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Italian Pages 350 [356] Year 2003
Pierre Bourdieu Per una teoria della pratica con Tre studi di etnologia cabila
Tradotta per la prima volta in italiano, quest’opera Pierre Bourdieu di Pierre Bourdieu, figura centrale della cultura Per una teoria francese del xx secolo, segna una tappa fondamen tale nella tradizione delle scienze sociali europee e della pratica nordamericane. Il testo si articola in due parti, de dicate rispettivamente allo studio etnografico della società cabila (Tre studi di etnologia cabila) e alla teoria delle scienze sociali (Per una teoria della pratica). Il legame tra le due parti è costituito dal riferimento comune alla società cabila (Algeria). Se però i Tre studi si concentrano su aspetti specifici di questa società (l’etica dell’onore, l’organizzazio ne simbolica dello spazio, il funzionamento socia le delle relazioni di parentela), il testo di Per una teoria della pratica è costituito da un’articolata ri flessione sull’epistemologia delle scienze sociali. A una prima parte più descrittiva, anche se non priva di spunti teorici, corrisponde dunque una seconda parte più ricca di riferimenti metodologici. Nel momento in cui la disciplina storica si orienta verso una teoria dell’azione, in cui gli antropologi riscoprono i riti e i miti come esperienza pragmati ca del mondo, in cui gli economisti sentono la ne cessità di riprendere i rapporti con l’antropologia, leggere questo testo di Bourdieu significa prende re coscienza del lavoro sotterraneo di un’opera che occupa ormai un posto centrale nelle scienze umane e sociali.
www.raffaellocortina.it
Pierre Bourdieu (1930-2002), sociologo,ha insegnato al l’École pratique des hautes études e al Collège de Fran ce.Tra le sue pubblicazioni Risposte. Per un’antropolo gia difensiva (Torino 1992), La distinzione. Critica so ciale del gusto (Bologna 2001), Il mestiere di scienziato (Milano 2003).
Culture e società Collana diretta da Ugo Fabietti
€ 27,00
In copertina: fotografia di Corbis Agenzia Contrasto
CULTURE E SOCIETÀ
Collana diretta da Ugo Fabietti
Nella stessa collana Edward E. Evans-Pritchard
Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande Abdelmalek Sayad
La doppia assenza
Dalle illusioni dell'emigrato alle sofferenze dell'immigrato
Adolphus P. Elkin
Sciamani d'Australia
Rito e iniziazione nella società aborigena
MarcAugé
Poteri di vita, poteri di morte Introduzione a un'antropologia della repressione
Pierre Bourdieu
Per una teoria della pratica con Tre studi di etnologia cabila
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Raffaello CortinaEditore
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Titolo originale
Esquisse d'une théorie de la pratique précédé de Trois études d'ethnologie kabyle © Editions du Seuil, 1972 e 2000 Pubblicato con il sostegno del ministero della Cultura francese
Traduzione di Irene Maffì Copertina Studio CReE ISBN 88-7078-848-2 © 2003 Raffaello Cortina Editore
Milano, via Rossini 4
Prima edizione: 2003
INDICE
Nota del traduttore Avvertenza
VII
(Richard Figuier)
XI
PARTE PRIMA
Tre studi di etnologia cabila Prenaessa
7
l. n senso dell'onore
2.
11 15
La dialettica della sfida e della risposta Punto d'onore e onore: ni/e burma L'ethos dell'onore
34 46
La casa o il naondo rovesciato
51
3. La parentela conae rappresentazione e conae volontà
75
Rappresentazione di parentela e parentela di rappresentanza Utilità, conformità e utilità della conformità Credenze collettive e menzogne caritatevoli L'ordinario e lo stra-ordinario Strategie matrimoniali e riproduzione sociale
79 91 1 15 133 147
PARTE SECONDA
Per una teoria della pratica Prenaessa
1 75 177
L'osservatore osservato I tre modi della conoscenza teorica Strutture, habitus e pratiche L'incorporazione delle strutture
185 206 233 v
INDICE
L'illusione della regola n corpo geometra L'azione dd tempo e il tempo dell'azione n capitale simbolico
247 266 281 292
Appendice Pratiche economiche e disposizioni temporali
3 17
Indice analitico
327
VI
NOTA DEL TRADUTTORE
n traduttore si trova di fronte al difficile compito, come scri veva Walter Benjamin, di ricreare nella propria lingua il senso che l'autore ha voluto attribuire al proprio discorso. Compito ar duo nel caso di quest'opera di notevole spessore teorico, che non è mai stata tradotta in italiano. Un aspetto importante che vorrei ricordare riguarda i neolo gismi che il sociologo francese introduce nel testo e che spesso servono a esprimere in modo assai pungente le sue critiche nei confronti di atteggiamenti teorici e metodologici che egli non condivide. Nel tradurre questi termini ho fatto riferimento al l'uso dei loro equivalenti italiani, qualora siano utilizzati; negli altri casi, li ho tradotti in modo letterale, avvalendomi della vici nanza linguistica tra il francese e l'italiano o delle comuni radici greche o latine delle parole in questione. A titolo di esempio ri cordo termini come "logicisme" (formalismo logico), "économi sme" (economicismo), ma soprattutto "objectivisme" (oggettivi smo) e "subjectivisme" (soggettivismo), coppia di atteggiamenti epistemologici che Bourdieu richiama di continuo nella seconda parte dell'opera. Inoltre, riguardo alla terminologia vorrei ricordare che, non essendo un etnologo di formazione, quando Bourdieu descrive la società cabila, spesso non utilizza i termini tecnici messi a pun to dall'antropologia culturale per descrivere l'organizzazione so ciale e familiare. Per esempio, il termine "lignage" (lignaggio) non è mai usato dall'autore per descrivere i gruppi di discenden za; a questa parola Bourdieu preferisce termini meno specifici quali "lignée" o "descendance". vn
NOTA DEL TRADUTTORE
Numerose sono poi le metafore utilizzate da Bourdieu per de scrivere la realtà della società cabila. Dove possibile ho cercato di mantenere la stessa immagine e lo stesso gioco linguistico del testo francese. Quando la traduzione letterale si è rivelata impos sibile, ho tentato di trovare delle immagini che avessero un senso simile in italiano oppure ho segnalato in nota il senso originario del gioco linguistico dell'autore. Infine, vorrei esplicitare i criteri secondo i quali ho traslittera to i termini berberi e arabi riportati da Bourdieu. Nel traslittera re i termini locali il sociologo francese adotta un sistema misto che mira, da un lato, a rispettare la filologia della lingua berbera o araba, dall'altro, a far in modo che il lettore francese pronunci in modo corretto i termini riportati. Per non appesantire il testo e fare in modo che il lettore italiano abbia un'idea corretta del suono delle parole berbere e arabe, le ho trascritte in modo leg germente diverso da Bourdieu, trasformando le"Q." in"h" le"�" in "s" ecc. dove l'autore utilizzava il sistema filologicamente cor retto di traslitterazione, e mutando il gruppo "ch" in "sh", "ou" in "u", "ine" in "in", "dj" in "j" ecc., dove l'autore cercava di fa re in modo che il lettore francese pronunciasse correttamente le parole. n risultato è un sistema di trascrizione non molto rigoroso, così come non lo è quello usato da Bourdieu, ma semplice da ca pire, in modo da rendere più agevole al lettore italiano pronun ciare correttamente il suono delle parole. Tuttavia ho mantenuto il sistema di traslitterazione adottato da Bourdieu nel caso dei nomi propri inseriti negli schemi genealogici riportati dall'autore nel terzo capitolo. A questo proposito vorrei segnalare che il gruppo "ch" deve essere pronunciato come il nostro "se" seguito dalla vocale"i" o "e", il gruppo "ine" come "in", il gruppo "ane" come "an", "ou" come"u","ène" come"en", "dj" come ''j'', cioè"g" dolce, "al.., come "a1., . In generale ricordo che la "z" si pronuncia in modo morbido, cioè pronunciando un suono intermedio tra la "z" e la "s", la " " w come una "u", il gruppo "kh" come una k più gutturale, "dh" come il suono "th" in inglese nell'articolo "the". n segno ' indica lo spirito aspro che traslittera la lettera araba t ('ain). La " " y va letta come una"i". VIII
NOTA DEL TRADUTTORE
Per concludere, vorrei ringraziare Alain Accardo, sociologo francese autore di due importanti testi di divulgazione sul pen siero di Bourdieu, Mercedes Volait, ricercatrice del CNRS specia lista di Medio Oriente, Vincent Bisson, Denis Gay e Christine Jungen per il loro prezioso aiuto.
Irene Maffi
IX
AVVERTENZA
D Pierre Bourdieu che nel1972 pubblica Per una teoria della pratica non è al suo primo libro. Erano già state pubblicate delle opere diventate dei classici quali Les Héritiers (con Jean-Calude
Passeron) nel 1964. Tuttavia rimane il fatto che l'Algeria degli anni Sessanta - quella di Sodologie de l'Algérie, di Travail et tra vailleurs o anche del Déradnement fu per Bourdieu molto più di un terreno di formazione; essa fu terreno di sperimentazione e di maturazione del suo pensiero. Per rendersene conto è suffi ciente rileggere oggi Per una teoria della pratica, la cui prima par te, i tre studi di etnologia cabila, è stata scritta a metà degli anni Sessanta e che, con tutta la libertà e l'audacia che può dare la rot tura con l'istituzione etnologica, sottopone a una critica metodo logica ed empiricamente armata uno strutturalismo che all'epoca dominava il cuore della scena intellettuale parigina. Un giovane che ha preso le distanze dalla"disciplina del coro namento", la filosofia, si trova proiettato in pieno conflitto alge rino. È n che si radica una vera "vocazione" di etnologo e poi di sociologo. Occorre nello stesso tempo che venga sostenuta la causa dell'indipendenza, comprendere a ogni costo e, per quan to possibile, far comprendere il dramma di una società dilaniata che merita di più dell'adesione esaltata di un sostegno politico incondizionato. Se in politica si sentono ancora le grida della contestazione, il dibattito intellettuale invece si chiude su se stes so, prigioniero di marxismo, fenomenologia e strutturalismo, in esclusioni infruttuose. È quindi in una terra sconvolta e in un cli ma intellettuale polemico che Pierre Bourdieu si troverà a forgia re i concetti principali della sua comprensione del mondo sociale -
XI
AVVERTENZA
in occasione di un lavoro sulla parentela, l'economia e i rituali cabili. Progressivamente nascerà quel primo bilancio metodolo gico e problematico, ancora segnato dallo sforzo per sottrarsi al pensiero stabilito, che è costituito da Per una teoria della pratica, sistematizzato otto anni più tardi in Il senso pratico. Ma la pubblicazione nel1980 de Il senso pratico non rende ob soleto il testo del 1972. La sua riedizione oggi non solo ricorda l'importanza dell'Algeria nel percorso di un pensiero, ma è resa necessaria dall'estensione raggiunta dall'opera del suo autore. Non si tratta di dimostrare la sua profonda unità (non ce n'è al cun bisogno dopo le più recenti pubblicazioni quali Risposte, Ragioni pratiche e Meditazioni pascaliane) quanto, andando più in profondità, di mettere a disposizione di tutti un testo che ci sembra abbia fondato un atteggiamento critico, una rivoluzione dello sguardo rivolto alle società umane; un testo che può ancora avere il ruolo per i più giovani di introduzione a un modo di pro cedere; infine, un testo che "si spiega" da sé e traccia il proprio cammino tra, contro e con gli altri. In fondo, è un modo di non cadere nell'"amnesia della genesi", tema caro al sociologo. Nel momento in cui la disciplina storica si orienta verso una teoria dell'azione, in cui gli antropologi riscoprono i riti e i miti come esperienza pragmatica del mondo, in cui gli economisti sentono la necessità imperiosa di riprendere i rapporti con l'an tropologia, rileggere Per una teoria della pratica significa prende re coscienza del lavoro sotterraneo di un'opera che occupa or mai un posto centrale nelle scienze umane e sociali.
Richard Figuier
XII
Per Abdelmalek Sayad Addu dusa'dhz; ataghedh disa'dh-is
PARTE PRIMA
TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
SENSO* (sanss'; san fino al XIX secolo). N. m. (XI s. ROL.; preso dal latino sensus, "azione, modo di senti re; sentimento; pensiero; significato").
3 Per analogia "Facoltà di conoscere in modo imme o
diato e intuitivo (come quella che sembrano manife stare le sensazioni propriamente dette)". Lalande. Il senso dell'orientamento, dell'equilibrio (dr. Raccro cher [Riagganciare], cit. 7). Il gusto (buon gusto), il più fzne dei sensi (dr. Malpropre, [Sudicio], cit. 3 ). Il senso diDio (dr. Concept [Concetto], cit. 2), delsacro, del meraviglioso (dr. Garder [Custodire], cit. 47). Il senso delle realtà, della realtà (dr. Enfoncer [Sfonda re], cit. 41), dell'efficacia (dr. Discipliner [Disciplina re], cit. 3), il senso pratico, ilsensopolitico (cit. 16), na zionale (dr. Aliénation [Alienazione], cit. 1). Senso delle responsabilità (dr. anche Fuite [Fuga], cit. 7), della gerarchia (cfr. Heurter [Urtare], cit. 18), degli af /ari. Si veda Instinct (Istinto), notion (Nozione). Senso artistico (dr. Amenuisement [Assottigliamento], cit.), estetico (cit. 10); senso del bello (dr. Prosaique [Pro saico], cit. 3), Avere tl senso del comico (cit. 7), del ri dicolo (dr. Humour, cit. 5), dello humour. Perdere il senso della misura (cfr. Hyperbole [Iperbole], cit. 2). - Senso interno o dell'intimità. Si veda Conscience [Coscienza] (I). Senso morale* (cit. 1). Si veda Con science [Coscienza] (II).
*Questo testo è la traduzione di parte della voce "sens" (senso) del Dizionario francese Robert. La sigla • cit." accompagnata da un numero rimanda alla sezione della voce corrispondente a quel numero che però non compare nella parte di testo scelta da Bourdieu. Riporto tra parentesi la traduzione delle altre voci del Dizionario cui rimandano i diversi significati del termine "senso"- per esempio "Concept" (Concetto)- perché tale rin vio acquista il suo senso solo se riferito alle voci francesi.
PREMESSA
Con la pubblicazione di testi così vecchi come gli studi sul senso dell'onore e la casa cabila, si spera di non rispondere esclu sivamente a quella forma di compiacimento che consiste nel mi surare il valore di un'opera sulla base delle fatiche e dei rischi (non solo intellettuali) che è costata. La sollecitudine dell'autore si mescola al fastidio del lettore di fronte a un'analisi che taluni definirebbero "funzionalistica" o verso un certo stile o una certa sfumatura di tono che altri chiamerebbero oggi "umanistica", accomunati dal tradire l'intenzione, più o meno cosciente, di ria bilitare - in opposizione a un'ideologia e una politica inumane un popolo capace di produrre un modello di relazioni da uomo a uomo così compiuto come quello della competizione dell'onore. L'analisi, qui decontestualizzata, delle strategie attraverso cui i contadini cabili si sforzano di mantenere o aumentare il loro ca pitale d'onore era stata concepita all'origine come indissociabile dalla ricostruzione del sistema di regole oggettive e di implica zioni materiali e simboliche del gioco politico ed economico: ri collocate in tale contesto e più precisamente nel sistema delle strategie di riproduzione, le strategie miranti alla riproduzione del capitale simbolico che sono i comportamenti d'onore rivela no la funzione che è loro attribuita all'interno della riproduzione di un ordine economico e politico di cui l'ethos dell'onore, prin cipio generatore di tali strategie, è esso stesso il prodotto. ll testo sulla casa cabila, che per effetto dell'accostamento contribuirà forse a rafforzare l'apparenza di un'autonomizzazio ne indotta dell'ordine simbolico, non è che un frammento (al quale tuttavia l'omologia tra la casa e il cosmo conferisce una po7
TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA ------ -------
sizione centrale) di un'analisi del sistema mitico-rituale: la rela zione a doppio senso che unisce tale sistema alle relazioni econo miche non si svela mai in modo così evidente come nel calendario agricolo; questo riproduce, sotto la forma trasfigurata di un siste ma simbolico coerente, i ritmi dell'anno agricolo e in particolare la contrapposizione tra il periodo di lavoro, cioè principalmente l'aratura e la raccolta, accompagnate da un'intensa attività rituale a scopo soprattutto preventivo, e il periodo di semplice produ zione, molto più lungo, durante il quale il grano seminato è sotto posto a processi naturali di trasformazione (come, in un altro or dine, il vasellame messo a seccare), momento in cui il processo di lavoro si trova quasi totalmente fermo o ridotto ad attività tecni co-rituali e a riti propiziatori, meno solenni perché meno dram maticamente richiesti dalla rappresentazione mitica dell'attività agricola come scontro pericoloso di principi antagonisti. In altri termini, l'immagine della società cabila che propongo no questi frammenti di un'opera interrotta (almeno provvisoria mente) è tanto più astratta quanto più, in questo caso in misura maggiore rispetto agli altri, è solo a livello del sistema completo delle relazioni oggettive che si rivelano il significato e la funzione di ciascuna delle istanze. Se il principio ultimo di tutto il sistema risiede evidentemente in un modo di produzione che, in ragione della distribuzione più o meno egualitaria della terra (sotto for ma di piccole proprietà frammentate e disperse) e degli strumen ti di produzione, in fondo deboli e stabili, esclude per la sua stes sa logica lo sviluppo di forze produttive e la concentrazione di capitale - dato che la quasi totalità del prodotto agricolo entra direttamente nel consumo del produttore -, rimane comunque il fatto che la trasfigurazione ideologica delle strutture economiche nelle tassonomie del discorso mitico o della pratica rituale con tribuisce alla riproduzione delle strutture in tal modo consacrate e santificate. Ugualmente, se la modalità di trasmissione del pa trimonio (materiale e simbolico) appartiene al principio della concorrenza e talora del conflitto tra fratelli e, in modo più am pio, tra agnati, non c'è dubbio che le pressioni economiche e simboliche che vengono esercitate affinché il patrimonio familia re rimanga indiviso contribuiscono alla perpetuazione dell'ordi ne economico e attraverso questo dell'ordine politico che esso fonda e che trova la sua forma di equilibrio nella tensione - os-
8
PREMESSA
servabile a tutti i livelli della struttura sociale, dal lignaggio alla tribù - tra la tendenza alla socializzazione e la tendenza alla dis sociazione: quando, per spiegare il fatto che una formazione so ciale si chiude nel circolo perfetto della semplice riproduzione, ci si accontenta d'invocare le semplici spiegazioni negative di un materialismo impoverito, quali la precarietà e la stabilità delle tecniche di produzione, ci si vieta di capire il contributo deter minante che le rappresentazioni etiche e mitiche possono appor tare alla riproduzione dell'ordine economico di cui sono il pro dotto, favorendo il mancato riconoscimento del reale fondamen to dell'esistenza sociale, cioè, molto concretamente, impedendo che gli interessi che guidano sempre oggettivamente gli scambi economici o anche simbolici, perfino tra fratelli, possano essere confessati apertamente come tali e diventare il principio esplici to delle transazioni economiche e, in modo simile, di tutti gli scambi tra gli uomini. Parigi, dicembre1971
9
l IL SENSO DELL'ONORE1
Quando discutiamo i livelli dell'adeguatezza descritti va ed esplicativa, sorgono immediatamente questioni concernenti la stabilità dei dati in base ai quali si deve giudicare la riuscita [ ...] Per esempio, [. . ] ci si può domandare come possiamo stabilire che le due sono frasi di tipo diverso, o che "John's eagerness to piea se ..." è ben formata mentre "John's easiness to piea se ..." non lo è e così via. Non c'è una risposta molto soddisfacente a questa domanda; i dati di questo gene re sono semplicemente ciò che costituisce l'oggetto della teoria linguistica. Trascuriamo questi dati a con dizione di distruggere l'oggetto. .
NOAM CHOMSKY,
Problemi di teoria linguistica
N. aveva sempre mangiato a suo piacimento, aveva fatto lavo rare gli altri per sé, aveva beneficiato, come per un diritto di si gnoria, di tutto ciò che gli altri avevano di meglio nei propri cam pi e nelle proprie case; benché la sua situazione fosse sensibil mente declinata, credeva che tutto gli fosse permesso, si sentiva in diritto di esigere qualsiasi cosa, di attribuire unicamente a se stesso la parola, d'insultare e persino di picchiare coloro che gli opponevano resistenza. Senza dubbio è per questo che veniva considerato un amahbul. Amahbul è definito colui che in modo spudorato e sfrontato oltrepassa i confini della creanza garante dei buoni rapporti, colui che abusa di un potere arbitrario e l. Questo testo è stato pubblicato con il titolo "The sentiment of honour in kabyle society", in J. Peristiany (a cura di), Honour and shame, The University of Chicago Press, Londra 1966. 11
TRE STIJDI DI ETNOLOGIA CABIT.A
commette degli atti contrari a ciò che l'arte del vivere insegna. Tali imahbal (plurale di amahbul) vengono evitati perché non si vuole avere un contenzioso con essi, perché non si vergognano di niente, perché colui che li affrontasse sarebbe in ogni caso la vittima, anche nel caso avesse ragione. n nostro uomo aveva nel suo giardino un muro da ricostruire. n suo vicino aveva un muro di sostegno. Egli abbatte tale muro e porta le pietre a casa propria. Questo atto arbitrario non avveni va in tal caso ai danni di un individuo più debole: la vittima ave va ampi mezzi per difendersi. Si trattava di un uomo giovane, forte, con molti fratelli e parenti, appartenente a una famiglia numerosa e potente. Era quindi evidente che se non raccoglieva la sfida non era per paura. Di conseguenza, l'opinione pubblica non poteva vedere in questo gesto di abuso una reale sfida in grado di nuocere all'onore. Al contrario, l'opinione pubblica e la vittima hanno finto di ignorarlo: infatti è assurdo aprire un con tenzioso con un amahbul; non si dice forse: "Evita l'amahbul"? Tuttavia la vittima andò a trovare il fratello del colpevole. Co stui dava ragione al querelante, interrogandosi però sui mezzi per ridurre alla ragione l'amahbul. Fece comprendere al suo interlo cutore che aveva sbagliato a non reagire subito con la stessa vio lenza, aggiungendo: "Per chi si prende quel buono a nulla?". Al lora il visitatore, mutando bruscamente il proprio atteggiamento, s'indignò: "Oh! Si M., per chi mi prendi? Credi che accetterei di avere una discussione con Si N. per qualche pietra? Sono venuto a far visita a te, perché so che sei saggio e che con te posso parlare, che mi capirai, non sono venuto a chiedere che mi vengano paga te le pietre (e qui moltiplicò i giuramenti appellandosi a tutti i san ti, assicurando che non avrebbe mai accettato un risarcimento). Poiché solo un amahbul può fare ciò che Si N. ha fatto, non get terò me stesso nella vergogna (adhbahadlagh ruhiw)2 insieme a un 2. Per il vocabolario cabilo dell'onore, ci si riferisca alla relativa tabella in aper tura del capitolo 2. Bahdel significa gettare nella vergogna, disonorare, dominare qualcuno completamente, sconfi.ggerlo su tutta la linea, ridicolizzarlo, in sintesi, si gnifica portare la vittoria al di là dei limiti ragionevoli. Bahdel è più o meno repren sibile a seconda dell'avversario e soprattutto a seconda di ciò che gli viene rimpro verato. A proposito di amahbul, non si dice: "Ho paura che mi renda ridicolo (bah de{) (verbo)", ma "non mi renderò ridicolo (il mio spirito, me stesso) a causa sua". Shemmeth ha quasi lo stesso senso e gli stessi modi di utilizzazione (ishemmeth iman-is: egli si disonora).
12
ll.. SENSO DELL'ONORE
amahbul. Faccio solo notare che non è in questo modo che si co struisce una casa lecita, giusta (akhlam nasah)". E alla fine della conversazione aggiunse: "Che colui che annovera un amahbul dalla propria parte lo sistemi egli stesso prima che lo facciano gli altri"; detto altrimenti: "Hai torto a non coalizzarti con tuo fratel lo contro di me, salvo poi prendertela con lui e correggerlo in mia assenza, ciò che del resto ti chiedo"3 (Aghbala). Per comprendere tutta la sottigliezza di questo dibattito, occorre sapere che esso vedeva contrapposti un uomo perfettamente padrone della dia lettica della sfida e della risposta e un altro che, avendo vissuto a lungo fuori dalla Cabilia, aveva dimenticato lo spirito della tradi zione: non scorgendo nell'incidente che un semplice furtarello commesso da un fratello che egli poteva rinnegare nel nome della giustizia e del buon senso, senza che le regole della solidarietà fa miliare fossero violate, ragionava in termini di interessi: il muro vale tanto, questa persona deve essere risarcita. n suo interlocuto re era rimasto stupito che un uomo così istruito avesse potuto sbagliarsi fino a questo punto sulle sue vere intenzioni. Un certo anno in un altro villaggio, un contadino era stato deru bato dal proprio mezzadro. Quest'ultimo aveva l'abitudine di far lo, ma quell'anno aveva oltrepassato ogni limite. Dopo aver esauri to i rimproveri e le minacce, si presentarono davanti all'assemblea. I fatti erano noti a tutti, era inutile produme le prove e, conside rando disperata la sua causa, il mezzadro si convinse rapidamente a chiedere perdono in modo conforme alla tradizione, non senza aver usato ogni argomentazione possibile: cioè che egli coltivava quella terra da molto tempo, che la considerava come sua pro prietà personale, che il proprietario assente non aveva bisogno del raccolto, che, preoccupandosi di essere gentile con lui, gli regalava i suoi fichi di qualità migliore, salvo poi rifarsi sulla quantità, che era povero, che il proprietario era ricco e ricco "da poter donare ai poveri" ecc., tutte ragioni utilizzate con il disegno di lusingare il proprietario. Pronunciò la formula "Dio mi perdoni", che secon do l'uso serve a mettere fine al dibattito. Ma aggiunse: 3. "Colui che spoglia il proprio fratello", dice il proverbio, "spoglia se stesso", "si insulta da sé" (cioè suo fratello e la sua famiglia), "l'asino vale più di lui" (lts' ayar imanis, daghyul akhiris).
13
TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
Se ho agito bene, Dio sia lodato (tanto meglio), Se ho sbagliato, Dio mi perdoni.
n proprietario si adirò per questa formula malgrado fosse perfet tamente legittima e appropriata, perché ricorda che un uomo, qua lora faccia ammenda in modo onorevole, non può avere torto asso luto, non può in ogni caso attribuirsi tutti i torti, e ha quindi sempre un po' ragione, nello stesso modo in cui l'altro ha sempre un po' tor to: voleva un semplice"Dio mi perdoni", una sottomissione senza condizioni. E l'altro prendeva a testimone gli astanti: "O creature, amici dei santi! Come? Lodo Dio, ed ecco che quest'uomo mi rim provera!". E ripeteva due o tre volte la stessa formula, facendosi ogni volta più piccolo e umile. Di fronte a questo atteggiamento il proprietario era sempre più irritato, tanto che alla fine l'intero vil laggio, malgrado tutto il rispetto che aveva per un uomo colto, "straniero" al paese, era dispiaciuto di doverlo biasimare. Una volta calmati gli animi, il proprietario si penò della propria intransigenza; su consiglio di sua moglie, meglio informata sugli usi locali, andò a far visita all'imam del villaggio e a dei parenti più anziani per scusar si della sua condotta; sostenne di essere stato vittima di elbahadla (il fatto di bahdel), ciò che tutti avevano compreso. In un altro luogo la tensione tra i due "partiti" (su/) era stata esasperata da un incidente. Uno dei due "partiti", stufo, inviò in delegazione presso un notabile del"partito" avverso una grande ambasciata composta dai marabutti del duar e dei duar vicini, dall'imam del villaggio, da tutti i tulba (plurale di taleb) di una thim'amarth (scuola religiosa) vicina, cioè più di quaranta perso ne a cui aveva assicurato trasporto, alloggio, cibo. Per tutte le per sone del paese, salvo per colui che era oggetto dell'azione, un ca bilo sradicato e poco informato delle usanze, si trattava di un ri tuale. n costume voleva che dopo aver baciato i negoziatori sulla fronte, si acconsentisse a tutte le offerte e si invocasse la pace, il che non escludeva la ripresa delle ostilità in seguito con un prete sto qualsiasi, senza che nessuno trovasse qualcosa da ridire. I no tabili annunciano dapprima lo scopo della loro azione:"Gli Ath... vengono a chiedere perdono". L'usanza vuole che in un primo momento essi si dissocino dalla parte per cui vengono a interce dere. Parlano allora degnamente coloro che chiedendo perdono "nell'interesse di tutti e soprattutto nell'interesse dei più poveri 14
n. SENSO DELI:ONORE
del villaggio": "Sono loro che soffrono a causa delle nostre di scordie; non sanno dove andare, guardateli, fanno compassione... [altrettante ragioni che permettono di salvare la faccia]. Faccia mo la pace, dimentichiamo il passato". È d'uso che colui che si viene a pregare in tal modo manifesti delle reticenze, delle riserve; oppure che, secondo una tacita complicità, una parte dei suoi al leati si indurisca, mentre l'altra, al fine di non creare fratture defi nitive, si mostri più conciliante. Nel bel mezzo del dibattito i me diatori intervengono: accusano la parte sollecitata, le attribuisco no dei torti, tutto allo scopo di ristabilire l'equilibrio e di evitare un'umiliazione totale (elbahadla) al sollecitatore. Poiché il solo fatto di essersi appellati ai buoni uffici dei marabutti, di averli nu triti e di essere venuti insieme a loro, costituisce di per sé una con cessione sufficiente. Inoltre, essendo gli intercessori per funzione al di sopra delle rivalità e godendo di un prestigio in grado di for zare il consenso, possono permettersi di ammonire un po' chi si fa pregare troppo: "Certo, hanno forse molti torti, ma tu Si X., ti sei reso colpevole di questo..., non avresti dovuto... e oggi, devi per donarli; del resto, vi perdonate reciprocamente, ci impegniamo a sanzionare la pace che concludete ecc.". La saggezza dei notabili li autorizza a operare tale dosaggio dei torti e delle ragioni. Ma, nel caso specifico, colui che si veniva a pregare non poteva, non conoscendo la regola del gioco, adattarsi a queste sottigliezze di plomatiche. Teneva a mettere tutto in chiaro, ragionava nei termi ni "o... , o...": "Come! Se venite a pregarmi, significa che gli altri hanno torto; sono loro che dovete condannare, invece di venire a fare dei rimproveri a me. A meno che non veniate a prendere le loro difese, perché vi hanno nutriti e pagati". Era l'offesa più gra ve che si potesse fare all'areopago; a memoria di cabilo, era la pri ma volta che una delegazione di così venerabili personaggi non riusciva a ottenere l'accordo delle due parti e il refrattario era de stinato alla peggiore delle maledizioni.
LA DIALETI1CA DEll A SFIDA E DEllA RISPOSTA
Si potrebbero riferire una moltitudine di fatti simili; ma l'ana lisi di questi tre racconti permette di estrapolare le regole del gioco della risposta e della sfida. Perché ci sia una sfida, occorre 15
TRE STIJDI DI ETNOLOGIA CABILA
che colui che la lancia consideri colui che la riceve degno di esse re sfidato, vale a dire sia capace di raccogliere la sfida, in breve che lo riconosca come suo eguale nell'onore. Lanciare una sfida a qualcuno significa riconoscergli la qualità di uomo, riconosci mento che è la condizione di qualsiasi scambio e della sfida d'o nore in quanto primo momento dello scambio; significa anche ri conoscergli la dignità di uomo d'onore, dato che la sfida in quan to tale richiede la risposta e di conseguenza si indirizza a un uo mo ritenuto capace di giocare al gioco dell'onore e di giocare be ne, il che suppone in primo luogo che egli ne conosca le regole e quindi che detenga le virtù indispensabili per rispettarle. n senti mento di parità nell'onore, che può coesistere con delle inegua glianze di fatto, ispira molti comportamenti e usanze e si manife sta in particolare nella resistenza opposta di fronte a qualsiasi pretesa di superiorità: "Anch'io ho i baffi " , si usa dire.4 Lo spac cone è subito richiamato all'ordine. "Non c'è, si dice, che il muc chio dei rifiuti che si gonfia. " "La sua testa tocca la sua scescia"; * "TI nero è nero: gli sono stati aggiunti dei tatuaggi!"; "Vuole camminare con il passo della pernice quando ha dimenticato quello della gallina!" Nel villaggio di Tizi Hibel nella Grande Cabilia una famiglia ricca aveva fatto costruire per i propri de funti una tomba di stile europeo, con cancello, pietra tombale e iscrizione, trasgredendo alla regola che impone l'anonimato e l'uniformità delle tombe. L'indomani, cancelli e pietre tombali erano spariti. Dal principio del mutuo riconoscimento dell'egua glianza nell'onore deriva un primo corollario: la sfida fa onore. "L'uomo che non ha nemici, dicono i cabili, è un somaro", met tendo l'accento non tanto sulla stupidità del somaro, bensì sulla sua passività. La cosa peggiore è passare inosservati: perciò non salutare qualcuno equivale a trattarlo come una cosa, un animale o una donna. Al contrario, la sfida è "un momento culminante della vita per colui che la riceve" (El Kalaa). È infatti un'occasio ne di sentire pienamente la propria esistenza in quanto uomini, di provare agli altri e a se stessi la propria qualità di uomo (thi4. I baffi, utilizzati come termine descrittivo per attribuire l'età ("la sua barba spunta", "i suoi baffi spuntano"), sono un simbolo di virilità, componente essen ziale del nif, così pure la barba, soprattutto un tempo. Per parlare di un grave ol traggio, si diceva: "Un tale mi ha rasato la barba (o i baffi)". * La scescia è il copricapo tipico portato dagli uomini. [NdTI
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IL SENSO DELL'ONORE
rugza). "L'uomo completo" (argaz alkame{) deve essere sempre in stato di allerta, pronto a raccogliere la minima sfida. È il guar diano dell'onore (amhajar), colui che veglia sul proprio onore e sull'onore del suo gruppo. Secondo corollario: colui che sfida un uomo incapace di racco gliere la sfida, vale a dire incapace di portare avanti lo scambio iniziato, disonora se stesso. In tal modo elbahadla, umiliazione estrema inflitta pubblicamente, davanti agli altri, rischia sempre di ricadere su colui che la provoca, sull' amahbul che non sa ri spettare le regole del gioco dell'onore: proprio colui che merita elbahadla ha un onore (ni/ e burma); è il motivo per cui, al di là di una certa soglia, elbahadla ricade su colui che la infligge. Inoltre, nella maggior parte dei casi ci si guarda bene dal gettare elbahadla su qualcuno per lasciare invece che si copra di vergogna attraver so la propria condotta. In questo caso, il disonore è irrimediabile. Si dice: ibahdal imanis o itsbahdil simanis (Aghbala). Quindi, co lui che si trova in una posizione favorevole deve evitare di spinge re troppo in là il proprio vantaggio e usare una certa moderazione nella propria accusa: " È meglio che si denudi da solo, dice il pro verbio, piuttosto che io lo spogli" (]emaa-Sahari;). Da parte sua, il suo avversario può sempre provare a ribaltare la situazione, spin gendolo a oltrepassare i limiti permessi e facendo onorevolmente ammenda. Questo avviene, come abbiamo visto nel secondo rac conto, al fine di accattivarsi l'opinione pubblica che non può non disapprovare la mancanza di misura dell'accusatore. Terzo corollario (proposizione reciproca del corollario prece dente): solo una sfida (o un'offesa) lanciata da un uomo pari nel l'onore merita di essere raccolta; detto altrimenti, perché ci sia una sfida, occorre che colui che la riceve ritenga colui che la lan eia degno di lanciarla. L'affronto da parte di un individuo infe riore nell'onore ricade sul presuntuoso. "L'uomo prudente e ac corto, amahdhuq, non si compromette con un amahbul. " La sag gezza cabila insegna: "Togli ad amahdhuq e dai ad amahbul" (Azeru n-shmini). Elbahadla ricadrebbe sull'uomo saggio che si avventurasse a raccogliere la sfida insensata di amahbul; quando invece, astenendosi dal rispondere, gli lascia portare tutto il peso dei suoi atti arbitrari. Nello stesso modo il disonore ricadrebbe su colui che si sporcasse le mani in una rivincita indegna: accade va anche che i cabili facessero ricorso a degli assassini prezzolati 17
TRE STUDI DI E1NOLOGIA CABILA
(amekri, plurale imekryen, parola per parola: colui di cui si loda no i servizi). È dunque la natura della risposta che conferisce alla sfida (o all'offesa) il suo senso e anche la sua qualità di sfida o di offesa, in contrapposizione alla semplice aggressione. I cabili avevano nei confronti dei neri un atteggiamento che il lustra perfettamente queste analisi. Colui che avesse risposto alle ingiurie di un nero, uomo di condizione inferiore e sprovvisto di onore, o si fosse battuto con lui, si sarebbe disonorato.5 Secondo una tradizione popolare del Jurjura, accadde un giorno che du rante una guerra tra due tribù una di esse opponesse dei neri ai suoi avversari che abbassarono le armi. Ma i vinti conservarono intatto il loro onore mentre i vincitori furono disonorati nella lo ro vittoria. Talora si dice anche che per sfuggire alla vendetta del sangue (thamgart, plurale thimagrat), un tempo era sufficiente aggregarsi a una famiglia di neri. Ma si trattava di una condotta così infamante che nessuno accetterebbe di pagare tale prezzo per salvare la propria vita. Tuttavia sarebbe questo il caso, secon do una tradizione locale, dei macellai d'Ighil o Meshedal, gli Ath Shaban, neri che hanno per antenato un cabilo il quale, al fine di sfuggire alla vendetta, si sarebbe fatto macellaio e i cui discen denti non avrebbero potuto allearsi in seguito se non con dei ne ri (Ait Hishem). Le regole dell'onore regolavano anche i combattimenti. La solidarietà imponeva a ogni individuo di proteggere un parente contro un non-parente, un alleato contro un uomo di un altro "partito" (su/J, un abitante del villaggio, anche di un partito av versario, contro un estraneo al villaggio, un membro della tribù contro un membro di un'altra tribù. Ma l'onore impedisce, pena l'infamia, di combattere in molti contro uno solo; ci si ingegnava anche, con mille pretesti e artifici, a rinnovare la disputa per po terla riprendere per proprio conto. Così le minime dispute mi nacciavano sempre di allargarsi. Le guerre tra i "partiti", quelle 5. Di un uomo che si preoccupa poco dd proprio onore si dice: "È un negro" . I neri non hanno e non devono avere onore. Essi erano tenuti al di fuori degli affari pubblici; se potevano partecipare ad alcuni lavori collettivi, non avevano però di ritto di prendere la parola alle riunioni ddl'assemblea; in alcuni luoghi era loro proibito assistervi. Sarebbe stato vergognoso agli occhi ddle altre tribù ascoltare le opinioni di un "negro". Tenuti ai margini ddla comunità o anche clienti ddle gran di famiglie, esercitavano dei mestieri ritenuti spregevoli, quali qudlo di macdlaio, commerciante di pelli o musicista ambulante (Ait Hishem). 18
ll. SENSO DELL'ONORE
leghe politiche e guerriere che si mobilitavano non appena scop piava un incidente, non appena l'onore di tutti veniva colpito, colpendo l'onore di uno solo, prendevano la forma di una com petizione ordinata che, lungi dal minacciare l'ordine sociale, ten deva al contrario a salvaguardarlo permettendo allo spirito di competizione, al punto d'onore (ni/),6 di esprimersi ma in forme prescritte e istituzionalizzate. Succedeva lo stesso nelle guerre tra tribù. D combattimento aveva talora l'aspetto di un vero e pro prio rituale: venivano scambiate delle ingiurie, poi dei colpi, e il combattimento cessava all'arrivo dei mediatori. Durante il com battimento le donne incoraggiavano gli uomini con le proprie grida e i propri canti che esaltavano l'onore e la potenza della fa miglia. Non si cercava di uccidere o annientare l'avversario. Si trattava di manifestare che si era in posizione di superiorità, per lo più attraverso un atto simbolico: nella Grande Cabilia il com battimento cessava, si dice, quando uno dei due campi si era im padronito della trave maestra (thighejdith) e di una lastra presa alla thajma'th* dell'avversario. Talora l'affare prendeva una brut ta piega: sia che un colpo sfortunato provocasse la morte di uno dei contendenti sia che il "partito" più forte minacciasse di fare irruzione nelle dimore, ultimo rifugio dell'onore. Solamente allo ra gli assediati si impadronivano delle proprie anni da fuoco, cosa che di solito era sufficiente a far cessare il combattimento. I me diatori, marabutti e saggi della tribù, chiedevano agli aggressori di ritirarsi e costoro se ne andavano sotto la protezione della pa rola data, la'naya.7 Nessuno avrebbe pensato di causare loro dei danni; avrebbe significato rompere la'naya, errore che disonora al massimo grado (]emaa-Sahari;). Secondo un anziano degli Ath Mangellat (Grande Cabilia), nelle guerre tra tribù, le grandi bat6. ll ni/. in senso letterale, è il naso e quindi il punto d'onore, l'amor proprio; si dice anche nello stesso senso thinzarin (o anzaren, a seconda delle regioni), plurale di thinzerth, la narice, il naso (cfr. anche nota lO). * Come indicato successivamente, tale termine indica lo spazio pubblico, la piazza, riservato agli uomini. 7. Si capisce la funzione sociale dei marabuni. Essi procurano la soluzione, la "porta" (thabburth) come dicono i cabili e autorizzano a mettere fine al combatti· mento senza che il disonore o la vergogna ricadano su uno dei partiti. La società, attraverso una sorta di malafede necessaria a assicurare la sua stessa esistenza, offre al contempo gli imperativi dell'onore e le vie parallele che permettono di evitarli senza violarli, almeno in apparenza. 19
TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
taglie erano rare e avevano luogo solo dopo un consiglio tenuto dagli anziani i quali fissavano il giorno dell'azione e l'obiettivo attribuito a ogni villaggio. Ognuno lottava per sé, ma ci si grida va dei pareri e degli incoraggiamenti. Da tutti i villaggi dei din torni si osservava e si esprimeva la propria opinione sull'audacia e l'abilità dei combattenti. Quando il partito più forte occupava delle posizioni dalle quali poteva annientare l'avversario oppure quando si impadroniva di un chiaro simbolo di vittoria, il com battimento si fermava e ognuno rientrava a casa propria. Acca deva che venissero fatti dei prigionieri: collocati sotto la prote zione (la'naya) di colui che li aveva catturati, erano di solito trat tati bene. Li si rimandava indietro alla fine del conflitto con una gandura nuova, intendendo in tal modo che era un morto che tornava al villaggio con il proprio sudario. Lo stato di guerra (el /etna) poteva durare per diversi anni. In un certo senso l'ostilità era permanente; la tribù vinta aspettava la propria rivincita e alla prima occasione si impadroniva delle greggi e dei pastori della sua nemica; al minimo incidente al momento del mercato setti manale, per esempio, il combattimento riprendeva.8 In breve, niente di più disagevole che distinguere in tale universo lo stato di pace e lo stato di guerra. Suggellate e garantite dall'onore, le tregue tra villaggi e tribù, come i patti di protezione tra le fami glie, mettevano solo un termine provvisorio alla guerra, il gioco più serio che l'onore abbia inventato. Se l'interesse economico poteva fornirne l'occasione e trame il proprio vantaggio, il com battimento si avvicinava più a una competizione istituzionalizza ta e regolata che a una guerra in grado di mettere in gioco tutti i mezzi disponibili per ottenere una vittoria totale, come testimo nia questo dialogo riportato da un anziano cabila: "Un giorno qualcuno disse a Mohand Uqbasi: 'Vieni alla guerra? - Che cosa ci si fa? - Ebbene, appena si vede un Rumi, gli si spara. - Come? - E come vuoi che sia? - Credevo che si dovesse discutere, poi insultarsi e infine battersi! - Assolutamente no; lui ci spara e noi gli spariamo. Ecco ... Allora, vieni? - No, io quando non sono in collera non riesco a sparare alle persone"'. 9 8. Un anziano del villaggio di Ain Aghbel, nella regione di Collo, ci diede du rante l'estate dell959 una descrizione del tutto simile. 9. "Souvenirs d'un vieux Cabyle" - "Lorsqu'on se battait en Kabylie", in Bulle tin de l'enseignement des indigènes de l'Académie d'Alger, pp. 12-13.
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ll. SENSO DELL'ONORE
Ma il punto d'onore trovava altre occasioni di manifestarsi: animava, per esempio, le rivalità tra villaggi che intendevano ave re la moschea più grande e più bella, le fontane meglio sistemate e protette dagli sguardi, le feste più sontuose, le strade più pulite e così via. Ogni sorta di competizione rituale e istituzionalizzata forniva anche il pretesto a dei duelli d'onore, quale il tiro al ber saglio che era praticato in occasione di tutti gli eventi gioiosi - na scita di un maschio, circoncisione o matrimonio. Al momento del matrimonio, la scorta composta da uomini e donne che era inca ricata di andare a prendere la sposa in un villaggio o in una tribù vicina doveva superare successivamente due prove, la prima ri servata alle donne, da due a sei " ambasciatrici" rinomate per il loro talento, la seconda destinata agli uomini, da otto a venti buoni tiratori. Le ambasciatrici disputavano con le donne della famiglia o del villaggio della fidanzata un certame poetico in cui esse dovevano avere l'ultima parola: era compito della famiglia della fidanzata scegliere la natura e la forma della prova, sia enig mi sia gara di poesia. Gli uomini si affrontavano al tiro al bersa glio: il mattino del ritorno della scorta, mentre le donne prepara vano la sposa e ci si congratulava con il padre, gli uomini del cor teo dovevano rompere delle uova fresche (talora delle pietre piatte) disposte a grande distanza su un terrapieno o su un tron co d'albero; in caso di fallimento, la guardia d'onore del fidanza to ripartiva coperta di vergogna, dopo essere passata sotto il ba sto di un asino e aver versato una multa. Tali giochi avevano an che una funzione rituale, come testimoniano, da una parte, il for malismo rigoroso del loro svolgimento e, dall'altra, le pratiche magiche alle quali davano luogo.10 Se ogni offesa è una sfida, ogni sfida, lo vedremo, non è un ol traggio e un'offesa. La competizione d'onore può essere infatti collocata in una logica molto vicina a quella del gioco o della scommessa, logica ritualizzata e istituzionalizzata. Ciò che è in 10. Attraverso diversi procedimenti le vecchie streghe stregavano le uova in modo che rimanessero " vergini" . Per rompere l'incantesimo, si foravano le uova con un ago (cfr. S. Rahmani, "Le tyr à la cible et leni/ en Kabylie", in Revue a/ricai ne, xcm, l e 2° trimestre 1949, pp. 126-132). Nella logica del sistema rituale, il fu cile e il colpo sparato (come l'ago) sono associati alla sessualità virile. Tutto sembra indicare che, come in numerose altre società, (cfr. per esempio G. Bateson, Naven: un rituale di travestimento in Nuova Guinea, tr. it. Einaudi, Torino 1988), il naso (ni/), simbolo della virilità maschile, è anche un simbolo fallico. o
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gioco allora è il punto d'onore, il m/, volontà di sorpassare l'altro in un combattimento da uomo a uomo. Secondo la teoria dei giochi, il buon giocatore è colui che presuppone sempre che il suo awersario saprà scoprire la strategia migliore e che regola il proprio gioco di conseguenza; nello stesso modo al gioco dell'o nore la sfida e la risposta implicano che ogni antagonista scelga di giocare il gioco e di rispettame le regole, supponendo nello stesso tempo che il proprio awersario sia capace della stessa scelta. La sfida propriamente detta e così pure l'offesa presuppongo no, come il dono, la scelta di giocare a un gioco determinato in modo conforme a talune regole. n dono è una sfida che onora co lui al quale si rivolge, mettendo al contempo alla prova il suo pun to d'onore; quindi allo stesso modo disonora se stesso colui che offende un uomo incapace di rispondere e colui che fa un dono eccessivo, poiché esclude la possibilità di un contro-dono. n ri spetto della regola impone in entrambi i casi che sia lasciata una possibilità di rispondere, in poche parole che la sfida sia ragione vole. Ma dono e sfida costituiscono al contempo una provocazio ne e una provocazione alla risposta: "Gli ha provocato vergogna", dicevano, secondo Marcy, i berberi marocchini a proposito del dono in forma di sfida (tawsa) che contraddistingueva le grandi occasioni. Colui che ha ricevuto il dono o subìto l'offesa è preso nell'ingranaggio dello scambio e deve adottare una condotta che, qualsiasi cosa faccia, sarà una risposta (anche per difetto) alla pro vocazione costituita dall'atto iniziale.11 Può scegliere di prolunga re lo scambio o di rompere (cfr. lo schema p. 23 ) . Se obbedendo al punto d'onore opta per lo scambio, la sua scelta è identica alla 1 1 . G. Marcy, "Les vestiges de la parenté matemelle en droit coutumier berbè re et le régime cles successions touarègues", in Revue africaine, 85, 1941, pp. 1872 1 1 . Uno dei paradossi della comunicazione consiste nel fatto che bisogna ancora comunicare per segnalare il rifiuto di comunicare e ogni civiltà dispone di una sim bologia della non-comunicazione. Tra i cabili si tratta essenzialmente di voltare le spalle- in contrapposizione al fatto di porsi di fronte (qabe{), atteggiamento pro prio dell'uomo d'onore -, di rifiutare di parlare ("Non si parlano: è come tra il gat to e il topo"). Per esprimere l'aggressione simbolica o la provocazione, si dice: "Pi scio su di te" (a k bashegh); "piscio sulla tua strada". Di colui che non ha riguardo per l'onore della sua famiglia, si dice: "Urina sul lembo (del suo vestito)". Si dice anche con un senso più forte, ed/i, sporcare (in senso letterale, applicare degli escrementi di vacca sui boccioli per proteggerli dagli animali). Tra donne, la sfida o l'insulto viene espresso con l'atto di "alzare il proprio abito" (shemmer). 22
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DON O
SFIDA
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CONSTATAZIONE E CONTROLLO DEL GRUPPO
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MESSAIN iSCUSS IONE DELL'AM RPROPRIO disonore virtuale (momento passivo)
ATTACC OALL'AMORPROPRIO disonore virtuale (momento passivo)
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RIFIUTO DEL coNTRO-OONO disprezzo
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REPLICA COME SFIDA (momento attivo)
ASSENZA DI REPLICA disonore
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SANZIONE SIMBOLICA
PRESSIONE DEL GRUPPO
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ecc.
ecc.
TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
scelta iniziale del suo avversario; accetta così di giocare al gioco che può continuare all'infinito: la risposta è infatti di per sé una nuova sfida. Si racconta dunque che un tempo, appena compiuta la vendetta, tutta la famiglia salutava con dei festeggiamenti la fine del disonore, thuqdha an-tsasa, vale a dire contemporaneamente il sollievo dal malessere che si aveva al "fegato" a causa dell'offesa e anche la soddisfazione del desiderio di essere vendicati: gli uomi ni sparavano in aria, le donne emettevano degli yu-yu, proclaman do in tal modo che la vendetta era stata compiuta, affinché tutti potessero vedere come una famiglia d'onore sa ripristinare pron tamente il proprio prestigio e affinché anche la famiglia nemica non avesse alcun dubbio sull'origine della propria disgrazia. Qual è l'utilità della vendetta se resta anonima? AJemaa-Saharij si con serva il ricordo di un thamgart (vendetta del sangue) che durò al l'incirca dal 193 1 fino al 1945 nella tribù degli Ath Khellili (Ath Zellal). "Era cominciata così: due fratelli avevano ucciso due fra telli di un'altra famiglia. Per far credere di essere stati assaliti, uno dei due fratelli aveva ferito l'altro. Furono condannati uno a otto anni di prigione, l'altro a una pena lievemente inferiore. Quando il secondo fu liberato (il più influente della famiglia), si voltava a ogni passo, spiava intorno a sé senza sosta, era sempre in guardia. Fu ucciso da un assassino prezzolato. Un terzo fratello che era mi litare schiacciò la testa di un membro dell'altra famiglia con una pietra. Le due famiglie minacciavano di sterminarsi reciproca mente. C'erano già state otto vittime (fra cui i quattro già menzio nati). I marabutti furono incaricati di tentare di sedare il conflitto. Avevano esaurito le parole utili a lenire, e il terzo fratello, il milita re, rimaneva deciso a non cedere e a prolungare la lotta. Venne sollecitata la mediazione di un notabile di una tribù vicina che era stato caid e che era rispettato da tutti. Costui andò a trovare il re calcitrante e gli fece una predica. 'La tua testa è nel delu (imbuto che porta il grano nella macina ); alla prossima occasione la tua te sta passerà nella macina.' ll giovane ebbe una sorta di crisi; offriva la propria testa. Gli si chiese di dire solennemente che era d' ac cordo per mettere fine allo sterminio. Venne pronunciata la /atiha. * Alla presenza di tutto il villaggio riunito venne sacrificato * Dichiarazione di fede, dovere di ogni musulmano. Essa è così chiamata per ché è il primo versetto del Corano (la radice f-t-h significa infatti aprire). [NdT] 24
ll. SENSO DELL'ONORE
un bue. n giovane militare offrì dei soldi ai marabutti. E il cuscus fu mangiato da tutta la comunità" (racconto di uno dei protagoni sti). È evidente che l'intervento del gruppo si impone quando i sottogruppi minacciano di scomparire. Dato che la logica della sfida e della risposta porterebbe al prolungamento all'infinito del conflitto, è importante in ogni caso trovare una via d'uscita onore vole che non getti alcuna delle due parti nel disonore e che, senza mettere in questione gli imperativi dell'onore, autorizzi a sospen derne in modo circostanziale l'esercizio. n compito della concilia zione incombeva sempre sul gruppo inglobante o su dei gruppi "neutri", stranieri o famiglie marabuttiche. Così, fintantoché il dissidio si colloca nell'ambito della famiglia estesa, i saggi dettano la condotta e placano il conflitto. Talvolta infliggono una sanzione all'individuo recalcitrante. Quando il conflitto sopravviene tra due famiglie estese, le altre famiglie dello stesso adhrum* si sforza no di lenirlo. Insomma, la logica della conciliazione è la medesima logica del conflitto tra sezioni del lignaggio il cui principio fonda mentale è contenuto nel proverbio: "Odio mio fratello, ma odio colui che lo odia". Quando uno dei due campi era di origine ma rabuttica, erano dei marabutti stranieri che venivano a invitare al la pace. Le guerre tra i due "partiti" obbedivano alla stessa logica della vendetta. Essa consiste nel fatto che quest'ultima non è mai, per dirlo in modo appropriato, individuale, poiché l'attore della vendetta è sempre incaricato dal sotto-gruppo di cui fa parte. n conflitto poteva talora prolungarsi per diversi decenni. "Mia non na mi raccontava" , riporta un informatore diJemaa-Saharij di cir ca sessant'anni, "che il su/ u/ella (dell'alto) aveva trascorso venti due anni fuori dalla propria casa nella valle di Hamrawa. Capitava infatti che il su/ ('partito') battuto dovesse sloggiare con donne e bambini. In generale, la contrapposizione tra i 'partiti' era così ri gida e inflessibile che i matrimoni erano impossibili. Tuttavia a volte, per suggellare la pace tra due famiglie o due 'partiti', la fine della lotta era sanzionata da un matrimonio tra due famiglie in fluenti. In questo caso non vi era disonore. Per suggellare la pace dopo un conflitto, i due 'partiti' si riunivano. I capi dei due campi portavano un po' di polvere da sparo; era messa in due canne che venivano scambiate. Era l'aman della pace." * Come indicato successivamente il termine indica il clan. [NdT]
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TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
La scelta dell'altro ramo dell'alternativa può rivestire signifi cati diversi e persino opposti. L'offensore può attraverso la pro pria forza fisica, il suo prestigio o l'importanza e l'autorità del gruppo a cui appartiene, essere superiore, pari o inferiore all'of feso. Se la logica dell'onore presuppone il riconoscimento di una parità ideale nell'onore, la coscienza popolare non ignora però le diseguaglianze reali. A colui che esclama: "Anch'io ho i baffi", il proverbio risponde: "I baffi della lepre non sono quelli del leo ne... ". Inoltre, si assiste allo sviluppo di una casistica spontanea, infinitamente raffinata, che è necessario analizzare qui. Si dia il caso in cui l'offeso abbia, almeno idealmente, i mezzi per rispon dere: se si mostra incapace di raccogliere la sfida lanciata (che si tratti di un dono o di un'offesa), se per pusillanimità o debolezza si sottrae e rinuncia alla possibilità di rispondere, sceglie in qual che modo di fare il proprio disonore che è a quel punto irrime diabile (ibahdal imanis o simanis). Si dichiara vinto al gioco cui avrebbe dovuto giocare nonostante tutto. Ma la mancata rispo sta può esprimere anche il rifiuto di rispondere: colui che ha su bito l'offesa rifiuta di giudicarla in quanto tale e, con il proprio disprezzo, che può manifestare facendo appello a un assassino prezzolato, la fa ricadere sul suo autore, il quale si trova così di sonorato.12 Allo stesso modo, nel caso del dono, colui che lo rice ve può indicare che rifiuta lo scambio sia respingendo il dono, sia restituendo subito o a termine un contro-dono esattamente identico al dono. In questo caso di nuovo lo scambio cessa. In poche parole, in tale logica, solo il rilancio, la sfida che risponde alla sfida, può indicare la scelta di giocare al gioco, secondo la re gola della sfida e della risposta sempre rinnovate. Si dia adesso il caso in cui l'offensore abbia indiscutibilmente il sopravvento sull'offeso. li codice dell'onore e l'opinione pub blica incaricata di farlo rispettare esigono dall'offeso solo che egli accetti di giocare al gioco: sottrarsi alla sfida è l'unico atteggia mento condannabile. Dopo tutto non è necessario che l'offeso trionfi sull'offensore per essere riabilitato agli occhi dell'opinione 12. Cfr. il primo racconto, pp. 11-13. "Una famiglia è perduta, si dice, se non comprende almeno uno sbruffone." Poiché l'uomo d'onore non può accondiscen dere a raccogliere gli insulti di un individuo indegno e non è tuttavia al riparo delle offese, soprattutto in città, occorre che possa spingere uno sbruffone contro un al tro sbruffone. 26
n.. SENSO DELL'ONORE
pubblica: non si biasima il vinto che ha fatto il proprio dovere; in fatti, se è vinto secondo la legge del combattimento, è vincitore secondo la legge dell'onore. Inoltre, elbahadla ricade sull'offen sore che per di più è uscito vincitore dal confronto, abusando co sì doppiamente della propria superiorità. L'offeso può anche ri gettare elbahadla sul suo offensore senza ricorrere alla risposta. A tal fine gli è sufficiente adottare un atteggiamento di umiltà che, mettendo l'accento sulla sua debolezza, lascia emergere il caratte re arbitrario, abusivo e smisurato dell'offesa. Evoca così incon sciamente più che in modo consapevole il secondo corollario del principio della parità nell'onore che afferma che colui che offen de un individuo incapace di raccogliere la sfida disonora se stes so.13 Tale strategia è ammissibile evidentemente solo a condizione che agli occhi del gruppo non ci siano equivoci sulla disparità tra i due antagonisti; è normale per quegli individui che sono ricono sciuti come deboli dalla società, i clienti (yadh itsumuthen, coloro che si appoggiano su) o per i membri di una famiglia di dimensio ni esigue (ita 'fanen, i magri, i deboli). Si dia infine il caso in cui l'offensore sia inferiore all'offeso. Costui può rispondere, trasgredendo il terzo corollario del prin cipio della parità nell'onore; ma se abusa del proprio vantaggio, si espone a raccogliere per sé il disonore che in condizioni nor mali sarebbe ricaduto sull'offensore sconsiderato e incosciente, sull'individuo disprezzato (amah qur) e presuntuoso. La saggez za gli consiglia piuttosto la "mossa del disprezzo" .14 Deve, come si usa dire, "!asciarlo abbaiare finché non si stanchi" e "rifiutare di competere con lui". Poiché la mancata risposta non può esse re attribuita alla viltà o alla debolezza, il disonore ricade sull'of fensore presuntuoso. Benché tutti i casi esaminati possano essere illustrati da un gran numero di osservazioni o di racconti, resta il fatto che di so lito le differenze non sono mai molto nette, cosicché tutti posso no giocare, di fronte all'opinione pubblica che è giudice e com13. Cfr. il secondo racconto pp. 13-14. 14. Se l'insieme delle analisi proposte in questo studio rimanda continuamente il lettore occidentale alla propria tradizione culturale, non bisogna però minimizza re le differenze. Per questo motivo, salvo nei casi in cui erano necessarie, come qui, ci siamo imposti di evitare di suggerire gli accostamenti per paura di spingere a identificazioni etnocentriche fondate su analogie superficiali.
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TRE STIJDI DI ETNOLOGIA CABILA
plice, sulle ambiguità e sugli equivoci del comportamento: in tal modo dato che la distanza tra la mancata risposta ispirata dal ti more e il rifiuto di rispondere in segno di disprezzo è spesso mi nima, il disdegno può sempre servire a mascherare la pusillani mità. Ma ogni cabilo è maestro nella casistica e il tribunale del l' opinione pubblica può sempre decidere. n motore della dialettica dell'onore è quindi il ni/ che induce alla scelta della risposta. Ma effettivamente, oltre al fatto che la tradizione culturale non offre alcuna possibilità di sfuggire al co dice dell'onore, è al momento della scelta che la pressione del gruppo viene esercitata con maggior forza: pressione dei mem bri della famiglia in primo luogo, pronti a sostituirsi a colui che vacilla, perché, come la terra, l'onore è indiviso e l'infamia del l'uno tocca tutti gli altri; pressione dell'intero clan o del villag gio, pronto a biasimare e condannare la viltà o la compiacenza. Quando un uomo si trova costretto a vendicare un'offesa, tutti attorno a lui evitano con cura di ricordarglielo. Ma tutti l' osser vano per tentare di indovinare le sue intenzioni. Un malessere pesa su tutti i suoi fino al giorno in cui davanti al consiglio riuni to sotto sua richiesta o sotto richiesta del più anziano espone i suoi disegni. Molto spesso gli si offre aiuto sia dandogli dei soldi per pagare un "assassino prezzolato" sia accompagnandolo se vuole vendicarsi con le proprie mani. L'usanza vuole che egli re spinga la proposta d'aiuto e chieda solamente che, in caso egli fallisca, qualcun altro prosegua il suo compito interrotto. L'ono re esige infatti che, tutti i membri della famiglia, se ce n'è biso gno, si impegnino uno dopo l'altro, come le dita della mano se condo l'ordine di parentela, nel compimento della vendetta. Quando l'offeso dimostra minore determinazione e, pur senza rinunciare pubblicamente alla vendetta, ne differisce senza posa l'esecuzione, i membri della sua famiglia cominciano a preoccu parsi; i più saggi si consultano e uno di loro è incaricato di ricor dargli il suo dovere, intimandogli e ingiungendogli di vendicarsi. Nel caso in cui questo richiamo all'ordine resti senza risultato, si arriva alla minaccia. Qualcun altro compirà la vendetta al posto dell'offeso che sarà disonorato agli occhi della gente e ritenuto responsabile dalla famiglia nemica e perciò minacciata a sua vol ta dalla thamgart (vendetta del sangue). Capendo che si espone alle conseguenze congiunte della viltà e della vendetta, non può 28
n. SENSO DELL'ONORE
che rassegnarsi, come si dice, "all'indietro" o scegliere l'esilio15 (Ait Hishem). n sentimento dell'onore è vissuto davanti agli altri. n ni/è prima di tutto ciò che porta a difendere a qualsiasi prezzo una certa im magine di sé destinata agli altri. "L'uomo perbene" (argaz el 'alz) deve stare in guardia senza posa; occorre che misuri le proprie pa role che "simili alla pallottola che esce dal fucile non tornano in dietro"; e ciò tanto più dato che ogni suo atto e ogni sua parola coinvolgono tutto il suo gruppo. "Se alle bestie si lega la zampa, agli uomini si lega la lingua. " L'uomo che non vale nulla è al contra rio colui del quale si dice "ithatsu", "ha l'abitudine di dimentica re". Dimentica la propria parola (awal), cioè ciò per cui si è impe gnato, i suoi debiti d'onore, i suoi doveri. "Un uomo degli llmayen diceva una volta che avrebbe desiderato avere il collo lungo come quello di un cammello; così le sue parole, partendo dal cuore, avrebbero avuto un lungo cammino da percorrere prima di arriva re alla lingua, che gli avrebbe lasciato il tempo di riflettere." Sigriliì cava indicare tutta l'importanza accordata alla parola data e alla fe de giurata. "L'uomo che dimentica, dice il proverbio, non è un uo mo." Dimentica e dimentica se stesso (ithatsu imanis); si dice an che: "Mangia i propri baffi " ; dimentica i propri antenati e il rispet to che deve loro e il rispetto che deve a se stesso per essere degno di loro (Gli Isser). L'uomo sprovvisto di rispetto per se stesso (mabla el' ardh, mabla lahay, mabla erya, mabla elhashma) è colui che lascia trasparire la propria intimità con i suoi affetti e le sue debolezze. Al contrario, l'uomo saggio è colui che sa tenere i segreti, che a ogni momento dà prova di prudenza e discrezione (amesrur; amaharuz nessar, che tiene gelosamente i segreti) . La sorveglianza continua di sé è indispensabile per obbedire a quel precetto fondamentale 15. n cugino di un marito compiacente (chiamato radhi, il consenziente, o mul ta'lem, colui che sa) diceva un giorno a un altro: "Che cosa vuoi, quando hai un fratello che non ha ni/. non gli puoi mettere un ni/ di terra!". E continuava: "Se mio cugino fosse invalido, sarebbe normale che lo vendicassi. Ma accumula e se ne infischia. Non andrò ai lavori forzati o mi rovinerò per causa sua ! " (El &laa) . n ti more della giustizia francese, l'indebolimento del sentimento di solidarietà familia re e il contagio di un altro sistema di valori hanno portato i cabili a rinunciare spes so all'antico codice d'onore. Nella società antica l'onore era indiviso, come la terra familiare. Parallelamente alla tendenza a rompere la comunione della proprietà fa miliare, che si è manifestata in maniera sempre più forte, si è sviluppata l'idea che la difesa dell'onore sia un affare solo individuale. 29
TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
della morale sociale che vieta di distinguersi dalla comunità, che chiede di annullare per quanto possibile la propria personalità profonda nella sua specificità e particolarità, nascondendola sotto un velo di pudore e discrezione. "Solo il diavolo (Shitan) dice io" ; "solo il diavolo inizia da se stesso" ; "l'assemblea (thajma'th) è l'as semblea; solo l'ebreo è solo" . In tutti questi modi di dire si esprime lo stesso imperativo, quello che impone la negazione della propria intimità e che si realizza ugualmente nell'abnegazione della solida rietà e dell'aiuto reciproco, nella discrezione e nel pudore della buona creanza. In contrapposizione a colui che, incapace di mo strarsi all'altezza di se stesso, manifesta impazienza o collera, parla a vanvera o ride in modo sconsiderato, cade nella precipitazione o nell'agitazione disordinata, si affretta senza riflettere, si dimena, grida, vocifera (elhamaq), insomma, si abbandona al primo istinto, non è fedele a se stesso, viene meno all'immagine di dignità, distin zione e pudore, virtù che si riassumono tutte in una parola, elhash ma, l'uomo d'onore è definito essenzialmente in base alla fedeltà a se stesso, alla preoccupazione di essere degno di una certa immagi ne ideale di sé. Ponderato, prudente, moderato nel linguaggio, pe sa sempre i pro e i contro (amiyaz contrapposto a a/er/er, colui che volteggia, l'uomo leggero, oppure ad ashettah, colui che balla), dà in modo franco la propria parola e non elude le proprie responsa bilità con un wissen, "forse" , "chissà ? " , risposta che si addice esclusivamente alle donne. È colui che mantiene la parola e la man tiene con se stesso, colui di cui si dice " è un uomo di parola" (argaz, d'wawal) (El Kalaa). li punto d'onore è il fondamento della morale propria di un individuo che si percepisce sempre sotto lo sguardo degli altri, che ha bisogno degli altri per esistere, perché l'immagi ne che forma di sé non potrebbe essere distinta dall'immagine di sé che gli è rinviata dagli altri. "L'uomo [è uomo] attraverso gli uomi ni; [solo] Dio, dice il proverbio, [è Dio] grazie a se stesso" (Argaz sirgazen, Rabbi imanis). L'uomo d'onore (a'ardhi) è al contempo l'uomo virtuoso e l'uomo con una buona fama. La rispettabilità ri spetto alla vergogna è definita essenzialmente dalla sua dimensio ne sociale, deve perciò essere conquistata e difesa di fronte a tutti; audacia e generosità (elhanna) sono i valori supremi, mentre il ma le risiede nella debolezza e pusillanimità, nel subire l'offesa senza esigere riparazione. Inoltre, è essenzialmente la pressione dell'opinione pubblica che
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ll. SENSO DELL'ONORE
fonda le dinamiche degli scambi d'onore. Colui che rinuncia alla vendetta smette di esistere per gli altri. È per questo che l'uomo me no provvisto di "cuore" (u[) ha sempre sufficiente hashma (vergo gna, pudore), per quanto scarsa essa sia, per vendicarsi. Le formule utilizzate per indicare il disonore sono significative: "Come potrei presentarmi davanti (qabel) alla gente?", "Non potrei più aprire bocca davanti alla gente", "La terra non mi inghiottirà dunque!", " l miei vestiti sono scivolati via dal mio corpo". La paura del biasi mo collettivo e della vergogna (el'ar, lahya, el'ib ula yer medden), versante negativo del punto d'onore, è tale da spingere l'uomo più sprovvisto di punto d'onore a conformarsi, costretto e forzato, agli imperativi dell'onore.16 In gruppi dove tutti si conoscono quale il villaggio cabilo, il controllo dell'opinione pubblica si esercita in tut ti i momenti: "Dire che i campi sono vuoti (deserti), significa essere privi di buon senso". Imprigionato in questo microcosmo chiuso dove tutti conoscono tutti, condannato in modo inesorabile a vive re con gli altri, sotto lo sguardo degli altri, ogni individuo prova un'ansia profonda riguardo alla "parola della gente" (awal med den), "pesante, crudele e inesorabile" (gli Isser). È l'opinione pub blica onnipotente che decide la realtà e la gravità dell'offesa; è que sta che esige in modo sovrano la riparazione; per esempio, il ladro che penetra in una casa abitata, a differenza di colui che si impadro nisce dei cereali o delle bestie lasciate all'esterno, si espone alla ven detta del sangue; e ciò perché la gente sarà pronta a insinuare che l'onore delle donne non è stato rispettato. In tal modo l'attenzione affascinata per il comportamento altrui così come l'ossessione ri guardo al loro giudizio rendono inconcepibile o disprezzabile qual siasi tentativo di affrancarsi dagli imperativi dell'onore. Poiché ogni scambio racchiude una sfida più o meno dissimu lata, la logica della sfida e della risposta non è che il limite verso il quale tende ogni atto di comunicazione e, in particolare, lo scam bio di doni.17 Ma alla tentazione di sfidare e di avere l'ultima pa16. Di un uomo che tarda a compiere un dovere, nel Béam si dice: bisognerà che lo faccia "per vergogna o per onore": detto altrimenti il timore della vergogna gli imporrà ciò che il senso dell'onore non riesce a ispirargli. 17. Ridurre alla loro funzione di comunicazione - se non altro attraverso il tra sferimento di schemi e di concetti presi in prestito alla linguistica o alla teoria della comunicazione - dei fenomeni quali la dialettica della sfida e della risposta e, più in generale, lo scambio di doni, di parole o di donne, equivarrebbe a ignorare l'ambi valenza strutturale che li predispone a rivestire una funzione politica di dominio nel e attraverso il compimento della funzione di comunicazione. 31
TRE STIJDI DI ETNOLOGIA CABILA
rola fa da contrappeso la necessità di comunicare. Sottoporre l'altro a una prova troppo difficile, significa esporsi al pericolo di vedere lo scambio interrotto. Inoltre, la comunicazione viene esercitata nel compromesso tra il contratto e il conflitto. Lo scam bio generoso tende all'assalto di generosità; il dono più generoso è nello stesso tempo quello che più facilmente getta nel disonore colui che lo riceve impedendogli ogni contro-dono. Perciò la tawsa, dono fatto dagli invitati in occasione delle grandi feste fa miliari e proclamato pubblicamente, spesso dà luogo a competi zioni d'onore e a rilanci rovinosi. Per evitare questo, accade che ci si metta d'accordo riguardo a un ammontare massimo di doni. Così pure, in occasione di matrimoni e circoncisioni, le famiglie considerano un punto d'onore fare le feste più sontuose possibili, a rischio di andare in rovina. Questo accade in particolare quan do una ragazza si sposa al di fuori del proprio villaggio. L'emula zione entra in gioco anche tra i membri di una stessa famiglia, per esempio, tra le donne (cognate, madre) per il matrimonio di una ragazza. Mi è stato riferito che nel 19J8 un uomo della tribù degli Ath Waghlis ha speso in doni, effettuati in occasione del primo parto di sua figlia, più di 3000 franchi, vale a dire 1400 uova, 15 volatili, 300 franchi di carne di montone, 20 chili di carne salata, 20 chili di grasso, olio, caffè, semola, 25 vestiti ecc. Un altro uo mo della stessa tribù ha venduto, per rendere onore a sua figlia nella medesima circostanza, l'unico campo che gli rimaneva. Ma generalmente si è d'accordo nel denunciare "il punto d'onore del diavolo", nz/ neshitan, o il punto d'onore stupido (thihu:ait) che porta a prendersela o a offendersi per un nonnulla, a coinvolgere il proprio onore in affari futili e a lasciarsi andare a rilanci rovino si. "Nessuno incorre nella vergogna, si dice, se deve perderei", se deve rovinarsi per la vanagloria (urits-sathhi had galmadharas). Ma se, dato che mette in gioco il punto d'onore, lo scambio porta sempre in sé il conflitto virtuale, il conflitto d'onore resta sempre scambio, come testimonia la distinzione molto netta che viene fatta tra lo straniero e il nemico. Poiché tende a sacrificare la vo lontà di comunicare con gli altri alla volontà di dominarli, il pun to d'onore porta sempre in sé il rischio della rottura; ma nello stesso tempo è esso che spinge a continuare lo scambio con lo scopo di avere l'ultima parola. Se l'offesa non contiene necessariamente in se stessa il disono re, è perché lascia la possibilità della risposta, possibilità afferma32
n. SENSO DELL'ONORE
ta e riconosciuta dall'atto stesso dell'offendere. Ma il disonore, che rimane virtuale fintantoché resta la possibilità della risposta, diventa sempre più reale nella misura in cui si tarda a vendicarsi. Inoltre, l'onore richiede che il tempo che separa l'offesa dalla ri parazione sia il più breve possibile: una famiglia numerosa ha in fatti abbastanza braccia e coraggio da non adattarsi a una lunga attesa; conosciuta per il suo ni/, per la sua suscettibilità e la sua ri soluzione, essa è anche al riparo dall'offesa, poiché, a causa della minaccia che fa pesare sempre sui suoi eventuali aggressori, appa re capace di associare nello stesso momento la risposta e l'offesa. Per esprimere il rispetto che ispira una famiglia perbene, si dice che essa può "dormire lasciando la porta aperta" oppure anche che "le sue donne possono passeggiare da sole con una corona d'oro in capo senza che alcuno pensi ad aggredirle" . L'uomo d'onore, colui di cui si dice che compie "il suo ruolo di uomo" (thirugza) sta sempre in guardia; quindi è al riparo dall'attacco più impreve dibile e " anche quando è assente, c'è qualcuno nella sua casa" (El Kalaa). Ma nulla è così semplice. Così si narra che Jeha, personag gio leggendario, rispose a uno che gli aveva domandato quando aveva vendicato suo padre: "Dopo cent'anni". Viene riferita an che la storia del leone che avanza sempre a passi misurati: "Non so dove sia la mia preda, dice. Se è davanti a me, un giorno finirò per prenderla; se è dietro di me, mi raggiungerà" . Benché ogni affare d'onore considerato dal di fuori e come /atto compiuto, cioè dal punto di vista dell'osservatore esterno, si presenti come una se quenza regolata e rigorosamente necessaria di atti obbligati che può essere dunque descritta come un rituale, resta il fatto che ognuno dei suoi momenti, la cui necessità si rivela post festum, è oggettivamente il risultato di una scelta e l'espressione di una stra tegia. Ciò che viene chiamato il senso dell'onore non è altro che la disposizione coltivata, l'habitus, che permette a ogni agente di ge nerare, a partire da un piccolo numero di principi impliciti, tutti i comportamenti conformi alle regole della logica della sfida e della risposta e ciò solo grazie ad altrettante invenzioni che non esige rebbero per nulla lo svolgimento stereotipato di un rituale. ln altri termini, se non esiste alcuna scelta che non possa essere spiegata per lo meno retrospettivamente, questo non significa che ogni comportamento sia perfettamente prevedibile, a guisa degli atti inseriti nelle sequenze rigorosamente stereotipate di un rito. Ciò 33
TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABll.A
vale non solo per l'osservatore ma anche per gli agenti che trovano nella relativa imprevedibilità delle possibili risposte l'occasione di mettere in opera le loro strategie. Ma non esiste nulla, neppure negli scambi più ritualizzati, dove ogni momento dell'azione e il suo svolgimento sono rigorosamente previsti, che non possa auto rizzare uno scontro di strategie, nella misura in cui gli agenti resta no padroni dell'intervallo tra i momenti obbligati e possono agire sull'avversario giocando sul ritmo dello scambio. È noto che il fat to di restituire un dono immediatamente, cioè di abolire l'inter vallo, equivale a rompere lo scambio. Occorre comunque prende re sul serio l'insegnamento che racchiudono le parabole del leone e diJeha: la padronanza perfetta dei modelli del modo di obbedire ai modelli, la quale definisce l'eccellenza, si esprime nel gioco con il tempo che trasforma lo scambio ritualizzato in uno scontro di strategie. Così, si sa che, in occasione del matrimonio, il capo della famiglia a cui si chiede una ragazza deve rispondere immediata mente in caso di rifiuto, ma che egli differisce sempre un po' la ri sposta quando abbia intenzione di accettare: facendo questo, si dà la possibilità di perpetuare per quanto possibile il vantaggio congiunturale (legato alla sua posizione di sollecitato) che può coesistere con un'inferiorità strutturale (la famiglia sollecitata es sendo spesso di rango inferiore rispetto a quella che chiede in ma trimonio) e che si traduce concretamente nello squilibrio iniziale, progressivamente ribaltato attraverso i doni scambiati tra le due famiglie. Nello stesso modo il fine stratega può trasformare un ca pitale di provocaz�oni ricevute o di conflitti sospesi e della virtuale possibilità di vendetta, di risposte o di conflitti che racchiude, in uno strumento di potere, riservandosi l'iniziativa della ripresa e anche della cessazione delle ostilità. PUNTO D'ONORE E ONORE: NIF E HURMA
Se alcune famiglie e alcuni individui sono al riparo dall'offesa in quanto aggressione intenzionale contro l'onore, non esiste al cun individuo che non possa cadere vittima dell'oltraggio in quanto attacco involontario all'onore. Ma la semplice sfida lancia ta al punto d'onore (thirz.i nennif, il fatto di sfidare, senni/, per il nif, allora! Ti sfido ! ) non è l'offesa che attenta all'onore (thuksa 34
IL SENSO DELL'ONORE
nesser; tbuksa laqdbar o tbirzi laqdbar, il fatto di togliere o di in frangere il rispetto o tbirzi el burma, il fatto di gettare nel disono re). Viene ribaltato in derisione l'atteggiamento di quel parvenu ignorante delle regole dell'onore che, per cercare di porre rime dio a un attacco alla burma, rispose sfidando il suo offensore alla corsa o a disporre per terra più biglietti da mille franchi di lui. Si gnificava infatti confondere due ordini assolutamente estranei, l'ordine della sfida e l'ordine dell'offesa, in cui sono in gioco i va lori più sacri e che si organizza secondo le categorie più fondamen tali della cultura, quelle che ordinano il sistema mitico-rituale. L'onore, ciò che rende il gruppo vulnerabile, si oppone al pun to d'onore, ciò attraverso cui può rispondere all'oltraggio. Viene fatta una netta distinzione tra il ni/, il punto d'onore, e la burma, l'onore, l'insieme di ciò che è baram, ciò che è proibito, insomma il sacro. Dunque ciò che rende il gruppo vulnerabile è ciò che possiede di più sacro. Mentre la sfida tocca solo il punto d'ono re, l'oltraggio è violazione delle proibizioni, sacrilegio. Inoltre, l'attacco alla burma esclude gli arrangiamenti o le scappatoie. In generale, si rifiutava con forza la diya, compenso versato dalla fa miglia dell'assassino alla famiglia della vittima. Di colui che l'ac cetta si dice: "È un uomo che ha accettato di mangiare il sangue di suo fratello; per lui conta solo lo stomaco" (Ain Agbbel). La diya è accettata solo per affari esterni alla burma. Quindi è attra verso il rigore con cui si impone che l'ingranaggio dell'oltraggio e della vendetta si differenzia dalla dialettica della sfida e della ri sposta. L'opinione pubblica decide in modo sovrano a titolo di testimone e di giudice tanto della gravità dell'offesa quanto della CONSTATAZIONE E CONTROLLO DEL GRUPPO
�
OLTRAGGIO, ATIACCO ALLA HURMA
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PRESSIONE DEL GRUPPO
SANZIONE SIMBOUCA
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RISPOSTA DEL NIF
31>
ASSENZA DI RISPOSTA
31>
(mancanza di ni/)
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ONORE RISTABILITO HURMA O SARR
(considerazione)
DISONORE
morte sociale ESILIO
TRE STIJDI DI ETNOLOGIA CABILA
vendetta appropriata. Nel caso di un attacco alla burma, anche qualora esso sia commesso indirettamente o inavvertitamente, 18 la pressione dell'opinione pubblica è tale che ogni altra via d'u scita diversa dalla vendetta è esclusa; in mancanza di questa, al vile sprovvisto di ni/non resta che il disonore e l'esilio. Se la bur ma è definita come qualcosa che può essere perduto o infranto (tbuksa elburma, tbirzi elburma, il fatto di togliere o infrangere la burma), in poche parole, come disonore virtuale, il ni/, pur senza mettere la burma al riparo da ogni attacco, permette di ristabilir la nella sua integrità. Perciò l'integrità della burma è funzione dell'integrità del n i/. Solo la vigilanza meticolosa e attiva del pun to d'onore (nif) è in grado di garantire l'integrità dell'onore (bur ma) - esposto per natura, in quanto sacro, all'oltraggio sacrile go - e di procurare la considerazione e la rispettabilità conferite dalla società a colui che ha abbastanza punto d'onore per tenere il proprio onore al riparo dall'offesa. L'onore nel senso della considerazione è detto sar: essar, è il segreto, il prestigio, l'influenza, la "gloria", la "presenza". Si dice di qualcuno che "essar lo segue e si diffonde intorno a lui" o an che che è protetto dalla "barriera di essar" (zarb essar): essar met te colui che lo detiene al riparo dalla sfida e paralizza l'eventuale offensore con la sua influenza misteriosa, con il timore (albiba) che ispira. Coprire di vergogna qualcuno è "togliergli essar" (si dice anche "togliergli labya, il rispetto"): essar, quel non so che che fa l'uomo d'onore, è tanto fragile e vulnerabile quanto im ponderabile. "li burnus* di essar, dicono i cabili, non è legato, è appena appoggiato"19 (Azeru n'sbmini). La burma nel senso di sacro (baram), il ni/, e la burma nel sen so di rispettabilità sono inseparabili. È così che più una famiglia 18. Dato che la hurma è sono certi aspetti identificabile allo haram, al sacro og gettivo, può essere violata per disattenzione. Si è visto per esempio che il furto in una casa abitata era particolarmente grave ed esigeva la vendetta perché costituiva un attacco alla hurma; il furto o la frode sul mercato costituiscono solo una sfida e un attacco all'amor proprio di colui che ne è vittima. Anche il villaggio ha la pro prio hurma che può essere infranta quando per esempio uno straniero è all'origine dello scandalo. * Si tratta di un mantello piuttosto ampio portato dagli uomini. [NdT] 19. O anche: "Essar è un seme di navone". ll seme di navone, piccolissimo e ro tondo, è estremamente fragile. Essar designa anche la grazia di una donna o di una ragazza.
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IL SENSO DELL'ONORE
è vulnerabile più deve avere nz/ per difendere i propri valori sacri e maggiori sono i meriti e la considerazione che l'opinione pub blica le accorda. Da ciò si capisce che, lungi dal contraddire o dall'impedire la rispettabilità, la povertà non fa che raddoppiare i meriti di colui che, benché possa cadere facilmente vittima dd l'oltraggio, riesce malgrado tutto a imporre il rispetto.20 In modo corrispondente il punto d'onore ha un significato e una funzione solo per un uomo per cui esistono cose sacre, delle cose che me ritino di essere difese. Un essere privo di sacro potrebbe fare a meno del punto d'onore, perché sarebbe in un certo senso invul nerabile.21 Insomma, se il sacro (hurma-haram) esiste solo attra verso il senso dell 'onore (ni/) che lo difende, il senso dell'onore trova la sua ragion d'essere nd senso dd sacro. Come si definisce il sacro (hurma-haram) che l'onore deve di fendere e proteggere? A questa domanda la saggezza cabila ri sponde: "La casa, la donna, i fucili". La polarità dei sessi così fortemente impressa in questa società a filiazione patrilineare si esprime nella bipartizione dd sistema di rappresentazioni e di 20. Ecco, secondo un anziano cabilo degli Ait 'idei, che l'aveva sentito da suo padre, il ritratto dell'uomo d'onore, ritratto assolutamente identico a quello che mi fece un membro della tribù degli Isser, ciò che fa credere si tratti di un personaggio mitico e esemplare la cui avventura è collocata ogni volta in un ambiente familiare: "C'era una volta un uomo che si chiamava Belkacem o Aissa e che, malgrado la sua povertà, era rispettato per la sua saggezza e la sua virtù. La sua influenza si esercita va su numerose tribù. Ogni volta che avveniva una lite o un combattimento egli as sumeva il ruolo di mediatore e placava il conflitto. I Ben Ali Sherif, grande famiglia della regione, erano gelosi della sua influenza e del suo prestigio, ancor più a causa del fatto che si rifiutava di rendere loro omaggio. Un giorno, la gente della tribù decise di provare a riconciliarli. Invitarono il più anziano dei Ben Ali Sherif insie me a Belkacem o Aissa. Quando quest'ultimo entrò, l'uomo anziano che si era già seduto gli disse ironicamente: 'Come sono belle le tue arkasen (plurale di arkas, rozze scarpe da aratore) ! ' Belkacem rispose: 'L'usanza vuole che gli uomini guardi no gli uomini in faccia, in viso, non i loro piedi. È il viso, l'onore dell'uomo che conta! ' A degli stranieri che gli domandavano come avesse acquisito la sua influen za sulla regione, Belkacem rispose: 'Per prima cosa mi sono guadagnato il rispetto di mia moglie, poi dei miei figli, poi dei miei fratelli e dei miei parenti, poi del mio quartiere, poi del mio villaggio; il resto è venuto da sé'". 21. È in questa logica che è possibile comprendere la riprovazione che circonda il celibe. In tal modo all'eguaglianza nell'onore corrisponde una sorta di eguaglian za nella vulnerabilità che si esprime per esempio nell'espressione spesso utilizzata per richiamare all'ordine il pretenzioso: "Tua madre non vale più della mia" (que sta formula ironica non va però confusa con l'insulto, "mia madre vale più della tua": ti sono superiore in tutto dato che ti sono superiore anche su questo punto, benché tutte le donne si equivalgano). 37
TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
valori in due principi complementari e antagonisti. Ciò che è ha ram (vale a dire, esattamente, tabù), è essenzialmente il sacro si nistro, cioè l'interno e, più precisamente, l'universo femminile, il mondo segreto, lo spazio chiuso della casa, in contrapposizione all'esterno, al mondo aperto della pubblica piazza (thajma'th) ri servato agli uomini. ll sacro destro sono essenzialmente "i fuci li", cioè il gruppo degli agnati, dei "figli dello zio paterno", tutti coloro la cui morte deve essere vendicata con il sangue e tutti co loro che devono compiere la vendetta del sangue. n fucile è l'in carnazione simbolica del ni/ inteso come ciò che può essere sfi dato e come ciò che permette di raccogliere la sfida.22 Così alla passività della burma, di natura femminile, si contrappone la su scettibilità reattiva del nzf, di natura virile. Se la burma si identifi ca al sacro sinistro, cioè essenzialmente al femminile, il nzf è la virtù virile per eccellenza. La contrapposizione tra il sacro destro e il sacro sinistro - co me la contrapposizione tra lo haram e il n i/ - non esclude tutta via la complementarità. È infatti il rispetto del sacro destro, del nome e della fama della famiglia agnatica, che ispira la risposta a tutte le offese contro il sacro sinistro. La burma non è solo ciò che ha un prezzo, ciò che è prezioso, ciò che è caro (el'azz), ciò che è più prezioso del più caro, dato che il valore sacro non si confonde con il valore affettivo. n dovere di difendere il sacro si impone come un imperativo categorico, che si tratti del sacro de stro, quale un membro maschio del gruppo, o del sacro sinistro, quale la donna, essere debole, impuro e malefico. L'uomo d'ono re compie la vendetta e lava l'affronto subìto a dispetto dei senti menti, ricevendo per questo l'approvazione completa del grup po. Si loda e si cita a esempio l'atteggiamento del padre, un certo Sidi Sherif, capo della grande famiglia marabuttica degli 'Am rawa, che aveva ucciso sua figlia colpevole e si dice ancora: "Ha del n i/ come Sidi Sherif". È il rispetto del sacro destro, cioè del l'onore gentilizio, che porta a vendicare l'offesa fatta al sacro si nistro, alla parte debole che rende il gruppo vulnerabile. 22. Un tempo in alcune regioni della Grande Cabilia la thajma'th (assemblea) costringeva gli uomini della tribù, sotto pena di un'anunenda, ad acquistare un fu. cile perché fossero in grado di difendere il loro onore e quello del gruppo. Colui che non obbediva, malgrado l'anunenda, era messo all'indice, disprezzato da tutti e considerato come "una donna". 38
ll. SENSO DELL'ONORE
n nt/ è quindi la fedeltà all'onore gentilizio, alla hurma nel senso della rispettabilità e della considerazione, al nome degli antenati e alla fama che si porta dietro, alla stirpe che deve rima nere pura da ogni contaminazione, che deve essere tenuta al ri paro dall'offesa così come dal matrimonio con una persona di condizione inferiore. Virtù cardinale, fondamento di tutto il si stema patrilineare, il ni/ è in effetti essenzialmente il rispetto del lignaggio di cui si intende essere degni. Più gli antenati sono stati valorosi o virtuosi, più si ha ragione di essere fieri e più si deve dunque essere pignoli sull'onore per essere all'altezza del loro valore e della loro virtù. Perciò la nascita, per quanto importante sia, non conferisce necessariamente la nobiltà; questa può essere acquisita attraverso la virtù e il merito. L'onorabilità e la purezza del lignaggio impongono dei doveri più che conferire dei privile gi. Coloro che hanno un nome, le persone con una buona di scendenza (ath la'radh) non hanno scuse. La contrapposizione tra lo haram e il m/, tra il sacro sinistro e il sacro destro, si esprime in diverse contrapposizioni corrispon denti: contrapposizione tra la donna, carica di poteri malefici e impuri, distruttivi e temibili, e l'uomo, investito di virtù benefi che, fecondanti e protettrici; contrapposizione tra la magia, affa re esclusivo delle donne, dissimulata agli uomini, e la religione, essenzialmente maschile; contrapposizione tra la sessualità fem minile, colpevole e vergognosa, e la virilità, simbolo di forza e di prestigio.23 La contrapposizione tra il dentro e il fuori, modo della contrapposizione tra il sacro destro e il sacro sinistro, si esprime concretamente nella distinzione marcata tra lo spazio femminile, la casa con il suo giardino, il luogo per eccellenza dello haram/4 spazio chiuso, segreto, al riparo dalle intrusioni e 23. n legame che unisce il ni/ e la virilità è particolarmente evidente nei giochi rituali quali il tiro al bersaglio, praticato in occasione della nascita di un bambino maschio, della circoncisione e del matrimonio (cfr. nota lO). 24. La soglia, punto di incontro tra due mondi antagonisti, è il luogo di nume rosi riti ed è tutto circondato da proibizioni. In alcune regioni della Cabilia solo i parenti possono varcarla. In ogni caso non si può superarla senza essere esplicita mente invitati a farlo. n visitatore si annuncia con un grido (come nel sud della Francia) oppure tossendo o battendo con i piedi. In alcune regioni (E/ Kseur, Sidi Aish), la consuetudine vuole che il parente lontano o il parente per via femminile (per esempio il fratello della sposa) che è introdotto per la prima volta in casa fac cia un'offerta simbolica chiamata "la vista" (thizni. Anche il villaggio è uno spazio sacro; vi si entra solo a piedi. 39
TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
dagli sguardi, e lo spazio maschile, la thajma'th, luogo dell'as semblea, la moschea, i campi o il mercato.25 Da un lato, il segreto dell'intimità, tutta velata di pudore, dall'altro, lo spazio aperto delle relazioni sociali, della vita politica e religiosa; da un lato, la vita dei sensi e dei sentimenti, dall'altro, la vita delle relazioni da uomo a uomo, del dialogo e degli scambi. Mentre nel mondo ur bano, dove lo spazio maschile e lo spazio femminile interferisco no, la clausura e il velo assicurano la protezione dell'intimità, nel villaggio cabilo, dove portare il velo è un'usanza ignota alla tra dizione/6 i due spazi sono separati in modo netto; la via che por ta alla fontana evita lo spazio degli uomini: nella maggior parte dei casi ogni clan (thakharrubth o adhrum) possiede la propria fontana, situata nel proprio quartiere o nell'ambito del proprio quartiere, in modo che le donne possano recarvisi senza rischia re di essere viste da un uomo esterno al gruppo (Ait Hishem); qualora non sia così, la funzione che altrove è propria della con trapposizione spaziale è qui impartita a un ritmo temporale: le donne vanno alla fontana a determinate ore, per esempio al cala re della notte, e si disapprova che un uomo vada a spiarle. La fontana è per le donne ciò che thajma'th è per gli uomini: è lì che si scambiano le notizie e chiacchierano essenzialmente di tutti gli affari intimi di cui gli uomini non potrebbero parlare senza diso nore e di cui sono informati solo grazie alla loro mediazione. ll posto dell'uomo è fuori, nei campi o nell'assemblea, in mezzo agli uomini: è questa una cosa che viene insegnata molto presto al bambino maschio. È considerato sospetto chi rimane troppo a casa durante il giorno. L'uomo rispettabile deve farsi vedere, 25. Si racconta che un tempo le donne andassero da sole al mercato: ma, dato che sono molto chiacchierone, il mercato si prolungava fino al mercato della setti mana successiva. Allora un giorno gli uomini scesero con dei bastoni e misero fine alle chiacchiere delle loro donne ... Si noti che il "mito" "spiega" la divisione attua le dello spazio e i rispettivi compiti invocando la "cattiva natura" delle donne. Quando si vuole intendere che il mondo va al contrario di come dovrebbe, si dice che "le donne vanno al mercato". 26. Tradizionalmente il velo e la reclusione (lahjubia) erano imposti solo nel ca so dello sheikh della moschea del villaggio (cui il villaggio assicurava, tra gli altri servizi, l'approvvigionamento di legna e il mantenimento dei thanayamts, che servi vano al trasporto dell'acqua), di qualche famiglia marabuttica che non abita in un azib (cioè in una sorta di cascinale isolato) e di alcuni capi famiglia importanti che distinguono una delle donne di casa (di solito la sposa più giovane) rendendola
thanahjabth. 40
IL SENSO DELL'ONORE
mostrarsi, esporsi continuamente allo sguardo degli altri, porsi di fronte (qabel). Da qui la formula che ripetono le donne e con la quale lasciano intendere che l'uomo ignora molto di quel che succede all'interno della casa: . "O uomo, povero sfortunato, tut ta la giornata nei campi come un asino al pascolo! " (Ait Hi shem). L'imperativo più importante è tenere al riparo tutto l'am bito dell'intimità: i dissensi interni, i fallimenti e le insufficienze non devono in alcun caso essere esposti davanti a un estraneo al gruppo. Ci sono tante collettività incastrate l'una nell'altra quan te zone di segreto concentriche: la casa è la prima piccola isola di segreto in seno al sotto-clan o al clan; quest'ultimo in seno al vil laggio, esso stesso chiuso in se stesso rispetto agli altri villaggi. In tale logica è normale che la morale della donna, posta all'interno del mondo chiuso, sia fatta essenzialmente di imperativi negati vi. "La donna deve essere fedele al proprio marito; la sua vita fa miliare deve essere curata; deve badare alla buona educazione dei bambini. Ma soprattutto deve conservare il segreto dell'inti mità familiare; non deve mai sminuire il proprio marito o arre cargli vergogna (anche se ha tutte le ragioni e tutte le prove), né nell'intimità né davanti agli estranei; significherebbe costringer lo a ripudiarla. Deve mostrarsi soddisfatta, anche se, per esem pio, suo marito, troppo povero, non porta nulla dal mercato; non deve immischiarsi nelle discussioni tra gli uomini. Deve ave re fiducia in suo marito, guardarsi dal dubitare di lui o dal cerca re delle prove contro di lui" (El Kalaa). Insomma, poiché la don na è sempre "la figlia di un tale" o "la moglie di un tale", il suo onore si riduce all'onore del gruppo degli agnati al quale è lega ta. Inoltre deve vegliare a non alterare in alcun modo attraverso il proprio comportamento il prestigio e la reputazione del grup po.27 Essa è la guardiana di essar. Da parte sua, l'uomo deve prima di tutto coprire e proteggere il segreto della propria casa e della propria intimità. L'intimità è in primo luogo la sposa che non viene mai nominata in quanto tale e ancor meno con il suo nome proprio, ma sempre con delle .
27. Tutto avviene come se la donna effettivamente non potesse accrescere l'o nore degli agnati ma solo conservarlo intatto attraverso il suo comportamento cor retto e la sua rispettabilità oppure perderlo (ekkes el'ardh: togliere la reputazione) attraverso la sua condotta. Ciò che può accrescere l'onore del gruppo è solo l'al leanza, attraverso il matrimonio, con i parenti maschi della donna. 41
TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
perifrasi quali: "La figlia di un tale", "la madre dei miei figli" o ancora "la mia casa" . In casa il marito non le si rivolge mai in presenza degli altri; la chiama con un gesto, con un borbottio o con il nome della figlia maggiore, senza testimoniarle in alcun modo il suo affetto, soprattutto in presenza del proprio padre o del proprio fratello maggiore. Pronunciare in pubblico il nome della propria moglie sareb be un disonore: si racconta spesso che gli uomini che andavano a iscrivere un nuovo nato all'anagrafe rifiutavano ostinatamente di dichiarare il nome della propria moglie; ugualmente, i giovani scolari che fornivano senza difficoltà il nome del proprio padre si rifiutavano di dichiarare quello della madre, temendo senza dubbio di rendersi vulnerabili all'offesa (chiamare qualcuno con il nome della madre equivale ad accusarlo di essere un bastardo) e anche al maleficio (è noto che nelle pratiche magiche è sempre il nome della madre a essere usato). La buona creanza richiede che non si parli mai a un uomo di sua moglie o di sua sorella: è perché la donna è una di quelle cose vergognose (gli arabi dico no lamra'ara, "la donna è vergogna") che si nominano scusando si e aggiungendo hashak, "con rispetto parlando". Eppure la donna è per l'uomo la cosa più sacra di tutte, come testimoniano le espressioni tradizionali nei giuramenti: "Che mia moglie sia ilHurma-haram Sacro sinistro
Nif Sacro destro
Femminile, femminilità Donna detentrice di poteri malefici e impuri Sinistra, storto Vulnerabilità Nudità
Maschile, virilità Uomo detentore dd potere benefico e protettore Destra, diritto Protezione Chiusura, abito
Dentro
Fuori
Ambito delle donne: casa, giardino Mondo chiuso e segreto della vita intima: alimentazione, sessualità
Ambito degli uomini: assemblea, moschea, campi, mercato Mondo aperto della vita pubblica, delle attività sociali e pubbliche Scambi
Umido, acqua
Secco, fuoco
ecc.
ecc.
42
n.. SENSO DELL'ONORE
lecita per me" (thahram ethmattuthiw) o ancora "che la mia casa sia per me illecita" (ihram ikhamiw) [se non faccio questa o quella cosa] ! L'intimità consiste in tutto ciò che concerne la natura, è il cor po e tutte le funzioni organiche, è l'io e i suoi sentimenti o i suoi affetti: tutte cose che l'onore chiede di coprire. Ogni allusione a questi argomenti e in particolare alla propria vita sessuale è non solo proibita ma quasi inconcepibile. Per diversi giorni prima e dopo il suo matrimonio, il giovane uomo si rifugia in una sorta di ritiro al fine di evitare di trovarsi in presenza di suo padre, fatto che causerebbe a entrambi un imbarazzo insopportabile. Ugual mente, una ragazza giovane giunta all'età della pubertà si stringe strettamente il petto in una sorta di corsetto foderato e provvisto di bottoni; inoltre, in presenza di suo padre e dei suoi fratelli mag giori, tiene le braccia incrociate sul petto.28 Nessun uomo parla di una ragazza o di una donna estranee alla famiglia con il proprio padre o con il fratello maggiore; di conseguenza quando il padre vuole consultare suo figlio a proposito del suo matrimonio, fa ri corso a un parente o a un amico che funge da intermediario. Si evita di entrare in un caffè dove si trovino già il proprio padre o fratello maggiore (e viceversa) e ancor più di ascoltare insieme a loro uno di quei cantori ambulanti che recitano poesie licenziose. Nello stesso modo non bisogna parlare di cibo. Non si augura mai buon appetito, ma solo la sazietà. La cortesia chiede che l'o spite preghi continuamente il suo invitato di servirsi nuovamen te, mentre costui deve mangiare nel modo più discreto possibile. Mangiare per strada è indecente e impudico. Qualora si voglia mangiare al mercato, ci si ritira in un angolo appartato. Qualora si porti a casa della carne, la si nasconde in un sacco o sotto il bur nus. Anche durante il pasto non si mette l'accento sul fatto di nu trirsi, ma sul mangiare in comune, sul dividere il pane e il sale, simbolo di alleanza. Un pudore estremo domina l'espressione dei sentimenti, sempre estremamente trattenuta e riservata e questo anche in seno alla famiglia, tra marito e moglie, tra genitori e figli. La hashma (o anche lahya), pudore che domina tutti i rapporti, 28. ll tabù della nudità è assoluto, anche nelle relazioni sessuali. È noto del re sto che il disonore è descritto come messa a nudo ("mi ha svestito, mi ha tolto i ve stiti, mi ha spogliato"). 43
TRE STIJDI DI ETNOLOGIA CABILA
anche in seno alla famiglia, è essenzialmente protezione dello ha ram, del sacro e del segreto (essar). Parlare di sé è sconveniente o da spacconi; significa non sapersi sottomettere all'anonimato del gruppo, precetto essenziale della buona creanza che vuole si im pieghi il "noi" di cortesia o che si usi la forma impersonale, quan do il contesto lasci intendere che si parla di se stessi. Esistono altri principi corrispondenti alle contrapposizioni fondamentali, vale a dire quelli che regolano la divisione del la varo tra i sessi e, più precisamente, la ripartizione tra uomini e donne dei comportamenti ritenuti onorevoli o disonorevoli. In generale per un uomo sono giudicate disonorevoli la maggior parte delle mansioni proprie delle donne, in virtù della divisione mitico-rituale degli esseri, delle cose, delle azioni. I berberi dello Shenua non possono toccare le uova e le galline in presenza di persone estranee alla famiglia. È proibito loro trasportarle al mercato per venderle, un affare da donne o da bambini. Significa offendere un Ashenwi chiedergli se ha delle uova da vendere. Gli uomini possono sgozzare delle galline e mangiare delle uova ma solo all'interno della famiglia.29 Più o meno alterate in Cabilia si ritrovano le stesse usanze. Così una donna può montare su un mulo mentre il marito lo tiene per le briglie; montare su un asino è invece infamante. Le ragazze che disonoravano la propria fami glia talora erano portate in giro a dorso d'asino. Un altro esem pio: per un uomo è disonorevole trasportare del letame, essendo un compito proprio delle donne. Ugualmente il trasporto del l' acqua in giare, il trasporto di legna destinata al riscaldamento sono compiti delle donne. Tutti questi imperativi della morale dell'onore che, considerati isolatamente, sembrano arbitrari, ap paiono invece necessari se li si colloca all'interno del sistema mi tico-rituale fondato sulla contrapposizione tra maschile e femmi nile, di cui le contrapposizioni tra sacro destro e sacro sinistro, tra dentro e fuori, tra acqua e fuoco, umido e secco costituiscono delle modalità specifiche. Lo stesso sistema di valori domina tutta l'educazione primaria. n bambino, appena ha un nome, deve essere considerato e deve considerarsi come un rappresentante responsabile del gruppo. 29 Cfr. E. Laoust, Étude sur le dialecte berbère du Chenoua comparé avec celui des Beni Menacer et des Beni Salah, Leroux, Parigi 1912, p. 15. 44
IL SENSO DELL'ONORE
Mi è stato riferito che in un villaggio della Grande Cabilia, un ra
gazzino di una decina d'anni, ultimo membro maschio della pro pria famiglia, andava a funerali anche in villaggi lontani assisten do in mezzo agli adulti alle cerimonie (Tizi Hibel). Tutta la con dotta degli adulti, tutte le cerimonie e tutti i riti d'iniziazione o di passaggio tendono a indicare al bambino la sua qualità di uomo e nello stesso tempo le responsabilità e i doveri corrispondenti. Le azioni infantili sono valutate molto presto in funzione degli ideali d'onore. L'educazione conferita dal padre o dallo zio paterno ten de a sviluppare nel bambino il ni/e tutte le virtù virili che vi si ac compagnano: spirito battagliero, audacia, vigore, resistenza. In questa educazione data dagli uomini, l'accento è messo sulla di scendenza patema, sui valori lasciati in eredità dagli antenati ma schi di cui ogni membro maschile del gruppo deve farsi garante e difensore. Indubbiamente si scoprirebbe che le stesse categorie mitico rituali sono alla base, se non della logica degli scambi matrimo niali, per lo meno della rappresentazione ideale che se ne fanno gli agenti. Si capisce il carattere precoce del matrimonio se si pensa che la donna, cattiva di natura, deve essere posta il più presto possibile sotto la protezione benefica di un uomo. "La vergogna è la ragazza giovane" (al'ar thaqshishth) e il genero è chiamato settar la'yub, "il velo delle vergogne" . Gli arabi d'Al geria chiamano talora le donne "le vacche di Satana" o "le reti del demonio", indicando in tal modo che l'iniziativa del male è loro: "La più retta, dice un proverbio, è ritorta come una falce" . Come un virgulto che tende a sinistra, la donna non può essere diritta ma solo raddrizzata grazie alla protezione benefica del l'uomo.30 Senza pretendere di cogliere qui la logica oggettiva de gli scambi matrimoniali, è possibile tuttavia osservare che le norme che li regolano e le razionalizzazioni che sono utilizzate molto spesso per giustificarne la forma "ideale", il matrimonio con la cugina parallela, vengono formulate in un linguaggio strutturato secondo le categorie mitico-rituali. La preoccupazio ne di salvaguardare la purezza del sangue e di conservare inalte rato l'onore familiare è il motivo invocato più spesso per giustifi30. "La dignità della fanciulla", dice un proverbio arabo, "esiste solo quando essa è con il proprio padre." 45
TRE SlUDI DI ETNOLOGIA CABILA
care il matrimonio con la cugina parallela. Del giovane che ha sposato la propria cugina parallela si dice che "l'ha protetta" , ha fatto in modo che il segreto dell'intimità familiare sia salvo (cfr. capitolo 3 ) Colui che si sposa in seno alla propria famiglia è si curo, si sente dire spesso, che sua moglie si sforzerà di salva guardare l'onore del marito, che manterrà il segreto sui conflitti familiari e non andrà a lamentarsi dai suoi genitori. n matrimo nio con un'estranea è temuto come un'intrusione; esso crea una breccia nella barriera protettiva di cui si circonda l'intimità fa miliare: "È meglio proteggere il proprio nzf piuttosto che conse gnarlo agli altri" . .
L'ElHOS DELL' ONORE
n sistema dei valori dell'onore è praticato più che pensato e la grammatica dell'onore può informare gli atti senza bisogno di es sere formulata. Così, quando percepiscono spontaneamente co me disonorevole o ridicolo un certo comportamento, i cabili si trovano nella situazione di colui che si accorge di un errore lin guistico senza possedere il sistema sintattico che è stato violato. Poiché le norme si radicano nel sistema delle categorie della per cezione mitica del mondo, nulla è più difficile e forse più vano che tentare di distinguere tra l'ambito direttamente e chiaramen te percepito dalla coscienza e l'ambito sommerso nell'inconscio. Per convincere di questo, basterà un solo esempio. L'uomo d'o nore è colui che sta di fronte (qabe{), che affronta gli altri guar dandoli in faccia; qabel significa anche ricevere qualcuno come ospite e riceverlo bene, fargli onore. Talora viene collegata alla stessa radice, attraverso un'etimologia che in ogni caso è signifi cativa, la parola laqbayel (maschile plurale) che designa i cabili.31 Thaqbaylith, femminile del sostantivo aqbayli, un cabilo, designa la donna cabila, la lingua cabila e anche, se così si può dire, la quintessenza del cabilo, ciò che rende tale il cabilo, ciò da cui non potrebbe prescindere senza smettere di essere cabilo, vale a dire l'onore e la fierezza cabili. Ma qabel significa anche stare di fronte all'est (elqibla) e al futuro (qabe{). Nel sistema mitico-ri31 Cfr. A. Picard, Textes berbères dans le parler des lrjen, Typo-litho, Algeria 1961, che riprende questa etimologia. 46
ll.. SENSO DELL'ONORE
tuale cabila l'est ha un rapporto di omologia con l'Alto, il Futu ro, il Giorno, il Maschile, il Bene, la Destra, il Secco ecc. e si con trappone all'ovest e allo stesso tempo al Basso, al Passato, alla Notte, al Femminile, al Male, alla Sinistra, all'Umido ecc. Dato che tutti gli informatori affermano che il carattere essenziale del l'uomo d'onore è il fatto di porsi di fronte, qabel, è chiaro che le norme esplicite del comportamento incontrano e riproducono i principi sommersi del sistema mitico-rituale. L'ethos dell'onore si contrappone per principio alla morale universale e formale che contiene il principio dell'uguale dignità di tutti gli uomini e dunque l'identità dei diritti e dei doveri. Non solo le regole imposte agli uomini differiscono da quelle imposte alle donne e i doveri nei confronti degli uomini dai doveri nei confronti delle donne, ma neppure i comandamenti dell'onore, applicati direttamente al singolo caso in funzione delle situazio ni, sono in alcun modo universali. n medesimo codice detta comportamenti opposti a seconda dell'ambito sociale: da un la to, le regole che governano i rapporti tra parenti e più ampia mente tutte le relazioni sociali vissute sul modello delle relazioni di parentela ("Aiuta i tuoi nel torto e nella ragione"), dall'altro, le regole valide nelle relazioni con gli estranei. Tale dualità dei comportamenti deriva logicamente dal principio fondamentale stabilito in precedenza secondo cui i comportamenti d'onore si impongono solo nei confronti di coloro che ne sono degni. n ri spetto delle ingiunzioni del gruppo trova il suo fondamento nel rispetto di sé, cioè nel sentimento dell'onore. Piuttosto che un tribunale, nel senso di un organismo specifico incaricato di pro nunciare delle sentenze in modo conforme a un sistema di nor me giuridiche razionali ed esplicite, l'assemblea del clan o del villaggio è in effetti un consiglio d'arbitraggio o persino un con siglio di famiglia. L'opinione collettiva rappresenta la legge, il tri bunale e l'agente collettivo di esecuzione della sanzione. La thaj ma'th, in cui sono rappresentate tutte le famiglie, incarna l'opi nione pubblica della quale prova ed esprime i sentimenti e i valo ri, da cui ricava tutto il suo potere morale. n castigo più temuto è essere messi all'indice o essere banditi: coloro che ne sono colpiti sono esclusi dalla divisione collettiva della carne, dall'assemblea e da tutte le decisioni collettive, in poche parole, condannati a una sorta di morte simbolica. n qanun, raccolta di costumi pro47
TRE STIJDI DI ETNOLOGIA CABILA
pri di ogni villaggio, consiste essenzialmente in un'enumerazione di errori specifici, seguiti dalla sanzione corrispondente. Così il qanun di Aguni-n-Tesellent, villaggio della tribù degli Ath Akbil, conta su un insieme di 249 articoli, 219 leggi "repressive" (nel senso di Durkheim), cioè 1'88% , contro 25 leggi "restitutive", cioè il iO%, e solo 5 articoli che riguardano i fondamenti del si stema politico. La regola tradizionale, frutto di unà giurispru denza applicata direttamente al singolo e non dell'applicazione al singolo di una regola universale, preesiste alla sua formulazio ne: infatti il fondamento della giustizia non è un codice formale, razionale ed esplicito, ma il "senso" dell'onore e l'equità. L'es senziale rimane implicito perché indiscusso e indiscutibile; l'es senziale, cioè l'insieme dei valori e dei principi che la comunità afferma attraverso la propria stessa esistenza e che fondano gli atti della giurisprudenza. "Ciò che l'onore vieta, diceva Monte squieu, è ancor più vietato quando le leggi non lo proibiscono, ciò che prescrive, ancora più richiesto quando le leggi non lo ri chiedono. " Ugualmente i rapporti economici non sono concepiti e costi tuiti in quanto tali, vale a dire in quanto regolati dalla legge del l'interesse, e restano sempre dissimulati sotto il velo delle rela zioni di prestigio e d'onore. Tutto avviene come se questa società rifiutasse di guardare in faccia la realtà economica, di concepirla come retta da leggi diverse rispetto a quelle che regolano le rela zioni familiari. Da qui l'ambiguità strutturale di ogni scambio: si gioca sempre allo stesso tempo nel registro dell'interesse che non viene confessato e dell'onore che viene proclamato. La logica del dono non è forse un modo di superare o di dissimulare i calcoli dell'interesse? Se il dono, come il credito, implica il dovere di re stituire di più, quest'obbligo dell'onore, per quanto imperativo esso sia, resta tacito e segreto. Dato che il contro-dono è di/fe rito, lo scambio generoso, all'opposto del " do ut des", non tende forse a coprire la transazione interessata che non osa mostrarsi nel momento in cui avviene, dispiegandola nella successione temporale, e sostituendo alla serie continua dei doni seguiti da contro-doni una serie discontinua di doni apparentemente senza ritorno? Occorre forse un altro esempio? E costume che il ven ditore alla fine di una transazione importante, quale la vendita di un bue, restituisca in modo palese al compratore una parte della 48
D.. SENSO DELL'ONORE
somma che ha appena ricevuto "perché questi acquisti della car ne per i suoi bambini" . n padre della sposa faceva lo stesso quando riceveva la dote, al termine, per lo più, di un "mercan teggiamento" accanito (Ait Hishem) . Maggiore era l'entità della parte resa, maggiore l'onore che se ne ricavava, come se, coro nando la transazione con un gesto generoso, si intendesse con vertire in uno scambio d'onore un mercanteggiamento che pote va mostrarsi così accanito solo perché la ricerca del massimo profitto materiale era dissimulata dalla disputa d'onore e dalla ri cerca del massimo profitto simbolico.32 Parigi, gennaio1960
32. Si può trovare una verifica di queste analisi nel fatto che la generalizzazione degli scambi monetari e dell'atteggiamento calcolatore corrispondente fa apparire il "mercanteggiamento-disputa d'onore" riguardo al compensazione matrimoniale come vergognoso e ridicolo, costituendo lo scambio interessato in quanto tale e di struggendo l'ambiguità strutturale dello scambio tradizionale. 49
2 LA CASA O IL MONDO ROVESCIAT01
L'uomo è la lampada esterna, la donna la lampada interna.
L'interno della casa cabila ha la forma di un rettangolo che un piccolo muro a vista che si eleva a mezza altezza divide a un terzo della lunghezza in due parti: la più grande, sopraelevata di 50 centimetri circa e ricoperta da un intonaco d'argilla nera e di ster co di vacca che le donne lisciano con un ciottolo, è riservata agli esseri umani, la più stretta, lastricata di pietre, è invece occupata dagli animali. Una porta a due battenti dà accesso alle due stanze. Sul piccolo muro separatore sono allineati, da un lato, le giare di terra o i cesti di alfa nei quali si conservano le provviste destinate al consumo immediato - fichi, farina, legumi -, dall'altro, vicino alla porta, le giare dell'acqua. Sopra la stalla si trova un soppalco dove sono accumulati, di fianco a utensili di ogni tipo, la paglia e il fieno destinati al nutrimento degli animali e dove dormono as sai spesso le donne e i bambini, soprattutto durante l'inverno. 2 Davanti alla costruzione forata da nicchie e da buchi che è addos sata al muro sormontato dal timpano, chiamato muro (o più esatl. Questo testo è stato pubblicato in Echanges et communications, Mouton, Pa· rigi 1969, antologia di testi dedicata a Lévi-Strauss. 2. TI luogo del sonno e delle relazioni sessuali sembra variare, ma solo all'inter no della "parte oscura" della casa: tutta la famiglia può donnire nel soppalco, so prattutto d'inverno, oppure solo le donne non sposate (vedove, divorziate ecc.) e i bambini, o contro il muro dell'oscurità o sulla parte alta del muro separatore per l'uomo, mentre la donna dorme sulla parte bassa, dal lato della porta, e raggiunge suo marito nel buio.
51
* Vedi il capitolo "D senso dell'onore" , p. 1 1 .
babdel 'ayer asbuwab basbsbem afdbab
essar nur tbaqbaylitb tbzl.ugza tbirujla cbi'a
al'ardb labya riya elbasbma amesrur (agg.) amabruz nessar el'ali
nz/ i/ anzaren tbirzi nenni/
abasbsbem tbuksa nessar tbuksa laqdbar tbirzi laqdbar tbirzi el burma
ababdel elbabadla
Nomi di azione:
Azione di disonore
Rispettabilità
Onore
Disonore
Punto d'onore
Onore
n vocabolario dell'onore*
basbma tbibbadlitb tbim'ayritb cbuba el/adbba itswa'ayer (agg.) inabsbam
Stato di disonore
el'ar al'ib elkbazzwa tikbzi !abram
Crimine contro l'onore
e/burma elbaram
Sacro
LA CASA O n. MONDO ROVESCIATO
tamente "lato" ) dell'alto o del kanun che serve al rimessaggio de gli utensili da cucina (mestolo, pentola, recipiente per cuocere la focaccia e altri oggetti di terracotta anneriti dal fuoco) e ai due la ti del quale sono collocate delle grandi giare piene di grano, si trova il focolare, cavità circolare di alcuni centimetri di profon dità nella parte centrale, attorno a cui sono disposte a triangolo tre grandi pietre destinate ad accogliere gli utensili da cucina.3 Davanti al muro che si trova di fronte alla porta e che è chia mato molto spesso con lo stesso nome del muro della facciata esterna che dà sul cortile tasga4 o anche muro del telaio o muro di fronte (ci si trova di fronte a esso quando si entra), si erge il te laio. n muro opposto, quello della porta, è chiamato il muro del l'oscurità o del sonno o della fanciulla o della tomba;5 vi è appog giata una panca abbastanza larga per accogliere una stuoia stesa; serve da riparo al vitello o al montone della festa, talora alla le gna o alla brocca dell'acqua. I vestiti, le stuoie e le coperte du rante il giorno sono appesi a un gancio o a una traversa di legno contro il muro dell'oscurità oppure deposti sulla panca di sepa3. Tutte le descrizioni della casa berbera, anche le più precise e metodiche (co me quella di R MaWLier, "Le culte domestique en Kabylie" e "Les rites de la con struction en Kabylie", in Mélanges de sociologie nord-a/ricaine, Alcan, Parigi 1930, pp. 120-177) o le più ricche di annotazioni sull'organizzazione interna dello spazio (come quelle di E. Laoust, Mots et choses berbères, Parigi 1920, pp. 50-53, ed Etude sur le dialecte berbère de Chenoua, cit., pp. 12-15 o quelle di H. Genevoix, "L'habi tation kabyle", Fichier de communication berbère, Fort-National, 46, 1955) pre sentano nella loro estrema minuzia lacune sistematiche, in particolare per quanto riguarda la localizzazione e l'orientamento delle cose e delle attività, perché non concepiscono mai gli oggetti e le azioni come parti di un sistema simbolico. Sola mente il postulato secondo il quale ogni fenomeno osservato deriva la propria ra gion d'essere e il proprio senso dalla sua relazione con tutti gli altri poteva portare a un'osservazione e a un'interrogazione capaci di suscitare, grazie alla loro inten zione sistematica, i fatti che sfuggono all'osservazione disarmata e che gli osserva tori non sono in grado di dare spontaneamente perché sembrano loro ovvii. Que sto postulato trova la sua convalida nei risultati stessi della ricerca che fonda: la po sizione particolare della casa all'interno del sistema delle rappresentazioni magiche e delle pratiche rituali giustifica l'astrazione iniziale attraverso cui la si è sottratta a questo sistema più vasto per trattarla come sistema. 4. A parte questa eccezione, i muri sono designati da due nomi diversi a secon da che siano considerati dall'esterno o dall'interno. L'esterno è rinzaffato dagli uo mini con la cazzuola, mentre l'interno è imbiancato e decorato a mano dalle donne. Questa opposizione tra i due punti di vista è, come vedremo, fondamentale. 5. A proposito di un padre che ha molte figlie si dice: "Si preparano giorni brutti" e così anche "la fanciulla è il crepuscolo" o anche "la fanciulla è il muro dell'oscurità". 53
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porta posteriore
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l) rete per foraggio verde; 2) giare di legumi secchi, fichi; 3) giare di cereali; 4) lampada, stoviglie, setaccio; 5) grande giara di riserva d'acqua
razione. In tal modo, è chiaro, il muro del kanun si contrappone alla stalla come l'alto al basso (adaynin, stalla, viene dalla radice ada, il basso), e il muro del telaio al muro della porta come la lu ce alle tenebre. Si potrebbe essere tentati di dare a tali contrap posizioni una spiegazione strettamente tecnica, poiché il muro del telaio, collocato di fronte alla porta, essa stessa rivolta a est, è quello maggiormente illuminato e poiché la stalla è effettivamen te situata più in basso, (dato che la casa è molo spesso costruita perpendicolarmente rispetto alle curve di livello, per facilitare lo scolo dei liquami e delle acque usate), se numerosi indizi non suggerissero che queste contrapposizioni sono il centro di fasci di contrapposizioni parallele che non dipendono mai completa mente dagli imperativi tecnici e dalle necessità funzionali.6 6. La fissazione della casa nello spazio geografico e nello spazio sociale e la sua organizzazione interna sono uno dei "luoghi" in cui si articolano la necessità sim bolica e la necessità tecnica. È forse in casi come questo, in cui i principi dell'orga nizzazione simbolica del mondo non possono essere applicati con tutta libertà e devono in qualche modo venire a patti con delle necessità esterne, come per esem-
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La parte bassa, oscura e notturna della casa, luogo degli oggetti umidi, verdi o crudi - giare d'acqua deposte su panche da una parte e dall'altra rispetto all'entrata della stalla o contro il muro dell'oscurità, legna, foraggio verde -, luogo anche degli esseri na turali - buoi e vacche, asini e muli -, delle attività naturali - sonno, atto sessuale, parto - e anche della morte, si contrappone, come la natura alla cultura, alla parte alta, luminosa, nobile, luogo degli esseri umani e in particolare dell'invitato, del fuoco e degli oggetti fabbricati con il fuoco, lampada, utensili da cucina, fucile - sim bolo del punto d'onore virile (enni/) che protegge l'onore femmi nile (burma), telaio, simbolo di ogni protezione, luogo anche delle due attività propriamente culturali che vengono compiute nello spazio della casa, la cucina e la tessitura. Tali relazioni di opposi zione si esprimono attraverso tutto un insieme di indizi conver genti che le fondano ricevendo al contempo da esse il proprio sen so. È davanti al telaio che si fa sedere l'invitato che si vuole onora re, qabel, verbo che significa anche stare di fronte e stare di fronte all'est.7 Quando si è stati accolti male, si usa dire: " Mi ha fatto se dere davanti al suo muro dell'oscurità come in una tomba". n mu ro dell'oscurità è anche chiamato muro del malato e l'espressione "stare presso il muro" significa essere malato e per estensione in ozio: vi si pone infatti il giaciglio del malato soprattutto in inver no. n legame tra la parte oscura della casa e la morte si rivela anche nel fatto che è all'ingresso della stalla che si procede al lavaggio del morto.8 Si usa dire che il soppalco, fatto interamente di legno, pio quelle della tecnica, che impongono la costruzione della casa in modo perpen dicolare alle curve di livello e di fronte al sole che sorge (o, in altri casi, quelle della struttura sociale che vogliono che ogni nuova casa sia edificata in un quartiere spe cifico, definito dalla genealogia), che il sistema simbolico dispiega tutta la sua capa cità di reinterpretare nella propria logica i dati che altri sistemi gli propongono. 7. La contrapposizione tra la parte riservata a ricevere e la parte intima (che si ri trova nella tenda nomade, separata da un telo in due parti, una aperta agli ospiti e l'altra riservata alle donne) si esprime nel seguente rito utile a fare dei pronostici: quando un gatto, animale benefico, entra in casa portando su di sé una piuma o dei fili di lana bianca e si avvicina al focolare, ciò indica l'arrivo di invitati ai quali si of frirà un pasto a base di carne; se si dirige verso la stalla, ciò significa che verrà acqui stata una vacca, se è primavera, un bue, se è la stagione dell'aratura. 8. l}omologia del sonno e della morte si esprime esplicitamente nel precetto se condo cui ci si sdraia per un momento sul fianco destro poi sul sinistro perché la prima posizione è quella del morto nella tomba: I canti funebri rappresentano la tomba, "la casa sotterranea" , come una casa ribaltata (bianco/oscuro, alto/basso,
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è portato dalla stalla come il cadavere dai portatori, poiché tha'ri shth designa allo stesso tempo il soppalco e la barella che serve al trasporto dei morti. Ugualmente si capisce come sia impossibile, senza offenderlo, offrire a un ospite di dormire nel soppalco che, come il muro della tomba, si contrappone al muro del telaio. È ancora una volta davanti al muro del telaio, di fronte alla por ta, che il giorno del matrimonio si fa sedere o meglio si mette in mostra la giovane sposa, a guisa dei piatti decorati che vi sono so spesi. Se è noto che il cordone ombelicale della bambina è sotter rato dietro il telaio e che, per proteggere la verginità di una giova ne donna, la si fa passare attraverso l'ordito, andando dalla porta verso il muro del telaio, è chiara la funzione magica che è attribui ta al telaio.9 E, in effetti, dal punto di vista dei suoi parenti di sesso maschile, tutta la vita della donna si riassume in qualche modo nelle posizioni successive che essa occupa simbolicamente rispet to al telaio, simbolo della protezione virile.10 Prima del matrimo nio è collocata dietro al telaio, alla sua ombra, sotto la sua prote zione, così come si trova sotto la protezione di suo padre e dei suoi fratelli; il giorno del matrimonio è seduta in piena luce davanti al telaio cui rivolge la schiena; in seguito si siederà per tessere dietro il telaio con la schiena rivolta al muro della luce. ll genero non è forse chiamato "il velo delle vergogne" , dato che il punto d'onore ornata di pitture/grossolanamente scavata) servendosi all'occasione di quell'omo nimia associata a un'analogia di forma: "Ho trovato delle persone che scavavano una tomba, l Con la loro piccozza scolpivano i muri, l Vi facevano delle panche (thiddukanin). l Con una malta inferiore al fango dice un canto di veglia funebre (cfr. H. Genevoix, op. cit. , p. 27). Thaddukant (plurale thiddukanin) designa la panca addossata al muro separatore e contrapposta a quella che si appoggia al mu ro dd timpano (addukan) e anche il terrapieno su cui viene appoggiata la testa dd l'uomo nella tomba (il piccolo infossamento in cui viene appoggiata la testa della donna è invece chiamato thakwath, come le piccole nicchie ricavate nei muri della casa che servono a riporre gli oggetti più piccoli). 9. Presso gli arabi, per operare il rito magico della chiusura col ferro (/errure), destinato a rendere le donne inadatte ai rapporti sessuali, si fa passare la fidanzata attraverso l'ordito disteso dd tdaio, dall'esterno verso l'interno, cioè dal centro della stanza verso il muro contro il quale lavorano le tessitrici; la stessa manovra eseguita in senso contrario annulla la chiusura col ferro (/errure), (cfr. W. Marçais, A. Guiga, Textes arabes de Takrouna, Leroux, Parigi 1925, p. 395). 10. E. Laoust lega alla radice zett (tessere) la parola tazettat che, presso i berbe ri dd Marocco designa la protezione accordata a qualsiasi individuo che viaggia in territorio straniero o la retribuzione ricevuta dal protettore in cambio della sua protezione (E. Laoust, op. cit. , p. 126). •,
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dell'uomo è l'unica protezione dell'onore femminile o per meglio dire l'unica "barriera" contro la vergogna di cui ogni donna con 1 tiene la minaccia ("La vergogna è la fanciulla")? 1 La parte bassa e oscura si contrappone alla parte alta come il femminile al maschile: oltre al fatto che la divisione del lavoro tra i sessi (fondata sul medesimo principio di divisione che organiz za lo spazio) affida alla donna la maggior parte degli oggetti ap partenenti alla parte oscura della casa, per esempio il trasporto dell'acqua, della legna e del letame, la contrapposizione tra la parte alta e la parte bassa riproduce all'interno dello spazio della casa quella stabilita tra l'interno e l'esterno, tra lo spazio femmi nile, la casa e il suo giardino, luogo per eccellenza dello haram, cioè del sacro e del proibito, e lo spazio maschile. 12 La parte bas sa della casa è il luogo più sacro e più intimo all'interno del mon do dell'intimità, vale a dire di tutto ciò che riguarda la sessualità e la procreazione. Pressoché vuota durante il giorno quando tut te le attività - esclusivamente femminili - si concentrano intorno al focolare, la parte oscura è piena durante la notte, piena di es seri umani, piena anche di bestie, poiché i buoi e le vacche non trascorrono mai la notte all'esterno diversamente dai muli e dagli asini, e non è mai così piena, se così si può dire, come nella sta gione umida durante la quale gli uomini dormono all'interno e i buoi e le vacche sono nutriti nella stalla. Qui è possibile stabilire in modo più diretto la relazione che unisce la fecondità degli uo mini e del campo alla parte oscura della casa, caso privilegiato della relazione di equivalenza tra la fecondità e l'oscuro, il pieno (o il rigonfiamento) e l'umido, attestata dall'insieme del sistema mitico-rituale. Infatti, se le granaglie destinate al consumo sono conservate, come si è visto, nelle grandi giare di terracotta ad dossate al muro dell'alto, ai due lati del focolare, è nella parte oscura che sono deposte le granaglie riservate alla semina, sia al l'interno di pelli di pecora o di bauli collocati ai piedi del muro dell'oscurità, talora sotto il giaciglio coniugale, sia in bauli di le gno collocati sotto la panca addossata al muro separatore, dove la donna, che di solito dorme più in basso, va a raggiungere suo 1 1 . Cfr. supra, pp. 1-49. 12. Al momento del suo primo ingresso nella stalla, la nuova coppia di buoi è accolta e condotta dalla padrona di casa. 57
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marito. Sapendo che la nascita è sempre rinascita dell'antenato, poiché il circolo vitale (che bisognerebbe chiamare ciclo di gene razione) si richiude su se stesso ogni tre generazioni (proposizio ne che sarà dimostrata successivamente), si capisce il fatto che la parte oscura possa essere nello stesso tempo e senza contraddi zione il luogo della morte e della procreazione o della nascita co me resurrezione.13 Ma c'è di più: è al centro del muro separatore, tra "la casa degli esseri umani" e "la casa delle bestie", che si erge il pilastro princi pale che sostiene la trave maestra e tutta la struttura della casa. Orbene, la trave maestra che collega i due timpani ed estende la propria protezione dalla parte maschile alla parte femminile della casa (asalas alemmas, termine maschile) è identificata in modo esplicito con il padrone di casa, mentre il pilastro principale, tronco d'albero che si biforca all'estremità (thigejdith, termine femminile) sul quale poggia, è identificato con la sposa (i Beni Khellili la chiamano Mas'uda, nome proprio femminile che signi fica "la gioiosa"), mentre il loro incastro raffigura l'accoppiamen to (rappresentato nelle pitture murali, come l'unione del pilastro e della trave, da due forche sovrapposte).14 La trave principale, che sorregge il tetto, è identificata con il protettore dell'onore fa miliare: essa è spesso oggetto di offerte ed è attorno a essa, all'al tezza del focolare, che si avvolge il serpente, "guardiano" della ca sa. Simbolo del potere fecondante dell'uomo e anche della morte seguita dalla resurrezione, il serpente è talora raffigurato (per esempio nella regione di Collo) sulle giare di terra fabbricate dalle 13. La costruzione della casa che ha luogo sempre in occasione del matrimonio di un figlio e che simbolizza la nascita di una nuova famiglia è vietata in maggio così co· me il matrimonio. n trasporto delle travi identificate, come vedremo, con il padrone di casa, è chiamato tha'rishth, come il soppalco e come la barella su cui si trasporta il morto o una bestia ferita che sarà abbattuta lontano da casa, e dà luogo a una cerimo nia sociale il sui significato è del tutto simile a quello della sepoltura. A causa del suo carattere imperioso, della forma cerimoniale che riveste e dell'estensione del gruppo che mobilita, questo lavoro collettivo (thiwizt) equivale solo alla sepoltura: gli uomini vanno sul luogo del taglio, dopo essere stati chiamati dall'alto della moschea come per una sepoltura. Ci si aspetta dalla partecipazione al trasporto delle travi, atto pio effettuato sempre senza contropartita, tanto hassana (merito) quanto dalla partecipa zione alle attività collettive legate ai funerali (scavare la tomba, estrarre le lastre di pie tra o trasportarle, aiutare a portare la bara o assistere alla sepoltura). 14. M. Dewulder, "Peintures murales et pratiques magiques dans la tribu des Ouadhias", in Revue a/ricaine, 1954, pp. 14-15. 58
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donne che racchiudono il grano per la semina. Si dice anche che a volte scenda in casa nel grembo della donna sterile, chiamandola madre, oppure che si avvolga intorno al pilastro centrale, allun gandosi di una spira dopo ogni poppata.15 Secondo René Mau nier, a Dama la donna sterile attacca la propria cintura alla trave centrale; è a questa trave che vengono sospesi il prepuzio e il giun co che è stato utilizzato per la circoncisione; quando la si sente scricchiolare ci si affretta a dire "che porti bene" perché si tratta di un presagio che annuncia la morte del capofamiglia. Alla nasci ta di un maschio, ci si augura che "diventi la trave maestra della casa" e, quando questi compie il digiuno rituale per la prima vol ta, consuma il suo primo pasto sul tetto, cioè sulla trave centrale (affinché, si dice, possa trasportare delle travi). Un gran numero di indovinelli e di modi di dire identificano la donna con il pilastro centrale: "La donna è il pilastro centra le". Alla giovane sposa viene detto: "Che Dio faccia di te il pila stro piantato solidamente al centro della casa". Un altro indovi nello dice: "Sta in piedi ma non ha piedi". Forca aperta verso l'alto che non poggia su piedi, essa è la natura femminile, fecon da o per meglio dire fecondabile.16 Nell'Aurès è contro il pilastro centrale (hijz) che sono ammucchiate le otri colme di cereali e che è consumato il matrimonio.17 Così, riassunto simbolico della casa, l'unione di asalas e di thigejdith, che estende la propria protezione fecondante su tutti 15. n giorno di tharurith wa:zal (8 aprile del calendario giuliano), momento de cisivo dell'anno agricolo, tra la stagione secca e la stagione umida, il pastore va al mattino molto presto ad attingere dell'acqua e ne asperge la trave centrale: al mo mento del raccolto, l'ultimo fascio, tagliato secondo un rituale speciale (o una spi ga doppia), viene sospeso alla trave centrale per rimanervi tutto l'anno. 16. Della giovane sposa che si adatta bene alla nuova casa si dice tha'mmar, cioè, tra i vari significati (cfr. nota 29), "è piena" ed "essa riempie". 1 7 . Tra i berberi dell'Aurès, il matrimonio viene consumato il lunedl, il giovedl o il sabato, giorni fasti. Alla vigilia le ragazze della parte dello sposo impilano con tro il pilastro centrale hiji, sei otri tinte di rosso, verde, giallo e viola (che rappre senta la sposa) e una settima bianca (lo sposo), tutte piene di cereali. Ai piedi di hiji, una donna anziana getta del sale per scacciare gli spiriti cattivi, pianta un ago nel suolo per accrescere la virilità dello sposo e dispone una stuoia orientata verso est che sarà il giaciglio dei giovani sposi per una settimana. Le donne del parentado dello sposo profumano hiji, mentre sua madre getta, come si fa al momento dell'a ratura, una pioggia di datteri che i bambini si disputano. n giorno dopo la sposa è portata da un parente prossimo dello sposo ai piedi di hiji dove la madre di questi getta di nuovo della farina, datteri, grano gonfiato, zucchero e miele. 59
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i matrimoni umani, è in qualche modo il matrimonio primordia le, matrimonio degli antenati che è anche, come l'aratura, il ma trimonio del cielo e della terra. "La donna rappresenta le fonda menta, l'uomo la trave maestra", dice un altro proverbio. Asalas, che un indovinello definisce come "nato dalla terra e seppellito in cielo" , feconda thigejdith, piantata nella terra, luogo degli an tenati padroni di ogni fecondità, e aperta verso il cielo.18 La casa è organizzata secondo un insieme di contrapposizioni o mologhe: fuoco:acqua::cotto:crudo::alto:basso::luce:ombra::gior no:notte: :maschile:femminile: :ni/:hurma: :fecondante:fecondabi le::cultura:natura. Ma di fatto le medesime contrapposizioni esi stono tra la casa nel suo insieme e il resto dell'universo. Conside rata nel suo rapporto con il mondo esterno, mondo propriamente maschile della vita pubblica e del lavoro agricolo, la casa, universo delle donne, mondo dell'intimità e del segreto, è haram, cioè nel medesimo tempo sacra e illecita per tutti gli uomini che non ne facciano parte (da qui deriva l'espressione usata nei giuramenti: "che mia moglie - o la mia casa - diventino per me illecite - haram - se... ") cfr. capitolo l (p. 42). Luogo del sacro sinistro, della bur ma, cui sono collegate tutte le proprietà associate alla parte oscura della casa, essa è collocata sotto la protezione del punto d'onore maschile (nz/), come la parte oscura della casa è posta sotto la pro tezione della trave maestra. Ogni violazione dello spazio sacro as sume quindi il significato sociale di un sacrilegio: perciò il furto in una casa abitata è trattato dalle consuetudini alla stregua di una colpa molto grave, a titolo di offesa del n i/del capofamiglia e di ol traggio alla hurma della casa e dunque di tutta la comunità.19 È un'affermazione fondata dire che la donna è reclusa in casa se si ammette nello stesso tempo che l'uomo ne è escluso, per lo meno durante il giorno. Appena sorge il sole, in estate l'uomo deve essere nel campo o alla casa dell'assemblea; in inverno, se non è nel campo, è al luogo d'assemblea o sulle panche al riparo 18. In certe regioni si pone il vomere dell'aratro nella parte a forca del pilastro centrale con la punta rivolta verso la porta. 19. È noto che l'ospite consegna alla padrona di casa una somma di denaro che viene chiamata "la vista": questo succede non solo quando si è invitati per la prima volta in una casa, ma anche quando al terzo giorno del matrimonio si fa visita alla famiglia della sposa. 60
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della tettoia che protegge la porta d'ingresso del cortile. Persino la notte, almeno durante la stagione secca, gli uomini e i ragazzi che sono stati circoncisi dormono all'esterno della casa, sia vici no alle macine sull'aia in cui si fa la trebbiatura a fianco al mulo e all'asino impastoiati, sia sull'essiccatoio per i fichi, sia in mezzo ai campi, più raramente alla thajma'th.20 Colui che si trattiene troppo a lungo in casa durante il giorno è sospetto o ridicolo: è "l'uomo di casa" , come si dice del seccatore che resta in mezzo alle donne e che " cova in casa come una galli na nel proprio nido". L'uomo che si rispetta deve farsi vedere, esporsi senza sosta allo sguardo degli altri, stare di fronte (qabe[). È l'uomo tra gli uomini (arga;z yer irga;zen).21 Da qui l'importanza rivestita dai giochi dell'onore, sorta di azione teatrale compiuta di fronte agli altri, spettatori avveduti che conoscono il testo e tutti gli attori di scena e che sono in grado di apprezzare le mini me varianti. Si capisce che tutte le attività biologiche - mangiare, dormire, procreare - sono bandite dall'universo propriamente culturale e relegate nel rifugio dell'intimità e dei segreti della na tura rappresentato dalla casa/2 mondo della donna, votata alla gestione della natura ed esclusa dalla vita pubblica. In contrap posizione al lavoro dell'uomo, compiuto all'esterno, il lavoro del la donna è votato a rimanere oscuro e nascosto ("Dio lo dissimu la" , si dice): "All'interno non ha requie, si dibatte come una mo sca nel latticello; all'esterno (sopra), nulla appare del suo lavoro". Due modi di dire molto simili definiscono l'attività della donna che non conoscerebbe altro soggiorno che la tomba terrestre che è la casa e la casa sotterranea che è la tomba: "La tua casa è la tua tomba"; "la donna ha solo due dimore: la casa e la tomba". Quindi la contrapposizione tra la casa e l'assemblea degli uo mini, tra la vita privata e la vita pubblica, o se si vuole tra la piena 20. Dato che la dualità di ritmo legata alla divisione tra stagione secca e stagio ne umida si manifesta, tra le altre cose, nell'ordine domestico, la contrapposizione tra la parte bassa e la parte alta della casa d'estate assume la forma della contrappo sizione tra la casa propriamente detta, in cui le donne e i bambini si ritirano per dormire e in cui si raccolgono le riserve, e il cortile in cui vengono installati il foco lare e la macina a braccio, in cui si consumano i pasti e in cui si sta in occasione di feste e di cerimonie. 21. Le relazioni tra uomini devono crearsi all'esterno: "Gli amici sono gli amici dell'esterno e non quelli del kanun". 22. "La gallina, si dice, non depone le uova al mercato."
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luce del giorno e il segreto della notte, ricalca in modo esatto la contrapposizione tra la parte bassa, oscura e notturna della casa e la parte alta, nobile e luminosa.23 La contrapposizione che si stabilisce tra il mondo esteriore e la casa assume un senso com piuto solo se ci si accorge che uno dei termini di tale relazione, cioè la casa, è esso stesso diviso secondo i medesimi principi che lo contrappongono all'altro termine. È perciò vero e falso nello stesso tempo dire che il mondo esterno si contrappone alla casa come il maschile al femminile, il giorno alla notte, il fuoco all' ac qua ecc., perché il secondo termine di tali opposizioni si divide ogni volta nel sé e nel suo opposto.24 Insomma, l'opposizione più evidente maschile (o giorno, fuo co ecc.)/femminile (o notte, acqua ecc.) rischia di dissimulare l'opposizione maschile/[femminile-maschile/femminile-femmi nile] , e al contempo l'omologia maschile/femminile::femminile maschile/femminile-femminile. È chiaro dunque che la prima opposizione è solo la trasformazione della seconda, che presup pone il mutamento del sistema di riferimento al termine del qua le si smette di contrapporre il femminile-femminile al femminile maschile per contrapporre l'insieme che essi costituiscono a un terzo termine: femminile-maschile/femminile-femminile - fem minile (=femminile-maschile+femminile-femminile)/maschile. Microcosmo organizzato secondo le stesse opposizioni e le stesse omologie che ordinano tutto l'universo, la casa ha una rela zione di omologia con il resto dell'universo; ma, da un altro pun to di vista, il mondo della casa considerato nel proprio insieme si contrappone al resto del mondo i cui principi non sono altro che quelli che organizzano tanto lo spazio interno alla casa quanto il resto del mondo e, più in generale, tutti gli ambiti dell'esistenza. Così l'opposizione tra il mondo della vita femminile e l'universo civico degli uomini riposa sui medesimi principi propri dei due sistemi di opposizioni che contrappone. Ne consegue che l' appli cazione ad ambiti contrapposti del principium divisionis che co23. La contrapposizione tra la casa e la thajma'th si legge chiaramente nella dif ferenza tra le piante delle due costruzioni: mentre la casa si apre attraverso la porta della facciata, la casa dell'assemblea si presenta come un lungo passaggio coperto, interamente aperto all'altezza dei due timpani, che si attraversa da parte a parte. 24. Questa struttura si ritrova in altri ambiti del sistema mitico-rituale, per esempio nella struttura della giornata e dell'anno. 62
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stituisce la loro stessa opposizione assicura un'economia e un so vrappiù di coerenza, senza causare come contropartita la confu sione tra tali ambiti. La struttura del tipo a:b::bl :b2 è senza dub bio una delle più semplici e delle più potenti che possa utilizzare un sistema mitico-rituale, perché non può contrapporre senza unire in modo simultaneo, essendo capace di integrare nello stes so tempo un numero infinito di dati, attraverso la semplice appli cazione del medesimo principio di divisione reiterata indefinita mente. Ne consegue inoltre che ognuna delle due parti della casa (e al contempo ciascuno degli oggetti che vi sono collocati e cia scuna delle attività che vi si compiono) è in qualche modo qualifì cata in due diversi gradi, vale a dire in primo luogo come femmi nile (notturna, oscura ecc.), in quanto partecipa all'universo della casa, e in secondo luogo come maschile o femminile in quanto appartiene all'una o all'altra delle divisioni di tale universo. Per ciò, per esempio, quando il proverbio dice "l'uomo è la lampada esterna, la donna è la lampada interna" , bisogna intendere che l'uomo è la vera luce, quella del giorno, la donna la luce dell'oscu rità, l'oscuro rischiarato; del resto, è noto che essa è per la luna ciò che l'uomo è per il sole. Nello stesso modo, attraverso la lavo razione della lana, la donna produce la protezione benefica della tessitura, il cui candore simbolizza la felicità;2' il telaio, strumento per antonomasia dell'attività femminile, posto verso est come l'a ratro, il suo omologo, è nello stesso tempo l'est dello spazio inter no, cosicché all'interno del sistema della casa ha un valore ma schile in quanto simbolo di protezione. Inoltre, nello stesso mo do il focolare, ombelico della casa (essa stessa identificata con il ventre di una madre), dove cova la brace, fuoco sacro, dissimula to, femminile, è la sfera della donna, investita di un'autorità asso luta per tutto quel che riguarda la gestione della cucina e delle ri serve;26 è presso il focolare che consuma i propri pasti, mentre l'uomo, rivolto all'esterno, mangia in mezzo alla stanza o nel cor tile. Tuttavia, in tutti i riti in cui intervengono, il focolare e le pie tre che lo circondano derivano la loro efficacia magica, che si trat ti di proteggere dal malocchio o dalla malattia o di provocare il 25. "I giorni bianchi" segnano i giorni felici. Una delle funzioni dei riti matri moniali è di rendere la donna "bianca" (aspersione di lane ecc.). 26. n fabbro è l'uomo che, come la donna, passa tutta la sua giornata all'inter no, accanto al fuoco. 63
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bel tempo, dalla loro partecipazione all'ordine del fuoco, del sec co e del calore solare.27 La casa è essa stessa dotata di un doppio significato: se è vero che si contrappone al mondo pubblico, co me la natura alla cultura, essa è anche cultura se considerata in un'altra relazione; non si dice forse dello sciacallo, incarnazione della natura selvaggia, che non si fa una casa? La casa e per estensione il villaggio/8 il paese pieno (la'mmara o thamurth i'amaran), il luogo delimitato popolato da uomini, si contrappongono in un'altra relazione ai campi privi di uomini che vengono chiamati lakhla, lo spazio vuoto e sterile; così, se condo Maunier, gli abitanti di Taddertel Jeddid credevano che coloro che costruiscono al di fuori dello spazio delimitato del vil laggio si espongono all'estinzione della propria famiglia; la stessa credenza si ritrova altrove e viene fatta un'eccezione solo per il giardino, anche quando sia lontano dalla casa (thabhirth), per il frutteto (thamazirth) o l'essiccatoio per i fichi (tarha), luoghi che partecipano per certi versi al villaggio e alla sua fecondità. Ma l'opposizione non esclude l'omologia tra la fecondità degli uomi ni e la fecondità dei campi che sono entrambe il prodotto dell'u nione del principio maschile e del principio femminile, del fuoco solare e dell'umidità terrestre. È infatti quest'omologia che la maggior parte dei riti destinati ad assicurare la fecondità degli uomini e della terra sottintendono, che si tratti della cucina, strettamente sottoposta alle opposizioni che organizzano l'anno agrario e dunque ai ritmi del calendario agricolo, o dei riti di rin novamento del focolare e delle pietre (iniyen), che segnano il passaggio dalla stagione secca alla stagione umida, o l'inizio del l' anno, e più in generale di tutti i riti compiuti all'interno della 27. ll focolare è il luogo di un certo nwnero di riti e l'oggetto di proibizioni che ne fanno l'opposto della parte oscura. Per esempio, è proibito toccare la cenere du rante la notte; sputare nel focolare, lasciarci cadere dell'acqua e versarvi delle lacri me (Maunier). Nello stesso modo i riti destinati a ottenere un cambiamento del tem po e fondati su un'inversione utilizzano l'opposizione tra la parte secca e la parte wnida della casa: per esempio, per passare dall'wnido al secco, si mette una spola per tessere la lana (oggetto fabbricato dal fuoco e associato alla tessitura) e un tizzo ne ardente sulla soglia durante la notte; all'opposto, per passare dal secco all'wnido, si aspergono d'acqua i pettini per tessere e cardare, sulla soglia durante la notte. 28. Anche il villaggio possiede la sua burma che ogni visitatore deve rispettare. Nello stesso modo in cui occorre togliersi le scarpe per entrare in una casa, in una moschea o in un'area per la trebbiatura, così occorre smontare dalla propria caval catura quando si entra in un villaggio. 64
LA CASA O ll.. MONDO ROVESCIATO
casa, immagine ridotta del topocosmo: quando le donne inter vengono nei riti propriamente agricoli, è ancora l'omologia tra la fecondità agraria e la fecondità umana, forma per eccellenza di ogni fecondità, che fonda le loro azioni rituali e conferisce loro l'efficacia magica. Non si finirebbe mai di elencare i riti compiuti all'interno della casa che hanno solo l'apparenza di riti domestici perché tendono sempre al contempo ad assicurare la fecondità del campo e la fecondità della casa. Occorre infatti che la casa sia piena perché il campo sia pieno e la donna contribuisca alla pro sperità del campo dedicandosi, tra le altre cose, ad accumulare, a economizzare e a conservare i beni che l'uomo ha prodotto e a fissare in qualche modo nella casa tutto il bene che può entrarvi. "L'uomo, si dice, è come un canale, la donna come un bacino" , l'uno porta, l'altra trattiene e conserva. L'uomo è "il gancio a cui sono sospesi i cesti" , il dispensatore, come lo scarabeo, il ragno o l'ape. Ciò che l'uomo ha portato, la donna ordina, protegge, ri sparmia. È la donna che dice: "Maneggia il tuo bene come un tizzone. C'è l'oggi, il domani, la tomba; Dio perdona chi ha la sciato non chi ha mangiato" . "Ha più valore, si dice ancora, una donna che sa risparmiare di una coppia di buoi all'aratura." Co me il "paese pieno" si contrappone allo "spazio vuoto" (lakhla), il "pieno della casa" (la'mmara ukham), cioè il più delle volte "la vecchia" che risparmia e accumula, si contrappone al "vuoto della casa" (lakhla ukham), il più delle volte la nuora.29 In estate la porta della casa deve rimanere aperta tutto il gior no in modo che la luce fecondante del sole possa penetrare, as sieme alla prosperità. La porta chiusa significa la carestia e la ste rilità: sedersi sulla soglia, ostruendola, significa impedire il pas saggio alla felicità e alla pienezza. Per augurare a qualcuno la prosperità si dice: "Che la tua porta rimanga aperta" o "Che la tua casa sia aperta come una moschea". L'uomo ricco e generoso è colui di cui si dice: "La sua casa è una moschea, è aperta a tutti, poveri e ricchi, è di focaccia e di cuscus, è piena" (tha'mmar); la generosità è una manifestazione della prosperità che garantisce 29. 'ammar quando si tratta di una donna significa essere economa e buona am
' ministratrice; significa anche fondare un focolare ed essere pieno. Ad ammar si contrappone colui di cui si dice ikhla, uomo spendaccione, ma anche sterile e isola to o anche enger, celibe e sterile, cioè in un certo senso selvaggio, incapace di fon dare una casa come lo sciacallo.
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TRE STIJDI DI ETNOLOGIA CABILA
la prosperità. La maggior parte delle azioni tecniche e dei rituali di pertinenza femminile sono orientate dall'intenzione obiettiva di fare della casa, al modo di thigejdith che apre la sua estremità a forca ad asalas alemmas, il ricettacolo della prosperità che le giunge da fuori, il ventre che, come la terra, accoglie il seme che il maschio vi fa penetrare, così come, all'opposto, di controbilan ciare l'azione di tutte le forze centrifughe capaci di sottrarre alla casa i beni che custodisce. Per esempio, è proibito donare il fuo co il giorno della nascita di un bambino o di un vitello o anche all'inizio dell'aratura;30 alla fine della trebbiatura nulla deve usci re dalla casa, e la donna fa in modo di recuperare tutti gli oggetti prestati; il latte dei tre giorni successivi al parto della vacca non deve uscire dalla casa; la sposa non può varcare la soglia prima del settimo giorno dal suo matrimonio; colei che ha partorito non deve lasciare la casa prima del quarantesimo giorno; il neo nato non deve uscire prima dell'Aid Seghir; la macina a braccio non deve mai essere prestata e !asciarla vuota significa attirare la carestia sulla casa; non bisogna far uscire ciò che viene tessuto prima che sia terminato; come prestare il fuoco, anche scopare, atto di espulsione, è proibito durante i primi quattro giorni di aratura; l'uscita del morto è facilitata in modo che non porti con sé la prosperità;31 "le prime uscite", per esempio quelle della vac ca, il quarto giorno dopo il parto, o quella del vitellino, sono contrassegnate da sacrifìci.32 Da un atto di espulsione può risul tare il "vuoto"; ma può anche insinuarsi insieme a taluni oggetti come l'aratro, il quale non può entrare nella casa tra due giorna30. All'opposto, l'ingresso nella casa delle nuove pietre del focolare in date inaugurali significa riempimento, introduzione del buono e del bene; anche le pre visioni fatte in queste circostanze riguardano la prosperità e la fecondità: se si trova un verme bianco sotto una delle pietre, ci sarà una nascita durante l'anno; se si tro va un'erba verde, una buona raccolta; se delle formiche, l'accrescimento di un gregge; se un onisco, dei nuovi capi di bestiame. 3 1. Per consolare qualcuno si dice: uVi lascerà la baraka", se si tratta di una persona di una certa età, oppure "La baraka non è uscita dalla casa", se si tratta di un bambino. n morto è posto presso la porta con la testa voltata verso la porta; l'acqua viene scaldata dal lato della stalla e il lavaggio è fatto all'entrata della stalla; i tizzoni e la cenere di questo fuoco sono dispersi fuori dalla casa; la tavola che è servita a lavare il morto rimane per tre giorni davanti alla porta; dopo la sepoltura vengono piantati tre chiodi nella porta dal venerdì al sabato successivo. 32. La vacca deve passare su un coltello e delle fave disposte sulla soglia; delle gocce di latte sono versate sul focolare e sulla soglia. 66
LA CASA O IL MONDO ROVESCIATO
te di aratura, o le scarpe di colui che compie l'aratura (arkassen), le quali sono associate a lakhla, allo spazio vuoto, o insieme a ta lune persone, come le vecchie perché portano con sé la sterilità (lakhla) e perché sono numerose le case di cui hanno causato la vendita e in cui hanno introdotto dei ladri. All'opposto, un gran numero di atti rituali mirano ad assicurare il "riempimento" del la casa, come quelli che consistono nel gettare nelle fondamenta, sulla prima pietra, dopo aver versato il sangue di un animale, i frammenti di una lampada matrimoniale (la cui forma rappre senta un accoppiamento e che ha un ruolo nella maggior parte dei riti di fecondità), o nel far sedere la giovane sposa, al suo in gresso nella casa, su un otre colmo di cereali. Ogni primo ingres so nella casa è una minaccia per la pienezza del mondo interno che i riti della soglia, nel medesimo tempo propiziatori e profilat tici, devono scongiurare: la nuova coppia di buoi viene accolta dalla padrona di casa - thamgharth ukham, cioè, come abbiamo visto, "la pienezza della casa", la'mmara ukham -, che colloca sulla soglia la pelle di pecora su cui si depone la macina a braccio e che accoglie la farina (alamsir, chiamata anche "la porta delle derrate" , bah errazq). La maggior parte dei riti destinati a procu rare la fecondità alla stalla e quindi alla casa ("una casa senza vacca è, si dice, una casa vuota" ) tendono a rafforzare magica mente la relazione strutturale che unisce il latte, il verde-blu (azegzaw che è anche il crudo, thizegzawth), l'erba, la primavera, l'infanzia del mondo naturale e dell'uomo: all'equinozio della primavera, al momento del ritorno di azal, il giovane pastore che partecipa doppiamente alla crescita del campo e del bestiame, attraverso la sua età e la sua funzione, coglie un mazzo di "tutto ciò che il vento agita nella campagna" per sospenderlo all'archi trave della porta, (a eccezione dell'oleandro, usato di solito a fini profilattici e nei riti di espulsione, e della scilla che segna la sepa razione tra i campi); sulla soglia della stalla si sotterra anche un sacchetto contenente del cumino, del benzoino e dell'indaco, di cendo: "O verde-blu (azegzaw), fai che il burro non diminui sca ! " . Alla zangola vengono appese delle piante appena colte con le quali si sfregano gli strumenti destinati a ricevere il latte.33 33. Talora anche all'interno del vaso che riceverà il latte viene posta una pietra che il giovane pastore ha raccolto quando ha sentito il cucù per la prima volta e che 67
TRE STIJDI DI ETNOLOGIA CABILA
Tra tutti, l'ingresso della giovane sposa è carico di conseguenze per la fecondità e la pienezza della casa: quando è ancora a caval lo del mulo che l'ha trasportata dalla casa di suo padre, le vengo no offerti dell'acqua, dei chicchi di grano, dei fichi, delle noci, delle uova cotte o delle frittelle, tutte cose (al di là delle varianti nei diversi luoghi) associate alla fecondità della donna e della ter ra. A quel punto ella li lancia in direzione della casa, facendosi così in qualche modo precedere dalla fecondità e dalla pienezza che deve portare alla casa.34 Varca la soglia portata sulle spalle di un parente dello sposo, secondo Maunier, sulle spalle di un nero (mai comunque sulle spalle dello sposo) che frapponendosi in tercetta le forze malvagie, in grado di intaccare la sua fecondità, di cui la soglia, punto di incontro tra due mondi contrapposti, è la sede: une donna non deve mai sedersi vicino alla soglia tenen do il proprio bambino; il bambino nato da poco e la giovane sposa non devono mai calpestarla troppo spesso. Perciò la donna, attraverso cui la fecondità entra nella casa, contribuisce anche alla fecondità del mondo agricolo: destinata al mondo interno, agisce anche all'esterno, assicurando la pie nezza all'interno e controllando, a titolo di guardiana della so glia, quegli scambi senza contropartita che solo la logica della magia può regolare e attraverso cui ogni parte dell'universo vuo le ricevere dall'altra il pieno offrendogli solo il vuoto.35 Ma uno dei due sistemi di opposizioni che definiscono la casa, sia nella sua organizzazione interna sia nel suo rapporto con il mondo esterno, si trova portato in primo piano a seconda che si consideri la casa dal punto di vista maschile o dal punto di vista femminile. Mentre per l'uomo la casa è più un luogo da cui si esce che un luogo in cui si entra, la donna non può che attribuire a questi due spostamenti e alle corrispondenti definizioni della ca sa un'importanza e un significato inverso, perché per essa il movi mento verso l'esterno consiste prima di tutto in atti di espulsione ha posto sulla propria testa. Capita anche che il latte sia estratto attraverso l'anello della zappa o che si getti una manciata di terra nel vaso. 34. Si può anche aspergerla d'acqua o farle bere dell'acqua o del latte. 35. Alla porta sono appesi diversi oggetti che hanno in comune il fatto di mani festare la duplice funzione della soglia, barriera selettiva incaricata di fermare il vuoto e il male, lasciando però entrare il pieno e il bene e predisponendo alla fe condità e alla prosperità rutto ciò che varca la soglia verso l'esterno.
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e perché il movimento verso l'interno, vale a dire dalla soglia ver so il focolare, è proprio una sua incombenza. n significato del movimento verso l'esterno è evidente nel rito che compie la ma dre, al settimo giorno dal parto, "affinché suo figlio sia coraggio so" : a cavallo della soglia posa il piede destro sul pettine per car dare la lana e simula un combattimento con il primo ragazzo che incontra. Uscire è movimento propriamente maschile, che con duce verso gli altri uomini e anche verso i pericoli e le prove che è importante affrontare, da uomo tanto ruvido, quando si tratti d'onore, quanto le punte del pettine per cardare.36 Uscire o più precisamente aprire (/atah) è l'equivalente di "essere al mattino" (sebah). L'uomo che si rispetti deve uscire di casa di primo matti no, poiché l'uscire di casa al mattino è una nascita: da ciò deriva l'importanza delle cose incontrate che sono auspici per la giorna ta tanto che, nel caso di cattivi incontri (fabbro, donna che porta un otre vuoto, grida o lite, un essere deforme), è meglio "rifare il proprio mattino" o "la propria uscita" . Per esempio un uomo de gno, cosciente delle proprie responsabilità, deve alzarsi presto: "Colui che non conclude al mattino presto i propri affari non li concluderà mai " ; o ancora: "n suq è il mattino"; "Colui che dor me fino all'azal (il momento più caldo nel mezzo della giornata) troverà il mercato deserto" . In tutte le cose il mattino è il momen to della decisione, dopo la notte consacrata al riposo. n mattino ha un rapporto di omologia con la fortuna, il bene, la luce. "n mattino, si dice, è la facilità." Alzarsi presto al mattino significa collocarsi sotto auspici favorevoli (la/tah, l'apertura di buon au spicio). Colui che si alza presto è al riparo dagli incontri che por tano sfortuna; invece, colui che si avvia per strada per ultimo può avere come compagno solo l'orbo, che attende giorno fatto per partire, o lo zoppo, che rimane indietro. Alzarsi al canto del gallo significa collocarsi sotto la protezione degli angeli del mattino e rendere loro grazia; è, se così si può dire, mettersi in stato di gra zia, è fare in modo che gli "angeli decidano al proprio posto" . Si comprende in tal modo l'importanza attribuita all'orienta mento della casa: la facciata della casa principale, quella che ospi36. Mentre alla nascita la bambina è awolta in un fazzoletto di seta, morbido e soffice, il bambino è fatto su con le corde dure e ruvide che servono a legare i fasci mietuti.
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TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
ta il capo famiglia e che include una stalla, è quasi sempre orienta ta a est; la porta principale - in contrapposizione alla porta stretta e bassa riservata alle donne che si apre verso il giardino, sul retro della casa - che è comunemente chiamata la porta dell'est (thab burth thasherqith) o anche la porta della strada, la porta dell'alto, la grande porta.37 A causa dell'esposizione dei villaggi e della posi zione ribassata della stalla, la parte alta della casa con il focolare si trova a nord, la stalla a sud e il muro del telaio a ovest. Ne conse gue che lo spostamento con il quale ci si dirige verso la casa per entrarvi è orientato da est a ovest in contrapposizione al movi mento con il quale se ne esce, in modo conforme all'orientamento per eccellenza verso est, cioè verso l'alto, la luce, il buono e il be ne: colui che ara orienta i suoi buoi verso est quando li aggioga e quando li stacca dall'aratro e comincia ad arare da ovest a est; così pure i mietitori si dispongono di fronte alla qibla e il bue del sacri ficio viene sgozzato di fronte all'est. Non si finirebbe mai di elen care le azioni che vengono compiute conformemente all'orienta mento cardinale, cioè tutte le azioni importanti che mettono in gioco la fecondità e la prosperità del gruppo.38 Se torniamo ora al l'organizzazione interna della casa, osserviamo che il suo orienta mento è esattamente opposto rispetto a quello dello spazio ester no, come se fosse stata ottenuta attraverso una mezza rotazione attorno al muro della facciata o della soglia presa come asse. ll muro del telaio, di fronte al quale ci si trova appena oltrepassata la soglia e che è illuminato direttamente dal sole del mattino, è la lu37. È ovvio che un orientamento inverso (quello che si scorge quando si guarda attraverso i muri la pianta della casa) è possibile, benché raro. Si dice esplicitamen te che tutto ciò che viene da ovest porta sfortuna e una porta rivolta verso questa direzione può ricevere solo oscurità e sterilità. Di fatto, se la pianta opposta alla pianta "ideale» è rara, è in primo luogo per il fatto che le case secondarie, quando vengono disposte ad angolo retto intorno al cortile, sono spesso delle semplici stanze di soggiorno, sprovviste di cucina e di stalla, e per il fatto che il cortile è spesso chiuso, sul lato opposto alla facciata della casa principale, dal retro della ca sa vicina, essa stessa voltata verso est. 38. È noto che i due su/, leghe politiche e guerriere che si mobilitavano non ap pena scoppiava un incidente (e che intrattenevano rapporti variabili che andavano dalla sovrapposizione alla completa dissociazione con le unità sociali fondate sulla parentela), erano chiamati su/dell'alto (u/ella) e su/del basso (buadda) o su/di de stra (aya/us) e su/ di sinistra (azelmadh) oppure anche su/dell'est (asherqt) e su/del l'ovest (aghurbt). Quest'ultima denominazione meno usuale era stata conservata per designare i campi dei giochi rituali (da cui i combattimenti rituali tra su/ deri vavano la loro logica) e sopravvive ancora oggi nei giochi dei bambini. 70
LA CASA O IL MONDO ROVESCIATO
ce interna (come la donna è la lampada interna), cioè l'est dell'in temo, simmetrico dell'est esterno, da cui deriva la sua luminosità in prestito.39 li lato interno e oscuro del muro di facciata rappre senta l'ovest della casa, luogo del sonno, che si lascia alle proprie spalle quando si avanza dalla porta verso il kanun, dove la porta corrisponde simbolicamente alla "porta dell'anno" , inizio della stagione umida e dell'anno agricolo. Nello stesso modo i due muri sormontati dai timpani, il muro della stalla e il muro del focolare, ricevono due significati opposti a seconda che si consideri l'uno o l'altro dei loro lati: al nord esterno corrisponde il sud (e l'estate) interno, cioè il lato della casa che si ha davanti e alla propria destra quando si entra guardando il telaio; al sud esterno corrisponde il nord (e l'inverno) interno, cioè la stalla, situata dietro e a sinistra quando ci si dirige dalla porta verso il focolare.40 La divisione del la casa in una parte scura (lato ovest e nord) e in una parte lumino sa (lato est e sud) corrisponde alla divisione dell'anno in una sta gione umida e in una stagione secca. Insomma, a ogni lato esterno del muro (essur) corrisponde una regione dello spazio interno (ciò che i cabili designano come tharkunt, cioè più o meno il lato), che detiene un significato simmetrico e inverso nel sistema delle op posizioni interne; ognuno dei due spazi può essere definito come la classe di movimenti che effettuano lo stesso spostamento, cioè una mezza rotazione rispetto all'altro dove la soglia costituisce l'asse di rotazione. Non si capirebbero fino in fondo il peso e il va lore simbolici che nel sistema sono attribuiti alla soglia, se non si percepisse che essa deve la propria funzione di frontiera magica al fatto che è il luogo di un'inversione logica e che, a titolo di luogo di passaggio e di incontro obbligato tra i due spazi, definiti rispet to a dei movimenti del corpo e a dei tragitti socialmente qualifica ti,41 è logicamente il luogo in cui il mondo viene rovesciato.42 39. Ricordo che è dal lato del telaio, parte nobile della casa, che il padrone di casa riceve (qabel) il proprio ospite. 40. Occorre quindi aggiungere i quattro punti cardinali e le quattro stagioni al la serie delle opposizioni e delle omologie presentate qui sotto (l'appartenenza e l'adeguamento di tali significati al sistema mitico rituale nel suo insieme sono del resto dimostrabili); ... cultura:natura::est:ovest::sud:nord::primavera:autunno::e state:invemo. 41. In alcune regioni della Cabilia, la giovane sposa e un bambino circonciso (in occasione della stessa festa) devono incrociarsi sulla soglia. 42. Si capisce dunque il fatto che la soglia sia associata direttamente o indiretta-
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TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
Perciò ognuno dei due universi ha il proprio oriente e i due spostamenti più carichi di significati e di conseguenze magiche, lo spostamento dalla soglia verso il focolare, che deve portare la pienezza, la cui effettuazione o controllo rituale ricadono sulla donna, e lo spostamento dalla soglia verso il mondo esterno che, per il suo valore inaugurale, contiene tutto ciò che porterà il futuro e in particolare il futuro del lavoro agricolo, possono compiersi in modo conforme all'orientamento benefico, cioè da ovest a est.43
OVEST
secco
est primavera ·
.
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·.
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SUD
nord basso inverno
·
sinistra umido
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J
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alto sud estate
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autunno ovest
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EST
mente ai riti destinati a determinare un'inversione del corso delle cose, operando un'inversione delle opposizioni fondamentali, i riti destinati a ottenere la pioggia o il bel tempo per esempio o quelli che sono praticati presso le soglie tra periodi (per esempio la notte che precede En-nayer, primo giorno dell'anno solare, in cui ven gono seppelliti degli amuleti presso la soglia della porta). 43. La corrispondenza tra i quattro angoli della casa e i quattro punti cardinali si esprime chiaramente in alcuni riti propiziatori osservati nell'Aurès: al momento del rinnovamento del focolare, il primo giorno dell'anno nuovo, la donna shauia fa cuocere delle paste, suddivide la prima che è cotta in quattro parti che getta in di rezione dei quattro angoli della casa. Fa lo stesso con il piatto rituale del primo giorno di primavera (cfr. M. Gaudry, La/emme chaoufa de l'Aurès, Librairie orien taliste L. Geuthner, Parigi 1928, pp. 58-59).
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LA CASA O n. MONDO ROVESCIATO
n doppio orientamento dello spazio della casa fa sl che si pos sa a un tempo entrare e uscire con il piede destro, nel senso pro prio e figurato, con tutti i benefici magici associati a tale osser vanza, senza che venga mai rotta la relazione che unisce la destra all'alto, alla luce e al bene. La mezza rotazione dello spazio intor no alla soglia assicura, quindi, se mi si permette l'espressione, la massimizzazione del beneficio magico, dato che il movimento centripeto e il movimento centrifugo si compiono in uno spazio organizzato in modo tale che vi si entra avendo di fronte la luce e se ne esce avendo di fronte la luce.44 Questi due spazi simmetrici e invertiti non sono intercambia bili ma posti in una relazione gerarchica, poiché lo spazio inter no è solo l'immagine ribaltata o il riflesso in uno specchio dello spazio maschile.45 Non è un caso che solo l'orientamento della porta sia prescritto in modo esplicito, dato che l'organizzazione interna dello spazio non è mai colta in modo cosciente e ancor meno voluta come tale dai soggetti.46 L'orientamento della casa è definito in modo primordiale dall'esterno, dal punto di vista de gli uomini e, se così si può dire, dagli uomini e per gli uomini, co me il luogo da cui escono gli uomini. "Una casa prospera grazie alla donna; il suo aspetto esterno è bello grazie all'uomo. " La ca sa è un impero in un impero, che resta però sempre subordinato perché, anche se presenta tutte le proprietà e tutte le relazioni che definiscono il mondo archetipico, rimane un mondo rove sciato, un riflesso ribaltato.47 "L'uomo è la lampada esterna, la donna la lampada interna. " L'apparente simmetria non deve in44. Cercheremo di mostrare altrove che la medesima struttura si ritrova nell'or dine del tempo. Ma per mostrare che qui si tratta indubbiamente di una forma as sai generale del pensiero magico, sarà sufficiente un altro esempio molto simile: gli arabi del Maghreb consideravano un segno fasto, riferisce Ben Cheneb, il fatto che un cavallo abbia la zampa anteriore destra e la zampa posteriore sinistra di colore bianco; il padrone di un simile cavallo non può che essere felice perché monta ver so il bianco e smonta anche verso il bianco (è noto che i cavalieri arabi montano a destra e smontano a sinistra) (cfr. Ben Cheneb, Proverbes arabes d'Alger et du Ma ghreb, vol. m, Leroux, Parigi 1905-1907, p. 3 12). 45. Lo specchio ha un grande ruolo nei riti di inversione e in particolare nei riti volti a ottenere il bel tempo. 46. Ciò spiega perché sia sempre sfuggita agli osservatori anche più attenti. 47. Anche nello spazio interno le due parti contrapposte stanno in una relazio ne gerarchica. Accanto agli indizi già citati, ne è un esempio il detto: "Ha più valo re una casa piena di uomini che una casa piena di beni (el ma{)", vale a dire di be stiame.
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gannare: la lampada del giorno è solo in apparenza definita ri spetto alla lampada della notte; infatti, la luce notturna, maschile femminile, rimane ordinata e subordinata rispetto alla luce diur na, alla lampada del giorno, cioè al giorno del giorno. "L'uomo spera in Dio, la donna si aspetta tutto dall'uomo", "La donna, si dice anche, è ritorta come una falce"; e anche la più retta di que ste nature sinistre può solo essere raddrizzata. Anche la donna sposata trova il proprio oriente all'interno della casa dell'uomo, che non è altro che il ribaltamento dell'occidente: non si dice forse "la donna nubile è l'occidente" ? n privilegio attribuito al movimento verso l'esterno, attraverso cui l'uomo si afferma in quanto uomo, voltando le spalle alla casa per porsi di fronte agli uomini e scegliendo la via dell'oriente del mondo, è solo una for ma di rifiuto categorico della natura, origine inevitabile del mo vimento per allontanarsene. Parigi, 1963 - 1964
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3 LA PARENTELA COME RAPPRESENTAZIONE E COME VOLONTÀ
I ragazzi giocano alla qoshra i primi giorni di prima vera. In cerchio intorno a wta palla di sughero (qo shra) e muniti di Wl bastone con l'estremità ricurva, cominciano sorteggiando colui che tra loro terrà la palla e ne sarà il "padre": costui si mette vicino alla palla, sua "figlia", che egli deve difendere, cercando di impedire che esca dal cerchio, la "casa". Al contrario, gli altri giocatori con il bastone cercano di spingere la palla fuori dal cerchio. Se la "figlia" tocca direttamente Wl giocatore o se il "pa dre" stesso riesce a toccarlo con il proprio bastone, dicendo "è tua figlia", il giocatore toccato diventa il "padre" della palla e libera il primo giocatore da tale funzione. n più abile può impadronirsi della "figlia" che si è persa e prenderla in "moglie". Se il padre non riesce a riportare "a casa" la "fi glia", si dice che egli invecchia e lo si canzona, can tando: "È invecchiato, è invecchiato, è salito a Beni Kelleb, ha mangiato wta focaccia intera con wta borraccia di latticello". Capita anche che la palla venga messa sotto la camicia dello sconfitto, in tal modo identificato con la ragazza dalla quale si è avuto Wl figlio. Non è raro che il "padre", umiliato, si metta per sino a piangere. Gioco rituale raccolto a Ain Aghbel
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TRE STUDI DI E1NOLOGIA CABILA
n matrimonio con la cugina parallela patrilineare (bent'amm, la figlia del fratello del padre)1 può apparire "come una sorta di scandalo"/ secondo le parole di Claude Lévi-Strauss, solo agli spiriti strutturati in modo conforme alle categorie di pensiero che scardina. Questa sorta di quasi-incesto legittimo costituisce una vera sfida tanto alle teorie dei gruppi a filiazione unilineare quan to alla teoria dell'alleanza matrimoniale. Infatti attraverso la no zione di esogamia, che è la condizione della riproduzione di grupl . Questo studio è il risultato di Wla ricerca che, inframmezzata ad altri lavori, è durata dal 1960 al 1970. Nel quadro di Wl'analisi delle strutture economiche e sociali condotta dapprima in diversi villaggi della Cabilia, in seguito nella regione di Collo, infine nella valle dello Shelif e nell'Ouarsenis, avevamo raccolto delle genealogie che tentavano di tracciare sommariamente la posizione economica relativa dei gruppi Wliti in matrimonio. L'analisi statistica di tali genealogie, condotta tra il 1962 e il 1964, permise di stabilire alCWle relazioni estremamente sommarie, quali l'endoga mia più elevata delle famiglie marabuttiche o l'asimmetria degli scambi matrimoniali tra i gruppi separati da disuguaglianze economiche. Ma non potemmo fare a meno di sentire quanto fossero artificiali e astratte le suddivisioni e i raggruppamenti che era vamo costretti a operare nel momento in cui volevamo calcolare i tassi di matrimonio con la cugina parallela. Avendo quindi abbandonato lo studio delle genealogie, il quale portava solo insegnamenti negativi all'analisi del rituale, notammo rapidamen te che le variazioni osservate nello svolgimento dei riti che da principio eravamo por tati a trattare come semplici varianti, nel caso del matrimonio, corrispondevano a Wlioni strutturalmente e funzionalmente diverse, poiché il rituale che si esplica com pletamente nel caso dei matrimoni tra grandi famiglie di tribù diverse si trova ridotto alla sua espressione più semplice nel caso del matrimonio tra cugini paralleli. Cosl ogni matrimonio (quindi ognlllla delle forme che assume il rito) appariva come Wl momento di Wla strategia il cui principio risiede in Wl determinato tipo di condizioni oggettive e non in Wla norma esplicitamente posta e obbedita o in Wl "modello" in conscio. Non potevamo quindi spiegare gli scambi matrimoniali se non a condizione di stabilire, oltre alla relazione puramente genealogica tra i congillllti, la relazione og gettiva tra le posizioni nella struttura sociale dei gruppi Wliti dal matrimonio, la storia degli scambi economici e simbolici avvenuti tra loro e lo stato di tali transazioni al mo mento in cui era iniziata la negoziazione matrimoniale, la storia di questa negoziazio ne, il suo momento nella vita dei congillllti (infanzia o adolescenza), la sua lllllghezza, gli agenti responsabili, gli scambi cui dava luogo e in particolare l'ammontare della dote ecc. Ciò significa che lo studio degli scambi matrimoniali si confonde con la sto ria economica e sociale delle famiglie di cui lo schema genealogico restituisce solo lo scheletro. Questo è il motivo per cui abbiamo iniziato a raccogliere la storia sociale di Wla famiglia, senza aver potuto effettivamente arrivare fino in fondo a questo compi to che, pur attenendosi all'informazione pertinente dal pllllto di vista dei matrimoni, è davvero interminabile. Questo lavoro che ha permesso di misurare concretamente tutto ciò che lo studioso di genealogie di solito tralascia ha inoltre fornito la maggior parte delle illustrazioni delle analisi teoriche qui proposte. 2. Cfr. C. Lévi-Strauss, "Le problème des relations de parenté", in]. Mergue (a cura di), Systèmes de parenté (intervento nel corso delle conversazioni interdisciplina ri sulle società musulmane), École pratique des Hautes Études, Parigi 1959, pp. 13-14.
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LA PARENTELA COME RAPPRESENTAZIONE E COME VOLONTÀ
pi di discendenza separati, della permanenza e della facile identi ficazione delle unità consecutive, mette in discussione la nozione di discendenza unilineare (unilienal descent), vale a dire la possi bilità di definire lo statuto di un individuo in funzione dello statu to dei suoi ascendenti, patemi o materni, e solo di uno dei due, così come la teoria del matrimonio come scambio di una donna con una donna, che suppone il tabù dell'incesto, cioè l'imperati vo dello scambio. Mentre la regola dell'esogamia distingue netta mente i gruppi di alleanza dai gruppi di filiazione, che per defini zione non possono coincidere, poiché la linea di discendenza è delimitata chiaramente, dato che i poteri, i privilegi e i doveri si trasmettono sia per via materna sia per via paterna, l'endogamia ha l'effetto di cancellare la distinzione tra le linee di discendenza. Così, nel caso limite di un sistema realmente fondato sul matri monio con la cugina parallela, un determinato individuo avrebbe un legame con il proprio nonno paterno sia da parte di padre sia da parte di madre. Ma, d'altra parte, scegliendo di conservare al l'interno della linea di discendenza la cugina parallela, questa quasi sorella, il gruppo si priverebbe nello stesso tempo della possibilità di ricevere delle donne dall'esterno e quindi di con trarre delle alleanze. È forse sufficiente vedere in questo tipo di matrimonio l'eccezione (o "l'aberrazione") che conferma la rego la oppure sistemare le categorie della percezione che l'hanno fat to sorgere in modo da trovargli un posto, vale a dire un nome? O non occorre, invece, rimettere in dubbio radicalmente le catego rie di pensiero che producono questo impensabile? La smentita che le tradizioni araba e berbera contrappongono alle teorie attualmente disponibili ha per lo meno il merito di ri cordare che, come mostra Louis Dumont, la teoria dei gruppi a fi liazione unilineare e la teoria dell'alleanza matrimoniale rimango no delle "teorie regionali" in senso geografico ma anche epistemo logico, sebbene pretendano di apparire come teorie universali.3 Se 3. "L'antropologia scorge sempre più chiaramente la difficoltà di passare dalle teorie semi-astratte, che spesso corrispondono a teorie regionali specifiche, a una teoria universale che le inglobi. È stato notato il rapporto abbastanza stretto che esi· ste tra la teoria dei gruppi di unificazione e le società africane o per lo meno alcune di queste. Nello stesso modo la teoria dell'alleanza matrimoniale è indubbiamente indispensabile per le società dd sud-est asiatico. In compenso essa è inapplicabile alle società arabe che praticano il matrimonio con la cugina parallda patrilineare. Entrambe le teorie sono disarmate di fronte ai sistemi detti cognatici o indifferen77
TRE STIJDI DI ETNOLOGIA CABILA
è fin troppo evidente che la critica ad alcuni fondamenti di tali teo rie, che è incoraggiata o perfino imposta dalle proprietà specifiche di una tradizione culturale, non potrebbe avere maggiori pretese di universalità, rimane il fatto che essa può contribuire al progres so verso una teoria libera da ogni regionalismo geografico o episte mologico, enunciando le domande universali che le peculiarità di taluni oggetti pongono con particolare insistenza. Perciò è suffi ciente osservare che, seppure legittimo in una società provvista di gruppi esogamici, che distingue rigorosamente tra parenti paralle li e incrociati, l'uso della nozione di "matrimonio preferenziale" non si giustifica più nel caso di una società che non contempli gruppi esogamici. Oppure bisogna scorgere in questa eccezione una ragione per mettere in discussione non solo la stessa nozione di prescrizione o preferenza, ma, da un lato, la nozione di gruppo definito dal punto di vista genealogico, entità la cui identità sociale sarebbe tanto invariabile e univoca quanto i criteri che la delimita no e che conferirebbe a ciascuno dei suoi membri un'identità so ciale ugualmente distinta e fissata una volta per tutte, e, dall'altro lato, la nozione di regola e di comportamento governato dalle regole nel duplice senso di conforme (oggettivamente) a regole e deter minato dall'obbedienza a regole? L'inadeguatezza del linguaggio della prescrizione e della rego la è così evidente che non si possono non ritrovare gli interroga tivi di Rodney Needham sulle condizioni di validità, forse mai soddisfatte, di un tale linguaggio che non è altro se non quello del diritto.4 Ma tale interrogativo sullo statuto epistemologico di concetti di uso così corrente e universale come quello di regola, di prescrizione o preferenza, non può mancare di toccare la teo ria della pratica che essi presuppongono implicitamente: si può forse considerare anche implicitamente "l'algebra della parente la", come diceva Malinowski, alla stregua di una teoria delle pra tiche di parentela e della parentela "pratica" , senza presupporre ziati in cui si può dire, parafrasando lo stesso Lévi-Strauss, che la parentela non si la scia separare dalla relazione con il suolo e in cui si intravede di conseguenza che oc còrre riunirli per isolare un vero 'sistema'. In breve, ci troviamo ancora, come si usa dire, a un basso livello di astrazione e le teorie più interessanti di cui disponiamo si applicano ognuna a un tipo di società o di sistema particolare"(L. Dumont, Intro duction à deux théories d'anthropologie sociale, Mouton, Parigi 1971, p. 119). 4. R. Needham, "The formai analysis of prescriptive patrilateral cross-cousin marriage", in Southwestern Journal o/Anthropology, 14, 1958, pp. 199-219. 78
LA PARENTELA COME RAPPRESENTAZIONE E COME VOLONTÀ
tacitamente che esiste una relazione deduttiva tra i nomi di pa rentela e "i comportamenti di parentela" ? E ancora, si può dare un significato antropologico a tale relazione senza presupporre che le relazioni regolate e regolari tra i parenti siano il prodotto dell'obbedienza a delle regole che, benché un ultimo scrupolo durkheimiano porti a chiamarle "giurali" (jura[) piuttosto che giuridiche o legali, dovrebbero comandare la pratica al modo delle regole del diritto?5 Infine, è possibile fare della definizione giuridica dei gruppi l'unico principio di divisione dei gruppi e dell'attribuzione degli agenti a tali gruppi, senza presupporre in modo implicito che gli agenti siano definiti sotto tutti gli aspetti e una volta per tutte dalla loro appartenenza al gruppo e che, in breve, il gruppo definisca gli agenti e i loro interessi più di quan to gli agenti non definiscano dei gruppi in funzione dei propri in teressi? RAPPRESENTAZIONE DI PARENTELA E PARENTELA DI RAPPRESENTANZA
Tutte le teorie del matrimonio con la cugina, e in particolare le più recenti, quella di Fredrik Barth6 e quella di Robert Murphy e di Leonard Kasdan,7 hanno in comune il fatto di far intervenire delle funzioni che la teoria strutturalista ignora o mette tra paren tesi, che si tratti di funzioni economiche come la conservazione del patrimonio all'interno della discendenza o di funzioni politi che come il rafforzamento dell'integrazione e del gruppo di di scendenza. Non si vede come potrebbero fare altrimenti senza relegare nell'assurdità un matrimonio che evidentemente non 5. Sulla relazione deduttiva che unisce i nomi di parentela o sistema di denomi nazioni agli atteggiamenti di parentela, si veda A.R Radcliffe-Brown, Struttura e funzione nella società primitiva, tr. it. Jaca Book, Milano 1968, p. 80 sgg.; African system o/kinship and marriage, "Introduction", 1960, p. 25; C. Lévi-Strauss, An tropologia strutturale, tr. it. il Saggiatore, Milano 1971, p. 48. Sul termine "giurale" e l'uso che ne fa Radcliffe-Brown cfr. L. Durnont, op. cit. , p. 41: le relazioni "giura li" sono quelle "che sono oggetto di prescrizioni precise, formali, che si tratti di persone o di cose". 6. F. Barth, "Principles of social organization in Southem Kurdistan" , in Uni versitets Ethnogra./iske Museum Bulletin, 7, Osio 1953 . 7. R. F. Murphy, L. Kasdan, "The structure of parallel cousin marriage" , in American Anthropologist, vol. 61, 1959, pp. 17-29.
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TRE STIJDI DI ETNOLOGIA CABILA
soddisfa la funzione di scambio o di alleanza di solito riconosciu ta al matrimonio con la cugina incrociata. Perciò la maggior parte degli analisti di una volta riprendeva la spiegazione indigena se condo cui il matrimonio endogamico aveva la funzione di conser vare la proprietà all'interno della famiglia,8 mettendo giustamen te in evidenza la relazione che unisce il matrimonio alle usanze successorie. A tale spiegazione Murphy e Kasdan obiettano mol to correttamente che la legge coranica che concede a una donna la metà della parte di un uomo è osservata solo di rado e che la fa miglia potrebbe contare in ogni caso sull'eredità portata dalle donne importate. Da parte sua, Barth insiste sul fatto che il matri monio endogamico "contribuisce in modo determinante" a rafforzare il gruppo di discendenza minimo e a farne un gruppo integrato nella lotta tra fazioni. Per quanto riguarda Murphy, che rimprovera a Barth di spiegare l'istituzione attraverso "gli scopi coscienti cui mirano i singoli attori", cioè più precisamente attra verso gli interessi del capo del gruppo di discendenza, a legare a sé i propri nipoti, situati in punti virtuali di segmentazione, ripor ta questo tipo di matrimonio alla sua "funzione strutturale", che è quella di contribuire alla "fissione estrema dei gruppi di lignag gio agnatici e, attraverso l'endo�amia, all'isolamento e al ripiega mento dei lignaggi su se stessi" . E fondata l'affermazione di Clau de Lévi-Strauss secondo cui le due posizioni opposte in realtà coincidono: di fatto la teoria di Barth, che fa di tale matrimonio un modo di rafforzare l'unità di lignaggio e di limitare la sua ten denza a frazionarsi, e quella di Murphy, che vi scorge il principio della ricerca di integrazione nelle unità più allargate, che inglobi no al limite tutti gli arabi e fondate sull'invocazione dell'origine comune, concordano nell'ammettere che il matrimonio con la cugina parallela non può essere spiegato con la pura logica del si stema degli scambi matrimoniali ma rinvia necessariamente a funzioni esterne, economiche o politiche. Jean Cuisenier non fa che trarre le conseguenze di tale consta tazione in seno a una costruzione che, cercando di spiegare le di scordanze già osservate da tutti gli osservatori tra il "modello" e 8. H. Granqvist, "Marriage conditions in a Palestinian village", in Commenta tiones Humanarum, Societas Scientiarium Fennica, vol. 3 , 193 1 ; H. Rosenfield, "An analysis of marriage statistics for a Moslem and Christian Arab village", in Interna tional Archives o/Ethnography, 48, 1957, pp. 32-62. 80
LA PAREN1ELA COME RAPPRESENTAZIONE E COME VOLONTÀ
le pratiche9 e nello stesso tempo le funzioni esterne, almeno eco nomiche, degli scambi matrimoniali, si avvicina alla realtà delle pratiche per quanto possibile rimanendo nei limiti dell'oggettivi smo strutturalista e della teoria della pratica che esso implica.
È il pensiero indigeno stesso che ci indica il principio esplicati vo. Questo infatti rappresenta le alleanze stabilite in un gruppo a partire da un'opposizione fondamentale tra due fratelli di cui uno deve sposarsi nel senso dell'endogamia per mantenere la consisten za del gruppo e l'altro nel senso dell'esogamia per procurare al gruppo delle alleanze. Tale opposizione tra i due fratelli si ritrova a tutti i livelli del gruppo agnatico; nel linguaggio genealogico abitua le al pensiero arabo essa esprime un'alternativa rappresentabile se condo lo schema di un "ordine parziale" dove i valori numerici di a e b sono rispettivamente 1/3 e 2/3. Se a è la scelta dell'endogamia, b è la scelta dell'esogamia e se si seguono le ramificazioni dell'albero dicotomico a partire dalla radice, la scelta di a al livello più superfi ciale delle cerchie genealogiche è la scelta della cugina parallela (1/3 dei casi) [. .. ). Questo modello estremamente semplice [ .. .] for nisce un'ipotesi per spiegare la frequenza con cui si osservano pres so i popoli di cultura arabo-musulmana, tanto l'endogamia del gruppo di discendenza agnatico quanto le altre forme tipiche della pratica matrimoniale effettiva. 10 Si potrebbe essere tentati di riconoscere a questo modello il merito di presentarsi come la trasposizione nell'ordine oggettivo e collettivo di una delle rappresentazioni che gli agenti si fanno delle loro strategie matrimoniali e di sforzarsi di rendere conto dei dati statistici a differenza delle teorie tradizionali del "matri monio preferenziale" che si accontentano della constatazione della divergenza, imputata a fattori secondari, per esempio de mografici, tra la "norma" (o la "regola") e la pratica. n Ma ciò si9. 1n tal modo Murphy osservava che, malgrado la rarità del materiale statisti co, era noto da molto tempo che il matrimonio con la cugina parallela non è una "pratica costante e vale solo per i primi matrimoni" benché sia "la forma di unione preferita e normativa". 10. J. Cusienier, "Endogamie et exogamie dans le mariage arabe", in I.:Homme, 2, 1962, pp. 80-105. 1 1 . "Si sa da tempo, e le operazioni con i calcolatori elettronici eseguite da Kunstadter e dalla sua équipe l'hanno definitivamente dimostrato, che le società che auspicano il matrimonio tra certi tipi di parenti riescono a conformarsi alla norma soltanto in un piccolo numero di casi. I tassi di fecondità e di riproduzione, l'equilibrio demografico dei sessi, la piramide delle età, non offrono mai la bella ar-
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TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
gnificherebbe lasciarsi ingannare dall'apparenza di rigore che la combinazione dell'empirismo e del formalismo produce in defi nitiva con poco: lo spreco ostentatorio dei segni esteriori della "scientificità" , quali diagrammi oscuri e calcoli astrusi, potrebbe infatti avere il solo scopo di dissimulare le economie realizzate nella costruzione dell'oggetto e nello stabilire i fatti. Quando si osserva che sarebbe stato sufficiente spingere più o meno lonta no il gioco della scrittura genealogica, permettendo di identifica re ogni matrimonio all'interno del gruppo di discendenza12 con il matrimonio con la cugina parallela, per allontanarsi un po' di più o un po' di meno dalla percentuale provvidenziale (36% = 1/3) che, messa in relazione con un discorso indigeno, genera un "modello teorico" , non si ha bisogno di fare appello alla critica epistemologica per convincersi che il modello è così perfetta mente adeguato ai fatti solo perché è stato costruito per successimonia e la regolarità che sarebbero richieste perché ogni individuo al momento del matrimonio possa trovare nel grado prescritto un coniuge appropriato, e ciò anche nei casi in cui la nomenclatura di parentela è abbast4nza estensiva per fondere tra loro gradi dello stesso tipo ma inegualmente lontani, e spesso lontani al punto che una nozione di discendenza comune diviene del tutto teorica», C. Lévi-Strauss, "Prefazione alla seconda edizione", in Le strutture elementari della parentela, tr. it. Feltrinelli, Milano 1969, p. 21. 12. Jean Cuisenier, che qui segue Lévi-Strauss, facendo osservare che "dal pun to di vista strutturale, si possono trattare come equivalenti il matrimonio con la fi glia del fratello del padre o il matrimonio con la figlia del figlio del fratello del pa dre» (C. Lévi-Strauss, "Le problème des relations de parente, dt. , p. 55) - scrive : " [. .. ] succede anche che Ego si sposi con la nipote* dello zio paterno o con la figlia del padre dello zio del padre. Dal punto di vista strutturale, tali unioni sono assimi labili, la prima al matrimonio con la figlia dello zio paterno, la seconda al matrimo nio con la nipote* del padre dello zio paterno" (cfr. J. Cuisenier, op. dt. , p. 84). Quando combina il nominalismo del formalismo genealogico, che prende la coe renza del sistema delle denominazioni per la logica pratica delle disposizioni e del le pratiche, con il formalismo di una statistica fondata su suddivisioni astratte, l'et nologo è portato a operare delle manipolazioni genealogiche che hanno il loro equivalente pratico nei procedimenti che gli agenti utilizzano per mascherare le di scordanze tra le loro pratiche matrimoniali e la rappresentazione ideale che se ne fanno o l'immagine ufficiale che intendono darne. In tal modo possono, per la cau sa, includere sotto il nome di cugina parallela non solo la figlia dello zio paterno, ma anche le cugine patrilineari di secondo e anche di terzo grado, quali per esem pio la figlia del figlio del fratello del padre o la figlia del fratello del padre del padre o anche la figlia del figlio del fratello del padre del padre e così via (cfr. anche le manipolazioni che fanno subire al vocabolario della parentela quando per esempio utilizzano il concetto di 'amm come termine di cortesia passibile di essere rivolto a qualsiasi parente patrilineare più anziano). *[D termine è usato qui per indicare la nipote in quanto figlia del figlio dello zio e non figlia del fratello dello zio. NdT] 82
LA PARENTELA COME RAPPRESENTAZIONE E COME VOLONTÀ
vi "adeguamenti", cioè inventato ad hoc per rendere conto di un artefatto statistico e non elaborato a partire da una teoria dei principi di produzione delle pratiche.13 C'è, sosteneva Leibniz, un'equazione per la curva di ogni viso. E con i tempi che corro no si troverà sempre qualche matematico per dimostrare che due cugine parallele a una terza sono parallele tra di loro ... Ma i prodotti incoerenti dell'intenzione formalmente coeren te che consiste nel sottoporre le genealogie all'analisi statistica hanno almeno la virtù di rivelare le proprietà più fondamentali della genealogia, questo strumento di analisi che non è mai preso esso stesso come oggetto di analisi. Si nota subito ciò che può avere di strano il fatto di calcolare dei tassi di endogamia in un caso in cui, come questo, è la stessa nozione di gruppo endogami co a essere in discussione, il che significa la base del calcolo.14 Dobbiamo accontentarci delle suddivisioni operate in astratto sulla carta, cioè alla luce delle genealogie che hanno la stessa estensione della memoria del gruppo, essa stessa funzione quan to a struttura e a estensione delle funzioni attribuite dal gruppo a quelle che essa memorizza e dimentica? Scorgendo nello schema del gruppo di discendenza una rappresentazione ideologica a cui i beduini ricorrono per darsi una "comprensione primaria" delle loro relazioni presenti, E. L. Peters15 osserva che questo schema ignora i rapporti di forza reali tra i segmenti equivalenti da un punto di vista genealogico, che dimentica le donne e che tratta 13. Sulla distinzione tra modelli mimetici e modelli analogici, si veda P. Bour dieu, J.-C. Chamboredon, J.-C. Passeron, Il mestiere di sociologo, tr. it. Guaraldi Editore, Firenze 1976, pp. 90-91. 14. n calcolo dei "tassi di endogamia" per ogni livello genealogico, intersezione irreale di "categorie" astratte, porta a trattare come identici attraverso un' astrazio ne di secondo ordine, degli individui che, malgrado siano situati allo stesso livello dell'albero genealogico, possono avere un'età assai diversa e i cui matrimoni pro prio per questo motivo hanno potuto essere conclusi in congiunture differenti cor rispondenti a stati differenti del mercato dei matrimoni; oppure, al contrario, porta a trattare come diversi dei matrimoni separati da un punto di vista genealogico ma simultanei da quello cronologico - un uomo può infatti sposarsi contemporanea mente a uno dei suoi zii. 15. E.L. Peters, "Some structural aspects of the feud among the camel·herding Bedouin of Cyrenaica" , in A/rica, vol. xxxvn, 3 , 1967, pp. 261-282. Murphy diceva la stessa cosa, ma senza trame le debite conseguenze, quando notava che le genea logie e la manipolazione delle genealogie hanno principalmente la funzione di fa vorire l'integrazione verticale di unità sociali che il matrimonio con la cugina paral lela tende a dividere e a richiudere su se stesse. 83
TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
come semplici "accidenti contingenti" i fattori ecologici, demo grafici e politici più fondamentali. In effetti le genealogie con trollate in modo più rigoroso presentano le lacune sistematiche che caratterizzano la memoria collettiva. Poiché la forza del ricordo è proporzionale al valore che il gruppo attribuisce a ogni individuo al momento della ricostru zione, le genealogie registrano meglio gli uomini (e quindi i loro matrimoni) , soprattutto quando hanno generato una numerosa discendenza maschile, delle donne (salvo evidentemente nel caso in cui queste si siano sposate all'intermo del gruppo di discen denza); esse registrano meglio i matrimoni vicini di quelli lonta ni, i matrimoni unici piuttosto che la serie completa di tutti i ma trimoni contratti da un medesimo individuo (poligamia, nuovi molteplici matrimoni dopo divorzi o vedovanze) . Tutto spinge a pensare che interi gruppi di discendenza possano essere passati sotto silenzio dagli informatori, qualora l'ultimo rappresentante sia morto senza discendenza o, che è la stessa cosa, senza discen denza maschile. A tutti i livelli genealogici, ma soprattutto ai li velli più elevati, i matrimoni femminili sono sempre nettamente meno numerosi dei matrimoni maschili: tale scarto non può es sere spiegato né dalla libertà che in teoria è accordata all'uomo di avere più mogli, di ripudiare la propria moglie senza incorrere nel disonore - mentre la donna trova il proprio interesse mate riale e simbolico, il suo "compimento" (thashbahth, la bellezza) in un matrimonio stabile in grado di soddisfare tanto i propri pa renti quanto la famiglia d'adozione - né nell'obbligo imposto al vedovo di risposarsi - mentre la vedova, anche se ancora molto giovane, è esclusa dal mercato matrimoniale dal proprio statuto di madre tenuta ad allevare il figlio di suo marito, soprattutto quando si tratti di un maschio: "Una donna non può rimanere - vedova - per un'altra donna", si dice della vedova che avendo solo figlie femmine è incoraggiata a risposarsi, mentre quella che è madre di figli maschi è lodata per il proprio sacrificio e questo tanto più quanto più è giovane e quindi esposta a sopportare la difficile condizione di estranea tra le sorelle di suo marito e le spose dei fratelli di suo marito. Senza esporre qui la totalità del materiale genealogico raccolto (più di trenta genealogie di fami glie di montanari del massiccio del Collo, della Grande e della Piccola Cabilia, dell'Ouarsenis e dei braccianti agricoli installati 84
85
108
20
29
121
15
49
1 14
15
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142
(!)Numero di soggetti - uomini e donne - registrati dalle genealogie.
49
53
l 89
l 97
17
46
20
5
o o o o
(2)
103
17
55
23
7
o o o o
(3)
Tale numero è superiore al numero dei soggetti (uomini e donne) sposati (2) a causa dei matrimoni ripetuti di molti di questi: plurimi matrimoni successivi per gli uomini e per le donne, dopo divorzi o vedovanze, e inoltre matrimoni poligamici per gli uomini.
(3 )Numero dei matrimoni che la genealogia ha registrato per gli uomini e per le donne.
(2)Numero dei soggetti - uomini e donne - di cui la genealogia ha registrato il matrimonio o almeno un matrimonio nel caso si siano sposati più di una volta.
57
l
17
l
l
13
13
13
16
24 47
14 14
15
14
6
2
13
9
2
o o o
15
l
o o o
7
o o o
8
3
2
o o
59
42
18
6
l
Genealogia I: famiglia del massiccio di Collo; Genealogia Il: famiglia della Piccola Cabilia.
Totale
102
14
17
VIII
23
19
17
19
17
5 15
6 17
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21
l
13
2
2
o o
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17
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o o
19
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3
l
21
IX
(3)
(l)
(2)
(l)
(3)
(2)
(l)
(3)
(l)
(2)
Genealogia II
VII
II III IV v VI
I
Livello genealogico
Donne Genealogia I
Genealogia II
Uomini
Genealogia I
TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
nelle fattorie della valle dello Shelif ecc.) e la totalità del tratta mento operato su tale materiale (detrazioni a seconda del livello genealogico dei matrimoni degli uomini e delle donne e riparti zione di tali matrimoni in matrimoni con la cugina parallela stretta e con qualsiasi altra cugina patrilineare, in matrimonio endogamico all'interno della parentela allargata, in matrimoni con una cugina patrilineare, sia essa nello stesso tempo una cugi na patrilineare di secondo grado o meno ecc.; tassi di endoga mia, dall'endogamia più stretta - matrimonio con la figlia del fra tello del padre - fino alla più allargata - matrimonio all'interno del gruppo di cui tutti i membri si considerano imparentati, an che se tra questi non esiste alcun legame genealogico né alcuna comunanza di nome -; tassi di poligamia per gli uomini; tassi di matrimoni dopo divorzi e vedovanze per gli uomini e per le don ne ecc.), a titolo di esempio ci si accontenterà di fornire per due genealogie prese una dalla regione di Collo e l'altra dalla Piccola Cabilia un conteggio dei matrimoni che mostra come lo scarto numerico tra i matrimoni degli uomini e i matrimoni delle donne aumenta man mano che si risalgono i livelli genealogici. È solo a partire dalla sesta generazione che le genealogie nominano le donne quasi nella stessa proporzione degli uomini: ancora alla quinta generazione, il numero di donne che compare nelle ge nealogie costituisce un terzo di quello degli uomini. Lungo tutto l'albero genealogico, il numero delle donne rimane inferiore ri spetto a quello degli uomini, anche se lo scarto si attenua man mano che si scende di livello genealogico (la genealogia di Collo nomina 57 donne contro 102 uomini e quella della Piccola Cabi lia 97 donne contro 12 1 uomini). La proporzione di matrimoni dimenticati (fino alla quinta generazione) raggiunge rispettiva mente un quarto per gli uomini (cioè in ciascuna genealogia, 12 su 47 e 7 su 28) e un terzo per le donne (5 su 13 in una genealo gia e 3 su 8 nell'altra). Oppure occorre forse riprendere le suddivisioni che gli agenti stessi operano in funzione di criteri che non sono necessariamen te genealogici? Ma ciò porterebbe solamente a scoprire che le possibilità che un individuo contragga un matrimonio social mente assimilabile al matrimonio con la figlia del suo 'amm sono tanto più grandi quanto più grande è il gruppo di discendenza abituale effettivamente mobilitabile (e quindi il numero dei po86
LA PARENTELA COME RAPPRESENTAZIONE E COME VOLONTÀ
tenziali partner) e quanto più forti le pressioni e più probabili le urgenze capaci di spingerlo e di costringerlo a sposarsi all'inter mo del gruppo. Quando la comunione dei beni è rotta e nulla in terviene a ricordare e mantenere il legame genealogico, la figlia del fratello del padre può non essere più vicina nello spazio so ciale effettivamente percepito di qualsiasi altra cugina patrilinea re (o anche matrilaterale); al contrario, una cugina più distante nello spazio genealogico può essere l'equivalente pratico di una bent'amm quando i due cugini fanno parte di una stessa "casa" strettamente unita, che vive nella totale comunione dei beni sot to la guida di un anziano. Quando gli informatori ripetono con molta insistenza che oggi ci si sposa meno all'interno del gruppo di discendenza di quanto non si facesse un tempo, forse sono so lo vittima di un'illusione suscitata dall'estinguersi delle grandi fa mi&_lie indivise. E chiaro che non è sufficiente, come fanno gli osservatori più accorti, scivolare prudentemente dalla nozione di matrimonio preferenziale con la cugina parallela alla nozione di "endogamia di lignaggio" e cercare in tale linguaggio vago e distinto un modo di sfuggire ai problemi che pone la nozione di endogamia, gli stessi che racchiude il concetto troppo familiare di gruppo. Per prima cosa, ci si può chiedere che cosa implichi definire un gruppo attraverso la relazione di parentela che unisce i suoi membri solo attraverso questa, e quindi trattare (implicitamente) la parentela come condizione necessaria e sufficiente dell'unità del gruppo. Sarebbe facile e allettante sbarazzarsi del problema contrapponendo a coloro che presuppongono, almeno implici tamente, che il sistema dei nomi di parentela, linguaggio utilizza to per nominare e classificare gli agenti e le loro relazioni, co mandi realmente le pratiche o, in altri termini, esprima le strut ture e i meccanismi strutturali in grado di comandarle, coloro che, per reazione a questa forma di idealismo, vedono nel siste ma di denominazioni e più in generale nelle rappresentazioni ge nealogiche solo un sistema di razionalizzazione di strutture so ciali fondate su principi completamente diversi. In effetti, biso gna forse rifiutare l'alternativa per chiedersi se non è in quanto strumento di conoscenza e di costruzione dell'universo sociale che le strutture di parentela rivestono una funzione politica (così come la religione e qualsiasi altra ideologia). n linguaggio della 87
TRE STIJDI DI ETNOLOGIA CABILA
parentela fornisce senza alcun dubbio i principi di strutturazione della rappresentazione del mondo sociale e dunque uno dei principi fondamentali di tutte le pratiche sociali: cosa sono i ter mini di indirizzo e di riferimento se non delle categorie di paren tela, nel senso etimologico di imputazioni collettive e pubbliche (poiché in origine katègorez'sthai significa accusare pubblicamen te, imputare qualcosa a qualcuno di fronte a tutti), collettiva mente approvate e provate come evidenti e necessarie? Le "pa role della tribù" sono parole d'ordine, degli ordini nel senso di imperativi, che possono però essere enunciati all'indicativo, poi ché non fanno che esprimere l'ordine del mondo. Dire di un uo mo che "è un uomo" significa dire ben di più e qualcos'altro che la sua appartenenza al genere umano. Inoltre, tutte le proposi zioni che hanno la forma "questo è questo" sono altrettante peti zioni di principio, dato che, sotto l'apparenza di enunciazioni dell'essere, esse contribuiscono a porre in essere ciò che enun ciano. Per misurare il potere creativo di tali designazioni cogniti vo-pratiche, pregne di un universo di percezioni e di interdetti, che sono i termini di parentela, è sufficiente pensare a quel che racchiude un'affermazione come: "È tua sorella", indicazione imperativa che è il solo enunciato pratico del tabù dell'incesto. Ma, anche se non esiste alcuna relazione sociale che non sia or ganizzata in funzione di una rappresentazione dell'universo so ciale strutturata secondo le categorie della parentela, sarebbe in genuo credere che le pratiche sociali, anche qualora si trattasse delle relazioni con i parenti, siano implicate nella loro definizio ne genealogica. Lo schema genealogico delle relazioni di paren tela costruito dall'etnologo non fa che riprodurre la rappresenta zione ufficiale delle strutture sociali, rappresentazione prodotta dall'applicazione del principio di strutturazione dominante sotto un certo aspetto, cioè in talune situazioni e in vista di talune fun zioni, e pubblicamente proclamata in contrapposizione alle rap presentazioni private proprie di frazioni specifiche. Non appena si ponga esplicitamente la questione delle funzio ni delle relazioni di parentela o, detto in modo più brutale, del l'utilità dei parenti, che le teorie della parentela preferiscono considerare come risolta, forse perché introdurrebbe il linguag gio dell'interesse dove si preferisce utilizzare il linguaggio più decoroso della regola, non si può mancare di notare che le usan88
LA PARENTELA COME RAPPRESENTAZIONE E COME VOLONTÀ
ze della parentela chiamate genealogiche sono riservate alle oc casioni ufficiali nelle quali adempiono alla funzione di ordina mento del mondo sociale e di legittimazione di tale ordine. In ciò si contrappongono ad altre specie di usi pratici delle relazioni di parentela, che sono essi stessi un caso particolare di utilizzazione delle relazioni (quelle di cui si dice che si ha e che le si coltiva). li matrimonio fornisce una buona occasione di osservare tutto ciò che nella pratica separa la parentela ufficiale, unica e immutabi le, definita una volta per tutte dalle norme protocollari della ge nealogia, e la parentela usuale, le cui frontiere e la cui definizione sono tanto numerose e varie quanto gli utilizzatori e le occasioni di utilizzarle. È la parentela usuale che fa i matrimoni; è la paren tela ufficiale che li celebra. Nei matrimoni ordinari i contatti che precedono la domanda ufficiale (akhtab) e le negoziazioni più in confessabili riguardanti ciò che l'ideologia ufficiale vuole ignora re, come le condizioni economiche del matrimonio, lo statuto of ferto alla donna nella casa di suo marito, i rapporti con la madre del marito, sono lasciati ai personaggi meno qualificati per rap presentare il gruppo e per impegnarlo, il che li rende sempre passibili di essere sconfessati, come una donna anziana, molto spesso una sorta di figura professionale di questi contatti segreti, una levatrice o qualche altra donna abituata a spostarsi di villag gio in villaggio. Nei negoziati difficili tra gruppi lontani la dichia razione delle intenzioni incombe su un uomo conosciuto e di prestigio che appartenga a un'unità sufficientemente lontana e distinta rispetto al gruppo dei richiedenti allo scopo di apparire neutrale ed essere in grado di agire in complicità con un perso naggio che occupa più o meno la stessa posizione rispetto al gruppo oggetto della richiesta (amico o alleato più che parente) . La persona incaricata evita di procedere a una richiesta esplicita e si dà da fare per trovare un'occasione di incontrare una perso na situata " dalla parte della ragazza" e di rivelare a quest'ultima le intenzioni della famiglia interessata. Quanto alla domanda uf ficiale, essa è fatta dalla persona meno responsabile tra quelle re sponsabili del matrimonio, vale a dire il fratello maggiore invece del padre, lo zio paterno invece del nonno ecc., accompagnata, soprattutto se è giovane, da un parente appartenente a un'altra linea di discendenza. Per ahallal, sono degli uomini sempre più vicini da un punto di vista genealogico al marito e di sempre 89
TRE STIJDI DI ETNOLOGIA CABILA
maggiore prestigio (cioè, per esempio, in un primo tempo il fra tello maggiore e lo zio paterno, in un secondo tempo, lo zio pa terno e uno dei notabili del gruppo, in seguito gli stessi accom pagnati da numerosi notabili appartenenti al gruppo e al villag gio così come dal taleb, ai quali si aggiungeranno alla fine i mara butti del villaggio e il padre accompagnato dai notabili dei villag gi vicini e anche della tribù vicina ecc.) che vanno a sollecitare degli uomini della famiglia della sposa sempre più distanti da un punto di vista genealogico e spaziale. Alla fine sono i parenti più importanti e più distanti della donna che intercedono presso il padre e la madre di questa in nome dei parenti più vicini e di maggior prestigio dell'uomo che li hanno sollecitati. Infine l' ac cettazione è proclamata davanti un gran numero di uomini e portata a conoscenza del più eminente tra i parenti dell'uomo dal più eminente dei parenti della donna che è stato sollecitato ad appoggiare la domanda. Se mano a mano che i negoziati pro cedono e che si avvicinano alla riuscita, la parentela usuale può lasciare il posto a quella ufficiale, dato che la gerarchia dal punto di vista dell'utilità è quasi esattamente l'inverso rispetto alla ge rarchia dal punto di vista della legittimità genealogica, è in primo luogo perché non si ha interesse a "impegnare" immediatamente nella negoziazione dei parenti che per la loro posizione genealo gica e sociale impegnerebbero troppo fortemente il loro manda to - questo in particolare in una situazione di inferiorità con giunturale che spesso si associa a una superiorità strutturale (per il fatto che l'uomo si sposa di preferenza dall'alto verso il basso); inoltre ciò accade perché non si può chiedere a chiunque di met tersi nella posizione di sollecitare e quindi di esporsi a un rifiuto e a maggior ragione di entrare in negoziazioni poco gloriose, spesso fastidiose, a volte disonorevoli per entrambe le parti (co me la pratica chiamata thaj'alts consistente nell'acquistare in cambio di denaro l'intervento dei parenti della donna chiesta in sposa presso i parenti responsabili della decisione). Infine, ciò avviene perché durante la fase utile delle negoziazioni la ricerca della massima efficacia orienta la scelta verso le persone cono sciute per la loro abilità o per la loro particolare autorità presso la famiglia considerata o anche per le loro buone relazioni con una persona capace di influenzare la decisione. È naturale che coloro che in pratica hanno "fatto" il matrimonio nella fase uffi90
LA PARENTELA COME RAPPRESENTAZIONE E COME VOLONTÀ
ciale debbano accontentarsi del posto che è loro assegnato non per la loro utilità, ma per la loro posizione nella genealogia, tro vandosi in tal modo destinati, come si dice a teatro, a "recitare le parti secondarie" a vantaggio dei "ruoli principali". Perciò, per schematizzare, la parentela di rappresentanza si contrappone al la parentela usuale come l'ufficiale al non-ufficiale (che ingloba l'ufficioso e lo scandaloso); il collettivo al particolare (inteso co me il meno collettivo); il pubblico, esplicitamente codificato in un formalismo magico o quasi giuridico, al privato, mantenuto in una condizione implicita o anche nascosta; il rituale, pratica senza soggetto suscettibile di esser compiuta da agenti inter scambiabili perché delegati collettivamente, alla strategia, orien tata verso la soddisfazione degli interessi pratici di un agente o di un gruppo di agenti specifici. Le unità astratte che, prodotte dal la semplice suddivisione teorica come in questo caso la discen denza unilineare (o altrove la classe d'età), sono disponibili per tutte le funzioni, vale a dire per nessuna in particolare, hanno co me equivalente pratico solo le usanze più ufficiali della parentela: la parentela di rappresentanza non è altro che la rappresentazio ne che il gruppo costruisce di se stesso e la rappresentazione quasi teatrale che dà di sé agendo in modo conforme alla rappre sentazione che possiede di se stesso. All'opposto, i gruppi usuali esistono solo attraverso e per le funzioni specifiche in vista delle quali essi sono effettivamente mobilitati e sussistono solo perché sono stati mantenuti attivi dalla loro stessa utilizzazione e da tut to un lavoro di mantenimento (di cui fanno parte gli scambi ma trimoniali che essi rendono possibili) e perché riposano su una comunità di disposizioni (habitus) e di interessi quale quella che fonda la comunione del patrimonio materiale e simbolico. UTlllTÀ, CONFORMITÀ E UTILITÀ DELLA CONFORMITÀ
Trattare le relazioni di parentela come qualcosa che si fa e di cui si fa qualcosa, non significa solo, come potrebbero far crede re le tassonomie in vigore, sostituire a un'interpretazione "fun zionalista" un'interpretazione "strutturalista". Significa mettere radicalmente in discussione, nel nome di una teoria della pratica in quanto pratica, la teoria implicita della pratica che porta la 91
TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
tradizione etnologica a concepire le relazioni di parentela "sotto forma di oggetto o di intuizione" , come dice Marx, piuttosto che sotto forma delle pratiche che le producono, le riproducono o le utilizzano in riferimento a funzioni necessariamente pratiche.16 Ciò che vale per le relazioni di filiazione vale a /ortz'ori per le rela zioni di affinità: infatti, è solo quando si registrano tali relazioni come fatto compiuto, post /estum, al modo dell'etnologo che re gistra una genealogia, che si può dimenticare che esse sono il frutto di strategie (coscienti o inconsce) orientate in vista della soddisfazione di interessi materiali e simbolici e organizzate in ri ferimento a un tipo determinato di condizioni economiche e so ciali. Quando ci si attiene alle mosse già giocate (oppure a quelle che l'ideologia indigena designa come le più notevoli, quale il matrimonio con la cugina parallela paterna) e quando a questo proposito si detengono solo informazioni genealogiche (cioè la relazione di parentela tra i congiunti), ci si condanna a riprende re inconsciamente la teoria della pratica che si impone ogni qual volta ci si sforzi di svincolare dal prodotto i principi della sua produzione, dall'opus operatum il modus operandi. Per un para logismo che è all'origine di ogni discorso sul metodo, si fa come se il cammino percorso fosse stato prodotto secondo le regole (dato che l'accademismo e la metodologia non fanno che trarre le conseguenze di tale incongruenza, quando vogliono sottopor re la produzione alle regole che essi hanno retrospettivamente ri cavato dal prodotto). La concorrenza e i conflitti cui dà luogo la trasmissione dei nomi propri sono un'occasione di osservare le funzioni pratiche e politiche di tali contrassegni genealogici: appropriarsi di quegli indizi della posizione genealogica (un tale, figlio di un tale, figlio di un tale ecc.) che sono al contempo degli emblemi che simbo lizzano tutto il capitale simbolico accumulato da un gruppo di 16. È ovvio che la conoscenza teorica della pratica in quanto pratica non ha nulla a che vedere con la conoscenza pratica soprattutto quale la concepiscono tutte le ideologie spontaneiste e populiste quando le accreditano le virtù magiche di un'e sperienza iniziatica o anche le ideologie dell'osservazione partecipante così come alcune forme dell'esaltazione mistica del "campo" . La teoria della pratica in quan to pratica è il solo modo di sfuggire all'alternativa del materialismo e dell'idealismo ricordando che, in opposizione al materialismo positivista, gli oggetti della cono scenza sono costruiti e che, in opposizione all'idealismo intellettualista, il principio di questa costruzione è l'attività pratica orientata verso funzioni pratiche.
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discendenza, significa in qualche modo impadronirsi di un titolo che dà dei diritti privilegiati sul patrimonio del gruppo. Thay mats, cioè lo stato dei rapporti di forza e di autorità tra i parenti contemporanei, comanda ciò che sarà thajadith, cioè la storia collettiva. Ma tale proiezione simbolica dei rapporti di forza tra individui e gruppi in concorrenza contribuisce ancor più a rinvi gorire tali rapporti di forza, accordando ai dominanti il diritto di professare la memoria interessata del passato che meglio si adat ta al fatto per legittimare i loro interessi presenti. Dare a un neo nato il nome di un grande antenato non significa solo compiere un atto di pietà filiale, ma predestinare in qualche modo il bam bino così designato a "resuscitare" l'antenato eponimo (isakrad jedi-s, ha "resuscitato" suo nonno), vale a dire a succedergli nei suoi compiti e nei suoi poteri. È evidente che si preferisce non dare a un neonato il nome di un parente ancora in vita: signifi cherebbe "resuscitarlo" prima che sia morto, !andargli una sfida ingiuriosa e, cosa ancora più grave, una maledizione (la presenza di considerazioni magiche nell'attribuzione dei nomi si nota an che da numerosi altri indizi come il fatto di far loro subire una certa deformazione per esorcizzare la minaccia di sterilità asso ciata a taluni nomi). Ciò avviene proprio quando la rottura della comunione dei beni è consacrata dalla divisione solenne del pa trimonio o a seguito dello smembramento della famiglia dovuto all'emigrazione in città o in Francia. Si capisce dunque che per la medesima logica un padre non può dare il suo nome al proprio figlio e che quando un figlio porta il nome del proprio padre si gnifica che è nato poco dopo la morte del padre "che l'ha lascia to nel ventre di sua madre". Ma, come altrove, in questo ambito non mancano i sotterfugi e le scappatoie. Accade che il nome at tribuito all'inizio al bambino venga poi cambiato allo scopo di dargli un nome resosi disponibile alla morte di suo padre o di suo nonno (il primo nome, che la madre e le donne della famiglia continuano a usare, diventa allora solo di uso privato). Accade che il medesimo nome sia dato in forme leggermente differenti a diversi bambini al prezzo di un'aggiunta o di una sottrazione (per esempio, Mohand Ourabah al posto di Rabah o viceversa; Akli al posto di Mohand Akli o viceversa) o di una leggera altera zione (Beza al posto di Mohand Ameziane, Hamimi o Dahmane al posto di Ahmed, Ouali o Alilou al posto di Ali, o anche Seghir 93
TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
o Mohand Seghir, forme arabizzate, al posto di Meziane o Mohand Ameziane). Nello stesso modo, benché si eviti di desi gnare un bambino con lo stesso nome del fratello maggiore, talu ne associazioni di nomi molto vicini gli uni agli altri o derivati da uno stesso nome sono molto apprezzate (Ahsen ed Elhosin, Ah med o Mohamed, Seghir oppure Mezian e Moqran ecc.) soprat tutto se uno di questi nomi è quello di un antenato.
1;:..
Mohand Said (a)
l
Am
r
Mohand Said (a)
l
Arezqi (c)
l
Amara (b')
4 ! Mohand Said (a) Am (b)
l
Said (a')
Mohand Sa!d (m.) (cfr. albero genealogico riportato qui so pra) ha ripreso il nome di suo nonno I. ; ha chiamato il suo primo figlio con il nome Arezqi e il secondo figlio con il nome di suo padre Amar (rvb). Arezqi volendo dare al figlio maggiore il nome di suo nonno (Amar), mentre questo nome è ancora portato dal proprio fratello, non poteva riprenderlo così com'era senza ri schiare la confusione e soprattutto senza che la cosa apparisse come scortese e, ancora più grave, come un segno di ostilità nei confronti di suo fratello, per quanto poco entrino in gioco delle reinterpretazioni magico-religiose. Non gli resta che ricorrere a una delle varianti di Amar (rvb): Amara (vb.). Nello stesso modo, per il suo secondo figlio, poiché il nome di Mohand Sa!d, dispo nibile per un momento dopo la morte di suo padre (m.), è stato ripreso da Amar (rvb) che l'ha dato a suo figlio (v.), ricorre a una variante Saad (v ). . •
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LA PARENTELA COME RAPPRESENTAZIONE E COME VOLONTA
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I
Moqrane (a)
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II
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IV
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1
Mouloud (c)
Arab (b)
Larbi (h') Moqrane (a)
La discendenza di Mouloud (m) (cfr. albero genealogico ri portato qui sopra) ha mantenuto il nome di Arab che era portato dall'antenato Ilb per attribuirlo a IVb e a Vlb; essa si è data una va riante, Mohand Amoqrane (v.), dal nome del primo antenato I.; la discendenza di Moqrane (m.) ha fatto la scelta simmetrica e complementare riprendendo il nome Moqrane tale e quale (I. m. - v. e VI. ) e dandosi il nome Larbi, variante di Arab (IVb. e Vlb.). Dato che il campo dei nomi propri esclusi è tanto più grande quanto più integrata è la famiglia, attraverso la distribuzione dei nomi è possibile trovare un indizio del "sentimento" del gruppo di discendenza. Lo stesso nome o serie intere costituite dagli stessi nomi possono coesistere in una medesima genealogia se guendo linee parallele: quanto più distante è l'origine comune (o quanto più l'unità tra i sottogruppi è indebolita), tanto più appa re legittimo utilizzare gli stessi nomi, perpetuando il ricordo del le stesse persone in gruppi di discendenza sempre più autonomi. La discendenza di Abdallah (IIb) (vedi l'albero genealogico a p. 96), figlio di Ahmed (I.), si è divisa in tre rami, un ramo deriva to da Salah (m), un altro da SaYd (m.) e il terzo da Ahmed (m.). 95
LA PARENTELA COME RAPPRESENTAZIONE E COME VOLONTÀ
Ognuno di tali rami riprende chiaramente il nome del suo fonda tore, in modo che per Salah si hanno : mc - ve - VIe - ecc.; per SaYd: m. - v. - VI. - ecc., e per Ahmed: m. - v. - vn. ecc. Oltre a questi nomi, che potrebbero costituire il capitale pro prio di ognuno di questi gruppi di discendenza, tutti riprendono un certo numero di nomi che sembrano appartenere al patrimo nio comune all'insieme del gruppo di discendenza, vale a dire sia i nomi dei due antenati Ahmed e Abdallah, sia i nomi degli uo mini che non hanno avuto una discendenza maschile capace di perpetuare il loro ricordo. Parallelamente alla serie inaugurata già alla terza generazione per Ahmed (m.), la discendenza di Sa lah (m) comporta una seconda serie di nomi Ahmed (v. - vn. e IX.): Abdallah, in origine ripreso dalla discendenza di Ahmed (m.) e di Tahar (md) che si sono entrambe estinte in rvb e in vnb e due volte in vmb. Poiché nessuno dei due uomini del livello ge nealogico IV che ha portato il nome di Abdallah ha avuto figli maschi, tale nome non può essere ripreso in linea diretta, così come il nome Tahar (md) che del resto corre un rischio maggiore di essere abbandonato, perché, all'opposto di Abdallah portato dall'antenato comune (rrb), non può essere ripreso da discenden ti diretti più inclini dei collaterali a riprendere e a mantenere il capitale simbolico che esso rappresenta. Occorre quindi che nel l'una o nell'altra famiglia ci sia profusione di uomini affinché Tahar sia riutilizzato (cioè nella discendenza di mc, in VId, e nella discendenza di m. in Vd e VId) . Quanto a Messaoud (mf), per man canza di discendenza, è disperso tra diversi rami, cioè nella di scendenza di SaYd (m.): rvf e vnf sia nella discendenza di Ahmed (m.): rvf e VIf . La distribuzione dei nomi secondo le linee e i livelli genealogi ci è un buon indizio dell'attitudine del gruppo a mantenere la propria integrazione superando le crisi virtuali che tutti i proble mi di successione contengono, problemi particolarmente difficili da controllare. Infatti, solo una serie miracolosa di fatti casuali potrebbe armonizzare in modo automatico l'ordine dei decessi, creando la vacanza dei nomi e l'ordine delle nascite che conferi sce i diritti di rivendicarli in modo tale che la gerarchia delle priorità genealogiche sia rispettata. n massimo dell'economia onomastica è così raggiunto da una famiglia marabuttica forte mente endogamica dell'Ouarsenis, che utilizza solo 14 nomi ma97
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schili e 10 nomi femminili, per nominare 124 uomini e 84 donne, manifestando in tal modo la natura indivisa del proprio patrimo nio simbolico. Per sfuggire alla confusione che ne risulta anche per i parenti prossimi che dispongono di diverse tecniche di identificazione (filiazione, riferimento a una suddivisione della parentela, a una casa, soprannome ecc.), si ricorre a tutta una se rie di artifici, taluni a uso degli intimi (per esempio, i diminutivi e tutte le altre deformazioni dei nomi, Hand per M'hand o Aqa per Abdelkader, l'aggiunta del nome della madre al nome del pa dre, molto spesso membro dello stesso gruppo di discendenza a causa dell'elevata endogamia), altri a uso degli stranieri, vale a dire l'enunciazione completa delle relazioni genealogiche (per esempio, Djelloul M'hand Mohamed Abdelkader Ahmed Amar Ouali) . Ne consegue che i nomi di prestigio, come le terre più nobili, sono oggetto di una concorrenza regolata e che il "diritto" di ap propriarsi del nome più bramato, poiché ribadisce continua mente la relazione genealogica con l'antenato, la cui memoria è conservata dal gruppo e al di fuori del gruppo, si distribuisce se guendo una gerarchia analoga a quella che regge gli obblighi del l'onore in caso di vendetta o i diritti su una terra del patrimonio in caso di vendita. Così, poiché il nome proprio si trasmette in li nea patrilineare diretta, il padre non può dare al figlio il nome del suo 'amm o del proprio fratello ( 'amm del bambino) nel caso in cui questi ultimi abbiano lasciato dei figli già sposati, quindi in grado di riprendere il nome del proprio padre per uno dei loro figli o nipoti. Qui come altrove, il linguaggio della norma e del l'obbligo (deve, non può ecc.), più comodo perché più rapido, non deve ingannare: infatti abbiamo visto il caso di una fratello minore che ha approfittato di un rapporto di forza favorevole per dare ai propri figli il nome di un fratello di prestigio, morto lasciando solo dei figli molto giovani che in seguito consideraro no un punto d'onore riappropriarsi, a rischio di generare confu sione, del nome di cui si consideravano i legittimi detentori. La concorrenza è particolarmente evidente qualora diversi fratelli desiderino riprendere per i loro figli il nome del padre: benché la preoccupazione di non lasciare un nome nello stato di abbando no e di non perpetuare il vuoto in tal modo lasciato prescrive che si dia al primo figlio maschio il nome di colui che è appena mor98
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to, il fratello maggiore può differirne l'attribuzione per attribuir lo a uno dei propri nipoti invece che !asciarlo per uno dei figli dei suoi fratelli più giovani, saltando in tal modo un livello ge nealogico. Ma può anche accadere, al contrario, che in mancan za di discendenza maschile, un nome si trovi esposto a cadere nella dimenticanza e che il compito di "resuscitarlo" incomba dapprima sui parenti collaterali e poi più ampiamente su tutto il gruppo che manifesta così il fatto che la sua integrazione e la sua ricchezza di uomini gli permettono di riprendere i nomi di tutti gli ascendenti diretti e persino di rimediare alle mancanze so pravvenute altrove (una delle funzioni del matrimonio con la fi glia di 'amm, quando questi muoia senza discendenti, è appunto di permettere alla figlia di fare in modo che il nome di suo padre non scompaia). L'etnologo è particolarmente mal collocato per sospettare del la distinzione tra parentela ufficiale e parentela usuale: egli stesso non sapendo cosa fare della parentela (almeno della parentela degli altri, che però, come abbiamo detto, prende come oggetto, cioè come un oggetto), se non un uso cognitivo, è disposto a prendere come oro colato il discorso ufficiale che gli informatori tendono a proporgli fintantoché si concepiscono come dei por ta-parola, incaricati di trasmettere la parola ufficiale del gruppo sul gruppo. n formalismo giuridico dell'etnologo non ha nulla da ridire sul formalismo giuridico dell'informatore. Nel momen to in cui l'osservatore si trasforma in esperto di genealogie, non ha alcuna ragione di notare il fatto che si lascia imporre la defini zione ufficiale della realtà sociale la quale in quanto tale domina o rimuove altre definizioni. Gli sforzi disperati che numerose ge nerazioni di etnologi hanno prodigato per confermare o confuta re l'esistenza del "matrimonio preferenziale" con la cugina pa rallela ne sono la testimonianza più chiara. Non appena si ponga la questione del matrimonio in termini strettamente genealogici, come gli informatori non smettono mai di fare quando evocano il matrimonio con la bent 'amm, i giochi sono fatti o meglio i li miti del gioco sono stabiliti: tutte le soluzioni al problema posto saranno ammesse a condizione che esse siano espresse nel lin guaggio genealogico ... L'etnologo potrebbe spezzare la relazione di connivenza che lo lega all'ideologia ufficiale dei sui informato ri (essi stessi sono molto spesso dei porta-parola "autorizzati" , 99
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designati dal gruppo per le loro competenze, vale a dire, nel caso specifico, degli uomini e degli uomini anziani e influenti) e spez zare i presupposti implicati nel semplice fatto di costruire un diagramma delle relazioni di filiazione, d'alleanza e di germa nità*, che vengono chiamate genealogia, solo a condizione di si tuare questo tipo molto specifico di utilizzo della parentela in re lazione alle diverse specie di usi che gli agenti possono farne. Quando tratta la terminologia indigena della parentela come un sistema chiuso e coerente di relazioni puramente logiche, defini te una volta per tutte quasi come attraverso la costruzione nella e attraverso l'assiomatica implicita di una tradizione culturale, l'et nologo impedisce a se stesso di concepire le diverse funzioni pra tiche dei termini e delle relazioni di parentela che mette tra pa rentesi senza saperlo. Al contempo impedisce a se stesso di co gliere lo statuto epistemologico di una pratica che, come la sua, presuppone e consacra la neutralizzazione delle funzioni prati che di questi termini e di queste relazioni. Senza sapere ciò che fa l'antropologo quando costruisce un al bero genealogico, schema spaziale suscettibile di essere concepi to uno z'ntuz'tu e di essere percorso indifferentemente in qualsiasi senso a partire da qualsiasi punto e capace di far esistere secondo quel modo specifico di esistenza che è quello degli oggetti teorici, vale a dire tota sz'mul, simultaneamente nella totalità, la rete com pleta delle relazioni di parentela comprendente più generazioni, non è possibile raggiungere la conoscenza della pratica t'n quanto pratica, vale a dire, nel caso specifico, la conoscenza degli usi so ciali che gli agenti fanno delle loro relazioni di parentela. Quindi, il calcolo genealogico cui gli agenti (assistiti o meno da specialisti) possono aver fatto ricorso nelle occasioni ufficiali per misurare il grado di parentela tra due individui risalendo al loro antenato comune o per stabilire le precedenze, assolve fun zioni direttamente pratiche, senza contare la funzione ideologica implicata dal solo fatto di presentare come delle relazioni esclu sivamente genealogiche di filiazione o d'alleanza delle relazioni che possono anche essere lette in modo diverso (per esempio le * Traduco letteralmente il termine utilizzato da Bourdieu la cui definizione si trova nella nota 18 di questo capitolo. n termine "germain" (germano) designa in francese i figli dello stesso padre e della stessa madre ma anche i cugini primi di questi. [NdT]
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relazioni di germanità) e che sono sempre fondate anche su altri principi, per esempio, economici e politici, seguendo un proce dimento che è messo in opera ogni volta che si cerca nelle rela zioni passate, ricostruite per le necessità della causa in modo re trospettivo, la ragion d'essere di relazioni presenti che obbedi scono in realtà a principi completamente diversi. D'altra parte, le relazioni logiche costruite dall'etnologo stanno alle relazioni usuali, cioè "pratiche" (nel doppio senso del termine) perché continuamente praticate e, come si suoi dire, intrattenute e colti vate, come lo spazio geometrico di una cartina, intesa come rap presentazione immaginaria di tutte le vie e di tutti gli itinerari teoricamente possibili, sta alla rete delle vie effettivamente sog gette a manutenzione, frequentate, battute, perciò facili da im boccare. Le relazioni ufficiali che non vengono continuamente intrattenute, anche se sono utilizzate solo in modo discontinuo, tendono a diventare ciò che sono per l'esperto di genealogie, va le a dire delle relazioni teoriche, simili a strade abbandonate su un'antica cartina. Secondo questa logica, gli scambi più impor tanti non sono quelli che hanno attratto l'attenzione degli etno logi a causa della loro natura straordinaria e ostentatoria e che, facendo riferimento alla logica della sfida, racchiudono la minac cia della rottura, ma quelli che passano inosservati, i piccoli doni che contraddistinguono le occasioni minime dell'esistenza ordi naria e assicurano la continuità delle relazioni usuali. In breve, le relazioni logiche di parentela cui la tradizione strutturalista attri buisce un'autonomia quasi assoluta rispetto alle determinazioni economiche e in modo corrispondente una coerenza interna quasi perfetta esistono sul piano pratico solo per e attraverso gli usi ufficiali e ufficiosi che ne fanno degli agenti tanto più interes sati a mantenerli in uno stato di funzionamento e a farli funzio nare intensamente - quindi per effetto della ripetuta frequenta zione, sempre più facilmente - quanto più esse adempiono at tualmente o virtualmente a delle funzioni indispensabili per loro o, in un linguaggio meno equivoco, quanto più esse soddisfano o possono soddisfare degli interessi (materiali o simbolici) vitali. In contrapposizione alle relazioni senza storia che conoscono gli individui esperti o semi-esperti di genealogie, le relazioni usuali sono definite dalla storia di cui sono il prodotto, quella de gli scambi economici e simbolici che le autorizzano e che le ri101
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producono così come quella delle situazioni in cui esse funziona no e tra le quali le più notevoli sono i casi di crimine, di vendita di terre o di matrimonio. A rischio di compiere delle suddivisioni arbitrarie, operate in modo astratto, in funzione solo dei criteri genealogici, occorre dunque avere, insieme a quella della genea logia, la conoscenza completa dello stato delle transazioni tra tutti gli individui che essa recensisce, vale a dire tutta la storia de gli scambi materiali e simbolici, fondamento delle solidarietà inevitabili, nel disonore come nel prestigio, nella ricchezza come nella povertà. Consideriamo un esempio (cfr. l'albero genealogi co a p. 103 ), quello del gruppo designato come akham La'la, in sieme dei discendenti di La'la (v) ben Mohand Sai'd (VI) ben Messaoud (III) ben Abbas (II) ben Djoudi (I) Nath Eldjoudi degli Ait Messaoud. Tutto contribuisce a imporre la rappresentazione del gruppo di discendenza che propone la lettura della genealo gia: lo stesso discorso degli agenti, che amano invocare la "comu nanza di sangue" che unisce tutti i membri di akham La'la, i ter mini di riferimento che contraddistinguono le relazioni di filia zione diretta (un tale, figlio di un tale) o lontana (un tale discen dente di un tale - qui X . n La'la), la simbologia scientemente ge nealogica dell'attribuzione dei nomi propri che permette di riba dire la continuità della linea di discendenza, "riproducendo" il padre, il nonno o lo zio - e anche il loro potere - in un successore designato (qui, Amara n La'la -IX - riprende il nome del suo bi snonno Amara n La'la -VI3 -; Mohand Ameziane n La'la - IX2 riprende quello del padre di suo prozio - VI1 - morto senza di scendenti; Larbi La'la -VIII1 - quello di suo zio - VIII3 -; Salah La'la -VIII1 - quello di suo nonno - VI2 -). Ma nulla è così sempli ce e le apparenti conferme che l'etnologo può trovare nelle usan ze ideologiche della parentela non possono dissimulare tutti gli indizi attraverso cui il gruppo segnala che non tratta l'insieme dei discendenti di La'la come membri di una stessa famiglia. Quindi, non è solo per essere precisi nell'identificazione dei soggetti, ma anche per un effetto di demistificazione esattamente simmetrico rispetto ali'effetto di mistificazione ideologica che ricerca l'an nessione genealogica, che i parenti e i non parenti abbandonano il riferimento all'antenato più lontano e di maggiore prestigio per invocare la relazione genealogica che caratterizza singolarmente ogni individuo e lo distingue da tutti gli altri designando per ..
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esempio La'la La'la - VIIIJ -, attualmente capo della più grande delle due famiglie discendenti da La'la come La'la n Amara (in riferimento a suo nonno, dato che suo padre Larbi è morto gio vane) o Akli -Vlt come Akli n Amara. Questo è vero anche nel caso in cui la terra sia rimasta indivisa: si potrà allora dire che la terra è "quella della casa di X", mentre gli uomini saranno desi gnati come i "figli di Y e Z" (essi stessi figli di X). Gli agenti orga nizzano-le loro pratiche in relazione alla conoscenza pratica delle divisioni utili e utilizzano come strumento di legittimazione del-
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l'ordine sociale la rappresentazione genealogica che l'analista tratta come un modello teorico della realtà sociale, non posse dendo la conoscenza dei principi di unificazione e di divisione non genealogici che solo la storia economica e sociale del gruppo può fornire. Perciò, in questo caso, l'unità genealogica che gli agenti possono invocare, soprattutto in quella situazione ufficiale che è la relazione con l'etnologo, si è trovata effettivamente divi sa in due " case" di Akli n Amara (VIt) e quella di La'la (VIII3 ), dai nomi dei loro rispettivi capi, a seguito di una crisi che potrebbe essere definita strutturale dato che essa è sopravvenuta quando l'ultimo figlio di La'la (VI3) era ancora vivo, in occasione della tra smissione del potere da una generazione all'altra. Amara n La'la (VI3) ha trasmesso il potere che deteneva sull'insieme del gruppo di discendenza al proprio nipote La'la (VIII3 ) già detentore - e non per caso - del nome del suo antenato, escludendo Akli n Amara (Vlt) la cui età (è il più anziano di tutti gli uomini della di scendenza di La'la) e relazione di parentela con il detentore del potere (è il figlio di Amara) designavano come erede legittimo. La'la n Amara, colui che è chiamato il "figlio di suo nonno" (in contrapposizione ad Akli che è solo il "figlio di suo padre"), ha ricevuto da costui non solo il privilegio costituito dal fatto di es sere il successore designato, di cui il nome proprio non è che il segno più visibile, ma anche una speciale iniziazione alle respon sabilità di "capo della casa" (aqaruy ukham) . Sin dall'infanzia è stato allontanato dal lavoro della terra e associato a ciò che po trebbe essere definito la politica estera della famiglia, cioè agli scambi economici con l'esterno, acquisendo in tal modo la pa dronanza delle tecniche del mercato, e alle decisioni riguardanti i rapporti con gli altri gruppi, appropriandosi così della compe tenza, in particolare linguistica e retorica, che definisce "l'uomo delle assemblee" (argaz lajma'), e l'autorità associata a tale ruolo. Nella misura in cui il capitale simbolico e in particolare la cono scenza del gioco politico ed economico costituisce uno dei fattori determinanti nell'accesso al potere politico, quanto meno all'in temo del lignaggio, la trasmissione differenziata di tale capitale, qui come altrove, più difficile da controllare rispetto al capitale economico, è uno dei modi di ribaltare le precedenze genealogi che. Tuttavia questo caso molto semplice permette di scorgere il carattere fondamentalmente problematico del rapporto tra le re104
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!azioni ufficiali e le relazioni usuali, tra le unità ufficiali, pubbli che, e le unità usuali, che possono eccezionalmente coincidere. Parlare di endogamia e volere anche, con una lodevole inten zione di rigore, misurare i tassi di endogamia significa fare come se esistesse una definizione puramente genealogica del gruppo di di scendenza, mentre ogni uomo adulto, a qualsiasi livello dell'albe ro genealogico si trovi, è un punto di possibile segmentazione che può essere effettivamente attualizzata in funzione di un uso sociale specifico. Più il punto di origine viene situato lontano nel tempo e nello spazio genealogico - e nulla impedisce di regredire all'infini to in tale spazio astratto -, più si fanno arretrare le frontiere del gruppo di discendenza e più la potenza assimilatrice dell'ideologia genealogica si accresce, ma a danno della sua virtù distintiva, che invece aumenta quando ci si avvicina all'origine comune. In tal modo l'uso che può essere fatto del termine ath (i discendenti di, quelli di... ) obbedisce a una logica relativista, o meglio posiziona le, del tutto simile a quella che caratterizza gli usi della parola deng secondo Evans-Pritchard, dato che il medesimo individuo può, a seconda della circostanza, della situazione, dell'interlocutore, quindi a seconda dellafunzione assimilatrice e distintiva delle de nominazioni, dirsi membro degli Ath Abba (la casa, akham) o de gli Ath Isa' d (takha"ubth) o degli Ath Ousseb' a (adhrum) o degli Ath Yahia ('arsh). ll relativismo assoluto che conferisce agli agenti il potere di manipolare senza limiti la loro identità sociale o quella degli avversari e dei partner che pretendono di assimilare o esclu dere, manipolando i confini della classe di cui gli uni e gli altri fan no parte, avrebbe per lo meno il merito di rompere con il realismo ingenuo di coloro che sanno caratterizzare il gruppo solo come una popolazione definita da frontiere immediatamente visibili. Tuttavia, restando chiusi nella logica genealogica, ci si espone al ri schio di ignorare che la struttura genealogica (e quindi l'identità sociale degli individui che lo compongono) dipende dalla funzio ne che è all'origine della sua costituzione e della sua organizzazio ne. È ciò che dimenticano anche coloro che si sforzano di sfuggire all'astrazione genealogica, contrapponendo la linea di discenden za (descent line), che è meglio chiamare con Louis Dumont "linea di discendenza diagrammatica", per sottolineare il fatto che esiste solo sui diagrammi, alla linea di discendenza locale (local line) o li nea di discendenza diagrammatica locale (local descent group), 1 05
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porzione di un gruppo di filiazione unilineare che l'unità di resi denza autorizza ad agire collettivamente in quanto gruppo.17 Ignorare che gli effetti della distanza spaziale dipendono dalla funzione in vista della quale si instaura la relazione sociale significa ancora una volta soccombere al realismo. Se, per esempio, si può ammettere che l'utilità potenziale di un partner tende a decrescere con la distanza, ciò non è più vero ogni volta che, come nel caso del matrimonio di prestigio, il profitto simbolico è tanto più grande quanto più distanti sono le persone tra cui si stabilisce la relazione. Nello stesso modo, se l'unità di residenza contribuisce all'integra zione del gruppo, l'unità che la mobilitazione per uno scopo co mune conferisce al gruppo contribuisce a minimizzare gli effetti della distanza. Dunque, benché teoricamente si possa considerare che esistono tanti possibili gruppi quante sono le funzioni, rimane il fatto che, come abbiamo visto nel caso del matrimonio, non si può fare appello a chiunque in qualsiasi occasione così come non si possono offrire i propri servigi a chiunque per qualsiasi scopo. Perciò, per sfuggire al relativismo senza cadere nel realismo, è pos sibile supporre che le costanti nel campo dei partner potenzial mente utili, vale a dire effettivamente utilizzabili perché spazial mente vicini, e utili, perché socialmente influenti, facciano sì che ogni gruppo di agenti tenda a mantenere in vita, attraverso un con tinuo lavoro di mantenimento, una rete privilegiata di relazioni usuali che comprende non solo l'insieme delle relazioni genealogi che mantenute attive (chiamate qui parentela usuale), ma anche l'insieme delle relazioni non genealogiche che può essere mobilita to per le normali necessità (chiamate qui relazioni usuali) .18 17. L. Dumont, op. cit., pp. 122-123. 18. Benché si esprima ancora in un linguaggio genealogico, è in fondo l'opposi zione tra le relazioni di parentela ufficiali e le relazioni di parentela usuali che è ri velata dall'opposizione tra thaymats (da ayma fratello), l'insieme dei parenti germa ni, e thajadith (da jedd, nonno), l'insieme degli ascendenti comuni a coloro che si rifanno a un medesimo antenato, reale o mitico: "Thaymats, si dice, è di oggi, thaja dith è di ieri". Si invoca thaymats, solidarietà attuale e attiva fondata su legami di parentela realmente sentiti e attualmente riconosciuti perché riattivati di continuo, quando si tratta di opporsi a un altro gruppo, nel caso per esempio in cui il clan sia attaccato. Ne consegue che il gruppo che unisce thaymats rappresenta solo una se zione (la cui estensione dipende da tutto un insieme di fattori che riguardano da una parte la struttura del gruppo, dall'altra l'occasione della mobilitazione) dell'u nità fondata su thajadith, cioè sull'origine comune, invocata per giustificare ideolo gicamente un'unità ufficiale.
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Se accade che l'insieme degli individui suscettibili di essere definiti dalla stessa relazione con il medesimo ascendente allo stesso livello (qualsiasi) dell'albero genealogico costituisca un gruppo usuale, è perché in tal caso le suddivisioni su base genea logica si sovrappongono a delle unità fondate su altri principi, ecologici (vicinato), economici (comunione dei beni) e politici. Benché il valore descrittivo del criterio genealogico sia tanto più grande quanto più vicina è l'origine comune e più ristretta l'unità sociale, ciò non significa che la sua efficada unificatrice si accresca in modo corrispondente. Infatti, come vedremo, la relazione più stretta da un punto di vista genealogico, quella che unisce i fratel li, è anche il luogo della tensione più forte e solo un lavoro co stante può mantenere la comunione di interessi. In sintesi, la semplice relazione genealogica non basta mai a garantire di per sé la completa determinazione della relazione tra gli individui che essa unisce; essa rivela questo valore predittivo solo quando è as sociata alla comunione di interessi che produce il possesso comu ne di un patrimonio materiale e simbolico in quanto vulnerabilità e proprietà condivise. L'estensione della parentela usuale, inter sezione dell'insieme delle relazioni della parentela ufficiale e del le relazioni usuali, dipende dall'atteggiamento dei membri della comunità ufficiale nel superare le tensioni causate dalla concor renza degli interessi all'interno dell'impresa indivisa di produzio ne e consumo e nell'intrattenere relazioni pratiche conformi alla rappresentazione ufficiale che si dà ogni gruppo il quale si pensa come gruppo integrato (cioè fare "del proprio fratello un amico" , per riprendere le parole di un'opposizione molto presente nella coscienza comune), quindi nel cumulare i vantaggi che procura ogni relazione pratica e i profitti simbolici che assicura l'approva zione socialmente attribuita alle pratiche conformi alla rappre sentazione ufficiale delle pratiche. Si vede qui una delle manifestazioni della dialettica dell'usuale e dell'ufficiale che è senza dubbio il principio ultimo di tutte le interazioni sociali. In effetti, la coincidenza dell'usuale e dell'uffi ciale rappresenta solo un caso particolare delle relazioni tra que sti due aspetti di ogni interazione sociale, ma uno stato privilegia to, poiché, come si è visto, essa permette di cumulare i profitti dell'utilità e i benefici della conformità. Così si capisce anche il fatto che tra le strategie di secondo ordine che raddoppiano o 107
TRE STUDI DI ETNOLOGIA CABILA
dissimulano le strategie, una delle più frequenti consista nel si mulare tale coincidenza. Gli etnologi avrebbero parlato in modo meno ingenuo il linguaggio della regola, quello che utilizzano gli agenti per parlare delle loro pratiche, se avessero supposto l'esi stenza delle manipolazioni simboliche, del senso oggettivo della pratica attraverso cui ci "si mette in regola", come si dice in modo assai appropriato, e che tradiscono il fatto che la pratica non deri va dal principio della regola . 19 L'etnologia trarrebbe vantaggio dal considerare come regola il fatto di ritenere vero che si obbedi sce alla regola (quando esiste in quanto tale) solo nella misura in cui l'interesse a obbedirle prevale in modo significativo sull'inte resse a disobbedirle. Ma, proprio quando professano il radicali smo più radicale, gli etnologi non chiedono se non di lasciarsi in gannare dall'equivoco sapientemente mantenuto secondo cui tutti i gruppi affermano il loro "punto d'onore spiritualista" e fondano ideologicamente la propria unità, sforzandosi di ma..
19. Non potendo procedere a una vera analisi logica dei procedimenti del lin guaggio etnologico, che all'occorrenza costituirebbe la forma più radicale della cri tica epistemologica, ci accontenteremo di citare un testo letto durante la prepara zione di questo lavoro che, benché non sia più saturo di altri di tratti tipici del for malismo giuridico, presenta in modo così franco la norma ufficiale come principio delle pratiche che deve fare dell'interesse - reintrodotto alla fine - il principio delle eccezioni alla regola: "Agli occhi dei Tibaya l'unione con la cugina parallela è insie me un diritto e un dovere ed è un diritto precisamente perché è un dovere. lncombe infatti sullo ibn'amm di difendere sua cugina, di venirle in aiuto, come se si trattas se di una sorella, di provvedere al suo mantenimento in caso rimanga vedova o di vorzi e di occuparsi dei suoi figli. È il mio 'ar, mi diceva un informatore, tennine che letteralmente significa 'vergogna', 'obbrobrio'. Ma che in realtà è un'anna a doppio taglio, perché agli occhi dei nomadi questo 'ar potrebbe essere al contem po un oggetto di disonore o di onore, a seconda del comportamento della cugina. Quando i suoi comportamenti non sono conformi alla consuerudine, spetta al fi glio del fratello del padre di darle dei consigli e perfino di usare la forza per persua derla. Se, malgrado rutto, ella persiste nel suo atteggiamento e il suo allontanamen to dalla condotta corretta diventa un attacco all'onore della famiglia, spesso sarà suo dovere di vendicarlo con il sangue. Qualora sia sposata con un estraneo, egli de ve prestarle soccorso se è oppressa. Per questo il meglio che può fare, per la pro pria tranquillità è di prenderla in moglie. Da parte sua la bint'amm si mostra meno esigente con il proprio cugino che con un estraneo e si accontenta, se necessario, dello stretto indispensabile. Riassumendo quanto detto, un nomade di sessant'anni esclamò: 'Sarebbe possibile che un uomo si sposi con un'estranea qualora abbia una cugina del suo sangue e della sua carne che conserva il suo segreto e protegge il suo onore?'. Ciò significa forse che la condotta dell'uomo sia sempre mossa da così nobili sentimenti? li comportamento di ibn'amm sembra provare che egli conside ra maggiormente il lato più vantaggioso per sé" (}. Chelhod, "Le mariage avec la cousine parallèle dans le système arabe", in J;Homme, 3-4, 1965, pp. 113-173). 108
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scherare a se stessi e di mascherare i reali fattori che determinano le loro pratiche o meglio il fatto che le loro pratiche obbediscono a dei determinismi e in particolare a interessi materiali o simboli ci. Parlare il linguaggio della regola significa credere o far credere che non si conosce una legge diversa da quella che ci si è attribui ta; significa dare e darsi la rappresentazione più onorevole delle proprie motivazioni in quanto più conforme alla definizione che il gruppo dà delle motivazioni onorevoli, cioè suscettibili di esse re presentate ufficialmente e pubblicamente rappresentate. Ma le strategie che mirano a produrre delle pratiche in regola sono esse stesse solo un caso particolare di una classe di strategie di u/fidall:a.azione che hanno l'obiettivo di trasfigurare delle mo tivazioni e degli interessi "egoistici", privati, particolari (nozioni sempre relative che si definiscono solo attraverso la relazione tra un'unità e l'unità inglobante di livello superiore), in motivazioni e interessi disinteressati, collettivi, pubblicamente confessabili, vale a dire legittimi. In una società priva di istanze politiche co stituite e dotate dell'effettivo monopolio della violenza legittima, un'azione propriamente politica, che può essere esercitata solo attraverso l'effetto di ufficializzazione, presuppone la competen za (nel senso di atteggiamento collettivamente riconosduto a un'autorità pubbllca) che è indispensabile per manipolare la defi nizione della situazione in modo da avvicinarla alla definizione ufficiale della situazione capace di mobilitare il gruppo più largo possibile, mentre la strategia inversa può tendere a ridurre la stessa situazione a un semplice affare privato. È possibile vedere nella ritualizzazione della violenza operata dai giochi e dai combattimenti rituali (che oppongono dei grup pi fondati su basi puramente onomastiche e mitiche, come le le ghe - s/u/, plurale di suffi una delle manifestazioni più tipiche della dialettica della strategia e del rituale. Benché i combatti menti rituali fossero quasi sempre motivati dall'attacco a interes si economici e simbolici - un furto di bestiame o un'ingiuria a dei membri del gruppo, per esempio, i pastori - trovavano il loro confine nel modello ritualizzato che si applicava in modo ancora più rigido nei giochi stagionali, anch'essi dotati di una funzione rituale, come i giochi con la palla chiamati kura o qoshra (Ain Aghbel) (i giocatori suddivisi in due metà campo - est o ovest dovevano, con l'aiuto di mazze di legno, far entrare un palla, la 109
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kura, nella metà campo dell'avversario) . Si possono interpretare secondo la stessa logica, cioè come manipolazione simbolica del la violenza con lo scopo di risolvere le tensioni suscitate dal con tatto tra gruppi estranei, talora tradizionalmente ostili, tutti i riti particolarmente rigidi cui dà luogo il matrimonio tra gruppi di stanti: la regola e il rituale diventano tanto più necessari nella mi sura in cui non si può più contare sull'orchestrazione automatica delle pratiche assicurata dall'omogeneità dell'habitus e degli in teressi (in generale con ciò si può spiegare il fatto che la ritualiz zazione delle interazioni si accresce con la distanza tra gli indivi dui o i gruppi, quindi con la dimensione dei gruppi). Disporre del capitale di autorità necessario a imporre la defi nizione della situazione, in particolare nei momenti di crisi quan do il giudizio collettivo vacilla, significa essere in grado di mobi litare il gruppo rendendo collettivo un incidente privato attra verso la solennizzazione e l'ufficializzazione (per esempio, pre sentando l'insulto verso una donna specifica come un attacco ri volto alla burma di tutto il gruppo) così come di mobilitarlo sconfessando l'individuo o il gruppo direttamente implicato e che, incapace di mettersi in regola, si trova ridotto allo statuto di semplice privato, destinato ad apparire come privo di ragione perché vuole imporre la propria ragione privata, idiotès in greco e amahbul in cabilo. In fondo, i gruppi chiedono meno di quanto non lasci pensare il formalismo giuridico, ma comunque molto di più di quanto "coloro che infrangono le regole del gioco" vo gliano accordare loro. Tra il responsabile, che è destinato a occu pare le posizioni di porta-parola collettivamente incaricato attra verso l'eccellenza di una pratica immediatamente conforme alla regola ufficiale in quanto prodotta da un habitus regolato, e l'ir responsabile, che, non contento di trasgredire le regole del gioco, ne contesta pubblicamente la legittimità pretendendo di imporre le proprie regole, essi creano un posto per il trasgressore di buona volontà che, mettendosi in regola e attribuendo l'apparenza o l'intenzione della conformità, cioè il riconoscimento, alla regola che non può né rispettare né rifiutare, contribuisce all'esistenza, tutta ufficiale, della regola. Si capisce che la politica offre alla dialettica dell'ufficiale e dell'utile il suo terreno di elezione: nel loro sforzo per attirare su di sé la delega del gruppo e per sottrar la ai propri concorrenti, gli agenti in concorrenza per il potere 110
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politico possono contrapporre l'uno all'altro solo delle strategie rituali e dei rituali strategici prodotti dalla collettivizzazione sim bolica degli interessi privati e dall'appropriazione simbolica de gli interessi ufficiali. Ma la lotta per il monopolio dell'esercizio legittimo della vio lenza (vale a dire, in una società caratterizzata dall'assenza del l'accumulazione economica, per l'accumulazione del capitale simbolico in quanto credito collettivamente riconosciuto che è organizzato intorno alla contrapposizione tra la ragione colletti va e la ragione privata, tra il responsabile incaricato collettiva mente, circondato dalla considerazione collettiva, e l'irresponsa bile discreditato, non deve far dimenticare la contrapposizione necessariamente sotterranea tra l'ufficiale e l'ufficioso. La strut tura del sistema delle categorie di pensiero collettive pone come assioma che la concorrenza per il potere ufficiale può instaurarsi solo tra gli uomini, mentre le donne possono entrare in concor renza per un potere destinato per definizione a rimanere ufficioso o anche clandestino e occulto. In effetti, sul terreno della politica si ritrova la stessa divisione del lavoro che affida agli uomini la religione, pubblica, ufficiale, solenne, collettiva, e alle donne la magia, segreta, clandestina e privata. In tale concorrenza gli uo mini hanno dalla loro tutti gli strumenti ufficiali a cominciare dalle rappresentazioni mitico-rituali e le rappresentazioni della parentela che, attraverso la mediazione e la riduzione della con trapposizione tra l'ufficiale e il privato alla contrapposizione tra il fuori e il dentro quindi tra il maschile e il femminile, stabilisco no una gerarchizzazione sistematica che considera tutte le prati che femminili e tutto ciò che le riguarda destinate a un'esistenza vergognosa, clandestina o quanto meno ufficiosa. Quand'anche detengano il potere reale, ciò che si verifica spesso almeno in ma teria di matrimoni, le donne possono esercitarlo completamente solo a condizione di lasciare che gli uomini appaiano ufficial mente come i reali detentori di esso, e di accontentarsi del potere ufficioso dell'eminenza grigia, potere dominato che si contrappo ne al potere ufficiale per il fatto che non può essere esercitato se non per procura, sotto la copertura di un'autorità ufficiale, così come al rifiuto sovversivo di chi spezza il gioco, per il fatto che è ancora al servizio dell'autorità di cui si serve. n vero statuto delle relazioni di parentela, principi di struttu111
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razione dell'universo sociale che, in quanto tali, adempiono sem pre a una :ftmzione politica, non si vede mai così bene come negli usi che gli uomini e le donne possono fare dello stesso ambito di relazioni genealogiche e in particolare nelle loro "letture" diver se delle relazioni di parentela genealogicamente equivoche (rela tivamente frequenti a causa della ristrettezza dell'area matrimo niale). Ne consegue che, in tutti i casi di relazioni equivoche da un punto di vista genealogico, è sempre possibile avvicinare il parente più distante o avvicinarsi a esso mettendo l'accento su ciò che unisce, vale a dire sulla relazione attraverso gli uomini (è il ruolo del termine di indirizzo 'amm); inversamente, è possibile tenere a distanza un parente più vicino mettendo in primo piano ciò che separa, vale a dire la relazione secondaria attraverso le donne. La posta in gioco di queste manipolazioni, che sarebbe ingenuo considerare come fittizie col pretesto che non inganna-
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no nessuno, in ogni caso non è altro che la definizione dei confini pratici del gruppo che in tal modo è possibile far passare, a se conda delle necessità, al di là o al di qua di colui che si intende annettere o escludere. Ci si può fare un'idea di tali capacità se si considerano gli usi del termine khal (in senso stretto, fratello del la madre): pronunciato da un marabutto nei confronti di un con tadino, popolano e laico, esprime la volontà di distinguersi met tendo in luce, in modo cortese, l'assenza di qualsiasi relazione di parentela legittima. Tra contadini questo termine di indirizzo manifesta l'intenzione di stabilire una relazione minima di fami liarità, invocando una lontana e ipotetica relazione di alleanza. È la lettura ufficiale che si impone all'etnologo quando, incoraggia to dai propri informatori, assimila a un matrimonio tra cugini paralleli la relazione che, per esempio, unisce i cugini paralleli patrilineari di secondo grado, qualora uno dei due discenda da un matrimonio con il cugino parallelo e a fortiori qualora en trambi siano il prodotto di simili unioni (come succede nel caso dello scambio di donne - labdil o in arabo ras-b-ras testa per te sta - tra i figli di due fratelli, nel caso in cui uno sposi la sorella dell'altro). La lettura maschile, vale a dire dominante, che si im pone con particolare urgenza in tutte le situazioni pubbliche, uf ficiali, da uomo a uomo, in breve, in tutte le relazioni d'onore in cui un uomo d'onore parla a un uomo d'onore, privilegiando l'a spetto più nobile, più degno di essere proclamato pubblicamen-
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Caso 2 1 13
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te, di una relazione a più facce, collegando ogni individuo che occorre situare ai loro comuni ascendenti patrilineari. Essa lascia nell'impensabile, rimuove nell'imponderabile, cioè nell'innomi nabile, l'altra via possibile, talora più diretta, che consisterebbe nel passare attraverso le donne. In tal modo, la buona creanza genealogica esige che si consideri che Zoubir ha sposato in Aldja la figlia del figlio del fratello del padre di suo padre o la figlia del la figlia del fratello di suo padre piuttosto che la figlia del fratello di sua madre, anche se, come in questo caso, è tale relazione che è all'origine di questo matrimonio (caso l, p. 1 12). Oppure an che, per citare un altro caso preso in prestito dalla medesima ge nealogia, essa vuole che si veda in Khedoudja la figlia del figlio del fratello del padre di suo marito Ahmed, invece di trattarla come una cugina incrociata (figlia della sorella del padre), ciò che essa è nello stesso tempo (caso 2, p. 1 13 ). La lettura eretica che privilegia la relazione attraverso le donne, escluse dal discor so ufficiale, è riservata alle situazioni private, quando non alla magia che, come l'ingiuria, designa l'uomo destinato ai suoi ma lefici, come "figlio di sua madre" e non come "figlio di suo pa dre": la parentela attraverso le donne può essere concepita e professata anche dagli uomini o davanti agli uomini, ma al di fuori delle occasioni pubbliche, nell'intimità domestica. Al di fuori dei casi in cui le donne parlano delle relazioni di parentela di una donna con altre donne in cui il linguaggio della parentela attraverso le donne si impone quasi automaticamente, tale lin guaggio può anche essere utilizzato in modo corrente nella sfera più intima della vita familiare, cioè nelle conversazioni di una donna con suo padre e i suoi fratelli o con suo marito, i suoi figli o al limite anche con il fratello di suo marito, acquisendo allora il valore di un'affermazione di intimità del gruppo degli interlocu tori e insieme dell'appartenenza, almeno simbolica, della perso na così designata a tale intimità. Di fatto, l'etnologo è il solo a de dicarsi alla ricerca pura e disinteressata di tutti gli itinerari possi bili tra due punti dello spazio genealogico: nella pratica la scelta di una via o di un'altra, maschile o femminile, che orienta il ma trimonio verso l'uno o l'altro gruppo di discendenza, dipende dai rapporti di forza all'interno dell'unità domestica e tende a raddoppiare, legittimandolo, il rapporto di forza che la rende possibile. 1 14
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CREDENZE COLLE'ITIVE E MENZOGNE CARITATEVOli
Nulla è più difficile da definire dello statuto del matrimonio con la cugina parallela e gli etnologi avrebbero tutte le ragioni di giocare con i diversi sensi della parola "regola", se sapessero che, se anche in apparenza producono la teoria della pratica indige na, in realtà non fanno che riprodurre uno dei prodotti più per fetti della dialettica dell'usuale e dell'ufficiale. n matrimonio con la cugina parallela rappresenta forse l'ideale, quasi mai realizzato nella pratica, di matrimonio perfetto o una norma etica (in que sto caso dovere dell'onore) che si impone a ogni individuo su scettibile di sposarsi, ma di cui è concepibile la trasgressione (per esempio, in caso di forza maggiore) oppure anche una norma che si applica in maniera assoluta ma solo a determinate condi zioni, o, infine, una semplice "mossa" raccomandata in talune si tuazioni? Di fatto, è tutte queste cose insieme, il che lo rende un oggetto privilegiato di manipolazione. Nel caso del matrimonio, le strategie di secondo ordine che hanno lo scopo di dissimulare le strategie e gli interessi che perseguono, anche se in apparenza costituiscono solo l'obbedienza alla regola, si basano sul princi pio dell'ambiguità di una pratica che è oggettivamente suscetti bile di una duplice lettura, la lettura genealogica, che tutto sem bra incoraggiare, e la lettura economica e politica, che non si ha neppure bisogno di scoraggiare, per lo meno nell'etnologo, poi ché presupporrebbe che fosse stata stabilita la conoscenza com pleta degli scambi tra i gruppi considerati. Ma la trappola ideo logica ha un doppio fondo e, qui come altrove, l'ardore demisti ficatorio mistifica se stesso quando si lascia trasportare dal pro prio slancio: prendendo troppo sul serio i discorsi indigeni, si ri schia di costruire un semplice schermo ideologico alla norma o alla regola della pratica; diffidandone troppo, si rischia di ignora re la funzione sociale della menzogna socialmente strutturata e incoraggiata, uno dei mezzi di cui dispongono gli agenti per cor reggere, attraverso la solo abilità che conferisce loro una perfetta padronanza delle strategie simboliche, gli effetti delle strategie imposte. In tal modo gli atti in apparenza più ritualizzati della negozia zione matrimoniale e le manifestazioni cerimoniali cui si accom pagna la celebrazione del matrimonio e che, grazie alla loro più o 1 15
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meno grande solennità, hanno la funzione secondaria di dichia rare il significato sociale del matrimonio (dato che grosso modo la cerimonia è tanto più solenne quanto più elevate nella gerar chia sociale e lontane nello spazio genealogico sono le famiglie che unisce), rappresentano altrettante occasioni di mettere in at to delle strategie miranti a manipolare il senso oggettivo di una relazione mai completamente univoca, sia scegliendo l'inevitabi le e, facendo di necessità virtù, adattandosi scrupolosamente alle convenienze, sia mascherando il significato oggettivo del matri monio dietro il rituale destinato a celebrarlo. Non c'è dubbio che il matrimonio con la cugina parallela de ve la posizione eminente che occupa nel discorso indigeno e di conseguenza nel discorso etnologico al fatto di essere il più per fettamente conforme alla rappresentazione mitico-rituale della divisione del lavoro tra i sessi e in particolare della definizione at tribuita all'uomo e alla donna nei rapporti tra i gruppi. Innanzi tutto perché costituisce l'affermazione più radicale del rifiuto di riconoscere la relazione di affinità in quanto tale, vale a dire quando essa non si presenta come un semplice raddoppiamento della relazione di filiazione. Si ama lodare l'effetto specifico del matrimonio tra cugini paralleli, cioè il fatto che i figli che ne di scendono ("coloro la cui estrazione è senza mescolanza, il cui sangue è puro" mahd) possono essere collegati allo stesso li gnaggio passando per il padre o per la madre ("là dove aveva le proprie radici, ha preso i propri zii materni" ishathel, ikhawe ; o anche in arabo "lo zio materno è lo zio paterno" - khalu 'am mu). D'altra parte, è nota la libertà (teoricamente) lasciata al ma rito di ripudiare la propria moglie, la situazione quasi di stranie ra della moglie esogena fintantoché non genera un discendente maschio e talora anche dopo, e infine, l'ambivalenza della rela zione tra il nipote e lo zio materno (khal): "Chi non ha nemici non ha che da aspettare il figlio di sua sorella" (vale a dire colui che può sempre, trascurando l'onore, reclamare la parte di ere dità di sua madre). Ma il rifiuto di riconoscere la relazione di affi nità ( "La donna non unisce e non separa", thamattuth ur thazed di ur the/erreq) si rafforza, addirittura si fonda, sulla rappresenta zione mitica della donna, colei attraverso cui l'impurità e il diso nore minacciano di introdursi nel gruppo di discendenza. Nulla di completamente buono può venire attraverso la donna; essa -
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non può che portare il male o il male minore, poiché la sua catti veria trova una correzione solo nella sua debolezza ("Dio sa ciò che ha creato nell'asino; non gli ha dato delle coma") questo mi nore dei mali, questo bene nel male, è sempre grazie all'uomo che giunge alla donna, grazie alla sua azione di correzione e di protezione. Ciò significa dire che la donna non vale mai ciò che valgono gli uomini del proprio lignaggio. Significa anche dire che la migliore o la meno cattiva delle donne è la donna che di scende dagli uomini del lignaggio, la cugina parallela patrilinea re, la più maschile delle donne - il cui confine, impossibile pro dotto di un'immaginazione patriarcale, è Atena uscita dalla testa di Zeus. "Sposa la figlia del tuo 'amm: se ti mastica, per lo meno non ti inghiottirà." La cugina parallela patrilineare, donna edu cata e raddrizzata, si contrappone alla cugina parallela matrili neare, donna naturale, ritorta, malefica e impura, come il femmi nile-maschile si contrappone al femminilefemminile, vale a dire secondo la struttura (del tipo a:b::b,:b2) che organizza anche lo spazio mitico della casa o del calendario agricolo. È chiaro che quando non si può annettere una donna al lignaggio attraverso la mediazione di un antenato maschile in modo da assimilarla a una cugina parallela, si preferisce considerarla come l'estranea, vale a dire come figlia di un tale (per esprimere l'assenza totale di rela zione genealogica, si dice: "Cosa sei tu per me? Neppure il figlio della figlia della sorella di mia madre" - mis illis khalti).20 Si capi sce anche che il matrimonio con la figlia del fratello del padre sia il più benedetto di tutti i matrimoni e il più appropriato per atti rare sul gruppo le benedizioni. Gli si attribuiva il ruolo di un rito di apertura della stagione dei matrimoni incaricato, come il rito omologo in materia di aratura che spettava in ogni villaggio a una famiglia rinomata per la sua virtù e la sua baraka, di esorciz zare la minaccia racchiusa nell'atto di mettere in contatto il ma schile con il femminile, il fuoco con l'acqua, il cielo con la terra, il vomere con il solco, sacrilegio inevitabile. 20. J. Chelhod riferisce che "nel linguaggio volgare di Aleppo, le prostitute so no chiamate le 'figlie della zia materna'", e cita anche un proverbio siriano in cui si manifesta la stessa disapprovazione riguardo al matrimonio con la figlia della sorel la della madre: "A causa del suo carattere impuro ha sposato la figlia di sua zia ma terna" ("Le mariage avec la cousine parallèle dans le système arabe", cit., pp. 113173). 1 17
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Si può vedere una conferma indiretta del significato attribuito al matrimonio tra cugini paralleli nel fatto che il personaggio che compie l'azione omologa al matrimonio inaugurale, quello che porta fortuna alla guerra e all'aratura, non riveste alcun ruolo po litico e che il suo incarico è puramente onorifico o, se si vuole, simbolico, cioè al contempo infimo e rispettato. Questo perso naggio dotato di baraka è designato con i nomi di amezwar (il primo), ane/lus (l'uomo di fiducia) o anche aqdhim (l'antico), amghar (il vecchio), amas'ud (il fortunato), o più precisamente, amezwar, ane/lus, amghar nat-yuga (il primo, l'uomo di fiducia, il vecchio della coppia di buoi o dell'aratro). n termine più signifi cativo, perché afferma esplicitamente l'omologia, manifestata da mille altri indizi, tra l'aratura e il matrimonio è incontestabilmen te boula'ras (l'uomo delle nozze); è la stessa connotazione che si avverte in quest'altra designazione, me/tah n ss'ad (la chiave della fortuna, colui che apre). Emile Laoust ricorda che più general mente "i berberi non intraprendono alcun atto collettivo, alcuna spedizione, se non raggruppati intorno a un ane/lus, vale a dire un individuo dotato di baraka ... perciò quando si organizza una carovana, commercianti e viaggiatori si riuniscono intorno a un ane/lus n-umuddu che è insieme la loro guida e il loro portafortu na. Egli dà il segnale di partenza e di sosta; carica e scarica per primo le proprie bestie. Con lui, si è sicuri di percorrere senza pericolo le regioni e di arrivare sani e salvi alla meta. In periodi di disordine, la tribù marcia verso la battaglia preceduta dal pro prio ane/lus elbarud. Lo si crede detentore di una baraka grazie a cui è invulnerabile ai colpi del nemico e protegge i combattenti. Egli porta la'lam, lo stendardo, e spara i primi colpi di fucile, la sua presenza nella ressa è un pegno di vittoria. Ane/lus alhadert, egli dà con il proprio tamburello il segnale dei canti in quelle grandi riunioni, tinubga (gli inviti), tra tribù amiche, durante le quali dei bardi cantano le gesta".21 L'aratura inaugurale è effet tuata sul terreno più nobile, destinato alle semenze più nobili (grano e fave), e anche la migliore, destinata alla cultura intensi va a rotazione triennale, senza !asciarlo a maggese, bruciato all'i nizio di ogni ciclo, vicino al villaggio e talora attiguo alla casa, 21. Cfr. E. Laoust, Mots et choses berbères. Notes de linguistique et d'ethno graphie, Challamel, Parigi 1920. 118
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appartenente al patrimonio familiare più antico ecc. Nel caso in cui il "portafortuna" non sia in grado di farlo, deve almeno esse re presente; in ogni caso, non si affida mai il compito di tracciare il primo solco a un giovane, a un domestico o a qualcun altro che non sia il padrone della terra su cui deve iniziare l'aratura. La proiezione delle categorie del pensiero mitico sulle relazio ni di parentela produce delle contrapposizioni che sarebbero re lativamente non interrelate, se le suddivisioni che generano non corrispondessero a una suddivisione fondamentale della politica domestica, quella che oppone gli interessi della madre, portata a rafforzare la propria posizione nella casa d'adozione introducen do nella famiglia una donna femminile-femminile, presa dal pro prio lignaggio, e gli interessi del padre che, regolando da uomo con i propri parenti maschili, il proprio fratello o un altro paren te patrilineare, il matrimonio di suo figlio, rafforza l'unità agnati ca e insieme la sua posizione all'interno dell'unità domestica. In fatti, la donna importata (thislith), a seconda che sia legata al pa dre di suo marito - e ciò attraverso suo padre e più in generale attraverso un uomo o attraverso sua madre - o alla madre di suo marito e, qui ancora una volta, tramite suo padre o sua madre, detiene una forza molto diversa nel rapporto di forza con la ma dre di suo marito (thamgharth), perché questo rapporto varia an che ovviamente a seconda del rapporto genealogico della tham gharth con gli uomini del lignaggio (cioè il padre di suo marito). In tal modo la cugina patrilineare si trova immediatamente in una posizione di forza quando ha a che fare con una "vecchia" estranea al gruppo di discendenza; al contrario, la posizione del la "vecchia" può risultare rafforzata nei suoi rapporti con thi slith, ma anche indirettamente nei suoi rapporti con il marito, quando thislith è la figlia di sua sorella e ancora di più quando è la figlia di suo fratello. Poiché il padre e la madre hanno interessi strutturalmente contrapposti, il matrimonio del figlio è un occa sione di scontro, necessariamente larvato perché la donna non può avere una strategia ufficiale, tra la madre e il padre, dato che quest'ultimo tende a privilegiare il matrimonio in seno al suo li gnaggio, vale a dire quello che la rappresentazione mitica, legitti mazione ideologica del dominio maschile, presenta come il mi gliore, mentre la prima rivolge verso il proprio lignaggio i propri interventi segreti, di cui, venuto il momento, suo marito sarà 1 19
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chiamato a sanzionare ufficialmente i risultati. Le donne non im piegherebbero tanto ingegno e tanti sforzi nell'esplorazione ma trimoniale, che molto spesso la divisione del lavoro tra i sessi la scia loro almeno fino al momento in cui può instaurarsi il dialogo ufficiale tra gli uomini, se il matrimonio del proprio figlio non racchiudesse la sovversione virtuale del loro potere e, attraverso questa, una crisi dell'economia domestica sfociante nel dominio del consumo (lakhla ukham, il vuoto della casa), cioè entro un certo tempo dalla rottura della comunione dei beni. Ciò significa dire di sfuggita che gli interessi del "vecchio" (amghar) e della "vecchia" (thamgharth) non si trovano necessariamente in una relazione antagonistica: cosciente dell'interesse che presenta per lui la scelta di una giovane sposa (thislith) completamente devota a una thamgharth, essa stessa devota al lignaggio, amghar saprà autorizzare thamgharth a cercare nel suo lignaggio una ragazza docile. Inoltre, poiché in ogni relazione specifica è presente tutta la struttura delle relazioni pratiche tra i parenti, egli potrà volon tariamente scegliere di prendere per il proprio figlio la figlia di sua sorella (cugina incrociata patrilineare) e anche, senza farlo apparire, incoraggiare sua moglie a farlo sposare con la figlia del fratello di quest'ultima (cugina incrociata matrilineare) piuttosto che rafforzare l'influenza di un fratello già dominante (per la sua età o il suo prestigio) accettando di prendere sua figlia (cugina parallela patrilineare). In alcuni casi il matrimonio con la cugina parallela può im porsi come una necessità che però non coincide con quella della regola genealogica. Nella pratica infatti questo matrimonio idea le è spesso una scelta /orzata che talora ci si sforza di presentare come scelta ideale, facendo in tal modo di necessità virtù. La "teoria" indigena, ripresa con sollecitudine dal formalismo giuri dico, che stabilisce che ogni individuo disponga di una sorta di "diritto di prelazione" sulla propria cugina parallela, è senza dubbio solo un'altra espressione dell'ideologia maschile che at tribuisce all'uomo la superiorità e quindi l'iniziativa in tutte le relazioni tra i sessi e in particolare nei matrimoni. In effetti, è suf ficiente accostarsi alle situazioni reali della pratica per notare che il matrimonio con la cugina parallela è percepito come un obbli go piuttosto che come un diritto: "Non si usa rifiutare la figlia di 'amm a colui che la chiede in sposa. Ma per l'onore della famiglia 120
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è sconveniente che una figlia tardi a trovare marito. Se aspetta troppo, suo cugino deve accettare di fare il proprio dovere in modo conforme ai proverbi" (Ait Hishem). "Bisogna sposare la figlia dello zio paterno, anche se è stata abbandonata da tutti" (Ain Aghbel). Molti proverbi racchiudono lo stesso senso: "Svol ta con la strada, se compie una curva. Sposa la figlia del tuo 'amm, se è negletta (abbandonata) ". Altre varianti sono: "Im bocca la strada anche se fa delle deviazioni; sposa la figlia del tuo 'amm anche se e' negletta " . "L a figlia dello 'amm, anche se e' negletta, la strada della pace (sicura), anche se fa delle deviazioni. " Come mostra la metafora (la via contorta che si contrappone alla via diritta), la maggior parte delle volte il matrimonio con la cu gina parallela è percepito come un sacrificio imposto (come il matrimonio con la vedova del fratello) che si ha tutto l'interesse a trasformare nella sottomissione elettiva a un dovere d'onore: "Se non sposi la figlia del tuo 'amm, chi la sposerà? Sei tu che la sposerai, che tu lo voglia o no". "Fosse brutta e priva di virtù, suo zio paterno è tenuto a darla in moglie a suo figlio con la for za; se va in cerca di un'estranea per suo figlio, tralasciando la fi glia di suo fratello, la gente riderà di lui dicendo: 'È andato in cerca di un'estranea e ha tralasciato la figlia di suo fratello'." Di fatto il matrimonio con la cugina parallela nella pratica riveste il significato e la funzione ideali che gli attribuisce il discorso uffi ciale solo nelle famiglie integrate abbastanza fortemente da au gurarsi tale rafforzamento dell'integrazione e in ogni caso si im pone in modo assoluto solo in casi di forza maggiore come quel lo della figlia dello amengur, colui che "ha fallito", che non ha avuto eredi maschi. In questo caso l'interesse e il dovere si coniu gano nell'imporre il matrimonio tra cugini paralleli, perché il fra tello dell'amengur e i suoi figli erediteranno in ogni caso non solo la terra e la casa di colui che ha "fallito", ma anche gli obblighi nei confronti delle sue figlie (in particolare in caso di vedovanza o di ripudio) e perché, d'altra parte, questo matrimonio è il solo modo per allontanare la minaccia che il matrimonio con un estraneo (awrith) farebbe correre all'onore del gruppo e forse anche al suo patrimonio. n matrimonio tra cugini si impone con la stessa urgenza qualora si tratti di "proteggere" una ragazza sposatasi in tarda età. "Chi ha una figlia e non la fa sposare deve sopportarne la vergogna. " "Per colui la cui figlia cresce senza 121
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sposarsi, è meglio morire che vivere" (Ain Aghbel). Tali dichiara zioni a proposito del matrimonio tra cugini ripetute in modo os sessivo mostrano che l'onore e quindi il disonore, poiché sono indivisibili, il dovere del fratello del padre e di suo figlio coinci dono, qui ancora una volta, con l'interesse. Ciò significa afferma re che anche in quelle situazioni limite in cui la scelta della cugi na parallela s'impone con estremo rigore, non occorre appellarsi alla regola etica o giuridica per rendere conto delle pratiche che sono il prodotto delle strategie coscientemente o inconsciamente orientate verso la soddisfazione di un determinato tipo di inte ressi materiali o simbolici. La morale dell'onore è la morale del l'interesse delle formazioni sociali, dei gruppi e delle classi il cui patrimonio crea un posto importante al capitale simbolico: biso gna non avere alcuna idea della perdita terribile e duratura che un attacco all'onore delle donne del lignaggio rappresenta per un gruppo per fare dell'obbedienza a una regola etica o giuridica il principio delle azioni destinate a prevenire, dissimulare o ripa rare l'oltraggio. Anche nelle situazioni estreme in cui i principi più fondamen tali della pratica sono minacciati dalla trasgressione, la designa zione strategica della situazione e della risposta corrispondente non si impone mai con la necessità assoluta di un imperativo eti co. È sufficiente che un interrogativo orientato da una teoria ade guata della pratica riesca a spezzare la struttura della relazione d'inchiesta che porta gli informatori a conferire agli imperativi ipotetici della strategia la forma degli imperativi categorici della morale e a enunciare delle regole o delle mosse, come fa chi vuole trasmettere a un profano i rudimenti di un gioco, affinché possa no esprimersi i sotterfugi e le scappatoie che non sono meno isti tuzionalizzati delle "regole" corrispondenti. "Alcuni, per sfuggi re a un matrimonio imposto, scappano, talora con la complicità più o meno evidente dei genitori che possono in tal modo rifiuta re (o rimangiarsi la propria promessa) senza violare i principi: 'Vedi, nostro figlio è scappato. Non possiamo perdere nostro fi glio per conservare nostro fratello"' (o la variante: "Piuttosto questo - l'impegno nei confronti del fratello - che mio figlio"). Matrimoni identici solo dal punto di vista della genealogia possono avere significati e funzioni differenti o perfino opposti a seconda delle strategie in cui sono inseriti e che possono essere 122
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ricostruite solo a condizione di ricostruire il sistema completo delle relazioni tra i due gruppi associati e lo stato di tali relazioni in un determinato momento. Non appena si smetta di limitarsi ai matrimoni già avvenuti, che l'esperto di genealogia classifica e conta allo scopo di interessarsi alle strategie coscienti e inco scienti e alle condizioni oggettive che le hanno rese possibili e necessarie, vale a dire alle funzioni individuali e collettive che hanno adempiuto, non si potrà non accorgersi del fatto che due matrimoni tra cugini paralleli possono non avere niente in comu ne, a seconda che siano stati conclusi quando il nonno paterno comune era ancora in vita ed eventualmente da quest'ultimo (con l'accordo dei due padri o "sopra le loro teste") o invece gra zie all'accordo diretto tra i due fratelli; in quest'ultimo caso, a se conda che sia stato concluso quando i futuri sposi erano ancora bambini o invece già in età da matrimonio (tralasciando il caso in cui la ragazza abbia già passato l'età adatta); a seconda che i due fratelli lavorino e vivano separatamente o che abbiano mantenu to la comunione totale dei beni (terre, bestiame e altri beni) e dell'economia domestica ("pentola comune"), senza parlare del caso in cui mantengano solo in apparenza tale comunione; a se conda che sia il primogenito (dadda) a dare la propria figlia al fratello minore o che, all'opposto, prenda sua figlia in sposa, poi ché la differenza di età e soprattutto di rango di nascita possono essere associate a differenze di rango sociale e di prestigio; a se conda che il fratello che dà sua figlia abbia un erede maschio o sia amengur; a seconda che i due fratelli siano in vita al momento della stipula del matrimonio o solo uno dei due e più precisa mente a seconda che quello che è ancora vivo sia il padre del ra gazzo, protettore designato della ragazza che prende in moglie per suo figlio (soprattutto se questa non ha fratelli adulti), o, al contrario, il padre della ragazza che può usare la propria posizio ne dominante per procedere in tal modo a una captazione di ge nero. Quasi per aggiungere qualcosa all'ambiguità di questo ma trimonio, che la cecità soddisfatta dagli elementi imponderabili dell'arte straniera di vivere è la sola a concepire come univoco, non è raro, come si è visto, che l'obbligo di sacrificarsi per diven tare "velo delle vergogne" e per proteggere una certa ragazza so spetta o disgraziata incomba a un uomo del ramo più povero del gruppo di discendenza di cui è facile, utile e onorevole lodare la 123
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sollecitudine a compiere un dovere d'onore nei confronti della figlia dello 'amm o anche a esercitare il suo diritto di membro maschio del lignaggio.22 Gli informatori non smettono mai di indicare, attraverso le lo ro stesse incoerenze e contraddizioni, che un matrimonio non si lascia mai definire completamente in termini genealogici e che può rivestire significati e funzioni diverse e talora opposte, a se conda delle condizioni che lo determinano. Indicano anche che il matrimonio con la cugina parallela può essere il migliore o il peggiore dei matrimoni, a seconda che sia percepito come eletti vo o forzato, cioè in primo luogo a seconda della posizione rela tiva delle famiglie nella struttura sociale. Può essere il migliore ("sposare la figlia dello 'amm, significa avere il miele in bocca"), e non solo dal punto di vista mitico, ma anche sul piano delle soddisfazioni pratiche, perché è il meno oneroso da un punto di vista economico e sociale - dato che le trattazioni, le transazioni e i costi materiali e simbolici si trovano ridotti al minimo - e nel lo stesso tempo il più sicuro. Per contrapporre il matrimonio vi cino al matrimonio lontano è impiegato proprio quel linguaggio che contrappone lo scambio tra contadini alle transazioni del mercato.23 Può anche essere la peggiore delle unioni ("ll matri22. Le disgrazie fisiche e mentali pongono un problema estremamente grave a un gruppo che con grande rigore non accorda alcuno statuto sociale a una donna senza marito e neppure a un uomo senza moglie (lo stesso vedovo deve affrettarsi a risposarsi). E questo tanto più in quanto sono percepite e interpretate attraverso le categorie mitico-rituali: si concepisce come un sacrificio il matrimonio con una donna mancina, orba, zoppa o gobba (dove tale infermità rappresenta l'inversione della gravidanza) o semplicemente mingherlina e gracile, poiché tali caratteristiche sono considerate come presagi di sterilità o di cattiveria. Accade che una donna venga ripudiata perché considerata portare sfortuna. 23. "Si offre del grano e si riporta dell'orzo." "Si offre del grano a dei cattivi denti." "Fai con la tua argilla la tua progenitura, se non ti viene una pentola, ti verrà un recipiente da cuscus. " Tra gli elogi del matrimonio con la cugina parallela che si sono raccolti segnaliamo questi particolarmente tipici: "Non ti chiederà molto per sé e non occorrerà fare grandi spese per il matrimonio" . "Farà ciò che vorrà con la figlia di suo fratello e da essa non deriverà alcun male. Poi, l'unità con il fratello si rafforzerà in modo conforme alla raccomandazione che gli faceva il loro padre ri guardo alla fraternità (thaymats): 'Non ascoltate le vostre mogli!'." "L'estranea ti di sprezzerà: essa costituirà un insulto per i tuoi antenati, considerando che i suoi sono più nobili dei tuoi. Invece, la figlia del tuo 'amm, tuo nonno e i suoi sono tutt'uno e per questo essa non dirà mai 'che sia maledetto il padre di tuo padre!'. La figlia del tuo 'amm non ti abbandonerà. Se non hai tè non ne reclamerà e, quand'anche mo risse di fame in casa tua, essa sopporterà e non si lamenterà mai di te." 124
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La genealogia che è presentata qui in forma semplificata (dato che abbiamo eliminato i matrimoni, salvo tra VII, e la figlia di VII, e le figlie tranne quelle di VII, ), rappre senta la struttura della parentela al momento del matri monio considerato e non comporta quindi i figli maschi nati successivamente.
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monio degli 'zii paterni' - azwaj el la.'mum - nel mio cuore è amaro; ti prego, Dio mio, risparmiami questa disgrazia")24 e an che la meno prestigiosa qualora sembri un ripiego ("Sono venuti degli amici che sono superiori a te, resti tu, tu che sei nero"), vale a dire tutte le volte che si impone come il solo modo di rimediare all'estinzione di un lignaggio o di salvaguardare i legami familiari minacciati o anche quando è un fatto che avviene tra famiglie po vere di uomini e di terre. In breve, l'apparente incoerenza del di scorso degli informatori, in cui un oggettivismo altero non ve drebbe che una proprietà costitutiva della rappresentazione che ogni agente si fa della propria pratica, attira di fatto l'attenzione sull'ambiguità fondamentale di un matrimonio univoco genealo gicamente (vale a dire ideologicamente) e al contempo sulle ma nipolazioni del senso oggettivo della pratica e del suo prodotto che autorizza e favorisce questa combinazione di ambiguità e univocità. L'unica vittima delle proprie manipolazioni è indubbiamente l'etnologo che, inserendo nella stessa classe tutti i matrimoni con la cugina parallela patrilineare (e assimilati), qualunque ne sia la funzione per gli individui e per i gruppi che li contraggono, assi mila pratiche che possono essere differenti sotto tutti gli aspetti, di cui il modello genealogico fa astrazione (cfr. l'albero genealo gico a p. 125). Sarà sufficiente un esempio per dare un'idea delle disuguaglianze economiche e simboliche che possono dissimu larsi dietro la relazione genealogica tra cugini paralleli classifica tori (figlia di figlio di fratello del padre del padre) e al contempo per mettere in luce le strategie propriamente politiche che si am mantano della legittimità di tale relazione. I due congiunti appar tengono alla "casa di Bela'ìd", vale a dire la discendenza di Belàid n Ahmed u Belàid (v,), grande famiglia indivisa, una delle più grandi del villaggio, tanto per il suo volume (cioè una decina di uomini in età da lavoro e una quarantina di persone) quanto per il suo capitale economico. Tale "casa" deve la sua prosperità a un'eredità particolarmente favorevole, la cui storia indica che la distribuzione del patrimonio materiale tra gli eredi risulta dai rapporti di forza tra i legatari o tra i pretendenti piuttosto che 24 . A. Hanoteau, Poésies populaires de la Kabylie du Djurdjura, Imprimerie impériale, Parigi 1867, p. 475. 126
LA PARENTELA COME RAPPRESENTAZIONE E COME VOLONTÀ
dalla stretta applicazione di una norma giuridica. In occasione delle due rotture della comunione dei beni che Bela"id (v 1) pro vocò, la prima attorno al 1875 rifiutando