte importante del Viaggio può iniziare. Viaggio che è iniziato, a ben vedere, sempre grazie all’intercessione di una donna: Beru, la zia di Luke, moglie dello zio Owen. È stata lei, infai, a suggerire a Owen che è Luke a dover decidere da solo cosa vuole fare della sua vita, in opposizione al desiderio di Owen che vede il nipote come suo mero successore alla proprietà della faoria una volta che sarà morto. Inoltrandosi nel corpo labirintico della Morte Nera, i nostri eroi finiscono per ritrovarsi nella sua “pancia”: la Caverna più recondita. INT. MORTE NERA – STANZA DEI RIFIUTI

Han ruzzola nella grande stanza colma di spazzatura e fango. Luke si sta già guardando intorno per cercare una via

d’uscita. Trova un piccolo prova ad aprirlo. Non cede. […]

portello

e

LEIA

Potrebbe essere peggio. Un profondo, orribile lamento inumano proviene dall’abisso fangoso. Chewbacca emette un ululato di paura e arretra. Han e Luke estraggono velocemente le pistole laser. Lo Wookie si nasconde accanto a una delle pareti. HAN

È già peggio. LUKE

C’è qualcosa che si muove qui sotto. HAN

È tutta immaginazione. LUKE

Ehi… mi ha toccato una gamba. Guarda. L’hai visto? HAN

Cosa? LUKE

Aiuto! All’improvviso Luke è trascinato sotto la spazzatura. HAN

Luke! Luke! Luke!

Solo tenta di afferrare Luke. Luke torna in superficie per prendere aria, gesticolando. Avvolto intorno alla sua gola c’è un tentacolo. LEIA

Luke! esto passaggio della storia ci conferma, ancora una volta, il complesso legame che unisce la narrazione hollywoodiana dei tempi d’oro con quella mitica individuata da Campbell e con quella di Lucas. A questo stadio del Viaggio dell’Eroe Vogler utilizza Il mago di Oz come esempio di narrazione moderna. Ma avrebbe potuto usare Star Wars: I tre eroi adesso si sbarazzano del travestimento e si introducono nella stanza del castello dove è prigioniera Dorothy. L’Uomo di Laa usa la sua ascia per sfondare la porta. Messaggio: a un certo punto può essere necessario usare la forza per abbaere il velo finale verso la Caverna più Recondita. La resistenza e la paura dell’eroe devono essere superate grazie a un violento ao di volontà.890 Una volta salvata Dorothy/Leia i quaro si concentrano sulla fuga. “Ma sono circondati da ogni parte dalle guardie della strega. Messaggio: non importa quanto l’eroe tenti di fuggire il suo destino, presto o tardi le uscite vengono chiuse ed è necessario affrontare un problema di vita o di morte. Con Dorothy e i compagni ‘intrappolati come topi’, l’Avvicinamento alla Caverna più Recondita è completo.”891 Prima di correre verso il Millennium Falcon, i quaro sono costrei a nascondersi nello scarico dei rifiuti, dove finiscono, appunto, intrappolati come topi. È stata Leia a suggerire al gruppo come salvarsi dagli stormtroopers che si stavano rendendo sempre più minacciosi. Così come è Arianna a suggerire a Teseo il modo per orientarsi nel labirinto dopo l’uccisione del Minotauro. In termini junghiani, “è la funzione dell’anima (qui simboleggiata da Leia) interna all’uomo (in questo caso Luke) che gli permee di scendere nel suo inconscio”.892 In

particolare per Luke, lo scarico dei rifiuti è uno dei simboli della sua prova di iniziazione e rinascita. Infai è solo Luke che viene trascinato soo l’acqua da un mostruoso serpente e rischia di morire affogato. La stanza in cui si trovano tui è lo “stomaco” della Morte Nera e Luke viene metaforicamente digerito e risputato. Oppure, “possiamo portare l’analogia ancora più lontano: le pareti della stanza iniziano ad avvicinarsi sugli occupanti finché non trovano l’uscita araverso una piccola porta – un po’ come le contrazioni che spingono un bambino verso il mondo esterno”.893 Una breve parentesi per una riflessione sulla raffinata tecnica narrativa di Lucas ci impone di chiamare di nuovo in causa Vogler. Lo sceneggiatore hollywoodiano descrive analiticamente questa scena nella “pancia della balena” per rilevare come Lucas sia incredibilmente abile nel giocare con le emozioni, le aspeative e l’immedesimazione dello speatore. Il re della prestidigitazione, ma al posto delle carte da gioco Lucas utilizza pietà, terrore e catarsi. ando Luke viene trascinato so’acqua possiamo vedere un lungo momento di panico araversare gli sguardi dei suoi tre compagni: “Luke è morto?” È lo stesso panico che afferra lo speatore all’idea di dover proieare la sua empatia verso un nuovo personaggio del film: “Con chi araverserò adesso il resto della storia: con la viziata principessa Leia? Con l’opportunista egotico Han Solo? Con il bestiale Wookie?”894 Proprio quando lo speatore raggiunge il livello di massima depressione, l’eroe esplode in superficie e con lui la nostra emozione, manovrata come sulle montagne russe: ti porto molto in alto per poi farti scendere molto in basso e ritorno. esto vale anche per Luke, non solo per noi: Si traa di temi mitologici comuni che rifleono la realtà dei processi psicologici interiori: prima di sentirsi meglio spesso le persone si sentono peggio. ando siamo afferrati dai vari sintomi e problemi che ci impongono di riesaminare la nostra vita, significa che il nostro inconscio è altamente aivato. est’aivazione si intensificherà, spesso in modo significativo, prima di

sentire che stiamo arrivando da qualche parte. Da un lato siamo trascinati in questo luogo profondo, dall’altro l’aspeo indipendente della psiche ci spinge in avanti. Luke è stato immerso due volte, o baezzato, in un brodo primordiale da una creatura primordiale.895 Non a caso, questa scena è di poco precedente a due momenti chiave per il Viaggio di Luke: il suo diventare un (e il suo agire da) eroe dei fumei e la morte di Obi-Wan. Il secondo è il momento più difficile: l’Eroe vede morire il suo Mentore. È il punto più basso e doloroso del percorso di Luke di discesa nell’inconscio, di riconoscimento del proprio conflio (apparente, per il momento) e di risalita verso il mondo con energie e consapevolezza rinnovate. Obi-Wan infai muore solo fisicamente e viene interiorizzato da Luke, che adesso, dopo aver araversato il dolore per la perdita, è pronto per acquisire l’energia della sua Forza. Obi-Wan, in sostanza, cancella definitivamente l’istanza psichica dello zio nella mente del giovane Skywalker. Luke, poco prima del combaimento tra Obi-Wan e Darth Vader, ha portato Leia in salvo per l’ennesima volta, in una sequenza degna dei migliori action e adventure movies. INT. MORTE NERA – NUCLEO CENTRALE

Luke e Leia corrono attraverso il portello verso uno stretto ponte che attraversa un enorme pozzo che sembra infinitamente profondo. Il ponte si ritrae scomparendo nella parete del pozzo e Luke quasi precipita nell’abisso. Perde l’equilibrio e Leia, dietro di lui, lo afferra per una mano e lo tira indietro. LUKE

(ansimante) Credo che abbiamo sbagliato strada. Accanto a loro esplodono i colpi delle pistole laser degli stormtrooper

ricordando che il pericolo è vicino. […] LEIA

Stanno arrivando! Leia colpisce uno degli stormtrooper sul ponte superiore, e questi cade nell’abisso. Luke lancia la corda oltre il grande pozzo e la assicura ad alcuni tubi affioranti. Tende la corda per accertarsi che sia sicura, poi afferra la principessa. Leia lo guarda poi lo bacia velocemente sulle labbra. Luke è sorpreso. LEIA

Buona fortuna! Luke si spinge nel vuoto e insieme attraversano il pericoloso abisso verso il boccaporto corrispondente dalla parte opposta. Appena Luke e Leia raggiungono l’altro lato del pozzo, gli stormtrooper sfondano il portello e iniziano a sparare ai due fuggitivi. Luke risponde al fuoco prima di tuffarsi nello stretto corridoio. Douglas Fairbanks, Errol Flynn, Flash Gordon, Buck Rogers, Lone Ranger, Zorro, Cisco Kid. Da questo momento anche Luke Skywalker entra a far parte della schiera degli eroi del mito del cinema, della TV e dei fumei hollywoodiani. L’anima di Luke A questo stadio del Viaggio dell’Eroe di Vogler abbiamo affiancato lo stadio che Campbell definisce “Incontro con la dea (Magna Mater)”.

L’incontro con la dea (che è incarnata in ogni donna) costituisce l’esame conclusivo della capacità dell’eroe a conquistare il bene dell’amore (carità: amor fati), che è la vita stessa intesa e goduta come una circoscria porzione di eternità.896 È indubbio che Luke conosca l’amore per la prima volta incontrando Leia. esto incontro è parte della sua iniziazione prima di affrontare la Prova Suprema: la distruzione della Morte Nera per ristabilire la giustizia nella galassia. Luke ha acceato la chiamata, ha conosciuto il suo mentore, ha varcato la soglia, ha trovato degli alleati, si è avvicinato alla caverna più recondita – nella quale è morto e rinato più forte e consapevole grazie anche all’anima incarnata da Leia – e infine ha incontrato la dea (sempre Leia) grazie alla quale ha conquistato il bene dell’amore. È pronto quindi per il test finale, la Prova Suprema (Vogler). Diversamente da Vogler, che non dedica praticamente nessuno spazio all’elemento femminile in relazione all’eroe, Campbell vi dedica ben due passaggi importanti. Uno è “il matrimonio mistico con la dea regina del mondo [che] simboleggia il completo dominio della vita da parte dell’eroe; poiché la donna è vita, ed eroe è colui che la conosce e la domina”.897 L’altro è “la donna quale tentatrice” o “la scoperta e l’agonia di Edipo”. Pochi si sono soffermati ad analizzare le contiguità tra questi due stadi e il film di Lucas. Abbiamo visto che dal punto di vista di Campbell “per Luke, Leia è una guida che lo conduce nelle dimensioni profonde del ‘non è ancora finita’. Lui ha una propensione a preoccuparsi di lei e di ciò per cui lei combae, l’integrità personale e la libertà. Ciò che invece Luke non è in grado di fare, come la storia continua a mostrarci, è prendersi cura di se stesso”.898 Allo stesso tempo il modo con il quale si svolge la storia tra Leia e Luke rappresenta anche la visione del mondo di Lucas. Campbell infai ricorda che in alcuni casi notevoli (le vite dei santi, per esempio) la figura femminile può venire ribaltata dal filtro di mitologie “reazionarie”.

Un’etica monastico-puritana, negatrice del mondo, trasforma allora radicalmente tue le figure del mito. L’eroe non può più giacere innocentemente con la dea della carne, poiché ella è divenuta la regina del peccato.899 Agli occhi di Amleto la figura della madre è sporcata definitivamente dal suo ao di giacere con il fratello del marito e re morto. Edipo, quando scopre che la donna con cui lui stesso ha giaciuto è sua madre, ne è disgustato e il suo tripudio si trasforma in agonia. In Star Wars il rapporto tra Luke e Leia non è denotato in alcun modo dal punto di vista sessuale. E non lo sarà neppure quello tra Leia e Han.900 Anche in ambito erotico, come in quello politico ed esistenziale, Lucas fa una scelta di aseicità, di political correctness. D’altronde, come scopriremo nei capitoli successivi della saga… Leia è la sorella di Luke. alunque cosa ci sia stato tra di loro fino ad allora ha configurato un ripugnante incesto agli occhi del conservatore, puritano, protoreaganiano, politicamente correo, Lucas. Apoteosi Siamo ormai vicini al plot point della crisi del secondo ao, il momento in cui l’Eroe dovrà dimostrare a sé e al (suo) mondo di essere cresciuto e di essere in grado di fare la differenza. Secondo Campbell questo è il momento della “Riconciliazione con il padre”, ma come abbiamo visto e vedremo Lucas lo rinvia al secondo e al terzo capitolo della saga. Anche se è proprio durante questa sequenza che Luke viene agito dalla Forza per la prima volta e dunque fa partire il suo percorso verso il confronto col padre. Alla base dei Ribelli Luke pianifica con Leia e gli altri l’aacco alla Morte Nera e si aggiunge ai piloti della ribellione. Insomma, ci si prepara tui, ecceo Han che non li ha seguiti, alla “Prova Suprema”. ella che per Campbell è l’“Apoteosi” (deificazione, cioè riconoscimento della natura divina dell’eroe).901

Eccolo, il drago junghiano di questo primo capitolo della saga, dalle cui grinfie Luke ha già liberato la Principessa: la Morte Nera. È il labirinto del Minotauro (Luke scoprirà la vera natura del Minotauro solo nell’Impero colpisce ancora); Golia (la Morte Nera è un ciclopico pianeta-arma che sarà distruo da un piccolo siluro protonico lanciato da Luke); la Malvagia Strega dell’Ovest del Mago di Oz. Il semplice segreto della Prova Suprema è questo: gli eroi devono morire per poter rinascere. L’emozione drammatica che il pubblico ama più di ogni altra è la morte e la nascita.902 Morte e rinascita come metafore, ovviamente.903 A proposito del finale del suo 2001: Odissea nello spazio (1968), e dunque dello Star Child, il feto cosmico, Stanley Kubrick affermò: “Si traa, in effei, dello schema di tui i miti, o quasi: l’eroe discende in un mondo fatato che rappresenta un grave pericolo e viene coinvolto in ogni sorta di avventure terrificanti da cui torna trasformato in qualche modo, esaltato. È diventato un altro essere.”904 Nel caso della “crisi” del secondo ao di Star Wars, la rinascita di Luke consiste nello scoprire che adesso può meere al servizio del Bene, nel Mondo Straordinario in cui adesso abita, la sua abilità di pilota di spacefighters. Abilità che non è più un sogno adolescenziale ma lo strumento con cui acquisire un’identità precisa, degli alleati, un posto nel nuovo Mondo e, forse, l’amore di Leia. Ma soprauo consiste nell’introieare gli insegnamenti del Mentore/Mago Obi-Wan e comprendere la Forza, cioè sapersi conneere con la regione ultrasensibile della realtà, la metafora della sua connessione con l’inconscio. ando Luke sale sull’X-Wing, infai, pretende che il computer di bordo sia R2-D2, per quanto malconcio: è il suo inconscio, quella parte di sé che può dialogare con la Forza. Forza che userà per sferrare il colpo finale.905 Ma proprio mentre Luke, nei trenta secondi finali che rimangono per colpire il cuore della Morte Nera e

disintegrarla, sente di nuovo la voce di Obi-Wan, R2-D2 viene colpito. INT. ALA-X DI LUKE – ABITACOLO

Luke allinea il reticolo di linee sullo schermo del dispositivo di puntamento. Lo osserva e poi viene attratto da una voce. VOCE DI BEN

Usa la forza, Luke. EST. SUPERFICIE DELLA MORTE NERA

Il solco della Morte Nera si avvicina. INT. ALA-X DI LUKE - ABITACOLO

Luke guarda in alto, poi inizia a guardare di nuovo il dispositivo di puntamento. Ci ripensa. VOCE DI BEN

Segui l’istinto, Luke. Il volto di Luke è attraversato da una torva determinazione. Chiude gli occhi e inizia a mormorare tra se e se il training di Ben. EST. SUPERFICIE DELLA MORTE NERA

Lo starfighter di Luke sfreccia nel solco. INT. ABITACOLO DI DARTH VADER VADER

La Forza è potente in quest’uomo! EST. SUPERFICIE DELLA MORTE NERA

Vader segue l’Ala-X di Luke nel canyon. INT. ALA-X DI LUKE - ABITACOLO

Luke guarda il dispositivo di puntamento, ma appena sente la voce di Ben distoglie lo sguardo. VOCE DI BEN

Luke, fidati di me. La mano di Luke raggiunge il pannello di controllo e preme un pulsante. Il dispositivo di puntamento si ritrae. INT. ABITACOLO DI DARTH VADER

Vader guarda il suo obiettivo. Preme il pulsante del fuoco sulla leva di comando. Il laser spara contro l’Ala-X di Luke. EST. ALA-X DI LUKE

Il laser di Vader colpisce R2 con un’esplosione di fumo. Il piccolo droide in fiamme si spegne emettendo un suono acuto. INT. ALA-X DI LUKE - ABITACOLO

Luke lancia uno sguardo convulso oltre la propria spalla verso R2. EST. ALA-X DI LUKE

Il fumo intorno al piccolo R2 si gonfia e iniziano a volare scintille. LUKE

Hanno colpito R2! I segnali acustici di fino a morire.

R2

si affievoliscono

Ecceo per la presenza immateriale di Ben, adesso Luke è davvero solo. “In questo test […] sarà messo alla prova il coraggio degli eroi. Hanno imparato ciò che dovevano imparare durante

l’iniziazione che hanno araversato?”906 Non è solo Luke a crescere. Han, poco prima che il TIE Fighter di Darth Vader colpisca l’X-Wing di Luke, torna sulla scena della baaglia al comando del suo Millennium Falcon e spazza via l’astronave di Vader consentendo a Luke di lanciare il siluro: ha trasceso il suo egoismo e adesso agisce come parte della squadra. Luke quindi distrugge il drago, slays the dragon, la Morte Nera, e, come “ando Sigfrido uccide il drago Fafner, guadagna l’oro e, bevendone il sangue, la sua saggezza”.907 Ma la sua trasformazione è appena iniziata. “In termini psicanalitici questo momento rappresenta il punto dello sviluppo personale in cui l’archetipo del Sé è realizzato in un modo più profondo e consapevole. Potremmo dire che il ‘ragazzo’, come Han chiama Luke, è venuto in contao con la sua vera personalità e ha compreso alcune sue potenzialità per la prima volta.”908 Per questo le tappe di Vogler del terzo ao (“Via del ritorno”, Resurrezione” e “Ritorno con l’elisir”) sono mancanti o traate superficialmente. In realtà Lucas, che deve solo trovare un happy ending trionfale, si concentra sull’ultimo (“Ritorno con l’elisir”) soo la forma di una grande cerimonia ufficiale di premiazione del coraggio dei tre eroi (Luke, Han e Chewbacca). È Leia a consegnare loro le medaglie: Ricevere dei premi può essere interpretato come la rappresentazione di uno stadio dello sviluppo dell’anima. Si ha ancora bisogno di aiuto e di un riconoscimento concreto; si è ancora aaccati a quel bambino interiore che desidera essere apprezzato. L’appagamento non è ancora diventato quella profonda, personale e spirituale soddisfazione che deriva semplicemente dal vivere bene la vita.909 È importante sciogliere un piccolo equivoco relativo alla natura e alla posizione del climax nella sceneggiatura, secondo Vogler, e della “Crisi”, la “Prova suprema”. La crisi non coincide con il climax, perché abitualmente si trova all’incirca a metà del secondo ao. Mentre il climax è tendenzialmente nel terzo. In certe sceneggiature invece, che

Vogler chiama a “crisi differita”, i due momenti possono coincidere o essere molto vicini perché la crisi è posticipata verso la fine. Ma κρίσις (krisis) in greco significa “scelta”, cioè il momento in cui “bisogna distinguere”, il momento in cui le strade si biforcano e va presa una decisione. Sembrerebbe quindi più giusto che appartenga al secondo ao, cioè al momento di cui parla Truby (Salvare o non salvare il gao? ←), quando l’Eroe si trova davanti al proprio bivio etico e deve agire, scegliendo e scoprendo così “chi è”. È il caso di Star Wars. La “Crisi” è il momento in cui Luke, cui è stato rivelato che può vincere la sua baaglia usando la Forza, decide di non usare la tecnologia del suo X-Wing ma solo il suo intuito: un salto nel buio. In questo momento il rischio è altissimo: se Luke sbagliasse il colpo tuo il suo Mondo sarebbe cancellato in un aimo dalla Morte Nera. Il climax è un altro plot point (snodo importante della narrazione), “un altro centro nervoso più in basso vicino alla fine della storia (come il cervello alla base della coda del dinosauro)”.910 È il grande plot point del terzo ao e il coronamento dell’intera storia. Cioè la cerimonia finale. C’è un terzo personaggio che ha compiuto un evidente “viaggio eroico”, l’androide “nipote” della ginoide di Metropolis: C-3PO (La fantascienza e il Millennium Falcor ←). ando Luke aerra nell’hangar dell’avamposto Massassi dopo la baaglia, C-3PO si preoccupa della salute di R2-D2, che è tornato malridoo. INT. AVAMPOSTO MASSASSI – HANGAR PRINCIPALE

[…]

Il piccolo R2, fuso, viene estratto dal retro dello space fighter e trasportato sotto gli occhi preoccupati di C-3PO. C-3PO

Poveri noi! R2, riesci a sentirmi? Di’ qualcosa. (al tecnico)

Potete ripararlo, non è vero? TECNICO

Cominceremo a lavorarci subito. C-3PO

Dovete ripararlo. Signore, se qualcuno dei miei ingranaggi può servire lo donerò con gioia. LUKE

Tornerà come nuovo. C-3PO è orgoglioso di R2-D2 e mostra un aeggiamento molto diverso dalle prime scene del film. “Potremmo dire che è un droide cambiato.”911 “Essere cambiato, diverso” è il destino che deve compiersi alla fine del viaggio di qualunque eroe. Un conceo sul quale gioca esplicitamente anche il soovalutato Tony Sco in Unstoppable – Fuori controllo (2010), il suo ultimo film prima della prematura comparsa nel 2012. Will (Chris Pine) si trova con Frank (Denzel Washington) – un veterano delle ferrovie (Mentore dell’eroe, che infine si sacrificherà per lui come Kenobi per Luke) – sul locomotore che deve provare a rallentare un treno merci fuori controllo e senza nessuno a bordo. Il conflio di Will è quello di non essere capace di prendere in mano la sua vita, soprauo rispeo alla moglie che vuole allontanarlo dal figlio. Dopo essere riuscito nell’impresa pericolosa di agganciare il locomotore al treno merci ed essersi ferito, soo gli occhi delle TV e quindi anche della moglie, Frank risponde così a Connie (Rosario Dawson), il loro capo, che gli chiede come sta Will: “È un Will cambiato, diverso.” esta evoluzione risulta particolarmente interessante alla luce della fine del “viaggio” di C-3PO, nel nono episodio della saga. Il trailer912 rilasciato il 21 oobre 2019 lascia intendere che C-3PO si sacrificherà per salvare Poe, Rey e gli altri: “Do un’ultima occhiata signore… ai miei amici,” dice il droide. Scopriremo solo un paio di mesi dopo, quando il film

uscì nelle sale, a quale sacrificio si riferisse C-3PO: la sua memoria dovrà essere azzerata per estrarne una traduzione molto importante nella lingua dei Sith. Il Viaggio dell’Eroe C3PO inizierà così da capo. Lucas riesce nell’impresa in cui è riuscito Spielberg con il suo A.I. – Intelligenza artificiale: far crescere nello speatore una sempre più forte empatia nei confronti di un robot. Nel caso di Star Wars, inoltre, il robot in questione non è, come nel caso di David (Haley Joe Osment) in A.I., indistinguibile da un essere umano. L’impero colpisce ancora Il primo, se non l’unico, obieivo della seconda parte della vita è sempre consapevolezza

la

consapevolezza,

ma

adesso

la

dell’inconscio piuosto che del mondo esterno.913 Sono andato così a fondo da ritenere che la nevrosi stessa può essere definita “l’incapacità di affrontare la sofferenza necessaria”. Carl Gustav Jung ando L’impero colpisce ancora uscì, nel 1980, rimase al primo posto del box office statunitense per oo seimane. Nel 1997, in occasione della riedizione della trilogia originale Special Edition, incassò altri ventidue milioni di dollari in un weekend.914 Il mito greco insegna che si combae sempre contro una parte di sé, quella che si è superata, Zeus contro Tifone, Apollo contro il Pitone. Inversamente, ciò contro cui si combae è sempre una parte di sé, un antico se stesso. Si combae soprauo per non essere qualcosa, per liberarsi. Chi non ha grandi ripugnanze, non combae.915

È l’episodio in cui scopriamo qual è “la grande ripugnanza” di Luke Skywalker, combaente contro se stesso nella seconda metà della sua vita. È il capitolo infai che, oltre a coincidere macroscopicamente con il secondo ao di Vogler/Field, combacia anche con il secondo stadio del Viaggio dell’Eroe secondo Campbell, l’“Iniziazione”. La figura del Padre, per Campbell, è come quella di un “sacerdote iniziatore” araverso il quale il giovane uomo deve passare per accedere al mondo successivo. O come quella di un orco, una “proiezione dello stesso io della viima […] che impedisce allo spirito potenzialmente adulto di nutrire un conceo più equilibrato e realistico del padre, e quindi del mondo”.916 Nel film, il padre-orco (il “drago” di Jung) è ovviamente Darth Vader, la parte oscura dalla quale Luke ancora senza saperlo è inevitabilmente arao ma che al contempo lo ripugna. Luke è uscito, per dirla sempre con Campbell, dalla sfera proteiva della madre (la “Separazione”) e deve ora affrontare il mondo degli adulti. Passa così spiritualmente nella sfera del padre “che diviene, per il figlio, il simbolo del compito futuro”.917 Ma “si è aggiunto l’elemento della rivalità: il figlio compete con il padre per il dominio dell’universo”.918 Si traa di un’applicazione quasi leerale di Campbell: nel conflio tra il Jedi della parte oscura della Forza, l’Impero Galaico, e il Jedi della ribellione c’è in gioco esaamente… il dominio dell’universo. Sono passati tre anni dalla distruzione della Morte Nera e Luke adesso è il leader della Ribellione. Ma Luke fa un grande errore in questo momento della trilogia: decide di affrontare Vader, la parte più oscura di se stesso, quando non è ancora pronto. Nonostante Yoda lo mea in guardia. INT. CASA DELLA CREATURA

[…]

La creatura distoglie lo sguardo da Luke e parla con una terza persona.

CREATURA

(irritata) Io non posso istruirlo. Il ragazzo non ha pazienza. La testa di Luke ruota verso ciò che sta guardando la creatura. Ma non c’è nessuno. Il ragazzo è sorpreso, ma gradualmente si rende conto che la piccola creatura è Yoda, il Maestro Jedi, e che sta parlando con Ben. VOCE DI BEN

Imparerà la pazienza. YODA

Hmmm. Molta rabbia in lui. Come suo padre. VOCE DI BEN

Ero diverso io quando tu mi insegnasti? YODA

Hah. Lui non è pronto. LUKE

Yoda! Io sono pronto, Ben! Io posso essere un Jedi. Ben, digli che sono pronto… Il costo sarà alto: “Vader mozza la mano di Luke, e adesso la carne di Luke è parte del suo sacrificio.”919 Lo squartamento dell’eroe è un topos frequente nei miti antichi. Ma Luke è costreo a fare di più. ando Vader lo mee alle stree e Luke si trova, leeralmente e metaforicamente sull’orlo dell’abisso, l’unica scelta che ha per salvarsi è araverso

Vader. E quando Vader gli dice “Vieni con me. È l’unica via” Luke si lancia nel vuoto. “L’ao di offrire la propria vita, se necessario, per preservare l’onore è il sacrificio ultimo richiesto agli eroi, da quelli dell’epica omerica ai samurai del Giappone.”920 Nella vita adulta, la “consapevolezza dell’inconscio” di cui parla Segal nella citazione iniziale di questo capitolo non si oiene altrimenti che con la discesa all’Inferno, come Dante nella Divina Commedia. Anche questa una straordinaria metafora della discesa nel mondo oscuro del proprio sé che avviene “nel mezzo del cammin di nostra vita”. Così come per Luke il Viaggio dell’Eroe, nell’incipit del film, è ancora a metà strada. Non a caso, l’opening crawl di questo episodio inizia con “Sono tempi duri per la Ribellione”. E il primo ambiente che vediamo, il pianeta ghiacciato Hoth dove i Ribelli hanno un avamposto, è un’immagine archetipica “di un sistema di difesa costruito dalla psiche di una persona per proteggere se stessa da ulteriori aacchi, abbandoni, o altre difficili esperienze emotive che non ha le risorse per affrontare”.921 È un pianeta con caraeristiche opposte a Tatooine, quello da cui Luke si è allontanato nel primo capitolo della saga. Sta a segnare una nuova ripresa del viaggio a partire da un livello superiore. Ma se prima il viaggio iniziava da un pianeta con due soli, un pianeta “caldo”, adesso di stelle su Hoth (un pianeta “freddo”) non se ne vede nemmeno una. “Luke ha un posto saldo nella Ribellione, ma si è anche ‘congelato’ lì.”922 È un ambiente senza riferimenti, come lo è qualunque tragio nell’inconscio, più simile dal punto di vista del production design e degli intenti di sceneggiatura agli ambienti labirintici di L’uomo che fuggì dal futuro che alla festa di colori di Star Wars. Deve accadere un altro incidente scatenante perché Luke torni a essere aivo sul sentiero del Viaggio dell’Eroe per compiere, stavolta, una vioria morale e non più solo fisica.923 Abbiamo già deo del suo volto sfigurato da un incidente occorso a Mark Hamill, (Le persone felici non hanno più storia ←), e di come tale circostanza imprevista abbia offerto a

questo nuovo livello del Viaggio una maschera perfea di sofferenza interiore. È come se la “persona” di Luke – per Jung la “persona” è il modo con il quale ci interfacciamo con gli altri, la nostra maschera sociale, l’uno nessuno e centomila di pirandelliana memoria – fosse incrinata dalla potenza interiore della sua “ombra” che erompe verso l’esterno. La coabitazione nello stesso individuo di queste due personalità così contrastanti è manifesta sia nella leeratura che nella vita: Dorian Gray, l’uomo di mondo bello e arguto, tiene nascosto il suo ritrao dove nessuno può vederlo, perché riporta tui gli aspei della sua segreta vita perversa; il door Jekyll e mister Hyde sono la stessa persona, di volta in volta un rispeabile medico e un orco mostruoso.924 È proprio questo, Luke, nell’Impero colpisce ancora: una continua, irresoluta tensione tra ciò che è stato oenuto nella prima parte del viaggio e la dolorosa consapevolezza che c’è ancora molto da fare. Si traa infai di un cammino nel proprio Lato Oscuro. Il lato degli istinti e della rabbia, lo stesso che ha trasformato il padre da Anakin Skywalker in Darth Vader. ando Luke si trova, svenuto, nella caverna del Wampa – il mostro che lo ha trascinato nella sua tana per divorarlo – in gioco non c’è solo la sua vita ma anche la capacità di non lasciarsi trascinare dalla propria parte animalesca. Ecco perché qui Lucas decide di replicare, e non per l’ultima volta, un’azione già mostrata nella cantina di Mos Eisley. Come Obi-Wan aveva mozzato il braccio di un avventore minaccioso, ora Luke mutila il Wampa con la sua spada laser. Ma non è sufficiente: Luke deve scendere nella “pancia della balena” del suo inconscio perché il ritorno lo trovi un uomo diverso. E lo fa leeralmente: è proprio dentro lo stomaco del Tauntaun che Han ha fao a pezzi con la spada laser che Luke si ripara dal freddo dell’inospitale Hoth. Un luogo che puzza come lo scivolo dei rifiuti della Morte Nera nel primo episodio, la prima vera e propria “pancia della balena” della saga.

EXT. HOTH – AMMASSO DI NEVE – TRAMONTO

[…]

Han accende la spada laser di Luke e taglia la bestia dalla testa ai piedi. Getta velocemente le interiora fumanti nella neve, poi solleva il corpo di Luke e lo infila nella carcassa. HAN

(vacillando per l’odore) Fiuu… LUKE

Dagobah… HAN

Questo puzzerà un po’, piccolo… LUKE

(lamentandosi) Yoda… HAN

… però ti terrà al caldo, finché non metto su la tenda. (faticando a mettere Luke dentro la carcassa) Oh… oh… puzzava già fuori questo… dentro poi è una fogna! Anche Han Solo e Leia devono prima scendere nella pancia della balena perché il loro amore trovi il coraggio di esplodere. Anche qui, il senso è leerale. Dopo aver lasciato Hoth sul Millennium Falcon, inseguiti dagli Star Destroyers imperiali finiscono nello stomaco di un gigantesco verme

(che richiama i vermi della sabbia di Dune) che riposa soo la superficie di un asteroide. Abbiamo già analizzato nel Terzo Ao la lunga sequenza in cui Luke incontra Yoda sul pianeta Dagobah e il suo valore smaccatamente junghiano (Le persone felici non hanno più storia ←). ello che qui vale la pena soolineare è però la differenza struurale tra lo script dell’Episodio IV e quello dell’Episodio V. Potremmo dire che, diversamente da Star Wars, L’impero colpisce ancora applica la regola dei tre ai in maniera blanda, quasi invisibile. L’incidente scatenante di questa sceneggiatura per esempio, ovvero l’accadimento che dovrebbe dare l’abbrivio all’azione del motivated hero, e cioè la decisione di Luke di andare da Yoda, è narrativamente debole. alche aimo prima dell’arrivo di Han che salva l’amico del morire congelato: EXT. HOTH – AMMASSO DI NEVE – TRAMONTO

Luke giace a faccia in giù sulla neve, semi-svenuto. Lentamente alza lo sguardo e vede Ben Kenobi, quasi invisibile attraverso la bufera. È difficile dire se Kenobi sia reale oppure un’allucinazione. BEN

Luke… Luke. LUKE

(flebilmente) Ben? BEN

Tu andrai al sistema Dagobah. LUKE

Sistema Dagobah? BEN

Là sarai istruito da Yoda, il grande Maestro Jedi che insegnò a me. L’immagine di Ben svanisce, rivelando un Tauntaun cavalcato da un uomo solo che si avvicina dall’orizzonte. LUKE

(gemendo debolmente) Ben… Ben. Luke cade in stato di incoscienza. Sono due le regole che Lawrence Kasdan e Leigh Bracke, gli sceneggiatori del film, infrangono. L’incidente scatenante, come abbiamo deo, è un “evento esterno alla volontà del personaggio” che finisce per rimuovere ogni sua resistenza all’azione. L’invito di Ben Kenobi a Luke di recarsi sul pianeta Dagobah, dove si svolgerà il secondo ao del film, invece proviene “dall’interno” di Luke (Obi-Wan è ormai integrato nella sua coscienza, il vecchio mentore è il simbolo della nuova consapevolezza di Luke rispeo alla Forza), ed è inoltre un ao, seppur inconsciamente, volontario. Nel primo episodio è accaduto il contrario: la morte degli zii, evento fuori dal controllo di Luke, lo aveva spinto a seguire Ben nell’avventura. La scelta della coppia di sceneggiatori di questo secondo episodio è in questo caso motivata dal fao che, come abbiamo anticipato, L’impero colpisce ancora corrisponde, di fao, al secondo ao (Vogler/Field) dell’intera trilogia originale, e non ha più bisogno di un incidente scatenante. I fan della saga infai hanno percepito questo capitolo per ciò che è nelle intenzioni: un “episodio” intermedio di un’avventura di più ampio respiro. E ne hanno decretato il successo anche se non rispea, in sé, la classica scansione narrativa cui gli speatori dei blockbusters sono abituati. È difficile, infai, individuare nel film i tre ai per come siamo abituati a conoscerli. Conferma questa teoria la

riflessione sui tre ai contenuta nell’ormai a noi ben noto Alternative Scriptwriting. Beyond Hollywood Formula: Una limitazione della scriura cinematografica è che una storia per lo schermo deve essere impostata [con il primo ao, N.d.A.] e deve avere un qualche livello di conflio o confronto. Di conseguenza, una storia che sia solo impostata, o che sia solo confronto e non impostazione (l’opzione ‘ao unico’) è troppo limitante e troppo simile al frammento di una storia più ampia, piuosto che essere la storia cinematografica di un lungometraggio.925 L’impero colpisce ancora è, infai, “solo confronto”, solo secondo ao, mancando quasi completamente il primo ao (l’impostazione, delegata a Star Wars) e il terzo ao (la risoluzione, Il ritorno dello Jedi). Non a caso il film finisce con l’ultimo beat sheet di Blake Snyder nel suo Save the cat (Salvare o non salvare il gao ←): il “Tuo è perduto”, che Snyder pone infai alla fine del secondo ao. Han Solo è stato imprigionato nella grafite, Luke ha appena rischiato di perdere la mano e insieme a Leila, C-3PO e R2-D2, araverso la grande vetrata del centro medico osserva la galassia dove sfreccia il Millennium Falcon con a bordo Lando e Chewbacca in viaggio verso Tatooine per liberare Han. In ogni caso, subito dopo che Ben ha “parlato” a Luke, Luke cade in stato di incoscienza e un ipotetico secondo ao ha inizio. È questo il nuovo “Mondo Speciale” dell’Impero colpisce ancora: l’inconscio. Per fortuna c’è sempre Han Solo ad accompagnare Luke nel suo viaggio. Ma questo è anche il capitolo in cui è lo stesso Han a doversi confrontare con l’Inferno, simboleggiato qui dall’ibernazione nella grafite, nella quale Han rimarrà, vegetale, fino all’episodio successivo. esta scelta da parte di Lucas di cambiare registro e creare un film molto più scuro del precedente (e del successivo) è probabilmente dovuta anche alla collaborazione – mai abbastanza soolineata perché offuscata dalla fama di Kasdan e dalla morte improvvisa della scririce subito dopo che aveva completato la prima stesura – con Leigh Bracke.

Nel 2010 il sito “StarWarz.com” ha pubblicato la prima, originale versione dello script del futuro L’impero colpisce ancora, corredata dalle note di Bracke e Lucas.926 Il titolo di lavorazione era ancora STAR WARS sequel. Bracke aveva collaborato con nomi del calibro di Ray Bradbury (con il quale ha scrio per esempio Lorelei delle rosse brume nel 1946) e William Faulkner (con il quale ha scrio la sceneggiatura del Grande sonno, Howard Hawks, 1946). Era anche una scririce di “space opera popolari, romanzi e racconti planetary romance” (Il fantasy, la Forza e la magia ←) ma non era molto accreditata presso la comunità leeraria di fantascienza. esta prima stesura firmata da Bracke inizia, diversamente da tui gli incipit dell’intera saga, direamente su Hoth, il pianeta ghiacciato, e non con l’immagine dello spazio che fa da fondo all’opening crawl seguita da una panoramica. “L’universo invecchiato, logoro, arrugginito, vissuto, che Lucas aveva impostato nel 1977 si intravede a malapena.”927 Inoltre contiene in sé già quasi tui i plot point principali del film che abbiamo visto sullo schermo. Oltre che quasi tui i concept e le scene. Solo i dialoghi differiscono in maniera significativa dalla versione definitiva. Tra le sequenze del film terminato la più cruciale, dal punto di vista dell’oscuro Viaggio dell’Eroe, è l’allenamento di Luke su Dagobah con Yoda: “Bracke ha scrio questa parte quasi nella sua forma finale.”928 Per esempio, quello che qui è chiamato ancora Minch (Yoda nella versione finale) spiega a Luke che il Lato Oscuro della Forza è “il tuo Lato Oscuro”. L’ennesima riprova degli intenti campbelliani di questo episodio. Rafforzata per esempio anche dal seguente passaggio: Luke è su Dagobah e ha appena incontrato Yoda. esto è lo script definitivo: INT. CASA DELLA CREATURA R2,

sbirciando dalla finestra, vede l’interno della casa – una dimora molto semplice ma accogliente. Tutto è

proporzionato alle dimensioni della creatura. L’unica cosa fuori scala nella stanza in miniatura è Luke, la cui altezza fa sembrare il soffitto, alto poco più di un metro, ancora più basso. Si siede, gambe incrociate, sul pavimento del salotto. La creatura è in un’area adiacente – la piccola cucina – e sta cucinando un pasto incredibile. I fornelli sono un miscuglio fumante di pentole e padelle. Il piccolo padrone di casa rugoso si affretta masticando un po’ questo e quello, e innaffiando tutto con erbe esotiche e spezie. Fa avanti e indietro mettendo vassoi sulla tavola di fronte a Luke, che lo osserva con impazienza. LUKE

Senti, sono sicuro che è squisito, ma perché non posso vedere subito Yoda? CREATURA

Pazienza. Per il Jedi anche è ora di mangiare. Mangia. Mangia. È caldo! Roba buona è! Roba buona! Muovendosi con qualche difficoltà in quegli spazi ristretti, Luke siede davanti al fuoco e si serve dalla pentola. ello che segue è un passaggio della prima stesura della Bracke. Minch (Yoda) offre a Luke da mangiare e gli dice:

“Mangia, Skywalker. Mangia, e sogna.” Sogna, Luke, direbbe Campbell, sei nello stadio dell’Iniziazione. Dell’inconscio. Notare che Minch ancora non parla con la peculiare costruzione morfosintaica propria della lingua mistica kotava (invece che soggeo-verbo-complemento, complemento-soggeo-verbo).

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LUKE, MINCH, ERREDUE LUKE

Se lo faccio mi ritornerà su. MINCH

Non c’è altro su questo mondo. Perciò a meno che tu non intenda volare via… (Luke guarda tristemente all’astronave mezza affondata) Obi-Wan Kenobi l’ha mangiato… Lui e tutti gli altri giovani che sono stati qui per diventare cava lieri. LUKE

Quindi questo era un centro di addestramento! C’è ancora qualcuno? Qualcuno che… […] MINCH

Mangia, Skywalker. Mangia, e dormi. E quando ti sentirai abbastanza forte sarà meglio che ti avventuri qui fuori per trovare una latta d’olio

per il tuo scostante amico. Erredue emette un suono sgarbato. Minch salta via, ridendo. Le discrepanze più evidenti tra i due script sono che Darth Vader e “Master Skywalker”, il padre di Luke in questa stesura, sono due personaggi diversi; e che Han Solo non viene ibernato nella grafite. Anche il finale è uguale a quello del film: “Sospeso, fluuante da qualche parte nello spazio.”929 Nell’Impero colpisce ancora troviamo anche l’archetipo del “Mutaforma”, cioè il personaggio di Lando Calrissian. Calrissian è l’amministratore della Cià delle Nuvole e un vecchio amico di Han Solo. Ma, ricaato da Vader, tradisce Han e consegna lui e Leia a Vader. È a causa sua quindi che Han sarà ibernato nella grafite. Pentitosi, Lando Calrissian aiuterà Leia e gli altri a scappare dalla Cià delle Nuvole. Il suo personaggio ritornerà nell’ultimo capitolo della trilogia sequel, Star Wars: Episodio IX – L’ascesa di Skywalker. I Mutaforma cambiano apparenza o animo, e sono difficili da individuare per l’eroe e il pubblico. Possono ingannare l’eroe o tenerlo sulle spine, e la loro lealtà o sincerità è sempre in dubbio. Anche un Alleato o un amico dello stesso sesso dell’eroe possono agire come Mutaforma in una buddy comedy o un film d’avventura.930 Anche Han Solo, in Star Wars, può essere considerato un “Mutaforma” nei confronti di Luke, se osserviamo il loro rapporto come quello di un buddy movie: il suo cambiamento però, come abbiamo visto, è da negativo a positivo. Un famoso Mutaforma dell’Odissea è il dio marino Proteo, “l’immortale vecchio del mare”. Menelao, uno degli eroi di ritorno dalla guerra di Troia, tenta di costringere Proteo a dargli delle informazioni. Per fuggire, Proteo si tramuta in un leone, un serpente, una pantera, un cinghiale, in acqua che scorre e in un albero. Ma Menelao e i suoi uomini tengono duro finché Proteo

torna alla sua vera forma e si arrende rispondendo alle loro domande. La storia insegna che se l’eroe è paziente con i Mutaforma alla fine la verità verrà fuori.931 In All’inseguimento della pietra verde, il “Mutaforma” è il personaggio interpretato da Michael Douglas, Colton, che costringe Joan Wilder (Kathleen Turner) a interrogarsi continuamente sulla sua fedeltà. Il più memorabile, terrificante Mutaforma della storia del cinema è forse l’alieno di La cosa (John Carpenter, 1982). Perché prendendo l’identità degli organismi viventi che incontra, fa diventare mutaforma sia in senso leerale che narrativo tui i personaggi del film, ecceo il protagonista, MacReady (Kurt Russell). Nel capitolo Le persone felici non hanno più storia ho affermato a proposito di questo episodio: “[…] stavolta Luke sta combaendo contro il vero drago, e l’applicazione del Viaggio dell’Eroe di Campbell alla storia raggiunge il massimo grado di intensità.” In Alternative screenwriting l’autore sostiene che, se una storia non segue perfeamente l’orizzontalità della struura in tre ai, allora è necessario bilanciare questa mancanza con altro. Per esempio con la verticalizzazione, la profondità del personaggio: “Lo sceneggiatore deve essere flessibile per assicurare che ciò che elimina da un comparto della sceneggiatura sia compensato altrove.”932 È esaamente ciò che accade nell’Impero colpisce ancora: è molto difficile individuare nel flusso narrativo la scansione in tre ai ma è evidente la “verticalizzazione” su Luke (e su Solo). In definitiva, il senso di questo secondo episodio della trilogia originale può essere racchiuso nel seguente passaggio del Libro rosso di Jung: “L’ombra rispose: ‘Io ti porto la bellezza della sofferenza. È quello di cui ha bisogno chi ospita il verme’.” Il verme (drago) di Luke dorme soo il tappeto della sua coscienza. C’è bisogno che si risvegli perché Luke se ne accorga e, prima di vincerlo, decida con coraggio di nominarlo. esto episodio racconta esaamente il momento in cui l’Ombra porta a Luke la “bellezza della sofferenza”. Il successivo episodio affronterà il momento in cui il verme

(Vader) si autonominerà per conto di Luke: “Io sono tuo padre.” Il ritorno dello Jedi Non c’è conflio! Darth Vader Nel terzo capitolo della trilogia originale il conflio di Vader c’è eccome, ed è alla massima potenza. Come è alla massima potenza la resistenza ad ammeerne l’esistenza. È proprio questo conflio nel conflio, cioè cercare con tue le proprie forze di negare il conflio, che rende Vader un personaggio altissimo, degno delle migliori tragedie. Darth Vader pronuncia una delle frasi più famose, citate e parodiate di tui i tempi: “No. Io sono tuo padre!” È quello in cui l’eroe sconfigge la sua Ombra che voleva risucchiarlo verso il Lato Oscuro della Forza e ribalta le posizioni. È Vader infai a salvare Luke dall’imperatore Palpatine e a convertirsi al Lato Chiaro della Forza, prima di morire tra le braccia del figlio. Il ritorno dello Jedi racconta il terzo stadio del Viaggio dell’Eroe, il “Ritorno” (il terzo ao, secondo la scansione di Vogler/Field), dopo la Separazione dello Jedi e l’Iniziazione dello Jedi. Ci permee anche di confrontarci con la chiusura dell’arco narrativo dell’antagonista, il più famoso villain della storia del cinema. La figura di Vader acquista qui un rilievo importante. Se guardiamo al viaggio dell’eroe non solo in relazione alla trilogia originale di Star Wars ma a tui e sei gli episodi correnti, la narrazione potrebbe essere descria come la nascita, la caduta e la redenzione di Anakin Skywalker.933 Cioè pietà, terrore e catarsi di Anakin Skywalker (La Poetica (di Aristotele) ←). L’arco narrativo di Vader inizia infai nella trilogia prequel, nella quale ci viene mostrato

come e perché Anakin Skywalker si sia trasformato da cavaliere Jedi a Signore dei Sith. All’inizio il piccolo Anakin è un personaggio positivo con poteri soprannaturali ma, divenuto adolescente, la sua incapacità di gestire l’odio e la rabbia per la morte della madre lo risucchia nel Lato Oscuro. Diversamente da altri grandi antagonisti del cinema epico americano come Saruman o Gollum (Il signore degli anelli), Vader alla fine si redimerà sacrificando la sua vita per salvare il figlio dalle ire di Palpatine. Rispeo quindi alla scansione sulla distanza dei tre episodi, Lucas ricolloca arbitrariamente la quarta fase del Viaggio dell’Eroe di Campbell (la “Riconciliazione con il padre”) del secondo stadio (l’“Iniziazione”) nel terzo episodio della saga originale. La conciliazione con il padre altro non è che l’abbandono di quel doppio mostro autogeneratosi – il drago visto come Dio (super-io) e il drago visto come peccato (io represso). Ma ciò esige che si perda ogni aaccamento al proprio io, e qui sta il difficile. È innanzituo necessario convincersi che il padre è generoso, e confidare in questa sua generosità. Allora il centro della propria fede si sposta al di fuori dell’anello squamoso del dio tormentatore, e i terribili orchi scompaiono.934 Al neo di alcuni momenti in cui Luke rischia di farsi trascinare nel Lato Oscuro, “sente” fin dall’inizio che Vader può essere redento. EST. PIATTAFORMA INFERIORE

DI

ATTERRAGGIO

IMPERIALE



PONTE

[…]

Vader e Luke rimangono soli nella straniante, calma bellezza del posto. Da lontano arrivano attutiti i suoni della foresta. VADER

L’Imperatore ti stava aspettando.

LUKE

Lo so, padre. VADER

Allora, hai accettato la verità. LUKE

Ho accettato la verità che tu una volta eri Anakin Skywalker, mio padre. VADER

(si volta per guardarlo) Quel nome non ha più alcun significato per me. LUKE

Quello è il nome del tuo vero io. L’hai solo dimenticato. So che c’è del buono in te. L’Imperatore non è riuscito del tutto a privartene. Ecco perché non hai potuto distruggermi. E perché non mi porterai ora dal tuo Imperatore. Secondo Vogler, qualche volta la Prova Suprema può essere l’occasione per l’eroe di sanare la ferita profonda tra se stesso e un genitore. Una possibilità che Campbell chiama “Espiazione con il Padre” (Atonement with the Father), ed ecco che torna Aristotele: “catarsi”, l’espiazione dell’eroe che ha combauto il suo drago dopo aver ispirato prima “pietà” e poi “paura” nello speatore. Non è un caso, come abbiamo visto,

che la catarsi avvenga nel (coincida con il) terzo ao dell’arco narrativo considerato sulla lunghezza della trilogia. “A volte l’eroe, sopravvivendo alla Prova Suprema o osando sfidare l’autorità di una figura genitoriale, oerrà l’approvazione del genitore e i conflii apparenti tra di loro saranno risolti.”935 Si traa di quella che Vogler definisce “morte dell’ego”. In qualche modo l’eroe è diventato un dio, capace di avere uno sguardo più ampio sulla connessione tra tue le cose. Come abbiamo deo, a questo punto l’equilibrio è raggiunto e la narrazione si interrompe: “Le persone felici non hanno più storia”. Nel capitolo successivo infai, Star Wars: Episodio VII – Il risveglio della forza, non sarà più Luke il protagonista ma Rey. “I greci lo chiamavano ‘il momento dell’apoteosi’, un passo avanti rispeo all’entusiasmo in cui si ha soltanto il dio dentro. Nello stato di apoteosi si è dio.”936 L’eroe è diventato, pienamente, un Eroe anche agli occhi della comunità. Lucas replica infai in questo episodio una scena del primo, quando Luke salva Leia dagli stormtroopers araversando l’abisso della Morte Nera con l’aiuto di una corda, alla Douglas Fairbanks. Ma lì i due erano soli, e il gesto eroico di Luke non poteva ricevere il timbro di approvazione di nessuna comunità plaudente. Né Luke era ancora, davvero, un eroe completo. Nella scena del Ritorno dello Jedi, invece, il salvataggio di Leia – che adesso è vestita in modo più seducente che in Star Wars (Jabba l’ha usata fino a poco prima come schiava sessuale) e dunque richiama in maniera più esplicita le eroine del cinema hollywoodiano classico d’avventura (Romancing the Planet. All’inseguimento del pianeta nero ←)– avviene platealmente, durante una circostanza critica della baaglia tra Luke, Han, Leia, Chewbacca, Lando Calrissian e gli scherani di Jabba the Hu. Se questa è, per il momento, la chiusura dell’arco narrativo di Luke, quella di Vader è di essere diventato un “personaggio tragico […]. Vader è, in un certo senso, un angelo caduto che alla fine rivela la sua vera natura”.937

La tragicità shakespeariana del personaggio di Vader – e uno dei motivi che lo hanno reso un personaggio così affascinante e così radicato nell’immaginario colleivo – è tua nella sua incapacità di “nominare il drago”, cioè di riconoscere il proprio “conflio”, se non poco prima di morire: quella scintilla di amore che prova per il figlio nonostante le profonde divergenze è riconosciuta quando è ormai troppo tardi. INT. TORRE DELL’IMPERATORE – SALA DEL TRONO

Luke e Vader sono impegnati in un duello di spade laser corpo a corpo ancora più feroce della battaglia su Bespin. Ma il giovane Jedi nel frattempo è diventato più forte e adesso il vantaggio è dalla sua. […] LUKE

I tuoi pensieri ti tradiscono, padre. Avverto il bene che è in te. Il conflitto che è in te. VADER

Non c’è nessun conflitto. Solo con il sacrificio di Vader, finalmente redento, può essere ristabilito l’equilibrio nella Forza (e l’Equilibrio classico del terzo ao dello script hollywoodiano) cui tui i Jedi (e tui gli speatori)938 aspirano da tempo. Dietro questo conceo c’è sempre Jung a fare capolino. L’ideale junghiano è la creazione di un equilibrio tra l’ego e l’inconscio: l’ego non deve recidere i suoi legami con l’inconscio così come non deve abbandonarsi a esso. […] L’ideale junghiano è quindi un equilibrio tra la consapevolezza del mondo esterno e del mondo interno – con l’ego come soggeo di consapevolezza in entrambi i casi.939

esta strenua ricerca dell’Equilibrio che inizia con Star Wars, la prima parte della vita di Luke, e si conclude con Il ritorno dello Jedi, la seconda parte della sua vita (ma il terzo ao del suo arco narrativo), è soolineata anche da una sofisticata ricerca costumistica. Per l’intera durata del primo episodio Luke è vestito di bianco, anche in omaggio allo jūdōgi orientale (così come Obi-Wan potrebbe essere ispirato allo spadaccino giapponese Miyamoto Musashi). Nell’Impero colpisce ancora di grigio (in particolare durante la discesa nel suo incoscio a Dagobah). Nel Ritorno dello Jedi di nero. Una evidente, progressiva perdita dell’ingenuità infantile a favore della solidità della maturità. Lo stesso vale per Leia, l’anima di Luke, che ha un arco costumistico che fa da contraltare e da bilanciamento a quello emotivo del protagonista. Jean-Michel Sourd rileva alcuni deagli interessanti a questo proposito. In Star Wars Leia veste una tunica bianca, come si addice a una principessa: è una “donna priva di aspeo femminile” e la sua preferenza erotica (ma irrealizzabile in quanto sorella) è per Luke. Nell’Impero colpisce ancora è una “donna con potenzialità femminili” e inizia a interessarsi di Han Solo (il cui amore è invece realizzabile): “Leia indossa prima un’uniforme da guerriera, poi una cappa e un costume (a Clouds City). Ha anche un cambio di peinatura, più femminile.” Nel Ritorno dello Jedi è una “sorella con una femminilità ormai confermata. […] Infai in Il ritorno dello Jedi perde gradualmente la sua distinzione reale, e quasi tui i vestiti (nel quartier generale di Jabba the Hu)”.940 Alderaan rossa? L’arco narrativo di Luke non pare concludersi però con il VI Episodio, bensì con gli ultimi due episodi della trilogia sequel. Nel penultimo, Star Wars: Episodio VIII – Gli ultimi Jedi (Rian Johnson, 2017), Luke, ritiratosi a vita eremitica sull’isola di Ahch-To, torna a vestire abiti chiari. Dovremmo dedurne che si appresta a un nuovo viaggio o che è tornato

sui suoi passi? Oppure che il suo primo viaggio non è stato completato? ale nuovo squilibrio deve riequilibrare? ale motivazione deve ancora esplorare con l’azione? In realtà questo ultimo stadio consiste, seppur temporaneamente, in un vero e proprio ritiro dall’azione. Lo spiega bene Campbell. La legge del Monomito, il ciclo completo, esigono che l’eroe inizi ora la fatica di portare le rune della saggezza, il Vello d’Oro, o la sua principessa addormentata, fra gli esseri umani, dove il dono ricevuto potrà contribuire a rinnovare la comunità, la nazione, il pianeta, o i diecimila mondi.941 Spesso, però, l’eroe non accea questa responsabilità e si ritira dal mondo: Sono infai numerosi gli eroi che stabilirono la propria residenza nell’isola benedea dell’eterna dea della Vita Immortale.942 È proprio ciò che scopriamo essere accaduto a Luke in Star Wars: Episodio VII – Il risveglio della forza, scrio da Lawrence Kasdan, J.J. Abrams e Michael Arndt. Dopo innumerevoli sforzi, Rey scopre dove si nasconde l’ultimo Jedi. EST. SPAZIO – GIORNO

Il Falcon VOLA nello spazio e schizza alla velocità della luce. EST. AHCH-TO – GIORNO

Un OCEANO incontaminato e maestoso. Un BLU sconfinato, punteggiato da rare, meravigliose ISOLE montagnose DI ROCCIA NERA e infiniti ALBERI VERDI. Il Millennium Falcon TORNA ALLA VISTA, e atterra su una delle ISOLE. EST. AHCH-TO – GIORNO

Rey, il bastone legato dietro le spalle, inizia ad arrampicarsi su per l’enorme montagna, lanciando uno sguardo a Chewie e

R2-D2

che la osservano dal fondo della rampa. Dopo un profondo sospiro, Rey continua il viaggio. EST. AHCH-TO – GIORNO – SCALA DI PIETRA

Gli ANTICHI SCALINI DI ROCCIA che sembrano senza fine sono costruiti tra i massi e la vegetazione di questa isola idilliaca. Rey continua ad arrampicarsi, determinata, nonostante la fatica. L’informazione che consente a Rey e Chewbacca di trovare Luke completando il puzzle della mappa interstellare è, anche in questo caso, contenuta all’interno di R2-D2: l’inconscio di Luke. Luke, infai, si è immerso di nuovo in un (lungo) sonno metaforico. A volte l’eroe deve essere soccorso, per far ritorno dalla sua avventura soprannaturale, da un aiuto esterno. È cioè il mondo che deve venire a riprenderlo. Non è facile, infai, abbandonare la beatitudine della caverna e ridestarsi. “Chi, avendo respinto il mondo,” si legge, “potrebbe desiderare di ritornarvi? Chiunque vorrebbe restare là.”943 Forse Luke sta cercando di scoprire quelli che Eraclito chiamava “i confini dell’anima”? Lo stesso Eraclito però affermava che per quanto lontano ci si spinga, quei confini è impossibile raggiungerli, e che anzi quanto più li cerchi tanto più l’anima “abissalmente si dispiega”. In ogni caso, il ritiro di Luke, la sua volontà di non riportare l’elisir dal Mondo Speciale al Mondo Ordinario, consente agli sceneggiatori del film di offrire al nuovo eroe, Rey, uno scenario vergine, azzerato, da cui partire per il suo personale Viaggio dell’Eroe. L’eroe precedente non ha cambiato il mondo fino in fondo e dopo anni quel mondo è tornato a essere come era prima che Luke vi si immergesse. La Disney, come abbiamo visto, ha scelto di riproporre quasi esaamente il tragio di Star Wars, cambiando solo alcuni deagli non sostanziali.

Sarà proprio Rey, ma solo alla fine del film, a “soccorrere” Luke. È lei a incarnare il “mondo che deve venire a riprendere” il vecchio Jedi che si è autocostreo nell’isola su Ahch-To, così come Luke ha tentato di “riprendere” il padre Anakin dall’isola del proprio Ego in cui si era ritirato. EST. ISOLA DI AHCH-TO – EDIFICI DI PIETRA – GIORNO

Rey arriva nei pressi di una radura. Ci sono alcuni piccoli, modesti, primitivi edifici in pietra. Ma in giro non c’è anima viva. Rey li attraversa, li osserva, non percepisce alcuna presenza. Infine si arresta. Sente qualcosa. Si volta. A una distanza di una decina di metri, dandoci le spalle, c’è un UOMO con un MANTELLO E UNA TUNICA. Rey lo fissa, conoscendo esattamente la sua identità. Ma lo osserva per quella che sembra un’eternità. Finché l’uomo SI VOLTA, LENTAMENTE, verso di lei. Abbassa il cappuccio. È LUKE SKYWALKER.

Gli ultimi Jedi (scrio da Rian Johnson) racconta insomma il tentativo di Rey di convincere Luke a concludere il suo viaggio, a riportare l’elisir. EST. ISOLA DI AHCH-TO – GIORNO REY

Il Primo Ordine controllerà tutti i sistemi maggiori in poche settimane. Ci occorre il tuo aiuto. E che l’Ordine dei

Jedi rinasca. Ci occorre Luke Skywalker. LUKE

Non vi occorre Luke Skywalker. REY

Hai sentito quello che ho detto? LUKE

Che ti aspetti? Che mi faccia avanti con una spada di luce ad affrontare l’intero Primo Ordine? Che ti aspettavi che sarebbe successo qui? Pensi che sia venuto nel posto più irrintracciabile della galassia senza alcuna ragione? Vattene via. REY

Non me ne vado senza di te! È Vogler a spiegare cosa sta succedendo a Luke: È un momento in cui l’energia della storia, un po’ diminuita nei momenti tranquilli della Presa della Spada, si ravviva. Se consideriamo il Viaggio dell’Eroe come un cerchio con l’inizio in alto, siamo ancora giù in cantina e ci sarà bisogno di una spinta per tornare di nuovo alla luce.944 al è dunque la conclusione del nuovo arco narrativo di Luke, dietro l’apparenza del ritiro? Ce lo chiarisce il finale degli Ultimi Jedi: abbandonarsi alla morte, al definitivo passaggio del testimone, ma potendo contare su una “Nuova speranza”, la stessa con cui tuo è iniziato. Trentaquaro anni fa era lui stesso la nuova speranza, adesso è Rey. Luke, deluso dal suo allievo Ben Solo (il figlio di Han e Leia

divenuto Kylo Ren, novello Darth Vader), ha creduto che i Jedi fossero finiti. Con l’arrivo di Rey comprende che invece c’è una nuova luce (un nuovo “Luke”). Sostiene quella luce sacrificandosi per la Resistenza e infine muore, scomparendo nel nulla come capitò a Kenobi. Il nuovo equilibrio di Luke è quello definitivo, senza ritorno: una morte in pace. “Luke è morto, l’ho sentito. Ma non c’era tristezza in lui. C’era pace… e determinazione” dice Rey a Leia nel finale del film. Scopriamo infai, in Star Wars: Episodio IX – L’ascesa di Skywalker, che quando uno Jedi muore “scompare nella Forza” solo se è in pace. Ce lo dice definitivamente la morte di Leia, il cui corpo scompare soo gli occhi di Maz Kanata solo dopo la morte di suo figlio Ben, anch’egli addormentatosi (e scomparso) in pace dopo aver salvato la vita di Rey, che ama. Anche il corpo di Obi-Wan Kenobi scompare subito dopo che il mentore di Luke è stato ucciso da Vader e dopo aver visto Luke e Leia finalmente riuniti dopo diciannove anni. Kenobi ha raggiunto l’approdo del suo Viaggio: ormai anziano (“Sto diventando troppo vecchio per questo genere di cose.” Star Wars ←), non gli rimane che passare a Luke i suoi poteri, così come Luke, ormai anziano, li passa a Rey. C’è anche un aspeo cristologico evidente in questo episodio. Il titolo originale del film è e Rise of the Skywalker. In inglese rise è un sinonimo di ascent (“ascendere”) ed è spesso associato all’ascesa al cielo di Cristo dopo la sua resurrezione. Perciò il titolo si riferisce con un triplo significato sia all’“ascesa al ruolo di” Skywalker da parte di Rey; sia alla “resurrezione” di Luke nell’anima di Rey (nel finale Rey sentirà la sua voce e troverà grazie a essa le ultime forze per combaere e vincere contro Palpatine come era accaduto a Luke con la voce di Kenobi durante l’aacco alla Morte Nera); sia all’ascesa al cielo di Luke, finalmente alleggerito dal peso delle sue paure, dei suoi sensi di colpa e dei suoi fallimenti. Esaamente come “la salita al cielo di” Jacob alla fine di Allucinazione perversa (Star Wars ←). O come nella trasfigurazione cristologica di Rust Chole nel

finale di True Detective, quando il personaggio interpretato da Mahew McConaughey, nella sua stanza di ospedale, acquista le vere e proprie sembianze di Cristo: dopo essere passato araverso l’inferno di Carcoosa e aver rischiato di morire, adesso è finalmente leggero, libero dei suoi sensi di colpa nei confronti della figlia morta. Anche Gesù è uno dei personaggi delle “storie antiche” analizzate da Campbell: La possibilità di passare ripetutamente dall’uno all’altro mondo, da quello delle apparizioni nel tempo a quello delle cause profonde e viceversa – senza contaminare i principi dell’uno con quelli dell’altro, e tuavia permeendo alla mente di conoscere l’uno in virtù dell’altro – costituisce la grande prerogativa del Maestro. Il Danzatore Cosmico, dice Nietzsche, non si appoggia pesantemente su un unico punto, ma, gaio e leggero, piroea e passa da una posizione all’altra. I miti spesso non spiegano in una sola immagine il mistero del rapido passaggio. ando ciò accade, l’episodio diventa un simbolo prezioso, significativo, da conservare come un tesoro e contemplare. La Trasfigurazione del Cristo fu uno di tali momenti. “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse in disparte sopra un’alta montagna, e si trasfigurò dinanzi a loro: il suo volto rifulse come il sole, e le sue vesti divennero candide come la luce.”945 Nel 1977 sul Washington Post, un importante illustratore statunitense, Darrin Bell, caurò questo aspeo cristologico della storia di Lucas: la sostituzione dell’immagine primaria di Dio nell’inconscio colleivo del nostro mondo. Nell’illustrazione si vede una folla entusiasta e vari media in uno stato di eccitazione per i personaggi di Star Wars (tra cui C-3PO e R2-D2). In secondo piano, oggeo di nessuna aenzione, c’è l’immagine del Cristo risorto. Luke è passato nell’“altro mondo” e da questo momento, come abbiamo visto accadere a Yoda o a Kenobi, può “passare

ripetutamente da uno all’altro”. ando torna nel nostro, come accade nell’Ascesa di Skywalker e come è accaduto a Kenobi e Yoda in altre occasioni, la sua figura sprigiona una luce azzurra. Una trasfigurazione cristologica. Nel 1977 sul Washington Post, un importante illustratore statunitense, Darrin Bell, caurò questo aspeo cristologico della storia di Lucas: la sostituzione dell’immagine primaria di Dio nell’inconscio colleivo del nostro mondo. Nell’illustrazione si vede una folla entusiasta e vari media in uno stato di eccitazione per i personaggi di Star Wars (tra cui C-3PO e R2-D2). In secondo piano, oggeo di nessuna aenzione, c’è l’immagine del Cristo risorto. Seguendo l’analisi di C.M. Bowra contenuta nel lavoro colleaneo e Hero in Literature, veniamo a conoscere l’interessante “catalogazione” in narrazioni mitiche, romance ed epiche della narrativa eroica antica. L’eroe del mito è un dio, l’eroe del romance è superiore agli altri uomini – ma non è un dio – e al suo ambiente, l’eroe epico è superiore agli altri uomini ma non al suo ambiente. “Ha autorità, passione e poteri espressivi molto più grandi dei nostri, ma ciò che fa è soggeo sia alla critica sociale che all’ordine naturale.”946 Da questa prospeiva potremmo quindi affermare che gli eroi di Lucas, da Anakin fino a Rey, passando per Luke, Kenobi, Leia e Ren (e forse Finn) configurano una sintesi dei tre “stadi” dell’eroe leerario, una sintesi raggiunta gradualmente durante l’arco narrativo della propria vita risalendo gli “stadi” stessi. Inizialmente il personaggio di Luke, per esempio, è traeggiato come un eroe epico, umano, con grandi potenzialità ma in difficoltà con l’ambiente (la cantina di Mos Eisley) e soggeo ai limiti naturali (prima di riconoscere che è in grado di superarli araverso la Forza); poi diventa un eroe del romance, pienamente immerso nel “regno del meraviglioso, del magico e del mostruoso”947 (nel Ritorno dello Jedi); e infine, soprauo nella trilogia sequel, diventa una sorta di divinità, sembra appartenere alla poesia sciamanica […]. Il mago o sciamano protagonista riesce nelle sua impresa non tanto araverso la forza

fisica quanto araverso la conoscenza ermetica, i poteri magici e l’iniziazione ai misteri soprannaturali.948 A questo punto i passaggi di testimone da un protagonista all’altro, nella prospeiva dell’intera saga, sono evidenti: il protagonista della trilogia prequel, Anakin Skywalker, diventa l’antagonista (l’Ombra) della trilogia originale della quale il nuovo protagonista è Luke Skywalker. Nella trilogia sequel Luke finisce a sua volta in secondo piano divenendo il coprotagonista, mentre è Rey ad assurgere a ruolo di protagonista. est’ultima, il cui cognome reale è Palpatine (Rey è la nipote “abiatica” dell’Imperatore, che è suo nonno), nel finale – rispondendo alla domanda di una donna che le chiede chi sia – si dichiara essere una Skywalker. Riprendendo quindi l’analisi di Campbell sugli archi narrativi a scatole cinesi e l’Uovo Cosmogonico (Si parte per il Viaggio ←), potremmo dire che la struura dei tre ai si svolge non solo, più o meno integralmente, all’interno di ogni singolo episodio, non solo sulla lunghezza di ogni trilogia, ma anche dalla prospeiva dell’intera saga. Una saga composta da tre trilogie, ognuna delle quali concentrata nel racconto di un “membro” della famiglia Skywalker: Anakin, Luke, Rey. Una saga dunque che racconta, sulla lunghezza di nove film divisi in tre ai (ogni ao composto da una trilogia), il Viaggio dell’Eroe Skywalker. Nella trilogia prequel, Anakin, un “senza famiglia” (è l’etimologia di Anakin, da an privativo e kin inglese arcaico per “parenti”); in quella originale, Luke, una “luce” figlia di due soli; in quella sequel, Rey, un “raggio” (dall’inglese ray). Raggio emesso dalla luce di Luke a sua volta generato dall’oscurità che prelude alla luce (Darth suona come dark, “oscuro”)? Risulta lampante quale sia il Conflio Madre che racchiude in sé i singoli conflii dei tre personaggi. Un Conflio Madre che, diversamente da altri casi in cui è svolto sootraccia, qui è esplicito: il doloroso tentativo di trovare la risposta alla domanda “Chi sono io?”. Un Jedi passato definitivamente al Lato Oscuro della Forza incapace di redimersi e di provare pietà neppure nei confronti del figlio?

Un semplice farm boy destinato a rimanere su Tatooine per sempre mentre il mondo si ribella all’Impero? Un’orfana qualunque che ricicla pezzi di astronavi precipitate? Rey dice a Luke, nell’VIII Episodio: “Io cerco qualcuno che mi mostri il mio posto in tuo questo.” E nel IX Episodio, a una piccola aliena di Pasaana che le chiede di sapere il suo cognome: “Non ne ho uno. Solo Rey.” Perché è necessario che l’eroe abbia un nome? Il dirio a un nome significa che un uomo può compiere delle azioni che variano qualitativamente dalle azioni di un altro uomo. L’uomo nella sua condizione mediana condivide con gli animali la mortalità e con gli dei il suo dirio ad avere un nome. Il nome è molto importante nella poesia eroica: diventa uguale alla somma delle sue imprese. Si presume che l’azione di un uomo sia conoscibile e conosciuta, e che si sappia sia sua.949 In tui e tre i casi siamo dunque di fronte a personaggi con un forte problema di identità, non fosse per il fao che tui sono stati abbandonati dai genitori o, addiriura, non sanno neppure chi siano. Dall’analisi dei miti di Oo Rank (Il figlio dei soli ←), si evince chiaramente che la stragrande maggioranza degli eroi delle narrazioni mitiche, epiche e religiose si confronta con il problema della separazione dalla propria famiglia da parte degli eroi ancora infanti. Accade per esempio in quello che Rank definisce “probabilmente il più antico mito eroico in nostro possesso” del 2800 a.C.: Sargon il Primo, fondatore di Babilonia. Sargon fu abbandonato in un fiume in una navicella di giunco e adoato da Akki, che ne fece il suo giardiniere. Una storia quasi del tuo corrispondente a quella di Mosè che, in quanto figlio di ebrei, fu abbandonato dalla madre per ordine del faraone in una cesta di giunchi lungo il fiume per poi essere adoato dalla stessa figlia del faraone. L’etimologia di Mosè e di Akki è molto simile: “estrao dall’acqua” il primo, “ho estrao dall’acqua” il secondo. Anche l’eroe di alcune storie dell’epos indiano Mahābhārata, Karna, nato dalla principessa Pritha e dal dio del sole Surya,

fu abbandonato in un fiume in un cesto fao di cespugli. Per non parlare di Edipo, abbandonato dal padre Laio a causa della profezia dell’oracolo di Delfi secondo la quale il ragazzo da adulto lo avrebbe ucciso. Interessante a questo proposito notare che Edipo, da adulto, ignaro dell’identità del padre, lo uccide. ello che sta per succedere in L’impero colpisce ancora tra Luke e Vader. Laio era il re di Tebe, Vader Signore dei Sith. Infine, sempre seguendo Rank, è interessante rilevare che Gilgamesh, futuro re di Babilonia, fu abbandonato anch’egli in seguito alla profezia che il figlio della figlia del re avrebbe spodestato il nonno, e fu in seguito accudito da un’aquila. Luke e Rey sono stati abbandonati anche loro dai genitori. Figlio della senatrice Padmé Amidala e di Anakin Skywalker, Luke viene allevato dagli zii in seguito alla morte della madre e alla trasformazione del padre nello spietato Vader. Rey, nipote dell’imperatore Palpatine, è stata abbandonata dai genitori sul pianeta Jakku per salvarla dai Sith. Riprendendo le riflessioni di Iaccino su Jung, il cinema e gli archetipi, possiamo così confermare, dalla prospeiva del rapporto dei protagonisti con i loro genitori e viceversa, la sua scansione dei primi tre capitoli della trilogia originale: – Star Wars: padri spaziali che abbandonano la loro discendenza. – L’impero colpisce ancora: padri spaziali che reclamano la loro discendenza perduta. – Il ritorno dello Jedi: padri spaziali che si riuniscono alla loro discendenza.950 Ma se analizziamo bene la trilogia sequel, soprauo a partire dal primo episodio, ci rendiamo conto che non siamo di fronte esaamente allo stesso Viaggio dell’Eroe che Lucas aveva immaginato per Luke. Come nota Payal Doctor, una professoressa indiana di filosofia che insegna nel eens, l’arco narrativo di Rey si svolge seguendo una linea diversa rispeo alla trilogia originale. “Segue il viaggio contemporaneo dell’eroina mentre si conforma al costruo

essenziale del Monomito dell’eroe.”951 Secondo Doctor, Rey si focalizza più sul bene colleivo che sul suo viaggio personale, all’opposto del tradizionale Viaggio dell’Eroe. Inoltre l’eroina non inizia il viaggio grazie a una guida, un Mentore, bensì spinta solo dalla propria volontà di salvare la sua comunità.952 Il viaggio dell’eroina di cui parla Payal Doctor è uscito originariamente nel 1990 quando Maureen Murdock, una junghiana allieva di Campbell, decise che l’eroe del Monomito non era sufficiente a descrivere il viaggio esistenziale di una donna. Il sootitolo recitava: La ricerca della donna della propria completezza. Il Viaggio è composto di oo stadi e non è destinato agli sceneggiatori ma ai terapisti e alle donne stesse. Campbell non ne era entusiasta e disse alla sua allieva: “Le donne non hanno bisogno di fare il Viaggio. Nel viaggio mitologico la donna è già lì. Tuo ciò che deve fare è rendersi conto che è il luogo che gli altri cercano di raggiungere”. Con l’ultimo capitolo della trilogia sequel siamo forse di fronte alla decisione di rendere meno ingenuo l’impianto etico della narrazione. Negli Ultimi Jedi c’è una scena che sembra quasi voler meere una pietra tombale sulla semplificazione tra bene e male della trilogia originale. DJ, il ladro interpretato da Benicio del Toro, spiega a Finn come funziona il mercato delle armi nella galassia. La nave che ha rubato appartiene infai a un mercante di armi che vende a entrambi gli schieramenti, l’Impero e la Resistenza, “i buoni e i caivi”: “Finn, ora ti insegno una grande cosa” spiega DJ. “È tua una macchina, bello. Vivi libero, non schierarti.” DJ non è un Mutaforma come Lando Calrissian, prima “buono”, poi “caivo” e infine definitivamente “buono”. DJ è contemporaneamente buono e caivo, dà la sensazione di sapere bene ciò che fa, di aver raggiunto il suo punto di equilibrio, diversamente da Calrissian, o da Solo. E quando per un aimo sembra redimersi, restituendo a Rose il suo prezioso medaglione, lo fa solo perché può permeerselo, visto che ha deciso di venderli al nemico. Non a caso il suo personaggio si confronta principalmente con Finn, le cui scelte rispeo alla ribellione non sono ancora arrivate al

punto di equilibrio: dopo aver disertato dall’esercito imperiale, Finn si è unito suo malgrado alla Resistenza, e in questo episodio tentenna tra il fuggire e il sacrificarsi per i suoi nuovi amici. È Finn, infai, il Mutaforma di questa trilogia (il suo nome da stormtrooper infai era FN-2187). A definitiva conferma del gioco dei passaggi di testimone tra personaggi da una trilogia all’altra. Come abbiamo visto, Lucas ha abdicato alla scriura della trilogia sequel. Per molti questo è stato un bene. Lo è, per molti aspei, alcuni dei quali ho approfondito qui. Lucas aveva abdicato anche alla regia diverso tempo prima, affermando di aver compreso che quello non era il suo mestiere e che preferiva produrre. Non si può dire che la sua vita sia stata in perfeo equilibrio, pur essendo quella dell’uomo che ha inventato Star Wars. Oggi ha seantasee anni e probabilmente si trova nel terzo (o quinto) ao del suo arco narrativo esistenziale. Non sappiamo se abbia trovato finalmente un nuovo equilibrio o se abbia finalmente riconosciuto e nominato il drago. ello che è certo è che il plot point più importante della sua vita, il climax, Lucas lo ha avuto all’inizio del secondo ao invece che nel terzo. In quel maggio del 1977 lo sforzo immane che era stata la scriura e la produzione del film oenne la sua massima soddisfazione. Si traava dell’obieivo raggiunto oppure di un obieivo raggiunto? al è stato il suo conflio, nei decenni a seguire? Forse tra qualche anno (o decennio) qualcuno farà un film su di lui. Sicuramente seguendo la struura del Viaggio dell’Eroe. Magari potrebbe chiamarlo e Adventures of Lucas Skywalker.

Titoli di coda

“Alcuni dei miei amici si preoccupano di essere considerati artisti come Fellini o Orson Welles, io invece non ho mai avuto quel problema,” insistee Lucas. “Se non avessi fao il regista probabilmente sarei un creatore di giocaoli.”953 Nessuno speatore o nessun leore di romanzi va al cinema o legge un libro per ascoltare una storia. Si ascolta sempre la propria storia: il successo di una narrazione dipende da quanto essa sappia parlare a chi la ascolta. Da quanto cioè il fruitore possa individuare nei personaggi aspei che lo aiutino a rispondere alle domande sulla propria vita. I miti, le narrazioni epiche e quelle religiose hanno resistito fino a oggi perché parlavano a tui. Campbell non ha fao altro che scoprire che tali mitologie sono un’unica mitologia e dunque contengono al loro interno, a qualunque latitudine e in qualunque tempo esse siano state generate, la storia di tui. Offrono cioè risposte a domande universali. La stessa cosa che ha fao George Lucas. indi Lucas come Omero o la Bibbia? Con sullo sfondo un gigantesco mutatis mutandis, sì, senza dubbio. Ma con una precisazione fondamentale: così come i miti non nascono dall’intelligenza (la capacità di meere in relazione tra loro gli stimoli della realtà) di un singolo uomo, bensì da un’intelligenza colleiva che con il tempo genera una sintesi, Star Wars non è il risultato di un’intelligente e deagliata analisi antropologica, filosofica e culturale di Lucas su “come fare un film che incassi”. Lucas è solo l’inconsapevole precipitato di un’intelligenza colleiva che si è incarnata in uno dei suoi membri. È stato insomma il colleore, il

rielaboratore e il riaualizzatore (inconsapevole prima, consapevole – per esigenze di marketing – dopo) di istanze colleive inconscie che spingevano per uscire allo scoperto per riequilibrare le conseguenze sugli uomini di una certa comunità (quella americana) di un momento storico particolarmente squilibrato. La consapevolezza di Lucas, infai, è emersa a posteriori e data in pasto alla stampa tempo dopo l’uscita del film per dare ulteriore slancio alla vendita della saga. In fase di scriura quella consapevolezza consisteva esclusivamente nell’aver interceato per mere ragioni anagrafiche e culturali (la sua passione per un certo cinema/TV e una certa leeratura/fumei) e per la coincidenza di trovarsi in un contesto produivo cinematografico – la New Hollywood che glielo permeeva e forse lo spingeva – quale fosse “la storia che parlava a tui”. Una consapevolezza che infai non si è sempre rivelata vincente, visti i fallimenti di molti dei successivi tentativi pensati per cavalcare l’esito positivo della trilogia originale: lo speciale televisivo del natale 1978, che non è mai stato riprogrammato in TV né distribuito in home video a causa del suo mastodontico insuccesso; e la trilogia prequel, di cui abbiamo ampiamente deo. Tuo questo fa di lui (e del percorso creativo che ha portato alla nuova mitologia che ha creato) una figura estremamente interessante proprio perché così complessa e contraddioria. Una figura rara. Se provassimo a individuare nel cinema italiano una figura del genere, dovremmo innanzituo rivolgerci al passato, quando il cinema – ancora non ossessionato dall’esigenza di strappare pubblico alla televisione, e poi al VOD – ancora contribuiva a formare in maniera significativa l’immaginario colleivo. E dovremmo rivolgerci, in particolare, al cinema di Sergio Leone tra il 1964 e il 1971 (la trilogia del dollaro, C’era una volta il West, Giù la testa). ando il cinema italiano era grande, infai, quando rivaleggiava con gli Stati Uniti superandolo in quantità e qualità e il suo mercato costituiva, nonostante la limitazione della lingua, il dieci per cento di

quello mondiale, Sergio Leone dichiarava: “Il Cinema o è mito o non è.” Come abbiamo visto, lo stesso George Lucas, come i suoi colleghi Martin Scorsese e Woody Allen, teneva d’occhio il cinema italiano e in particolare quello di Leone. Il suo (soprauo Giù la testa, 1971) è stato un cinema che ha addiriura anticipato le riflessioni sulla nostra “perdita della verginità”, gli anni di piombo. Per esempio analizzando la differenza tra i ribelli (parte della società civile che scendeva in piazza e si organizzava in movimenti non violenti – cioè Juan, Rod Steiger) e i rivoluzionari (le Brigate Rosse – cioè Sean, James Coburn). Ma lo ha fao, diversamente dal cinema dei cosiddei “autori” nostrani (Marco Bellocchio, Wilma Labate, Mimmo Calopresti, Stefano Rulli), con il cinema di genere, lo spaghei western, un cinema speacolare e popolare. Io e Mazzino Montinari ne parliamo a lungo nel nostro documentario Fuori fuoco – Cinema, ribelli e rivoluzionari. ello che sembrano insegnarci Lucas e Leone dunque, la cui parabola è simile anche dal punto di vista della forte resistenza che istituzioni e critica ufficiale hanno fao nei loro confronti prima di riconoscerne i meriti, è che la narrazione cinematografica, al di là delle crisi industriali e della concorrenza dei nuovi media, può ancora avere un forte impao sul pubblico. Sia dal punto di vista dell’immaginario sia da quello del successo economico. Al neo anche della commedia, magari anche di basso profilo, che in diversi momenti storici e a diverse latitudini è stato il genere che ha salvato l’industria (per esempio quella italiana degli anni sessanta e seanta). Un impao che poggia le sue solide basi sull’intelligente e coraggiosa decisione di aingere a un immaginario culturale considerato di serie B (ricordiamoci che il western dei tempi d’oro, come la fantascienza, era considerato dagli studios un genere minore), filtrarlo araverso la propria personale esperienza di speatore/narratore e offrirlo in pasto a un pubblico che non aspea altro. Generando così un cinema popolare di alto livello.

Ma d’altronde la realtà si impone sempre sui pregiudizi e sulle narrazioni più conservatrici e schizzinose della cultura egemonica di turno. È del luglio 2021 la notizia, riportata da Le Monde, secondo cui l’esercito francese starebbe chiedendo aiuto agli scriori di fantascienza per immaginare possibili scenari futuri di guerra e terrorismo, “‘costruire valide ipotesi strategiche che potrebbero sconvolgere il piano d’azione di cellule terroristiche’. I membri della neonata Red Team si occuperanno quindi di progeare simulazioni, giochi di ruolo e altre aività e scenari che possano allenare i militari in vista di qualcosa che non è ancora successo e che potrebbe succedere (lo stesso William Gibson in Neuromante anticipò la realtà predicendo il Web, come Aldous Huxley nel 1932 in Brave New World anticipò la nascita degli antidepressivi, ma gli esempi sono ben più numerosi). Alla base vi sarebbe l’insolita collaborazione tra il ministero della difesa francese e l’Università di scienze e leres di Parigi (PSL).” Esempio contemporaneo italiano di questo approccio di successo è Lo chiamavano Jeeg Robot (2015). Anche questa è una captivity tale come Star Wars. L’eroe Enzo Ceccoi (Claudio Santamaria) loa contro il caivo (Luca Marinelli) per salvare la donna di cui è innamorato, Alessia (Ilenia Pastorelli): una Leia di borgata. L’action drama sci-fi di Gabriele Mainei denuncia già dal titolo l’intento favolistico proieato in un mondo passato che Star Wars denuncia nel crawl iniziale: “C’era una volta, tanto tempo fa” un supereroe. Non un supereroe qualsiasi, bensì il supereroe della generazione dei trentenni-quarantenni, il supereroe televisivo più popolare, in Italia e nel mondo, degli anni seanta e oanta. Lo chiamavano Jeeg Robot, che parla a entrambi i momenti del viaggio psichico dell’eroe junghiano, quello dell’infanzia e quello della maturità, è il Flash Gordon di Mainei. Lo “spaghei Marvel” senza l’apparato produivo monopolistico generatore di theme park movies pensati a tavolino e realizzati da uno storyboard digitale piuosto che da un regista, ma con la forza di una nuova “artigianalità” cinematografica partorita dalla necessità di

muoversi tra i mille ostacoli che il sistema pseudoindustriale cinematografico italiano pone quando si trova di fronte a un UFO. Non è un caso, forse, che le traversie produive di questo film siano state simili a quelle del primo Star Wars: Mainei, dopo diversi rifiuti, ha dovuto impegnare parte del suo capitale famigliare per produrre il film, così come Lucas aveva dovuto spendere un milione di dollari prima di riuscire a meere la prima versione della sceneggiatura sulla scrivania della Fox. Lo chiamavano Jeeg Robot è costato un milione e seecentomila euro e ha incassato, solo in Italia e solo nella prima finestra di sfruamento theatrical, quasi sei milioni: quarto incasso italiano dopo le due commedie di Gennaro Nunziante/Checco Zalone e Carlo Verdone, e Virzì. Rimanendo in sala per ben trecentoundici giorni (quarantaquaro seimane). Poco, ma è già qualcosa. Comunque un miracolo se rapportato al box office italiano. Ma è la consapevolezza creativa e industriale di Mainei l’elemento più interessante della faccenda. Leggendo le sue risposte a Manlio Gomarasca su Nocturno, sembra quasi di sentir parlare un Lucas sofisticato: “Sai, i fratelli Manei, nello specifico Marco, un giorno mi disse: ‘Ga’, qua in Italia famo storie banali con personaggi impossibili’, cioè che non esistono. ‘Le cose più belle le fanno quelli che fanno storie impossibili con personaggi reali.’ Cioè, se riesci a lavorare talmente tanto sul tuo personaggio, sulla sua verità, qualsiasi ostacolo gli poni davanti, possibilmente un ostacolo intelligente, ti racconta chi cacchio è questo personaggio. indi se ha i superpoteri, tu ci credi, però bisogna giocare con quella che è la nostra realtà, e la nostra realtà è questa. Cosa se ne farebbe un delinquente sfigato di Tor Bella Monaca, di quarant’anni, dei superpoteri? Rapinerebbe un bancomat.” Mentre scrivo, il suo ultimo film, Freaks Out, un Jeeg Robot all’ennesima potenza, è in concorso al Festival di Venezia. Potrebbe essere, questa, la strada per una rinascita del cinema italiano, capace di andare oltre lo snobismo culturale

del suo innocuo “cinema d’autore” degli ultimi trent’anni? Nascerà una narrazione in grado di svincolarsi da quella ormai pallida e consunta del neoneorealismo, per la quale il conceo di entertainment è una bestemmia? Riusciremo a produrre nuovamente un grande cinema “politico” di genere e popolare, di esportazione, alla Giù la testa, capace di occuparsi – per dirla alla Capra – dei “lavoratori, magari costrei al nero, dalla fronte madida che tornano a casa troppo stanchi per gridare slogan o far dimostrazioni nelle strade; delle decine di milioni di disoccupati a causa del lockdown; degli operai dell’industria pesante, camionisti, rider; dei tre morti quotidiani sul lavoro; degli operai la cui fabbrica viene delocalizzata all’estero da un giorno all’altro; degli infermieri e dei medici della sanità pubblica caduti soo il contagio anche a causa dei decennali definanziamenti al nostro SSN? Chi farà dei film su di loro, per queste ruote che scivolano avanti senza un lamento, senza uno scricchiolio per oliare quelle altre, gracchianti e lamentose del neocapitalismo?”. Chi farà un film con un altro Tuco, un personaggio universalmente comprensibile pur se inoppugnabilmente italiano? Faremo mai un film sul “Chi sono io?” in senso junghiano ambientato in un seing fantascientifico, accanto al solito “Oh mio dio, mia figlia è omosessuale!” in senso mucciniano ambientato in un saloo dei Parioli? Faremo mai un nuovo Henry, pioggia di sangue accanto a Caro diario? Ci sarà qualcuno in grado di comprendere che per raccontare la tragedia globale del Covid-19 non esiste solo la strada di Contagion (Steven Soderbergh, 2011), in cui la narrazione è 1:1 con la realtà, ma anche quella dello Squalo, probabilmente a oggi il film più efficace sul tema centrale e drammatico del Coronavirus: morte sanitaria o morte economica? Il capitale o la vita delle persone? Dopo la prima guerra mondiale pensatori come Wigenstein, Benjamin, Heidegger, osservando – dal tram – la Germania distrua rifondavano la filosofia occidentale. Dopo la seconda, intelleuali come Zavaini, osservando –

dal tram – l’Italia bombardata inventavano il neorealismo. Dopo il Covid-19 chi osserverà il mondo? Da quale punto di osservazione? ale cinema si inventerà per raccontarne la devastazione (e la possibile ricostruzione)? Chi parlerà del “capitalismo dei disastri”, responsabile ovunque dell’arretramento dei dirii sociali? Il cinema internazionale si confronterà con la caduta dell’impero americano, divenuta agli occhi di tui forse irreversibile dopo l’Afghanistan dell’agosto 2021, e con il disvelamento dei limiti e dei crimini della globalizzazione e del neoliberismo? ale cinematografia sarà in grado, sfruando l’insegnamento del cinema popolare epico per come lo abbiamo analizzato, di offrire al vasto pubblico una Nuova Religione che possa riconciliarci con ciò che abbiamo affrontato o ci aiuti a comprendere le ragioni di una nuova loa? Esisterà un “nuovo classicismo”? ale nuovo eroe popolare nascerà dalle ceneri del virus? Sarà un eroe individualista o colleivo? Servirà a distrarci o a ispirarci? A farci sentire assolti o ad accendere la miccia della rabbia? Proveremo “pietà” per il suo squilibrio iniziale? Sentiremo “terrore” per la sua loa, che riconosceremo come nostra? Arriveremo insieme a lui alla “catarsi”? Ci basterà averla provata comodamente seduti sulla poltrona o sentiremo l’esigenza di viverla nel mondo, “in situazione”, rischiando anche noi di essere uccisi da uno stormtrooper? ale mitologia sarà necessaria? Ma soprauo: siamo ancora capaci di mitologie e religioni?

Ringraziamenti

Voi sapete perché. Luca Cangianti, Giorgio Gosei, Adrian Iancu, Emanuela Liverani, Andrea Minuz, Luigi Monsellato, Ciccio Pistacchio, Chiara Prascina, Elisabea Sgarbi, Arianna Vennarucci.

Note

S. Chatman, Story and Discourse – Narrative Structure in Fiction Film, Ithaca (NY), Cornell University Press, 1980, p. 18. Traduzione mia. 1

Consultabile all’indirizzo: platone-piu-famosi-di-gesu-51.178. 2

www.quotidiano.net/blog/alari/aristotele-e-

Aristotele, Poetica, introduzione traduzione e note di D. Lanza, Milano, BUR, 2016, p. 117, 1, 14-17. 3

4

Ivi, p. 125, 4, 3-8.

5

Ivi, p. 135, 6, 24-29.

6

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, Milano, Feltrinelli, 1958, p. 30.

Aristotele, Poetica, introduzione traduzione e note di D. Lanza cit., p. 141, 7, 21-23. 7

8

Ivi, p. 143, 7, 2-6.

9

Ivi, p. 145, 8, 16-19.

10 J.H. Lawson, eory and Technique of Playwriting, e Estate of John Howard Lawson, 1936, p. 34. 11

5-7.

Aristotele, Poetica, introduzione traduzione e note di D. Lanza, cit., p. 147, 9,

12

Regia di Federico Greco e Mazzino Montinari, 2014.

13

Aristotele, Poetica, introduzione traduzione e note di D. Lanza, cit., p. 151, 12-

18.

Aristotele, Poetica, traduzione e introduzione di G. Paduano, Laterza, RomaBari, 1999. 14

Aristotele, Poetica, introduzione traduzione e note di D. Lanza, cit., p. 153, nota 5. 15

16

Ivi, pp. 157-159, 30-12.

17

Ivi, pp. 161-163, 1-13.

18

Ivi, pp. 160-161, nota 1.

19

C. Vogler, in Ari Hiltunen, Aristotele a Hollywood, Roma, Dino Audino, 2011,

p. 6.

V. Pravadelli, La grande Hollywood, Venezia, Marsilio, 2018, p. 79. Vedi meglio in Ao II. Corsivo mio. 20

S. Benedei, “Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell’eroe tra mito e cinema”, in Itinera – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Leratura, aprile 2008, p 21

19. Le citazioni da Aristotele sono trae da: Aristotele, introduzione traduzione e note di D. Lanza, cit., p. 209 (24, 27-28) e p. 169 (15, 26-28). S. Benedei, “Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell’eroe tra mito e cinema”, cit., p. 15. 22

23

Ibidem.

V. Brombert (a cura di), e Hero in Literature, Greenwich (CT), Fawce, 1969, p. 56. 24

A. Horton, What Has Aristotle Done to Hollywood? Narrative Structure Plot vs Character, from Ancient Greece to Avatar and Beyond, e University of Oklahoma, agosto 2015, vol. 5, n. 8. 25

J. Lanouee, e Uses and Abuses of Aristotle’s Poetics in Screenwriting How-to Books, 24 dicembre 2012 (consultabile all’indirizzo www.screentakes.com/theuses-and-abuses-ofaristotles-poetics-in-screenwriting-how-to-books/). 26

27

Ivi. Traduzione mia.

28

L. Hunter, Lew Hunter’s Screenwriting 434, New York, Perigree, 1993.

Il libro di Hunter sostiene a sua volta che la Poetica sia “una delle bibbie della sceneggiatura”. 29

30 R. Krevolin, Screenwriting from the Soul, Los Angeles, Renaissance Books, 1998, p. 40. Traduzione mia.

R. McKee, Story: Substance, Structure, Style, and the Principles of Screenwriting, New York, HarperCollins, 1997, p. 5. Traduzione mia. 31

32

Ivi, p. 79.

33 J. Lanouee, e Uses and Abuses of Aristotle’s Poetics in Screenwriting How-to Books, cit.

J. Lanouee, A History of the ree-Act Structure, dicembre 1999 (consultabile all’indirizzo www.screentakes.com/an-evolutionary-study-of-the-three-actstructure-model-in-drama/). 34

T. Pope, Good Scripts, Bad Scripts: Learning the Cra of Screenwriting rough 25 of the Best and Worst Films in History, New York, ree Rivers Press, 1998, p. XV. Traduzione mia. 35

36

J. Lanouee, A History of the ree-Act Structure, cit.

37

S. Field, Screenplay – e Foundation of Screenwriting, New York, Delacorte,

1979. 38

S. Field, Screenwriter’s Workbook, New York, Dell, 1984.

39 J.H. Lawson, eory and Technique of Playwriting, e Estate of John Howard Lawson, 1936, p. 38. Traduzione mia.

S. Price, A History of the Screenplay, New York, Palgrave McMillian, 2013, p. 52. Traduzione mia. 40

41

Consultabile all’indirizzo www.supreme.justia.com/cases/federal/us/222/55/.

K. ompson, Storytelling in the New Hollywood, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1999, p. 11. Traduzione mia. 42

R.P. Stoddard, e Photo-Play: A Book of Valuable Information for ose Who Would Enter A Field of Unlimited Endeavour, Malaney & Stoddard, 1911. 43

44

Ivi. Traduzione mia.

45

Ivi.

P. Loughney, “From Rip Van Winkle to Jesus of Nazareth: oughts on the Origins of the American Screenplay”, in Film History 9.iii, 1997, Appendice pp. 298-299. 46

47

Vedi S. Price, A History of the Screenplay, cit., p. 23.

48

Ivi, p. 55.

49

Ivi, p. 22.

50

Ibid.

M. Guerra, “La teoria americana degli anni dieci: ‘action, action, ACTION!’”, in Fata Morgana – adrimestrale di cinema e visioni, anno VIII, n. 23, maggioagosto 2014, p. 27. 51

52

Ivi, p. 28.

E. Winthrop Sargent, e Technique of the Photoplay, New York, e Moving Pictures World, 1913, p. 8 (citato in Michele Guerra, “La teoria americana degli anni dieci: ‘action, action, ACTION!’”, cit.). Traduzione mia. 53

H.C. Hoagland, How to Write a Photoplay, Magazine Maker, 1912, p. 6. Traduzione mia. 54

W. Archer, Play-making: A Manual of Crasmanship, Boston, Small, Maynard and Company, 1912. 55

W.L. Gordon, How to Write Moving Picture Plays, Cincinnati (OH), Atlas, 1913, p. 7. Traduzione mia. 56

57

Ivi, p. 10.

58

Ivi, p. 16.

59

Ibidem.

60

Ivi, p. 7.

J.T. Velikovsky, A Very Brief History of Screenwriting Manuals, 2012 (consultabile all’indirizzo www.storyality.wordpress.com/2012/12/17/storyality28-screenwriting-manuals-since-1913/). Traduzione mia. 61

H. Münsterberg, e Photoplay. A Psychological Study, New York, D. Appleton and Company, 1916, p. 43. Traduzione mia. 62

R. Arnheim, Film as Art, Berkeley, Los Angeles, London, University of California Press, 1957. I saggi raccolti nel volume risalgono agli anni 1930-1940. 63

64

K. ompson, Storytelling in the New Hollywood, cit., p. 11.

F. Palmer, Technique of the Photoplay, Palmer Institute of Authorship, Hollywood, 1924, pp. 67-68. Citato in D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, London, Routledge, 1985, p. 14. Traduzione mia. 65

D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., p. 14. 66

67

Ibidem.

68

W.L. Gordon, How to Write Moving Picture Plays, cit., p. 12.

E. Winthrop Sargent, e Technique of the Photoplay, cit., p. 161 (citato in Michele Guerra, “La teoria americana degli anni dieci: ‘action, action, ACTION!’”, cit.). 69

70

mia.

H.A. Phillips, e Photodrama, Stanhope-Dodge, 1914, p. 213. Traduzione

M. Guerra, “La teoria americana degli anni dieci: ‘action, action, ACTION!’”, cit., p. 31. 71

72

Ivi, p. 32.

73

H.A. Phillips, e Photodrama, cit., p. 64.

Ernst Cassirer, Libertà e forma: studi sulla storia spirituale della Germania, traduzione di Giacomo Spada, Firenze, Le Leere, 1999. Corsivo mio. 74

75 D. Bordwell, e Way Hollywood Tells It: Story and Style in Modern Movies, Berkeley, University of California Press, 2006, p. 247, nota 13. Traduzione mia.

J.H. Lawson, eory and Technique of Playwriting, G.P. Putnam‘s Sons, 1936 (poi, 1949 e 1960: eory and Technique of Playwriting and Screenwriting). 76

F. Di Gianmaeo (a cura di), Teoria e tecnica della sceneggiatura, Roma, Bianco e Nero Editore, 1951. 77

J. Warner, Blacklisted. A Biography of Dalton Trumbo, LifeCaps, 2011, p. 13. Traduzione mia. 78

Cfr. S. Gastaldi, Fuori i rossi da Hollywood! Il maccartismo e il cinema americano, Torino, Lindau, 2004. 79

80

L. Egri, e Art of Dramatic Writing, New York, Simon and Schuster, 1946.

D. Bordwell, e Way Hollywood Tells It: Story and Style in Modern Movies, cit., pp. 32-33. 81

D. Marks, L’arco di trasformazione del personaggio, Roma, Dino Audino, 2007. In particolare vedi capitolo quinto Il “fatal flaw”. Dare vita al Personaggio (pp. 79104). 82

83

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 24.

S. Benedei, “Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell’eroe tra mito e cinema”, cit., p. 24. 84

Vedi D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., pp. 571-579. 85

D. Bordwell, e Way Hollywood Tells It: Story and Style in Modern Movies, cit., pp. 27-28. 86

87

S. Field, Screenplay – e Foundation of Screenwriting, cit.

88

J.T. Velikovsky, A Very Brief History of Screenwriting Manuals, cit.

89

Ivi.

90

Ivi.

91

Ivi.

Vedi C. Nash e V. Oakley, Screenwriter’s Handbook – What to Write. How to Write It. Where to Sell It, New York, Barnes & Noble, 1978, p. 3. Traduzione mia. 92

93

Ivi, pp. 20-21.

McKee propone per esempio una divisione con altre proporzioni: primo ao 30 minuti; secondo ao 70 minuti; terzo ao 18 minuti. 94

D. Bordwell, e Way Hollywood Tells It: Story and Style in Modern Movies, cit., pp. 28-29. 95

V.J. Nelson, “Gary Shuse dies at 72; co-founder of Sherwood Oaks film school”, Los Angeles Times, 14 agosto 2013. 96

L.J. Cowgill, Secrets of Screenplay Structure: How to Recognize and Emulate the Structural Frameworks of Great Films, Los Angeles (CA), Lone Eagle, 1999, p. 1. Traduzione mia. 97

Ricordate? “Abbiamo stabilito che la tragedia è l’imitazione di un’azione compiuta e intera, dotata di una certa grandezza; è possibile in effei un intero privo di grandezza. Intero è poi tuo ciò che ha un principio, un mezzo e una fine. […] Occorre dunque che i racconti ben composti non incomincino a caso né finiscano a caso, ma usino delle forme dee.” Aristotele, Poetica, introduzione traduzione e note di D. Lanza, cit., pp. 142-143 (7, 22-26; 7, 32-34). 98

L.J. Cowgill, Secrets of Screenplay Structure: How to Recognize and Emulate the Structural Frameworks of Great Films, cit., pp. 1-3. 99

K. Dancyger – J. Rush, Alternative Scriptwriting. Beyond Hollywood Formula, Burlington (MA), Focal Press, 2013, p. 17. Traduzione mia. 100

J.A. Nelson, e Photoplay: How to Write, How to Sell, Los Angeles (CA), Photoplay, 1913, p. 76. Traduzione mia. 101

D. Bordwell, e Way Hollywood Tells It: Story and Style in Modern Movies, cit., p. 249, nota 26. Traduzione mia. 102

103

L. Egri, e Art of Dramatic Writing, cit., p. 190.

K. ompson – D. Bordwell, Observations on Film Art, 18 maggio 2014 (consultabile all’indirizzo www.davidbordwell.net/blog/2014/05/18/caught-in-theacts-2/). Traduzione mia. 104

105

Ibid.

K. Dancyger – J. Rush, Alternative Scriptwriting. Beyond Hollywood Formula, cit., p. 17. 106

107

Ivi, p. 34. Corsivo mio.

R. McKee, Story: Substance, Structure, Style, and the Principles of Screenwriting, cit., p. 218. 108

109

S. Field, Screenplay – e Foundation of Screenwriting, cit., p. 7.

110

W. Archer, Play-making: A Manual of Crasmanship, cit., p. 131.

111

Ibid.

112

Vedi J. Lanouee, A History of the ree-Act Structure, cit.

R. Nugmanov, Building a Screenplay: A Five-Act Paradigm, or What Syd Field Didn’t Tell You, in A. Horton, Screenwriting for a Global Market: Selling Your Scripts 113

from Hollywood to Hong Kong, Berkeley, Los Angeles, University of California Press, 2004, pp. 141-151. D. Bordwell, e Way Hollywood Tells It: Story and Style in Modern Movies, cit., p. 35. 114

115

K. ompson, Storytelling in the New Hollywood, cit., p. 33.

116

Ivi, p. 36.

117

Ibid.

118

Ivi, p. 28.

D. Bordwell, e Way Hollywood Tells It: Story and Style in Modern Movies, cit., p. 38. 119

120

V. Brombert (a cura di), e Hero in Literature, cit, p. 11.

J. Campbell, P. Cousineau (a cura di), e Hero’s Journey: Joseph Campbell on his Life and Work – Centennial edition with a new preface by Phil Cousineau, New World Library, 2003, xi. 121

122

1987.

L. Seger, Making a Good Script Great, New York, Dodd Mead and Company,

C. Vogler, e Writer’s Journey – Mythic Structure for Writers – ird Edition, Studio City (CA), Michael Wiese Production, 2007. 123

D. Bordwell, e Way Hollywood Tells It: Story and Style in Modern Movies, cit, p. 34. 124

C. Vogler, e Writer’s Journey – Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., prefazione, p. xv. 125

126

B. Snyder, Save the Cat!, Studio City (CA), Michael Wiese Productions, 2005.

V. King, How to Write a Movie in 21 Days. e Inner Movie Method, HarperCollins, 2001. 127

128

B. Snyder, Save the Cat!, cit., introduzione, p. xv. Corsivo mio.

129

J. Truby, e Anatomy of a Story, New York, Faber and Faber, 2007.

130

Ivi, p. 42. Traduzione mia.

Consultabile all’indirizzo www.repubblica.it/tecnologia/socialnetwork/2019/07/12/news/area_51_il_20_seembre_l_incursione_di_massa231055631/. 131

C.R. Sunstein, Il mondo secondo Star Wars, Milano, Università Bocconi Editore, 2016, e-book, posiz 680. 132

Consultabile all’indirizzo www.boxofficemojo.com/movies/? page=main&id=starwars4.htm. Dati non aggiustati all’inflazione (Nordamerica). 133

Consultabile all’indirizzo www.guinnessworldrecords.com/news/60at60/2015/8/1977-highest-grossing- scifi-series-at-the-box-office-392957/. 134

Consultabile all’indirizzo www.the-numbers.com/movies/franchise/StarWars#tab=summary. Dati non aggiustati all’inflazione (Nordamerica). 135

Consultabile all’indirizzo www.the-numbers.com/movies/franchise/MarvelCinematic-Universe#tab=summary. Dati non aggiustati all’inflazione 136

(Nordamerica). 137

Consultabile all’indirizzo www.boxofficemojo.com/alltime/adjusted.htm.

138

Consultabile all’indirizzo www.statista.com/topics/4362/star-wars/.

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, Torino, Einaudi, 2004, p. 93. 139

E. Cozzi, Star Wars: la storia vera di un disastro annunciato, luz.it, (consultabile all’indirizzo www.luz.it/spns_article/star-wars-la-storia-vera/). 140

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, e-book, Legacy Books Press, 2008, p. 10. Traduzione mia. 141

142

C.R. Sunstein, Il mondo secondo Star Wars, cit., posiz 1186.

Vedi C.R. Sunstein – E Ullmann-Margalit, “Solidarity Goods”, in Journal of Political Philosophy 9, 2, giugno 2001, p. 129. 143

Consultabile all’indirizzo mentalfloss.com/article/83162/17-species-namedaer-star-wars-characters. 144

J. Dent, “ese ARE the words you are looking for: the OED October 2019 update”, in Oxford English Dictionary, 9 oobre 2019 (consultabile all’indirizzo hps://public.oed.com/blog/new-words-notes-for-october-2019/). 145

La “Risposta sulla Vita, l’Universo e Tuo anto” è un conceo presente in un’altra saga fantascientifica che ha marchiato a fuoco l’immaginario colleivo occidentale. Stavolta si traa di una serie di romanzi umoristici di Douglas Adams, il cui primo e più conosciuto è Guida galaica per gli autostoppisti, del 1979. Adams immagina che un gruppo di scienziati non terrestri costruisca un enorme computer per oenere la Risposta in questione, e che dopo see milioni e mezzo di anni il computer risponda con un enigmatico: “42”. In seguito alla delusione, il computer spiegherà agli scienziati che, se lo desiderano, potrà calcolare qual è la Domanda la cui Risposta è “quarantadue”. 146

E. Vale, e Tecnique of Screen & Television Writing, Elsevier, 1988, p. 150. Traduzione mia. 147

François Truffaut, Hitchcock – Revised Edition, Simon & Schuster, 1985, p. 47. Traduzione mia. 148

149

K. ompson, Storytelling in the New Hollywood, cit., p. 11.

150

V. Pravadelli, La grande Hollywood, cit., p. 79.

R. Armes, Action and Image: Dramatic Structure in Cinema, Manchester, University Press, 1994, pp. 103-104. Corsivo e traduzione miei. 151

152

J. Nacache, Il cinema classico hollywoodiano, Recco, Le Mani, 1997, p. 134.

153

Ivi, p. 135.

154

V. Pravadelli, La grande Hollywood, cit., p. 11.

L. Herman, A Practical Manual of Screen Playwriting for eater and Television Films, New York, New American Library, 1974, p. 88. Traduzione mia. 155

F.T. Paerson, Cinema Crasmanship. A Book for Photoplaywrights, New York, Harcourt, Brace and Company. Traduzione mia. 156

D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., p. 12. 157

158

Ivi, p. 16.

159

Ivi, p. 18.

Sullo Star System si veda R. De Cordova, Picture Personalities. e Emergency of the Star System in America, Urbana (IL), University of Illinois Press, 1990. 160

D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., p. 15. 161

162 G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 227.

E. Cowie, “Storytelling: Classical Hollywood Cinema and Classical Narrative”, in S. Neale – M. Smith (a cura di), Contemporary Hollywood Cinema, London, Routledge, p. 185. Corsivo mio. 163

Per esempio, il cinema di Eric Von Stroheim (Rapacità, 1924) o di Fritz Lang (da Metropolis, 1927, a Furia, 1936). 164

165

V. Pravadelli, La grande Hollywood, cit., p. 15.

“Così dopo il 1938 o 1939 i film sonori, in particolare in Francia e negli Stati Uniti, avevano raggiunto un livello di perfezione classica come risultato, da una parte, della maturazione dei diversi tipi di dramma sviluppati in parte durante i dieci anni precedenti e in parte ereditati dal cinema muto, dall’altra parte della stabilizzazione del progresso tecnologico”. André Bazin, What is cinema? Saggi selezionati e tradoi da Hugh Gray, Vol I, University of California Press, 1967, p. 30. 166

Vedi A. Bazin, What is cinema?, cit., p. 35. Per Bordwell invece qualunque innovazione tecnica è “risucchiata” all’interno del paradigma classico e anzi lo arricchisce. 167

168

V. Pravadelli, La grande Hollywood, cit., p. 16.

T. Elsaesser, Tales of Sound and Fury. Observations on the Family Melodrama, in A. Pezzoa (a cura di), Forme del melodramma, Roma, Bulzoni, 1992, p. 73. 169

T. Elsaesser, “Tales of Sound and Fury”, in Monogram 4, 1972, pp. 12-17. Traduzione mia. 170

C. Baron, “‘Tales of Sound and Fury’ Reconsidered”, in USC Cinematic Arts, p. 52 (consultabile all’indirizzo www.cinema.usc.edu/).Traduzione mia. 171

172

V. Pravadelli, La grande Hollywood, cit., p. 35.

Su “fabula” e “intreccio” (syuzhet) vedi David Bordwell, Narration in the Fiction Film, University of Wisconsin, 1985, p. 63: “Nel complesso la narrazione classica considera la tecnica cinematografica come un veicolo per intrecciare la fabula. Lo stile classico consiste in un numero streamente limitato di particolari dispositivi tecnici organizzati in un paradigma stabile e classificati probabilisticamente secondo le richieste dell’intreccio (per esempio il montaggio in continuità). L’‘invisibilità’ dello stile classico si basa sulla codificazione di stili che rispeano il contesto descrio.” 173

V. Pravadelli, La grande Hollywood, cit., p. 39. Insomma, si fonderebbe anche sull’οψις aristotelico, la “vista”, lo speacolo appunto, che Aristotele afferma 174

dover essere secondario. 175

Ivi, p. 40.

176

Ivi, p. 46.

177

Ivi, p. 47.

178 S. Bernardi, L’avventura del cinematografo. Storia di un’arte e di un linguaggio, Venezia, Marsilio, 2007, p. 144.

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 226. King fa riferimento a R. Maltby e I. Craven, Hollywood Cinema: An Introduction, Oxford, Blackwell, 1995, p. 7. Maltby sostiene inoltre che quella dello studio system era “un’estetica commerciale, essenzialmente opportunista nelle sue motivazioni economiche”. 179

180

V. Pravadelli, La grande Hollywood, cit., p. 137.

181

Vedi L. Gandini, La regia cinematografica, Roma, Carocci, 1998, pp. 103-132.

182

V. Pravadelli, La grande Hollywood, cit., p. 137.

183

Ivi, p. 86.

“e willing suspension of disbelie” (“sospensione volontaria dell’incredulità”) è un conceo originariamente applicato alla leeratura e coniato da Samuel Taylor Coleridge nel suo Biographia literaria – capitolo XIV: “[…] i miei sforzi dovrebbero essere direi a persone e personaggi soprannaturali, o almeno romantici, tuavia in modo da trasferire dalla nostra natura interiore un interesse umano e una parvenza di verità sufficiente a procurare a queste ombre dell’immaginazione quella sospensione volontaria dell’incredulità per il momento, che costituisce la fede poetica.” Traduzione mia. 184

185

39.

G. Alonge, G. Carluccio, Il cinema americano classico, Bari, Laterza, 2008, p.

In “Redécouvrir l’Amérique”, in Cahiers du cinéma, 1955, Rohmer utilizza due termini molto efficaci per descrivere lo stile del cinema americano: efficacia ed eleganza, “purezza di linee, economia di mezzi, proprie di tui i classici”. 186

K. Dancyger e J. Rush, Alternative Scriptwriting. Beyond Hollywood Formula, cit., pp. 37-38. Corsivo mio. 187

188

V. Pravadelli, La grande Hollywood, cit., p. 87.

J. Lapointe, “Hollywood Cinema and Baroque Companionship: An Analytic Critique of Bordwell’s ‘Classical Paradigm’”, Film Journal 3, Montreal, Concordia University, 2016, nota 1 (consultabile all’indirizzo www.filmjournal.org/3lapointe/). Traduzione mia. 189

D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., p. 46. 190

E. Vale, e Technique of Screenplay Writing, New York, Grosset & Dunlap, 1972, p. 64. 191

D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., p. 42. 192

193

V. Pravadelli, La grande Hollywood, cit., p. 97.

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, Amsterdam, Amsterdam University Press, 2004, p. 280. Traduzione mia. 194

R. Ebert, Vertigo, 13 oobre 1996 (consultabile all’indirizzo www.rogerebert.com/reviews/great-movie-vertigo-1958). Traduzione mia. 195

196

Cfr. R. Arnheim, Film as Art, cit.

S. Golieb (a cura di), Hitchcock secondo Hitchcock, Milano, Baldini & Castoldi, 2000, p. 289. 197

P. Scanlon, “Star Wars, l’intervista del ‘77 a George Lucas. ando tuo ebbe inizio”, 25 maggio 2017 (consultabile all’indirizzo www.rollingstone.it/cinema/interviste-cinema/star-wars-intervista-1977-georgelucas/292479/#Part3). 198

M. Ondaatje, e Conversations: Walter Murch and the Art of Editing Film, Knopf, 2004, versione e-book, p. 320. Traduzione mia. 199

200

Ivi, p. 322.

Secondo Sight&Sound il miglior film di tui i tempi (consultabile all’indirizzo www.bfi.org.uk/news/50-greatest-films-all-time). 201

Cfr. M. Chaiken – P. Cronin, Arthur Penn Interviews (Conversations with Filmmakers Series), University Press of Mississippi, 2008. 202

R. McKee, Story: Substance, Structure, Style, and the Principles of Screenwriting, cit., p. 37. “Un BEAT è un cambio di comportamento in un’azione/reazione. Beat dopo beat questi cambi di comportamento modellano la trasformazione di una scena.” 203

Un film composto di diversi piani sequenza di circa dieci minuti ciascuno (la durata di un rullo cinematografico, trecento metri di pellicola), montati tra di loro con una tecnica che rende gli stacchi di montaggio invisibili e restituisce la sensazione che il film sia composto da un unico piano sequenza di oanta minuti. 204

205

mio.

S. Golieb (a cura di), Hitchcock secondo Hitchcock, cit., pp. 323-324. Corsivo

W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Tre versioni (1936-39), a cura di F. Desideri, Roma, Donzelli, 2012, p. 29. 206

B. Kimberlin, Inside the Star Wars Empire – A Memoir, Guilford (CT), Lyons Press, 2018, p. 32. Traduzione mia. 207

208

G. Alonge, G. Carluccio, Il cinema americano classico, cit., p. 3.

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., pp. 49-50. 209

V. Pravadelli, Dal classico al postmoderno al global. Teoria e analisi delle forme filmiche, Venezia, 2019, e-book, posiz. 2090-2099. 210

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, Chicago (IL), Open Court, 2001, e-book, pp. 31-32. Traduzione mia. 211

U. Eco, Cap. 4 “I boschi possibili”, in Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano, Bompiani, 1995. 212

Nell’Impero colpisce ancora Leia dice a Han Solo a proposito del Millenium Falcon: “esto vecchio roame non ci porterà mai oltre il blocco.” 213

“[Nei film di Leone] tuo era sporco, polveroso, lacerato, roo, sanguinoso e malmenato. Perciò quello dei primi Star Wars ‘è uno stile che può tranquillamente venir fuori dal western – interessante notare che non era presente in grande misura nella maggior parte della concept artwork, che doveva di più a 2001 che a Leone – e dal momento che quelli di Leone erano i mondi più sporchi e malconci, sembra ancora più probabile che fossero proprio quelli la fonte di ispirazione di quello stile particolare”. Vedi: M. Heilemann, ere Was Once a Certaian Kind of Cinema, Kitbashed, 7 marzo 2013 (consultabile all’indirizzo www.kitbashed.com/blog/there-was-once-a-certain-kind-of-cinema). 214

B. Guarino, “e Paradoxical Reason ‘Star Wars’ Technology Retained Its Retro Aesthetic”, Inverse.com, 22 dicembre 2015 (consultabile all’indirizzo www.inverse.com/article/9491-the-paradoxical-reason-star-wars-technologyretained-its-retro-aesthetic). Traduzione mia. 215

R.G. Collins, “Star Wars: e Pastiche of Myth and the Yearning for a Past Future”, in Journal of Popular Culture, 1977. Citato in D.E. Palumbo, e Monomyth in American Science Fiction Films: 28 Visions of the Hero’s Journey, McFarland, 2014, e-book, pos. 375. Traduzione mia. 216

B. Guarino, “e Paradoxical Reason ‘Star Wars’ Technology Retained Its Retro Aesthetic”, cit. 217

Vedi U. Eco, “Il vero e la sospensione dell’incredulità”, in Pro e Cons della 51a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, 1994 (Archivio FuoricampoIntercinema, Milano, consultabile all’indirizzo www.youtube.com/watch? v=upBgAy81pz4). 218

Un’altra risposta negativa, ma dagli esiti fortunatamente positivi, arriva da Spielberg: all’inizio delle riprese dello Squalo, lo squalo meccanico, “Bruce”, non funzionava. L’idea quindi di mostrarlo per la prima volta solo dopo oltre un’ora di film fu dovuta alle circostanze e non a una scelta precisa. “Come più volte riconosciuto da Spielberg stesso, il problema si trasformerà in uno dei punti di forza del film: ‘Se avessimo realizzato Lo squalo nel 2005, mi sarei affidato al digitale e lo squalo comparirebbe più spesso. In questo modo avrei completamente rovinato il film […] il fao che lo squalo non funzionasse, trent’anni fa fu la mia salvezza’.” A. Minuz, “Speciale Jaws Experience (1975-2015)”, in Cinergie – Il cinema e le altre arti, 7 marzo 2015, p. 8. È plausibile che se nel 1999 la tecnologia digitale non avesse messo a disposizione di Lucas un potere creativo così immenso, e Phantom Menace sarebbe stato pensato più narrativamente che tecnologicamente. 219

Abbreviato in mo-cap, il motion capture è una tecnica – usata in combinazione con la performance capture – che consiste nel “caurare” il movimento del corpo umano, o delle espressioni del volto, per acquisire informazioni da utilizzare nell’animazione digitale di personaggi in 3D. 220

Si traa di un personaggio che appare per la prima volta nell’Episodio I, e Phantom Menace, e rimane fino al terzo episodio nonostante le proteste: goffo e fastidioso, completamente realizzato in CGI, i fan hanno subito imparato a odiarlo, tacciandolo anche di razzismo. Tanto da farlo finire nella top ten della ABCNews dei dieci personaggi peggiori del cinema e della televisione. 221

R. Ebert, Star Wars – Episode II: Aack of e Clones, Rogerebert.com, 10 maggio 2002 (consultabile all’indirizzo www.rogerebert.com/reviews/star-warsepisode-ii-aack-of-the-clones-). Traduzione mia. 222

AA.VV., Return of the Jedi: Official Collectors’ Edition, Paradise Press Inc., 1983, p. 28. Traduzione mia. 223

D.E. Palumbo, e Monomyth in American Science Fiction Films: 28 Visions of the Hero’s Journey, McFarland, 2014, e-book, pos. 383. Traduzione mia. 224

F. Scheck, “‘Star Wars: e Phantom Menace’: THR’s 1999 Review”, 30 novembre 2014, pubblicato originariamente il 10 maggio 1999 (consultabile all’indirizzo www.hollywoodreporter.com/news/star-wars-phantom-menacereview-752675). Traduzione mia. 225

Una conferma alle nostre riflessioni arriva dalla stessa Disney. Il 23 seembre 2019 è uscito per la Random House il libro di Bob Iger, CEO della Walt Disney Company negli ultimi quindici anni: e Ride of a Lifetime. Iger rivela per la prima volta alcuni deagli sul rapporto tra Lucas e la trilogia sequel che la Disney aveva preso in mano. “A seguito di una proiezione privata” ricorda Iger, “Lucas non nascose la sua delusione. ‘Non c’è niente di nuovo’ disse. In ciascuno dei film della trilogia originale, era importante per lui presentare nuovi pianeti, nuove storie, nuovi personaggi e nuove tecnologie. In questo ‘non ci sono stati abbastanza salti visivi o tecnici in avanti’ affermò. Non aveva torto, ma non valutò nemmeno la pressione a cui eravamo sooposti per dare ai fan ardenti un film che avesse l’essenza di Star Wars”. Ciò potrebbe dimostrare quanto Lucas abbia davvero dimenticato le vere ragioni che hanno reso così popolare la trilogia originale e si sia col tempo concentrato esclusivamente su fredde questioni tecniche piuosto che sulla vera “essenza” di Star Wars (consultabile all’indirizzo www.insolenzadir2d2.it/bob-iger-rivela-george-lucas-si-senti-tradito-dalla-disneye-rimase-deluso-da-episodio-vii/11187/). 226

227

Vedi anche qui Ao I sulla Verosimiglianza in Aristotele.

e Mythology of Star Wars, TV movie direo da Pamela Mason Wagner, prodoo da Public Affairs Television, irteen, WNET, New York, 1 seembre 2000. Traduzione mia. 228

R. Nepoti, La poetica degli eroi. Struura e mito nei generi classici del cinema di Hollywood, Bologna, Parma, 1978, p. 259. 229

B. Guarino, “e Paradoxical Reason ‘Star Wars’ Technology Retained Its Retro Aesthetic”, cit. 230

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 49. 231

S. Magerstädt, Philosophy, Myth and Epic Cinema – Beyond Mere Illusions, Rowman & Lilefield, Londra e New York, 2015, p. 24. Traduzione mia. 232

233

Ibid.

K. Dancyger – J. Rush, Alternative Scriptwriting. Beyond Hollywood Formula, cit., p. 11. 234

P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, Roma, Editoria e Speacolo, 2007, p. 312. 235

Cfr. “Kurt Russell Star Wars audition”, 1976 (consultabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=nix_PID3oiA). Cfr. anche Marlow Stern, “Kurt Russell Talks Cowboys, Guns, and Life as Hollywood’s Most ‘Hardcore’ Libertarian”, e Daily Beast, 26 giugno 2017 (consultabile all’indirizzo 236

www.thedailybeast.com/kurt-russell-talks-cowboys-guns-and-life-as-hollywoodsmost-hardcore-libertarian). Crf. J. Denham, “Star Wars: Al Pacino turned down part of Han Solo over confusing script”, Independent, 10 seembre 2014 (consultabile all’indirizzo www.independent.co.uk/arts-entertainment/films/news/star-wars-al-pacinoturned-down-part-of-han-solo-because-the-script-was-too-confusing9723652.html). 237

Cfr. M. Sippell, “Roles Burt Reynolds Turned Down, From Bond to Solo”, Variety.com, 6 seembre 2018 (consultabile all’indirizzo variety.com/2018/film/news/burt-reynolds-turned-down-roles-bond-solo1202930436/). 238

Cfr. G.J. Blair, “Toshiro Mifune Turned Down Obi Wan Kenobi and Darth Vader Roles, Says Daughter”, in Hollywoodreporter.com, 3 dicembre 2015 (consultabile all’indirizzo www.hollywoodreporter.com/heat-vision/toshiromifune-turned-down-star-845721). Mifune è il protagonista, tra l’altro, della Fortezza nascosta (Akira Kurosawa, 1958), il film che Lucas usò come base per il primo traamento di Star Wars, come vedremo nell’Ao IV. 239

Il filone Young Adult è vivo negli USA fin dagli anni venti e definisce una narrazione pensata per un pubblico tra i dodici e i dicioo anni che può appassionare fino ai quarantenni. Esaamente il tipo di pubblico che Lucas aveva in mente e che affollò le sale nel 1977. 240

R. Nepoti, La poetica degli eroi. Struura e mito nei generi classici del cinema di Hollywood, cit., p. 48. 241

D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., p. 37. Corsivo mio. 242

243

B. Kimberlin, Inside the Star Wars Empire – A Memoir, cit., p. 20.

“[…] La ‘spontaneità’, la lealtà e l’affabilità di R2-D2, che sembra più umano di molti dei personaggi umani stereotipati del film.” Traduzione mia. In D. Suon, P. Wogan, Hollywood Blockbusters – e Anthropology of popular Movies, Berg, 2009, p. 12. 244

R. Mealand, ‘Hollywoodunit,’ in H. Haycra, e Art of the Mystery Story, New York, 1947, p. 300. 245

246 D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., p. 37.

P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., p. 314. 247

“Seguendo gli struuralisti francesi come Roland Barthes, Tzvetan Todorov e Gerard Genee, pongo un cosa e un come. Il cosa della narrazione lo chiamo ‘storia’; il come lo chiamo ‘discorso’”. Traduzione mia. In S. Chatman, Story and Discourse – Narrative Structure in Fiction Film, cit., p. 9. 248

Cfr. P. Cobley, “Narratology”, in e Johns Hopkins Guide to Literary eory and Criticism, Baltimore, John Hopkins University Press. 249

D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., p. 11. 250

251

Cfr. E.H. Gombrich, Art & Illusion, Londo, New York, Phaidon, 2002.

A. Bonati, Ornamento e percezione ne “Il senso dell’ordine” di Ernst H. Gombrich, doorato di ricerca in storia dell’arte, facoltà di scienze umanistiche, dipartimento di storia dell’arte e dello speacolo, scuola di doorato in scienze dell’interpretazione e della produzione culturale, anno accademico 2011-2012, p. 43. 252

S. Kriss, “Smash the Force”, in Jacobin, 18 dicembre 2015 (consultabile all’indirizzo www.jacobinmag.com/2015/12/star-wars-the-force-awakens-empirejoseph-campbell-george-lucas/). Traduzione mia. 253

Traduzione e introduzione di Andrew George, e Epic of Gilgamesh, Penguin Books, 2000, p. xxxii. 254

P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., p. 314. 255

256

Ibid.

I. Freer, “Star Wars Archive. Geroge Lucas 1999 Interview”, in Empire, 11 dicembre 2015, citato in C.R. Sunstein, Il mondo secondo Star Wars, cit., posiz 18951905. 257

Intervista a George Lucas in Star Wars Begins – e Complete Filmumentary, di Jamie Benning, 1977 (consultabile all’indirizzo www.vimeo.com/32442801). Corsivo mio. 258

R.G. Collins, “Star Wars: the Pastiche of Myth and the Yearning for a Past Future”, in Journal of Popular Culture, Estate 1977, p. 2. Traduzione mia. 259

260 Se bella giu satore, Je notre so cadore, Je notre si cavore, Je la tu la ti la twah. La spinash o la bouchon, Cigareo portobello Si rakish spaghaleo, Ti la tu la ti la twah. Senora pilasina, Voulez vous le taximeter? Le zionta su la seata, Tu la tu la tu la wa. Sa montia si n’amora, La sontia sogravora La zontcha con sora, Je la possa ti la twah. Je notre so lamina, Je notre so cosina Je le se tro savita, Je la tossa vi la twah. Se motra so la sonta, Chi vossa l’otra volta Li Zoscha si catota, Tra la la la la la la. 261

G. Alonge, G. Carluccio, Il cinema americano classico, cit., prefazione p. V.

262

F. Casei, Teorie del cinema. 1945-1990, Milano, Bompiani, 1996, p. 27.

263

Ivi, p. 31.

Cfr. R. Arnheim, Film as Art, cit., p. 8: “Un film non può essere arte, perché non fa altro che riprodurre meccanicamente la realtà.” Traduzione mia. 264

265

Ivi, p. 30.

266

Ibid.

267

Vedi G. Alonge, G. Carluccio, Il cinema americano classico, cit., p. 36.

R. Eugeni, Film, sapere, società, Milano, Vita e pensiero, 1999, p. 61. Citato in G. Alonge, G. Carluccio, Il cinema americano classico, cit., p. 44. A proposito di war movie: durante la sequenza dell’aacco alla Morte Nera i piloti guidati da Luke sono al comando di navicelle denominate X-Wing, che non sono altro che futuristici aeroplani della seconda guerra mondiale. Cfr. M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit, p. 50: “Lucas estese questa sintesi creativa anche al visual design: ‘Sto cercando di rendere tuo molto naturale, un look basato su qualcosa di quasi già visto’ afferma nel 1975. Se guardi ai dipinti dei cosiddei sabbipodi [i predatori Tusken] e ai bantha dici ‘Ah sì, come no: beduini…’ Ma poi guardi 268

meglio e dici: “Aspea un momento, non è così. elli non sono beduini, e cosa sono quelle creature lì dietro?’ Come nella baaglia tra le Ala-X e i TIE fighter, dici: ‘L’ho già vista, è la seconda guerra mondiale… ma aspea un aimo… quegli aerei non li ho mai visti prima.’ Voglio che il film abbia questa qualità!” 269

B.J. Jones, George Lucas – La biografia, Milano, Il Castoro, 2017, pp. 187-188.

270

Ivi, p. 188.

Citato in M. Schilling, “e Japanese Bruckheimer”, in Screen International, 30 aprile 2004, p 9. In nota 29 a p. 250 di D. Bordwell, e Way Hollywood Tells It: Story and Style in Modern Movies, cit. Traduzione mia. 271

La frase cui fa riferimento Eco è “Here’s looking at you, kid” cioè “Alla tua salute, bambina”. Nel 2005 l’American Film Istitute la scelse come quinta tra le migliori citazioni cinematografiche statunitensi di sempre. Alcuni degli altri film in questa classifica sono, ovviamente, Via col vento e Il mago di Oz (→ Gable, Solo e Il mago di Oz). 272

U. Eco, “Casablanca: Cult Movies and Intertextual Collage”, in SubStance 14, n. 2 (1985), p. 1. Traduzione mia. 273

J. W. Rinzler, e Making of Star Wars, New York, Ballantine Books, 2013, p. 77. Traduzione mia. 274

275

G. Alonge, G. Carluccio, Il cinema americano classico, cit., p. 44.

B. Young, “e Cinema Behind Star Wars: Casablanca”, Starwars.com, 16 seembre 2014. Traduzione mia. 276

Consultabile www.bounty.fandom.com/it/wiki/Jabba_Desilijic_Tiure. 277

278

all’indirizzo

Ibid.

Consultabile all’indirizzo twier.com/philtippe/status/664607854762983424. Traduzione mia. 279

J. Hoberman, “On Casablanca”, in Casablanca. Script and Legend, Woodstock (NY), e Overlook Press, 1992, p. 270. Traduzione mia. 280

L’antesignano del good-bad-boy è William S. Hart, reso famoso da omas Ince fino a diventare “la prima incarnazione di un archetipo […] di importanza fondamentale per la mitologia del cinema di frontiera”, al punto che il pubblico identificava i suoi personaggi con l’aore stesso. In R. Nepoti, La poetica degli eroi. Struura e mito nei generi classici del cinema di Hollywood, cit., p. 69. L’Enciclopedia del cinema Garzanti lo definisce un “[…] personaggio dal passato oscuro o negativo [che] riguadagna dignità con un gesto eroico”. 281

282

Ivi, p. 45.

283

J.W. Rinzler, e Making of Star Wars, cit., p. 386.

Consultabile all’indirizzo www.starwars.com/news/the-cinema-behind-starwars-gone-with-the-wind. 284

Il lavoro di desunzione dei dialoghi dai film italiani è stato fao anche grazie al sito swx.it, il databank italiano su Star Wars, sul quale è possibile trovare le trascrizioni di tui i film della saga. 285

286

G. Alonge, G. Carluccio, Il cinema americano classico, cit., p. 21.

Ma Bryan Young, in un articolo apparso su starwars.com, e Cinema Behind Star Wars: e Wizard of Oz, ha scrio: “Durante la conferenza stampa di Il risveglio della forza, lo sceneggiatore Lawrence Kasdan disse: ‘ando George fece Una nuova speranza, fu influenzato molto da Kurosawa e da Flash Gordon e da Il mago di Oz, e io credo che tui quei film… li puoi vedere in Una nuova speranza, e tuo quello che c’è in Una nuova speranza è sceso araverso i film fino a oggi’” (consultabile all’indirizzo www.starwars.com/news/the-cinema-behind-star-warsthe-wizard-of-oz). 287

Consultabile all’indirizzo www.rogerebert.com/reviews/star-wars-1977. Traduzione mia. 288

Secondo Martin Scorsese, Lucas “Aveva tui questi libri, tipo La guida alla Bibbia di Isaac Asimov, e stava immaginando questa fantastica narrazione epica. Non spiegò che voleva immergersi nell’inconscio colleivo o le favole. E guardava film come Arcipelago in fiamme di Howard Hawks [1943] e Robin Hood [1938] di Michael Curtiz.” Vedi J. W. Rinzler, e Making of Star Wars, cit., p. 49. 289

R. Nepoti, La poetica degli eroi. Struura e mito nei generi classici del cinema di Hollywood, cit., p. 18. 290

291

Ivi, p. 84.

292

Ivi, pp. 106-107.

E. Audissino, John Williams’s Film Music: “Jaws,” “Star Wars,” “Raiders of the Lost Ark,” and the Return of the Classical Hollywood Music Style, e University of Winsconsin Press, 2014, p. 70. Traduzione mia. 293

294

Ivi, p. 71.

“Ci sono 90 minuti di musica su 110 minuti di film. Volevo usare brani di Liszt, Dvořák, anche qualcosa da Flash Gordon, ma John ha deo no.” George Lucas in P. Scanlon, “Star Wars, l’intervista del ‘77 a George Lucas. ando tuo ebbe inizio”, Rollingstone.it, 25 maggio 2017 (consultabile all’indirizzo www.rollingstone.it/cinema/interviste-cinema/star-wars-intervista-1977-georgelucas/292479/#Part3). 295

E. Audissino, John Williams’s Film Music: “Jaws,” “Star Wars,” “Raiders of the Lost Ark,” and the Return of the Classical Hollywood Music Style, cit., p. 71. 296

D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., p. 34. 297

E. Audissino, John Williams’s Film Music: “Jaws,” “Star Wars,” “Raiders of the Lost Ark,” and the Return of the Classical Hollywood Music Style, cit., p. 31. 298

299

Ivi, p. 75.

P. Scanlon, “Star Wars, l’intervista del ‘77 a George Lucas. ando tuo ebbe inizio”, cit. 300

301

Ibid.

Erich Wolfgang Korngold fu uno dei più famosi compositori di colonne sonore americane. Musicò, tra gli altri, proprio Le avventure di Robin Hood di Michael Curtiz e diversi film di William Dieterle, prolifico regista hollywoodiano specializzato in biopic, film d’avventura e grandi produzioni. 302

Per Mickey Mousing si intende una tecnica cinematografica che consiste nella “perfea segmentazione della musica in base alle immagini”. P. Wegele, Max 303

Steiner: Composing, Casablanca, and the Golden Age of Film Music, Lanham (MD), Rowman & Lilefield, 2014, p. 37. Il termine deriva dall’uso della musica delle prime produzioni della Walt Disney in cui la colonna sonora si meeva al completo servizio mimetico delle azioni dei personaggi. E. Audissino, John Williams’s Film Music: “Jaws,” “Star Wars,” “Raiders of the Lost Ark,” and the Return of the Classical Hollywood Music Style, cit., pp. 72-73. 304

305

Ivi, p. 74.

306

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit.,

p. 12. 307

Corsivo mio.

308

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., p. 35.

P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., p. 65. 309

In alcuni casi i termini New Hollywood e Hollywood Renaissance sembrano coincidere, come in Y. Tzioumakis – P. Krämer, e Hollywood Renaissance – Revisiting American Cinema’s Most Celebrated Era, e-book, Bloomsbury Academic, 2018. Oppure in: D. Jacobs, Hollywood Renaissance, New York, Dell Pub Co., 1980. In altri casi, per esempio in Geoff King, si fa notare come, addiriura, il termine New Hollywood sia stato anche usato “a partire dagli anni oanta per definire una maniera di fare cinema quasi del tuo opposta a quella della Hollywood Renaissance: la Hollywood dei giganteschi conglomerati mediatici e dei blockbuster ad alto costo”. (Geoff King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 5). In ogni caso, per King il termine è usato per “abbracciare entrambi i periodi”. Per noi i due termini sono interscambiabili e si riferiscono al periodo che va all’incirca dal 1967 al 1975. 310

311

B. Kimberlin, Inside the Star Wars Empire – A Memoir, cit., p. 24.

D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., p. 613. 312

313

p. 11.

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit.,

T. Fox, “Hollywood Renaissance? e Troubled Journey of the American Auteur in the 1970s”, Birkbeck, University of London, Film Studies, p. 4. Traduzione mia. 314

P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., p. 10. 315

F. La Polla, Steven Spielberg, Supplemento al n. 123 del 31/5/95 dell’Unità, p. 33. D’altronde, sempre in La Polla, p. 35: “Spielberg ha affermato che non intendeva trasformare i due protagonisti in eroi popolari e che anzi per lui il vero eroe della pellicola è la polizia” (“At Sea with Steven Spielberg”, intervista a cura di David Helpern, in Take One, marzo/aprile 1974, p. 9). 316

D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., p. 580. 317

T. Schatz, “e New Hollywood.”, in J. Collins, H. Radner, A. Preacher Collins (a cura di), Film eory Goes to the Movies, New York, Routledge, 1993, p. 33. Traduzione mia. 318

D. Bordwell, e Way Hollywood Tells It: Story and Style in Modern Movies, cit., p. 16. 319

W.D. Buskirk, “New Hollywood: Classical Hollywood in a New Light”, in Cinesthesia, Vol. 5: Iss. 2, Article 1, p. 1, 2016 (consultabile all’indirizzo www.scholarworks.gvsu.edu/cine/vol5/iss2/1). Traduzione mia. 320

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 4. 321

322

Ivi, p. 11.

Illuminante, a conferma dell’affermazione di King, il libro di omas Doherty, Pre-Code Hollywood: Sex, Immorality, and Insurrection in American Cinema, 1930-1934, Columbia University Press, 1999, p. 103. “Laughing Sinners, e Road to Ruin, Free Love, Andiamo all’inferno allegramente (Merrily We Go to Hell), Laughter in Hell, L’isola della perdizione (Safe in Hell), e Devil Is Driving… titoli che corteggiano non solo la vergogna ma anche la dannazione, presagendo un regno di anarchia morale dove i reprobi corrono a capofio verso la perdizione, il loro abbandono spericolato che porta inesorabilmente, anche se allegramente, alla rovina. […] I censori li chiamavano ‘film sul sesso’, ma l’abbraccio promiscuo del sesso era solo l’elemento più commerciale e carnale di un più ampio assalto ai valori tradizionali: l’intero spero del vizio, non solo il sesso, infestava i film in questione, uno spirito epicureo di entusiastica indulgenza in aività illegali, proibite e stimolanti. Antiautoritari, adulteri e in cerca di piacere, i film sul vizio si arrendevano volentieri a uno o più dei see peccati capitali e scoprivano che soccombere non era necessariamente fatale.” 323

324

G. Alonge, G. Carluccio, Il cinema americano classico, cit., p. 74.

N. Carroll, “e Future of Allusion: Hollywood in the Seventies (and Beyond)”, in October 20 (1982), p. 56. Traduzione mia. 325

S. Byron, “e Searchers: Cult Movie of the New Hollywood”, in New York Magazine (5 marzo, 1979), pp. 45-48. 326

327

p. 23. 328

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit., Ibid.

D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., p. 616. 329

330

K. ompson, Storytelling in the New Hollywood, cit., p. 8.

A. Bazin, “La politique des auteurs”, in Cahiers du Cinéma, n. 70, 1957, ristampato in inglese in P. Graham, e New Wave, New York, Doubleday, 1968, p. 154). Corsivo e traduzione miei. 331

T. Schatz, e Genius of the System: Hollywood Filmmaking in the Studio Era, University of Minnesota, 2010. 332

333

W. D. Buskirk, “New Hollywood: Classical Hollywood in a New Light”, cit.

334

Cfr. Dario Sabbatucci, La prospeiva storico-religiosa, Formello, Seam, 2000.

È una delle teorie più accreditate quando ci si riferisce al ruolo della Germania nell’euro, soprauo alla luce della sentenza dei giudici di Karlsruhe del 6 maggio 2020, la Corte costituzionale tedesca in merito al antitative Easing 335

della BCE (consultabile all’indirizzo www.ilsole24ore.com/art/commenti-eidee/2015-12-20/la-ue-e-rischi-germanizzazione-163513.shtml). D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., p. 614. 336

337

Ibid.

338

Ibid.

Come esempio di “closed plot” (che Armes prende e rielabora dal titolo del saggio di Eco Opera Aperta, 1962), per indicare genericamente il modo imperante della struura narrativa hollywoodiana classica, Armes sceglie Intrigo internazionale (Alfred Hitchcock, 1959). 339

U. Eco, e Open Work, Cambridge, Harvard University Press, 1989, traduzione di A. Cancogni, p. 115. 340

341

R. Armes, Action and Image: Dramatic Structure in Cinema, cit., p. 79.

342

U. Eco, Opera aperta, Milano, Bompiani, 1997, p. 200.

D. Cook. “Auteur Cinema and the Film Generation in 1970s Hollywood” in J. Lewis, e New American Cinema, Chapel Hill, Duke University Press, 1999. Traduzione mia. 343

344 Cfr A. Sarris, “Notes on the auteur theory from 1962”, in L. Braudy – M. Cohen, Film eory and Criticism: Introductory Readings, Oxford, Oxford University press, 2009.

J. Griffin, “A ick Guide to Auteur eory”, filminquiry.com, 28 febbraio 2017 (consultabile all’indirizzo www.filminquiry.com/quick-guide-auteur-theory/). Traduzione mia. 345

D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., p. 616. 346

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., pp. 46-48. 347

348

Ivi, p. 55.

Prima tecnico del suono, poi importante montatore hollywoodiano, premio Oscar per Il paziente inglese (1996, Anthony Minghella). Murch era un collaboratore di Lucas all’epoca di Star Wars. 349

M. Ondaatje, e Conversations: Walter Murch and the Art of Editing Film, cit., pp. 55-56. 350

D. Bordwell, J. Staiger, K. ompson, e Classical Hollywood Cinema – Film Style and Mode of Production to 1960, cit., p. 616. 351

R.B. Ray, A Certain Tendency of the Hollywood Cinema, 1930-1980, Princeton (NJ), Princeton University Press, 1985. Traduzione mia. 352

353

U. Eco, Opera aperta, cit., p. 200.

354

Consultabile all’indirizzo www.quinlan.it/2020/04/28/arriva-john-doe/.

355

F. Capra, Il nome sopra il titolo, Roma, Minimum Fax, 2016, p. 234.

356

Ivi, p. 419.

L’American Zoetrope fu fondata in un magazzino di San Francisco nel 1969 da Francis Ford Coppola e da George Lucas. 357

M. Ondaatje, e Conversations: Walter Murch and the Art of Editing Film, cit., pp. 42-43. 358

M. Smith, “eses on the Philosophy of Hollywood History”, in S. Neale – M. Smith (a cura di), Contemporary Hollywood Cinema, London, Routledge, 1998, p. 6 (citato in G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 3). Traduzione mia. 359

P.M. Bocchi, La cassea degli arezzi della New Hollywood. Verso un nuovo genere, in E. Martini (a cura di), New Hollywood, Milano, Il Castoro, 2014, p. 93. 360

361

Ivi, p. 96.

362

Ivi, p. 95.

La televisione divenne un mezzo di diffusione televisiva in tuo il paese solo nel 1952. Fino a quel momento solo un terzo delle famiglie americane possedeva un televisore. 363

364

F. Capra, Il nome sopra il titolo, cit., p. 446.

365

Ivi, p. 448.

366 “Uno spostamento di popolazione di dimensioni quasi epocali dalle cià ai sobborghi dove le sale erano relativamente poche.” (G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., pp. 32-33).

Ivi, p. 32. Fino a quel momento, gli anni cinquanta, l’industria era dominata da cinque major (che controllavano produzione, distribuzione ed esercizio) e tre minor (Universal, Columbia e United Artists). Con l’obbligo di vendere le catene di sale le major non vedevano più garantiti i posti per tui i film che producevano. 367

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 37. 368

369

Ivi, p. 38.

370

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit.,

p. 25.

M. Kokonis, “Hollywood’s Major Crisis and the American Film ‘Renaissance’”, in Gramma: Journal of eory and Criticism, vol. 16, 2008, pp. 194195. Traduzione mia. 371

O. Welles, “But Where Are We Going?”, in Look, 3 novembre 1970. Traduzione mia. 372

A. Ben Block – L. Autrey Wilson, George Lucas’s Blockbusting. A Decade-byDecade Survey of Timeless Movies Including Untold Secrets of eir Financial and Cultural Success, It Books, 2010, e-book, posiz. 1008. Traduzione mia. 373

Rispeivamente: American Graffiti, Il laureato, Gangster Story, Taxi Driver, Easy Rider. 374

“Hollywood: e Shock of freedom in Films”, in Time, 8 dicembre 1967. Traduzione mia. 375

376

p. 14.

E. Martini, in E. Martini (a cura di), New Hollywood, Milano, Il Castoro, 2014,

F. La Polla, Sogno e realtà americana nel cinema di Hollywood, Bari, Laterza, 1987, p. 281. 377

David Newman e Robert Benton (sceneggiatori di Gangster Story), intervistati su American Desperadoes, BBC, 1997. Traduzione mia. 378

G. Carluccio, “1967. Classico, moderno (o postmoderno)? Note sullo stile”, in E. Martini (a cura di), New Hollywood, Milano, Il Castoro, 2014, p. 33. 379

P. Kael, “Bonnie and Clyde. Arthur Penn’s iconic gangster film”, in e New Yorker, 13 oobre 1967 (consultabile all’indirizzo www.newyorker.com/magazine/1967/10/21/bonnie-and-clyde). Traduzione mia. 380

G. Carluccio, “1967. Classico, moderno (o postmoderno)? Note sullo stile”, cit., p. 35. 381

B. Crowther, “Run, Bonnie and Clyde; Run, Bonnie”, in New York Times, 3 seembre 1967. “È una commediola slapstick a buon mercato che traa gli orribili crimini di quella coppia squallida e deficiente come se fossero pieni di divertimento e allegria come i cut-up dell’età del jazz in oroughly Modern Millie”. Traduzione mia. 382

P. Cook, “Bonnie and Clyde”, Films in Review, vol. 18, n. 8, oobre 1967, pp. 504-504. Traduzione mia. 383

“Hollywood: e Shock of freedom in Films”, in Time, 8 dicembre 1967 (consultabile all’indirizzo www.content.time.com/time/magazine/article/0,9171,844256,00.html). Traduzione mia. 384

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit., p. 281. 385

G. Carluccio, “1967. Classico, moderno (o postmoderno)? Note sullo stile”, cit., p. 35. 386

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 8. 387

388

p. 67.

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit.,

J. Gough, romanziere, commediografo e poeta, in un’intervista riportata in S. Mayers, “Joseph Campbell: Ogni mito è psicologicamente simbolico”, 22 marzo 2016 (consultabile all’indirizzo www.gointothestory.blcklst.com/joseph-campbellevery-myth-is-psychologically-symbolic-f22cd9edf4a3). Traduzione mia. 389

390

C. Gallini (a cura di), Torino, Einaudi, 1977.

F. Dei, “De Martino, riti simbolici per controllare l’apocalisse”, Alias, 29 seembre 2019. 391

392 S. Oddi, “Squarci di seima arte: il cinema classico hollywoodiano”, taxidrivers.it, 20 febbraio 2013 (consultabile all’indirizzo www.taxidrivers.it/38408/rubriche/squarci-di-seima-arte-il-cinema-classicohollywoodiano.html). 393

G. Alonge, G. Carluccio, Il cinema americano classico, cit., p. 53.

S. Bernardi, L’avventura del cinematografo. Storia di un’arte e di un linguaggio, cit., p. 144. 394

F. Capra, Il nome sopra il titolo, cit., pp. 170-171. Il film è La follia della metropoli, 1932. 395

396

Ivi, pp. 520-521.

397

V. Pravadelli, La grande Hollywood, cit., pp. 103-104.

A. Simon, “La struura narrativa del cinema americano, 1960-80”, in G.P. Brunea (a cura di), Il cinema americano, vol. II, Torino, Einaudi, 2006, p. 1635. 398

G.E.S. Ghisolfi, Star Wars – L’epoca Lucas, Milano, Udine, Mimesis, Collana: ll caè dei filosofi, n. 93, 2017, pp. 15-16. 399

400

p. 76.

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit.,

P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., p. 31. 401

A. Penn, “Bonnie and Clyde. Private Integrity and Public Violence (From questions at a Press Conference in Montreal, 1967)”, in S. Wake, N. Hayden (a cura di), e Bonnie and Clyde Book, London, Lorrimer, 1972, pp. 9 e seguenti (citato in Luca Malavasi, Il cinema di Arthur Penn, Genova, Le Mani, 2008, p. 142). 402

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 19. 403

P. Gardner, “‘Graffiti’ Reflects Its Director’s Youth”, in New York Times, 19 seembre 1973 (citato in D. Jacobs, Hollywood Renaissance, New York, Dell Pub Co., 1980, p. 23). Traduzione mia. 404

405

M. Wood, L’America e il cinema, trad. it., Milano, Garzanti, 1979, p. 19.

406

G. Alonge, G. Carluccio, Il cinema americano classico, cit., p. 56.

407

F. La Polla, Steven Spielberg, cit., pp. 13-14.

408

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit.,

p. 37. 409

Ibid.

P. M. Bocchi, La cassea degli arezzi della New Hollywood. Verso un nuovo genere, cit., p. 94. 410

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 25. 411

412

Ivi, p. 12.

413

Ivi, p. 30.

P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., p. 65. 414

M. Pye – L. Myles, e Movie Brats: How the Film Generation Took Over Hollywood, New York, Henry Holt & Co, 1984, p. 83. Traduzione mia. 415

416

G.E.S. Ghisolfi, Star Wars – L’epoca Lucas, cit., p. 15.

“George Lucas ha spesso sostenuto – soprauo nei primi giorni della sua carriera – di aver snobbato il sistema hollywoodiano con i suoi metodi di produzione cinematografica poco ortodossi. Dopo l’uscita di L’impero colpisce ancora (1980), la Directors’ Guild of America ha multato Lucas di un quarto di 417

milione di dollari per aver collocato i crediti della produzione alla fine del film. Lucas lo fece per la prima volta con Una nuova speranza nel 1977, ma la Gilda lo permise grazie al suo status di regista ‘indipendente’ e al fenomenale successo finanziario del film. La Gilda ha cercato di ritirare L’impero colpisce ancora dalle sale cinematografiche e Lucas ha successivamente lasciato la Gilda.” C. James, Science Fiction and the Hidden Global Agenda, C. James, 2016, p. 234. G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., pp. 58-59. 418

419

D. Jacobs, Hollywood Renaissance, cit., p. 28.

M. Pye – L. Myles, e Movie Brats: How the Film Generation Took Over Hollywood, cit., 1984. 420

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., pp. 3-4. 421

422

Ivi, p. 4.

P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., pp. 15-16. 423

424

Ivi, p. 16.

425

D. Jacobs, Hollywood Renaissance, cit., p. 12.

426

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit.,

p. 44. 427

O. Welles, But Where Are We Going?, cit., 1970.

F. La Polla, “Una, due, tre Hollywood”, in (a cura di) E. Martini, New Hollywood, Il Castoro, Milano, 2014, p. 106. 428

429

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., pp. 62-63.

430

F. La Polla, “Una, due, tre Hollywood”, cit., p. 107.

“Martin Scorsese, John Milius, Brian De Palma, George Lucas, Michael Cimino, Francis Ford Coppola e John Landis erano i membri più famosi del gruppo. Lucas, Coppola e Spielberg si mostravano reciprocamente i loro film ancora premontati, si scambiavano percentuali di partecipazione agli utili e si scambiavano idee. Come disse un critico dell’epoca, ‘Non c’è stato più un gruppo di cineasti così unito per età, educazione e gusto, dalla migrazione tedesca a Hollywood negli anni trenta’.” In F. Sanello, Spielberg – e Man, e Movie, e Mythology, Taylor Trade, 2002, p. 67 431

432

F. La Polla, “Una, due, tre Hollywood”, cit., p. 107.

433

Ibid.

434

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., p. 35.

“Fao per ben meno di un milione di dollari, il film alla fine avrebbe incassato più di cento milioni di dollari. [….] È uscito in un periodo in cui il cinema indipendente cominciava a detronizzare il sistema monolitico dello studio system” (Ivi, p. 62). 435

“C’era questo caotico miscuglio di Bach e all’interno della musica sfarfallavano voci quasi indistinguibili che parevano venire da una torre di 436

controllo, o qualcosa del genere.” Walter Murch, montatore del sonoro del film, riportato in B.J. Jones, George Lucas – La biografia, cit., p. 77. 437

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., p. 62.

438

Ivi, pp. 62-63.

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 101. 439

A. Ben Block – L. Autrey Wilson, George Lucas’s Blockbusting. A Decade-byDecade Survey of Timeless Movies Including Untold Secrets of eir Financial and Cultural Success, cit., p. 1009. 440

441

Ibid.

442

Ivi, p. 1046.

J. Kirshner, Hollywood’s Last Golden Age. Politics, Society, and the Seventies Film in America, Ithaca (NY), Cornell University Press, 2013, p. 215. 443

444 Consultabile all’indirizzo www.express.co.uk/entertainment/films/762235/Star-Wars-George-Lucas-Returnof-the-Jedi-Revenge-of-the-Jedi-e-Last-Jedi-Episode-VI. 445

Starlog, issue 48, 1981, e Brooklyn Company, Inc. Traduzione mia.

G. Edward, “George Lucas and the Cult of Darth Vader”, Rollingstone.it, 2 giugno 2005 (consultabile all’indirizzo www.rollingstone.com/movies/movienews/george-lucas-and-the-cult-of-darth-vader-247142/). Traduzione mia. 446

Approfondiremo più avanti la natura complessa di Star Wars dal punto di vista dei generi di riferimento. 447

448 C.R. Sunstein, Il mondo secondo Star Wars, Milano, Egea, 2018, e-book, pos. 535-549. 449

J.W. Rinzler, e Making of Star Wars, cit., p. 19.

Disney to Acquire Lucasfilm Ltd., comunicato stampa della Walt Disney Company, 30 oobre 2012 (consultabile all’indirizzo www.thewaltdisneycompany.com/disney-to-acquire-lucasfilm-ltd). Traduzione mia. 450

451

B.J. Jones, George Lucas – La biografia, cit., p. 435.

L. Kasdan: “Ho sempre spinto per far morire qualche personaggio importante, perché questo conferisce gravitas alla storia. Se ogni volta tui ne escono bene, significa che non c’era alcun pericolo. Ci deve essere un prezzo da pagare.” In J. Robinson, “Star Wars Writer Explains Why e Force Awakens Leaves So Many estions Unanswered”, in Vanity Fair, 21 dicembre 2015. 452

Citato in A. Madsen, e New Hollywood: American Movies in the ‘70s, New York, Crowell, 1975, p. 27. Traduzione mia. 453

P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., p. 17. 454

455

Ivi, p. 44.

456

Ivi, p. 178.

D. ompson – I. Christie (a cura di), Scorsese on Scorsese, Milano, Ubulibri, 1991, p. 98. 457

P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., p. 302. 458

“Mi sentivo più un figlio dell’establishment che non un prodoo della USC o della cricca dei protei di Coppola,” affermava Spielberg, Ivi, p. 253. 459

D. Denby, “Can the Movies Be Saved?”, in New York Magazine 19, 28 (1986), p. 30, citato in T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit., p. 23. Traduzione mia. 460

C. Valeri, “Dossier Steven Spielberg / Lo Squalo”, Pointblank (consultabile all’indirizzo www.pointblank.it/recensione-film/dossier-steven-spielberg-4-losqualo). 461

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 84. 462

463

Ivi, p. 84.

C.S. Pearson, e Hero Within: Six Archetypes We Live By, HarperOne, 2015, p. 124. “Per il Guerriero, il fao di nominare il drago come il caivo è un preludio all’aacco.” 464

465

Ivi, p. 77.

M. Kokonis, “Hollywood’s Major Crisis and the American Film ‘Renaissance’”, cit., p. 169. 466

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 17. 467

468

p. 46.

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit.,

469

Ivi, p. 139.

470

Ivi, p. 173.

471

Consultabile all’indirizzo it.wikipedia.org/wiki/Il_laureato.

472

Consultabile all’indirizzo www.movieconnection.it/schede/nichols.htm.

E. Leoni (a cura di), “Intervista a Mike Nichols”, in Espressione Giovani, seembre-oobre 1984. 473

LDC,

“L’impero colpisce ancora è il migliore dei tre film di Star Wars, e il più stimolante. Dopo l’allegria dell’opera spaziale del film originale, questo si immerge nell’oscurità e persino nella disperazione, e si arrende più completamente al soeso mistero della storia. È grazie alle emozioni suscitate in Impero che l’intera serie assume una qualità mitica che risuona al primo e al terzo. esto è il cuore” (consultabile all’indirizzo www.rogerebert.com/reviews/theempire-strikes-back-1997-1). 474

Consultabile all’indirizzo www.rogerebert.com/reviews/the-empire-strikesback-1997-1. Traduzione mia. 475

476

C.R. Sunstein, Il mondo secondo Star Wars, cit., posiz 1554.

J.F. Iaccino, Jungian Reflections Within the Cinema. A Psychological Analysis of Sci-Fi and Fantasy Archetipes, London, Praeger, 1998, p. 3. Traduzione mia. 477

478

J. Nacache, Il cinema classico hollywoodiano, cit., p. 133.

Anche se nelle versioni della sceneggiatura precedenti l’ultima Dart Vader era destinato a morire alla fine del film, andando a scontrarsi con il suo TIE fighter sul Millenium Falcon di Han Solo. Cfr. la seconda stesura della sceneggiatura (1975): “ADVENTURES OF THE STARKILLER (episode one) ‘e Star Wars’ by George Lucas LUCASFILM LIMITED SECOND DRAFT - January 28, 1975”. Nella prima stesura dell’Impero colpisce ancora, inoltre, la scena in cui Vader rivela a Luke di essere suo padre, è assente. La scelta fu faa solo nel 1978 (come rivela Michael Kaminski nel suo e Secret History of Star Wars, cit.). In realtà la figura di Vader assume un’importanza maggiore del previsto solo dopo il grande successo del primo capitolo e in particolare del suo personaggio. Ma ciò che maggiormente avvalora la tesi che il primo capitolo non abbia un impianto da episodio seriale è questa dichiarazione di Lucas: “Dovete ricordare che originariamente Star Wars doveva essere un film, l’Episodio IV di un serial del sabato maina. […] Era stato progeato per essere la tragedia di Darth Vader. Inizia con questo mostro che entra dalla porta, sbaendo tui in giro, poi a metà del film ci si rende conto che il caivo del film è in realtà un uomo e l’eroe è suo figlio. E così il caivo si trasforma nell’eroe ispirato al figlio. Doveva essere un unico film, ma l’ho diviso perché non avevo i soldi per farlo in quel modo – sarebbe durato cinque ore” (intervista alla BBC di Anwar Bre, 18 maggio 2005, consultabile all’indirizzo www.bbc.co.uk/films/2005/05/18/george_lucas_star_wars_episode_iii_interview.s html). 479

S. Larsen – R. Larsen, A Fire in the Mind – e Life of Joseph Campbell, New York, Doubleday, 1991, p. 39. Traduzione mia. 480

J. Guerrasio, “esta scena de L’impero colpisce ancora ha generato un enorme mistero che i fan di Star Wars non sono stati in grado di risolvere per trentacinque anni”, Business Insider, 26 oobre 2015 (consultabile all’indirizzo www.businessinsider.com/the-empire-strikes-back-mark-hamill-face-2015-10? IR=T). 481

482

Ibid.

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 52. Il testo di Galipeau, un analista junghiano, analizza la storia della trilogia originale dal punto di vista della psicoanalisi junghiana. 483

V. Tagliasco, Dizionario degli esseri umani e artificiali, Milano, Mondadori, 1999, indice. 484

485 Consultabile all’indirizzo www.rogerebert.com/reviews/star-wars-1977. Traduzione mia. 486

B.J. Jones, George Lucas – La biografia, cit., pp. 122-123.

487

J.W. Rinzler, e Making of Star Wars, cit., 2013, p. 17.

P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., p. 290. 488

489

Ivi, p. 292.

490

B.J. Jones, George Lucas – La biografia, cit., p. 174. Corsivo mio.

D. Brullo, “Atreiu VS. Harry Poer: ovvero, per i 40 anni della ‘Storia infinita’”, Pangea, 29 agosto 2019 (consultabile all’indirizzo www.pangea.news/storia-infinita-40-anni-dal-libro-di-ende/#). 491

492

M. Anselmi, “Il messia delle dune”, L’Unità, 23 novembre 1984, p. 15.

493

B.J. Jones, George Lucas – La biografia, cit., p. 235.

494

F. Capra, Il nome sopra il titolo, cit., p. 421.

R. Nepoti, La poetica degli eroi. Struura e mito nei generi classici del cinema di Hollywood, cit., p. 15. 495

Vedremo bene nell’Ao IV quanto Star Wars fosse figlio della cultura popolare. 496

F. Ciabai, Dall’eroe del mito all’eroe flessibile, Carmilla Online, 27 marzo 2018 (consultabile all’indirizzo www.carmillaonline.com/2018/03/27/dalleroe-delmito-alleroe-flessibile/). 497

F. Ciabai, L’eroe smascherato eppure rivendicato, Carmilla Online, 30 oobre 2019 (consultabile all’indirizzo www.carmillaonline.com/2019/10/30/leroesmascherato-eppure-rivendicato/). 498

499

Ibid.

500

Ibid.

K. Dancyger – J. Rush, Alternative Scriptwriting. Beyond Hollywood Formula, cit., p. 39. 501

502

T. Judt, Guasto è il mondo, Laterza, 2013, p. 64.

503

S. Kriss, “Smash the Force”, cit.

M. Ondaatje, e Conversations: Walter Murch and the Art of Editing Film, cit., pp. 117-118. 504

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 20. 505

“Un film singolarissimo, scrio e direo in punta di piedi, tuo sfumature quasi imperceibili e da esteti nonché da eruditi della cinematografia degli anni ‘30, anche se qui il regista sembra rievocare i saloi frivoli del ‘700 europeo più che la Hollywood o la New York delle commedie musicali di 50 anni fa. esta chiave interpretativa è nei carillon danzanti delle prime e ultime immagini, oltre che nello spirito narcisistico del bello per il bello che sprigiona da tua la pellicola e dalla sua arcadica gioia di vivere. Per gustare quest’operea non bisogna lasciarsi sorprendere dall’artificiosità delle situazioni e dei personaggi e neppure della impalpabilità della trama che è chiaramente un pretesto” (consultabile all’indirizzo www.cinematografo.it/cinedatabase/film/finalmente-arriv-lamore/15795/-‘Segnalazioni cinematografiche’, vol. 85, 1978). 506

Citata in P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sessodroga-rock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., pp. 302-306. 507

508

C.R. Sunstein, Il mondo secondo Star Wars, cit., posiz 1196.

509

Ibid.

“Il Paese era alla disperata ricerca di un vero cambiamento. Poi arrivò Star Wars, e rispolverò un mito di fondo: che esistono il bene e il male, e che il male va sconfio.” Newt Gringrich (politico statunitense repubblicano) in Star Wars, e Legacy Revealed (al min 2.36), TV movie, 28 maggio 2007, regia di Kevin Burns; cit. in C.R. Sunstein, Il mondo secondo Star Wars, cit., posiz 1206. 510

R. Simon, “Star Wars: e First Movie of the 1980s”, in Chicago Sun-Times, 5 giugno 1977. Corsivo mio. 511

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit., pp. 9-10. 512

513

Ivi, p. 11.

514

Ivi, p. 12.

P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., p. 333. 515

516 P. Kael, “Fear of Movies” (e Current Cinema), in e New Yorker, 25 seembre 1978. Traduzione mia.

P. Kael, “Return of the Jedi (1983): Fun Machines”, in Scraps From the Lot, 15 gennaio, 2018 (consutlabile all’indirizzo scrapsfromthelo.com/2018/01/15/returnof-the-jedi-pauline-kael/). Traduzione mia. 517

518

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., pp. 213-214.

519

M. Benasayag – A. Del Rey, Elogio del conflio, Milano, Feltrinelli, 2008, p.

92.

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 101. 520

T. Schatz, “e New Hollywood.”, in Film eory Goes to the Movies, cit., p. 19. Traduzione mia. 521

522

Consultabile all’indirizzo rejection-leer/. Traduzione mia.

www.starwarz.com/starkiller/united-artists-

523

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit.,

p. 59.

A. Brion, “Blissing Out: the Politics of Reaganite Entertainment”, in B.K. Grant (a cura di) Brion on film: the complete film criticism of Andrew Brion, Detroit (MC), 2009. 524

D. Pollock, Skywalking: the Life and Films of George Lucas, New York, Da Capo Press, 1999, p. 144. Traduzione mia. 525

526 Rare Star Wars 1977 Alec Guinness Interview on Parkinson Talk Show (consultabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=3IxN0N35skE). Traduzione mia.

M.W. Driver, – S. Ray, e Medieval Hero on Screen: Representations from Beowulf to Buffy, Jefferson (MC), McFarland, 2004, p. 79. 527

528

L. Jullier, Il cinema postmoderno, Torino, Kaplan, 2007, p. 13.

V. Pravadelli, Dal classico al postmoderno al global. Teoria e analisi delle forme filmiche, cit., posiz. 2016. 529

530

C. Valeri, “Dossier Steven Spielberg / Lo Squalo”, cit.

V. Pravadelli, Dal classico al postmoderno al global. Teoria e analisi delle forme filmiche, cit., posiz. 2028. 531

Nel libro visivamente straordinario e ricco di informazioni inedite di Marcus Hearn, e Cinema of George Lucas, New York, Harry N. Abrams, 2005, p. 104, 532

l’autore ricorda che prima di Star Wars solo venti film si erano avvalsi della tecnologia Dolby. ando Lucas approcciò i tecnici della Dolby il risultato fu che alle copie 35mm fu applicato il Dolby-encoded Stereo, mentre le copie in 70mm furono distribuite con un nuovo sistema di Stereo Surround con una grande amplificazione dei bassi. Alan Ladd Jr., presidente della 20th Century Fox nel 1977 e grande difensore del film dalle decisioni contrarie del Board of Directors, disse di Lucas: “George sapeva come usare il Dolby. Gli altri lo utilizzavano solo come un processo.” P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., p. 307. 533

V. Pravadelli, Dal classico al postmoderno al global. Teoria e analisi delle forme filmiche, cit., posiz. 2035. Corsivi miei. 534

A. Rabbito, “Star Wars VII e il simulacro dello speacolo”, in Scenari #6 – Rivista semestrale di filosofia contemporanea & nuovi media, Milano, Mimemis, 2017, p. 122. 535

536

Mark Fisher, Realismo capitalista, Roma, Nero, 2017, pp. 145-146.

537 Dall’inglese ere Is No Alternative (T.I.N.A.), acronimo usato spesso dalla atcher e mutuato da Milton Friedman, grande sostenitore del capitalismo neoliberista. Il libro di Fisher prende le mosse proprio dalla domanda: è possibile superare il capitalismo? È possibile un’alternativa? 538

M. Fisher, Realismo capitalista, cit., p. 147.

Sono le parole di Martin Scorsese durante un’intervista rilasciata a Empire Magazine, a proposito dei blockbusters dell’universo Marvel. Cameron Bonomolo, “Martin Scorsese Says Marvel Movies Are ‘Not Cinema’”, Comicbook.com, 3 oobre 2019 (consultabile all’indirizzo comicbook.com/marvel/2019/10/03/marvelmovies-not-cinema-martin-scorsese-the-irishman/). L’intervista continua così: “Non è il cinema di esseri umani che cercano di trasmeere esperienze emotive e psicologiche a un altro essere umano.” Il 13 oobre, durante il London Film Festival dove stava presentando il suo ultimo film, e Irishman, Scorsese ha rincarato la dose: “Permeete alle sale di mostrare film che siano film narrativi.” L’affermazione è stata rilanciata sulla pagina twier del BFI (consultabile all’indirizzo twier.com/BFI/status/1183375058502332416). In questo modo, Scorsese traccia una linea di demarcazione molto nea tra theme park movies, come lui stesso definisce i moderni blockbusters, e i narrative films. 539

In T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit., p. 28. 540

P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., pp. 312-313. 541

“Return of the Jedi (1983): Fun Machines” – Review by Pauline Kael, Scraps from the lot, 15 gennaio, 2018 (consultabile all’indirizzo scrapsfromthelo.com/2018/01/15/return-of-the-jedi-pauline-kael/). Traduzione mia. 542

G. Debord, La società dello speacolo. Commentari sulla società dello speacolo, Milano, Baldini+Castoldi, 2017, paragrafi 40, 42. 543

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 251. 544

A. Ben Block – L. Autrey Wilson, George Lucas’s Blockbusting. A Decade-byDecade Survey of Timeless Movies Including Untold Secrets of eir Financial and Cultural Success, cit., p. 7. Coppola si riferisce al fenomeno dei blockbuster in senso molto ampio, descrivendoli in un arco temporale che parte dal 1935 con David Copperfield (George Cukor) fino ad arrivare al 2003. “In un blockbuster la storia è la base su cui tuo il resto è costruito. È ciò che per primo incuriosisce un regista e aira i migliori aori. La maggior parte dei più grandi film mai realizzati sono stati basati sulla finzione derivata da romanzi popolari, opere teatrali o racconti. Durante l’epoca d’oro di Hollywood abbiamo avuto classici come Via col vento (1939), il film numero uno di tui i tempi in termini di successo al boeghino, basato sul bestseller di Margaret Mitchell. Prima di allora, David Copperfield (1935), trao dal romanzo di Charles Dickens; Capitani coraggiosi (1937), dal racconto di Rudyard Kipling; e Il Mago di Oz (1938), trao dal classico di L. Frank Baum. Seguono Via col vento, Furore (1940), trao dal romanzo di John Steinbeck; Il Falcone Maltese (1941) dal romanzo noir di Dashiell Hamme; Un tram chiamato desiderio (1951), trao dall’opera teatrale di Tennessee Williams, e altro ancora. Non sorprende quindi che alcuni dei più grandi successi del ventunesimo secolo siano la trilogia di Il Signore degli Anelli (2001-2003) basata sui libri fantasy di J.R.R. Tolkien e i film di Harry Poer (2001-2011) della serie di romanzi di J.K. Rowling.” Traduzione mia. 545

546

Cfr. AA.VV., Return of the Jedi: Official Collectors’ Edition, op. cit., p. 28.

A. Duralde, “‘Godzilla’ Review: Or, in is Case, ‘Waiting for Godzilla’”, e Wrap, 10 maggio 2014 (consultabile all’indirizzo www.thewrap.com/godzillareview-case-waiting-godzilla/). Traduzione mia. 547

J. Van Gogh, “GODZILLA: LA RECENSIONE”, recensioni, 19 maggio 2014 (consultabile all’indirizzo www.i400calci.com/2014/05/la-recensione-di-godzilla/). 548

R. Collin, “Blade Runner 2049 Review: e Most Spectacular, Profound Blockbuster of Our Time”, e Telegraph, 8 oobre 2017 (consultabile all’indirizzo www.telegraph.co.uk/films/0/blade-runner-2049-review-spectacular-profoundblockbuster-time/). Corsivo e traduzione miei. 549

Scrive ancora, infai, Robbie Collin nella sua recensione: “Il film di Villeneuve non è un ‘ammazzatui’ ‘salvailmondo’ di fantascienza […] ma un mistery neo-noir su un bambino scomparso, e sulla crisi esistenziale che il caso scatena nel suo agente investigativo.” 550

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 229. 551

552

Ivi, p. 256.

553

B.J. Jones, George Lucas – La biografia, cit., p. 291.

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 231. 554

555 In J. Lewis (a cura di), e New American Cinema, Durham (NC), Duke University Press, 1998, p. 180.

S. Benedei, “Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell’eroe tra mito e cinema”, cit., pp. 17-18. 556

G. Debord, La società dello speacolo. Commentari sulla società dello speacolo, cit., paragrafo 67. 557

G. Guerra, “Campbell e la narrazione dell’eroe”, Carmilla Online, 18 marzo 2018 (consultabile all’indirizzo www.carmillaonline.com/2018/03/18/campbell-ela-narrazione-delleroe/). 558

P. Krämer, “It’s Aimed at Kids – the Kid in Everybody”: George Lucas, Star Wars and Children’s Entertainment”, Scope: An Online Journal of Film Studies, dicembre 2001, University of East Anglia, UK, p. 8. Traduzione mia. 559

P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., p. 292. 560

M.B. Hansen, Cinema & Experience. Le teorie di Kracauer, Benjamin e Adorno, Cap. 6: Micky-Maus, Monza, Johan & Levi Editore, 2013, pp. 205-206. 561

562

Ivi, p. 210.

Recensione su Film-Kurier dal titolo “Kurzfilme, wie sie sein sollen” (Cortometraggi, come devono essere), 18 febbraio 1930. 563

“George può aver riconosciuto il potenziale di profio del merchandising (realizzare e vendere oggei basati su un film o un libro) già all’età di undici anni, quando la sua famiglia visitò Disneyland. Walt Disney, uno degli eroi di George, era un maestro del merchandising, meendo Topolino, Paperino e altri personaggi Disney nei parchi a tema e sui contenitori del pranzo e sui giocaoli.” In D. White, George Lucas (A & E Biography), Lerner Pub Group, 1999, e-book, p. 37. 564

George Lucas in P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-droga-rock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., p. 112. 565

566

S. Kriss, “Smash the Force”, cit.

A. Hartman, “Homage and Imitation in Star Wars – en and Now”, S-USIH, 22 dicembre 2015 (consultabile all’indirizzo s-usih.org/2015/12/homage-andimitation-in-star-wars-then-and-now/#_n3). Traduzione mia. 567

568

Ibid.

569

Ibid.

570

Vedi Prologo.

“ando Martin Scorsese dice che i film della Marvel non sono cinema, ha ragione perché ci aspeiamo di imparare qualcosa dal cinema, ci aspeiamo di oenere qualcosa, qualche illuminazione, qualche conoscenza, qualche ispirazione… Non so se qualcuno ci guadagna qualcosa vedendo lo stesso film più e più volte…” Vedi R. Laanzio, “Francis Ford Coppola Says Marvel Movies Are ‘Despicable’”, in Indiewire.com, 20 oobre 2019 (consultabile all’indirizzo www.indiewire.com/2019/10/francis-ford-coppola-marvel-1202183238/). 571

Consultabile all’indirizzo www.lascimmiapensa.com/2019/10/20/bret-eastonellis-marvel/. Corsivo mio. 572

573 M. Scorsese, “Martin Scorsese: I Said Marvel Movies Aren’t Cinema. Let Me Explain”, nytimes.com, 4 novembre 2019 (consultabile all’indirizzo www.nytimes.com/2019/11/04/opinion/martin-scorsese-marvel.html). Traduzione mia. 574

Ivi.

575

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit.,

p. 58.

M. Scorsese, “Martin Scorsese: I Said Marvel Movies Aren’t Cinema. Let Me Explain”, cit. 576

P. Ó Méalóid, “Last Alan Moore Interview?”, Slovobooks, 9 gennaio 2014 (consultabile all’indirizzo slovobooks.wordpress.com/2014/01/09/last-alan-mooreinterview/). Traduzione mia. 577

S. Kelly, “Why Shouldn’t You Have a Bit of Fun While Dealing with the Deepest Issues of the Mind?”, the Guardian, 22 novembre 2013 (consultabile all’indirizzo www.theguardian.com/books/2013/nov/22/alan-moore-comic-booksinterview). Traduzione mia. 578

579

P. Ó Méalóid, “Last Alan Moore Interview?”, cit.

580

U. Eco, “Casablanca: Cult Movies and Intertextual Collage”, cit., p. 11.

581

Buffalo Bill e gli indiani, Robert Altman, 1976.

K. Dancyger – J. Rush, Alternative Scriptwriting. Beyond Hollywood Formula, cit., p. 91. 582

Dr. Joan Breton Connelly, nel documentario Star Wars, e Legacy Revealed (al min 2.36), TV Movie, 28 maggio 2007, regia di Kevin Burns. Traduzione mia. 583

584

U. Eco, “Casablanca: Cult Movies and Intertextual Collage”, cit., p. 10.

I predatori dell’arca perduta (1981, Steven Spielberg) era basato su un soggeo di Lucas e prodoo dalla Lucasfilm. 585

586

U. Eco, “Casablanca: Cult Movies and Intertextual Collage,” cit., p. 11.

587

Ibid.

588

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit.,

p. 24.

J. Hoberman, “Ten Years that Shook the World,” in American Film 10, 8 (1985), p. 36. 589

590

p. 25. 591

T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit., D. Jacobs, Hollywood Renaissance, cit., p. 21.

P. Krämer, “It’s Aimed at Kids – the Kid in Everybody”: George Lucas, Star Wars and Children’s Entertainment”, cit., p. 1. Traduzione mia. 592

R. Wood, “‘80s Hollywood: Dominant Tendencies”, in CineAction!, 1, (Spring 1985), pp. 2-5. Traduzione mia. 593

594

F. La Polla, Sogno e realtà americana nel cinema di Hollywood, cit., p. 273.

595

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., p. 17.

Intervista a Harrison Ford, in Star Wars Begins –Yhe Complete Filmumentary, di Jamie Benning, 2011 (consultabile all’indirizzo vimeo.com/32442801). Traduzione mia. 596

597

K. O’ inn, “e George Lucas Saga”, Starlog, luglio 1981. Traduzione mia.

598

B.J. Jones, George Lucas – La biografia, cit., p. 162.

D. Worrell, “e Dark Side of George Lucas”, in Icons: Intimate Portraits, 1989, p. 182. Citato in Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit. 599

S. Zito, “George Lucas Goes Far Out”, in American Film, aprile 1977. Traduzione mia. 600

601

Ibid.

R.G. Collins, “Star Wars: e Pastiche of Myth and the Yearning for a Past Future”, cit. 602

603

A. Hartman, “Homage and Imitation in Star Wars – en and Now”, cit.

604

Ibid.

605

Ibid.

E.S. Rabkin, e Fantastic in Literature, Princeton University Press, 1976, p. 11. Citato in D.E. Palumbo, e Monomyth in American Science Fiction Films: 28 Visions of the Hero’s Journey, cit., pos. 366. 606

D.E. Palumbo, e Monomyth in American Science Fiction Films: 28 Visions of the Hero’s Journey, cit., pos. 366. 607

Neale usa il termine New Hollywood per indicare il cinema hollywoodiano successivo agli anni seanta, compreso quindi quello degli anni oanta e novanta. 608

S. Neale, Genre and Hollywood, London, New York, Routledge, 2000, p. 237. Traduzione mia. 609

D.C. Wise, “On the genealogy of switcherooity”, Ereignis, 25 giugno 2018, p. 7 (consultabile all’indirizzo www.beyng.com/docs/DougWise.html). 610

D. Bordwell, Reinventing Hollywood: How 1940s Filmmakers Changed Movie Storytelling, Chicago (IL), University of Chicago Press, 2017, pp. 74, 76, 125, 290, 311, 316. Traduzione mia. 611

612

Ivi, pp. 290, 256, 76, 316.

Più esaamente Switcheroo è un’improvvisa, inaspeata variazione o rovesciamento, spesso per un obieivo umoristico. Era il dispositivo comico preferito da Woody Allen. 613

614

D.C. Wise, “On the genealogy of switcherooity”, cit.

Cfr. F. La Polla, “Una, due, tre Hollywood”, cit., p. 108: “La ricchezza di riferimenti cinematografici di Guerre Stellari ne fa un esempio perfeo di dissoluzione dei generi che trova nella componente favolistica (e dunque nello stesso irrazionalismo che la caraerizza) un piacere del racconto che supera ogni classificazione.” 615

616

S. Neale, Genre and Hollywood, cit., p. 85.

“Non avevo la minima idea di cosa stesse per accadere. Voglio dire, non ne avevo la minima idea.” dichiarò Lucas (D. Pollock, Skywalking: e Life and Films of George Lucas, New York, Da Capo Press, 1999, p. 182). “Tui speravamo e ci aspeavamo che Star Wars diventasse popolare. Ma credevamo che ci avrebbe messo un po’. Non avevamo previsto nulla del genere” disse Gary Kurtz, partner produivo di Lucas (“Star Wars Send Audience Wild”, in Waukesha Daily Freeman, 6 giugno 1977). Entrambi citati in B.J. Jones, George Lucas – La biografia, cit. 617

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 149. 618

E. Audissino, John Williams’s Film Music: “Jaws,” “Star Wars,” “Raiders of the Lost Ark,” and the Return of the Classical Hollywood Music Style, cit., p. 70. 619

620

B.J. Jones, George Lucas – La biografia, cit., p. 231.

621 Consultabile id=planetoheapes.htm.

all’indirizzo

www.boxofficemojo.com/movies/?

Sul cinema seriale vedi: P. Masciullo, “Dossier Steven Spielberg 21 / Raiders of the lost cinema: la tetralogia di Indiana Jones”, Pointblank (consultabile all’indirizzo www.pointblank.it/recensione-film/dossier-steven-spielberg-21raiders-lost-cinema-la-tetralogia-di-indiana-jones); K.C. Lahue, Continued Next Week: A History of the Moving Picture Serial, University of Oklahoma Press, 1969. 622

Consultabile all’indirizzo emanuellevy.com/comment/indie-cinema-forcessupportive-audiences-2/. 623

“Sul dorso del libro era scria, in piccoli caraeri, la frase: ‘Sarà presto un film speacolare della 20th Century Fox.’ L’esordio mondiale di Star Wars passò quasi in sordina, e la prima edizione del romanzo riscosse un modesto successo. Fu solo con la pubblicazione dell’edizione abbinata al film che il libro vendee milioni di copie e baé tui i primati, proprio come fece il film nelle sale cinematografiche. In un certo senso, l’edizione originale del romanzo oenne il risultato che mi aspeavo dal film: un buon successo, sicuramente nulla di eclatante, ma con buona speranza, sufficiente a consentirmi di realizzare altri episodi della saga. Guerre stellari superò invece tue le mie aspeative.” (AA.VV., La trilogia classica, Milano, Sperling & Kupfer, 1999, introduzione di George Lucas.) 624

625

B. J. Jones, George Lucas – La biografia, cit., p. 227.

D. Konow, “How Star Wars Almost Didn’t Happen”, Consequence of Sound, 25 maggio 2017 (consultabile all’indirizzo consequenceofsound.net/2017/05/howstar-wars-almost-didnt-happen/). Traduzione mia. A proposito di nerd e di quanto Star Wars abbia cambiato l’industria di Hollywood, è molto interessante l’articolo di Adam Hayes su Investopedia.com del 25 giugno 2019: “I film di fantascienza sono diventati un genere dominante a Hollywood. Prima riservata ai nerd, la fantascienza adesso è mainstream e fa miliardi di dollari in proventi in tuo il mondo, ogni anno” (consultabile all’indirizzo www.investopedia.com/articles/investing/061115/top-grossing-scifi-films-alltime.asp). 626

R. Nepoti, La poetica degli eroi. Struura e mito nei generi classici del cinema di Hollywood, cit., p. 104. 627

T. De Pace, “Film in TV – Buffalo Bill e gli indiani”, Sentieri Selvaggi, 5 dicembre 2016 (consultabile all’indirizzo www.sentieriselvaggi.it/film-in-tvbuffalo-bill-e-gli-indiani-di-robert-altman/). 628

P. Scanlon, “Star Wars, l’intervista del ‘77 a George Lucas. ando tuo ebbe inizio”, cit. 629

630

B. J. Jones, George Lucas – La biografia, cit., p. 230.

631

V. Brombert (a cura di), e Hero in Literature, cit., pp. 26-27.

632

T. S. Eliot, aro quartei, Milano, Garzanti, 1963.

R. McKee, Story: Substance, Structure, Style, and the Principles of Screenwriting, cit., p. 409. Traduzione mia. 633

634

D. Konow, “How Star Wars Almost Didn’t Happen”, cit.

C. Taylor, How Star Wars Conquered the Universe. e Past, Present and Future of a Multibillion Dollar Franchise, Basic Books, 2014, p. 100. Traduzione mia. 635

636

Ivi, p. 100.

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 158. 637

W. Eilemberger, Il tempo degli stregoni: 1919-1929. Le vite straordinarie di quaro filosofi e l’ultima rivoluzione del pensiero, Milano, Feltrinelli, 2018, p. 85. 638

639

E. Bernhard, Mitobiografia, Milano, Adelphi, 1969, p. xxiii.

P. Krämer, “It’s Aimed at Kids – the Kid in Everybody”: George Lucas, Star Wars and Children’s Entertainment”, cit., p. 1. ando parla di studiosi, Krämer si riferisce, per esempio a R. Wood, “‘80s Hollywood: Dominant Tendencies”, cit., pp. 2-5. 640

A. Gordon, “Star Wars: A Myth for Our Time”, Literature Film arterly, Salisbury University, Vol, 6, 4, autunno 1978, p. 325. 641

P. Krämer (1998) “Would You Take Your Child To See is Film? e Cultural and Social Work of the Family-Adventure Movie”, in S. Neale – M. Smith (a cura di), Contemporary Hollywood Cinema, London, Routledge, 1998, pp. 294311. Traduzione mia. 642

P. Krämer, “It’s Aimed at Kids – e Kid in Everybody”: George Lucas, Star Wars and Children’s Entertainment”, cit., p. 9. 643

644 Cfr. T.J. Morrissey – R. Wunderlich. “Death and Rebirth in Pinocchio”, in Children’s Literature 11, 1983, pp. 64-75.

L. Forlai, “E se Terminator 2 fosse uguale a Lezioni di piano?”, in D. Audino (a cura di), Contro l’ideologia del cinema d’autore, Roma, Dino Audino, 1994, pp. 102103. 645

646

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., pp. 15-16.

647

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., pp. 211-212.

Intervista a George Lucas, Ranch Skywalker, California, 27 seembre 1996. Riportata in M. Henderson, Star Wars – e Magic of Myth, New York, Bantam Books, 1997, p. 136. Traduzione mia. 648

649

R. Warshow, “e Immediate Experience”, in Atheneum, New York, 1970.

C.J. Jung, (1964/70) Collected Works, Vol. 10: Civilization in Transition, Routledge and Kegan Paul, paragrafo 195. Traduzione mia. 650

In L’eroe dai mille volti, cit., p. 24, Campbell afferma: “Il sogno è la versione individuale del mito, il mito è la versione colleiva del sogno; mito e sogno sono entrambi simbolici in quanto fruo della stessa dinamica della psiche.” E ancora, a p. 227 (Parte seconda, Il ciclo cosmogonico): “La struura e la logica delle fiabe e del mito corrispondono a quelle del sogno.” 651

S. Freud, L’interpretazione dei sogni, introduzione di S. Mistura, traduzione di D. Idra, Torino, Einaudi, 2013. 652

653

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 239.

654

Ivi, p. 40.

“Si trovarono nel luogo sbagliato, nel momento sbagliato e divennero eroi. (Leia Organa di Alderaan, senatore)”. In AA.VV., La trilogia classica, Milano, Sperling & Kupfer, 1999, prologo. 655

C. Vogler, e Writer’s Journey – Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 4. 656

657

M. Henderson, Star Wars – e Magic of Myth, cit., p. 125.

658

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., p. 67.

659

D. Konow, “How Star Wars Almost Didn’t Happen”, cit.

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 165. 660

P. Kael, Contrasts: “George Lucas’s ‘Star Wars’, Marguerite Duras’s ‘Truck’, and Robert M. Young’s ‘Short Eyes’.”, e New Yorker, 18 seembre 1977 (consultabile all’indirizzo www.newyorker.com/magazine/1977/09/26/contrasts). Traduzione mia. 661

A. El Sabi, “Il mito di Star Wars – Le cinque opere che hanno ispirato George Lucas”, Cabiria Magazine, 12 dicembre 2017 (consultabile all’indirizzo www.cabiriamagazine.it/il-mito-di-star-wars-george-lucas/). 662

Al fine di evitare equivoci, Deak Strakiller non è il prototipo di Luke Skywalker, come confermato da un twier di Mark Hamill del 13 giugno 2018: “Non è nemmeno Luke: è Deak Starkiller da una delle prime versioni della sceneggiatura di George. Non so per quale motivo indossi una maschera perché non l’ho lea. Magari gliene chiederò una copia per risolvere il mistero” (consultabile all’indirizzo twier.com/hamillhimself/status/1007011805502136320). Deak, in questa versione dello script, è il fratello di Luke ed è lui a inviare a Luke, nome in codice “Angel Blue”, R2-D2 con un messaggio. 663

Il termine “droide”, marchio registrato della Lucasfilm, è un’aferesi di “androide”, che deriva da ἀνδρός andrós, il genitivo del greco antico ανήρ anēr, che significa “uomo”, e il suffisso -οειδής -oidēs, da -ειδής -eidēs, usato per significare “della specie; simile”, da εἶδος eidos “aspeo” (Wikipedia). 664

Cfr. P. Gulisano – F. Rossi, La Forza sia con voi – Storia simboli e significati della saga di Star Wars, Milano, Ancora, 2017, pp. 16-20. 665

666

Ibid.

È probabile che la scelta del nome Leia derivi proprio dal personaggio del romanzo di Burroghs. La principessa dello Stato-impero Nelium del pianeta Marte è raffigurata spesso in abiti discinti e costrea in catene, come nella celebre scena con Jabba the Hu del Ritorno dello Jedi. 667

668

B.J. Jones, George Lucas – La biografia, cit., p. 168.

669

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., p. 19.

“PASSINGS: Harry Harrison, Nellie Grey”, Los Angeles Times, 17 agosto 2012 (consultabile all’indirizzo www.latimes.com/local/obituaries/la-xpm-2012-aug-17la-me-passings-20120817-story.html). Traduzione mia. 670

Similitudini rilevate in A. Gordon, “Star Wars: A Myth for Our Time”, cit., p. 317. Secondo Gordon, Vader ha una “inquietante somiglianza” col Dr. Doom della Marvel Comics (p. 319). 671

672

Cfr. www.youtube.com/watch?v=14BBsBa2Sfo.

Gordon nota che “Nella tradizione di Douglas Fairbanks e Errol Flynn, Solo è il capitano coraggioso e avventato di una nave pirata” e che “Luke e la Principessa si lanciano aaccati a una corda araverso un abisso nella Morte Nera, rievocando Fairbanks e Flynn”. (A. Gordon, “Star Wars: A Myth for Our Time”, cit., p. 318). 673

674 R. Nepoti, La poetica degli eroi. Struura e mito nei generi classici del cinema di Hollywood, cit., p. 274. 675

Ibid.

676

Ibid.

677

Ibid.

678

Cfr. G. Berto, Freud, Heidegger. Lo spaesamento, Milano, Bompiani, 2002.

In realtà la faccenda è più complessa: eimlich può essere tradoo con familiare ma, proprio per questo motivo, per estensione, con nascosto, cioè relativo al proprio privato e dunque non visibile agli altri. Perciò uneimlich, che ne è la negazione, può assumere i due opposti sensi di non familiare e di nascosto finendo con il coincidere con il termine che nega. 679

680

Consultabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=qnOL8Fx3Tvc.

681

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., p. 68.

682

M. Henderson, Star Wars – e Magic of Myth, cit., p. 182.

D. Bordwell, e Way Hollywood Tells It: Story and Style in Modern Movies, cit., p. 53. A p. 34 Bordwell afferma anche che l’utilizzo del Viaggio dell’Eroe di Campbell ha aiutato l’ndustria di Hollywood negli anni successivi a produrre con maggior coraggio numerosi film fantasy tra cui Mad Max oltre la sfera del tuono (George Miller, 1980), Willow (Ron Howard, 1988) e Legend (Ridley Sco, 1985). 683

684

S. Zito, “George Lucas Goes Far Out”, cit., 1977.

Fantasy in J. Clute – P. Nicholls, Encyclopedia of Science Fiction, New York, St. Martin’s Press, 1995. 685

686

Ibid.

Soprauo dal punto di vista leerario, il fantasy accoglie per esempio la mitologia classica greca e romana, quella di Gilgamesh, le saghe epiche medievali e i testi di mitologia scandinava tra cui il Beowulf. E, ovviamente, i romanzi del ciclo arturiano. “È comunque e soprauo, l’esistenza della Forza a spostare Star Wars dalle parti del fantasy […]. esta semplice idea di sceneggiatura che si fa da subito simbolo potentissimo e onnicomprensivo è di importanza decisiva. Le facoltà che l’uso della Forza conferisce agli esseri sensibili, tramite addestramento e preparazione adeguati, sono straordinarie: […] controllo del pensiero, telecinesi, iper-sensibilità sviluppate, capacità fisiche inaudite (forza, resistenza, agilità), faori di guarigione, preveggenza, fluuazione, fino alla possibilità di restare nel mondo in una forma eterea anche dopo la morte, come accade a Kenobi, il cui ‘spirito’ continua ad assistere con consigli preziosi il suo discepolo Luke. Molte di queste facoltà sono pertinenti al campo fantascientifico, ma è la loro misura o la facilità d’uso che le rende estremamente simili alla magia fantastica, o al soprannaturale, creando delle figure che appaiono quasi come stregoni e streghe spaziali, a cui mancano solo le formule magiche. È proprio la Forza a fare di Star Wars un’opera più vicina al fantasy di J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis che alla fantascienza di Isaac Asimov o Frank Herbert.” In P. Gulisano – F. Rossi, La Forza sia con voi – Storia simboli e significati della saga di Star Wars, cit., p. 13. 687

A. Elli, L’epopea di Gilgamesh, 2018, p. 156. Su Gilgamesh e Star Wars sarebbe da scrivere un intero capitolo. Gilgamesh ha raggiunto un vasto pubblico araverso romanzi e fumei proprio nel periodo in cui Lucas si stava formando, negli anni cinquanta. Per orkild Jacobsen, un importante assiriologo danese, l’epopea di Gilgamesh è un poema della crescita: dalle avventure adolescenziali alla maturità. Mentre secondo alcuni l’arco narrativo del re divino di Uruk sarebbe molto simile a quello di Han Solo: entrambi i personaggi perdono la loro arroganza e diventano eroi acclamati dal loro popolo. Entrambi a causa di un incontro che ha cambiato la prospeiva sulla loro vita: Gilgamesh con Enkidu, 688

Solo con Luke e Leia. Come Gilgamesh, inizialmente, era solo a caccia di fama e gloria, Solo era a caccia di soldi (per pagare il debito con Jabba). Entrambi i personaggi sembrano raccontare il viaggio dall’egoismo all’altruismo. B. Aldiss, Space Opera, London, Futura, 1974, p. 10. Citato in M. Henderson, Star Wars – e Magic of Myth, cit., p. 141. Traduzione mia. 689

690

Vedi B. Aldiss, Ivi, pos. 408.

Planetary Romance, in J. Clute – P. Nicholls, Encyclopedia of Science Fiction, cit. Traduzione mia. 691

M.W. Driver – S. Ray, e Medieval Hero on Screen: Representations from Beowulf to Buffy, cit., p. 77. 692

S. McCosker, “e Lady, the Knights and ‘the Force’ or How Medieval Is Star Wars”, Culture@Home (consultabile all’indirizzo www.anglicanmediasydney.asn.au/cul/StarWars.htm). 693

M.W. Driver – S. Ray, e Medieval Hero on Screen: Representations from Beowulf to Buffy, cit., p. 78. 694

G. Dossena, Storia confidenziale della leeratura italiana. Dalle origini all’età del Petrarca, Milano, Rizzoli, 2012, p. 46. 695

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., p. 19. Lucas si riferisce ai western degli anni cinquanta, in piena epoca classica (Mezzogiorno di fuoco, Fred Zinnemann; Sentieri selvaggi, John Ford, 1956; el treno per Yuma, Delmer Daves, 1957). Era l’epoca che precedee quella del “crespuscolo del genere, la sua degenerazione ed il suo divenire altro da sé”. (R. Nepoti, La poetica degli eroi. Struura e mito nei generi classici del cinema di Hollywood, cit., p. 78). 696

A. Bazin, “Le Western ou le cinéma américain par excellence”, in ’est-ce que le cinéma?, Paris, Éditions du Cerf, 1985, p. 219. 697

K. Dancyger – J. Rush, Alternative Scriptwriting. Beyond Hollywood Formula, cit., p. 102. 698

E. Langa (a cura di), Dizionario Larousse del cinema americano, Roma, Gremese, 1998, p. 27. 699

Cfr. Titelman (a cura di), e Art of Star Wars, New York, Ballantine Books, 1979, p. 69. 700

J. Benning, Star Wars Begins – e Complete Filmumentary, 2011 (consultabile all’indirizzo vimeo.com/32442801). Traduzione mia. 701

702 C. Vogler, e Writer’s Journey. Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 137.

D.E. Palumbo, e Monomyth in American Science Fiction Films: 28 Visions of the Hero’s Journey, cit., pos. 408. 703

C. Vogler, e Writer’s Journey. Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 139. 704

J. Baudrillard, “L’Histoire, un scénario rétro”, Ça Cinéma, n. 12-13, 1977. Traduzióne italiana in Simulacri e impostura. Bestie, Beabourg, apparenze e altri oggei, Bologna, Cappelli, 1980. 705

706 Consultabile all’indirizzo leone_(Enciclopedia-del-Cinema)/.

www.treccani.it/enciclopedia/sergio-

F. Wickman, “Star Wars is a Postmodern Masterpiece”, Slate, 13 dicembre 2015 (consultabile all’indirizzo www.slate.com/articles/arts/cover_story/2015/12/star_wars_is_a_pastiche_how_g eorge_lucas_combined_flash_gordon_westerns.html). Traduzione mia. 707

M. Heilemann, “ere Was Once a Certaian Kind of Cinema”, Kitbashed (consultabile all’indirizzo kitbashed.com/blog/there-was-once-a-certain-kind-ofcinema). Traduzione mia. 708

C. Frayling, Sergio Leone: Something to Do with Death, University of Minnesota Press, Reprint edition 26 gennaio 2012. Traduzione mia. 709

710

G. Alonge, G. Carluccio, Il cinema americano classico, cit., p. 65.

711

B.J. Jones, George Lucas – La biografia, cit., p. 56.

712

Ivi, pp. 56-57.

713

F. Wickman, “Star Wars is a Postmodern Masterpiece”, cit.

G. King, La Nuova Hollywood – Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, cit., p. 168. 714

715

Ivi, p. 169.

716

F. La Polla, Sogno e realtà americana nel cinema di Hollywood, cit., p. 32.

717

G. Alonge, G. Carluccio, Il cinema americano classico, cit., p. 67.

R. Nepoti, La poetica degli eroi. Struura e mito nei generi classici del cinema di Hollywood, cit., p. 103. 718

T. Gallagher, John Ford. e Man and His Films, Berkeley (CA), University of California Press, 1986, p. 329. 719

Dal documento della Warner Bros relativo alla sneak preview del film di Ford: “PREVIEW OF ‘THE SEARCHERS’, Paramount eatre, San Francisco, December 3, 1955”: “Si traava dell’anteprima della pellicola in lavorazione in 35mm. e ovviamente alcune scene avevano bisogno di essere ancora bilanciate: ma l’immagine aveva una grande bellezza piorica che risultava evidente con molta chiarezza sul grande schermo. Non c’è dubbio che ciò dipendesse anche dal fao che era stata realizzata sul negativo doppio VistaVision.” Traduzione mia. 720

Vedi: R. Dykstra, “e Search for Spectators: VistaVision and Technicolor in e Searchers”, Kino: e Western Undergraduate Journal of Film Studies, Vol. 1: Iss. 1, Article 1, 2010 (consultabile all’indirizzo ir.lib.uwo.ca/kino/vol1/iss1/1). 721

722

G. Alonge, G. Carluccio, Il cinema americano classico, cit., p. 68.

R. Nepoti, La poetica degli eroi. Struura e mito nei generi classici del cinema di Hollywood, cit., p. 118. 723

“PREVIEW OF ‘THE SEARCHERS’ Paramount eatre, San Francisco, December 3, 1955”. 724

What If the Star Wars Sequels Were Based on a Kurosawa Movie Just Like the Original Star Wars?, Brilliant Building, 2015, e-book, p. 5. Traduzione mia. 725

Gioco di parole tra il titolo del film di David Lynch, Mulholland Drive (“Viale Mulholland”), e il cognome dell’aore che interpreta Jabba the Hut nella scena tagliata del primo Star Wars, Mulholland. La traduzione in italiano, impossibile da rendere con la stessa efficacia, suona: “Mulholland conduce (il gioco)”. 726

esta scelta fa parte di quello che chiamiamo il “furore digitale” di Lucas che, oltre a spingerlo a usare pesantemente la CGI nella trilogia prequel, in questa occasione lo spinge a infarcire i capitoli della trilogia originale con diversi personaggi o sfondi realizzati in digitale. Tra questi, appunto, Jabba. esto furore è talmente “potente in Lucas” che la scena in questione sfiora l’amatoriale: Lucas integra il girato originale con l’inserimento del personaggio di Jabba realizzato in CGI. Mentre Han sta parlando con lui gli gira intorno passandogli alle spalle, come faceva con Mulholland. Ma Jabba, avrebbe deciso solo in seguito Lucas, ha una lunga e grossa coda e dunque si rende necessario mostrare il gesto di Han che la scavalca o ci passa sopra. Avendo a disposizione solo il girato originale e non potendo in alcun modo modificare il pro-filmico, Lucas è costreo a “ritagliare” digitalmente la figura di Han Solo, come si farebbe con un’immagine di Photoshop, e a sollevarla all’interno dell’inquadratura. A guardare bene questi pochi secondi, nonostante parrebbe che il lavoro realizzato dalla ILM abbia richiesto mesi, siamo di fronte a un risultato davvero modesto. Neppure la gag che Lucas aggiunge (Jabba fa una smorfia di dolore quando Solo gli calpesta la coda) serve a nascondere o mitigare quella che secondo noi è una vera e propria catastrofe creativa. hps://mail.google.com/mail/u/0/#search/star+wars/KtbxLvGzdmZlXhrwCSMGvl PvMlHnCHnZCg. 727

728

Consultabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=cw1gkNd6Z_8.

D. Bordwell, Reinventing Hollywood: How 1940s Filmmakers Changed Movie Storytelling, cit., p. 2 (introduzione). 729

Il termine originale, di cui la traduzione italiana non restituisce l’intero senso, è swashbuckling movies, cioè “film di ardimentosi scavezzacollo”. 730

S. Benedei, “Dalla parte del pubblico. Il viaggio dell’eroe tra mito e cinema”, cit., p 17. 731

732

Cfr. all’indirizzo www.imdb.com/title/0051808/.

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., p. 51. Michele Anselmi, in un’intervista su MapMagazine, ricorda che il film di Kurosawa ispirò anche Bertolucci: “[…] in Il Conformista c’è una scena in cui lui [Bertolucci] mi ha deo di aver preso delle cose da un film di Kurosawa che io amo tantissimo, La fortezza nascosta.” P.P. Mocci – M. Sesti: “Sono pronto per la regia cinematografica”, mapmagazine.it, 2 novembre 2019 (consultabile all’indirizzo www.mapmagazine.it/2019/11/24/mario-sesti-sono-pronto-per-la-regiacinematografica/). 733

L. Bouzereau, Star Wars: e Annotated Screenplays, Del Rey, 1997, p. 10. Traduzione mia. 734

N. Barber, e Films Star Wars Stole from, BBC.com, 4 gennaio 2016 (consultabile all’indirizzo hps://www.bbc.com/culture/article/20160104-the-filmstar-wars-stole-from). 735

736

Ivi. Traduzione mia.

Consultabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=39sBk9htSTI. Breve estrao dal documentario Milius (Joey Figueroa e Zak Knutson, 2013). Traduzione mia. 737

Al punto che alcuni ipotizzano che il nome Obi-Wan Kenobi sia un omaggio al regista giapponese. Obi è la cintura del kimono, mentre ken, in giapponese, 738

significa spada. 739

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., p. 50.

D. Bordwell, Reinventing Hollywood: How 1940s Filmmakers Changed Movie Storytelling, cit., pp. 45-46. 740

741

S. Neale, Genre and Hollywood, cit., p. 168.

742

Ivi, p. 170.

743

V. Pravadelli, La grande Hollywood, cit., p. 196.

Gioco di parole a partire dal titolo del film Romancing the Stone, titolo italiano All’inseguimento della pietra verde, un “romantic comedy-adventure film”. Il pianeta nero qui è la Morte Nera, l’arma a forma di pianeta. 744

Frase traa dal teaser trailer originale americano di Star Wars del 1977 (consultabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=trFN69F–8g&feature=). 745

746

Consultabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=9gvqpFbRKtQ.

P. Scanlon, “Star Wars, l’intervista del ‘77 a George Lucas. ando tuo ebbe inizio”, cit. 747

748

F. Capra, Il nome sopra il titolo, cit., p. 503.

S. Cavell, Pursuits of Happiness – e Hollywood Comedy of Remarriage, Harvard University Press, p. 3. Traduzione mia. 749

750

S. Neale, Genre and Hollywood, cit., p. 60.

P. Biskind, Easy Riders, Raging Bulls – Come la generazione sesso-drogarock’n’roll ha salvato Hollywood, cit., p. 289. 751

752

Dall’opening crawl del primo Star Wars.

Vedi M. Ortiz, Dreaming the End of the World: Apocalypse as a Rite of Passage, Spring Publications, 2004. 753

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 69. 754

M.W. Driver – S. Ray, e Medieval Hero on Screen: Representations from Beowulf to Buffy, cit., p. 146. 755

D. Pollock, Skywalking: the Life and Films of George Lucas, New York, Da Capo Press, 1999, p. 17. 756

757 “La categoria dei ‘film di guerra’ è incontestabile: i film di guerra riguardano i conflii del ventesimo secolo. Gli ingredienti richiesti sono le scene di combaimento e tali scene sono centrali dal punto di vista drammatico. La categoria perciò include film ambientati durante la prima guerra mondiale, la seconda guerra mondiale, la Korea e il Vietnam”. S. Neale, Genre and Hollywood, cit., p. 117. 758

Ivi, p. 45.

759

A. Minuz, Steven Spielberg, Marsilio, 2019, e-book.

M.W. Driver – Sid Ray, e Medieval Hero on Screen: Representations from Beowulf to Buffy, cit., p. 146. 760

761

e Times, 29 dicembre 1955. Traduzione mia.

762

F. Wickman, “Star Wars is a Postmodern Masterpiece”, cit.

763

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., pp. 19-20.

È il titolo di un saggio di C. Santas, e Epic in Film, from Myth to Blockbuster, Rowman & Lilefield Publishers Inc., 2008. 764

J. Campbell – B. Moyers, e Power of Myth, New York, Doubleday Publishing Group, 2001, p. 23 Traduzione e corsivo miei. 765

D. Robnik, “Allegories of Post-Fordism in 1970s New Hollywood: Countercultural Combat Films and Conspiracy rillers as Genre Recycling”, in T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit., p. 333 e ss. 766

T. Elsaesser, “e American Cinema: Why Hollywood”, in Monogram 1, 1971, p. 9f. Traduzione mia. 767

768

T. Elsaesser, “e Pathos of Failure”, in Monogram 6, 1975, (15).

C. Hugo, “Easy Rider and Hollywood in the ‘70s”, Movie 31/32, 1986, 67, 69, 71. in T. Elsaesser, A. Horwath, N. King, e Last Great American Picture Show, cit., p. 333 e ss. 769

770

A. Gordon, e Secret History of Star Wars, cit., pp. 314-326.

771 J. Tiffin, “Digitally Remythicised: Star Wars, Modern Popular Mythology, and Madam and Eve”, in Inter Action 6: Proceedings of the Fourth Postgraduate Conference, UWC press, 1988. Traduzione mia.

D.E. Palumbo, e Monomyth in American Science Fiction Films: 28 Visions of the Hero’s Journey, cit., pos. 711. 772

773

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., p. 205.

Vedi D. Bordwell, e Way Hollywood Tells It: Story and Style in Modern Movies, cit., p. 33. Il sito Starwars.com riporta una versione diversa dell’incontro tra Lucas e Campbell. Secondo Lucas Seastrom, i due si incontrarono in occasione di una visita dell’antropologo al Palace of Fine Arts di San Francisco, che si trovava molto vicino al quartiere generale della LucasFilm (consultabile all’indirizzo www.starwars.com/news/mythic-discovery-within-the-innerreaches-of-outer-space-joseph-campbell-meets-george-lucas-part-i). 774

J. Campbell, e Hero’s Journey: Joseph Campbell on His Life and Work, a cura di P. Cousineau, Novato (CA), New World Library, 2003, p. 187. Traduzione mia. 775

776 D. Bordwell, e Way Hollywood Tells It: Story and Style in Modern Movies, cit., p. 33.

Vedi J. Baxter, George Lucas. A Biography, HarperCollins Entertainment, 2000, e-book p. 234. 777

778

Ivi, p. 348.

A Long Time Ago: e Story of Star Wars, BBC Omnibus documentary, 1999. Una dichiarazione simile, comunque, è contenuta nella biografia di Joseph Campbell A Fire in the Mind del 1991: “Dopo American Graffiti sono arrivato alla conclusione che per me era prezioso definire degli standard, non mostrare al pubblico il mondo per quello che è… intorno al periodo della realizzazione del film… mi fu chiaro che nessuno utilizzava la mitologia in chiave moderna… Il 779

western era forse l’ultima favola genericamente americana che parlava dei nostri valori. E quando scomparve anche il western nulla ha preso il suo posto. In leeratura invece esplodeva la fantascienza… così quando ho iniziato ad approfondire strenuamente le favole, il folklore e la mitologia, ho iniziato a leggere i libri di Joe. Prima di allora non conoscevo nulla di Joe. Fu molto inquietante perché leggendo L’eroe dai mille volti ho iniziato a comprendere che la prima stesura del mio Star Wars seguiva degli schemi classici… Perciò modificai la stesura successiva in base a ciò che stavo apprendendo sugli schemi classici e la resi un po’ più solida… Poi continuai a leggere Le maschere di dio e altri libri.” 780

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., p. 204.

A. Crespi, “‘Il mio maestro? Kurosawa.’ Lucas alle 8 del maino”, L’Unità, 24 maggio 1988. 781

Dooressa Joan Breton Connelly, professore associato di belle arti alla New York University, in Star Wars: e Legacy Revealed (al min 2’36”), Tv Movie, 28 maggio 2007, regia di Kevin Burns. 782

“Più si legge Joseph Campbell, più ci si rende conto che il Viaggio dell’Eroe esiste al servizio della verità più grande, di come noi umani viviamo il nostro mito unico e individuale. La storia può essere il viaggio, ma il significato e l’importanza del viaggio è la scoperta di tui gli aspei di chi siamo e, araverso questo processo, l’innalzamento della nostra coscienza.” (S. Myers, “Joseph Campbell: ‘Ogni mito è psicologicamente simbolico’”, 22 maggio 2016, consultabile all’indirizzo /gointothestory.blcklst.com/joseph-campbell-every-myth-ispsychologically-symbolic-f22cd9edf4a3.) 783

784

Ivi.

T. Waddell, Mis/takes: Archetype, Myth and Identity in Screen Fiction, London, New York, Routledge, 2006, p. 27. Traduzione mia. 785

786

S. Larsen – R. Larsen, A Fire in the Mind – e Life of Joseph Campbell, cit., p.

787

Ivi, p. 5.

3.

Cfr. Capitolo “L’Adventure movie e la Fortezza spaziale”, e S. King, “From Douglas Fairbanks to George Lucas: USC’s School of Cinematic Arts turns 90”, Los Angeles Times, 6 aprile 2019 (consultabile all’indirizzo www.latimes.com/entertainment/movies/la-et-mn-usc-film-school-90-20190406story.html). 788

789

S. Larsen – R. Larsen, A Fire in the Mind – e Life of Joseph Campbell, cit., p.

790

V. Brombert (a cura di), e Hero in Literature, cit., p. 12.

791

Ivi, p. 12.

792

A. Hartman, “Homage and Imitation in Star Wars – en and Now”, cit.

22.

F. Lamendola, “Mircea Eliade e il mito”, in Il mito, per Eliade, dà valore e significato al mondo e alla vita, Accademia Nuova Italia, 23 gennaio 2018, p. 3 (originariamente apparso il 16 novembre 2010 su www.ariannaeditrice.it). 793

794

Ivi, p. 2.

795

M. Eliade, Mito e realtà, Torino, Boria, 1966, pp. 175-178.

Nel senso aribuitogli da Edmund Burke nel suo Ricerca filosofica sull’origine delle nostre idee intorno al Sublime e al Bello, Milano, Sonzogno, 1804, pp. 50-51; corsivo mio. “Come però la pena opera con più forza del piacere, così la morte generalmente presenta un’idea più spaventevole ancora della pena; essendovi pochissime pene, per quanto ricercate sieno, che non si preferiscano alla morte; anzi ciocché rende la pena stessa più dolorosa si è, che quella (siami lecita l’espressione) è come un mandatario di questo re de’ terrori. ando il pericolo, o la pena pressano troppo da vicino, sono incapaci di recare alcun dileo, e sono puramente terribili; ma in certa distanza e con certe modificazioni possono essere e sono in fao dileevoli, com’esperimentiamo cotidianamente.” 796

797

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 111.

Rare Star Wars 1977 Alec Guinness Interview on Parkinson Talk Show (consultabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=3IxN0N35skE). 798

C. Vogler, e Writer’s Journey. Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 162. 799

800

Ibid.

801 Un’altra ipotesi del mancato realismo orrorifico è relativa in particolare al fao che l’intera saga presenta numerose scene di (o riferimenti a) amputazioni di braccia o smembramenti. L’ipotesi si basa su una leura fortemente simbolica e psicanalitica della storia: diversi personaggi perdono un braccio o una mano o vengono smembrati (C-3PO, l’avventore della cantina di Mos Eisley, Luke, Anakin, solo per fare alcuni esempi) e di Chewbacca viene deo: “Non è saggio far innervosire un Wookie. I Wookie sono noti per staccare le braccia di qualcuno quando perde.” Cfr. S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., 2001.

R. Barthes, Mythologies, New York, e Noonday Press, 1991, p. 107 e ss. Traduzione mia. 802

803

A. Rabbito, “Star Wars VII e il simulacro dello speacolo”, cit., p. 122.

804

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 338.

805

C.R. Sunstein, Il mondo secondo Star Wars, cit., posiz 3159.

esta affermazione di George Lucas, intervistato da Bill Moyers, è contenuta nel TV Movie di Pamela Mason Wagner e Mythology of Star Wars, prodoo da Public Affairs Television, irteen, WNET, New York, 1 seembre 2000. 806

807

C.R. Sunstein, Il mondo secondo Star Wars, cit., posiz 1196.

Oo Rank, e Myth of the Birth of the Hero – and other writings, a cura di Philip Freund, Vintage Books, 1959, p. 3. 808

809

Ivi, p. 9.

La risposta integrale alla domanda di Bill Moyers (“Stai creando un nuovo mito”) è: “Bene, e io sto raccontando un vecchio mito in un modo nuovo. Sto solo prendendo il nucleo del mito e lo sto localizzando. A quanto pare, lo sto localizzando su un pianeta. Ma credo di localizzarlo temporalmente, alla fine del millennio, piuosto che in un luogo in particolare. Anche questo fa parte della globalizzazione del mondo in cui viviamo. L’essere umano medio ha molta più consapevolezza delle altre culture che esistono – coesistono con loro su questo pianeta, e che certe cose araversano le culture, e l’intraenimento è una di 810

queste. E i film e le storie che racconto sono trasversali a tue le culture, si vedono in tuo il mondo” (consultabile all’indirizzo www.youtube.com/watch? v=pjaUeNd1kq8). 811

B.J. Jones, George Lucas – La biografia, cit., p. 168.

C. Rose, George Lucas on the Meaning of “Star Wars”, 23 oobre 2014 (consultabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=-pbRGtWkHWg). Traduzione mia. 812

D.E. Palumbo, e Monomyth in American Science Fiction Films: 28 Visions of the Hero’s Journey, cit., pos. 450. 813

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 20. 814

C.G. Jung, Memories, Dreams, Reflections, New York, Vintage Books, 1989, p. 325. Traduzione mia. 815

arta stesura, 15 marzo 1976: e adventures of Luke Skywalker as taken from the Journal of the Whills – Saga I – Star Wars. Corsivo mio. 816

817

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p, 41.

818

M. Kaminski, e Secret History of Star Wars, cit., p. 102.

819 e Journal of the Whills, Part I (1973) è una parziale sinossi di due pagine scria a mano della storia che in seguito, pesantemente rivista, sarebbe diventata Star Wars. Il Tomo segreto che origina quello visibile, lo pseudobiblium: il Necronomicon di Abdul Alhazred che origina l’intera opera leeraria di H.P. Lovecra e il Libro Rosso di Bilbo Baggins che funge da fonte ai libri di Tolkien. Cfr. agli indirizzi www.pangea.news/jung-libro-rosso/ e www.starwarsnews.it/2020/11/11/star-wars-e-spuntata-online-la-spiegazione-digeorge-lucas-sui-whills/.

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., pp. 26-27. 820

Cfr. C.G. Jung, Gli archetipi e l’inconscio colleivo, vol. 9, I [Gli archetipi dell’inconscio colleivo (1934/1954)] in C.G. Jung, Opere, Torino, Boringhieri, 1980. 821

Il 24 giugno del 1947 il pilota privato Kenneth Arnold affermò di aver assistito a un fenomeno inspiegabile: nove oggei volanti non identificati (che a partire dal 1952 la Us Air Force definì UFO – Unidentified Flying Object) sorvolarono il monte Rainer vicino Washington. esto avvistamento viene considerato ufficialmente il primo della storia dell’ufologia. 822

C.G. Jung, Flying Saucers: A Modern Myth of ings Seen in the Skies, from the Collected Works of C.G. Jung, Volumes 10 and 8, Princeton University Press, 1979, p. 14 (orig.: Ein moderner Mythus: Von Dingen, die am Himmel gesehen werden, 1958). “Nella situazione minacciosa del mondo di oggi, quando la gente comincia a vedere che tuo è in gioco, la fantasia che crea proiezioni vola oltre il regno delle organizzazioni e delle potenze terrene verso il cielo, verso lo spazio interstellare, dove i dominatori del destino umano, gli dei, una volta avevano la loro dimora nei pianeti… Anche persone che non avrebbero mai pensato che un problema religioso potesse essere una questione seria che li riguardava personalmente, cominciano a porsi domande fondamentali. In queste circostanze non sarebbe affao sorprendente se quei seori della comunità che non si 823

chiedono nulla fossero visitati da ‘visioni’, da un mito diffuso, seriamente creduto da alcuni e respinto come assurdo da altri.” S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 85. 824

Per “mandala” si intende tendenzialmente un oggeo sacro di forma rotonda o un “disco”, presente in diverse culture antiche: in quella cristiana soo forma di affreschi con immagini di animali che rappresentano gli apostoli e lo zodiaco; oppure nelle pratiche spirituali indiane; o infine nel buddismo. 825

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., pp. 87-88. 826

C.G. Jung, e Integration of the Personality, New York, Toronto, Farrar and Rinehart Inc., 1939, p. 72. Citato in: J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 361, nota 24. 827

Cfr, per esempio: C. Santas, e Epic in Film: from Myth to Blockbuster, Rowman & Lilefield Publishers, inc., 2008. 828

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., pp. 87-88. 829

L. Hockley, Frames of Mind: A Post-Jungian Look at Film, Television and Technology, Intellect Books, 2007, p. 114. Traduzione mia. 830

Per Jung, la fonte cui si abbeverano Campbell e Vogler, gli archetipi sono “rimanenze arcaiche” della storia psichica del genere umano. Rimanenze che provengono dalle “immagini primordiali”, che sono qualcosa di più che meri postulati intelleuali. Sono “modelli dai quali tue le cose dello stesso tipo sono fae”. 831

832

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., pp. 33-34. Corsivo mio.

833

J. Platania, Jung for Beginners, For Beginners, 2011, e-book, p. 161.

834

Cfr. J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 249 e ss.

835

Ivi, pp. 243-244.

D.E. Palumbo, e Monomyth in American Science Fiction Films: 28 Visions of the Hero’s Journey, cit., pos. 278. 836

837

Ivi, pos. 254.

838

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., pp. 11-12.

Tra questi Montague Ullman, psichiatra e psicanalista newyorchese (19162008). Cfr. M. Ullman – N. Zimmerman, Working with Dreams, Los Angeles, Jeremy P. Tarcher Inc., 1979. 839

D.E. Palumbo, e Monomyth in American Science Fiction Films: 28 Visions of the Hero’s Journey, cit., pos. 326. 840

841

Gianni Rodari, Grammatica della fantasia, Trieste, Einaudi Ragazzi, 2013, p.

842

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 39.

86.

C. Vogler, e Writer’s Journey. Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 83. 843

Si riferisce a una teoria cospirazionista, il Progeo Montauk: una serie di progei governativi segreti condoi a Camp Hero o alla Montauk Air Force Station (New York) per sviluppare tecniche di guerra psicologica e tecnologie per il viaggio nel tempo. Cfr. P.B. Nichols – P. Moon, e Montauk Project: Experiments in Time, Sky Books, 1992. 844

845

Consultabile all’indirizzo strangerthings.fandom.com/wiki/Montauk.

C. Vogler, e Writer’s Journey. Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 86. 846

847

Ivi, p. 87.

848

Ivi, p. 90.

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 39. 849

850

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 75.

J.F. Iaccino, Jungian Reflections within the Cinema. A Psychological Analysis of Sci-Fi and Fantasy Archetypes, London, Praeger, 1998, pp. 4 e 5. Traduzione mia. 851

852

Ivi, p. 57.

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 43. 853

854

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 39.

855

M. Henderson, Star Wars – e Magic of Myth, cit., p. 22.

856

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 54.

857

M. Henderson, Star Wars – e Magic of Myth, cit., p. 22.

Ivi, p. 29. C-3PO infai è l’unico dei due droidi con il quale Luke può “avere un contao”. L’unico di cui “conosca la lingua”. 858

Se la tesi è giusta, è allora anche probabile che la scelta del nome del pianeta sul quale Luke Skywalker si è rifugiato nella trilogia sequel come un eremita per meditare sui suoi errori, Ahch-to, non sia casuale, vista la somiglianza della pronuncia di “Ahch-To” con R2. Infai, nella sceneggiatura originale, ci si riferisce sempre a R2 con “Artoo”. 859

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 43. 860

861

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 57.

C. Vogler, e Writer’s Journey. Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 119. 862

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 46. 863

864

Ivi, p. 54.

C. Vogler, e Writer’s Journey. Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 127. Corsivo mio. 865

866

R.A. Segal, Joseph Campbell: An Introduction, Plume, 1997, p. 7.

“It’s Aimed at Kids – the Kid in Everybody” titola il saggio di Peter Krämer che abbiamo citato più volte nel arto Ao. 867

868

R.A. Segal, Joseph Campbell: An Introduction, cit., p. 8.

869

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 59.

C. Vogler, e Writer’s Journey. Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 136. 870

Il film di Curtiz è basato sulla commedia del 1940 di Murray Burne e Joan Alison, acquistata dalla Warner Bros. 871

Il riferimento è ovviamente a Il mago di Oz. Dorothy dice la bauta a Toto, il suo fedele cagnolino dopo che l’uragano li ha trascinati lontano da casa (“Toto, ho l’impressione che non siamo più in Kansas”). 872

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 56. 873

“L’eroe è assistito dai consigli, dagli amuleti e dagli agenti segreti del soprannaturale soccorritore che ha incontrato prima di entrare in questa regione. A volte invece l’eroe scopre qui per la prima volta che v’è ovunque una potenza benigna [Obi-Wan] che lo soccorre nel suo viaggio soprannaturale.” J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 91. 874

In realtà, come abbiamo visto, Jabba the Hu appare anche nella riedizione del 1997 di Star Wars: Una nuova speranza – Capitolo IV, in una scena aggiunta in cui lo vediamo parlare con Han Solo. 875

876

M. Henderson, Star Wars – e Magic of Myth, cit., pp. 43-44.

877

Ivi, p. 44.

Consultabile Traduzione mia. 878

all’indirizzo

www.youtube.com/watch?v=cw1gkNd6Z_8.

Tecnica di animazione a passo uno. Il più famoso animatore in stop motion è stato Ray Harryhausen. 879

880

Consultabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=cw1gkNd6Z_8.

881

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 84.

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., pp. 72-73. 882

883

Ivi, p. 74.

884

M. Henderson, Star Wars – e Magic of Myth, cit., pp. 47.

C. Vogler, e Writer’s Journey – Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 143. 885

L’Ombra è un complesso “cioè un insieme di trai legati tra loro da affei comuni - che, come tui i complessi, avevano un nucleo archetipico, in questo caso l’archetipo del Nemico, del Predatore, o del Malvagio Straniero. Di tui gli archetipi il nemico è uno dei più importanti e, potenzialmente, il più letale”. Cfr. Anthony Stevens, Jung: A Very Short Introduction, Oxford University Press, 2001, p. 64. 886

887

M. Henderson, Star Wars – e Magic of Myth, cit., pp. 47-50.

888

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 106.

È probabile che non sia un caso che il cognome di Leia sia Organa, che suggerisce il suo ruolo di difensore del mondo naturale (“organico”) e umano da quello tecnologico e deumanizzato dell’Impero. 889

C. Vogler, e Writer’s Journey. Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 152. 890

891

Ivi, p. 152.

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 89. 892

893

M. Henderson, Star Wars – e Magic of Myth, cit., p. 54.

C. Vogler, e Writer’s Journey. Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 152. 894

895

S.A. Galipeau, op. cit., pp. 90-91.

896

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., pp. 108-109.

897

Ivi, p. 110.

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 104. 898

899

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 113.

Han Solo in questo momento ha già una compagna: “Han si riferisce al Falcon come a un ‘altro’ femminile, come è comune per gli uomini nominare il genere dei loro veicoli. In lingua junghiana diremmo che l’anima di Han è proieata sulla sua nave: un oggeo inanimato trasporta il femminile. esta forma di proiezione dell’anima è prevalente nello sviluppo maschile, in particolare nell’adolescenza, ma alla fine deve cambiare se si vuole che un uomo possa avere una relazione significativa con una donna vera e propria.” Vedi S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 105. 900

“Come il Buddha, quest’essere simile a dio costituisce un esempio del divino stato in cui viene a trovarsi l’eroe che ha superato gli ultimi terrori dell’ignoranza.” J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., pp. 135-136. 901

C. Vogler, e Writer’s Journey. Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 155. 902

903

Lo stadio della “Resurrezione” per Vogler è nel Terzo Ao.

904

Kubrick intervistato da Michel Ciment.

905

M. Henderson, Star Wars – e Magic of Myth, cit., p. 59.

906

Ibid.

907 S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 115.

C. Vogler, e Writer’s Journey. Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 156. 908

909

Ibid.

910

Ibid.

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 118. 911

912

Consultabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=F4DpcXcLMRA.

913

R.A. Segal, Joseph Campbell: An Introduction, cit., p. 7.

Consultabile all’indirizzo en.wikipedia.org/wiki/e_Empire_Strikes_Back#cite_note-Box_Office_Mojo-3. 914

915

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 118.

C. Pavese, Il mestiere di vivere. 1935-1950, (a cura di M. Guglielminei, L. Nay), Torino, Einaudi, 2006, (28 dicembre 1947), p. 341. 916

917

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 124.

918

Ibid.

919

M. Henderson, Star Wars – e Magic of Myth, cit., p. 87.

920

Ivi, p. 89.

S.A. Galipeau, e Journey of Luke Skywalker: An Analysis of Modern Myth and Symbol, cit., p. 123. 921

922

M. Henderson, Star Wars – e Magic of Myth, cit., p. 61.

923

Ibid.

A. Stevens, Jung: A Very Short Introduction, Oxford University Press, 2001, p. 60. Traduzione mia. 924

K. Dancyger – J. Rush, Alternative Scriptwriting. Beyond Hollywood Formula, cit, p. 7. 925

Consultabile all’indirizzo starwarz.com/tbone/the-empire-strikes-back-firstdra-by-leigh-bracke/. 926

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928

Ibid.

929

Ibid.

C. Vogler, e Writer’s Journey. Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 59. 930

931

Ivi, p. 62.

K. Dancyger – J. Rush, Alternative Scriptwriting. Beyond Hollywood Formula, cit., p. 14. 932

933

S. Magerstädt, op. cit., p. 103.

934

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 118.

C. Vogler, e Writer’s Journey. Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 171. 935

936

Ibid.

937

M. Henderson, Star Wars – e Magic of Myth, cit., p. 111.

Una prospeiva con la quale si può riassumere l’arco narrativo dell’eroe classico è la seguente: Primo Ao – Falso Equilibrio dell’eroe, l’Incidente 938

Scatenante alla fine dell’Ao lo squilibra; Secondo Ao – tentativi di riequilibrio e successo alla fine dell’Ao; Terzo Ao – Nuovo Equlibrio. 939

R.A. Segal, Joseph Campbell: An Introduction, cit., p. 19.

J. Sourd, e Star Wars Saga, Myths and Autobiography, a Freudian Approach to George Lucas’ Script. 8 seembre 2007, pp. 5-6. Traduzione mia. 940

941

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 171.

942

Ibid.

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 184. Campbell cita E. Clews Parsons, Tewa Tales, Memoirs of the American Folklore Society, XIX, 1926, p. 193. 943

C. Vogler, e Writer’s Journey. Mythic Structure for Writers – ird Edition, cit., p. 187. 944

945

J. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., pp. 203-204.

946

V. Brombert (a cura di), e Hero in Literature, cit., p. 54.

947

Ibid.

948

Ivi, p. 53.

949

Ivi, p. 57.

950

Vedi J.F. Iaccino, Joseph Campbell: An Introduction, cit.

P. Doctor, “e Force Awakens: e Individualistic and Contemporary Heroine”, in NANO New American Notes Online, dicembre 2017. 951

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TV

Movie, regia di Kevin

A Long Time Ago: e Story of Star Wars, documentary, 1999.

BBC

Omnibus

Star Wars Begins – e Complete Filmumentary, di Jamie Benning, 1977 (consultabile all’indirizzo vimeo.com/32442801). Breve estrao dal documentario Milius, di Joey Figueroa e Zak Knutson, 2013 (consultabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=39sBk9htSTI).