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Italian Pages 165 Year 2020
L'esclusione Analisi di una pratica diffusa a cura di Furio St'n1ernri
Quodlibct Studio
Indice
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Premessa di Furio Semerari Eugenio Borgna
L'esclusione come tema della follia 2.1
Gabriella Falcicchio
Dalla Weltanschauung della scissione alla Weltanschauung del legame: per un'educazione che custodisca il respiro della Terra 61
Vinccn7.o Vitiello
AI'AIIlI KAI MA,"'A (Mt, 5, 44-45 e 10, 34-35) Frammenti di un discorso teologico-politico sul tempo cristiano 79
Clara Mitola
Es(t]clusionc Tradus cxclus 87
Anna l..opedota
L'esclusione sofferta nelle relazioni con gli altri 111
Furio Scmerari
Escludere cd essere esclusi 147
Domenica Discipio
Isolamento, abbandono, dimenticanza. Considerazioni su alcune forme di esclusione 173
Nota biobibliografica degli autori
Premessa di Furio Scmcrari
Considerando la storia dell'uomo in quelli che potrebbero essere definiti come suoi tratti essenziali e ricorrenti, sebbene non esclusivi, non si può fare a meno di osservare come, all'interno di essa, quella dell'esclusione sia stata, senz'altro, una pratica non solo estremamente diffusa, ma sulla quale si è venuto giocando, in maniera determinante, il destino degli uomini. E non si può fare a meno di osservare, inoltre, come quella pratica sia, senz'altro, assolutamente diffusa e decisiva anche per il destino degli uomini del nostro tempo. Per ragioni magari differenti, oltreché in differenti forme, in ogni caso in maniera fondamentale, essa ha segnato la storia dell'uomo sino ad oggi. Le ragioni della pratica dell'esclusione sono da rintracciare, in molti casi, nella volontà di singoli individui o di gruppi sociali più o meno omogenei o di interi popoli o stati di esercitare e mantenere o consolidare il proprio dominio su altri individui o gruppi o popoli o stati, escludendoli dalla partccipa7jone e dalla fruizione di diritti e possibilità di vita, cui essi hanno, invece, liberamente accesso. In altri casi, le ragioni dell'esclusione sono identificabili nella volontà (del resto spesso semplice espressione della volontà di dominio), di nuovo, di singoli individui o gruppi sociali o popoli o stati di far prevalere la propria visione del mondo, il proprio modo di pensare, di agire, di essere su altre possibili visioni del mondo, su altri possibili modi di pensare, di agire, di essere, di cui si sono fatti o si fanno o si potrebbero fare portatori altri individui, altri gruppi, altri popoli, altri stati. Esclusione fa rima con chiusura: si chiudono le porte, a volte piano piano, quasi senza farsene accorgere, altre volte decisamente sbattendole, a qualcuno, soggetto singolo o collettivo, con divieto di entrare a meno che, eventualmente, colui il quale sia stato lasciato fuori dalla porta non accetti di assoggettarsi a chi la porta ha chiuso
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o di fare propria la sua visione del mondo. Chiudendo la porta, cioè compiendo un atto di esclusione, si pensa di togliersi un possibile o sicuro problema, ostacolo, pericolo o un semplice fastidio. Può darsi che quest'atto di esclusione determini un problema per chi lo compie: un problema di coscie117.a. Ma anche nei confronti dei problemi di cosciell7.a si può provare a chiudere la porta, compiere un gesto di esclusione, che riduce, fino ad annullare, o quasi, il peso di quel problema, sebbene, come nota Jankélévitch, la cosciell7.a (morale), nella forma del rimorso, della vergogna, della cattiva coscienza, non manchi, alla fine, di farsi sentire nell'uomo. Ma ad essere oggetto di esclusione da parte dell'uomo nel corso della sua storia non sono stati solo altri uomini, come singoli o come collettivitì. Ad essere esclusi, lungo una plurimillenaria tradizione culturale e religiosa, soprattutto nella tradizione occidentale, sono stati, salvo piuttosto rare sebbene significative ecce'tioni, anche gli esseri non umani, sono stati gli animali, è stata la natura: gli uni e l'altra non sono stati e, ancor oggi nella maggior parte dei casi, non sono presi in considera1jone come oggetto di attenzione morale, non sono stati e non sono visti e sentiti come soggetti che abbiano, al pari dell'uomo, diritto alla tutela della propria vita e al perseguimento del proprio benessere. È un fatto abbastanza recente (degli ultimi decenni) la presa di cosciell7.a, sempre più diffusa ma ancora lontanissima dal diventare davvero universale, della circostall7.a che la Terra non è abitata solo dall'uomo come soggetto degno di considera1ione e di rispetto, ma anche da altri esseri, peraltro ben più numerosi degli umani, i quali hanno anch'essi diritto a essere riconosciuti nel loro valore, alla salvaguardia della loro esistenza e del loro benessere, al rispetto della loro dignitì. Hanno diritto a non essere esclusi, come invece per lo più avviene, da questo riconoscimento, da questa salvaguardia e da questo rispetto. C'è un tipo di esclusione che è inerente alla possibilità stessa della vita, non solo umana, all'espletamento delle sue funzioni. Si tratta, in questo caso, di una esclusione il cui significato è identificabile in quello del dimenticare nel senso in cui ne parla Nietzsche nella II Inattuale, Il dove osserva che, per agire, occorre dimenticare. Per agire, quale che sia l'azione, occorre dimenticare: occorre dimenticare, ovvero mettere da parte, per un certo tempo (il tempo necessario per compiere l'azione), tutto ciò che non riguardi l'azione che si deve
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compiere e che sarebbe di ostacolo al compimento dell'azione stessa. E ciò si può dire valga per ogni tipo di azione: quella che impegna il corpo, ma anche quella che impegna il pensiero o le emozioni (corpo, pensiero cd emozioni sono, in realtà, variamente implicati e tra loro intrecciati in ogni azione). Escludere o dimenticare, in questo caso, è ciò che consente la concentrazione, necessaria allo svolgimento dell'azione. Ma non è questo il tipo di esclusione di cui si tratta nei saggi che compongono questo libro. È qui in gioco, invece, l'esclusione che l'uomo mette in atto nei confronti degli altri da sé, umani e non umani, come soggetti non degni di essere accolti e degni solo di essere esclusi. Mentre l'escludere nel senso del dimenticare niet".LSCheano è inevitabile cd è ciò che rende possibile la vita e le sue fun1joni, l'esclusione nei confronti degli altri nel senso appena detto è qualcosa che nella storia si è dato e si dà, ma che nell'ulteriore sviluppo del processo storico si potrebbe fare in modo che regredisca e, al limite, scompaia. Il superamento del sistema delle esclusioni nelle relazioni interpersonali e nelle relazioni sociali dovrebbe avere come sue condizioni di possibilità, da un lato, il riconoscimento e il rispetto, da parte di ciascuno, della libertà altrui (libertà di poter essere secondo le proprie attitudini e la propria voca1jonc) e, dall'altro, la solidarietà di ciascuno nei confronti di coloro ai quali le loro forle personali e le condizioni oggettive della loro esistenza non consentono di disporre di beni e possibilità grazie ai quali vivere una vita degna d'esser vissuta. Ma, nei saggi qui raccolti, sono in gioco anche altre forme di esclusione nei confronti dell'altro: esclusioni attuate a salvaguardia della sfera più privata del proprio essere o derivanti da difficoltà e ostacoli che si presentano nell'incrocio di modi d'essere e di pensare propri di tradizioni e identità culturali differenti. E sono anche in gioco forme di autocsclusione che l'uomo può sviluppare nei confronti della realtà o di determinate realtà. Considerando non solo la storia passata dell'uomo, ma anche il nostro stesso tempo storico, è facile rilevare la maniera spregiudicata e cinica in cui l'esclusione nei confronti degli altri (soffermiamo qui l'attenzione, in particolare, su tale forma di esclusione) spesso viene messa in atto, come, per fare solo uno dei tanti esempi possibili e volendo riferirci a fatti recentemente accaduti (e che ancora accadono), l'impedimento, da parte di governi nazionali, di sbarco, nei
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propri porti, di migranti naufraghi, in fuga da fame, guerre, torture, detenzioni, sen1.a alcun problema spesso sacrificati sull'altare del perseguimento di una determinata strategia politica o della propaganda elettorale da parte di rappresentanti del mondo politico. Il caso dell'atteggiamento di esponenti del governo italiano e, più in generale, di ampi settori del mondo politico del nostro paese nella vicenda, che si è determinata nell'estate del 2019, della Sca-Watch, atteggiamento concretiu.atosi in una criminalizzazione della capitana della nave Carola Raclcete per la sua decisione di entrare nelle acque territoriali italiane e quindi, perdurando da due settimane il divieto di sbarco, di entrare nel porto di Lampedusa con a bordo i 42 naufraghi salvati in mare, è, a questo riguardo, molto emblematico. Si è giustificato il divieto di sbarco perché lo sbarco sarebbe stato in contrasto con la legge nazionale, mentre era proprio tale divieto a essere in assoluto contrasto con precise norme del diritto internazionale del mare che prevedono l'obbligo, per il comandante di una nave, di soccorso nei confronti di naufraghi e di sbarco degli stessi in un porto sicuro. Gli appelli di movimenti della società civile, partiti politici, istitu1ioni e associazioni religiose nei confronti delle autorità governative a rispettare il diritto internazionale e a tener conto di elementari ragioni umanitarie (cui le stesse norme del diritto internazionale del mare, di fatto, si richiamano) non sono serviti a nulla. Si è fatto valere, senza mc-o.i termini, il principio dell'esclusione. A proposito di casi recenti particolarmente rilevanti (rilevanti non solo in sé, ma anche per la risona01.a mediatica che hanno avuto) per quel che riguarda il tema dell'esclusione, si possono ricordare altri due fatti. Negli stessi giorni della vicenda della Sca-Watch, la cronaca, in questo caso sportiva, ma che di colpo è diventata politica, ha riportato un'altra vicenda - questo il primo dei due fatti riguardanti l'esclusione che si vogliono qui ricordare - di cui è stata protagonista un'altra donna e un'altra capitana, la capitana della squadra statunitense di calcio Mcgan Rapinoc: un episodio che ha avuto risona01.a interna1ionale, anche perché accaduto nel corso dei mondiali di calcio femminile - come del resto risonanza internazionale ha avuto l'episodio della Sca-Watch - , e che ha riguardato proprio il tema dell'esclusione. La decisione della capitana di non cantare l'inno nazionale, ritualmente suonato prima dell'inizio delle gare tra rappresentative nazionali, e di non andare, in caso di vittoria
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della squadra ai mondiali, alla Casa Bianca se la squadra fosse stata invitata dal presidente degli Stati Uniti, è stata motivata come atto di protesta contro la politica di esclusione del presidente statunitense nei confronti di determinate fasce della popola7ionc, sulla base di criteri sessuali, ra1..ziali, ccc. L'altro fatto è il movimento che ha preso le mosse dalle iniziative di Greta Thunberg, sviluppandosi a livello intcrna1ionalc, in difesa della biosfera e del diritto delle nuove generazioni al futuro, un futuro fortemente compromesso dagli effetti devastanti sulla natura, già oggi registrabili, da parte dell'attività umana. Duplice obiettivo da perseguire attraverso una lotta contro i mutamenti climatici e, più in generale, contro i livelli, diventati insostenibili, di impatto ambientale indotti da una organi1.ZaZionc economico-sociale che si muove unicamente secondo la logica del perseguimento del massimo profitto da parte di singoli individui o gruppi, e non per il bene degli umani nel loro insieme e della natura. Con la loro lotta, Greta Thunberg e il movimento che si è sviluppato dalle sue idee e dalle sue iniziative combattono, cosl, contro una duplice esclusione: contro l'esclusione della natura, da un lato, e della vita delle nuove generazioni, dall'altro, come oggetto di attenzione e di considcra1ione etica e politica da parte di tale tipo di organi1.1.azione economico-sociale. Con ciò, è posto il problema della responsabilità dell' uomo d'oggi nei confronti sia della natura che delle nuove e future generazioni. La pratica dell'esclusione produce la figura dell'escluso. L' escluso vede il mondo, nel mondo si muove, magari a fatica, con rassegnazione o rabbia, comunque con sofferenza più o meno intensa, ma sa che il mondo (ma il mondo, in quanto mondo umano, è sempre, alla fine, per ciascuno, dunque anche per chi viene escluso, un mondo determinato, particolare, costituito da coloro con i quali si è o si vorrebbe essere in relazione, da quelle possibilità di vita che si seguono o si vorrebbero seguire) non lo vede. Sa che, per il mondo, egli non esiste. In questo senso, sente di non appartenere al mondo. Osserva il mondo, ma il mondo non lo considera e ad esso egli non sente di appartenere. C'è la figura dell'escluso, e c'è anche la figura dell'autoescluso, a proposito del quale si potrebbe, però, supporre che l'autocsclusione sia spesso una conseguenza e una radicalizza1ione alla quale si perviene a seguito di un originario atto di esclusione esercitato dagli altri nei propri confronti.
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La storia dell'uomo non è stata e non è solo storia di esclusioni, molto spesso amiate con i mcuj della violenza fisica spinti sino alla distru7Jone dell'altro, ma anche con i mc-uj più sottili e subdoli della persuasione ideologica. Se la storia dell'uomo appare, per molti e decisivi aspetti, come un gioco ad esclusione, essa non è stata e non è solo storia di pratiche di esclusione, ma anche, per aspetti spesso importanti, storia di pratiche di inclusione. La volontà, i progetti, i tentativi di inclusione sono l'altro aspetto della storia dell'uomo. Una storia che, nella sua dialettica spesso tragica di esclusione-inclusione, continua il suo cammino - verso quale destino, è difficile dire. Volendo rintracciare rapprcscnta7joni letterarie di profondo significato e grande efficacia della pratica dell'esclusione o, al contrario, dell'inclusione, si potrebbero ricordare due figure. Una è, in realtà, una figura collettiva: quella della famiglia di Gregor Samsa, protagonista dc la metamorfosi di Kafka, e di tutti gli altri personaggi che compaiono nel racconto. A causa e a partire dalla sua metamorfosi in insetto, nel quale si trova trasformato una mattina svegliandosi, Grcgor viene a poco a poco escluso dall'atten7jone e dalla considera1jone dei suoi familiari e degli altri in genere. Del tutto isolato dal «consorJ.io umano», alla fine, si lascerà morire. Grcgor Samsa simboleggia la figura dell'escluso dalla società, cosl come i familiari e gli altri personaggi che compaiono nel racconto simboleggiano la società che esclude da sé colui che non corrisponde ai paradigmi, qui in particolare identificati in quelli fisici, che la stessa società ha posto come gli unici validi. L'altra figura è quella del principe Myskin, ne L'idiota di Dostoevskij, che può essere visto come la figura di colui che non esclude nessuno. Il principe dichiara il suo amore a Nastas'ja, una donna giudicata, per la sua vita, indegna dalla società dei benpensanti. Senza tenere in nessun conto i pregiudizi sociali, il principe vuole unire la sua vita a quella di lei. Se Nastas'ja accetterà la sua proposta, ciò sarà un onore per lui. Le condanne sociali non contano. Il principe vede Nastas'ja come una donna che ha molto sofferto ed è uscita "pura" dall'inferno attraverso cui è passata. Ma il principe non esclude in generale nessuno per il suo passato, qualunque esso sia. Cosl, nella scena finale del romanzo (prima della "Conclusione"), una scena che, con gli occhi della immagina1jone, si è portati a vedere come un quadro, ma, a differen1.a dei quadri veri e propri, come un quadro in movimento, in tragico movimento, a Rogozin, disperato dopo aver ucciso proprio Nastas'ja, il
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principe si avvicina e, per quel che può, offre il suo aiuto. La sofferenza dell'altro impone al principe di non escluderlo dalla sua attenzione e dal suo soccorso, impone una vicinan1.a panccipe, che Myskin non farà mancare. Myskin è la figura di colui che non esclude nessuno, la figura di chi è disponibile a includere chiunque nell'ori7.7..onte della sua attenzione e della sua affettività. In questa disponibilità all'inclusione si manifesta quella che si potrebbe definire l'oltremoralità che, attraverso i suoi roma111j e racconti e le figure che delinea, Dostoevskij è venuto definendo: oltremoralità da intendersi non, naturalmente, come negazione della moralità, ma, al contrario, come moralità diversa e superiore rispetto a quella comune o più comune, spesso egoisticamente disposta ad abbandonare, a un ceno punto, ognuno al suo destino. Oltremoralità che è il segno caratteristico di una oltreumanità, per la cui defini1jone e il cui avvento Dostoevskij, con la sua opera, si è, con incredibile profondità e tenacia, impegnato. Attraverso i familiari di Grcgor Samsa, vittima tragica di un'esclusione, Kafka mostra all'uomo quel che egli non deve fare: escludere gli altri perché diversi rispetto ai criteri socialmente stabiliti. Attraverso il principe Myskin, Dostoevskij mostra all'uomo quel che egli deve fare: mostrare a chiunque e in qualunque circosta111.a disponibilità a prestare il proprio aiuto. Dalle figure create dall'ane di Kafka e Dostoevskij, simboleggianti, rispettivamente, pratica e principio dell'esclusione e pratica e principio dell'inclusione, provengono fondamentali indica1joni di carattere morale anche e, forse, soprattutto, per l'uomo di oggi.
Riferimenti bibliografici Dostoevskij, Fcdor Michajlovic, ldiot (1868); tr. iL L Brustolin, L'idiota, intr. di F. Malcovati, G317.anti, Milano 2.012., pp. 704-705. jankélévitch, Vladimir, Le parado:u de la morale, &litions du Seui(, Paris 1981; tr. iL e prcf. di R. Guarini, Il paradosso della morale, Hopefulmonster, Firew.c 1986, pp. 2.4-2.5. Kafka, Franz, Die Verwandlung (1915); tr. iL G. Schiavoni, La metamorfosi, intr. di G. Baioni, Riv.oli, Milano 2.017, passim. Nietzsche, Friedrich, Vom Nutzen und Nachtheil der Histoire fiir das Leben ( 1874), in U,,z,eitgemii{Ie Bmachtw,gen, Zweitcs Sriick: F. Nietzsche, Wer-
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Anru M:ui:i Orttsc•
1.
Extra naturam nulla salus
La riflessione che dà avvio a questo saggio è partita dalle suggestioni e dalle domande che ha suscitato in mc l'espressione ipotetica di "natura esclusa". Con " natura" intendo l'immensa coralità dei viventi e della materia inorganica, insieme alle leggi generative che la governano; in particolare mi riferisco alla biosfera, quella parte della terra comprendente idrosfera, bassa atmosfera e superficie della litosfera in cui sussistono le condizioni per la nascita e lo sviluppo della vita vegetale e animale. Per sentire la giusta soddisfa1jonc dell'incipit, tuttavia, ho bisogno delle parole più "calde" di Anna Maria Ortese: Qui la fauna, la flora, prima ancora dell'uomo. I colori dei fiori, i poteri medicamentosi e i benefici infiniti delle piante; qui le infinite fonne e vite animali, tutte sorrette e contenute da una legge, e perciò sorde e spaventate dalla libcmì che gli uomini hanno d'infrangere la legge, ma amiche e affettuose dell'uomo ogni qualvolta egli rinunzia, per amici7ja, alla forza, e accetta di inchinarsi- in qualche modo- alla loro indiSb'uttibile legge•. 'A. M. Ortese.", Le Pi"ok Persa-, Addphi, Mibno 1016, p. lvi., p.. 102..
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AIJA !Vlil,TANSCIIAUUNC: IIFJ.1.1\ SCISSIONF,AIJ.I\ IFlil.T.tNS47. 1/ copi1alismoa/l'as.sa/1o ck/ so1t1to, b'. iL M . Vii:i3k, fjn3uJi, Torino
2.015,p.79.
(:ABRIHI.A fAI.Clc (:crtc:au, L'invrnvo,,,,tkl quotidiano cir., p. 2.83. 1' A. R~li3 - G. Colombo, La nasci/4: rischi r,a/;, pnia,li pnupiti, Cuocei, Ro= 2.018.
GABRlf.U.A t:'AtCICC:1110
come risposta vicaria, sostitutiva, in un corpo ritenuto inefficientes1. L'ossitocina sintetica rimpia.1.1.crà la secre-Lione di ossitocina fisiologica e altererà a cascata i processi chimici correlati, tra cui l'avvio dell'allattamento e di una buona relazione madre-neonato. Non è dunque neppure un caso che con il sonno il processo della nascita condivida molti aspetti che vale la pena tratteggiare in breve per coglierne il pote01jale di resiste01.a: in primis si è detto che la nscita esprime una temporalità ciclica, non scrializzabilc (se non con la costrizione) e accidentata, per molti versi imprevedibile, piena di chiaroscuri proprio come il dormiveglia; è un processo involontario presieduto da aree del cervello più antico; è associata metaforicamente alla morte e come il risveglio foriera di pote01jali novità radicali; esprime la pote01.a (ri)generativa del bios; richiede intimità; predilige la notte cd esige protc1jone. È fondamentale tanto nel sonno quanto nel parto la fun1jone protettiva dell'altro, necessaria a custodire due soggetti vulnerabili e la loro perce1ione di sicurc1.1.a. In entram bi i casi si sta svolgendo qualcosa che non rientra nei processi controllabili da chi lo sta vivendo cd entra in gioco il ruolo protettivo dell'ambiente, degli altri, della società. Tutti i tratti elencati infatti confluiscono in quest'ultimo elemento, che fa da perno affinché la nascita avvenga nel modo più fisiologico e rispettoso possibile: la nascita chiede a chi non è coinvolto direttamente nel processo (cioè tutti fuorché madre e figlio) di garantire l'intimità, di proteggere la diade durante travaglio-parto-puerperio dall'invadenza del mondo esterno. L'aspetto sociale della nascita è quindi paradossale aU'apparen1.a., perché si esprime nella garanzia della distan1.a del mondo ra1jonalc-socialc-funzionale dalla diade, che sta vivendo quanto di più "selvatico" appartenga agli umani. Nella maggior parte delle nascite, accade il contrario e questo ci dà la dimensione della medesima volontà di asservire la natura da cui siamo partiti. Nelle strutture sanitarie, la donna e il neonato vivono la massima esposizione e invasione, con ricadute sulla salute psicofisica e relazionale di entrambi, anche a lungo termine. E proprio su questo nesso, il conflitto esistente da decenni tra le donne e il mondo sanitario, acccsosi negli anni Settanta e lentamente scemato con la 17 In n::ilti, in pochissimi asi è ~ r i • l'indw.ionc del tr.1Y>1:lio; molto spesso il monc::110 o debole .>vvio del tr.1Y31:lio è b l'Ì$post:l .> intrrvcnti inv.>SÌvisulb donn.>: in .>ltn: 1>3rolc il problcm.> si i:cncr:i per iorr~i.
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vanno conosciute, studiate, diffuse e incorporate, perché senza il corpo restano inerti. Toccare con mano, unificando la littera e la metafora, significa occuparsi il più direttamente possibile della propria csistcrur.a, evitando più che si può le intcrmcdia1joni tecniche, tecnologiche e telematiche. Usare gli strumenti solo fino a quando ottengono il risultato migliore rispetto allo scopo per cui sono nati e saper riconoscere la linea di confine in cui la tecnica, nata per facilitare, invece ostacola; nata per alleggerire, appensantisce; nata per veloci1.zare, rallenta8 1 • Quando, insomma, diventa non solo inutilità, ma disutilità. Sarebbe opportuno che le collettività, attraverso le normative, riconoscessero il limite necessario a custodire uno stile di vita salutare per i viventi; in loro asscn1.a, il minimo è che liberi cittadini, meglio se organizzati, ci pensassero dal basso.
Nutrirsi non ~ dworare, ma offrire un tu piiì aperto. Mai come nella nostra epoca si è parlato di cibo e spesso mi sono chiesta come interpretare questa ipertrofia dell'alimentare. Forse si tratta di una espressione della voracità che ci vede sempre più famelici, forse - voglio pensarla cosl - diventa più impellente, sia pure in modo talora distorto, il richiamo a quell'csscn1jalità animale che la vita contemporanea copre di artificiale. Di certo, il business alimentare è il più mastodontico (insieme a quello delle anni) cd è sempre più in mano alle multina1jonali, pertanto difendere la propria sovranità alimentare può significare davvero incidere sulle sorti del pianeta e di tutti i suoi abitanti. In particolare, emerge dalla catastrofe della biosfera la tragedia degli allevamenti intensivi, i lager di bovini, suini e delle ovaiole, per nutrire i quali viene messa a coltura altrettanto intensiva una por1jone di pianeta immensa, sottraendo cibo prezioso ad altri umani affamati, foresta agli animali selvatici, suolo fertile all'agricoltura rispettosa, acqua alle riserve e una vita dignitosa a miliardi di esseri viventi messi al mondo per trascorrere una breve esistenza in condizioni devastanti per essere uccisi e ingrassare quella piccola por1jone di umani bianchi occidentali (e sempre più orientali) ac1
' J:co:anpioclusico è l'uso disfun:,fon:ilc dell':iu10 in citti, dove b vdocitì delb ffl3C• chin.:i è di i;r.m lu~ infuriare :i qixlb delb bicidctt:, o dei pedoni sttssi. M:i si potrebbe pm$3re, tr:1 i 1:>no cscmpi, :ill:i d3nnositì dei soci'11, che dis_,,., k relv.ioni, rispetto :i Un.:l soci'1liù fuc:cfa 3 fumo.
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cccati da abitudini cattive persino per la loro salute. Questa non è neppure miopia, questa è follia. Una follia cicca a qualunque tipo di rispetto, verso ogni vivente si prendesse in esame, umano, animale, vegetale, per le acque, per il suolo; una follia che si chiama denaro, finanza, lobbies e che urla un cambiamento drastico e immediato delle abitudini alimentari. Orientarsi verso una alimentazione vegana apre a scenari corporei e interiori del tutto diversi e liberanti, per sé e per gli altri esseri. Parlarne è sempre meno un tabù; scriverne in un saggio "scientifico", come denunciare il business della carne, è ancora molto problematico, sia perché la comunità accademica, crede della visione scientistica del positivismo, non riconosce ancora il valore di un discorso sulla questione animale, lasciato soprattutto ad attivisti e letterati, sia perché, anche nel mondo dell'attivismo ambientalista, il problema dcll'alimcnta1ionc carnea, come ha mostrato il documentario Cowspiracy 81, è tuttora avvolto da un silenzio omertoso che zittisce le voci più radicali e tende a mitigare la drammaticità del problema. Il risultato è che il grido più drammatico della natura, quello dei miliardi di viventi uccisi senza una ragione comprensibile alla logica (esiste una ragione valida per uccidere?) ma con moltissimi effetti devastanti per la biosfera, resta inascoltato. Effetto e causa di quello scollamento del legame di cui abbiamo parlato finora.
Piccolo è bello, vero, buono. Quando Bcrry anali1.1.a i mutamenti in campo agricolo, sottolinea un aspetto chiave nella scommessa del futuro: la scala dimensionale. Le sue parole valgono per la cura della terra, come per ogni forma di cura: « ( ••• Jesiste un limite alla quantità di terra che si può possedere, oltre il quale si diventa incapaci di prendersene cura»8J. In agricoltura (almeno nel suo contesto), il rapporto è di acriocchi, ovvero della terra che può essere compresa dallo sguardo, ma potremmo dire che un'educazione al senso del limite urge in ogni ambito. Il limite al consumo appare davvero astratto per chi è nato dentro questa civiltà e non ne ha conosciute altre, per cui educare ad esso è un impegno tutto da inventare. Tararlo sulle possibilità di 11 Cow,pin,,y. 1/s,gr,to ddlo soslmibi/it4, diretto cb KipAndc=n e Kcq;,n Kulu,.2016. IJ W. llcffy, La Slrada tkl/'igno,a11:r,,cit., p.
8.
llAIJ.A 'Wf.l.TAHSC/IAUUNC: IWJ.I.A SCI.SSIOHF. AIJ.A 'Wf.l.TAHS, b profonditi e b i;t11rib-J.a sii;ni6co anche concn:ttr✓.3n: piccole 31.ioni ordinoric: come donnin: st:1cc:,ndo b connessione intrmct cd cvit:1n: il richiamo di noti6chc onnipresenti per rirrov.uc tempi e sp.11.i perduti che divengono b::mpi e s~i ritrov3ri. O non JX1.$$3n: onchc il i;iomo di riposo in luoi;hi di commcrdo.
OAIJJ\ Vl~J.TANSCIIAUUNC: IIFJ..IJ\ S, 11, p. 198 (cd. u:d.,p. ss8).
AI".uIHKAIMA.'io fu il più 1:r:1ndc:di tutti>:S. KicrkCStV punto di vist:i, b'OV311o spiq;;i,joni spccifidic ndb SU3 storù.. Z:imfircscu. inf:itt~ mette in connessione il scntirnmto SUY.ion31c di v~i;oi;,uc infuriorità con b cn::i,.ionc dclb Roffl3ni:i SltSS3, n:it:l d3113 sconfiltl del popolo d3cico per =no dei rom311i, e crcsciut:l P3SS3ndo d3 un:i i;ucrr:i 3ll'3hn, d3 un'occuP3zionc 3ll'3ltra, nclb i;cos;r:,fi3 come nclb cuhur:i. t:inSt:lur:monc del rci;ime comunÌSt:l, in ql>CStVscnso, è St:lt:l l'ulrim3 at:lStrofc psicoloi;jc, per l'3u1osti= -l'io R3rcisistic:o del popolo romeno (il cosiddetto •esperimento Pitr~~ ne s,ud,bc l'3pkc) che, ieri come oi;i:i, rim:inc troppo imffl3ruro per fun:t.ionan: in un sislcnu un'omos;cncrr✓=jonc chcU'ICConOTA
da determinare addirittura la sua stessa vita, tanto da guidare le sue relazioni, le sue scelte, allora sarebbe interessante chiedersi da dove mai nascono i sentimenti, come mai sono differenti negli individui che li nutrono, nel senso che ciascuno sente e percepisce la realtà e, con essa, gli altri individui in modo diverso, secondo schemi e filtri tutti personali e personalizzati; infine chiedersi perché esistono i sentimenti, positivi o negativi che siano, e perché questi portano talvolta uno stato di benessere, talaltra uno stato di malessere. Rispetto ai sentimenti che differentemente carattcriu.ano gli individui, occorre precisare che ciascun individuo è diverso dall'altro perché ciascuno nasce e vive la propria esistel\7.a -e la propria identità - in uno spa1Jo e in un tempo propriamente unici, infinitamente diversi da un altro individuo. I sentimenti che si provano, pure davanti ad una stessa realtà, sono diversi perché diverse sono le identità individuali, le singole esistenze, che possono essere considerate casse di risonan1.a dell'ambiente familiare, sociale, oltre che dal periodo storico in cui gli uomini vivono. Spazio e tempo, infatti, non sono meramente vuoti o isolati, ma sono pieni e comuni a tutti gli individui che quello spa1io occupano e quel tempo riempiono attivamente e continuamente. Ora, nessuno nasce propriamente già formato, come fosse una sostan1.a, ovvero una realtà che sussiste di per sé, con un carattere pronto e ben definito da stagliare nella por,ione di mondo assegnatagli. Nascendo, infatti, affacciandosi alla vita, sin da subito, ogni individuo entra a far parte di un sistema di relazioni che lo fa essere, che dà una precisa forma al suo carattere, alla sua personalità, e lo costituisce unicamente e irripetibilmente come quel singolo individuo•. La rete di relazioni, di cui ciascuno nascendo fa parte, è importante, si direbbe fondamentale e necessaria, per la costituzione del modo d'essere del singolo individuo; ma anche ogni singola e minuscola individualità è importante e indispensabile per il costituirsi di quella rete di relazioni, che si forma e riforma continuamente con il contributo di ogni singolo individuo; rete di relazioni che, inglobando ' Sulb Jisrin,jonc tr:1 col'K'c:'l.ionc dell'uomo come sosun,"' e conc,:zionc dell'uomo come rebzionc e sul valore costitutivo delb rcbzionc in r:tpporto all'idenrit:t individuale, cfr. G. Scmer:tri, u, lotla ~ la saney,, a cur:t di I'. Valerio, prcmcss:i di I'. Papi, in O~e di C~ppe~ari, a cur:t di l'.Scmcr:tri, voi. 3, Gucrinì e Associati, Mibno 1013, pp. 11 1-1 17 .
l.'F.5(:1.USIONF. STA
Ecco perché il sentimento d'amore inteso come volontà di dominio, di possesso sull'altro, nasce insieme a una sconfitta, a una perdita che costantemente, per tutta la durata della relazione, si rinnova. E allora possiamo chiaramente dire che nella relazione d'amore si consuma una perenne e sosta117jale esclusione, quella che tiene fuori l'amante dalla cosciew.a della sua amata, dai suoi pensieri, dalla sua irriducibile libertà; e non potrà esserci alcuna seduzione né comunicazione in grado di annettere a sé la libertà dell'altro. Se ciò infatti accadesse, la libertà stessa, la cosciew.a stessa verrebbe infranta. Anche Marce!, come Swann da parte di Odette, vive la conferma di un'esclusione da parte di Albertine soprattutto quando ella decide di scomparire dalla vita di Marce!, di sottrarsi alla sua presa. Reali1.Zare la perdita per Marce(, adesso non soltanto della coscienza di Albertine ma anche della sua presen1.a reale, effettiva, del suo corpo, del suo profumo, sarà doloroso, crudele, atroce ma cosl necessario e indispensabile per continuare a vivere. Il brano seguente riprende alcuni dei pensieri di Marce( di fronte alla tragica realtà di Albertine scomparsa. «Mademoiselle Albcnine se n'è andata!» Come si spinge più in là della psicologia, la sofforen1.a, in fatto di psicologia! Un attimo prima, analizzandomi, avevo creduto che questo separarsi senza rivedersi fosse proosamente ciò che desideravo, e confrontando la mediocrità dei piaceri offcrtimi da Albcnine con la ricchezza dei desideri che mi impediva di realizzare, avevo concluso, trovandomi sottile, che non volevo più vederla, che non l'amavo più. Ma quelle parole «Madcmoiselle Albcninc se n'è andata» avevano prodotto nel mio cuore una sofferen1.a tale, che sentivo di non potervi resistere oltre. Così, quel che avevo creduto non essere niente per mc era, molto semplicemente, tutta la mia vita. Come ci si ignora. (... ) Avevo creduto di non amare più Albcninc (•.. ); avevo creduto di conoscere perfettamente il fondo del mio cuore. Ma la nostra intelligen1.a, per grande che sia, non può cogliere gli clementi che lo compongono, e che rimangono insospettati linché,dallo stato volatile in cui si mantengono per la maggior pane del tempo, un fenomeno capace di isolarli non li abbia sottoposti a un principio di solidificazione. Mi ero ingaMato credendo di veder chiaro nel mio cuore. Ma la conoscen1.a che non mi era venuta dalle più lini percezioni dell'intelletto, ceco che mc l'aveva data, dura, lampante, strana, come un sale cristalliu.ato, la brusca reazione del dolore. Avevo una tale cenczza d'avere Albcninc accanto a me, e l'Abitudine, di colpo, mi appariva con un nuovo volto. Fino a quel momento l'avevo considerata soprattutto come un potere annichilente, che sopprime l'originalità e fin la coscienza delle percezioni; adesso la vedevo come una divinità temibile, così ribadita su di noi, col suo volto insignificante così incrostato nel nostro cuore, che quando si distacca, quando si distoglie da noi, ci infligge - questa divinità che quasi non
1:FS(:1.USIONF. Sostocvslcij, L'adokscorle, tr. it. I'_ Amcndol2 Kuhn, pm. di A. M. Ripdlino, J.!jn3uJj, Torino 2.017, p.2.1.
f5C:I.Ullf.RF. !lii f5Sf.llf. f5C:I.USI
in cui l'autocsclusione del singolo individuo dagli altri sia il riflesso di un'esclusione messa in atto dagli altri nei suoi confronti, l'attenzione dovrà spostarsi su questo atto di esclusione, ossia sull'esclusione che, nei confronti del singolo individuo, viene, con più o meno precisa e consapevole inten1jonalità, messa in atto dagli altri e per la quale l'individuo viene privato di una molteplicità di possibilità di vita ad alcune delle quali, almeno, potrebbe aspirare. L'csclusione messa in atto dagli altri nei confronti del singolo individuo è, in ogni caso, appunto l'altra forma fondamentale e ricorrente di esclusione che si può distinguere (oltre quella dell'autocsclusione del singolo individuo nei confronti degli altri, e in molti casi all'origine di questa stessa autocsclusione). Quel che si è appena osservato sulla rela7jone tra il singolo individuo e altri individui potrebbe ripetersi (come si cerchc-rà di mostrare in queste pagine) per quanto riguarda il rapporto tra soggetti collettivi: tra un gruppo o una classe sociale e altri gruppi o classi sociali o anche, su scala ancora più ampia, tra stati differenti o differenti civiltà. L'essere esclusi e l'escludere non indicano, necessariamente, di per sé, situazioni o atti - ai quali, del resto, corrispondono ben determinati sentimenti o stati emotivi - rispettivamente da senz'altro commiserare e, magari, cercare di convertire in inclusione o da senz'altro respingere e condannare. Ci si può sentire e si può essere esclusi dalla partecipazione a una realtà, della quale si vorrebbe far parte ma che, in termini morali, rappresenta, o trasmette, valori negativi: in questo caso, l'essere esclusi indica solo il proprio fallimento nel perseguimento di un obiettivo, in sé, ingiusto. E, certo, il caso di chi si senta e sia escluso dalla partccipa1jone a obiettivi, che, per esempio, mirino solo a soddisfare egoistiche ambizioni, è ben diverso da quello di chi, più o meno regolarmente, si senta e sia escluso dalla possibilità di fruire di beni che gli consentano di vivere una vita anche minimamente dignitosa o, al limite, di semplicemente sopravvivere. L'atto dell'escludere, dal canto suo, potrebbe, sul piano morale, rivendicare ragioni a suo favore, nel senso che si può dare il caso che si escluda qualcuno, per esempio dalla partccipa1jone alla vita di una determinata comunità, perché si è certi che alla vita della comunità porterebbe qualcosa di negativo sul piano morale, a cui si troverebbe, almeno in quel momento, da parte della comunità, difficoltà a opporre una efficace resistell7.a. li che, tuttavia, non esime la comunità stessa dal
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compito di cercare, ai fini di una migliore comprensione delle intcn:.doni di chi voglia entrare a far parte di essa, un dialogo con lui. Una ulteriore considerazione preliminare sul tema dell'esclusione riguarda la circostanza per la quale ogni scelta che si compie, ogni decisione che si prende, rappresenta un atto di inclusione e, nello stesso tempo, di esclusione. Si sceglie o decide di dedicare la propria attenzione, il proprio impegno, la propria cura a un determinato oggetto e, per ciò stesso, si escludono dal campo della propria attenzione, del proprio impegno, della propria cura altri oggetti. ~ nella natura della scelta e della decisione questo doppio e contemporaneo movimento. Chi sceglie o decide include cd esclude nello stesso tempo qualcuno o qualcosa rispettivamente nel e dal campo della propria attenzione e della propria a1jone. Nietzsche ha osservato che in tanto si può agire in quanto si dimentica ovvero si esclude dalla propria considerazione tutto ciò che non riguardi l'a1jone che s'intende compicreJ. Chi sceglie di compiere un'azione anziché un'altra (azione dalla quale derivano poi altre a1joni), "dimentica", ovvero esclude qualcosa dalla sua attenzione e considerazione. Ciò dipende dal carattere finito delle possibilità degli esseri umani (anzi di ogni essere vivente: umano o non umano), i quali si possono occupare di volta in volta di un campo in ogni caso delimitato e circoscritto di problemi e interessi. Qualcuno o qualcosa fatalmente viene escluso da parte di colui che fa una scelta: escluso come oggetto di un impegno diretto nei suoi confronti. Ma l'azione individuale dovrebbe, per quel che è possibile, tener conto delle conscguen1..c che essa può produrre anche per coloro che non sono oggetto del suo interesse diretto. In particolare, dovrebbe tener conto delle csigen1..c e delle richieste, a volte disperate, e a volte anche mute in questa disperazione, degli esseri più fragili e che tali sono sotto molteplici punti di vista (materiale, affettivo, ccc.). Esiste, in questo senso, un'etica della scelta, che dovrebbe prevedere delle priorità per quanto riguarda l'orientamento di scelte e decisioni. E la comunità umana nel suo insieme dovrebbe farsi carico del problema per il quale alcuni potrebbero rischiare di rimanere esclusi da ogni attenzione e da ogni cura a causa delle scelte che essa compie. 1 f. NÌCtl:5F.Jtf. f.l) F.SSF.Jtf. F.SC:IAISI
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problemi pratici, che subito si presentano, per quanto riguarda la possibilità di muovere il corpo nel senso nel quale, nelle diverse circostanze, egli vorrebbe, e di spostarsi nella sua stan;,,a dove rimarrà segregato. Si comporta come se quel corpo l'avesse sempre avuto o come se, ormai, il suo corpo fosse quello, dovesse considerarsi esser quello se117,a aggiungere altro. La sua anima non ne viene intaccata. E non ne viene intaccata la percezione di sé come essere che può continuare a condurre la sua solita vita. Grcgor continua ad avere i pensieri e i sentimenti di sempre - che cominceranno a un certo punto a orientarsi diversamente rispeno al passato a causa e in conscguen;,,a non della personale trasformazione cui è andato incontro, ma solo della reazione degli altri (familiari e altre persone che passano per la casa) di fronte a tale trasformazione. A poco a poco, ma in ogni caso abbastanza rapidamente, Grcgor ha modo di accorgersi e verificare - ma, ancor prima, quasi subito, lo intuisce - che ad essere cambiato non è solo il suo corpo, ma anche l'aneggiamento degli altri nei suoi riguardi. Egli passerà, così, da una situazione in cui aveva avuto, tuno sommato, un buon rapporto con i genitori e la sorella' e si sentiva accolto in una comunità, quella della famiglia, anche grata nei suoi confronti per il sostegno materiale che da lui riceveva (anche se non si riusciva più a trovare quella «particolare cordialità di un tempo», ossia del tempo in cui, «con straordinario ardore», Grcgor si era dedicato al lavoro per assicurare i mc-o.i per aiutare la famiglia7), a una situazione in cui da quella stessa comunità (oltre che da tuni gli altri umani che compaiono nel racconto) si sente e viene respinto cd escluso. Gregor, infatti, a causa della sua metamorfosi, non co"isponde più a quelli che sono ritenuti i criteri di accettabilità sociale di un essere umano. I familiari gli rivolgono direttamente la parola, cercando di informarsi su quanto gli sta succedendo, solo fino a quando, chiuso nella sua stanza, Grcgor non si è ancora mostrato loro (e loro non si mostra prevedendone la reazione), ovvero fino a quando essi non sanno ancora nulla della sua trasformazione. A partire dal momento in cui si accorgono della sua metamorfosi, Grcgor diventa colui al quale, almeno direttamente, non rivolgere più nessuna domanda, non chiedere più nessuna informa;,jone sul suo stato. Diventa qualcuno che non si
' lvi, p. 66. 7
lvi, p. 72..
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riesce più nemmeno a guardare (svenimenti della madre alla sua vista). Grcgor rimane ancora a lungo affettuosamente legato ai suoi familiari. Da dietro la pona della sua stan1.a ascolta felice notizie abbastani.a confonanti sulla situazione economica della famiglia8 e pensa a come e a cosa fare per assicurare alla sorella la possibilità di continuare a studiare musica, iscrivendola al conservatorio9. Desidera vedere la madre •0 • Vorrebbe, d'altra pane, l'affetto dei suoi familiari, come si evince dall'episodio del suo tentativo di apertura della pona nel corso del quale avrebbe voluto sentirsi incitato dai suoi genitori• 1 , ma l'affetto dei familiari a poco a poco viene meno (all'inizio la sorella mostra ancora alcune attcn1joni per Gregor, la madre vuol far visita al figlio, padre e madre cercano ancora, attraverso la sorella, l'unica che entra nella stani.a di Grcgor per ponargli il cibo, di avere qualche informa1jone sul figlio), via via sostituito dalla reazione violenta del padre, dal terrore della madre e della stessa sorella nell'avvicinarsi a lui, anche solo nel vederlo. Egli diventa l'inavvicinabile, non perché non vorrebbe che gli altri gli si avvicinassero, ma perché gli altri avvenono un ostacolo interiore ad avvicinarsi a lui. Se la sorella gli si avvicina ancora, quando gli pona il cibo, lo fa come si fa con un malato grave o un estraneo: un malato o un estraneo'\ al quale, in questo caso, non viene del resto rivolta nemmeno la parola. Grcgor cerca di sottrarsi alla vista dei familiari, nascondendosi sotto il divano o coprendosi con un lenzuolo. Ha compreso che non lo si vuole vedere. La madre teme che Grcgor anche soltanto senta il «suono della sua vocc,.•J. Quando, dopo la sua metamorfosi, ancora si interessa alla vita dei suoi familiari, ma sa già che i familiari non vogliono avere contatto con lui, Gregor, una sera, accorgendosi che la pona della sua stan1.a è rimasta, contrariamente al solito, apena, sporge la testa per osservare e seguire la vita degli altri, dei suoi familiari, che prima prima della metamorfosi - non aveva bisogno di spiare ma alla quale panccipava seni.a problemi. li giorno stesso in cui si accorge della propria metamorfosi, Gregor, spinto dalla necessità di chiarire la pro1 lvi, p. 7J.
'lvi,p. 72. 10 1vi, p.. 76. " lvi, pp. S7•s8. "lvi, p. 68. '1 lvi, p. 78.
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è suscettibile di gioia e di sofferen1.a, può essere escluso dall'attenzio-
ne, dalla cura, dalla responsabilità, dall'amore dell'uomo.
9. L'inevitabile sentirsi escluso di chi vuol possedere la coscienza e i sentimenti altrui
Il sentirsi esclusi può essere relativo a una realtà che ci esclude in maniera illegittima, per ragioni ingiuste. L'ingiustizia sta, qui, dalla parte di chi esclude. Ma il sentirsi esclusi può dipendere da una volontà impropria sul piano morale di colui il quale si sente escluso: per esempio, dalla volontà di chi mira a fare dell'altro un proprio possesso esclusivo e in questo obiettivo fallisce. In questo caso, in realtà, è chi si sente escluso che mira ad escludere altri - come avrebbe detto Nietzsche analista di un certo modo di intendere il sentimento d'amore - dalla relazione e dal godimento di un essere del quale egli vuole l'assoluto possesso: "l'amante vuole l'incondi1jonato, esclusivo possesso della persona da lui ardentemente desiderata; vuole un potere assoluto tanto sulla sua anima che sul suo corpo, vuole essere amato lui solo e insediarsi nell'anima dell'altro e signoreggiarvi come il bene più alto e più desidcrabilc•H. Ma ciò, Nietzsche aggiunge, "non è altro se non escludere tutto il mondo da un bene prezioso, da una sorgente di felicità e di piacerc»ss. In questa specie di amore, l'amante non solo predilige un essere cd esclude tutti gli altri dal godimento di tale essere, ma vuole anche che l'essere da lui amato ami, a sua volta, lui soltanto escludendo dal proprio amore tutti gli altri. Se l'altro riesce a sfuggire alla volontà di possesso che si vuol esercitare nei suoi confronti, si determina, in chi da tale volontà è animato, il senso di una propria esclusione, l'esclusione dal possesso e dalla conoscenza, che egli vuole conseguire, della vita e dell'essere dell'altro. In Alla ricerca del tempo perduto, Marce( si sente escluso da Albertinc, che conduce una vita parallela e segreta rispetto a quella che, da "prigioniera», trascorre in casa di Marce!. Egli cerca di conoscere e, insieme, di impedire l'altra vita di Albertinc, della quale gli sembra di scorgere segni attraverso lo sguardo, i gesti, i S4 l'. Nictr.schc, La gaia uinw,, tr. it. l'. M:isini, in Opere di T-rirdrid, N~tzsd,e cit., voi. V, t. Il, 1965, nuov:i cd. rivcduu :i CU'3 di M. C:upirdb, 199 1, :if. 1-4. ss lbid.
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comportamenti di lei, e sulla quale cerca di raccogliere informazioni, mosso da un «sentimento inquisitorio che vuol sapere pur soffrendo di sapere, e cerca sempre di più di sapere»s 6 • Marcel riesce a volte a impedire ad Albcrtinc di proseguire in una certa relazione sentimentale, causando, peraltro, «a volte un dolore profondo a questo o quello degli esseri sconosciuti con i quali lei aveva trovato via via il suo piacere», ma, aggiunge, «lo causavo, quel dolore, invano, giacché essi venivano lasciati, sl, ma anche sostituiti, e parallelamente al sentiero costellato di tanti abbandoni, ch'ella avrebbe perpetrati a cuor leggero, un altro ne sarebbe serpeggiato, per mc impietoso, e interrotto appena da brevissime treguc»s7 . Marcel cerca di conoscere l'altra vita di Albcrtine, per essere in grado di impedirla. Ma l'ignoto della vita di Albcrtine rimane per molti aspetti ignoto: «la realtà non è che l'approccio a un ignoto in dire1ione del quale non facciamo molta strada»ss. Albcrtinc era «una di quelle fanciulle sotto il cui involucro di carne palpitano esseri nascosti più numerosi, non dico che in un mv.zo di carte ancora sigillato nel suo astuccio, o in una cattedrale chiusa o in un teatro prima di potervi entrare, ma nella folla immensa e continuamente rinnovata [...) e non solo tanti esseri, ma il desiderio, il ricordo voluttuoso, l'inquieta ricerca di tanti esseri [...]. E adesso che lei, un giorno, mi aveva detto "Madcmoisellc Vintcuil", avrei voluto non più strappare il suo vestito per vedere il suo corpo, ma, attraverso il suo corpo, vedere l'intero taccuino dei suoi ricordi e dei suoi prossimi ardenti convegni» s9. Il senso di esclusione, che Marcel avverte, dalla vita di Albcrtinc è il riflesso di una volontà di possesso completo, da cui egli è mosso nei confronti di Albcrtinc e per la quale vorrebbe possedere non solo il suo corpo, ma anche la sua cosciew.a, i suoi desideri, i suoi ricordi, i suoi sentimenti. Ma questa volontà di possesso non si può realizzare. Il possesso completo dell'altro è un'illusione. Nello stesso «atto del possesso fisico», dice Marcel, in realtà «nessuno possiede alcunché».
Ora, se tutto questo è possibile per le infinite forme vegetali e animali, sembra non esserlo, invece, per l'uomo, che, per definizione, è al mondo come essere sociale, relazionato, cooperante, quindi tendente a rifuggire qualsivoglia isolamento. L'isolamento è temuto come una condizione che, anche nella sua durata più breve, presagisce la triste:a.a della solitudine e dell'asscn1.a di mondo. È un problema che né la biologia né la psicologia sono in grado di risolvere. Certo, un completo e assoluto isolamento non si dà se non accompagnato dalla minaccia della fine, tanto per gli animali, che tendono ad essere gregari, quanto per gli umani, che, come si è detto, per il loro essere relazionali, possono vivere isolati solo per poco tempo, J httf!t$:flwww.focu,..itfscicn,..>lscicnc,dchcmobyl-pcrchc,.lc,.puna,.non.muoiono-di-ancro.
ISOI.AM ..NTO,AIIBANOOHO, l>IMFNnC-.ANY.A
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giacché, a causa dell'insufficie111.a e della difettosità della loro costinoJone psico-fisica, mostrano di aver bisogno, per sopravvivere, del concorso favorevole di tutte le condizioni dalle quali ognuno dipende sin dal primo apparire nel mondo. Non è un caso che esilio, solitudine, esclusione e rifiuto vengono vissuti per lo più come le peggiori condizioni che gli esseri sono costretti a subire, vere e proprie "punizioni", finaliu.ate a rendere difficile, se non impossibile, la vita come tale. L'animale, isolato, sopravvive per un tempo più o meno lungo. Alcuni amaversano quasi indenni pericoli e traversie, riuscendo persino a ritornare al luogo da cui si erano o erano stati allontanati. La vita, si sa, non è mai bastante a se stessa, se non per poco. Cosl è anche per la vita dell'uomo. Anzi, per l'uomo, questa insufficie111.a è amplificata dal fatto che lo stato di isolamento può essere affrontato sul piano biologico solo grazie alla peculiare capacità adattativa del suo organismo, che comunque necessita di tempi lunghi, ma esso non risulta quasi mai benefico sul piano psichico, se non come fase necessaria ad intraprendere temporanei percorsi interiori di individua;-jone e autonomi1.1.a1Jone. Superata la fase di raccoglimento in sé, infatti, può rapidamente subentrare, nell'individuo, una penosa condizione di solitudine, che lo fa sporgere pericolosamente sull'abisso della morte e in cui l'io si sente soffocare nella morsa, fatalmente autoreferenziale, del confronto esclusivo e paranoico con se stesso, mentre tiene lontana ogni forma di alterità. Richiusa a riccio su se stessa, la coscie111.a scoppia al proprio interno o finisce con l'autodivorarsi. L'isolamento è invocato e cercato dall'uomo solo per entrare in contatto con le parti più profonde del proprio essere, per ripiegarsi sulla propria anima e riconsiderare le proprie azioni. Vissute in condizione di libero isolamento, infatti, queste opportunità possono trasformarsi in un complesso energetico sulla cui base rcaliu.are azioni volte a scopi più nobili. In tal caso, l'isolamento è attuato come pratica capace di gettare un ponte tra la vita e la morte, di iniziare l'essere alla vita adulta e all'autonomia. È vero che la vita relazionale e la comunità sono, rispettivamente, il punto di parten:,.a e il punto di arrivo più essen1Jali per ogni uomo, ma è vero anche che, isolandosi, ogni uomo può aggiustare e migliorare la propria persona, può tornare ad integrarsi di più e meglio nella comunità in cui vive e rcaliu.are, con più consapevole1.1.a, il bene della collettività. Isolato dal mondo, nella penombra della propria anima, l'uomo può
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incontrare spettri, ricordi, incubi, frammenti di vita, ma può provare anche forti emozioni, scoprire la belle1.za, la poesia e il grande laboratorio della propria creatività. Insomma, l'interiorità è, s1, un luogo sconosciuto, misconosciuto e terrorifico, con cui l'uomo entra in contatto nel momento in cui prende congedo dalla vita comune nel tentativo di sottrarsi all'imperativo degli affari e del commercio quotidiano con il mondo che affolla e riempie di senso il suo tempo, ma è anche lo spa1Jo in cui egli può finalmente disfarsi dell'armatura, togliersi le mistificanti maschere che lo rendono estraneo a se stesso e riconciliarsi con il proprio io più profondo. Nell'isolamento, dunque, l'uomo si reca volontariamente all'appuntamento con un se stesso smascherato e impoverito, ridotto all'essen1jale, e Il chiama a raccolta, come in un temporaneo rifugio, le componenti elementari della sua unità psicofisica, compromessa dalle forle centrifughe della vita e troppo abbandonata al mondo, per, da un lato, alleggerirla dal peso del vivere quotidiano, dall'altro, impegnarla nel progetto di un'esistenza nuova, meglio calibrata sui propri bisogni e sulle proprie aspirazioni. Isolarsi, in tal caso, vuol dire vagliare a lucido le proprie responsabilità e valutare i pro e i contro di ogni singola azione. Tuttavia, ogni isolamento è "isolante" solo in modo par1Jale e, quando è attuato, le manifestazioni della vita e la fenomenologia del mondo non scompaiono affatto, ma vengono semplicemente collocate altrove, momentaneamente sospese, tacitate, neutralizzate. Nel linguaggio comune usiamo l'espressione "staccare la spina", per dire, appunto, che alcune attività vengono disattivate, messe a riposo per un tempo più o meno lungo, durante il quale l'organismo, mettendosi in standb-y, dovrà equilibrare le energie, positive e negative, accumulate con l'iperattività del giorno. Cos1 agito, l'isolamento diventa un passaggio importante, quasi obbligatorio, per ridurre la pressione delle forle esterne e permettere il raggiungimento di una vitale omeostasi. Ciò che, infatti, nella nostra epoca, sta venendo meno è proprio la possibilità di attuare l'isolamento nella sua azione benefica e rigenerante sulla salute psicofisica degli uomini. La possibilità, cioè, di sospendere l'accelerazione frenetica delle attività umane dovrebbe costituire, nel nostro tempo, una prerogativa tanto importante quanto necessaria a fronte dello "stress" cui l'essere umano sottopone se stesso nell'incalzante iperattività imposta dalle condizioni di vita delle società altamente
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complesse. Si tratta di una sospensione, nella quale molti cercano di ripristinare ritmi più ragionevoli e accordati a quel che resta della "misura dell'umano", che pure continua a essere il fondo irreprimibile della vita degli individui. L'isolamento è un'organica necessità strettamente connessa all'animalità dell'uomo, il cui compito è quello di frenare l'allontanamento graduale dalla natura messo in atto sin dal Neolitico. Affinché gli effetti rigenerativi dell'isolamento siano visibili, è, tuttavia, necessario che esso non diventi permanente, ma resti una pratica sempre agganciata alla base prevalentemente sociale e cooperativa dell'uomo. A conferma di ciò, vorrei riportare alcune importanti considcra1joni fatte dal filosofo italiano Giuseppe Scmerari nell'opera, del 1965, La lotta per la scie,cyi4: (..• ) la sociologia moderna riconosce che non si può fare a meno di un paniale isolamento ai fini della formazione della personalità individuale (... ). La formazione dell'individuo viene seriamente disturbata e alterata tanto da un eccessivo isolamento, quanto da una sovrabbondanza indiscriminata di comunicaziones.
Scmerari riflette sull'importanza e sulla necessità di armonizi.are la condizione indispensabile della comunica1jone con la difesa della privacy, l'isolamento (o la solitudine: qui i termini vengono usati dall'autore con la stessa valenza), come •presa di coscien1..a personale e responsabile delle situazioni sociali»' e la relazione sociale, che, senza la parentesi critica della riflessione, rischia di decadere •nell'abbandono a puro e semplice istinto grcgale», dando luogo •ad atteggiamenti del tutto passivi e irresponsabili rispetto alla forza e al corso degli eventi, dai quali si finisce con l'essere travolti e ciecamente trascinati come fuscelli da torrente in piena»7. Nell'isolamento, come nella solitudine, l'uomo si autogarantiscc quella parte consistente di libertà, che, da un lato, è espressione originale del proprio essere, dall'altro, è l'arma più efficace •contro le inv0Ju1joni sostan1.ialistichc delle istitu1joni sociali, religiose
4 G. Scmcr.>ri, La lotla perla sdnru, 3 cur., di l'. V2lc:rio, pmnOMf.NlJSCIPIO
e politiche,.s, che lo riducono a mera funzione. Infine, Scmerari rimarca ulteriormente il valore dell'isolamento come solitudine, quando scrive: (••. ) l'aporetica della comunicazione, sviluppata, mette capo alla scoperta della solitudine come critica problematica della comunicazione e sbocca in una sona di elogio della solitudine, che è a un tempo il residuo negativo e il principio metodico positivo della comunicazione, al limite tra la sua possibilità e la sua non possibilità,.
Se Scmerari, dunque, rileva la necessità dell'isolamento come strategia di difesa dagli ingranaggi alienanti e mcccanÌ7.7.anti delle istituzioni, strategia che, tuttavia, può indurre l'individuo ad avvertire una certa stanchezza per l'alto livello di responsabilità che una certa vigila117.3 su se stesso richiede, il filosofo tedesco Peter Sloterdijk nello scritto Stress e libertà, sembra riecheggiare la posizione scmerariana, quando polemiZ7.a contro il modus vivendi dell'odierna cultura occidentale: (•..) la nostra "società" (•.•) è caduta in uno stress da autoconservazione che ci richiede prestazioni straordinarie (••• ). Secondo la mia opinione, i grandi corpi politici che chiamiamo "società" sono da intendersi, in linea di principio, come campi di fon.a stress-integrati, più precisamente come sistemi di preoccupazioni autostrcssanti e permanentemente proiettati in avanti 1°.
La condizione di stress, secondo Sloterdijk, è costantemente alimentata e provocata dai moderni mc-1.1i di informazione, la cui funzione sembra concentrarsi soprattutto nel mantenere alta la conflittualità delle coscienze e I' «inquietudine comune•, al fine di tenere unite, "tramite controtensioni, le collettività alla deriva•'': La funzione dei media, nelle società stress-integrate multiambientali, consiste nell'evocare e nel provocare le collettività in quanto tali, suggerendo ogni
giorno, a ogni ora, nuovi motivi di inquietudine, spunti di indignazione, di invidia, di presun1jone, una quantità di consigli che si rivolgono all'emoziona• lità, alla predisposizione all'ansia e all'indiscrezione dei membri della società".
1 lbid.
'lvi, p. n.3. '°C&. P. Slorcrdijk, Stress e libntà, :a cur:a di P. Pc rric:ari, Corrin:a, Mibno 1012., pp. 12.C IJ.
" lvi, p . • ◄· "lbid.
I.S01.AMl'.Hl"O, AflllA.Nl)ONO, l)IMFNnOMF.NICA l>ISQ 1983, pp. 31-33. 1 • Jvi, p. 33.
ISOIJ\Mf.Hl·o, AIIBANU()NO, UIM FNnOMf.NICA l>ISC:IPIO
marciare storico punta, invece, proprio nella direzione opposta: afferrare, tenere, trattenere, dominare, penetrare, violare e alterare. Forse la via è stata tracciata, molto tempo fa, dalla specificità e peculiarità della sua natura, ma il prezzo pagato e quello ancora da pagare sono troppo alti per non pensare seriamente a cambiare strada. Se è vero che l'uomo è l'essere che si differcn1ja, che si separa dagli altri esseri e ac.crcscc questa separa1jonc trasformando lo iato in un abisso e costruendo un mondo tutto proprio, in cui agire liberamente da indiscusso padrone, ebbene, non possiamo fare a meno di formulare una dura accusa contro le tecniche mortifere cui la lrybris antropoccnica ha condotto l'umanità. Quella dell'uomo è stata e continua ad essere, di fatto, una prensionc divorante e cannibalica del mondo, che, pur eufemisticamente definita come ap-prcnsionc o com-prcnsione, è, in realtà, un interminabile cibarsi del mondo, il quale, una volta digerito, riappare sotto forme sempre più irriconoscibili. Divoratore di mondi, più che pastore-custode di essi, l'uomo, una volta afferrato il mondo, non lo molla, non lo abbandona, non lo lascia riposare, lo tiene e lo trattiene egoisticamente e famclicamentc presso di sé. Ed è spontaneo chiedersi se sia possibile, per noi, intraprendere una nuova direzione nell'epoca della grande metamorfosi dell'uomo in un essere che di umano o naturale non ha quasi più nulla. Ogni abbandono provoca, nell'uomo, il dolore per qualcosa che si stacca dal suo essere, che attenta alla pienezza d'essere di cui ha bisogno. Sete e fame di essere governano ogni vivente e l'uomo più di qualsiasi altro, quindi, abbandonare un essere o semplicemente vivergli accanto senza intervenire su di esso, lasciarlo essere nel suo essere, è una modalità disinteressata di rapportarsi alle cose che poco si attaglia ai comportamenti mcdi dell'uomo. D'altra parte, però, la natura mostra di andare avanti anche senza l'uomo, senza di lui essa, seppure profondamente ferita, continua ad essere in tutta la sua grandcz.:r.a. Né ha mai mostrato una particolare predilezione per colui che, abbandonato a se stesso, continua ad essere la sua creatura più fragile. Forse, anche per questo l'uomo, con sedimentato, ma gratuito rancore, non porta riguardo per la natura: una lunga lotta, senza esclusione di colpi, si alterna ad un grande e incompreso amore l'uno per l'altra.
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gioco e non svolgono ruoli decisivi ai fini della nostra sopravvivenza e della costruzione della nostra vita. La memoria è selettiva, si dice. Perché,allora - e qui è tutta l'ironia-, a volte ricordiamo, a volte no, a volte ci resta il vivo ricordo di cose dolorose, a volte dimentichiamo i momenti più gioiosi? E perché, spesso, ci resta la memoria di fatti insignificanti mentre ricacciamo nell'oblio più remoto esperien1..c importanti e decisive? La risposta, forse, va cercata, ancora una volta, nell'imperfe1jone dell'uomo, del suo corpo come macchina imprecisa, che molte volte deraglia, non giunge a destinazione e manda all'aria tutti gli appuntamenti presi. A motivo di ciò, separare la memoria dal corpo dell'uomo è la strategia vincente di quest'ultimo secolo, durante il quale si sta lavorando alacremente affinché la memoria si conservi intatta nei grandi archivi di computer sempre più sofisticati, dove giace una mole di dati, perfettamente catalogati e codificati in thesauri, la cui vastità ha già raggiunto l'inimmaginabile. L'imperfezione è tolta nel momento in cui la memoria, da fenomeno vitale si sostan1jaliu.a in dato e si deposita in una macchina, la cui attività è interamente artificiale e sempre più autonoma. È qui che l'umanità sente di superare davvero se stessa, in contrasto con quanto sostenuto, ad esempio, da Henri Bcrgson e da altri teorici novecenteschi, per i quali la memoria era ancora espressione di un vitalismo non del tutto emancipato dall'imperfc-lione originaria, che accompagna, tardivamente, come residuo ancestrale, le azioni umane. Che ruolo possono svolgere allora, nel XXI secolo, l'oblio e la dimenticanza, dei quali, in accordo con Nier-.tSChe, avevamo sottolineato la funzione etica e terapeutica? Nietzsche ci aveva avvertiti della pericolosità di una memoria che tutto ricorda, tutto trattiene. Dimenticare è, per l'uomo, faticoso tanto quanto lo è ricordare, proprio in ragione dei limiti della sua memoria. Scn1.a addentrarci troppo in questo campo, possiamo, tuttavia, notare che, spostandoci anche solo di poco sul piano delle esperien1..c dolorose o piacevoli, l'animale mostra di non essere affatto oblioso e indifferente a sé, perché la sofferenza incide a chiare e profonde lettere, nella memoria di ogni vivente, solchi difficilmente appianabili. A ulteriore riprova, potremmo sostenere che la memoria umana si differen1ja da quella animale non tanto perché non è capace di sbarau.arsi di brutti ricordi, quanto perché li rielabora in modo diverso in ordine ad un diverso grado di complessità del suo pensiero e delle sue emo:t.ioni. Per dirla in altri termini: l'uomo si
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serve della propria memoria per conferire senso a tutte le esperienre vissute, in particolare a quelle dolorose, che tende a conservare anche con grande sofferenza, per attingervi - all'occorren1.a e una volta imparata la le1Jone - la nuova dirC7ione che le sue azioni devono assumere. Ricordare serve, all'uomo, per dare senso al passato, al presente e al futuro, per cogliere la dire1Jone del tempo. Scn1.a ricordi, senza memoria, l'uomo avrebbe ben poche ragioni per vivere, perché ogni sua previsione o progettazione nel futuro poggia su una conosccn1.a, su un "imparato", che funge da base solida da cui amministrare con sicure1.za le azioni presenti e future. A questi livelli, però, il dimenticare - a breve o a lungo termine -non svolge più un'azione benefica, ma si trasforma in malattia. Non potendo più contare su un sapere acquisito, su abitudini che lo esonerano dal ripercorrere incessantemente e faticosamente le stesse strade, l'uomo stravolge la direzione della propria temporalità cd ctemizza il ricominciamento, lo rende ossessivo e compulsivo. Con l'invenzione della storia, l'uomo ha registrato, nero su bianco, gli effetti di un'attività cerebrale fragile - i ricordi possono essere cancellati con un colpo di spugna -, ma allo stesso tempo potente, assai dispendiosa di energie vitali, ma allo stesso tempo voluta e perseguita. Con la storia l'uomo si è portato fuori dal tempo "naturale", "originario", proclamando la -seppur funesta - emancipazione dalla matrice biologica. Con la storia, quella scritta, l'uomo ha sancito definitivamente il proprio potere sul tempo. Essa è utile e dannosa, come utile e dannosa è la memoria. Tuttavia, poiché è pur sempre un'attività continuativa, la memoria ha bisogno di puntellarsi all'esterno e di effettuare periodiche rischiarate o "rispolverate", soggetta com'è a fallire per la sua costitutiva fragilità. E poiché i ricordi vanno e vengono come immagini più o meno lucide, più o meno a fuoco nel film della vita, siamo legittimati a chiederci, come fa Nietzsche a proposito della Storia, se avere buona memoria sia sempre e comunque una cosa giusta o se anche dimenticare non sia un beneficio per il cervello, una ventata di libertà per la coscienza, asserragliata nella prigione del tempo. Quante volte ci siamo impegnati, con grande dispendio di energie, a dimenticare gli avvenimenti negativi della vita, le tragiche cspericnre, i dolori dell'anima e le sofferenre fisiche, le perdite e le asscn1.c, i rimproveri, le vergogne e i sensi di colpa, per fare spazio, nella mente e nel cuore, dove spesso l'aria ristagna e soffoca, ad un vuoto rinnovatore.
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Dimenticare non vuol dire necessariamente escludere dalla memoria qualcuno o qualcosa una volta per tutte, quanto, piuttosto, ritagliarsi uno spa1ioe un tempo nuovi e lasciare che il resto del mondo, anche solo per poco, sparisca dall'ori;,.7.onte del.l'esperien1.a individuale. La memoria, abbiamo detto, è selettiva. Essa setaccia le esperien1..c e, conservandone alcune, ne esclude altre. In ciò essa è anche interessata, giacché, trattenendo le buone esperienze e rigettando le cattive, garantisce a se stessa un efficace equilibrio psichico. Non di rado, però, accade che questa attività si svolga esattamente all'incontrario e, quindi, ad essere trattenuti sono i brutti ricordi, ad essere esclusi e dimenticati sono i buoni. È l'ironia del fun1ionamento psichico. In ogni caso, tutto si gioca su movimenti di esclusione ed inclusione e ognuno fa, di necessità, virtù. D'altra parte, la stessa memoria -e la dimentical17.a - hanno i giorni contati: l'uomo non ha reale memoria di sé se non a partire da un certo momento della propria esistenza, ma che ne è del ricordo della vita intrauterina? Questa, esclusa dalla memoria concreta, è andata a confluire nei recessi del mondo inconscio e archetipico, che, a tratti, quando, cioè, l'occasione è propizia, riemerge con fori.a inusitata, turbando o addirittura sconvolgendo il faticoso equilibrio della coscienza. Dimenticare, dunque, è una variante dell'esclusione: escludere certe cose per far posto ad altre, sfrondare la molteplicità dei ricordi, resettare la memoria, allontanare l'incubo per lasciare spazio al sogno, annullare un certo passato per aprire la strada al futuro. La posta in gioco è la formazione dell'uomo, la costruzione delle società, la creazione della civiltà. Se, però, il saper dimenticare, alternato alla buona memoria, è il segno che la mente si mantiene in equilibrio tra due for1.e di pari e contraria potel17.a, come si spiegano la damnatio memoriae o le varie giornate della rimembranza o i monumenti alla memoria? Si spiegano, forse, proprio con il carattere di esclusione che rende la memoria cosl particolare: la damnatio memoriae è la spietata condanna all'esclusione da qualsiasi forma di ricordo, che, in passato, si infliggeva a persone, eventi o civiltà intere, la dannazione a non essere ricordati; le giornate della rimembranza (o della memoria) sono state e sono, ancora oggi, eventi rammemorativi precisi, datati, nei quali la memoria si esprime come inclusione, come raccolta di ricordi, anche tristi, volta a riprescntificare eventi o persone che, altrimenti, cadrebbero impietosamente nel vuoto di un passato
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IIOMf.Nl«/UI fi adminislrotcrul I Cuil/aume il f>«la e famminislratorr del poct:l Viri;il Mv.ilcscu (1014), l'oper:i bilingue Un giomo ei s""llliamo vivi. leud so,v, usala e altre ~ del poct:1 loon l'.s. Pop (2.016). Come outria:, lu offcno il proprio contributo ncll'ombito delb rnccolb di s.1AAi o cur:a di Furio S.,mcr:ari c.h, cma vale. D,ll'islanQuli,:a (1017). AttU>lmcntx: colbbor:i con b scuoi.di scrittur:icrotiv:, torinese "Scuoi• Holdcn" in qu.oliti di 1r.1dunricc senior ncll'•mbito del proi;ctto Cl'JJ\ - Connccrini; l'..m