Internazionale N.1530 - 22-28 Settembre 2023

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22/28 settembre 2023 n. 1530 • anno 30 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo

Timothy Snyder All’Ucraina non serve Elon Musk

internazionale.it

4,50 €

Attualità Lampedusa è il fallimento di Giorgia Meloni

Palestina Vietato difendersi

Internazionale storia In edicola

Cile 1973 Il governo di Allende, il golpe e la dittatura di Pinochet nella stampa di tutto il mondo

La Germania si è fermata Prezzi dell’energia alle stelle, troppa burocrazia, carenza di lavoratori specializzati. Il motore dell’economia europea è in crisi e ha bisogno di riforme. Un’inchiesta della Zeit

SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03 ART 1, 1 DCB VR • AUT 9,60 € • BE 8,60 € CH 10,30 CHF • CH CT 10,00 CHF D 11,00 € • PTE CONT 8,30 € • E 8,30 €

22/28 settembre 2023 • Numero 1530 • Anno 30 “C’è molta falsa simmetria”

Sommario 22/28 settembre 2023 n. 1530 • anno 30 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo

Timothy Snyder All’Ucraina non serve Elon Musk

internazionale.it

4,50 €

Attualità Lampedusa è il fallimento di Giorgia Meloni

Palestina Vietato difendersi

Internazionale storia In edicola

Cile 1973 Il governo di Allende, il golpe e la dittatura di Pinochet nella stampa di tutto il mondo

La Germania si è fermata

Schiacciante

Prezzi dell’energia alle stelle, troppa burocrazia, carenza di lavoratori specializzati. Il motore dell’economia europea è in crisi e ha bisogno di riforme. Un’inchiesta della Zeit

SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03 ART 1, 1 DCB VR • AUT 9,60 € • BE 8,60 € CH 10,30 CHF • CH CT 10,00 CHF D 11,00 € • PTE CONT 8,30 € • E 8,30 €

Giovanni De Mauro “Il movimento sindacale degli Stati Uniti, da tempo moribondo, mostra segni di vita”, ha scritto Nick French sulla rivista progressista Jacobin. Il 15 settembre lo United automobile workers (Uaw), grande sindacato del settore automobilistico, ha proclamato uno sciopero che blocca la produzione dei tre principali costruttori statunitensi: General Motors, Ford e Stellantis, la multinazionale che comprende la Fiat e di cui è presidente John Elkann. È la prima volta che succede, e per questo molti hanno definito storico lo sciopero. Le rivendicazioni sono semplici. Negli ultimi dieci anni le aziende automobilistiche statunitensi hanno accumulato 250 miliardi di dollari di profitti. Questi profitti sono aumentati del 65 per cento solo negli ultimi quattro anni. Gli amministratori delegati sono stati ampiamente ricompensati per questo successo, con un aumento delle loro retribuzioni del 40 per cento. Nello stesso periodo, invece, i salari reali dei lavoratori sono diminuiti del 30 per cento. Lo Uaw ha chiesto quindi aumenti del 40 per cento per i circa 150mila lavoratori delle tre aziende, per compensare l’inflazione e riconoscere una giusta retribuzione agli operai per il lavoro alla catena di montaggio. Shawn Fain, il presidente del sindacato, ha sintetizzato la questione in modo efficace: “Se hanno i soldi per Wall street, di sicuro li hanno per i lavoratori che fanno il prodotto”. E gli americani sono d’accordo con lui. Negli ultimi anni il sostegno per i sindacati è aumentato in modo significativo, un fatto sorprendente per un paese dove le organizzazioni sindacali non hanno mai goduto di grande simpatia, e senza dubbio uno dei motivi per cui perfino Joe Biden ha più volte commentato positivamente gli scioperi. Il sostegno allo Uaw, in particolare, è schiacciante: il 75 per cento degli statunitensi appoggia i lavoratori dell’auto. Lo sciopero di questi giorni potrebbe produrre un cambiamento significativo anche al di fuori dell’industria automobilistica, nota ancora Jacobin. Soprattutto, ovviamente, se i lavoratori otterranno dei risultati. u

IN COPERTINA

La Germania si è fermata

Prezzi dell’energia alle stelle, eccesso di burocrazia che blocca le innovazioni, carenza di lavoratori specializzati. Il motore dell’economia europea sembra caduto in una crisi profonda: il paese ha bisogno di riforme, scrive Die Zeit (p. 50). Elaborazione grafica da una foto Volkswagen AG

ATTUALITÀ

19 Lampedusa

21

è il fallimento di Giorgia Meloni Mediapart Trent’anni di errori nelle politiche europee Libération BELGIO

25 Scuole bruciate contro l’educazione sessuale Le Soir LIBIA

28 Così Derna è rimasta sott’acqua Middle East Eye BANGLADESH

33 I rohingya

nei campi sei anni dopo la fuga London Review of Books STATI UNITI

37 Una svolta per il sindacato nelle fabbriche di auto The Christian Science Monitor

Cultura

PALESTINA

62 Vietato difendersi Haaretz

86

Cinema, libri, suoni

14

Domenico Starnone

46

Timothy Snyder

48

Mariana Mazzucato

86

Giorgio Cappozzo

Le opinioni

AMBIENTE

66 Oltre ogni misura Society PORTFOLIO

72 Una vita in catene Raffaele Petralla VIAGGI

78 L’isola del nonno Süddeutsche Zeitung GRAPHIC JOURNALISM

80 Cartoline da Aigues-Mortes Claudio Marinaccio MUSICA

83 Ritmo

88

Nadeesha Uyangoda

90

Giuliano Milani

94

Claudia Durastanti

99

Leonardo Caffo

6

Dalla redazione di Internazionale

14

Posta

Le rubriche

17

Editoriali

111

Strisce

113

L’oroscopo

114 L’ultima

ritrovato Asahi Shimbun

Articoli in formato mp3 per gli abbonati

POP

96 L’arte della compressione Richard Hughes Gibson SCIENZA

101 È ora di rifare il vaccino contro il covid The Conversation

VISTI DAGLI ALTRI

40 La terra trema

ai Campi Flegrei Undark INDONESIA

58 Una capitale nuova di zecca de Volkskrant

ECONOMIA E LAVORO

107 Riyadh

condiziona l’economia globale Bloomberg Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist.

Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

5

internazionale.it/sommario

La settimana

AMIRA HASS A PAGINA 64

Dalla redazione di Internazionale Per ritrovare gli articoli di cui si parla in questa pagina si può usare il codice qr o andare qui: intern.az/1HV2

Internazionale Kids In edicola dal 27 settembre

IN COPERTINA

Risucchiati dai video di TikTok

◆ TikTok è un social network per creare e condividere video molto amato tra gli adolescenti. Per aprire un profilo bisogna avere almeno tredici anni, ma leggendo l’articolo di copertina si scopre che non è poi così difficile aprirne uno anche per chi ha nove anni e la voglia di scoprire il mondo. Il problema è che uscire da quel flusso continuo di immagini divertenti non è sempre facile, come raccontano tre adolescenti svedesi nell’articolo che pubblichiamo. È tradotto dal giornale Kamratposten, che di anni ne ha 131! La copertina è dell’illustratrice cilena María Jesús Contreras.

SCIENZA

SCIENZA

A che serve l’economia Molti pensano che abbia solo a che fare con i soldi. In realtà si occupa anche di felicità.

Vocabolario felino Un articolo essenziale per chi vuole comunicare con i gatti.

ATTUALITÀ

A colpi di arance Le foto di Andrea Frazzetta dal Carnevale di Ivrea.

PORTFOLIO

Azione! Perché a Hollywood attori e sceneggiatori sono in sciopero.

FUMETTO CONFRONTO

Dovremmo lavare i vestiti meno spesso? Votate sì se vi sta a cuore il risparmio energetico; votate no se avete la fobia dei germi. POSTER

La diversità è bellezza Di Federica Centurelli.

Moon kids Continua il fumetto a puntate di Davide Morosinotto e Beatrice Galli ambientato nello spazio. AMBIENTE

Volare con sobrietà Un articolo dal giornale francese L’Éco per capire quanto inquina il trasporto aereo.

internazionale.it VIDEO

MIGRANTI

La resistenza dei palestinesi

Dieci anni di fallimenti a Lampedusa Dal 2013 le persone morte nel Mediterraneo sono più di 26mila.

A trent’anni dagli accordi di Oslo il processo di pace è fermo. In Cisgiordania continuano a sorgere insediamenti israeliani e i coloni rendono la vita dei palestinesi sempre più difficile, per spingerli ad andarsene. Ma i palestinesi non smettono di lottare pacificamente per la loro terra. Il video di Cecilia Fasciani e Alberto Zanella.

SOCIETÀ

Le relazioni più lunghe della nostra vita Quando i fratelli e le sorelle crescono possono decidere di liberarsi dai loro ruoli infantili.

Cile 1973 In edicola, in libreria e online c’è il nuovo volume di Internazionale storia: Cile 1973. A cinquant’anni dal colpo di stato militare che rovesciò il governo di Salvador Allende e aprì la terribile stagione della dittatura di Augusto Pinochet, 192 pagine di articoli della stampa internazionale dal 1971 a oggi.

Naomi Klein illumina il lato oscuro della società L’autrice canadese ha scritto un libro diverso da quelli che l’hanno resa famosa.

Cile 1973 Il governo di Allende, il golpe e la dittatura di Pinochet nella stampa di tutto il mondo

Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

Una storia vera Il dramma di una famiglia divisa dalla violenza del regime militare di Pinochet. FUMETTO

FOTOGRAFIA

DR

GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ

Il golpe e i gringos A ridosso del colpo di stato lo scrittore colombiano ricostruisce gli eventi in tutta la loro drammaticità. MÓNICA GONZÁLES

CULTURA

Testimoni oculari Il Si Fest di Savignano sul Rubicone ha fatto lavorare insieme fotografi e detenuti.

6

ERIC HOBSBAWM

Cile, anno primo La via cilena al socialismo raccontata, nel 1971, da uno dei maggiori storici del novecento.

In edicola, in libreria e online

Le ultime ore di Allende Lo sceneggiatore Carlos Reyes e l’illustratore Rodrigo Elgueta, entrambi cileni, ricostruiscono i momenti che hanno preceduto la morte del presidente.

T HE GRE AT ES T S T ORY E V E R WO RN 15 0 Y E A RS O F L E V I’ S ® 5 0 1®

Questa è la storia vera di un carico molto

dentro un barile. Ma nonostante tutto ciò che

prezioso, di pescherecci che andavano negli

è stato importato, la vera storia è quanto è

Stati Uniti negli anni settanta e ritornavano

accaduto dopo. La storia dei giamaicani che

a Kingston con i barili pieni di blue jeans.

hanno esportato in quantità industriali il

®

®

Ebbene sì: i jeans Levi's 501 arrivavano in

loro stile nel mondo. Una rivoluzione partita

Giamaica nascosti insieme ai dischi di rock

dalle sale da ballo e arrivata in ogni angolo

'n' roll, ai film western e a tutta la cultura

del mo ndo. E questa è un'isola influente

pop americana che si può riuscire a infilare

nella storia più bella mai indossata.

L E V I.C OM

Immagini Pregare tra le rovine Derna, Libia 16 settembre 2023 Un gruppo di volontari arrivati da Tripoli prega sul tetto di un palazzo crollato, uno dei novecento distrutti dall’alluvione dell’11 settembre scorso nella città libica di Derna. Le forti precipitazioni portate dal ciclone Daniel hanno causato la rottura di due dighe a monte della città, che è stata inondata. Il bilancio ufficiale dato dall’Organizzazione mondiale della sanità è di più di 3.900 morti, ma potrebbe essere molto più alto perché nelle zone colpite vivevano circa ventimila persone. Gli sfollati sono più di quarantamila. Foto di Gabriele Micalizzi (Cesura)

Immagini Autunno caldo New York, Stati Uniti 17 settembre 2023 In occasione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite decine di migliaia di persone hanno manifestato a New York per chiedere misure più efficaci contro il cambiamento climatico. I dimostranti hanno fatto appello in particolare al presidente statunitense Joe Biden perché smetta di approvare nuovi progetti di estrazione di gas e petrolio. Negli stessi giorni gli attivisti per il clima hanno sfilato in diverse altre città del mondo, da Berlino a Manila, dando vita alle proteste più grandi dall’inizio della pandemia di covid-19. Foto di Sarah Blesener (The New York Times/Contrasto)

Immagini In piazza col fucile Albuquerque, Stati Uniti 12 settembre 2023 Una protesta a favore del diritto di possedere armi ad Albuquerque, nel New Mexico. L’8 settembre la governatrice democratica dello stato, Michelle Lujan Grisham, ha emesso un decreto per limitare la possibilità di avere con sé un’arma negli spazi pubblici di alcune città. I possessori di armi hanno protestato e si sono rivolti ai tribunali, sostenendo che la governatrice stava violando i diritti garantiti dalla costituzione. Il 13 settembre un giudice ha bloccato il decreto, e il 17 settembre Lujan Grisham ha ridimensionato la portata del provvedimento. Foto di Roberto E. Rosales (Ap/ Lapresse)

[email protected] Tanto non mi freghi u Mettere a nudo le proprie paure e debolezze è coraggioso. Lo è di più riconoscere che per combattere la paura di passare per fessi, un buon inizio sarebbe essere tutti più onesti, sempre. Tess Wilkinson-Ryan (Internazionale 1529) ci ha fregati. Simone Tamanini

Potere u Ho letto l’editoriale pubblicato sull’ultimo numero (Internazionale 1529). Forse non è necessario essere studiosi o ricercatori per riscontrare quanto Salvador Allende già riferiva cinquant’anni fa. Gli articoli dei giornali che Internazionale pubblica, di fatto, riflettono il peso dell’enorme e incontrollata influenza che le multinazionali hanno anche sui media: giornali, televisione eccetera. Quello che è possibile osservare è che nessuno denuncia questa influenza e questa è una carenza molto

grave, oltre a una responsabilità diretta dei media stessi. Ma forse è una speranza irrealizzabile data la situazione. Maurizio Bolsi

West End Boys u Sono sinceramente commossa. È la prima volta che trovo un articolo italiano (internazionale.it) che parli dei Pet Shop Boys senza retorica, pregiudizi e soprattutto errori. Chi lo ha scritto conosce ciò di cui sta parlando e lo fa con chiarezza e precisione. Vorrei poter incontrare l’autore di questo pezzo, Daniele Cassandro, e stringergli con riconoscenza la mano. Elena Bastianelli

Una prova inverosimile u Dopo aver letto l’articolo di copertina sulla mafia nigeriana (Internazionale 1528), mi resta un grande interrogativo: il fatto che molte condanne che hanno colpito immigrati nigeriani ac-

cusati di associazione mafiosa si reggano su un impianto molto fragile dimostra che la mafia nigeriana non esiste? Che la giustizia italiana è inquinata da una visione distorta? O semplicemente che la capacità delle istituzioni italiane di reprimere questo particolare fenomeno criminale è insufficiente? Marco Favaro

Parole

Errata corrige

u Qualche tempo fa un giovane di stradestra ben coltivato mi ha detto: sì, lei ha ragione, le metafore sono importanti, ma mentre un cazzotto metaforico non è risolutivo, un cazzotto vero lo è. Questa convinzione non la trascurerei. Più passa il tempo, più la stradestra muore dalla voglia di andare fuor di metafora. Chi, fin dall’insediamento dell’attuale governo, non vuole ammettere che abbiamo una destra estrema al potere, ci dice: calma, la colpa è delle prossime elezioni europee, si deve a quella scadenza col proporzionale se Meloni e Salvini, Salvini e Meloni, gareggiano a chi digrigna meglio i denti; ma vedrete: una volta passati i dieci mesi che mancano alle elezioni, quei due opereranno in modo da rivelarsi grandi liberalissimi statisti. Be’, sì, speriamo. Però dieci mesi, signori miei, sono dieci mesi. Anche prendendosela comoda, c’è tutto il tempo per trasformare l’Italia, di decreto in decreto, di leggina in leggina, di proclama in proclama, di frottola in frottola, in un penitenziario per tutti gli ultimi particolarmente disastrati e per chiunque tenda ad andar sopra le righe programmatiche vannacciane, un aggettivo da tener d’occhio. A quando per esempio il ritorno alle pene corporali fin dalla scuola elementare? A quando la rieducazione forzata dei cosiddetti devianti? La stradestra dubita che ne uccida più la penna che la spada. Tende alla spada.

u Su Internazionale 1528, a pagina 50, il grafico indica la variazione dell’incidenza del cancro, non l’incidenza. Errori da segnalare? [email protected] PER CONTATTARE LA REDAZIONE

Telefono 06 441 7301 Fax 06 4425 2718 Posta via Volturno 58, 00185 Roma Email [email protected] Web internazionale.it INTERNAZIONALE È SU

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Dear Daddy Claudio Rossi Marcelli

Le mamme di Padova Sono una madre di due bambine e sono angosciata per tutte quelle mamme lesbiche di Padova che sono state cancellate dai certificati di nascita dei figli. La cosa peggiore è che già non se ne parla più. Come state vivendo voi famiglie omogenitoriali questo clima così avverso? –Edda Anche se i riflettori della stampa si sono spenti, le mamme di Padova hanno tutte fatto ricorso contro la cancellazione dei loro nomi dai certificati di nascita dei figli e la giustizia potrebbe an-

14

cora dargli la ragione. Quindi non è detta l’ultima parola. Rileggere a qualche settimana di distanza i titoli dei siti stranieri dopo l’intervento della questura di Padova dà una percezione chiara dell’ingiustizia di quella misura: “Orfani per decreto: i genitori omosessuali italiani reagiscono alla loro perdita di diritti” (The Guardian); “Le misure dell’Italia contro la geniorialità gay lascia i bambini disorientati” (Reuters); “La presidente del consiglio italiana Meloni cancella vite intere colpendo i genitori omosessuali” (Financial Ti-

Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

mes); “L’Italia ha cominciato a togliere alle coppie gay i diritti sui loro figli” (Almost). Noi famiglie omogenitoriali siamo preoccupate, ma la cosa ancora più triste è per tutti quelli che genitori non lo sono ancora: le misure contro l’omogenitorialità del governo Meloni tarpano le ali a tutte quelle coppie gay e lesbiche che sognano di mettere su famiglia. L’obiettivo non è solo attaccare le famiglie che già ci sono, ma creare un clima politico e culturale che ne scoraggi altre a nascere. [email protected]

Domenico Starnone

Un decreto dopo l’altro

DAL 28 SETTEMBRE #SOLOALCINEMA ASTEROIDCITY-ILFILM.IT

FOCUSFEATURESIT

FOCUSFEATURESIT #ASTEROIDCITYILFILM

Illustrazione: “algoritmo popolare” di Arianna Vairo per il Festival Aperto 2023

www.iteatri.re.it 23/09 . ALMAR’A / DI MARCO / ORCHESTRA DI PIAZZA VITTORIO --- 23 e 24/09 . LES JOSIANES --24/09 . BARO D’EVEL --- 29/09 . CIFARIELLO CIARDI / ICARUS VS. MUZAK / GAREGNANI --- 30/09 . TESI / BANDITALIANA + TOSCA --- 1/10 . ICARUS / BERGAMELLI / ANGIUS --- 4/10 . CORNER TONIUTTI --- 7 e 8/10 . BANTI --- 7/10 . SISSOKO / BIANCHI HOESCH --- 8/10 . DE KEERSMAEKER / ROSAS --- 11/10 . LANZA / VALLE / MDI ENSEMBLE --- 14/10 . VANTOURNHOUT --- 14/10 . BATSHEVA DANCE COMPANY / NAHARIN + Workshop Gaga --- 15/10 . LA VERONAL / MORAU --- 21/10 . CCCP FEDELI ALLA LINEA / BIGNARDI / SCANZI / CHERSTICH --- 24/10 . CALEXICO --- 28 e 29/10 . PEEPING TOM + mostra ARIANNA ARCARA --- 31/10 . ZORN / HANNIGAN / GOSLING /MARSELLA TRIO / NEW MASADA --- 1/11 . MULLOVA ENSEMBLE --- Progetto DanzER. | --- dal 31/10 al 5/11 . GRUPPO NANOU --- 3/11 . DEWEY DELL --- 4/11 . FND / ATERBALLETTO --- 4/11 . GRIBAUDI / MM CONTEMPORARY DANCE COMPANY --- 4/11 . FND / OURAMDANE / PRELJOCAJ --- 5/11 . NICOLA GALLI --- 5/11 . PANZETTI / TICCONI --- 8/11 . ZEROGRAMMI --- 10/11 . SOLIDARITÄT BRIGADE / ENSEMBLE CONS. “MARCELLO” VENEZIA / MANCUSO --- 11/11 . BATTISTELLI / ARS LUDI --- 12/11 . CTRL+ALT+CANC . Direction Under 30 --- 15/11 . RZEWSKI / ARCIULI --- 18 e 19/11 . COMPAGNIE MAGUY MARIN --- ExtrAperto | 16/12 . MM CONTEMPORARY DANCE COMPANY / MAGUY MARIN --- 13/2/24 . FILARMONICA DELLA SCALA / METZMACHER / AIMARD / SÁENZ / ZAVAGNA Partner

Fondatori

Con il sostegno di

Partner tecnico

Editoriali

I migranti non sono i barbari “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra filosofia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Editor Giovanni Ansaldo (opinioni), Daniele Cassandro, Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri), Gabriele Crescente (scienza, ambiente), Camilla Desideri (America Latina), Francesca Gnetti (Medio Oriente), Alessandro Lubello (economia), Alessio Marchionna (Stati Uniti), Stefania Mascetti (Europa, caposervizio), Andrea Pipino (Europa), Francesca Sibani (Africa), Junko Terao (Asia e Pacifico), Piero Zardo (cultura, caposervizio) Copy editor Giovanna Chioini (caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco Romano (coordinamento, caporedattore) Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web) Impaginazione Beatrice Boncristiano, Pasquale Cavorsi (caposervizio), Marta Russo Podcast Claudio Rossi Marcelli, Giulia Zoli (caposervizio) Web Annalisa Camilli, Simon Dunaway (notizie), Giuseppe Rizzo, Giulia Testa Internazionale Kids Alberto Emiletti, Martina Recchiuti (caporedattrice) Internazionale a Ferrara Luisa Ciffolilli, Gea Polimeni Imbastoni Segreteria Monica Paolucci, Gabriella Piscitelli Correzione di bozze Lulli Bertini, Sara Esposito Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla fine degli articoli. Sarah Victoria Barberis, Stefania De Franco, Andrea De Georgio, Andrea De Ritis, Valentina Freschi, Susanna Karasz, Davide Lerner, Giusy Muzzopappa, Fabrizio Saulini, Andrea Sparacino, Bruna Tortorella, Nicola Vincenzoni Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto grafico Mark Porter Hanno collaborato Giulia Ansaldo, Cecilia Attanasio Ghezzi, Francesco Boille, Jacopo Bortolussi, Catherine Cornet, Sergio Fant, Claudia Grisanti, Ijin Hong, Anita Joshi, Alberto Riva, Concetta Pianura, Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pauline Valkenet, Guido Vitiello Editore Internazionale spa Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Giovanni De Mauro Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e diffusione Angelo Sellitto Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli, Alessia Salvitti Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del Marketing Editoriale srl Tel. +39 06.69539344 - Mail: [email protected] Subconcessionaria Download Pubblicità srl Stampa Elcograf spa, via Mondadori 15, 37131 Verona Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) Copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. Significa che può essere riprodotto a patto di citare Internazionale, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Per questioni di diritti non possiamo applicare questa licenza agli articoli che compriamo dai giornali stranieri. Info: [email protected]

Registrazione tribunale di Roma n. 433 del 4 ottobre 1993 Iscrizione al Roc n. 3280 Direttore responsabile Giovanni De Mauro Chiuso in redazione alle 19 di mercoledì 20 settembre 2023 Pubblicazione a stampa ISSN 1122-2832 Pubblicazione online ISSN 2499-1600 PER ABBONARSI E PER INFORMAZIONI SUL PROPRIO ABBONAMENTO Numero verde 800 111 103 (lun-ven 9.00-19.00), dall’estero +39 02 8689 6172 Fax 030 777 23 87 Email [email protected] Online internazionale.it/abbonati LO SHOP DI INTERNAZIONALE Numero verde 800 321 717 (lun-ven 9.00-18.00) Online shop.internazionale.it Fax 06 442 52718 Imbustato in Mater-Bi

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Rafael Vilasanjuan, El Periódico, Spagna Ora ne abbiamo la conferma. L’approccio brutale dell’estrema destra alla questione dei migranti non è una soluzione magica al problema. La presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni ha vinto le elezioni promettendo di mettere fine agli sbarchi, ma è stata travolta dalla realtà. Dall’ottobre del 2022, data d’inizio del suo governo, il numero di migranti approdati sulle coste italiane è decuplicato. A complicare la situazione c’è il fatto che il governo di Berlino, alle prese con polemiche xenofobe, ha sospeso l’accoglienza volontaria dei richiedenti asilo provenienti dall’Italia. La pressione migratoria illegale sta crescendo anche in Germania, attraverso le frontiere con la Repubblica Ceca e la Polonia. Solo la costa spagnola resta relativamente tranquilla, grazie alla nuova relazione di “amicizia” di Madrid con il Marocco. Ma la tendenza è comunque a un aumento degli arrivi, e la maggior parte dei migranti continuerà a seguire la rotta centrale del Mediterraneo, verso l’Italia, anche se è molto pericolosa. Non serve ripetere le motivazioni che spingono le persone a partire dall’Africa. Alle ragio-

ni di sempre oggi si aggiungono anche gli effetti del riscaldamento globale. Nei giorni in cui l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha aperto la stagione dei dibattiti sul clima, la Libia ci ha ricordato le possibili conseguenze di quello che succede nei paesi dove la violenza e la corruzione (in alcuni casi finanziate con i soldi europei) si combinano con gli effetti del cambiamento climatico. La questione non è limitata solo alla Libia. In buona parte del Sahel l’instabilità, i colpi di stato e la mancanza d’acqua spingono milioni di persone a lasciare le loro case. In Somalia la siccità ha raggiunto proporzioni drammatiche. Il problema dell’Europa è che nessuno può entrare in maniera legale, anche se abbiamo bisogno di queste persone. È incredibile che l’Unione non abbia messo a punto un meccanismo per concedere dei permessi di soggiorno nei paesi d’origine e offrire contratti di lavoro regolari in quelli di destinazione. Visto che trattare i migranti come barbari non è servito a fermarne l’arrivo, forse trattarli come persone ci permetterebbe di risolvere un problema e di creare un’opportunità. ◆ as

Obiettivi possibili per il clima The Irish Times, Irlanda Il 18 settembre, riconoscendo che il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile procede a rilento, le Nazioni Unite hanno rinnovato all’unanimità il loro impegno con una dichiarazione preparata dall’Irlanda e dal Qatar. “Siamo a metà del percorso verso la scadenza del 2030”, ha detto il primo ministro irlandese Leo Varadkar, “e non siamo dove vorremmo essere”. Secondo Varadkar gli obiettivi dell’agenda 2030, fissati nel 2015, possono ancora essere raggiunti. Invece per il segretario generale dell’Onu António Guterres gli sforzi dei paesi più ricchi sono insufficienti. Al ritmo attuale si completerebbe solo il 15 per cento dei 17 obiettivi pensati per mettere fine alla povertà estrema e alla fame, proteggere l’ambiente e cancellare la disuguaglianza di genere. In otto campi – tra cui la riduzione delle emissioni dei gas serra – si registrano addirittura dei passi indietro. Il mondo si era impegnato a garantire che nel 2030 più nessuno avrebbe

sofferto la fame, che oggi però è a livelli che non si registravano dal 2005. Secondo le previsioni, nel 2030 le persone affamate saranno seicento milioni. Mezzo miliardo resterà in stato di povertà, mentre cento milioni di bambini non andranno la scuola. Per quanto riguarda la disuguaglianza di genere, servirebbero 286 anni per eliminare il divario nella protezione legale tra uomini e donne e rimuovere le leggi discriminatorie. La povertà alimentare è una priorità di sviluppo per l’Irlanda, che quest’anno darà almeno 284 milioni di euro ai programmi per l’agricoltura, la distribuzione di viveri e la lotta alla malnutrizione. La dichiarazione propone un impegno internazionale annuale da 480 miliardi di euro per realizzare gli obiettivi dell’Onu, oltre a una ricapitalizzazione delle banche di sviluppo multilaterale e a una revisione dell’“architettura finanziaria internazionale” destinate a ridurre il debito. ◆ as Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

17

Einaudi Benedetta Tobagi ridà voce e volto alle protagoniste della Resistenza. Un libro di straordinaria passione civile.

Attualità

ALESSANDRO SERRANO

Un migrante prova a scavalcare la barriera per uscire dall’hotspot di Lampedusa, 14 settembre 2023

MIGRANTI

Lampedusa è il fallimento di Giorgia Meloni Cécile Debarge, Mediapart, Francia L’accordo con la Tunisia avrebbe dovuto limitare le partenze per l’Italia, ma sull’isola gli arrivi sono continui. Le politiche sull’immigrazione devono cambiare in tutta Europa e edizioni serali dei telegiornali sono già cominciate quando la presidente del consiglio Giorgia Meloni interviene dai suoi profili social, il 15 settembre. Dall’inizio della settimana tutti i canali televisivi trasmettono le stesse immagini e le stesse notizie. La leader di Fratelli d’Italia lo sa bene: deve rendere conto ai suoi elettori. Sull’isola

L

di Lampedusa, un piccolo angolo di Sicilia e d’Europa a 110 chilometri dalle coste tunisine, gli arrivi dei migranti hanno raggiunto livelli record. Dall’11 settembre le persone sbarcate sull’isola sono più di undicimila: l’equivalente del numero totale di arrivi nel 2019. “La pressione migratoria che l’Italia sta subendo dall’inizio di quest’anno è insostenibile”, dichiara Meloni in un videomessaggio. Con aria solenne, difende la sua politica sull’immigrazione. Proprio lei, che aveva promesso la linea dura. Proprio lei, che annunciava “un blocco navale” per risolvere la questione. Oggi, un anno dopo, Meloni si ritrova a dover affrontare flussi migratori che l’Italia non vedeva dal 2015-2016. Dall’inizio dell’an-

no più di 127mila migranti hanno raggiunto le coste italiane, quasi il doppio rispetto allo stesso periodo del 2022. Durante il suo intervento Meloni pronuncia un discorso ben rodato che somiglia a una giustificazione. Parla di “congiuntura internazionale difficilissima”, di “massa enorme di persone” che “l’Italia e l’Europa non possono accogliere” e soprattutto di “soluzione strutturale” per “fermare i trafficanti di esseri umani e l’immigrazione illegale di massa”. L’Italia, assicura Meloni, è riuscita a imporre all’Unione europea un cambio di paradigma. Ma le sue parole hanno un peso irrilevante davanti alla realtà. La politica migratoria del governo è un fallimento. Già ad aprile l’Italia aveva dichiarato uno stato d’emergenza di sei mesi per affrontare l’aumento degli sbarchi. Da nord a sud, i centri d’accoglienza hanno dovuto ricorrere a soluzioni di fortuna per trovare un posto ai nuovi arrivati. Alcuni centri hanno predisposto delle tende vicino ai loro edifici, altri hanno allestito frettolosamente dei container. Le gare d’appalto per la costruzione di nuove strutture sono state lanciate un po’ ovunque. Invano. Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Attualità Le risorse stanziate per la gestione dei centri d’accoglienza sono state riviste al ribasso a marzo con un decreto legge, e anche per questo ci sono state poche ma­ nifestazioni d’interesse. Le espulsioni del­ le persone la cui richiesta d’asilo è stata respinta – la grande promessa dell’estre­ ma destra al potere – restano episodiche: 3.200 negli ultimi dodici mesi. Di questo passo serviranno 51 anni per riportare nei paesi d’origine tutti i migranti arrivati in Italia nell’ultimo anno, spiega Matteo Vil­ la, specialista di questioni migratorie.

Contro le ong Fin dalla sua vittoria elettorale, Giorgia Meloni ha seguito una strategia comuni­ cativa semplice: non dobbiamo chiederci come gestire l’accoglienza dei migranti, ma fare in modo che non ne arrivino più. Il capro espiatorio, naturalmente, era già pronto: i “taxi del mare”, vale a dire le or­ ganizzazioni non governative che fanno salvataggi nel Mediterraneo, attaccate da diversi governi italiani e in modo partico­ lare dal ministro dell’interno Matteo Sal­ vini nel 2018. Oggi Salvini è ministro del­ le infrastrutture e dei trasporti, e non de­ morde. Negli ultimi giorni il leader della Lega ha ripetuto senza sosta che gli sbar­ chi sono colpa della Germania, accusata di finanziare quelle ong. Ma lo scenario attuale smentisce la teoria secondo cui i salvataggi in mare farebbero aumentare le partenze. Tra l’11 e il 17 settembre la nave Auro­ ra, noleggiata dall’ong Sea Watch, ha ac­ compagnato 84 migranti nel porto di Ca­ tania; la Ocean Viking di Sos Méditer­ ranée ne ha portati 68 fino al porto di Ancona, mentre a Lampedusa la Sea Punk 1, la Nadir e la ResQ People hanno fatto scendere rispettivamente 44, 85 e 96 persone. Queste cifre, irrisorie rispet­ to al totale delle persone arrivate in Italia, non hanno nulla di eccezionale. Secondo i dati raccolti dalla fondazione Openpo­ lis, infatti, nel 2022 i salvataggi effettuati dalle ong rappresentavano circa il 10 per cento del totale degli sbarchi. Negli ulti­ mi mesi la presenza delle navi di soccorso nel Mediterraneo centrale è stata ridotta al minimo, ma i migranti hanno conti­ nuato a raggiungere la costa, in maniera autonoma. È una delle principali differenze ri­ spetto agli anni precedenti. Per molti ita­ liani le immagini girate negli ultimi gior­

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ni a Lampedusa ricordano quelle del 2011, ai tempi della primavera araba, quando i tunisini arrivavano a migliaia a bordo di piccole imbarcazioni di legno. “Gli sbarchi registrati in Italia quest’anno sono analoghi a quelli del 2015 e del 2016”, sottolinea Flavio Di Giacomo, portavoce per l’Italia dell’Or­ ganizzazione internazionale per le mi­ grazioni, sul social network X (ex Twitter). Ma “nel 2016 soltanto 9.440 persone su un totale di oltre 115mila sono arrivate a Lampedusa in maniera autono­ ma. Tutti gli altri erano stati salvati in ma­ re e poi trasferiti nei grandi porti siciliani, più adatti a gestirne la presenza”. Il feno­ meno attuale, invece, provoca inevitabil­ mente una concentrazione degli arrivi in un unico luogo: una piccola isola abitata da circa settemila persone e con un cen­ tro d’accoglienza in grado di ospitare al massimo 400 persone. È come un imbu­ to puntato su Lampedusa. Questa dinamica deriva anche dal cambio della rotta nel Mediterraneo cen­ trale. La Libia, infatti, è ormai un punto di partenza secondario, superata abbon­ dantemente dalla Tunisia. Secondo le cifre del ministero dell’interno italiano, le imbarcazioni salpate dalle coste tunisi­ ne sono aumentate del 360 per cento ri­ spetto al 2022.

Da sapere Nuove norme

u Il 16 luglio 2023 la Tunisia ha firmato un ac­ cordo con l’Unione europea che include aiuti per 105 milioni di euro per il controllo delle frontiere e per limitare le partenze di migranti. u Da allora sono arrivate in Italia almeno trentamila persone. Secondo alcuni esperti, la tempesta Daniel ha fermato le partenze per qualche settimana ma ora, negli ultimi giorni prima dell’autunno, le imbarcazioni hanno ri­ preso il mare. Anche la disastrosa situazione economica della Tunisia e la crescente ostilità contro i migranti alimentata dal presidente Kais Saied spingono molti a partire. u Il 18 settembre il consiglio dei ministri ha varato nuove misure sull’immigrazione. Chi arriva irregolarmente in Italia potrà essere trattenuto fino a 18 mesi (attualmente sono 12) e saranno costruiti nuovi centri di permanen­ za per i rimpatri, in modo che ce ne sia uno per regione. Altre misure potrebbero riguardare i minori non accompagnati, per i quali potrebbe non essere più sufficiente una semplice auto­ certificazione. Ap

Negli ultimi giorni, lungo il molo Fa­ valoro di Lampedusa, hanno attraccato senza alcuna assistenza soprattutto pic­ cole imbarcazioni in ferro. Capaci di tra­ sportare in media una quarantina di per­ sone, queste barche hanno soppiantato quasi del tutto i gommoni, usati negli ul­ timi anni da chi partiva dalle coste li­ biche. Gli scafi arrugginiti, arrivati a centina­ ia nelle ultime settimane, sono una prova lampante del fallimento della strategia diplomatica adottata da Meloni per limi­ tare i flussi migratori. Particolarmente pericolosi per i passeggeri, venivano tutti dalla Tunisia: quando il meteo è clemen­ te, bastano otto o dieci ore per raggiunge­ re Lampedusa da Sfax. A luglio l’Unione europea aveva firmato un memorandum d’intesa con Tunisi per ridurre le parten­ ze, ma non è servito.

Una disfatta politica Quella che fino a qualche settimana fa sembrava ancora una vittoria diplomatica di Meloni, oggi appare come un affronto, o addirittura una “dichiarazione di guer­ ra”, per usare le parole di Salvini. “Quan­ do arrivano 120 mezzi navali in poche ore non è un episodio spontaneo, è un atto di guerra. Sono convinto ci sia una regia die­ tro a questo esodo. Il traffico è organizzato a monte, sulle coste africane, con qualcu­ no che finanzia”, ha attaccato il ministro, riesumando l’idea di far intervenire la ma­ rina militare. Per Giorgia Meloni è una disfatta poli­ tica. Con la scelta di non assegnare a Sal­ vini il suo ministero prediletto, quello dell’interno, era riuscita a mantenere il controllo su un tema molto caro all’eletto­ rato di estrema destra. Ma oggi deve assu­ mersene la responsabilità. Pur ammettendo che la presidente del consiglio “fa tutto quello che può” per ar­ ginare i flussi migratori, in settimana Sal­ vini ha moltiplicato le prese di posizione dure, mentre Meloni ha privilegiato un atteggiamento diplomatico. Il capo della Lega non ha perso occasione per vantare il suo bilancio personale: “Quando ero ministro io gli sbarchi erano meno di un decimo di quelli a cui stiamo assistendo”. A pochi mesi dalle elezioni europee, la Lega sta evidentemente cercando di po­ sizionarsi come unica forza politica capa­ ce di contrastare gli arrivi dei migranti sulle coste italiane. u as

L’ANALISI

Trent’anni di errori nelle politiche europee Marie Bassi e Camille Schmoll, Libération, Francia La difficile situazione nell’isola e negli altri hotspot del Mediterraneo è figlia della miope politica migratoria che i paesi europei seguono dall’inizio del nuovo millennio egli ultimi giorni il numero di migranti sbarcati nella piccola isola siciliana di Lampedusa ha superato quello degli abi­ tanti. Come succede ogni volta che in Eu­ ropa si ripresentano situazioni di urgenza migratoria, alcuni politici hanno scatena­ to la loro crociata, usando una retorica guerresca per far crescere il loro capitale elettorale e affrettandosi ad annunciare la chiusura delle frontiere. Con le elezioni europee alle porte, per molti è un’occasio­ ne per superare a destra potenziali av­ versari. Oltre a svelarci il cinismo e l’opportu­ nismo della politica, cosa dice il caso di Lampedusa? Ancora una volta abbiamo avuto la dimostrazione che le politiche migratorie adottate dagli stati europei ne­ gli ultimi trent’anni, e in particolare dal 2015, hanno contribuito a creare le condi­ zioni di una tragedia umanitaria. Abbia­ mo chiuso le vie d’accesso legali all’Euro­ pa costringendo milioni di profughi a in­ traprendere un pericoloso viaggio via mare; abbiamo permesso ai governi che si sono alternati in Italia di criminalizzare le ong che soccorrono le imbarcazioni in dif­ ficoltà, aumentando i rischi della traversa­ ta; abbiamo collaborato con stati che non rispettano i diritti umani, a cominciare dalla Libia, che abbiamo armato e finan­ ziato affinché impedissero ai migranti di raggiungere l’Europa incarcerandoli e tor­ turandoli. Il caso di Lampedusa non è solo un dramma umano, ma è anche il sintomo di una politica migratoria miope, che non capisce di aver contribuito a creare la si­

AFP/GETTY

N

Nell’hotspot di Lampedusa, 14 settembre 2023 tuazione che oggi vorrebbe contrastare, favorendo l’instabilità e la violenza nelle regioni di partenza o di transito e arric­ chendo le stesse organizzazioni criminali che dovrebbe combattere. Ma torniamo a quello che potremmo chiamare “effetto hotspot”. Negli ultimi mesi c’è stato un aumento considerevole delle traversate nel Mediterraneo centrale e verso l’Italia. Se le tendenze attuali sa­ ranno confermate, il 2023 potrebbe rag­ giungere i livelli del 2016 e del 2017, quan­ do sono stati infranti diversi record sull’ingresso di migranti in Europa. Ov­ viamente la prima causa del sovraccarico attuale a Lampedusa e della crisi in corso è l’aumento delle partenze. Ma bisogna anche ricordare che l’isola vive situazioni d’emergenza ricorrenti

Alcuni politici hanno scatenato la loro crociata, usando una retorica guerresca

dall’inizio degli anni duemila, quando di­ ventò il principale luogo di sbarco dei mi­ granti nel canale di Sicilia. Confinare tutte le persone intercettate in mare nel centro di accoglienza di un’isola che supera ap­ pena i venti chilometri quadrati rafforza inevitabilmente la visibilità del fenome­ no, creando la percezione di un’emergen­ za e di un’invasione. È successo durante le primavere arabe del 2011, quando più di sessantamila per­ sone raggiunsero Lampedusa nell’arco di pochi mesi. All’epoca il governo italiano interruppe i trasferimenti dei migranti verso la Sicilia, provocando volontaria­ mente un sovraffollamento dell’isola e una crisi umanitaria. Le immagini del centro di accoglienza di Lampedusa stra­ colmo, con i migranti che dormivano per strada e protestavano per l’indegno tratta­ mento ricevuto, fecero il giro del mondo e consentirono al governo di Roma di di­ chiarare l’ennesimo stato d’emergenza e legittimare nuove politiche repressive. Queste dinamiche si ripetono in tutti gli hotspot europei e dimostrano come la scelta di concentrare i migranti in luoghi strategici, spesso isole dell’Europa meri­ Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Attualità dionale, sia stato un fallimento. L’effetto Lampedusa è identico all’effetto Chios e all’effetto Moria (a Lesbo), isole frontiera greche che rivelano quanto sia crudele e inefficace l’attuale gestione delle migrazioni. Questa strategia politica, messa a punto nel 2015 a livello comunitario ma applicata già da prima in diversi paesi, non ha certo prodotto un controllo più razionale dei flussi migratori. Al contrario, ha scaricato su piccoli spazi periferici un’enorme responsabilità umana e un colossale peso finanziario. Persone traumatizzate, sopravvissuti e bambini sono accolti in condizioni vergognose. Come hanno già sottolineato in molti, questa non è una crisi migratoria. È una crisi dell’accoglienza. Cambiare paradigma Un altro errore degli europei è sostenere che, collaborando con gli stati di partenza e di transito, si possano arginare gli sbarchi. Oltre a concedere ad alcuni dittatori l’opportunità di ricattare l’Europa in qualsiasi momento (opportunità che l’ex leader libico Muammar Gheddafi e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan hanno sfruttato), un approccio del genere crea le condizioni che spingono i migranti a partire, perché peggiora la loro situazione in questi paesi e colpisce anche le persone che vorrebbero restarci. Criminalizzare sempre di più l’emigrazione è un processo che alimenta anche il desiderio di fuga. Da anni i migranti scappano dalle prigioni e dalle torture in Libia, mentre negli ultimi mesi la svolta autoritaria e violenta del regime tunisino li ha trasformati in capri espiatori. L’accordo tra l’Unione europea e la Tunisia, l’ennesimo a collegare gli aiuti finanziari alla lotta contro l’immigrazione, rafforza questa dinamica, come dimostrano gli episodi tragici di quest’estate alla frontiera tra Tunisia e Libia. Lampedusa ci insegna che bisogna cambiare paradigma, perché le soluzioni proposte finora dagli stati europei (esternalizzazione, dissuasione, criminalizzazione dei migranti e di chi li aiuta) si sono rivelate nel migliore dei casi inefficaci e nel peggiore portatrici di morte. Queste scelte hanno contribuito a rafforzare dei regimi autoritari e a diffondere metodi violenti nei confronti dei migranti, trasformando esseri umani in oggetti di interventi umanitari. u as

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L’opinione

Il mare che unisce Dominic Johnson, Die Tageszeitung, Germania Lo scambio tra nord e sud ha fatto fiorire le civiltà del Mediterraneo. E potrebbe farlo ancora Africa è al collasso. In Libia le forti inondazioni hanno trascinato in mare metà della città di Derna, decine di migliaia di persone sono annegate. In Marocco il terremoto che ha colpito la catena montuosa dell’Atlante ha raso al suolo interi villaggi, provocando la morte di migliaia di persone. Più a sud i colpi di stato militari sono motivo di tensioni e instabilità, l’economia è in stallo. La nuova guerra in Sudan ha provocato la più grande crisi migratoria del mondo, le vittime non trovano un rifugio sicuro in nessuno dei paesi confinanti. In Europa la nuova crisi dei migranti a Lampedusa suscita reazioni scomposte, ma cosa sono ottomila persone arrivate per mare a fronte degli otto milioni di profughi che si trovano nella re-

L’

Economia Una forza necessaria u Nel 2022 il numero di nascite in Italia, 393mila, è stato il più basso mai registrato. C’è un grande vuoto nel mercato del lavoro: secondo un sondaggio delle camere di commercio, a settembre si prevedono 531mila posti di lavoro vacanti, soprattutto a causa della mancanza di candidati. Dal 1998 l’Italia ha consentito appena un rivolo di immigrazione legale dai paesi extracomunitari. Il 19 luglio il consiglio dei ministri ha deciso di aumentare il numero di visti del 66 per cento, fino a 136mila, e di ampliarlo ancora nei prossimi due anni: entro il 2026 il governo più conservatore dal secondo dopoguerra avrà dato il permesso di entrare in Italia a 452mila persone. Tuttavia, il numero di ingressi legali sarà appena la metà di quelli necessari. I partiti di destra hanno vinto convincendo l’elettorato che solo loro possono frenare gli arrivi. Da qui alle elezioni europee Giorgia Meloni deve trovare un modo per spiegare perché non possono farlo. The Economist

gione che va dal Sudan al Mali? Non si può invocare lo stato d’emergenza in Europa e ignorare l’emergenza ben più grande che affligge l’Africa, per la quale a nulla servono né le navi militari di pattuglia davanti alla Libia né gli aiuti finanziari destinati alla Tunisia. Le persone che ora fuggono dall’Africa non hanno scelta. Restare in Nordafrica, in un clima sempre più ostile nei confronti dei migranti subsahariani e in una situazione economica sempre più disastrata, non è più un’opzione realistica. E non si può neanche tornare indietro, a meno che non si consideri la deportazione nel deserto. Si può solo andare avanti, ma l’Europa non vuole accogliere. Per bloccare gli arrivi, l’Unione europea si è affidata alla Tunisia, dove un presidente autoritario ha incoraggiato i pogrom contro i neri. Oggi la Tunisia è un paese da cui gli africani devono fuggire, non uno in cui rispedirli. La politica europea pensa forse di poter tirare su un muro nel bel mezzo del Mediterraneo per tenere a distanza il sud affamato? Il mare non separa, semmai unisce. Proprio il Mediterraneo vive fin dall’antichità del libero scambio tra nord e sud, la condizione che ha fatto nascere la civiltà umana. L’Europa oggi paga i governi africani per impedire le migrazioni, invece di pagare i migranti africani per fare qualcosa di utile. Tutti i paesi europei sono in difficoltà per la mancanza di manodopera. Ma un giovane della Guinea o della Nigeria che cerca lavoro in Europa viene respinto come migrante irregolare o viene sfruttato. Perfino in Nordafrica ci sarebbero cose urgenti da fare. Da Marrakech in Marocco a Derna in Libia, ci sono città da ricostruire, l’intero Maghreb ha urgente bisogno di investimenti che migliorino la qualità della vita. Le persone che cercano lavoro sono lì, il lavoro pure. L’Africa ha le persone, l’Europa i soldi. Bisognerebbe solo farli incontrare. u nv

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Europa

BELGIO

Informazioni false

Scuole bruciate contro l’educazione sessuale

All’inizio di settembre, poco prima che il rinnovo del programma Evras fosse approvato dal parlamento della comunità francofona, un collettivo di sette associazioni islamiche aveva presentato una lettera aperta sul tema. Il documento parlava di un progetto “contrario ai valori universali e inviolabili dell’educazione familiare” ed era firmato dalla rete di moschee turche Diyanet, vicina alle istituzioni di Ankara, dalla federazione di moschee del Belgio (che ha più di duecentomila iscritti e circa ottanta moschee), dalla Federazione islamica del Belgio (l’altra corrente islamica turca in Belgio, che conta 150mila aderenti), dalla Federazione delle moschee albanesi, oltre che dall’Associazione delle moschee africane del Belgio, dall’Unione delle moschee di Liegi, dalla Comunità dei bosniaci islamici del Belgio e dall’Associazione culturale turco-islamica Ehli-Beyt. Le istituzioni firmatarie temono che il programma possa “intaccare la libertà religiosa e il diritto dei genitori di guidare l’educazione dei loro figli conformemente al loro credo”. “Lo stato cerca di imporre, o comunque di promuovere, una particolare visione della società a scapito delle altre. Noi non chiediamo di imporre la nostra visione, ma difendiamo la libertà di scegliere”, ha spiegato a Le Soir l’autore del comunicato, Ramadan Ganaj. Il malcontento, però, è condiviso anche dai lettori del sito d’informazione cattolico CathoBel. Diverse petizioni sono state pubblicate sul sito ufficiale della

DURSUN AYDEMIR (ANADOLU AGENCY/GETTY)

Una manifestazione contro l’Evras a Bruxelles, 7 settembre 2023

Oliver Klein, professore di psicologia sociale all’Università libera di Bruxelles. Le polemiche belghe su Evras sono sconfinate anche in Francia, dove il rapper Rohff ha condiviso con il suo milione di follower una petizione indirizzata al ministro dell’istruzione francese contro il programma di educazione sessuale belga. “Ci sono tre categorie di persone che attaccano l’Evras”, osserva Klein. “La destra cattolica e reazionaria, che condivide la battaglia contro la ‘teoria del genere’. Poi gli elementi vicini al mondo no vax, nemici delle ‘élite europee globali’, cioè i complottisti che erano all’opera durante la pandemia, sempre diffidenti nei confronti delle autorità politiche e dei mezzi d’informazione tradizionali. E infine i movimenti musulmani”.

Marine Buisson e Fanny Declercq, Le Soir, Belgio L’introduzione nella Vallonia di un corso sulla sessualità ha scatenato diverse contestazioni. Organizzate da estremisti di destra e gruppi religiosi, cattolici e musulmani adri e padri preoccupati, che non conoscono bene il contenuto del programma educativo Evras (Educazione alla vita di relazione, affettiva e sessuale) e si lasciano convincere da post su Facebook che gridano alla sessualizzazione dei ragazzi. E poi genitori che, consapevolmente o meno, soffiano sul fuoco del complottismo diffondendo informazioni false. Son0 queste le persone che in Belgio stanno protestando contro il corso di educazione sessuale Evras, che il 7 settembre il parlamento della Federazione ValloniaBruxelles ha reso obbligatorio per gli alunni tra i 12 e i 16 anni delle scuole della comunità francofona. Dopo una prima manifestazione pacifica davanti al parlamento vallone, tra il 10 e il 16 settembre ci sono

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stati diversi incendi nelle scuole di Charleroi e di altre località in Vallonia. E la tensione è salita. “Gli atti terroristici contro le scuole sono inammissibili”, ha detto la ministra dell’istruzione Caroline Désir. Ma chi si nasconde dietro ai post che denunciano “l’insegnamento della pornografia a scuola” o ai volantini che pubblicizzano una piattaforma chiamata Democrazia partecipativa, sulla quale si afferma che “questi corsi spingono i giovani a intraprendere terapie ormonali per cambiare sesso”? Dietro il sito Democrazia partecipativa, lanciato nel luglio 2023, c’è un certo Daniel de Wolff, già molto attivo negli ambienti no vax. Oltre a questo gruppo, che diffonde affermazioni inesatte sul corso Evras (accusato, per esempio, di parlare di “masturbazione e orgasmo già dai nove anni”), sono coinvolti anche altri siti, come Bon sens Belgique (Buon senso Belgio), Innocence en danger (Innocenza in pericolo) e l’Osservatorio della piccola sirena, noto per i suoi feroci attacchi contro la comunità lgbt. “È una cassa di risonanza per quei soggetti che definiamo complottisti”, precisa

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Europa

Da sapere

Salute e consenso ◆ Il corso Evras (Education à la vie relationnelle affective et sexuelle) consiste in un video di animazione che tratta argomenti come il consenso, la salute sessuale e riproduttiva, la violenza, i sentimenti e l’affettività tra i giovani. È stato introdotto nelle scuole della regione Vallonia-Bruxelles nel 2012, ma solo quest’anno è stato reso obbligatorio. La durata del corso è di due ore per gli alunni di 11-12 anni e di quattro ore per quelli di 15-16 anni. Le Vif

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UCRAINA

NAGORNO KARABAKH

Alla battaglia del grano

L’attacco finale Erevan, 19 settembre 2023

KAREN MINASYAN (AFP/GETTY)

Mentre nell’est del paese procede la controffensiva dell’esercito di Kiev, e la città occidentale di Leopoli è di nuovo sotto le bombe russe, l’Ucraina ha avviato un’azione legale contro Polonia, Slovacchia e Ungheria. I tre paesi sarebbero colpevoli di aver mantenuto le restrizioni alle importazioni di grano e prodotti agricoli dall’Ucraina per proteggere i propri mercati. “Ormai l’economia ucraina dipende dalle esportazioni attraverso il porto di Costanza”, scrive il polacco Rzeczpospolita. “E Washington comincia a chiedersi se può contare ancora sulla Polonia come principale partner nel sostegno a Kiev o se deve rivolgersi alla Romania”.

JAVIER SORIANO (AFP/GETTY)

chiesa cattolica nel Belgio francofono, tra cui una lettera aperta che ha raccolto più di ottomila firme e che denuncia la “ipersessualizzazione dei bambini”, la “visione ideologica dell’educazione sessuale e affettiva”. Il documento critica il “principio di autodeterminazione” per quanto riguarda l’identità di genere dei ragazzi e delle ragazze e rifiuta il carattere “non eteronormativo” del programma Evras. Ma le proteste non arrivano solo dagli ambienti religiosi conservatori. Il collettivo Valeurs saines (Valori sani), nato come reazione a un programma di letture per ragazzi organizzate da un gruppo di drag-queen nelle biblioteche del paese, era presente alla manifestazione del 7 settembre. Si è mobilitato anche il gruppo Sauvons nos enfants (Salviamo i nostri figli), creato su Facebook due mesi fa. Il suo portavoce, il pediatra e psichiatra Frédéric Goaréguer, era stato convocato dall’ordine dei medici in seguito ai suoi interventi sulle misure sanitarie adottate in pandemia. Sul settimanale De Standaard Goaréguer ha criticato l’attenzione che il corso dedica al cambiamento di sesso e alle relazioni omosessuali. “Non ho nulla contro la comunità lgbt”, ha detto, “ma faccio fatica ad accettare che si presenti ai bambini questo genere di ideologia e di propaganda”. “Ci sono delle convergenze curiose tra le persone che protestano e che sono molt0 diverse tra loro”, osserva Klein, convinto che esista una “volontà deliberata di far circolare informazioni false”. Le frasi della guida al programma Evras citate e attaccate dai manifestanti nel migliore dei casi sono presentate fuori del loro contesto e nel peggiore inventate di sana pianta. Il rischio è spaventare anche le famiglie che sono molto lontane dall’universo del complottismo. ◆ adr

Tra il 19 e il 20 settembre la guerra tra Azerbaigian e Armenia ha vissuto una rapida e violenta escalation, che si è conclusa con la resa dell’autoproclamata repubblica armena del Nagorno Karabakh (Artsakh in armeno). Dopo settimane di tensioni, Baku ha lanciato un’offensiva contro i territori ancora sotto il controllo armeno, provocando almeno 30 morti. Come spiega la Reuters, gli azeri hanno sfondato le linee di difesa armene e hanno conquistato alcune postazioni strategiche, costringendo le autorità dell’Artsakh ad accettare la proposta russa di cessate il fuoco. Subito dopo l’attacco Baku aveva parlato di una “azione antiterrorismo” decisa in seguito all’uccisione di alcuni soldati azeri. Erevan aveva invece denunciato un’operazione di pulizia etnica. Dopo il cessate il fuoco, gli azeri hanno chiesto il disarmo e la smobilitazione dei separatisti armeni, confermando anche la volontà di reintegrare nel paese quel che resta dell’Artsakh. ◆

SPAGNA

Quattro lingue in parlamento Il 19 settembre il parlamento spagnolo ha deciso di permettere l’uso in aula di tre lingue diverse dal castigliano: il basco, il catalano e il galiziano. La riforma è stata voluta dai partiti separatisti catalani e accettata dal governo del socialista Pedro Sánchez (nella foto). “Una scelta che asseconda lo spirito di dialogo e armonia invocato dalla costituzione”, scrive El País.

POLONIA

Lo scandalo dei visti A un mese dalle elezioni legislative, Diritto e giustizia (Pis), il partito nazionalista e ultraconservatore che governa la Polonia da otto anni, è stato coinvolto in uno scandalo di corruzione che rischia di costargli caro alle urne. La vicenda riguarda la cessione di migliaia di visti, validi anche per l’area Schengen, a migranti e cit-

tadini non europei in cambio di ricche mazzette. Nello scandalo sono coinvolti funzionari dei consolati polacchi all’estero e del ministero degli esteri, tra cui un ex viceministro. Lo scandalo, scrive Newsweek Polska, rivela l’ipocrisia del Pis, che da sempre si vanta delle sue politiche di rigore contro gli immigrati: “Mentre alimentava la paura degli stranieri, il Pis consentiva, con metodi tra il legale e l’illegale, l’ingresso nel paese di decine di migliaia di persone”.

Africa e Medio Oriente

GABRIELE MICALIZZI (CESURA)

Il salotto di una casa colpita dall’alluvione. Derna, Libia, 17 settembre 2023

LIBIA

Così Derna è rimasta sott’acqua H. Eddeb e M. Mhawach, Middle East Eye, Regno Unito Gli abitanti della città libica devastata dall’alluvione denunciano l’inerzia delle autorità, paralizzate da una frattura istituzionale tra l’est e l’ovest del paese uattro giorni dopo che il ciclone Daniel ha devastato Derna, nell’est della Libia, spazzando via intere famiglie e le loro case, i libici faticano a capire come sia potuto succedere un disastro simile. Eppure, nelle ore precedenti all’inondazione catastrofica causata dalla rottura delle dighe a monte della città, le autorità e gli abitanti

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sembravano consapevoli del rischio imminente. Ma dalle fonti locali e dalle dichiarazioni delle autorità emerge che la situazione è stata affrontata in modo confuso e lacunoso, nelle ore prima del disastro e nel corso della notte di piogge fittissime. Il 14 settembre il segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale ha dichiarato che si sarebbe potuta evitare “la maggior parte delle vittime” con avvisi adeguati e con le evacuazioni. Quando ha raggiunto le coste libiche, il ciclone aveva già causato gravi danni in Turchia, Grecia e Bulgaria. Gli osservatori meteorologici internazionali hanno avvertito del pericolo le autorità libiche, divise tra due governi, uno nell’est e l’altro

nell’ovest del paese. Il 9 settembre i funzionari della Cirenaica hanno annunciato il coprifuoco in diverse città, preoccupandosi soprattutto di Bengasi, centro principale della zona, che si temeva sarebbe stato il più colpito. Osama Hamad, premier del governo dell’est, ha chiesto al ministro Sami al Dawi di formare una squadra per affrontare le emergenze. Alla fine Bengasi è stata in gran parte risparmiata, anche se le strade che collegano le città costiere sono state danneggiate. La pioggia si è concentrata sulla regione montuosa del Jabal al akhdar (Montagna verde), dove sono cadute forti precipitazioni per diciassette ore, fino alla mezzanotte del 10 settembre.

Chiamate ininterrotte Quella notte sono arrivate le prime richieste di aiuto dalle città e dai villaggi del Jabal al akhdar, dove le acque stavano salendo rapidamente intrappolando gli abitanti nelle loro case. Anche se è noto che le aree sotto la montagna sono le più soggette a inondazioni, le autorità locali e i servizi d’emergenza non hanno dato l’ordine di evacuazione. Quelle zone sono state poi

Al Bayda Mar Derna Mediterraneo

Tripoli

Tripolitania Jabal al akhdar

L I B I A Fezzan

Cirenaica

250 km

dichiarate “disastrate”. Ma troppo tardi. La situazione è stata aggravata dal fatto che la Libia è divisa tra due governi rivali: un’amministrazione riconosciuta dalle Nazioni Unite a Tripoli e una nella parte orientale, sostenuta da una maggioranza di parlamentari e dal comandante militare Khalifa Haftar. Il Governo di unità nazionale di Tripoli aveva pubblicato una dichiarazione in cui avvertiva della possibilità di forti precipitazioni sul Jabal al akhdar e assicurava che le squadre di emergenza erano pronte a intervenire, anche se non ha autorità né una presenza nell’est. Nella tarda serata del 10 settembre il primo ministro Abdul Hamid al Dbaibah ha detto di aver incaricato gli uffici competenti di fornire supporto in caso di necessità e ha rassicurato che il suo governo si sarebbe assunto la responsabilità di risarcire le persone per i danni. Il sindaco di Derna, Abdel Moneim al Ghaithi, ha imposto il coprifuoco in città alle 19, descrivendolo come una preparazione al ciclone che stava già attraversando la regione, compresa la città di Al Bayda, a cento chilometri di distanza. Sono state diffuse immagini di Al Ghaithi che dirigeva le operazioni e controllava il rispetto del coprifuoco, mentre le acque salivano rapidamente e in rete circolavano video di cittadini intrappolati nelle case. Nel frattempo gli esperti – alcuni dei quali nel 2022 avevano rilevato che le dighe nella valle del Wadi Derna (un fiume stagionale) rischiavano di crollare – hanno lanciato l’allarme e chiesto di avvertire i residenti. Tuttavia le autorità locali e i governi rivali hanno continuato a ripetere che era tutto sotto controllo. Dalle 23 del 10 settembre i servizi d’emergenza hanno ricevuto ininterrottamente chiamate di persone in difficoltà, in particolare nelle campagne a monte di

Derna, dove le case stavano finendo sott’acqua. In città le persone che vivevano negli edifici lungo la valle del Wadi Derna hanno visto una quantità d’acqua senza precedenti affluire nel canale che collega le dighe e il mare. Ma si continuava a esortare la popolazione a restare in casa. Con estrema violenza l’acqua è salita, ha rotto gli argini e allagato strade ed edifici. All’una e mezza di notte sono state inviate delle squadre di soccorso in diversi quartieri e sono arrivate segnalazioni di persone intrappolate che rischiavano di annegare. Un abitante di Al Bayda con la casa quasi del tutto allagata ha ricevuto dei video da Derna che mostravano il canale in piena: “Ho telefonato subito ai miei parenti che vivevano là vicino e gli ho detto di spostarsi urgentemente in un posto sicuro e di avvertire gli altri”. Alcuni sopravvissuti che si sono rifugiati ad Al Bayda hanno raccontato di aver sentito un’esplosione alle 2.30 di notte. Una diga aveva ceduto. Parti di Derna, compresa la città vecchia, sono state investite dalla piena improvvisa. I residenti della strada lungo il canale sono stati trascinati in mare. La forza dell’acqua ha spazzato via palazzi di otto piani. Si stima che il flusso fosse di 3.500 metri cubi d’acqua all’ora. “Eravamo sul tetto della nostra casa a quattro piani per metterci in salvo”, racconta un sopravvissuto. “Ma della mia famiglia sono rimasto solo io. Gli altri sono stati travolti dall’acqua, e io mi sono ritrovato da solo in una delle strade della città. Sto ancora cercando i corpi dei miei familiari”. Oggi Derna conta i suoi morti e, se può, li seppellisce. La città ha esaurito quasi subito i sacchi per i cadaveri. I corpi sono stati trasportati in camion dal centro della città a Dahr al Hamar, a sud, e a Martouba, dove sono state sepolte migliaia di persone. Molti cadaveri sono rimasti per strada, in attesa d’identificazione. Il mare ne restituisce ogni giorno degli altri. I sommozzatori sono andati a cercarli in mare, ma le acque erano troppo agitate. L’istruttore di apnea Deya Abu Zariba ha detto: “La sfida principale per i subacquei era l’acqua torbida, rossastra per l’argilla, che ostacolava la visibilità. Il fondale marino inoltre è disseminato di rocce appuntite e detriti, che sono pericolosi anche per i sub”. u adg

Ultime notizie

Manifestazioni contro il potere entinaia di persone sono scese in piazza il 18 settembre a Derna, in Libia, per protestare contro le autorità e chiedere che i responsabili del disastro seguito all’alluvione della settimana precedente rispondano delle loro azioni. Hanno invocato anche la fine della divisione istituzionale tra Tripolitania e Cirenaica. La sera un gruppo di persone ha appiccato il fuoco alla casa del sindaco di Derna Abdel Moneim al Ghaithi, attualmente sospeso dall’incarico. I manifestanti se la sono presa anche con Aguila Saleh, presidente del parlamento con sede nell’est del paese, che alcuni giorni prima aveva respinto le critiche rivolte alle autorità, sottolineando che Derna era stata colpita da “un disastro naturale senza precedenti”, impossibile da evitare. Il 19 settembre l’Organizzazione mondiale della sanità ha registrato ufficialmente più di 3.900 morti, ma il bilancio definitivo potrebbe essere più alto. “Negli scenari della crisi climatica molto dipende da come si gestisce la situazione. Più sono efficienti le istituzioni e i leader, più i paesi potranno pianificare il futuro, mantenere le infrastrutture e reagire alle crisi”, scrive Sipho Kings su The Continent. “La Libia è al 126° posto su 185 paesi nell’indice Nd-Gain, che misura la capacità di adattamento degli stati. Il 15 settembre l’agenzia per il clima delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto per fare il punto sulle azioni intraprese dai governi per ridurre le emissioni. Il rapporto avverte: ‘C’è una piccola finestra di opportunità per garantire a tutti un futuro vivibile’. Per avere un 50 per cento di probabilità di successo, i gas serra dovranno raggiungere il picco nel 2025 e poi calare drasticamente, fino all’84 per cento entro il 2050. Questo significa che ogni paese dovrà rispettare gli impegni per il clima. Ma non tutti lo stanno facendo. Se il pianeta continuerà a scaldarsi, il clima sarà ancora più distruttivo. E Derna diventerà una nota a margine in una lunga lista di comunità che pagheranno un alto prezzo”. u

C

Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Africa e Medio Oriente STEFANO MONTESI (CORBIS/GETTY)

Roma, 9 settembre 2023

MAROCCO

MALI-BURKINA FASO-NIGER

Ridare speranza

Alleanza tra golpisti

Tel Quel, Marocco

TUNISIA

IRAN

Sgomberi a Sfax

Anniversario e scambio

Il 17 settembre le forze dell’ordine tunisine hanno costretto più di cinquecento migranti d’origine subsahariana ad allontanarsi dal centro di Sfax, la città costiera da cui parte la maggioranza delle barche dirette in Europa. Un video del sito Tunisie Numérique mostra delle piazze vuote, dove restano solo giacigli e indumenti abbandonati. Queste persone avevano perso i loro alloggi all’inizio di luglio, in una delle ondate xenofobe che hanno attraversato il paese da febbraio. Ora sono state respinte verso le aree rurali, ha spiegato l’attivista per i diritti umani Romdhane Ben Amor.

Le forze di sicurezza iraniane hanno arrestato decine di persone nella notte seguente all’anniversario della morte di Mahsa Jina Amini, avvenuta il 16 settembre 2022 mentre era sotto la custodia della polizia. Le autorità non hanno reso noto né il numero né l’identità

ISRAELE

Per la libertà di El Qaisi

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Newsletter Africana e Mediorientale sono le newsletter settimanali di Internazionale con le notizie dall’Africa e dal Medio Oriente. Per riceverle: internazionale.it/newsletter

Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

delle persone arrestate, scrive Iran Wire, ma tra loro c’era anche Amjad Amini, il padre di Mahsa Jina, poi rilasciato. Il 20 settembre il parlamento ha approvato un progetto di legge che inasprisce le sanzioni contro le donne che non indossano il velo. u I governi di Iran e Stati Uniti il 18 settembre hanno autorizzato uno scambio di prigionieri. Teheran ha scarcerato cinque cittadini statunitensi, che sono stati trasferiti a Doha, in Qatar, e poi negli Stati Uniti. Anche cinque cittadini iraniani detenuti negli Stati Uniti hanno beneficiato di un provvedimento di clemenza. Il via libera è arrivato dopo il trasferimento dalla Corea del Sud al Qatar di sei miliardi di dollari di fondi iraniani sbloccati su richiesta di Washington.

AFP/GETTY

Centinaia di persone il 15 settembre hanno partecipato alla manifestazione di solidarietà (nella foto) a Khaled el Qaisi, il ricercatore italo-palestinese arrestato dalle forze israeliane il 31 agosto al valico tra Giordania e Cisgiordania, e detenuto senza un’accusa. La manifestazione si è svolta davanti all’università Sapienza di Roma, dove El Qaisi studia. Secondo The New Arab, l’obiettivo era fare pressioni sul governo italiano, dato che finora il caso non ha ricevuto una copertura appropriata sui mezzi d’informazione italiani.

A una settimana dal terremoto che ha causato più di 3.900 morti nella regione dell’Alto Atlante, in Marocco, il 14 settembre re Mohammed VI ha presentato un progetto per trasferire in alloggi di nuova costruzione o pagare dei risarcimenti a chi ha perso la casa. Si stima che il sisma abbia distrutto in parte o totalmente cinquantamila abitazioni. Il settimanale Tel Quel sottolinea lo slancio di solidarietà dei marocchini con le popolazioni colpite: “Sulle strade nazionali si sono formati convogli interminabili di mezzi privati carichi di provviste da consegnare nelle zone disastrate”. Il quotidiano spagnolo El País spiega che le carovane di volontari sono spesso organizzate da ong e associazioni studentesche con l’intento di supplire alle carenze dello stato, la cui priorità è stata rendere agibili le strade e ripristinare le linee telefoniche prima di prestare assistenza alle vittime. Intanto, continua Tel Quel, le autorità di città come Marrakech hanno detto di essere pronte ad accogliere i turisti. “Il modo migliore per mostrare solidarietà è venire a trovarci”, ha detto il presidente della confederazione nazionale del turismo. u

I leader delle giunte militari di Mali, Burkina Faso e Niger hanno firmato il 16 settembre a Bamako un patto di difesa, la carta del Liptako-Gourma, che istituisce un’alleanza difensiva in base alla quale i paesi firmatari saranno obbligati a intervenire militarmente se uno dei tre subisse un attacco esterno, spiega Africa News. A Bamako, Ouagadougou e Niamey sono al potere delle giunte militari. Il primo golpe, in Mali, risale al 2020 e l’ultimo, in Niger, a quest’estate, quando la guardia presidenziale ha rovesciato il presidente Mohamed Bazoum. La Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale ha minacciato d’intervenire per riportare al potere Bazoum, ma finora l’organizzazione regionale non è passata all’azione.

IN BREVE

Sudan Il 17 settembre a Khartoum, dove sono in corso violenti combattimenti tra l’esercito e un gruppo paramilitare rivale, ha preso fuoco il grattacielo della Greater Nile petroleum operating company (nella foto), uno degli edifici più noti della città. Somalia Il 19 settembre la Commissione europea ha deciso di sospendere i finanziamenti alle attività del World food programme nel paese, dopo che un’indagine delle Nazioni Unite ha rivelato che gli aiuti per allontanare il rischio della carestia erano oggetto di furti sistematici e appropriazioni indebite.

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il podcast quotidiano di

GIOVEDÌ 21 SETTEMBRE 2023

LUNEDÌ 18 SETTEMBRE 2023

Le scuole incendiate in Belgio per protestare contro l’educazione sessuale con Francesca Spinelli giornalista a Bruxelles

Cosa sappiamo della nuova ondata di covid con Elena Boille vicedirettrice di Internazionale

I coltivatori di cocco tailandesi schiavizzano i macachi con Raffaele Petralla fotografo

Negli Stati Uniti i lavoratori dell’auto scioperano compatti con Stefano Feltri giornalista economico

MERCOLEDÌ 20 SETTEMBRE 2023

VENERDÌ 15 SETTEMBRE 2023

Il Canada accusa l’India di un omicidio politico con Junko Terao editor di Asia di Internazionale

Perché a Lampedusa stanno arrivando così tanti migranti con Annalisa Camilli giornalista di Internazionale

Perché si parla di nuovo del silenzio di Pio XII sull’Olocausto con Paolo Soldini giornalista

Donna, vita, libertà: un anno di rivolte in Iran con Paola Rivetti professoressa associata alla Dublin City University

MARTEDÌ 19 SETTEMBRE 2023 I costi della Brexit spingono Londra verso l’Europa con Andrea Pipino editor di Europa di Internazionale Cosa c’è dietro l’indagine per l’impeachment di Joe Biden con Alessio Marchionna editor di Stati Uniti di Internazionale

Ogni giorno due notizie scelte dalla redazione di Internazionale con Claudio Rossi Marcelli e Giulia Zoli Dal lunedì al venerdì dalle 6.30 sulle principali piattaforme di ascolto internazionale.it/ilmondo

Asia e Pacifico

KATHRIN HARMS (LAIF/CONTRASTO)

Cox’s Bazar, Bangladesh, 28 settembre 2022

BANGLADESH

I rohingya nei campi sei anni dopo la fuga M. Neuman, London Review of Books, Regno Unito A Kutupalong, il più grande campo profughi del mondo, vive ancora la maggior parte delle persone scappate dalla persecuzione dell’esercito birmano nell’autunno del 2017 ono passati sei anni da quando l’esercito birmano lanciò un’operazione di pulizia etnica contro i rohingya, una minoranza musulmana non ufficialmente riconosciuta dello stato del Rakhine, in Birmania. All’epoca 200mila rohingya erano già fuggiti nel vicino Bangladesh, ma entro la fine del 2017 nel distretto costiero di Cox’s Bazar ne sarebbero arrivati altri 700mila. Per accoglierli sono state spianate colline, abbattuti ettari di foresta e costruite decine di migliaia di capanne; sono state scavate latrine, trivellati pozzi e organizzati ambulatori. Kutupalong-Balukhali, chiamato semplicemente Kutupalong, è il più grande campo profughi del mondo. È formato da vari campi adiacenti, con

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strade principali in cemento e mattoni che danno accesso a vicoli stretti dove le famiglie vivono in capanne di bambù e tela cerata; alcune sono costruite su pendii e nel periodo dei monsoni rischiano di franare. Anche se piove in abbondanza, l’accesso all’acqua potabile è limitato a poche ore al giorno e le liti davanti ai distributori di acqua purificata sono frequenti. Le attività avviate dai rohingya sono fiorenti, ma come tutte le iniziative dei BHUTAN INDIA

profughi nei campi sono alla mercé della polizia bangladese, che può farle chiudere perché non hanno l’autorizzazione del governo. Recinti di filo spinato definiscono i confini di quest’area, rendendola un’unica baraccopoli. Negli anni il Bangladesh ha avuto relazioni ostili con la Birmania e ha imposto rimpatri forzati ai cittadini birmani, ma ha aperto le porte ai rohingya, che lottano per la sopravvivenza. Li sottopone a una serie di controlli sociali che comprendono restrizioni alla costruzione di scuole nei campi e ostacoli alla registrazione dei nuovi nati. I loro movimenti, perfino da una zona all’altra di Kutupalong, sono limitati. Per la legge non possono lavorare, e moltissimi si arrangiano come possono. Subiscono i capricci della polizia, le estorsioni e gli arresti. La posizione del governo sui campi è un ambiguo mix di tolleranza – nonostante ondate di xenofobia tra la popolazione bangladese, spesso alimentate dai politici – e divieti applicati con maggiore o minore rigidità a seconda del clima che si respira nel paese e nella regione. Tutto questo lascia i profughi in una condizione di perenne incertezza. A ciò si aggiungono gli scontri tra bande criminali rohingya per il controllo del traffico di yaba, un mix di metanfetamina e caffeina prodotto soprattutto in Birmania ma di cui il Bangladesh è uno dei mercati principali. Anche se il traffico è per lo più in mano a bangladesi, i conflitti tra bande nei campi sono in aumento, come i pericoli per i profughi. Ad agosto ho incontrato due bambini di cinque e sette anni che erano stati feriti accidentalmente durante una sparatoria. Un proiettile aveva attraversato le gambe del bambino e la parte bassa della schiena della bambina.

Sopravvivenza a rischio BANGLADESH Dhaka Cox’s Bazar

BIRMANIA Golfo del Bengala

140 km

Il dispiegamento di agenzie umanitarie a Kutupalong è impressionante, ma l’impegno dei paesi donatori sta diminuendo. Tra marzo e giugno i sussidi mensili per i viveri – che sono versati sulle sim dei telefonini – sono passati da 12 a otto dollari (da 11,20 a 7,5 euro) a persona. Ad agosto il piano congiunto di risposta alla crisi delineato dalle Nazioni Unite e da Dhaka Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Asia e Pacifico

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New Delhi, 10 settembre 2023

DIPLOMAZIA

SEAN KILPATRICK (THE CANADIAN PRESS/ANSA)

Wang Yi vola a Mosca Il ministro degli esteri cinese Wang Yi (nella foto, a sinistra) è andato a Mosca il 18 settembre, dove ha incontrato il suo collega, Sergej Lavrov, scrive la Bbc. In quanto potenze globali e membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’Onu, Cina e Russia hanno una responsabilità speciale nella stabilità strategica mondiale, ha detto Wang. Il giorno prima Wang aveva visto il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan a Malta, dove hanno sondato il terreno per un eventuale vertice tra il presidente cinese Xi Jinping e quello statunitense Joe Biden.

INDIA

Ai ferri corti con il Canada

CAO YANG (XINHUA/ANSA)

era finanziato solo al 30 per cento. Questo determinerà, tra le altre cose, un rischio maggiore di malnutrizione, un peggioramento delle condizioni di salute, un incremento del traffico di stupefacenti e una tendenza più diffusa dei ragazzi che vivono nei campi a entrare nei gruppi armati. Gli ambulatori e gli ospedali sono già sovraccarichi e aumentano i neonati sottopeso registrati nei reparti di maternità: ogni anno a Kutupalong nascono circa 30mila bambini. Cosa significa essere un rohingya in questi campi? Lottare per ottenere un certificato di nascita per tuo figlio; litigare – e qualche volta venire alle mani – ai punti di distribuzione dell’acqua; cercare modi di integrare i sussidi alimentari, contraendo debiti a tassi d’interesse proibitivi; rischiare di essere arrestati o taglieggiati mentre si cerca di lasciare il campo per una giornata di lavoro. Anziani e disabili, ma anche donne sole con bambini, a volte devono pagare qualcuno che li aiuti in faccende in cui non sono autosufficienti (riparazioni domestiche, trasporto di pesanti bombole del gas dai punti di distribuzione), nonostante siano previsti servizi di questo tipo. Che si lavori in regola grazie a una delle tante organizzazioni presenti nei campi o in modo illegale fuori da Kutupalong, sono sempre favoriti i rohingya con un’istruzione o quelli che parlano inglese. Le donne sono vittime di stupri e violenze, spesso non denunciati. La sopravvivenza del popolo rohingya in simili condizioni sarebbe un vero miracolo. La maggior parte spera di tornare in Birmania, ma questo potrà accadere solo quando gli saranno restituite terra e nazionalità, che le autorità gli hanno tolto nel 1982. Alcuni hanno sfidato la sorte e sono tornati indietro, esponendosi al rischio di nuove persecuzioni. In pochi hanno beneficiato di rare opportunità di stabilirsi in altri paesi, come il Canada o gli Stati Uniti, ma il governo di Dhaka ha sospeso il programma di reinsediamento in quei paesi nel 2010, sostenendo che per i rohingya era un incentivo ad andare in Bangladesh. Di recente si è registrato qualche timido tentativo di riavviare il processo. L’alternativa è la rischiosa traversata via terra o via mare verso la Malaysia, diventata la nuova terra promessa per un numero crescente di rohingya a Kutupalong. u gim

Il 18 settembre il primo ministro canadese Justin Trudeau ha accusato il governo indiano di essere responsabile della morte dell’attivista separatista sikh Singh Nijjar, cittadino canadese, ucciso a giugno a colpi di arma da fuoco da uomini con il volto coperto davanti a un tempio sikh nella British Columbia. Ottawa ha espulso il capo dei servizi segreti indiani in Canada. New Delhi ha definito assurda l’accusa e ha espulso un importante diplomatico canadese. Nijjar si batteva per uno stato sikh indipendente da ricavare dividendo lo stato indiano del Punjab e nel 2020 il governo indiano l’aveva indicato come terrorista.

INDIA

Kashmir senza voce Nikkei Asia, Giappone

THAILANDIA

Il premier mancato Pita Limjaroenrat, leader e candidato primo ministro di Move forward, si è dimesso dalla guida del partito, scrive il Bangkok Post. A maggio Move forward aveva vinto le elezioni ma Pita non era riuscito a farsi nominare premier dai senatori, scelti dall’esercito, ed era anzi stato sospeso dal parlamento perché accusato di aver violato le regole elettorali. Il compito di formare il governo è andato quindi al Pheu Thai, il secondo partito per numero di voti.

Il 20 agosto il sito del Kashmir Walla, l’ultima testata indipendente del Kashmir indiano, è stato oscurato. Il giorno dopo l’autorevole settimanale, che dal 2010 raccontava la vita nella porzione di Kashmir dilaniata da un lungo conflitto, è stata sfrattata dalla sua sede di Srinagar. I suoi account social sono stati sospesi. “Fare i giornalisti in Kashmir non è mai stato facile”, scrive la reporter kashmira Arjumand Shaheen su Nikkei Asia, “c’è sempre stato il rischio di ritorsioni dei ribelli o delle autorità. La situazione è peggiorata da quando New Delhi ha rafforzato il suo controllo togliendo al Kashmir lo status di semiautonomia”, continua Shaheen. “In India molti giornali vivono delle inserzioni pubblicitarie del governo e per sopravvivere diverse testate kashmire hanno ridotto le critiche contro le autorità”. u

In libreria

Donne, vita, libertà Alle origini delle tensioni sociali iraniane, ad un anno dalla morte di Mahsa Amini. Quale futuro per la Repubblica islamica dell’Iran?

www.morcelliana.net

Orso blu Sezione Europa | Oriente

Progetti fotografici a lungo termine: trovare il giusto equilibrio In viagtra l’essere giornalista e autore con Jérôme Sessini Fotografagio con o senza clic con Andrea Cortellessa Il giornalismo narrativo, tra re i conflitti con Marco Longari geopoetica e autoracconto: tecniche di scrittura e di intervista per longform di contesto sul campo con Christian Elia La lezione di realismo con Massimo Raffaeli L’inganno degli occhi con Angelo Raffaele Turetta Raccontare i misteri Tempo di longform con Laura italiani con Carlo Lucarelli Storia orale. La struttura del racconto con Ascanio Pertici Le cose non dette con Camilla Ferrari MultiCelestini media storytelling con Chiara Negrello Il corpo del racconto con Daniele Mencarelli L’interpretazione del negativo digiDal reportage alla newsletter: tale con Claudio Palmisano raccontare il mondo ai lettori di un giornale con Sara Gandolfi Le storie non si inventano con Alberto Rollo Costruire con le immagini: la narrazione fotografica con Renata Ferri Fotografia e scrittura con Giovanna Calvenzi Raccontare il mondo nuovo

17 insegnanti, 240 ore di lezioni, tre mesi di corso immersivo in un borgo medievale affacciato sul mare, nelle Marche. E al termine del corso gli studenti faranno stage e viaggi di formazione in Italia e all’estero finanziati dalla Scuola Jack London.

6 novembre 2023 —26 gennaio 2024 Torre di Palme, Fermo

Roberta partirà presto per Johannesburg, dove la attende un’esperienza sul campo, Giulia è da due mesi in Tunisia a raccontare i diritti delle donne, Alice e Davide si trovano già sui Sibillini delle Marche per un reportage sul lavoro in montagna, Francesco sta lavorando nella redazione di un quotidiano.

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Americhe STATI UNITI

Una svolta per il sindacato nelle fabbriche di auto Patrik Jonsson, The Christian Science Monitor, Stati Uniti

egli Stati Uniti i sindacati sono entrati in sciopero contro i vertici delle case automobilistiche. In un settore segnato da cambiamenti epocali, i lavoratori chiedono stipendi più alti, benefit sanitari più vantaggiosi e condizioni di sicurezza migliori. Le parti in causa non sono riuscite a raggiungere un accordo entro il 14 settembre, la data in cui è scaduto il vecchio contratto collettivo. Una delle questioni più complesse della trattativa riguarda uno stabilimento in costruzione a Savannah, in Georgia, a più di mille chilometri da Detroit, in Michigan, dove hanno sede le grandi case automobilistiche. A Savannah l’azienda coreana Hyundai produrrà auto elettriche. La LG Energy Solution, un altro gigante sudcoreano, si occuperà di realizzare le batterie delle vetture.

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EMILY ELCONIN (BLOOMBERG/GETTY)

I lavoratori del settore sono in sciopero contro le grandi case automobilistiche. Temono che le aziende usino la transizione verso l’elettrico per togliere diritti e licenziare

Protesta sindacale davanti a una fabbrica Ford a Wayne, in Michigan, il 15 settembre 2023

La fabbrica, che fa parte del grande piano d’investimenti pubblici e privati per allontanare l’economia statunitense dai combustibili fossili, entrerà in funzione nel 2025 e impiegherà ottomila lavoratori non sindacalizzati. Questo elemento ha portato il sindacato United auto wor-

Da sapere La protesta cresce Lavoratori coinvolti nelle proteste sindacali negli Stati Uniti, migliaia

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FONTE: THE NEW YORK TIMES

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kers (Uaw) in rotta di collisione con i tre grandi produttori di automobili degli Stati Uniti: Ford, General Motors e Stellantis (in cui è confluita la Fiat Chrysler). Mentre aumentano gli investimenti sui veicoli elettrici, i lavoratori temono che la produzione e i posti di lavoro si spostino verso sud – dove i sindacati sono tradizionalmente deboli – e verso la filiera delle batterie. Già oggi una maggioranza delle auto vendute negli Stati Uniti è prodotta in impianti di proprietà di aziende non statunitensi, dove i dipendenti non sono iscritti al sindacato e gli stipendi sono inferiori rispetto a quelli garantiti dai contratti negoziati dall’Uaw. In ogni caso le case automobilistiche di Detroit hanno continuato a fare profitti enormi. Ora la sfida per i sindacati è ottenere stipendi più alti per i loro iscritti e allo stesso tempo evitare i pesanti tagli di personale dovuti allo spostamento delle attività. Questo spiega perché l’Uaw chiede alle aziende di facilitare l’iscrizione al sindacato in alcune delle 29 fabbriche di batterie nel sud del paese. “Il passaggio all’elettrico ha alterato le dinamiche della contrattazione”, osserva Marick Masters, esperto del settore automobilistico della Wayne State university di Detroit. Da quando Shawn Fain è diventato presidente della Uaw, nel 2023, il sindacato si è spostato su posizioni più militanti. Alla luce del fatto che quest’estate gli autotrasportatori e i portuali sindacalizzati hanno ottenuto importanti concessioni dalle grandi aziende, l’Uaw chiede un aumento del 40 per cento della retribuzione e una settimana lavorativa di 32 ore. La strategia coraggiosa dei lavoratori si basa su una serie di valutazioni sul processo di elettrificazione dei trasporti negli Stati Uniti. L’Uaw sostiene gli sforzi del paese per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, a patto che i lavoratori non ne facciano le spese. “Il nostro sindacato non resterà immobile mentre i baroni del petrolio sono sostituiti da quelli delle batterie”, ha detto recentemente Fain. Scegliendo una linea più dura rispetto ai suoi predecessori, il leader sindacale ha rispedito al mittente le prime proposte delle aziende. Le parti in causa sono nelle condizioni di reggere uno sciopero prolungato, ma entrambe hanno tutto l’interesse a raggiungere un accordo al più presto. Lo stabilimento della Hyundai a Savannah rende l’idea Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Americhe STATI UNITI

AMERICA LATINA

In salvo alle Hawaii

Ambiente pericoloso

Josh Green, il governatore delle Hawaii, ha annunciato che è salva la gran parte delle persone date per disperse negli incendi divampati sull’isola di Maui il 10 agosto. “Subito dopo i roghi le autorità avevano detto che i dispersi erano centinaia, e si temeva che la maggior parte di loro fosse morta”, scrive la Cnn. Invece, dalle ricerche e dalle segnalazioni dei residenti si è scoperto che in tanti si erano salvati. Secondo i dati aggiornati al 18 settembre, i dispersi sono 31 e i morti accertati 97. L’incendio di Maui è stato il peggiore della storia recente degli Stati Uniti.

AFP/GETTY

della portata del cambiamento in corso. Potenzialmente la fabbrica potrebbe arrivare a produrre 300mila automobili elettriche all’anno a partire dal 2025 e impiegare circa ventimila lavoratori nella catena di montaggio e nell’indotto, trasformando radicalmente un’economia locale dominata dal porto, dalle cartiere e dal turismo. Questo processo poggia sugli investimenti dell’amministrazione Biden per stimolare l’economia verde, ma anche sull’attività dei governatori repubblicani del sud, attirati da un altro tipo di “verde”: quello dei dollari che possono risanare le economie statali, creare posti di lavoro e far crescere gli stipendi. Il parlamento della Georgia ha stanziato due miliardi in sgravi fiscali per gli impianti a Savannah. Secondo Harley Shaiken, esperto di diritto del lavoro e professore emerito dell’università della California, le implicazioni dei negoziati in corso “andranno oltre l’industria dell’automobile americana”. Alcuni studi indicano che quando un sindacato riesce a ottenere un aumento di retribuzione, anche le fabbriche non sindacalizzate tendono ad alzare gli stipendi per restare competitive. Negli Stati Uniti solo il 16 per cento dei lavoratori del settore automobilistico è iscritto al sindacato (nel 1983 erano il 60 per cento). Ma il movimento ha trovato nuovo slancio dopo la pandemia, che ha messo in luce le profonde disuguaglianze economiche del paese.

BRASILE

Ci si chiede anche quali saranno le ricadute politiche di questa vicenda. L’Uaw ha sospeso l’appoggio al presidente Joe Biden in attesa dell’esito della trattativa. Donald Trump, favorito per diventare il candidato repubblicano alle presidenziali del 2024, si è rivolto direttamente ai lavoratori dell’Uaw, dicendo che i loro leader non avrebbero dovuto schierarsi a favore della transizione verso l’elettrico. In Michigan, dove l’industria delle auto l’ha sempre fatta da padrone, Trump ha vinto nel 2016 e ha perso nel 2020. Nonostante il dibattito globale sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, molti elettori si preoccupano non tanto della transizione del settore automobilistico, quanto soprattutto di quale sarà il futuro dei lavoratori e dei consumatori. u as

Le prime condanne

COLOMBIA

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Maui, 11 agosto 2023

Il 14 settembre tre sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro sono stati riconosciuti colpevoli di un tentativo di golpe per le violenze commesse a Brasília, a gennaio del 2023, dopo l’insediamento del nuovo capo dello stato Luiz Inácio Lula da Silva. La corte suprema ha condannato Aécio Lúcio Costa Pereira e Matheus Lima de Carvalho a diciassette anni di prigione e Thiago Mathar a quattordici, scrive O Globo.

ROBERT GAUTHIER (LOS ANGELES TIMES/GETTY)

Sostegno sospeso

Nel 2022 almeno 177 persone sono morte per difendere il nostro pianeta, portando a 1.910 il numero totale degli omicidi segnalati dal 2012, quando l’ong britannica Global witness ha cominciato a documentare e a contare le uccisioni di chi si impegna in prima persona per la protezione dell’ambiente. Dei diciotto paesi in cui Global witness ha documentato casi di violenza contro gli attivisti undici sono latinoamericani. La Colombia è in testa alla classifica globale con sessanta omicidi. Secondo l’ultimo rapporto, pubblicato il 13 settembre, in media l’anno scorso è stato ucciso un attivista ogni due giorni, come nel 2021. Anche se il dato complessivo delle vittime è leggermente inferiore rispetto al 2021, quando sono state registrate duecento uccisioni, “questo non significa che la situazione sia migliorata in modo significativo”, si legge nella presentazione del documento. u Nella foto: il funerale di un attivista per l’ambiente. Cauca, Colombia, gennaio 2022

Suicidio tra i nativi “I dipartimenti di Amazonas, Guanía e Vaupés sono quelli con i tassi di suicidio più alti del paese”, si legge in uno speciale del quotidiano El Espectador. Sono anche le zone dove la presenza di popolazione nativa è maggiore. Nel dipartimento di Amazonas il tasso di suicidio nel 2020 è stato addirittura di 23,6 ogni centomila abitanti,

mentre quello nazionale è di cinque, ma i numeri potrebbero essere molto più alti, secondo il progetto di sanità pubblica Así vamos en salud. “Le cause”, scrive il giornale, “sono la distruzione dell’habitat delle comunità, compresi molti luoghi sacri; la diffusione di alcol e droghe e la perdita lenta delle tradizioni e dell’identità indigena”. I nativi si tolgono la vita perché non hanno da mangiare, ma anche per la violenza causata dai gruppi armati e criminali attivi nel territorio.

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Visti dagli altri La terra trema ai Campi Flegrei Agostino Petroni, Undark, Stati Uniti Foto di Giuseppe Carotenuto Dopo le scosse degli ultimi mesi gli scienziati cercano con attenzione ancora maggiore i segnali di una possibile eruzione vulcanica nella zona intorno a Napoli e Pozzuoli na coltre di vapore bianco offusca la sagoma di Alessandro Santi mentre si china su una pozza gorgogliante di liquido grigiastro, a Pozzuoli, un comune nell’area urbana di Napoli. Circondato dalla densa nube sulfurea, il tecnico, sulla trentina, immerge un palo lungo poco meno di due metri, sulla cui estremità è attaccato un bicchiere di plastica. Dopo aver raccolto un campione d’acqua a 80 gradi centigradi, Santi si volta e la versa con cura in un contenitore di vetro. Sotto i suoi piedi c’è uno dei più pericolosi vulcani quiescenti del mondo. Tutti conoscono il vicino Vesuvio, che nel 79 dC distrusse la città di Pompei. Ma sono in pochi a conoscere questa minaccia sotterranea. Santi sta conducendo alcune ricerche su una caldera vulcanica (una cavità circolare) che misura fino a 15 chilometri di diametro, creata da un vulcano esploso e poi collassato. La caldera, conosciuta con il nome di Campi Flegrei, fa parte di una catena di vulcani sotterranei e sommersi lungo la costa italiana. Le ultime due grandi eruzioni dei vulcani flegrei sono avvenute circa quarantamila e quindicimila anni fa, distruggendo la maggior parte delle forme di vita della regione. Le ceneri prodotte dall’esplosione sono arrivate fino in Russia. Oggi gli scienziati temono le conseguenze di un’altra eruzione, in una zona dal terreno instabile dove vivono più di cinquecentomila persone e dove sono state costruite case, vigneti, scuole e strade. Negli ultimi diciotto anni il livello del suolo a Pozzuoli si è innalzato di circa un

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metro, e non è raro che i residenti si sveglino nel cuore della notte a causa di improvvisi rumori e vibrazioni provenienti dalle viscere della Terra. La frequenza dei terremoti è aumentata, tanto che nel 2012 la protezione civile italiana, incaricata di prevenire e gestire le emergenze nel paese, ha alzato il livello di allerta portandolo da verde a giallo. La decisione ha evidenziato la necessità di dedicare più risorse e attenzione al monitoraggio della caldera. Gli scienziati sanno che sottoterra sta succedendo qualcosa, ma non sono sicuri di cosa. “Il problema è che non possiamo scendere giù e verificare”, spiega Santi. I ricercatori si limitano a raccogliere campioni e a misurare ciò che è alla loro portata, come l’acqua delle pozze e i gas delle fumarole. I campioni contengono tracce di anidride carbonica, metano, acido cloridrico e altre sostanze chimiche che hanno origine molto più in profondità rispetto al fondo della pozza fangosa. I cambiamenti nei livelli di questi composti possono segnalare un pericolo imminente, come l’affioramento del magma.

Piano di evacuazione La raccolta di campioni d’acqua fa parte di una routine condotta dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Napoli (conosciuto come “osservatorio vesuviano”), che usa complessi sistemi di monitoraggio sismico e tecnologie all’avanguardia per controllare i vulcani. Attraverso decine di siti di rilevazione sul terreno e sottomarini, l’osservatorio sorveglia la caldera nel caso in cui si debba avvertire la protezione civile, che ha previsto un piano per un’evacuazione di massa se la situazione dovesse precipitare. Con ogni probabilità l’efficacia di questa operazione d’emergenza dipenderà dalla disponibilità dei residenti a eseguire gli ordini delle autorità. “La collaborazione tra tutti questi soggetti è cruciale sia nella pianificazione sia nella gestione delle crisi”, spiega Rosella Nave, ricercatrice

dell’osservatorio vesuviano. Secondo diversi studi, molte delle persone che vivono sopra la caldera non la considerano una minaccia significativa. Al contrario, le generazioni più anziane ricordano ancora gli errori commessi nelle evacuazioni del passato, che hanno causato consistenti danni economici alla comunità locale. C’è anche chi è preoccupato, ma non si fida della capacità della protezione civile di affrontare efficacemente un’emergenza. Alcuni abitanti della zona hanno reagito a piccole scosse di terremoto in un modo che comprometterebbe l’esecuzione di un piano di evacuazione preordinato, spiega

La solfatara di Pozzuoli, maggio 2017

Anna Peluso, residente di Pozzuoli che amministra un gruppo Facebook in cui si discutono il monitoraggio del vulcano e i piani di emergenza. Secondo gli scienziati è improbabile che in tempi brevi si verifichi una grande esplosione, ma piccole eruzioni non sarebbero una sorpresa. Negli ultimi 5.500 anni, infatti, ce ne sono state ventitré. E dato che oggi il golfo è densamente popolato, ne potrebbe bastare una piccola per creare una catastrofe. La penisola italiana si trova sopra al confine tra la placca eurasiatica e quella africana. Passando sotto la placca eurasia-

tica, quella africana ne assottiglia alcune parti, come fosse un impasto per la pizza. Secondo Mauro Di Vito, vulcanologo e direttore dell’osservatorio vesuviano, questo complesso movimento rifornisce di magma fresco – roccia fusa sotto la superficie della Terra – i dodici vulcani attivi in Italia (il magma che affiora sulla superficie terrestre viene definito lava). Fin dai tempi degli antichi romani i Campi Flegrei hanno vissuto periodi caratterizzati dal cosiddetto bradisismo, ovvero il sollevamento o l’abbassamento della superficie terrestre. Il termine deriva dalla combinazione tra due parole greche

che significano “lento” e “movimento”. Eppure, dato che nella zona non ci sono i rilievi montuosi, pochi sospettavano la presenza di un vulcano attivo. Le cose sono cambiate negli anni cinquanta, quando uno scienziato svizzero che lavorava in Italia ha ipotizzato che i Campi Flegrei facessero parte di una caldera. Nei decenni successivi i geofisici hanno cominciato a monitorare l’area. Nel 2008 una squadra di ricercatori ha identificato un abbondante bacino magmatico a circa otto chilometri di profondità sotto il centro abitato di Pozzuoli, oltre a sacche più piccole di magma situate un po’ più in Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Visti dagli altri alto nella crosta terrestre, spiega Di Vito. Il calore e i gas provenienti dal bacino sotterraneo generano una pressione che spacca la roccia sovrastante. Se le spaccature si verificano a circa tre chilometri dalla superficie terrestre, gli esseri umani percepiscono questo movimento come un terremoto. All’interno della comunità dei vulcanologi esistono varie scuole di pensiero in merito al futuro dei Campi Flegrei. Alcuni ritengono che le scosse attuali e il sollevamento del suolo derivino unicamente dal rilascio di gas nel bacino magmatico e nel sistema idrotermale della zona. Secondo questa teoria è possibile che il suolo torni ad abbassarsi e i terremoti diventino meno frequenti. Ma altri sono convinti che il movimento del magma degli ultimi decenni abbia indebolito la crosta terreste, rendendo una frattura più probabile di quanto si pensasse in precedenza. Nello scenario in cui il magma dovesse raggiungere la superficie e ci fosse un’eruzione, questa potrebbe provocare la distruzione dei cinque centri abitati e della zona di Napoli che si trova sopra la caldera.

Metodo da definire Questa divergenza di opinioni nasce da un problema fondamentale della vulcanologia: gli scienziati non hanno ancora sviluppato un metodo per prevedere con precisione le eruzioni. Anche se la presenza di gas magmatici nelle fumarole della caldera potrebbe segnalare un’eruzione imminente, non esiste un modo per prevederla con un anno o diversi mesi di anticipo. Nel 2017 Christopher Kilburn, professore di vulcanologia dello University college di Londra, ha pubblicato con gli scienziati dell’osservatorio vesuviano uno studio sulla rivista scientifica Nature Communications che ha attirato l’attenzione dei mezzi d’informazione italiani. Mentre in passato si pensava che le fasi di sollevamento relativamente rapido del suolo nella regione di Napoli fossero seguite da un rilassamento della crosta terrestre, lo studio suggerisce che la crosta stia accumulando stress. “È possibile che ogni episodio di attività e sollevamento ci avvicini a una frattura della crosta”, ha spiegato Kilburn a Undark. Nel giugno scorso Kilburn e i suoi colleghi hanno pubblicato un aggiornamento

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I T A L I A C Campi flegrei

a m p a n i a

Napoli Pozzuoli

25 km

Mar Tirreno

dello studio in cui si legge che attorno al 2020 la dinamica dei terremoti provocati dal vulcano è cambiata. Questo ha spinto gli scienziati a concludere che la crosta terrestre si stia indebolendo con il passare del tempo e diventi sempre più incline alla frattura. Secondo Kilburn, i segnali di un’imminente eruzione possono essere molto discreti. È quello che è successo nella caldera di Rabaul, in Papua Nuova Guinea, dove un paio d’anni di intensa attività sismica sono stati seguiti da dieci anni di relativa calma. Poi improvvisamente, nel settembre 1994 e dopo appena 27 ore di attività, il vulcano ha eruttato, distruggendo la città di Rabaul. Anche se non esiste alcun modo per affermare che lo stesso accadrà nei Campi Flegrei, le ricerche di Kilburn indicano che la crosta terrestre potrebbe spaccarsi anche in assenza di un forte aumento della pressione. Si tratta di un elemento da tenere in considerazione per i piani di evacuazione. In Italia i disastri del passato hanno prodotto processi penali a carico di scienziati e politici che avevano cercato di garantire la sicurezza della popolazione. Dopo il terremoto del 2009 nell’Italia centrale, che ha provocato 309 vittime, sette esperti sono stati condannati in primo grado per omicidio colposo con l’accusa di aver condotto un’analisi superficiale del rischio e di aver diffuso false rassicurazioni. Gli imputati sono stati condannati a sei anni di carcere, anche se in seguito sono stati tutti assolti, tranne uno. Quando gli chiediamo un’opinione su quella causa, Di Vito sottolinea che i terremoti non possono essere previsti con la stessa precisione delle eruzioni di un vulcano ben monitorato, e che nella valutazione del rischio in un sito vulcanico sono

coinvolti molti politici e funzionari. “In caso di emergenza in un’area vulcanica la situazione è abbastanza diversa”. Tuttavia il vulcanologo aggiunge che il terremoto del 2009 è stato “una lezione per la protezione civile e per gli scienziati”.

Il rione Terra Nel 1970 la giornalista Eleonora Puntillo notò qualcosa di strano nel porto di Pozzuoli. Quando le persone scendevano dai traghetti dovevano salire per raggiungere il molo, mentre in passato dovevano scendere. “O il mare si era abbassato o la terra si era alzata”, racconta Puntillo, che oggi ha 84 anni. Nel 1970 parlando con gli abitanti del posto riuscì ad avere la conferma che il suolo si era effettivamente alzato danneggiando diversi edifici, ma sorprendentemente gli scienziati non stavano facendo molto per individuare la probabile causa di quel bradisismo, cioè la caldera, parte della quale si estende fin sotto il porto. Puntillo sapeva che nel 1538 il vulcano del Monte Nuovo aveva eruttato scagliando ceneri e magma a pochi chilometri dal centro di Pozzuoli. All’epoca il suolo si era sollevato, accompagnato da una serie di spaventosi terremoti. Puntillo mise insieme gli indizi e pubblicò un articolo intitolato Il mare si ritira, bolle il vulcano, ricordando alla comunità locale che un fenomeno simile si era già verificato nella stessa regione cinque secoli prima. “Vorrei non averlo mai fatto”, ammette oggi, ricordando le orde di giornalisti che si sono precipitati a Pozzuoli per chiederle dove sarebbe saltato fuori il prossimo vulcano. Molti scrissero articoli allarmistici che provocarono il panico tra la popolazione. Pochi giorni dopo, i residenti del rione Terra, dove era avvenuto gran parte del sollevamento, la mattina si svegliarono e scoprirono che nella zona erano arrivati centinaia di soldati con il compito di sgomberare l’area. Ci furono scene drammatiche: sfratti forzati, madri che trascinavano materassi e bambini in lacrime. Il panico si diffuse nel resto della città, spingendo anche gli abitanti degli altri rioni a fuggire. Secondo il New York Times almeno trentamila persone lasciarono Pozzuoli. “Ho ancora i brividi all’idea di quella fuga spaventosa”, racconta Puntillo. Secondo la giornalista non c’era nessun bisogno che il governo usasse la forza. Il sollevamento del terreno proseguì per altri due

L’osservatorio vesuviano di Napoli, giugno 2015

anni, ma il vulcano non eruttò. I residenti del rione Terra non ebbero mai la possibilità di tornare nelle loro case e furono trasferiti stabilmente in un altro quartiere, che si trovava comunque sopra la caldera. Oggi gli abitanti di Pozzuoli conservano un ricordo generazionale fatto di case, attività commerciali e mezzi di sussistenza persi, non a causa di un vulcano che lancia pietre nel cielo ma dello stato italiano che li ha trasferiti contro la loro volontà. “Abbiamo il bradisismo nel sangue”, conferma Giuseppe Minieri, 53 anni, proprietario del ristorante A’ Scalinatella. “Siamo nati qui”. Nel fatiscente rione Toiano, il pittore Antonio Isabettini, che ha ritratto i Campi Flegrei da molte angolazioni, è seduto nel terrazzo della casa consegnata dallo stato ai suoi genitori negli anni settanta, dopo che avevano lasciato il rione Terra (già prima dell’evacuazione avevano valutato la possibilità di partire). Punta il dito verso il suolo. “Sto su questa pianura che in realtà è un vulcano. Cosa dovrei fare? Andare via?”. Prima di trasferirsi qui, Isabettini ha vissuto per quindici anni in un appartamento al confine della solfatara, un crate-

re vulcanico che emette costantemente vapore e fumi sulfurei. “Conviviamo con questa realtà. Sappiamo che è una terra ballerina e sappiamo che laggiù c’è una camera magmatica”, dice. Ma se l’intera caldera dovesse eruttare, come fece millenni fa, gli effetti sarebbero catastrofici.

Telefonate preoccupate Al terzo piano della sede dell’Osservatorio vesuviano, Mario Castellano, direttore tecnico del centro di controllo, è in piedi davanti a decine di schermi che mostrano dati in arrivo da più di sessanta stazioni di rilevamento nei Campi Flegrei. La notte prima è stato registrato un terremoto di magnitudo 2,8. “Se si verifica un forte sisma, avvisiamo subito la protezione civile”, spiega. Negli ultimi diciassette anni ha notato un aumento costante nella frequenza e nell’intensità dei terremoti. Oltre a usare i sismometri per registrare le scosse, gli scienziati dell’osservatorio si affidano alle stazioni terrestri e marine per rilevare quelle che sono definite deformazioni del suolo, ovvero i punti in cui il terreno si solleva o abbassa a causa della pressione creata dai gas sotterranei o dal

magma. Inoltre degli strumenti chiamati clinometri misurano le impercettibili variazioni nella pendenza. Questo flusso costante di dati è fondamentale per rilevare tempestivamente il movimento ascendente del magma, spiega Prospero De Martino, lo scienziato che si occupa di monitorare le deformazioni del suolo. De Martino ha notato un incremento nella rapidità di sollevamento, ma gli scienziati non ne hanno ancora accertato la causa. Sono i gas? Il magma? In ogni caso un cambiamento così consistente nella superficie terrestre lo preoccupa. I ricercatori mettono insieme i dati di monitoraggio in un bollettino diffuso ogni martedì sul sito dell’osservatorio e sui social network, in modo che tutti possano essere informati sullo stato del vulcano. Ogni tanto l’osservatorio riceve telefonate da persone preoccupate che chiedono come e quando dovranno lasciare la zona, informazioni che solo la protezione civile può dare, non gli scienziati. Tra le persone che vivono nella caldera la percezione della minaccia dei Campi Flegrei è cambiata nel corso del tempo. In un sondaggio del 2006 la maggior parInternazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Visti dagli altri te degli intervistati considerava un’eruzione del Vesuvio come un pericolo nonostante il fatto che gli scienziati la ritengano estremamente improbabile. Le stesse persone non erano a conoscenza del vulcano che c’era sotto i loro piedi. Inoltre avevano detto di avere poca fiducia che l’autorità locale potesse gestire un’emergenza vulcanica. Il sondaggio ha spinto l’osservatorio e i comuni della zona ad avviare una campagna per sensibilizzare di più gli abitanti sull’esistenza della caldera. Gli esperti hanno parlato agli studenti, negli uffici pubblici e nelle piazze. Nel 2019 Rossella Nave e la sua squadra hanno fatto un secondo sondaggio per verificare se la percezione del rischio vulcanico fosse cambiata. Lo studio non è stato ancora pubblicato, ma i risultati preliminari indicano che per il 37 per cento dei residenti il Vesuvio rappresenta ancora la minaccia principale (nel 2006 la percentuale era del 70 per cento), mentre il livello di fiducia nella risposta delle istituzioni resta minimo. Inoltre il sondaggio ha rilevato che la maggior parte dei residenti non considera il vulcano come uno dei sette problemi più gravi per la comunità. Ma il 60 per cento degli intervistati riconosce che i Campi Flegrei sono il vulcano più minaccioso, e rispetto al 2006 è aumentato il numero di persone informate sui piani d’emergenza. “La consapevolezza dei residenti del pericolo vulcanico è maggiore”, ha scritto Nave in un’email a Undark. Forse, paradossalmente, oggi alcuni abitanti credono che la caldera possa esplodere senza preavviso, uno scenario che nessuno scienziato ha ipotizzato. Alcuni ricercatori non sono sorpresi da questa reazione. Secondo Francesco Santoianni, che ha lavorato per quarant’anni nella protezione civile, la percezione del panico “è istituzionalizzata dai piani d’emergenza”, ed “è criminale” che le esercitazioni di evacuazione si svolgono “come se l’unica soluzione fosse fuggire il più lontano possibile e rapidamente”. Santoianni ricorda un’esercitazione in cui i volontari hanno mostrato ai residenti come scappare uscendo dalle finestre. Antonio Ricciardi, geologo che monitora i Campi Flegrei e altri vulcani dalla sede romana della protezione civile, spiega che la presidente del consiglio italiana, su indicazione dalla commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei

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grandi rischi e della protezione civile, emanerebbe il cosiddetto preallarme solo se la situazione fosse drammatica: migliaia di scosse al giorno, una significativa deformazione e inclinazione del terreno, un’abbondanza di gas carichi di anidride carbonica e anidride solforosa (segno che il magma sta per affiorare), crepe nell’asfalto e tubature spaccate. In queste circostanze il governo ordinerebbe di evacuare gli ospedali e le carceri, mentre il patrimonio culturale sarebbe trasferito o protetto per assorbire l’impatto del calore. In uno scenario simile è probabile che molti residenti deciderebbero di partire spaventati dalla confusione. Se le cose dovessero peggiorare ulteriormente, scatterebbe la piena emergenza, chiamata “fase di allarme”.

Domande senza risposta Ci vorrebbero settantadue ore per allontanare le cinquecentomila persone che vivono nella zona più pericolosa, spiega Antonella Scalzo, geologa della protezione civile che si occupa di pianificare la gestione delle emergenze nei Campi Flegrei. L’obiettivo dell’evacuazione, aggiunge, è quello di assicurarsi che non ci sia più nessuno quando erutta il vulcano. Chiunque dovesse restare nella zona, infatti, potrebbe essere travolto da un violento fiume di gas e materiale vulcanico creato dall’eruzione e capace di spostarsi a velocità di centinaia di chilometri all’ora, con temperature che potrebbero superare i cinquecento gradi. Durante la fase d’emergenza la popolazione dovrebbe sapere quali strade percorrere per abbandonare l’area. Scalzo precisa che nel caso in cui qualcuno non volesse spostarsi con i propri mezzi, i tra-

Da sapere Due mesi di scosse u Il 7 settembre 2023 è stata registrata una scossa di terremoto ai Campi Flegrei di magnitudo 3,8. È stato l’evento sismico più forte registrato nella zona negli ultimi dieci anni. La scossa, come molte altre negli ultimi due mesi, è stata avvertita dalla popolazione anche a Napoli e Pozzuoli. L’osservatorio vesuviano afferma che questa intensa attività comunque non suggerisce uno scenario eruttivo. Dal gennaio di quest’anno ci sono state 1.500 scosse di magnitudo rilevante. Ansa

sporti pubblici lo porterebbero al sicuro. “Dobbiamo lavorare molto per fare accettare agli abitanti che – non oggi e non domani, forse un giorno – dovranno lasciare le loro case per sempre”, spiega Nave. “Se non lo faranno, potrebbero fare la fine degli abitanti di Pompei”. Non tutti hanno bisogno di essere convinti. Secondo Anna Peluso, che da tempo abita a Pozzuoli, molti residenti della zona partiranno spontaneamente alle prime avvisaglie di un’eruzione imminente. La donna ricorda che nel 2015 un terremoto aveva spinto molti genitori a precipitarsi a scuola per prendere i figli senza aspettare l’annuncio di un’evacuazione previsto dal piano del governo. In quell’occasione l’aumento del traffico aveva paralizzato la circolazione. “Sta succedendo qualcosa. Noto un cambiamento”, dice Peluso. Mentre cammina lungo il porto, indica una decina di barche che galleggiano ben al di sotto del molo a cui sono ormeggiate. In un altro porto lì vicino, l’acqua è poco profonda e le piccole barche da pesca quasi toccano il fondale, segno evidente che il terreno si è alzato. Allontanandosi dal mare e dirigendosi verso il centro, Peluso indica una serie di edifici che mostrano crepe e segni di danneggiamento, come in un palazzo di quattro piani a cui mancano grossi pezzi di intonaco. Racconta che molti suoi vicini di casa la considerano un’allarmista perché parla sempre del vulcano, ma non le importa. Ciò che la preoccupa sono le domande che ancora non hanno una risposta: qual è la causa del sollevamento del suolo? L’osservatorio riuscirà a rilevare i cambiamenti più pericolosi nell’attività vulcanica? Se ci sarà un’evacuazione, quanto tempo passerà prima che le autorità permettano ai residenti di tornare a casa? Mente ci salutiamo, Peluso si ferma e spiega che un cratere vulcanico “potrebbe aprirsi proprio qui, in mezzo alla strada”. Poi si volta e guarda il mare. Il tramonto dipinge l’acqua di un arancione pacificante. La costa rocciosa abbraccia il porto. “A volte la gente mi chiede ‘perché vivi ancora a Pozzuoli?’. La risposta è qui”. u as Agostino Petroni è un reporter freelance italiano. Scrive di ecologia ed economia per varie testate tra cui National Geographic, The Guardian e The Atlantic.

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Le opinioni

L’Ucraina non ha bisogno di Elon Musk Timothy Snyder n oligarca della Silicon valley, forse re o per evitare di essere ricattati. Gli ucraini hanno l’uomo più ricco del mondo, offre il preso la loro decisione in un momento di enorme suo aiuto a un altro oligarca, l’uomo pressione, perché un’eventuale esplosione sarebbe che tiene il dito sul pulsante della avvenuta sul loro territorio. Musk, che non rischiava guerra nucleare in Russia. I due agi- nulla, ha scelto invece di cedere al ricatto russo. scono per proteggerci da noi stessi. Inoltre l’attività dell’imprenditore statunitense Grazie a loro, il mondo viene salvato dall’Armaged- sembra aver prolungato la guerra convenzionale. Dodon. Non è il riassunto di un romanzo distopico, ma po tre vittorie di peso ottenute sul campo, nel 2022 gli uno scenario presentato “fedelmente” nella biografia ucraini avevano la possibilità di mettere fine all’occudi Elon Musk scritta da Walter Isaacson pazione russa colpendo a sud. Per cor(Mondadori 2023). Anche se né Musk L’idea che rettezza nei confronti di Musk bisogna né il biografo sembrano attenersi a Musk possa ricordare che gli alleati occidentali non un’unica versione della storia, c’è un aver impedito avevano inviato in tempo gli armamenelemento incontestabile: in autunno il l’escalation nucleare ti indispensabili agli ucraini, ma resta il miliardario a capo di X (piattaforma un è una riproposizione fatto che senza le comunicazioni di tempo nota come Twitter) si è rifiutato della propaganda Starlink qualsiasi avanzata dell’esercito di estendere la copertura dei suoi satel- russa, il cui unico di Kiev era impossibile. Così la Russia liti Starlink per le forze armate ucraine. obiettivo ha avuto il tempo di costruire fortificaMusk l’ha fatto perché i russi (a volte zioni e spargere mine che hanno reso è demoralizzare dice “Putin”) gli hanno fatto presente più difficile la controffensiva di che un attacco ucraino contro la peniso- l’avversario quest’anno. La settimana scorsa ho visila della Crimea, occupata dai russi, tato un centro di riabilitazione a Kiev e avrebbe provocato una risposta nucleare di Mosca. ho parlato con alcuni soldati che erano rimasti mutiNaturalmente era una bugia. L’Ucraina ha condotto lati. Quasi tutti erano stati feriti dalle mine e conoscedecine di operazioni in Crimea e, sembra assurdo do- vano qualcuno che era stato ucciso. verlo ricordare, nessuna ha scatenato una guerra nuMusk ha peggiorato tutto quello che credeva di cleare. Al contrario, quelle operazioni hanno favorito migliorare. Non si è più fermato, diffondendo la prouna de-escalation, perché hanno ridotto la capacità paganda russa e avvicinandosi a condividere le posioffensiva di Mosca. zioni fasciste di Putin. Negli ultimi giorni, in una Dato che sappiamo tutti qual è la realtà, nessuno gara a chi la spara più grossa, entrambi hanno dato la avrebbe dovuto mettere per iscritto la tesi secondo colpa dell’antisemitismo agli ebrei. Per la Russia sul cui Musk ha scongiurato una guerra atomica impe- campo di battaglia le cose non vanno bene, ma i redendo all’Ucraina di attaccare una nave russa ormeg- sponsabili della comunicazione di Musk possono giata nel suo territorio. Per sottolineare questa ovvie- dire di aver fatto la loro parte. tà, negli ultimi giorni l’esercito ucraino ha attaccato Gli oligarchi sono vigliacchi inclini a fantasticare diverse navi russe. Il Cremlino ha risposto promet- fughe in Nuova Zelanda o su Marte o verso l’immortendo di ripararle. D’altronde i russi sanno di essere in talità o qualsiasi altra cosa, lontani dalle scelte difficiguerra, e in una guerra il nemico può contrattaccare. li che la gente comune deve compiere per superare Dopo diciannove mesi di conflitto, la maggior par- crisi che loro fanno continuamente peggiorare. Ante degli osservatori ha capito che le minacce nucleari che la guerra di Putin nasce da una fantasia da oligardi Mosca sono solo un tentativo di spaventare Kiev e i ca, dall’idea assurda che l’Ucraina non esiste e che gli suoi alleati per spingerli alla resa. L’idea che Musk ucraini vogliono in realtà essere russi. Solo un multipossa aver impedito l’escalation militare è una ripro- miliardario può credere a queste sciocchezze. E posizione della propaganda russa, il cui unico obietti- quando tutto va male, ci sarà sempre un altro riccone vo è demoralizzare l’avversario. pronto a offrire il suo aiuto sotto forma di una soluzioLa verità è che le azioni di Musk hanno aumentato ne ancora più idiota. Esattamente quello che Musk ha le possibilità di una guerra atomica. Un certo rischio fatto per Putin. esiste sempre, e Mosca l’aveva accennato scatenando È difficile immaginare un’affermazione più perila guerra. Poi l’Ucraina lo ha ridotto ignorando il ri- colosa di quella secondo cui le persone come Musk e catto nucleare di Putin. Se gli ucraini si fossero arresi, Putin sono eroi in grado di salvarci. La storia degli il messaggio per il resto del mondo sarebbe stato chia- oligarchi superuomini è una finzione, ma nel mondo ro: è indispensabile avere armi atomiche, per ricatta- reale produce danni concreti. u as

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TIMOTHY SNYDER

è uno storico statunitense dell’università di Yale, esperto di Europa orientale e di olocausto. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è L’era dei tiranni (Rizzoli 2023). Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

«Una rockstar del pensiero, in grado di arrivare a tutti. I suoi libri sono stati un rito di passaggio per intere generazioni.»

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Attraverso i suoi libri e le sue battaglie, bell hooks ha riscritto la storia del pensiero femminista contemporaneo e ha dato a una generazione di lettori e lettrici un nuovo modo di guardare il mondo.

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Le opinioni

L’economia britannica è ostaggio di idee superate Mariana Mazzucato el Regno Unito tutti i politici sem- lotta al cambiamento climatico, alla crisi del sistema brano essere d’accordo su una cosa: sanitario e al divario digitale – dovrebbe essere ricola crescita. Ma nonostante i discor- nosciuta come un investimento in grado di guidare si sulla necessità di rianimare la l’innovazione. stagnante economia britannica, Nel mio libro Lo stato innovatore (Laterza 2014) pochi segnali (finora) fanno pensa- scrivo che i governi devono investire (anziché tagliare che qualche partito riuscirà a cambiare le cose. I re) per raggiungere la crescita e devono farlo accetleader di tutti gli schieramenti sono, per citare le pa- tando un’assunzione collettiva dei rischi. Ma è fondarole di John Maynard Keynes, “schiavi di qualche mentale garantire che sia i rischi sia i benefici siano economista defunto”. condivisi. A cosa è servito che i governi Il primo ministro Rishi Sunak (con- Mentre i piani investissero nelle tecnologie che renservatore) sta portando avanti una del primo ministro dono i nostri smartphone intelligenti strategia industriale frammentaria, Rishi Sunak (internet, il gps, il touchscreen e Siri corteggiando aziende come la Jaguar mostrano una sono tutti frutto d’investimenti pubbliLand Rover per convincerle a trasferire mancanza di fiducia ci) se poi la ricchezza che ne deriva è le loro attività nel Regno Unito e cer- nel ruolo dello stato, assorbita dal settore privato? Dieci ancando di rendere più competitivi alcu- quelli dei laburisti ni più tardi i governi di tutto il mondo ni settori. Dalla parte opposta, Keir sono vittima di una stanno portando avanti delle strategie Starmer dipinge il suo Labour come un industriali, in particolare negli Stati falsa dicotomia partito “economicamente responsabiUniti, dove sono stati stanziati duemila le”, concentrato sulla crescita piuttosto tra spesa e crescita miliardi per modernizzare le infrache sulle “grandi spese”, e sta ridimenstrutture, per attirare nel paese i prosionando impegni presi in precedenza, tra cui un duttori di processori e per ridurre l’inflazione. fondo per gli investimenti sulle energie rinnovabili. Per realizzare riforme simili servono quattro camMentre i piani di Sunak mostrano una mancanza di biamenti nel modo di pensare. Prima di tutto è necesfiducia nel ruolo dello stato nell’economia, quelli di sario stabilire una direzione chiara: gli stati possono Starmer sono vittima di una falsa dicotomia tra spe- orientare gli investimenti per l’industria verso obietsa e crescita. tivi coraggiosi – come pasti sani, sostenibili e gustosi Con un po’ di lungimiranza, invece, i governi per tutti i bambini – e plasmare economie che non hanno il potere di promuovere una crescita inclusi- solo crescono, ma lo fanno in modi pensati per portava, sostenibile e basata sull’innovazione. Stabilire re benefici alle persone e al pianeta. obiettivi coraggiosi che richiedono la collaborazione In secondo luogo, i governi dovrebbero affrontare tra pubblico e privato può aiutare gli investimenti la relazione tra stato, aziende e lavoratori perché ridelle aziende, stimolando l’occupazione, la forma- schi e benefici siano condivisi. Serve un nuovo conzione e la produttività. Questi benefici sono un effet- tratto sociale. to secondario degli investimenti mirati, non sono Terzo, bisogna coinvolgere i cittadini. In un mol’obiettivo centrale. Se ben attuato, un metodo simi- mento in cui il disincanto nei confronti dello stato è le può tenere insieme le priorità economiche, sociali dilagante, è indispensabile che le strategie economie ambientali. che entrino in connessione con le persone. Per esempio, degli investimenti su mense scolastiInfine, plasmare la crescita richiede investimenti che sane e sostenibili, oltre ad aiutare ragazze e ragaz- in competenze, strumenti e istituzioni del settore zi, possono creare un’enorme opportunità per l’agri- pubblico dinamici, per ricostruire la funzione imcoltura e l’industria alimentare britannica, com’è già prenditoriale dello stato. Questo significa evitare di successo in Svezia. Nel Regno Unito Starmer finora fare troppo affidamento sulle società di consulenza, ha evitato di prendere un impegno per garantire men- un errore commesso più volte dal Regno Unito. se scolastiche gratuite nelle scuole primarie. Sunak Il rilancio dell’economia britannica non è una quenon solo ha ignorato la questione, ma si sta anche sca- stione di più stato o meno stato. Si tratta piuttosto di gliando contro chi afferma che gli scarsi investimenti sostenere uno stato intelligente e competente, consanelle infrastrutture hanno portato a edifici scolastici pevole del suo ruolo. Se questa direzione non verrà fatiscenti. allineata con obiettivi di sostenibilità, salute pubblica Invece di essere considerata un costo, la spesa e inclusione, un’economia fiorente e resiliente rimarper l’istruzione, le mense e altre priorità – come la rà un’obiettivo difficile da realizzare. u fdl

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Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

MARIANA MAZZUCATO

insegna economia allo University college di Londra, dove dirige l’Institute for innovation and public purpose. Il suo ultimo libro uscito in Italia è Missione economia (Laterza 2018). Questo articolo è uscito sul britannico The Guardian.

La FSC® Forest Week è una campagna annuale promossa dal Forest Stewardship Council® per aumentare la consapevolezza sull’importanza della gestione forestale responsabile. Mette in evidenza il ruolo che gestori forestali, persone e aziende possono avere nella lotta al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità. Quest’anno, dal 23 al 29 Settembre, unisciti a noi e #TrustTheTree.

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www.fsc.org

In copertina

La Germania Max Hägler, Kolja Rudzio e Marc Widmann, Die Zeit, Germania. Foto di Ingmar Björn Nolting

Prezzi dell’energia alle stelle, eccesso di burocrazia che blocca le innovazioni, carenza di lavoratori specializzati. Il motore dell’economia europea sembra caduto in una crisi profonda: il paese ha bisogno di riforme, scrive Die Zeit re notizie recenti. La prima è che il fatturato della Basf, il più grande gruppo chimico del mondo, è crollato del 25 per cento e gli utili del 76 per cento. L’amministratore delegato Martin Brudermüller ha dichiarato: “Sono seriamente preoccupato per le sorti dell’industria chimica in Europa”. La seconda è che Meyer Burger, unica azienda produttrice di celle fotovoltaiche rimasta in Europa, ha fatto sapere di aver bloccato il progetto di ampliamento dello stabilimento di Bitterfeld-Wolfen, nel land della Sassonia-Anhalt. I macchinari, in origine destinati alla Germania, saranno spediti negli Stati Uniti. In Cina, infine, il gruppo Volkswagen, un tempo insuperabile, ha perso tanto terreno da trovarsi costretto a chiedere aiuto: prossimamen-

T

150 km

SchleswigHolstein

POLONIA Tantow

PAESI BASSI

Berlino

Bassa Sassonia

Magdeburgo SassoniaBitterfeld-Wolfen Anhalt

Catastrofe imminente

Leverkusen

GERMANIA Baviera

REPUBBLICA CECA

Straßkirchen

FRANCIA

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te la start up XPeng comincerà a collaborare alla costruzione delle vetture Volkswagen con motore elettrico nel paese asiatico. Il gruppo considera quest’azienda sconosciuta “un partner forte”. Questi tre esempi non sono casi isolati. Al contrario, esprimono una tendenza diffusa. Secondo l’istituto di studi economici tedesco Ifo, in Germania le aziende ritengono di versare in pessime condizioni, proprio come nel febbraio del 2021, quando il sistema economico era paralizzato da mesi di lockdown a causa della pandemia di covid-19: il commercio era fermo e le fabbriche avevano ridotto la produzione. Oggi, però, tutte le economie del mondo si stanno lasciando alle spalle le crisi recenti. Tutte, tranne quella tedesca. Basti considerare le nuove previsioni di crescita del Fondo monetario internazionale per il 2023: il pil è in crescita in tutti i principali paesi, con tassi che vanno dal 5,2 per cento della Cina all’1,8 per cento degli Stati Uniti e all’1,5 per cento di una Russia gravata da pesanti sanzioni. E la Germania? Meno 0,3 per cento. Ultima in classifica.

Dingolfing

AUSTRIA

Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

La quarta economia mondiale vacilla alle prese con stagnazione e recessione. Il benessere non aumenta più, anzi comincia a ridursi. Le dichiarazioni di imprenditori e componenti dei consigli d’amministrazione rivelano un senso diffuso d’inquietudine. Il paese è immerso in un’atmosfera da catastrofe imminente.

a si è fermata Sciopero dei dipendenti pubblici a Berlino, Germania, 9 febbraio 2023

Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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In copertina È uno stato d’animo in contrasto con le promesse del governo. Di recente il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz ha annunciato un nuovo miracolo economico, come quello degli anni cinquanta e sessanta, quando il tasso di crescita annuale si aggirava tra il 6 e l’8 per cento e tutti sembravano darsi da fare. Quella Germania, sicura di sé, si fondava sull’ottimismo e sulla voglia di lavorare e, dal punto di vista economico, era d’esempio per il resto del mondo. Oggi però non c’è aria di miracolo economico, ma di brutte sorprese. Più che a costruire, i tedeschi sembrano impegnati a smantellare tutto. Berlino si affanna a discutere di nuove sovvenzioni, di abbassare il costo dell’elettricità per l’industria, di piani di rilancio dell’economia, in cerca di misure per contrastare una situazione che quasi nessuno riteneva possibile: la produttività dell’industria tedesca continua a calare insieme al benessere. Secondo l’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, in Germania diminuiscono le persone che consumano almeno un pasto completo al giorno. E chi quest’estate si è potuto permettere una vacanza all’estero nonostante l’aumento dei prezzi ha avuto modo di notare che altrove tante cose funzionano meglio. È stata l’estate della verità. I treni non sono puntuali solo in Svizzera, ma anche in Francia e in Cina. E le strade sono asfaltate a regola d’arte nei Paesi Bassi e in Danimarca, mentre in Grecia i cellulari prendono benissimo perfino sulle isole più remote e il wi-fi ha ormai raggiunto ogni angolo della Cambogia. Che ne è della vecchia Germania, del made in Germany? Sembra tutto finito. Cos’è successo? Come se ne esce?

Come Gulliver

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Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

Da sapere In controtendenza Variazione del pil nel 2023, stima al luglio 2023, percentuale Germania -0,3 Regno Unito

0,4

Francia

0,8

Italia

1,1

Canada

1,7

Stati Uniti

1,8

Spagna

2,5

Mondo

3

Cina India

5,2 6,1

FONTE: FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE

“Purtroppo, non è possibile individuare un unico grande problema”, spiega Stefan Kooths, capo ricercatore del centro studi sull’economia mondiale (Ifw, Institut für Weltwirtschaft) di Kiel. “La situazione ricorda piuttosto la vicenda di Gulliver a Lilliput, trattenuto a terra non da un’unica corda ma da un ragnatela di lacci e lacciuoli”. Rimasto privo di sensi dopo un naufragio, il protagonista di I viaggi di Gulliver approda sulla costa del paese dei lillipuziani, creature minuscole, che per legarlo gli fissano innumerevoli cordicelle a braccia, gambe e capelli. Una sola cordicella non sarebbe bastata, mentre tante riescono a immobilizzarlo.

Questo romanzo satirico del settecento descrive bene la condizione attuale delle aziende tedesche. Se si chiede a imprenditori, dirigenti e scienziati cosa non va nell’economia tedesca, le risposte sono tante, perché i fattori che la ostacolano sono molti. Non solo viviamo tempi difficili, ma è che proprio nel paese qualcosa non va. È particolarmente evidente a Leverkusen. La città sul Reno è tra i siti principali dell’industria chimica, settore in cui la Germania è sempre stata all’avanguardia, con gruppi di livello mondiale come la Bayer e la Basf. Qualche anno fa la Bayer ha fondato la Covestro, uno dei maggiori fornitori mondiali di quei polimeri high-tech usati in migliaia di prodotti, dalle scocche dei cellulari alle automobili passando per i materassi. Guardando fuori dalla finestra della nuova sede aziendale Markus Steilemann, l’amministratore delegato della Covestro, vede in lontananza i tubi d’acciaio dai colori pastello che collegano tra loro gli impianti del polo chimico di Leverkusen. Ma c’è una cosa che non si vede: non tutti i tubi sono pieni, perché gli impianti di produzione tedeschi dell’azienda funzionano a capacità decisamente ridotta, al contrario di quello che succede negli Stati Uniti o in Cina. Steilemann ha un dottorato in chimica ed è un tipo con i piedi per terra. Eppure la sua inquietudine è evidente. Sono anni, spiega, che il settore lancia l’allarme sul peggioramento della situazione. Ma nessuno gli ha dato ascolto: “Invece di darsi da fare per creare condizioni più

favorevoli, a Bruxelles e a Berlino la politica punta su un dirigismo la cui mania per i dettagli evoca l’economia pianificata”. Ma ci sono anche altre cose che lo preoccupano, puntualizza Steilemann. Per esempio lo “tsunami di normative”, come lo chiama il manager, che l’Unione europea ha varato e a cui il governo di Berlino aggiunge una montagna di regolamenti. “In questo momento a Bruxelles si lavora a più di dodicimila pagine di nuove regole per il nostro settore, che si aggiungeranno a quelle già in vigore”. Poi c’è il prezzo del gas e dell’elettricità: nel giro di tre anni i costi per l’azienda sono triplicati, passando da seicento milioni a 1,8 miliardi di euro. A questo bisogna aggiungere il grosso carico fiscale e la carenza di lavoratori specializzati, continua Steilemann, per non parlare del crollo della domanda. Come nel caso dell’Mdi, un materiale usato nella produzione di pannelli per l’isolamento termico dei frigoriferi o degli edifici: al momento le persone comprano meno frigoriferi e l’edilizia è quasi ferma. “La casa brucia”, commenta Steilemann, che è anche presidente dell’Associazione tedesca dell’industria chimica. Nel suo settore licenziamenti e delocalizzazioni all’estero sono un pericolo reale. Con il calo della produzione delle aziende, dalla Basf alla Volkswagen, diminuisce anche il gettito fiscale e lo stato ha più difficoltà a finanziare l’assistenza sociale (per esempio misure come il sussidio universale per l’infanzia o l’assegno parentale), a pagare le pensioni, a costruire scuole, modernizzare la sanità, ampliare la rete ferroviaria o potenziare le forze armate. Se l’economia langue, i soldi mancano ovunque. All’estero le difficoltà della Germania suscitano un misto di stupore, pietà e ironia. All’improvviso il paese è tornato il malato d’Europa, come afferma la rivista Forbes. L’Economist, che usò quest’espressione vent’anni fa, oggi scrive che la Germania ha bisogno di riforme strutturali, di una svolta epocale. Secondo il Wall Street Journal, l’Europa e la sua economia principale arrancano rispetto agli Stati Uniti. Il divario aumenta e il continente è sulla strada del declino, dell’impoverimento. Forse sono affermazioni azzardate, tuttavia contengono un fondo di verità. Tutte le novità – come la fabbrica di processori della Intel a Magdeburgo o l’im-

Il confine con la Svizzera a Costanza, Germania, 18 aprile 2020

Berlino, Germania, 9 febbraio 2023

pianto di batterie della Northvolt nello Schleswig-Holstein – arrivano perché lo stato le ha pagate a caro prezzo, con sovvenzioni milionarie, se non miliardarie. Le aziende vengono in Germania perché i contribuenti tedeschi ci mettono dei soldi, non perché sono attirate da condizioni favorevoli. Non c’è praticamente nessun altro paese industriale dove gestire un’azienda risulti più dispendioso e macchinoso che in Germania: una classifica elaborata dalla Banca mondiale vede la Germania al trentunesimo posto su 34. Anche per quanto riguarda il carico fiscale la Germania è agli ultimi posti: trentatreesima su 35 secondo il Centro per la ricerca economica europea di Mannheim. Nel World competitiveness ranking, una classifica sulla competitività elaborata dallo svizzero Institute for management development, dal 2019 la Germania ha perso cinque posizioni, scivolando al ventiduesimo posto, dopo la Cina. Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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In copertina Perfino Hildegard Müller, presidente del Verband der Automobilindustrie (Vda), l’associazione dell’industria automobilistica tedesca, sta perdendo il suo abituale aplomb: “Ci troviamo su un piano pericolosamente inclinato”, osserva la manager, di solito molto prudente nelle sue dichiarazioni. Müller esprime la sua frustrazione durante un incontro insolitamente franco nella sede centrale della Vda a Berlino. La transizione energetica procede a rilento e le nuove leggi sono un ulteriore ostacolo. Il sistema di approvvigionamento dei materiali per l’industria è assurdo: “Compriamo in Cina materie prime che la Cina compra in Africa”. Né il governo né la Commissione europea si sono impegnati a fondo per siglare accordi commerciali: “Invece di presentare proposte economiche convincenti, troppo spesso ci limitiamo a perseguire obiettivi di carattere morale!”. Müller avverte: “Senza il necessario cambio di rotta, ripenseremo a questi anni come al momento in cui ci siamo giocati il futuro”. E a chi non vuole riconoscere il pericolo che si profila consiglia: “Leggete América di T. Coraghessan Boyle, e vedrete che già una volta c’è stato un disastro, negli anni ottanta negli Stati Uniti”. In Germania potrebbe succedere lo stesso.

Normali fluttuazioni Kooths, il professore di Kiel che ha fatto il paragone con Gulliver, distingue tra due tipologie di problemi, quelli congiunturali e quelli strutturali. Nel breve periodo l’economia tedesca risente del fatto che sotto i colpi dell’inflazione i consumatori tedeschi hanno acquistato di meno. Per quanto riguarda le esportazioni, le cose non vanno bene a causa, tra l’altro, del rallentamento dell’economia cinese, che compra meno macchinari tedeschi. Inoltre, l’aumento dei tassi d’interesse della Banca centrale europea ha reso più costoso prendere denaro in prestito. Ma queste sono tutte difficoltà che nel 2024 potrebbero sparire, normali fluttuazioni dell’economia. Sono più preoccupanti i problemi strutturali, le funi spesse che legano il gigante tedesco: la burocrazia, il prezzo dell’energia, il carico fiscale e la carenza di lavoratori specializzati non si risolveranno in un batter d’occhio. E, dal momento che i problemi a lungo e a breve termine si combinano mentre la concorrenza dall’estero è sempre più forte, alcu-

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Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

ni settori si ritrovano in evidente difficoltà. “Per molte aziende non si tratta più di recuperare redditività, ma semplicemente di sopravvivere, o almeno di garantirsi la possibilità di continuare a produrre in Germania”, spiega Jens Fellhauer, amministratore delegato dell’associazione federale tedesca dei produttori di piastrelle. Ci sono aziende in grave difficoltà e altre che hanno dichiarato fallimento. Il gruppo Steuler-Fliesen è in via di ristrutturazione, mentre lo storico produttore V&b Fliesen ha spostato la produzione all’estero. Due fattori hanno portato allo spegnimento di molti forni industriali: i costi dell’energia e la crisi dell’edilizia. “Con un calo delle commesse del 30 per cento, il settore è in caduta libera”, spiega Fellhauer. La colpa è dei prezzi in aumento, dei tassi d’interesse più alti e di una legislazione confusa: “Molti clienti si chiedono se possono ristrutturare il bagno o se devono risparmiare per cambiare l’impianto di riscaldamento”. Rasmus Rothe opera in un altro settore, ma in Germania neanche lui e i suoi colleghi hanno vita facile. “Nelle startup si pone sempre lo stesso problema: apro qui o vado negli Stati Uniti?”, dice quest’informatico che ha fondato una piattaforma per startup attive nel campo dell’intelligenza artificiale. L’Europa è sotto pressione, anche perché è più facile ottenere finanziamenti negli Stati Uniti e in Asia. La G2K, una startup tedesca che si occupa di intelligenza artificiale, è stata comprata da un gruppo statunitense per un miliardo di euro. “Perché la G2K non è riuscita a procurarsi capitali sufficienti per quotarsi alla borsa tedesca?”, si chiede Rothe. Ma non è solo questione di soldi, aggiunge. “Nelle aziende tedesche affermate”, che spesso sono le migliori clienti delle startup, “manca anche il gusto della sperimentazione. Una società quotata in

Una società quotata in borsa pretende delle certificazioni prima di adottare un software, perfino quando si trova davanti a un’invenzione geniale

borsa pretende delle certificazioni prima di adottare un nuovo software, perfino quando si trova davanti a un’invenzione geniale”. Secondo Rothe, “non si corrono rischi, si procede con i piedi di piombo. È una malattia tedesca”. Il rischio, però, è di non essere al passo con le innovazioni. Restare bloccati nel passato non basta per affrontare il futuro. Nessuno ne è più consapevole del settore automobilistico, fiore all’occhiello dell’industria tedesca, che dovrebbe puntare sulle automobili a guida autonoma e adottare il motore elettrico. Un’impresa titanica, complicata dal fatto che oggi le persone sono meno disposte a dare un appoggio incondizionato ai nuovi progetti. La Bmw vuole aprire una fabbrica per l’assemblaggio delle batterie nelle campagne di Straßkirchen, un paesino della Baviera. Il problema è che molti dei suoi 3.400 abitanti immaginano un futuro diverso: un futuro senza la fabbrica. Perciò hanno chiesto un referendum, che si svolgerà il 24 settembre. Nessuno se lo sarebbe mai aspettato, visto che questo territorio, almeno in teoria, è un feudo della Bmw. Nel 1973, in occasione dell’apertura dello stabilimento nella vicina Dingolfing, Franz Josef Strauß, all’epoca presidente della Baviera, dichiarava beato: “Avere qui una delle fabbriche automobilistiche più moderne del mondo significa aprirsi a una nuova dimensione dello sviluppo economico nella Baviera orientale”. E in effetti così è stato. I dipendenti della Bmw nella regione sono diciottomila e ancora di più sono quelli impiegati nell’indotto. Negli anni i bavaresi hanno abbellito le case dei loro paesini, dove hanno parcheggiato auto costose. Ma il territorio è ormai saturo e magari è per questo che oggi esita a dare un seguito alla sua storia di crescita. “La Bmw schiaccerà la nostra Straßkirchen”, si legge sui cartelli che gli agricoltori hanno piazzato sui parabrezza dei trattori. I timori sono vari: la perdita di terreni agricoli, l’immigrazione, l’inquinamento acustico e, secondo le stime, trecento camion al giorno. Ogni venerdì l’azienda si confronta con i sostenitori del referendum in una piccola casetta di legno. “Per noi il legame della nostra casa automobilistica con la Baviera è fondamentale: apparteniamo a questa terra”, dice il direttore di produzione Milan Nedeljković. Ma una cosa è chiara: limitarsi a mantenere lo status quo non è sufficiente a garantire un futu-

BJÖRN NOLTING E MIXIMILIAN MANN

Berlino, Germania, 5 giugno 2022

ro prospero. La mancata apertura della fabbrica avrebbe degli effetti sul tasso di occupazione in Baviera. Non è una minaccia, dicono, ma un’inevitabile conseguenza della concorrenza. Riduzione dell’inquinamento acustico, protezione dell’ambiente, della privacy e dei beni culturali: in materia di tutele la Germania è al primo posto. Solo che questo lascia ben poco spazio alle novità, soprattutto per quanto riguarda il maggior cambiamento che il paese sta affrontando: il passaggio all’elettrico. Per raggiungere gli obiettivi climatici, la Germania ha bisogno di auto elettriche, pompe di calore, acciaierie sostenibili.

Età del bronzo Ma in Germania la transizione energetica procede a rilento perfino nelle piccole cose. Sono anni, per esempio, che il ministero per l’ambiente e l’energia della Bassa Sassonia non riesce a installare un impianto a energia solare sul tetto della sua sede. Lo impedisce la legislazione a tute-

la dei beni culturali. Invece a Tantow, nella regione dell’Uckermark, è stata impedita la costruzione di una pala eolica perché sarebbe sorta troppo vicino a un tumulo funerario dell’età del bronzo. In Assia non è stata autorizzata una pala eolica prevista in una zona dove sorge un antico patibolo. A sentire chi si occupa di energia, gli sviluppatori di software e i dirigenti dell’industria automobilistica, sorge una domanda: questo Gulliver ha voglia di rialzarsi? Il paese discute con passione della settimana corta a salario pieno, del diritto allo smart working e alla siesta sul posto di lavoro. E, se proprio non si può fare a meno di lavorare, allora che sia almeno alle dipendenze dello stato: nei sondaggi gli studenti lo citano come il più ambito dei datori di lavoro; la soluzione meno attraente sembra l’attività imprenditoriale e il lavoro in proprio. Negli ultimi vent’anni la popolazione è cresciuta costantemente, mentre il numero dei lavo-

ratori autonomi continua a calare: sono 3,9 milioni, come nel 1996. Ad agosto Markus Söder, il leader dei cristianosociali, gli alleati bavaresi dei cristianodemocratici, ha chiesto un piano di rilancio per l’economia tedesca. Ma il ministro dell’economia, il verde Robert Habeck, e quello delle finanze, il liberale Christian Lindner, per una volta si sono trovati d’accordo nel rifiutare la proposta perché, dicono, distribuire denaro a pioggia in tempi di alta inflazione la fa solo crescere ulteriormente. Ma in effetti, se fosse corretta la tesi di Gulliver, un semplice piano di rilancio non sarebbe sufficiente. Sono sempre di più gli esponenti del governo che la pensano così: “Oggi pesano soprattutto i problemi strutturali che il paese si trascina da decenni, come la carenza di lavoratori specializzati o le procedure troppo lunghe per il rilascio delle autorizzazioni”, ha spiegato Habeck. La consapevolezza, insomma, c’è. E secondo gli imprenditori ci sarebbero soInternazionale 1530 | 22 settembre 2023

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In copertina luzioni praticabili per più di un problema. Ci sono le sovvenzioni, per esempio. L’imprenditore digitale Rasmus Rothe dice che spesso sono più un onere che un aiuto, sia per le startup sia per le aziende affermate. Perfino le microimprese per ottenerle devono compilare centinaia se non migliaia di documenti. E, una volta ottenute, i controlli sono poco rigorosi. Dovrebbe forse essere il contrario, si chiede Rothe: una procedura semplice e rapida per le candidature e rigorosi controlli su come viene speso il denaro.

Occupazione femminile Quanto alla carenza di lavoratori specializzati, bisognerebbe incentivare le iscrizioni agli istituti professionali. Ma servono anche migliori servizi di assistenza all’infanzia, che permettano di aumentare l’occupazione femminile. Inoltre andrebbe facilitato l’arrivo di lavoratori qualificati dall’estero. Spesso per queste persone è difficile anche solo prendere appuntamento in ambasciata. “Per l’immigrazione di lavoratori specializzati, il problema non sono le leggi, ma la loro applicazione”, aggiunge Kooths. Infine, ci sono i costi dell’energia. Anche in questo caso non bastano misure isolate. Le bollette delle aziende in Germania sono quasi il triplo che in Cina e cinque volte più alte che negli Stati Uniti. Molti chiedono un prezzo dell’energia agevolato per le attività industriali, ma allo stato costerebbe decine di miliardi, che dovrebbe sottrarre ad altro. Bisognerebbe aumentare la produzione energetica e invece il governo ha spento le centrali nucleari. “Abbiamo urgente bisogno di ampliare l’offerta”, dice Steilemann, “e perciò dobbiamo accelerare il più possibile lo sviluppo del settore delle rinnovabili”. Questo significa anche velocizzare l’iter per ottenere le autorizzazioni alla costruzione di nuove pale eoliche e posare finalmente cavi che trasportino l’energia eolica dalla ventosa Germania del nord a quella del sud. Abbiamo citato tre diversi settori e tre diversi approcci possibili. Neanche questo, però, basterebbe a rimettere in piedi il gigante in catene. Per traghettare la vecchia Germania in un promettente futuro ci vuole di più. Servirebbe un grande piano di riforme come l’agenda 2010, quella che adottò il cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder. Anche allora il paese era bloccato. Oggi ci vorrebbe un’agenda 2030 per liberare Gulliver. u sk

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Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

L’analisi

Lo stato è al servizio di tutti el dibattito sulle difficoltà dell’economia tedesca è intervenuto lo scrittore e giornalista Georg Diez, che in un articolo uscito su Die Zeit sposta l’attenzione sul ruolo futuro dello stato. “In tempi tranquilli”, scrive Diez, “un dibattito simile può sembrare puramente accademico. Quando invece le cose non vanno bene, come ora, risulta estremamente concreto. Di recente l’Economist si è chiesto se non sia il caso di definire di nuovo la Germania ‘il malato d’Europa’, come il settimanale britannico aveva già fatto nel 1999. All’epoca, come oggi, il paese era in crisi e a un governo conservatore era seguito un cancellierato a guida socialdemocratica. All’epoca Gerhard Schröder era succeduto a Helmuth Kohl, oggi Olaf Scholz ha preso il posto di Angela Merkel”. Alla fine degli anni novanta la Germania soffriva per le conseguenze della riunificazione, per il calo delle esportazioni e per la disoccupazione elevata. “Oggi”, osserva Diez, “deve affrontare una questione importante per l’umanità intera, come la crisi climatica, oltre alla carenza di lavoratori specializzati e alle infrastrutture fatiscenti. Gli anni duemila sono stati caratterizzati dalle riforme neoliberiste del mercato del lavoro volute da Schröder. Queste misure hanno impresso una forte spinta all’economia tedesca, ma allo stesso tempo hanno provocato divisioni permanenti: gli anni dieci del nuovo millennio sono stati un periodo di grande crescita economica, in cui però sono state ignorate le questioni dell’ingiustizia sociale e di una più equa distribuzione della ricchezza”. Il decennio in corso, invece, presenta altri problemi. Nella forma e nel funzionamento dello stato sono emersi molti elementi critici, che secondo larga parte della popolazione ormai non sono più sanabili, spiega Diez: dall’inaffidabilità delle ferrovie alla carenza di insegnanti nelle scuole, fino alla gestione caotica dei grandi progetti infrastrutturali, alle strade in dissesto, alla pubblica amministrazione inefficiente e alla mancanza di progettualità dell’intervento pubblico.

N

“Serve un’ampia riforma dello stato, che vada al di là delle questioni legate ai soldi”, scrive Diez. “Lo stato deve cambiare e adattarsi alle condizioni attuali. Per esempio, aprirsi alle tecnologie e trattare la digitalizzazione non solo come un’opportunità. Deve rendere la pubblica amministrazione più veloce ed efficiente: il possesso e la gestione dei dati offrono la possibilità di superare le barriere tra cittadini e pubblica amministrazione, e rendere più chiaro il fatto che lo stato è al servizio della popolazione”.

Un fatto positivo Si può discutere se e quanto questa sorta di deglobalizzazione in corso nel mondo sia un fatto positivo. In Germania, prosegue il giornalista, non c’è un dibattito pubblico sul legame tra lo stato, le tasse e l’economia, una mancanza che crea delle spaccature nella politica, nonostante la coalizione al governo a Berlino sia, secondo Diez, nella posizione ideale per sviluppare una nuova concezione dello stato: “I socialdemocratici dell’Spd sono il partito della coesione sociale favorita dall’intervento pubblico; i Verdi sono un movimento mosso da nuove istanze della società; i liberal-democratici dell’Fdp, infine, sono il contrappeso liberale e il partito dei diritti civili”. In realtà la loro alleanza va in crisi proprio davanti alla questione di cosa dovrebbe essere lo stato nel ventunesimo secolo. Scrive ancora Diez: “La posta in gioco è alta: ora si decide che paese vuole essere in futuro la Germania, sotto l’aspetto economico, sociale e politico, quali sono le sue infrastrutture materiali e immateriali e come migliorarle attraverso gli investimenti”. È un progetto che non dovrebbe essere guidato da un solo partito, come intendeva il cancelliere Scholz con la sua “infelice proposta di un patto per la Germania”. Su questioni così importanti bisogna negoziare, perché si tratta non solo di dirimere un paio di contrasti o riformare qua e là lo stato. “Qui”, conclude Diez, “si parla di ripensare lo stato nel ventunesimo secolo. Non ci vuole semplicemente più stato, ma uno stato migliore, che funzioni per tutti”. u

YASUYOSHI CHIBA (AFP/GETTY) / CAMPAGNA DI LATTE CREATIVE

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Turiste davanti al cantiere della nuova capitale, 8 marzo 2023, Indonesia

Una capitale nuova di zecca Noël van Bemmel, de Volkskrant, Paesi Bassi. Foto di Rony Zakaria Nel Borneo sta rapidamente prendendo forma Nusantara, che sostituirà Jakarta. Sotto gli occhi preoccupati degli abitanti e degli ambientalisti

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hi ancora dubita che l’Indonesia sposterà la sua capitale di 1.200 chilometri, in mezzo al nulla del Kalimantan orientale, non deve far altro che noleggiare un fuoristrada nella città portuale di Balikpapan, procedere verso nord per due ore, lungo la nuova autostrada costeggiata

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da piantagioni di palme da olio, svoltare a sinistra entrando in una riserva naturale di giungla brumosa dove capita di tanto in tanto d’incontrare un macaco dalla coda lunga sul ciglio della strada, fino ad arrivare al sonnolento paesino di Sepaku. Qui, con grande stupore degli stessi abitanti, pare si troverà il centro di una metropoli già pianificata. Fuori del paese, camion carichi di ghiaia rombano sulle strade fangose che portano al titik nol (punto zero) di Ibu Kota Nusantara Ikn, la nuova capitale dell’arcipelago indonesiano. Qui i primi turisti scattano selfie e i potenziali investitori ricevono informazioni sui vantaggi fiscali che avranno se decideranno di spendere i

loro miliardi per comprare centri commerciali o grattacieli. Per il resto c’è ancora poco da vedere: colline a perdita d’occhio, ricoperte di alberi (non autoctoni) di eucalipto per l’industria del legno. Nel parcheggio, tra i cespugli, c’è un cartello: qui sorgerà il ministero per le imprese statali. Dietro l’angolo è previsto un centro commerciale. Ma il vero spettacolo appare seguendo i camion nel fango giallo ocra, attraversando i ponti provvisori montati dall’esercito, costeggiando le baracche dei cantieri nella foresta fino ad arrivare a una coreografia di gru in cima a una collina, nel punto dov’è prevista la costruzione del nuovo palazzo presidenziale. Le fondamenta del

BLOOMBERG/GETTY

Il cantiere del nuovo palazzo presidenziale, Indonesia, 8 marzo 2023

palazzo in vetro, che avrà la forma del mitologico Garuda, metà uccello metà uomo, spuntano già dal terreno. Ma ciò che salta più all’occhio è che tutto avviene cepat, cepat (veloce, veloce). Un esercito di settemila operai con caschetti e stivali di gomma gialli spiana contemporaneamente strade a sei corsie nella foresta a bordo di bulldozer, sradica alberi, interra enormi tubature fognarie, conficca i pali per le fondamenta di futuri grattacieli e getta cemento per piloni di ponti. Seeing is believing (vedere per credere), è il motto di Bambang Susantono, che il presidente Joko Widodo ha messo a capo del megaprogetto. Il presidente visita il sito ogni tre mesi e ha già campeggiato due volte nel bosco di eucalipti. In questo periodo Bambang, che ha studiato negli Stati Uniti ed è stato viceministro dei trasporti, si occupa principalmente delle visite guidate ai potenziali investitori nazionali e stranieri. L’Indonesia spenderà circa 5,5 miliardi di euro nella costruzione della nuova capitale, più o meno il 20 per cento del totale stimato (28 miliardi di euro). Il resto deve arrivare da investimenti privati (o da partecipazioni pubblico-privato). “Per il momento gli investitori indonesiani hanno firmato per la costruzione di

un ospedale e di qualche hotel”, dice al telefono il vicedirettore finanziario Agung Wicaksono. “Siamo ancora in trattativa con altri imprenditori per stabilire il prezzo di terreni dove costruire centri commerciali, uffici e centri sportivi”, spiega, aggiungendo che sono arrivate delegazioni anche da Singapore, Giappone e Francia. “È fondamentale mostrare che l’Indonesia sta davvero realizzando una nuova capitale. Quando si diventa credibili, le trattative vengono da sé”.

Alberi sul tetto Secondo lo sfavillante sito per gli investitori, Nusantara sarà una città smart, verde e sostenibile. Tre quarti dell’area sono composti da foresta (65 per cento), parchi BRUNEI

MALAYSIA SINGAPORE Sumatra

Sepaku

Balikpapan

Borneo

Jakarta

Kalimantan orientale

INDONESIA

Java Oceano Indiano 500 km

e campi (10 per cento). Sul perimetro di una sorta di parco nazionale sorgono edifici ministeriali di vetro e legno con alberi sul tetto, dal terreno spuntano sale per grandi eventi e lungo i sentieri rialzati passeggiano funzionari diretti alla fermata del bus elettrico o a un ristorante che serve piatti preparati con ingredienti locali. Le abitazioni, i luoghi di lavoro e quelli per il tempo libero non si trovano mai a più di dieci minuti l’uno dall’altro. Nel 2045 Nusantara vuole essere una città di quasi due milioni di abitanti a impatto zero dal punto di vista ambientale. La nuova capitale sarà, in poche parole, l’opposto di quella vecchia. Con i suoi quasi 31 milioni di abitanti (comprese le periferie), Jakarta è una metropoli in continua lotta con il sovrappopolamento, il traffico, un grave inquinamento atmosferico e allagamenti annuali. Nel 2019, di punto in bianco, il presidente Joko Widodo ha deciso che il Kalimantan orientale, sull’isola di Borneo, avrebbe ospitato la nuova capitale. La posizione – pensata per diminuire il peso politico ed economico di Java – è più centrale nell’arcipelago e offre maggior spazio abitabile, senza vulcani che rischiano di eruttare o faglie che causano terremoti. Lo spostamento farà reInternazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Indonesia spirare Jakarta. All’inizio del 2024 i primi 17mila funzionari si trasferiranno con le rispettive famiglie in grattacieli di dodici piani che ancora non esistono “L’ho sentito in tv”, dice Sibukdin, sessant’anni, capo della comunità balik, davanti alla sua semplice casa in legno a Sepaku. Il ‘punto zero’ si trova esattamente sulla tanah leluhar, la terra degli avi. Secondo Sibukdin nel villaggio vivono più o meno trecento famiglie, incluse alcune giavanesi arrivate negli anni novanta. “La mia casa si trova nell’anello più interno di Ikn (a Sepaku nessuno la chiama Nusantara), ma ancora non so cosa mi succederà. Il governo non ci riconosce e non parla con noi”. L’indennizzo offerto, 15mila euro all’ettaro, per quanto lo riguarda non basta. Altri abitanti del villaggio sono cautamente ottimisti. “Ci sarà più gente, è un bene per l’economia!”, dice Seniman, 24 anni, in sella al suo scooter, e che da poco tempo guadagna l’equivalente di 140 euro al mese come guardiano del cantiere. “Piuttosto mi preoccupa la nostra acqua: è diventata marrone scuro”.

resta di mangrovie lungo le rive e due delfini di Irrawaddy ad alto rischio di estinzione che nuotano vicino. Sulla sua maglietta c’è l’immagine di una nasica, specie altrettanto a rischio, con la scritta menolak punah (mi rifiuto di estinguermi). “La baia è ancora in salute”, dice Mappaselle, presidente del gruppo di lavoro locale per l’ambiente. “Ma temiamo che possa diventare inquinata come quella di Jakarta”. Il problema, sostiene, è le leggi per tutelare l’ambiente ci sono, ma non sono applicate. Per dimostrarlo, costeggia una fabbrica di olio di palma e una fonderia di nichel in costruzione. Gli stabilimenti hanno divorato un’ampia fetta di mangrovie. “Non hanno i permessi. Ma quando l’abbiamo fatto notare alle autorità, i problemi li abbiamo avuti noi, non loro”. Secondo Mappaselle intorno alla baia convivono due ecosistemi unici: la foresta di mangrovie e la foresta pluviale, entrambe essenziali per il mantenimento della biodiversità e per contrastare il cambiamento climatico. Indicando un grande ponte strallato, in co-

Ecosistemi unici Dalla sua veranda, Hariana, 26 anni, indica una paratoia in cemento proprio dietro casa. “Prima prendevo l’acqua dal fiume, ora un giorno sì e uno no devo andare a prendere quella fornita dal governo”. In un piccolo locale sul bordo della nuova strada asfaltata, Saiduani Nyuk , 36 anni, si dice entusiasta, in linea principio, all’idea di una smart forest city. Si occupa della difesa dei diritti delle popolazioni locali per conto dell’ong Aman e pensa che “il trasferimento della capitale può aprire delle possibilità per il popolo dayak, che vive qui”. La comunità, di cui lui stesso fa parte, è discriminata e ingiustamente descritta come arretrata e sanguinaria. “Purtroppo non siamo coinvolti nella pianificazione. Il governo ha preso contatto con Aman solo quando abbiamo cominciato a protestare”. L’esercito ha rimosso in tutta fretta lo striscione che era stato appeso e un politico locale ha assicurato che “al momento” nessuno rischia di essere cacciato. “Questa precisazione ci spaventa”, dice Saiduani. “Noi vogliamo rimanere a vivere nella terra dei nostri avi. I soldi degli indennizzi finiscono nel giro di due anni, ma l’identità è per sempre”. Anche gli ambientalisti sono preoccupati. Su una barchetta nella baia di Balikpapan, a trenta chilometri dal punto zero, il pescatore Mappaselle indica la fo-

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Un orangotango vaga confuso lungo l’autostrada in costruzione struzione, come un vicino aeroporto, mostra sul cellulare un video girato da un operaio, secondo lui poco lontano: un orangotango (anche questa una specie a rischio) vaga confuso sul ciglio dell’autostrada in costruzione. “Per l’orangotango, l’orso malese e il leopardo nebuloso questa autostrada diventerà un ostacolo insormontabile”. Per il Wwf Indonesia, invece, la nuova capitale rappresenta un’opportunità. Secondo il direttore Aditya Bayunanda le cose non possono peggiorare molto rispetto alla situazione attuale, che consiste in monocolture di eucalipto e palma da olio. “In questo progetto la sostenibilità è al primo posto. Il presidente l’ha ripetuto centinaia di volte. Per l’Indonesia sarebbe un grande disonore non riuscire a mantenere questa promessa”. Il Wwf si aspetta pertanto danni ambientali limitati. “Speriamo che Nusantara sia un esempio per altre città”. Quello che preoccupa Bayunanda sono piuttosto le infrastrutture circostanti nel Kalimantan orientale. “Nuove strade possono favorire il disbosca-

mento, l’agricoltura e la caccia illegali. E su un fiume sarà costruita una diga per produrre energia”. La vera domanda, per Bayunanda, è se il governo destinerà dei fondi anche per una migliore gestione dell’ambiente nel Kalimantan e per la costruzione di corridoi e gallerie faunistiche. Myrna Safitri, addetta all’ambiente e alle risorse naturali di Ikn, dice di comprendere le preoccupazioni degli abitanti e delle ong. In un bar di Balikpapan stende sul tavolo una mappa dell’intero territorio interessato dal progetto. “Questa grande area verde indica la presenza di una foresta pluviale. Ma le ricerche hanno rivelato che per la metà si trattava di piantagioni, miniere di carbone o campi”, sospira Safitri, che ha conseguito un dottorato a Leida, nei Paesi Bassi. “Quindi dobbiamo riforestare e allo stesso tempo offrire alla comunità locale una fonte di reddito alternativa”. Sui corridoi faunistici e le aziende senza permessi dice: “Non rientrano nelle mie responsabilità. Posso solo cercare di convincere le autorità provinciali a occuparsene”. Safitri cita un celebre rifugio per oranghi come esempio del fatto che la riforestazione è possibile. Si trova a un’ora di auto dal punto zero e ci vivono 122 scimmie antropomorfe e 72 orsi malesi in gabbie o in isolette boschive. Spesso si tratta di animali che hanno vissuto in cattività. “Vent’anni fa questi erano 1.800 ettari di terreno erboso allo stremo”, dice Aldrianto Priadjati, manager regionale della Borneo orangutan survival foundation. E continua trionfante: “Guardate ora!”. Da un punto di osservazione rialzato Priadjati, che ha studiato silvicoltura a Wageningen, nei Paesi Bassi, indica la foresta che si estende a vista d’occhio. “Sono ottimista. Chiunque può venire a vedere come, con l’aiuto della comunità locale, sia possibile ricostruire una foresta vergine”. Alla fine del pomeriggio, i bambini di Sepaku giocano in mezzo alla strada in pozzanghere profonde fino al ginocchio, le risaie riflettono la luce del tramonto e gruppetti di donne tornano dalle piantagioni. Un’insegnante, che non vuole dire il suo nome, si aspetta un deciso miglioramento per l’economia e il livello dell’insegnamento nella zona. Dubita, però, che questo avvantaggerà la popolazione locale: “La maggior parte degli abitanti qui si è fermata alle elementari. Dovrebbero ricevere una formazione, o non avranno possibilità rispetto ai tanti giavanesi più istruiti che arriveranno”. u vf

Palestina

Vietato difendersi Amira Hass, Haaretz, Israele

i palestinesi della Cis­ giordania è vietato difen­ dersi – difendere le loro vite, la loro terra o le loro proprietà – dagli aggres­ sori ebrei. L’autodifesa contro i coloni ebrei in Cisgiordania è un reato che può avere come conseguenza multe pesanti, l’arresto, un processo, il carcere o la morte. Non è una questione d’interpretazione, ma una sintesi della contorta realtà dietro all’omicidio del pa­ lestinese Qosei Mitan, avvenuto ad ago­ sto nel villaggio di Burqa, in Cisgiordania, e dietro alla farsa dell’arresto di Amar Asliyyeh, ferito da colpi di arma da fuoco, e dei suoi tre figli, accorsi per impedire agli invasori di entrare nel loro villaggio. Ai palestinesi non è permesso usare armi per difendersi né pietre o bastoni, e non gli è nemmeno permesso difendere gli altri. Tutto queste cose sono considera­ te una sorta di “sabotaggio” o, nel miglio­

A

Lago di Tiberiade Linea verde Jenin Mar Mediterraneo

Burqa Nablus Qaryut

Tel Aviv

Ramallah

ISRAELE

Gerusalemme

Hebron

Striscia di Gaza

(PALESTINA)

Mar Cisgiordania Morto

(PALESTINA) 10 km

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re dei casi, disturbo della pace, non solo quando ad attaccare sono persone inviate in veste ufficiale – soldati e poliziotti – ma anche se sono semplici ebrei in abiti civili. Il divieto è sancito dalla legislazione militare, da una prassi radicata nell’eser­ cito israeliano, dai pubblici ministeri e dai tribunali, in un’atmosfera di supremazia ebraica, e anche dagli accordi di Oslo. È una rete complessa in cui ogni componen­ te è collegato a un altro e lo tiene in piedi.

La missione primaria Non c’è da stupirsi che lo Shin bet (i servizi segreti israeliani) e l’esercito siano preoc­ cupati. Non servono informazioni dai col­ laboratori o sofisticate apparecchiature per sapere che questa realtà è come un contenitore di bombe a grappolo che qual­ siasi colono con il fucile può far saltare in aria. Ma lo Shin bet e l’esercito sono osta­ colati da una realtà che loro stessi hanno plasmato e mantenuto. La rete spiega co­ me gli attentati siano possibili e perché i loro autori siano numerosi tra gli ebrei os­ servanti e timorati di Dio. Secondo il diritto internazionale, i sol­ dati hanno l’obbligo di garantire il benes­ sere della popolazione civile protetta (oc­ cupata). Ma l’esercito non rispetta la leg­ ge, perché il progetto mirato al furto della terra, che Israele tutela, è in conflitto con il benessere di quelle persone. L’esercito non le protegge dalla violenza dei civili ebrei perché la sua missione primaria in Cisgiordania è proteggere i cittadini isra­ eliani. O, più precisamente, gli ebrei tra loro, in particolare quelli che portano avanti il progetto di espropriazione in cui

MAMOUN WAZWAZ (ANADOLU AGENCY/GETTY)

I palestinesi che vivono sotto l’occupazione israeliana in Cisgiordania non possono proteggersi dalle aggressioni dei coloni. È il risultato di un sistema che da decenni alimenta il suprematismo ebraico

sono coinvolti gli insediamenti. Anche se non tutti i comandanti e i soldati si identi­ ficano con il piano di insediamento, negli anni l’obbligo di difendere solo i coloni ebrei è stato interiorizzato. Generazioni di soldati sono state addestrate a credere che non proteggere i palestinesi sia un valore, un principio indiscusso e un ordine. Di conseguenza i soldati restano in disparte quando ci sono i pogrom contro i palesti­ nesi, o addirittura aiutano i rivoltosi ebrei ad attaccarli e a espellerli dalla loro terra. E quando gli attivisti di sinistra accompa­ gnano i palestinesi, il fatto che siano ebrei non li aiuta. I soldati attaccano ed espello­ no anche loro. “Nessuna marcia, raduno o picchetto deve svolgersi senza un permesso del co­

Soldati israeliani intervengono durante una manifestazione di palestinesi contro i coloni a Hebron, 1 agosto 2023

mandante militare”, afferma l’ordine 101 del 1967 sul divieto d’incitamento e propaganda ostile. I palestinesi sanno che se si mettono a difendere un pastore o un contadino, i soldati li “disperderanno” con i mezzi a loro disposizione: dai gas lacrimogeni alle percosse fino ai proiettili. Per qualche motivo l’esercito non era lì il 4 agosto, quando un gruppo di coloni devoti si sono messi a pascolare il loro gregge sul terreno di Burqa. Un fatto strano visto che i militari stazionano vicino all’avamposto di Ramat Migron giorno e notte. Ma anche se ci fossero stati, sicuramente avrebbero disperso “l’assembramento illegale” dei residenti di Burqa e non i coloni invasori. Questo succede in ogni villaggio palestinese dove la terra o le sorgenti

sono occupate dai coloni, o nei frutteti palestinesi che i coloni vandalizzano. Negli ultimi mesi è successo, per esempio, nel villaggio di Qaryut, a nord di Ramallah. Ogni venerdì, un gruppo di israeliani provenienti dagli insediamenti vicini (Eli, Shiloh e i loro avamposti) va a fare il bagno nella sorgente al centro del villaggio, un metodo per espropriarla (dopo essersi già impossessati delle sorgenti di altri tre villaggi della zona). L’esercito si trova nelle vicinanze (e arriva addirittura prima dei coloni) per impedire ai residenti palestinesi di cacciare i coloni invasori, tra cui ci sono anche bambini piccoli. Poi ci sono le incursioni notturne nelle case degli abitanti che osano opporsi a queste invasioni: arresti e processi davan-

ti a giudici militari israeliani, seguiti da mesi di prigione e pesanti multe per far sì che i residenti si arrendano e non cerchino di cacciare i trasgressori dalla loro terra. La legge militare impedisce ai palestinesi di possedere o usare armi. I coloni israeliani, che (quando gli fa comodo) sono soggetti invece alla legge israeliana, ottengono licenze dal ministero della sicurezza nazionale. Gli agenti delle forze di sicurezza palestinesi ricevono da Israele il permesso di possedere armi, ma solo nei territori della Cisgiordania designati come area a, controllati dall’Autorità Nazionale Palestinese (Anp). Possono portarle per periodi limitati nell’area b (sotto il controllo civile palestinese e militare israeliano) dopo Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Palestina

ILIA YEFIMOVICH (DPA/GETTY)

Dopo un attacco dei coloni a Turmusaya, in Cisgiordania, il 23 giugno 2023

aver seguito estenuanti regole di coordinamento. Fuori di queste enclave, gli accordi di Oslo gli impediscono di agire. In ogni caso, anche nelle aree a e b, non possono far rispettare la legge e l’ordine quando i coloni attaccano i palestinesi. I poliziotti palestinesi non sono autorizzati a mostrare le armi per tenere a bada i rivoltosi ebrei, figuriamoci a usarle (se lo facessero sarebbero portati in carcere come terroristi). Non possono arrestare gli ebrei nei territori palestinesi, tanto meno fuori. All’Anp è vietato processare i coloni per incursioni e vandalismo in un tribunale palestinese. “La polizia palestinese sarà responsabile della gestione degli incidenti di ordine pubblico che coinvolgono solo

i palestinesi”, dice l’articolo 13 dell’accordo provvisorio di Oslo. L’Anp, guidata da Abu Mazen, rispetta religiosamente questa clausola e non è riuscita ad adattare metodi e tattiche alla nuova realtà. L’articolo 15 degli accordi di Oslo stabilisce che “entrambe le parti prenderanno tutte le misure necessarie per prevenire atti di terrorismo, crimini e ostilità reciproci” e “contro le loro proprietà”. C’è molta falsa simmetria in questa frase, perché l’Anp non è uno stato sovrano e, come il suo popolo, è soggetta all’occupazione militare israeliana, che non ha intenzione di contrastare la violenza dei coloni. L’Anp non può proteggere il suo popolo, ma ha l’obbligo di agire contro di lui.

Da sapere Numeri in aumento u Secondo le Nazioni Unite, da gennaio ad agosto del 2023 sono stati uccisi più di duecento palestinesi e quasi trenta israeliani in manifestazioni, scontri, operazioni militari e attacchi. Sono stati registrati 591 incidenti causati dai coloni ebrei che hanno provocato vittime palestinesi o danni alle proprietà. I coloni hanno ucciso sette pa-

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lestinesi in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. Sei palestinesi sono stati uccisi tra la sera del 19 e la mattina del 20 settembre: quattro in un raid dell’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin, uno in un’operazione a Jerico e l’ultimo durante una manifestazione alla barriera di separazione tra la Striscia di Gaza e Israele.

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u Gli accordi di Oslo sono stati firmati il 13 settembre 1993 dal capo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina Yasser Arafat e dal primo ministro israeliano Yitzhak Rabin. Prevedevano il riconoscimento reciproco e l’autonomia palestinese per cinque anni, al termine dei quali si sarebbero dovute affrontare le questioni più complesse.

La polizia, la sicurezza e i servizi segreti civili e militari dell’Anp, che arrestano le persone per aver criticato la leadership e che Israele vuole dalla sua parte per riprendere le operazioni a Nablus e Jenin, non sono presenti nelle decine di villaggi e comunità sottoposte al terrore quotidiano dei coloni israeliani. Ad agosto la comunità palestinese di Al Qabun, composta da dodici famiglie (86 persone) di pastori, ha dovuto abbandonare la valle del Giordano a causa delle violenze degli avamposti circostanti. È la quarta comunità della zona costretta a fuggire negli ultimi mesi per una combinazione di molestie dei coloni, divieti di costruzione e movimento decisi dall’amministrazione civile israeliana e per l’assenza di una forza che la proteggesse. Questa contraddizione e l’ingiustizia che riflette tormentano molti palestinesi in servizio nelle forze di sicurezza dell’Anp. Dovrebbero preoccupare anche i leader di Al Fatah e dell’Anp. Non è chiaro per quanto tempo e a quale costo personale e politico potranno continuare a contenere la rabbia popolare contro di loro. u dl Amira Hass è una giornalista israeliana. Sarà al festival di Internazionale a Ferrara il 29 settembre.

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29, 30 settembre e 1 ottobre

Ambiente

Oltre ogni misura I superyacht sono ormai uno status symbol irrinunciabile per i miliardari di tutto il mondo. Ogni anno diventano più grandi e lussuosi, ma insieme alle dimensioni cresce anche il loro impatto ambientale Margherita Nasi, Society, Francia. Foto di Léonor Lumineau el mondo c’è una faglia spazio-temporale al riparo dai sussulti dell’attualità, un posto dove si possono ancora sognare avventure e cose smisurate. Basta andare a Montecarlo alla fine di settembre, in occasione del Monaco yacht show (Mys), pagare il biglietto (500 euro per l’intera giornata) e togliersi le scarpe. In questo modo si possono visitare i più belli, i più grandi, i più costosi superyacht del mondo. Ammirare le innumerevoli piscine, i giardini e addirittura la foresta a bordo di Ahpo, un palazzo galleggiante lungo 115 metri, venduto a 300 milioni di dollari; guardare un film nella sala cinema del Victorious, 85 metri; prendere l’ascensore per salire ai piani alti del Triumph, 65 metri, dotato di sauna, idromassaggio, palestra e sala per i massaggi. Poi, una volta rimesse le scarpe – preferibilmente mocassini o scarpe con il tacco – passeggiare tra le centinaia di stand del salone dedicati alle imbarcazioni di lusso. Qui si potrà scegliere il colore della mo-

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quette di seta, comprare un piccolo elicottero per andare a fare la spesa anche quando si è in mare aperto, o una Fiat con i sedili in vimini, “ideale per la spiaggia”. Si sentirà parlare inglese, arabo, russo: la guerra in Ucraina non è entrata nella baia di Montecarlo, e nemmeno la crisi energetica. “Ai nostri clienti non importa niente dell’aumento dei prezzi, sono troppo ricchi”, spiega il direttore commerciale di un’azienda specializzata in sistemi di illuminazione sottomarina. Nonostante la crisi ecologica e l’inflazione, all’ultima edizione del Mys il mercato dimostrava una salute sfacciata. Tra il 28 settembre e il 1 ottobre 2022 sono stati esposti 118 superyacht, per un valore complessivo di 3,8 miliardi dollari. “I ricchi hanno continuato ad arricchirsi durante la pandemia e hanno avuto ancora più voglia di godersi la vita”, osserva Sam Tucker della società di consulenza VesselsValue. “I superyacht hanno sfidato i lockdown. Nel 2021 ne sono stati venduti novecento, rispetto ai cinquecento degli anni precedenti. I produttori non riescono a evadere gli ordini”. Le liste d’attesa per

ottenere una barca si allungano, come le loro dimensioni: mentre negli anni novanta si sfoggiavano imbarcazioni da cinquanta metri, ormai per stupire la folla bisogna superare i cento metri, come un campo da rugby. In questo mondo tutto sembra possibile, anche l’impossibile, cioè conciliare emergenza climatica, navi faraoniche e transizione ecologica. Per la prima volta nella sua storia, il Mys ha dedicato uno spazio alla sostenibilità. Così al “Sustainability Hub” i visitatori possono comprare shampo all’olio d’argan o di cocco, provare dei vestiti da barca ecologici tagliati su misura o investire in un rivestimento eco-friendly per lo scafo. Gli espositori sono stati selezionati con cura dalla Water revolution foundation, che promuove la sostenibilità del settore: “Siamo stati molto attenti al greenwashing (ambientalismo di facciata) e abbiamo accettato solo il 50 per cento dei candidati”, assicura Robert van Tol, direttore generale della fondazione, finanziata dai leader dell’industria dei superyacht. Il suo budget? Cinquecentomila euro nel 2022, cioè il prezzo di un acces-

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Portofino, Italia, 9 agosto 2022

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Ambiente

HANS LUCAS

I cantieri navali di La Ciotat, in Francia, 30 maggio 2022

sorio venduto davanti al Sustainability Hub, un piccolo sottomarino con il quale i proprietari degli yacht si possono divertire a esplorare i fondali marini durante le loro spedizioni. Una passeggiata al Mys è un’esperienza contrastante: unisce fasto e sobrietà, lusso e moderazione. I catamarani a energia solare affiancano gli yacht giganteschi che consumano quantità enormi di gasolio. “La nostra clientela cambia, prima apprezzava le grosse macchine rumorose, ora invece si sposta in Tesla, e non si ferma alla Costa azzurra ma preferisce le riserve protette”, dice Steve Baillet, direttore marketing di Camper&Nicholson. “Certo, è ancora in cerca di qualcosa di eccezionale, ma è più consapevole. Sulle nostre barche abbiamo sostituito le bottiglie di plastica con il vetro, è più elegante ed è riciclabile”. Marco Valle osserva la fiera dal solarium di un grande yacht. Il responsabile della Benetti, un’azienda che produce imbarcazioni di lusso, è scettico sulla svolta sostenibile del settore: “I carburanti alter-

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nativi sono un’ottima cosa. Il problema è che è difficile trovarli nei porti. E poi produrli è davvero ecologico? Inoltre bisogna analizzare tutto il ciclo di vita dello yacht. La fibra di vetro impiegata nella costruzione delle barche è molto inquinante. Stiamo studiando soluzioni riciclabili e materiali alternativi, ma siamo solo all’inizio”.

Duecento automobili Nel suo libro Superyachts: luxe, calme et écocide, il sociologo francese Grégory Salle documenta la portata dei problemi legati a queste imbarcazioni: “Prima di tutto c’è l’inquinamento prodotto dalle stesse barche, dai gas di scarico – un pieno equivale a decine o centinaia di migliaia di litri di gasolio – all’uso di vernici contenenti sostanze nocive. Poi c’è l’inquinamento prodotto dalle persone a bordo: scarico in mare di acqua sporca, rifiuti, detergenti”. Salle ricorda che un superyacht produce in media “più anidride carbonica di duecento automobili statunitensi. I trecento superyacht più grandi

al mondo emettono quasi 285mila tonnellate di anidride carbonica, quanto un intero paese”. Oltre all’inquinamento legato all’uso diretto, il sociologo cita anche i danni provocati dall’estrazione dei materiali usati per le imbarcazioni. “Uno yacht costruito in Germania o in Italia finirà la sua vita in Florida o chissà dove”, continua Salle. “Tra settembre e novembre sono coperti con teloni a Palma di Mallorca, in attesa di essere imbarcati su grandi navi container che li porteranno ai Caraibi per l’alta stagione. Spesso i proprietari li raggiungono a bordo di jet privati. Per soddisfare i loro bisogni gastronomici viene importato cibo da ogni angolo del mondo”. Nelle zone più frequentate il continuo passaggio dei superyacht provoca un inquinamento sonoro che disturba la fauna marina, ricordano Arnau Carreño e Josep Lloret, ricercatori dell’Istituto di ecologia marina dell’università di Girona, aggiungendo che le luci sottomarine sempre più potenti possono turbare i comportamenti degli animali.

HANS LUCAS

Una nave che trasporta yacht tra le Baleari e i Caraibi, 6 giugno 2022

Popolato da grandi nomi del petrolio, del settore immobiliare e delle criptovalute, il piccolo mondo dei superyacht è sempre più criticato. Nell’estate del 2022 l’imbarcazione commissionata dal fondatore di Amazon Jeff Bezos ha rischiato di essere bersagliata di uova marce nei Paesi Bassi, perché il suo costruttore voleva smontare un antico ponte per farla uscire dal suo cantiere. Di fronte all’indignazione dell’opinione pubblica, si è poi scelto un itinerario meno controverso. Nel frattempo un marinaio ucraino aveva cercato di affondare il superyacht del suo padrone, un oligarca a capo di una delle più grandi aziende russe di armamenti. Lanciato nel luglio 2022, l’account Twitter Yacht CO2 tracker, che traccia le emissioni di diversi yacht di lusso, ha più di 17mila follower. Per calcolarle ricostruisce ogni giorno il percorso e la velocità di ogni yacht e la incrocia con i dati di consumo pubblicati dai costruttori. “Calcoliamo solo le emissioni dovute allo spostamento delle imbarcazioni, senza tenere conto delle piscine, delle saune, delle pa-

lestre, dei macchinari e di eventuali giri in elicottero, perché sarebbe troppo complicato”, spiega uno dei gestori dell’account. “Mentre a noi chiedono di abbassare l’aria condizionata o il riscaldamento, loro possono continuare a inquinare indisturbati”. Maria, che fa la hostess su vari superyacht, racconta che le lenzuola si cambiano ogni due giorni e le cabine delle docce sono pulite dopo ogni utilizzo: “Di solito più la barca è grande, più si spreca. Ho lavorato su un 124 metri, durante una festa abbiamo dovuto rifornire il buffet ogni due ore, anche di notte, nel caso qualcuno avesse avuto voglia di fare uno spuntino alle tre del mattino. I proprietari non hanno alcun rispetto per il personale o per l’ambiente”. Il settore respinge queste accuse e sottolinea le ricadute economiche del settore. “I politici hanno bisogno di capri espiatori, è facile sparare a zero contro di noi. Tuttavia diamo da vivere a molta gente. Non bisogna uccidere la gallina dalle uova d’oro”, afferma il mediatore finanziario Matthieu Gredin.

Patrick Ghigonetto è il presidente di La Ciotat shipyards, un cantiere navale dove passa ogni anno un settimo della flotta mondiale di superyacht, e assicura che il settore sta diventando più attento agli aspetti ambientali: “Abbiamo installato un moderno sistema di trattamento delle acque, che riduce al minimo lo scarico in mare. Inoltre i nostri impianti di alimentazione evitano alle imbarcazioni di usare i generatori durante le soste tecniche”. In passato specializzato nella costruzione di grandi unità industriali, il cantiere si è salvato dalla chiusura riconvertendosi alla ristrutturazione dei grandi yacht. “Avremmo potuto puntare tutto sul turismo, invece abbiamo preferito modernizzarci, e ne siamo molto orgogliosi”, racconta Ghigonetto. “Lo yacht è un oggetto di lusso che dà lavoro. Un quadro di un grande maestro rimane attaccato al muro e non frutta nulla. Il cantiere della Ciotat ospita 45 aziende e impiega direttamente 1.200 persone”. Alcuni superyacht privati si presentano addirittura come salvatori del pianeta. Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Ambiente Il Rev Ocean, ideato da un miliardario norvegese, ambisce a pulire, studiare e preservare i mari. L’Earth 300, un progetto di superyacht a propulsione nucleare, aspira a ospitare scienziati di tutto il mondo per condurre esperimenti e “ampliare le nostre conoscenze e la nostra comprensione dell’universo sopra e sotto la superficie dell’oceano”. Secondo Salle questi progetti non fanno che confermare il cinismo di un’industria votata al greenwashing: “La prossima volta che vedrete una festa su uno yacht di lusso non pensate che si stiano solo divertendo, probabilmente stanno partecipando a uno studio scientifico”.

Praterie in pericolo

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Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

“Questi yacht giganti sono la causa principale del declino della posidonia” difficoltà del suo lavoro: “Di solito più la barca è grande, meno si preoccupa delle regole. In un anno abbiamo fatto solo una ventina di multe”. In Francia nel 2000 sono stati imposti i primi divieti di ancoraggio per le imbarcazioni di più di 24 metri su questi preziosi ecosistemi. Le località frequentate dal jetset sono state dotate di sistemi di attracco alternativi. “Le grandi barche da turismo rappresentano il 60 per cento dei redditi del porto”, sottolinea Michel Mallaroni, il direttore del porto di Bonifacio. Ha installato 14 boe nella baia di Sant’Amanza, che permettono alle barche di ormeggiare senza rischiare di rovinare la posidonia con le ancore e le catene che pesano diversi quintali. “Il costo di attracco è proporzionale alla dimensione della barca.

Da sapere Il boom dopo il covid Spesa complessiva per i superyacht nel mondo, milioni di dollari 7.000 6.000 5.000 4.000 3.000 2.000 1.000 0 2018

2019

2020

2021

2022

FONTE: VESSELSVALUE

Negli ultimi anni le preoccupazioni per l’impatto ambientale degli yacht si sono concentrate sott’acqua. Soprattutto sulla posidonia, una pianta acquatica di fondamentale importanza nella lotta contro il riscaldamento climatico e la preservazione della biodiversità, osservata con grande attenzione tanto dalle aziende quanto dagli scienziati. Le praterie sottomarine di posidonia sono i polmoni del mare: possono produrre più ossigeno per metro quadrato della foresta amazzonica e immagazzinano l’anidride carbonica. Le loro lunghe foglie ospitano moltissime specie di pesci e rappresentano una fonte di cibo fondamentale. Inoltre la posidonia preserva le coste dall’erosione, contribuendo a rompere il moto ondoso. Le foglie morte si depositano sulle spiagge e le proteggono. Il problema è che questo ecosistema di estrema importanza per il Mediterraneo è minacciato. Negli ultimi cinquant’anni le praterie di posidonia sono diminuite del 34 per cento a causa dell’inquinamento, della cementificazione della costa e soprattutto delle navi. I superyacht rappresentano “la prima causa del loro declino”, spiega il biologo marino Charles-François Boudouresque. Più l’ancora della nave è grande, più i danni sono gravi: “Uno yacht di cento metri ha un impatto mille volte superiore rispetto a un piccolo gommone di dieci metri”. Il fenomeno riguarda tutto il Mediterraneo. In diversi paesi gli scienziati studiano il modo per ripristinare la posidonia. Ma c’è un problema di fondo: queste piante marine crescono molto lentamente, al massimo qualche centimetro all’anno. Nel 2018 le isole Baleari, in Spagna, hanno deciso di vietare l’ancoraggio in alcune zone per proteggere la posidonia.

Un’iniziativa pionieristica, ma che non va abbastanza lontano, si rammaricano Natalia Petit e Olivier Valles: “Per infliggere una multa è necessario dimostrare che la barca ha effettivamente danneggiato la posidonia, quindi gli agenti devono andare a controllare. Ma il personale non è sufficiente”. I fondatori dell’associazione Sos posidonia dedicano gran parte del tempo libero a pattugliare le coste, chiedendo alle imbarcazioni ormeggiate sopra le praterie di spostarsi sui banchi di sabbia. Silvio, che lavora in una delle diciotto pattuglie marittime create dal governo delle Baleari nel 2022, conferma la

Bisogna contare 800 euro al giorno per uno yacht di cinquanta metri”, precisa. Finanziato per l’80 per cento dallo stato francese, il progetto è costato quasi due milioni di euro, ed è stato accolto favorevolmente dai ricchi naviganti, contenti di non essere più obbligati a spostarsi in zone di attracco “scomode”. Ma la decisione ha comunque suscitato le proteste delle associazioni ambientaliste locali, che nel giugno 2022 hanno scritto al governo: “Si chiede ai cittadini di viaggiare meno e più lentamente, mentre questi progetti incoraggiano le grandi imbarcazioni a viaggiare ancora di più e a venire in Corsica quando l’isola è già sovraffollata”. “La baia tra Cannes e Antibes ha perso dal 15 al 20 per cento della posidonia in dieci anni. Dobbiamo agire ma al tempo stesso preservare il grande turismo marittimo, perché si tratta di un’attività vitale per la regione. Il problema è che ogni estate nel Mediterraneo circolano 3.500 yacht. Non possiamo installare tante boe, dato che ognuna costa centomila euro”, sintetizza Amélie Chardin, responsabile della pianificazione sostenibile per la prefettura marittima del Mediterraneo. Chardin è favorevole a un divieto di ancoraggio a livello internazionale: “Alcuni paesi come la Grecia, la Croazia o la Tunisia non hanno neanche cartografato i loro banchi di posidonie”. A bordo di un gommone, Jean-Philippe Morin e Frédéric Thiebaut pattugliano regolarmente il golfo di Saint-Tropez per sensibilizzare i naviganti sull’importanza della posidonia; gli parlano di un’app, Donia, che permette d’individuare le praterie sottomarine e ormeggiare altrove, e li mettono in guardia rispetto a possibili multe. “Quando sono stati pubblicati i decreti che vietano l’ormeggio dei superyacht, i capitani hanno fatto suonare le sirene per manifestare il loro malcontento. Oggi sono loro a chiedere le boe d’ormeggio perché hanno capito che è l’unica soluzione”, osserva Morin. Il responsabile dell’Osservatorio marino dei comuni del golfo di Saint-Tropez indica una barca lunga più di cento metri: è il Symphony, lo yacht del miliardario francese Bernard Arnault, dotato di eliporto, bar, sauna, cinema all’aperto, pista da ballo, salone di bellezza, palestra, sala concerti con pianoforte a coda, biblioteca, ascensore e piscina con cascata. Secondo Yacht CO2 tracker, tra il 6 e il 13 agosto 2022 questo yacht, navigando fra l’Italia e la Grecia, ha emesso circa 123,8 tonnellate di anidride carbonica brucian-

HANS LUCAS

La prova di un minisottomarino al Monaco yacht show, 30 settembre 2022

do 47.629,9 litri di carburante, 1.400 volte più di quanto ne consumi un francese medio in un anno. Per poter continuare a ormeggiare nella baia di Saint-Tropez, Arnault ha messo mano al portafoglio. “Ha comprato una boa che gli è costata 600mila euro, più qualche decina di migliaia di euro di affitto all’anno”, spiega Morin. “Il problema è che se tutti facessero la stessa cosa il mare verrebbe privatizzato, perché c’è il divieto di ancoraggio nel raggio di duecento metri da ogni boa”.

Concorrenza sleale Secondo Thiebaut è necessario un coordinamento europeo, altrimenti “gli yacht andranno altrove, per esempio in Montenegro, che offre buone infrastrutture e negozi di lusso e ha norme meno severe”. Thierry Voisin, presidente del comitato europeo per lo yachting professionale (Ecpy), racconta che quando in Francia è stata adottata la nuova regolamentazione sull’ormeggio “molte barche sono andate in Italia e in Croazia. È non è detto che torneranno”. La navigazione è per definizio-

ne un’attività internazionale, sottolinea Eric Mabo, vicedelegato generale della Federazione delle industrie nautiche (Fin): “Senza una regolamentazione a livello europeo, si crea una concorrenza tra paesi”. Fino al 2016, in particolare in Francia, gli yacht hanno avuto sgravi fiscali sul carburante. “In Italia questo vantaggio è rimasto e per anni gli yacht hanno preferito andare a rifornirsi lì. Alla fine l’Europa ha obbligato l’Italia ad adeguarsi, ma il paese ne ha comunque approfittato per anni, con un impatto non trascurabile sull’economia francese”, osserva Mabo. L’eurodeputata verde Caroline Roose è appassionata di immersioni e ha potuto osservare di persona il degrado dei fondali marini: “Le cosiddette boe ecologiche servono solo per mettersi a posto la coscienza, perché le barche non le usano. Bisogna prenotarsi in anticipo, ma spesso i capitani arrivano all’ultimo momento seguendo i capricci dei proprietari”. Roose si batte per una normativa europea che limiti le emissioni dei superyacht. Gli

scandali ambientali sono anche economici e sociali, sottolinea: “Per evitare le tasse, alcune barche sono sempre in giro. Molte sono immatricolate in paradisi fiscali e non rispettano il diritto sociale. Parte del personale francese è assunta con contratti maltesi per approfittare delle norme meno rigide. Si parla spesso delle ricadute economiche dei superyacht, ma i lavoratori non ne traggono nessun beneficio”. Spreco ostentato, frode fiscale, criminalità ambientale, greenwashing, illegalità. “Se si tira il sottile filo dei superyacht, si dipana tutto il gomitolo del capitalismo basato sulle energie fossili”, conclude Grégory Salle. Gli yacht di lusso non sono solo una lente che mette in evidenza una mania di grandezza, ma condensa gli aspetti essenziali della nostra epoca: l’aumento delle disuguaglianze economiche, l’ingiustizia e l’accelerazione della crisi ecologica. u adr Questa inchiesta è stata realizzata grazie al sostegno di journalismfund.eu. Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Portfolio

Una vita in catene In Thailandia molti agricoltori sfruttano i macachi per la raccolta delle noci di cocco, tenendoli in cattività fin da cuccioli. Le foto di Raffaele Petralla

Macachi trasportati verso una piantagione di palme da cocco. Isola di Koh Samui, Thailandia

Portfolio

2019 al 2022 la Peta, un’organizzazione non profit che si occupa dei diritti degli animali, ha portato avanti una campagna contro lo sfruttamento dei macachi a coda di porco, in Thailandia. Questi primati, una specie già minacciata dalla caccia e dal commercio illegale, sono usati per raccogliere noci di cocco destinate al mercato internazionale, dove sono impiegate nel settore alimentare e della cosmetica. Secondo i dati della Fao, la Thailandia è il terzo paese esportatore di cocco fresco o essiccato e il

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primo esportatore di latte di cocco al mondo. “Ci sono dei centri di addestramento in cui s’insegna alle scimmie ad arrampicarsi su palme alte fino a 30 metri. Gli agricoltori locali le comprano in queste ‘scuole’”, spiega Raffaele Petralla, che nel 2022 ha seguito le attività di alcuni di loro. Nelle piantagioni sparse nel sud del paese, i macachi raccolgono centinaia di frutti al giorno e hanno per tutto il tempo un collare di metallo legato a una corda. “Ad alcuni esemplari vengono tolti i denti più taglienti per poter usare questi animali anche come attrazione per i turisti, evitando così che possano attaccarli”, continua Petralla.

I macachi rischiano di farsi male, perché possono cadere e ferirsi gravemente, e di soffrire per l’isolamento, visto che in libertà vivono in gruppo, mentre nei villaggi non vedono i loro simili e sono separati quando sono cuccioli dalle loro famiglie. Il governo tailandese ha giudicato esagerata l’indagine della Peta, dichiarando che il lavoro dei primati è ormai residuale nel paese. “Purtroppo le piccole attività locali sono ancora tante sul territorio e poco controllate. Però molte imprese hanno già annunciato di non voler più comprare da fornitori che usano i macachi per la raccolta”, dice Petralla. u

Sopra: Piak Saengsawang, 52 anni, trasporta una noce di cocco raccolta dal suo macaco sull’isola di Koh Samui. L’uomo si muove con cautela perché ha paura che l’animale possa diventare aggressivo. Due mesi prima dello scatto, la scimmia aveva attaccato e ferito suo figlio. Piak possiede due macachi. Li ha comprati addestrati per 15mila bath (circa 390

euro). Molti macachi usati per la raccolta del cocco sviluppano disturbi del comportamento e aggressività dopo aver subìto gravi traumi, come l’uccisione della madre, e in parte a causa della cattività. Nella pagina accanto: uno dei macachi di Piak, a Koh Samui. È un maschio di sei anni. È legato con una corda di quaranta metri.

VIETNAM

BIRMANIA LAOS

THAILANDIA Bangkok Mare delle Andamane

CAMBOGIA Golfo del Siam Isola di Koh Samui

200 km

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Portfolio

Qui sopra: un cucciolo di macaco, a Koh Samui. È stato addestrato per sei mesi a raccogliere le noci di cocco. Accanto: un macaco in un centro di addestramento a Surat Thani, nel sud della Thailandia. Queste “scuole” sono aperte alle visite dei turisti.

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Nella foto grande: un agricoltore con il suo macaco. La corda con cui lo tiene legato gli permette di comunicare con lui quando sta sulle palme. Se il macaco non lavora, il ragazzo tira con forza la corda per costringerlo a continuare. Al centro: una donna conta le noci di cocco raccolte dai macachi durante il giorno, nella regione di Nakhon Si Thammarat, nel sud del paese. La corteccia è rimossa e poi bruciata. Le noci si vendono a 50 bath (1,30 euro) al chilo. Accanto: un macaco in un centro di addestramento nella regione di Surat Thani. Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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OZGUR TOLGA ILDUN (ALAMY)

Viaggi

Bozcaada e il castello di Tenedos, luglio 2016

L’isola del nonno Ayca Balcı, Süddeutsche Zeitung, Germania A Bozcaada, sulla costa turca dell’Egeo, la vita scorre ancora lenta come un tempo, anche se il turismo comincia a cambiare le cose ultimo traghetto sta per lasciare il porto di Geyikli. In questa serata di aprile c’è chi solo per un pelo riesce a tornare a casa sull’isola di Bozcaada, la cui sagoma, miglio dopo miglio, si staglia sempre più nitida all’orizzonte. Appare per primo il punto più alto dell’isola, la collina di Göztepe, seguita dall’imponente fortezza dalla quale hanno regnato gli ottomani e prima di loro i persiani, i romani, i bizantini, i genovesi e i veneziani. Ben presto si scorgono anche le casette che, alle spalle del porto e dei pescherecci, si tingono di rosa nella luce del tramonto. Mio nonno deve aver avuto dodici anni quando per la prima volta ha messo piede

L’

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sull’isola. Erano i primi anni sessanta e i traghetti ancora non c’erano. La spola tra Bozcaada e la terraferma la faceva il motoscafo del capitano Yakar. Di forestieri su quella piccola isola turca nel nordest dell’Egeo, a sette chilometri appena dalla costa della provincia di Çanakkale, all’epoca praticamente non se ne vedevano. Oggi le cose sono cambiate. Da quando Instagram ha reso famosa Bozcaada con le sue baie turchesi non ancora toccate dal turismo di massa, tutti vogliono venirci in cerca di pace e libertà. Mi chiedo cosa ne penserebbe mio nonno. A lui non posso più chiederlo, ma so che è sempre stato pienamente consapevole della bellezza di quest’isola, dove il padre l’aveva mandato a vivere dai parenti perché era un ragazzino troppo turbolento. Bozcaada, un fazzoletto di terra di appena 37 chilometri quadrati non lontano dallo stretto dei Dardanelli, è ricoperta in gran parte da vigneti, circondata dal mare e piena di leggende. Guardando a nordest dalla collina di Göztepe s’intrave-

de sulla terraferma l’altura di Hisarlık, dove si dice che un tempo sorgesse Troia. Secondo Omero fu proprio a Tenedos – nome mitologico dell’isola– che i guerrieri greci si nascosero dopo aver lasciato il cavallo di legno davanti alle porte della città. Se la guerra di Troia si fosse svolta davvero, sarebbe stato questo il punto migliore per osservare la città in fiamme. Come faccio sempre quando vengo a Bozcaada, passeggio per i vicoli del centro salendone i tanti scalini e lasciando che il mio sguardo vaghi da un capo all’altro della cittadina, dai due minareti, che si ergono in cielo spuntando tra le case, al campanile che sfiora l’orizzonte. Qui cristiani e musulmani vivono fianco a fianco da centinaia d’anni. È un caso singolare. In seguito alla guerra grecoturca, infatti, sia i greco-ortodossi che vivevano nel territorio dell’attuale Turchia sia i musulmani che vivevano in Grecia subirono un trasferimento forzato, che dopo il 1923 fu imposto a più di 1,6 milioni di persone. Solo pochissimi luoghi furono risparmiati dal cosiddetto scambio di popolazioni, e tra essi c’era Bozcaada, che il trattato di Losanna aveva assegnato alla Turchia. La gente di qui ha continuato a vivere fianco a fianco, anche se oggi i cristiani sono ben pochi. Nella piazza centrale del paese, dove giovani e vecchi si ritrovano all’ombra del grande platano per fare due chiacchiere o prendere un caffè, in mezzo al turco di tanto in tanto si coglie qualche frase in greco. Questo è il posto giusto per esercitare l’arte della lentezza. “Qui non

c’è quasi nessuno che cammini velocemente”, dice Günay Yurdakul ridendo. Yurdakul fa il viticoltore. A Bozcaada la vite si coltiva da tremila anni e quando sull’isola cristiani e musulmani convivevano pacificamente ma senza mescolarsi troppo, a unirli era proprio la viticoltura. All’epoca i turchi si occupavano della coltivazione e della vendemmia, e i greci facevano il vino. Questa divisione del lavoro seguiva una specie di legge non scritta. Nel 1925 un isolano, Haşim Yunatcı, l’infranse acquistando una cantina greca e diventando il primo produttore turco di vino sull’isola di Bozcaada.

Collezionando conchiglie Negli anni sessanta mio nonno andava a scuola con il pronipote di Haşim, suo omonimo, e tutto quello che so della sua infanzia l’ho saputo da Haşim amca, zio Haşim. Nelle lunghe sere d’estate, un bicchiere dopo l’altro, mi ha raccontato di tutte le volte che facevano sparire una bottiglia di vino dalla cantina per andarsi a ubriacare di nascosto sulle mura della fortezza. Zio Haşim oggi non c’è più, ma gli è sopravvissuta Çamlıbağ, la piccola azienda vinicola a cui ha dedicato la vita e che ora è passata nelle mani della quinta generazione, quella di Yurdakul, 33 anni. Alla fine dell’estate, dopo la vendemmia, nei vicoli del paese aleggia l’odore agrodolce dell’uva pigiata. Cosa fa di Bozcaada l’isola del vino? “È un dono di dio”, esclama Yurdakul, spiegando che il suolo e il clima di qui sono

perfetti per la viticoltura. Doveva averlo capito anche Tenes, il nipote di Poseidone dal quale l’isola prese il nome: secondo la leggenda fu proprio lui a piantarvi il primo kuntra, il vitigno più antico di Bozcaada. È anche il preferito di Yurdakul, che con quest’uva fa un vino rosso che non si trova da nessun’altra parte. Secondo lui anche il vento è una benedizione, perché protegge la vite dalle malattie. Il vento di poyraz viene da nord. Nei mesi invernali, se soffia forte il traghetto non si muove dal porto e gli isolani devono rassegnarsi a non andare al lavoro, all’università o dal medico. Chi vive qui il vento se l’è fatto amico e ama farsene cullare. Anche io, quando devo partire, a volte spero che il vento mi permetta di restare sull’isola un altro po’. Yurdakul mi porta nel suo posto preferito, i vigneti lontani dal centro dell’isola. Dal pendio si volta a guardare il mare: “Con una vista così, come potrebbe non prosperare la vite?”. Yurdakul tiene moltissimo a preservare viticoltura e vinificazione a Bozcaada, anche se da tempo il suo lavoro in Turchia non è più remunerativo. Molti viticoltori vendono le vigne per aprire alberghi: nei due mesi d’estate riescono a guadagnare quanto basta per il resto dell’anno. “Il turismo ci ha resi tutti più pigri”, osserva. E ha cambiato l’isola: un tempo paradiso dei campeggiatori e degli amanti della natura, da qualche anno Bozcaada è sempre più frequentata. Tra luglio e agosto ai suoi tremila abitanti si aggiungono ben 15mila turisti, decisamente troppi. C’è chi è costretto a vendere la casa di famiglia perché la vita sull’isola diventa più cara, e di solito queste case finiscono trasformate in alberghi. Sempre più giovani se ne vanno, per tornare solo d’estate. Inoltre Bozcaada sta per perdere parte della sua identità: ormai resta solo una quindicina di greco-ortodossi. Eppure, ogni domenica mattina il prete ortodosso Mar Nero

GRECIA Istanbul

Porto di Geyikli Isola di Bozcaada

TURCHIA

100 km

– il papaz come lo chiamano qui – apre i portoni della chiesa, suona la campana e invita i fedeli alla preghiera, anche se a volte non si presenta nessuno. Uno dei superstiti si chiama Dimitri Mukata. “Quando me ne sono andato avevo 17 anni”, racconta. Era la metà degli anni settanta e sull’isola le cose stavano cambiando. A Cipro era scoppiato il conflitto tra turchi e greci e l’eco si sentiva anche qui. “Nella taverna di Vasil, frequentata sia da turchi sia da rum, da un giorno all’altro qualcuno ci ha tolto il saluto”. Rum è il termine turco per indicare i greco-ortodossi che vivono in Turchia. Neanche loro stessi si percepiscono più come greci: hanno sempre vissuto qui. È solo dopo il 1974 – “per quella faccenda di Cipro”, dice Mukata – che molte famiglie sono emigrate in Grecia a causa delle discriminazioni. Mukata è tornato a Bozcaada nel 2011 e ha trasformato la vecchia casa di famiglia in una pensione. Ma non tutti sono tornati. E siccome la popolazione cristiana non fa che invecchiare, la sua cultura rischia di scomparire. Hakan Gürüney vuole impedire che le storie dell’isola siano dimenticate. Collezionista per hobby, Gürüney è di Istanbul ed è approdato a Bozcaada trent’anni fa sulle tracce di una rara specie di conchiglie. Dopodiché non è più riuscito a staccarsene. Ha cominciato a collezionare tutto quello che riguardava l’isola, dagli oggetti d’uso quotidiano alle vecchie mappe e cartoline che scovava nei negozi d’antiquariato di Istanbul. “Era una vera e propria ossessione”, racconta. Ha intervistato per ore e ore gli abitanti dell’isola che hanno condiviso con lui le loro storie di famiglia, le loro vecchie foto e i loro abiti. Nel suo museo ognuna di queste famiglie ha una teca dedicata. E di tanto in tanto qualcuno che aveva lasciato l’isola anni prima è andato a visitarlo: “C’è chi scoppia in lacrime vedendo la tazza che un tempo usava per bere il caffè”, racconta Gürüney. Guardo se magari ci fosse una vecchia foto della scuola media frequentata da mio nonno, ma non trovo niente. L’edificio però è ancora in piedi e oggi da lì i liceali si godono la vista sulla fortezza e sul mare, proprio come faceva mio nonno. Mi chiedo se riconoscerebbe ancora la sua isola. Penso proprio di sì. Nonostante tutti i cambiamenti, gli piacerebbe ancora, ma probabilmente direbbe che un tempo era ancora più bella. u sk Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Graphic journalism Cartoline da Aigues-Mortes, Francia

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Claudio Marinaccio è un autore di fumetti nato a Torino nel 1982. Vive e lavora a Villarbasse, in Piemonte. Ha pubblicato Trentatré raggi ionizzanti (Feltrinelli Comics 2021). Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Cultura

Musica

POPYOURS (YOUTUBE)

Bonbero, Lana, MFS, Watson nel video Makuhari

Ritmo ritrovato Maiko Itagaki, Asahi Shimbun, Giappone Grazie ai social network e a un pubblico molto giovane l’hiphop è diventato un protagonista della scena musicale nipponica inalmente in Giappone l’hiphop è diventato un fenomeno di massa. Me ne sono resa conto nel clima effervescente che ha caratterizzato la seconda edizione del Pop Yours, il primo festival giapponese dedicato a questa cultura, che si è svolto a Chiba, poco lontano da Tokyo, il 27 e il 28 maggio. Ascolto rap da vent’anni, ma durante la pandemia ho perso un po’ di concerti e non conoscevo la maggior parte degli artisti in programma. Quando il primo giorno del festival, nel pomeriggio, sono entrata un po’ intimidita nella sala, mi ha

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accolto il critico musicale Hiroshi Egaitsu, che segue l’industria rap giapponese da tempo: “L’artista che si sta esibendo ora si è affermato negli ultimi anni”, mi ha spiegato. Sul palco c’è Red Eye, un rapper originario di Osaka.

Genere che trascende Nella sala strapiena, ragazzi e ragazze ballavano con trasporto al suono dei bassi in una formidabile armonia, probabilmente accentuata dal senso di liberazione che ha portato la fine della pandemia. In mezzo alle vibrazioni che facevano tremare il pavimento, Egaitsu mi ha detto all’orecchio: “Il pubblico adora questo artista. L’atmosfera mi ricorda il Sampin degli anni novanta”. Il Sampin camp, festival rap che si svolse nel parco Hibiya, a Tokyo, nel 1996, è un vero e proprio punto di riferimento per gli appassionati.

Il rap, nato a New York negli anni settanta, arrivò in Giappone agli inizi degli anni ottanta e alcuni pionieri come Ito Seiko, Chikada Haruo ed ECD cominciarono a rappare in giapponese. Primo grande evento hip-hop organizzato nel paese, il Sampin camp raccolse i migliori artisti di quegli anni. Non è esagerato dire che l’entusiasmo che circonda Pop Yours è altrettanto grande. Lo testimoniano i trentamila biglietti venduti in un mese per i due giorni del festival e l’eterogeneità del pubblico: si vedevano sia dei giovani vestiti in stile streetwear, o casual, sia degli spettatori in abiti eleganti. Ma da quando l’hip-hop trascende le differenze sociali? “Penso che abbia inciso molto la vetrina dei social network, oltre al miglioramento delle performance, favorite dall’arrivo delle battles tra il 2000 e il 2010”, ha detto Egaitsu. Le battles, sfide tra rapper che si affrontano improvvisando su un beat, sono diventate molto popolari con il campionato rap tra i liceali, trasmesso sui canali satellitari dal 2012 (attualmente in streaming su AbemaTv), e con il Freestyle Dungeon (Tv Asahi), lanciato nel 2015. Negli Stati Uniti nel 2017 il rap e l’rnb sono diventati i generi musicali più redditizi, scalzando il rock e imponendosi come corrente dominante nel pop, contaminandosi con altri stili. Mi sono resa conto di questa evoluzione sentendo Tohji il Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Cultura

Musica Red Eye

REDEYE_OFFICIAL (YOUTUBE)

AWICH X VERDY X BLACKPATCH

Awich

secondo giorno del festival, con i suoi beat allegri in stile dance. “Prende ispirazione dalla cultura rave e rivendica la forte influenza di Ayumi Hamasaki, una cantante molto popolare negli anni novanta e duemila”, mi ha spiegato il giornalista musicale Shin Futatsugi. Tra gli altri rappresentanti della nuova generazione, estremamente eterogenea, ci sono ralph, che s’inserisce nel filone drill, sottogenere originario di Chicago, e Creepy Nuts, che ha raggiunto i vertici delle classifiche con canzoni molto orecchiabili. Anche Lex, artista nato nella regione dello Shonan, sulla costa a sudovest di Tokyo, ha attirato la mia attenzione. Tra un brano e l’altro parlava direttamente con il pubblico, che gli rispondeva con trasporto. Tornando a casa ho fatto delle ricerche su di lui e mi sono imbattuta in un’intervista in cui parla dei suoi problemi psichici. “Chi ha detto che dovevo mostrarmi forte e nascondere le mie debolezze?”, chiede Lex, contraddicendo lo stereotipo del rapper presuntuoso. Ho scritto le mie impressioni a Hiroshi Egaitsu, che mi ha risposto: “Mi sembra che la generazione z, cresciuta con il digitale, sia capace di ricevere le informazioni senza pregiudizi, ed è più sensibile e tollerante di fronte ai cambiamenti sociali, anche sulle questioni di genere”. A proposito di genere, non ho potuto ignorare la

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presenza di Awich come star principale del festival. Grazie alla fama che ha acquisito negli ultimi anni, è stata una scelta naturale, ma ero molto eccitata di vedere una donna al centro di un festival così importante. La sua storia è particolare. Originaria di Okinawa, a 19 anni si è trasferita negli Stati Uniti, dove ha avuto una bambina con un afroamericano. Quando il compagno è morto in una sparatoria, lei si è trovata da sola con una figlia piccola. Ha fatto il suo esordio con una grande casa discografica nel 2020.

La regina di Okinawa Il suo concerto è cominciato con Queendom, un brano che continua a darmi la pelle d’oca. Un concentrato della sua storia, questo pezzo parla del doloroso passato vissuto a Okinawa, del sogno di diventare rapper, ispirato dal compagno morto, e della volontà di rappresentare la sua regione natale. Awich è una regina. Se fossi più giovane l’avrei certamente presa come modello. Negli ultimi anni molte altre rapper si sono distinte sulla scena hip-hop giapponese, a tal punto che la rivista culturale Eureka gli ha dedicato l’ultimo numero , con il titolo: “Il rap femminile di oggi”. In due giorni si sono esibite: MFS (Mother Fucking Savage), il cui brano Bow è ormai famoso in tutto il mondo; Elle Tere-

sa, che è diventata anche un’icona della moda; Lana, che ha promettenti doti vocali; e MaRI, un’artista che fa leva anche sulle sue radici brasiliane. Un altro elemento significativo del festival è stato l’annuncio inatteso dello scioglimento dei Bad Hop. Questo gruppo di otto musicisti originari dell’area industriale di Keihin, zona a sud di Kawasaki, dominava la scena hip-hop da cinque anni. Nei loro brani i Bad Hop evocavano le difficoltà della loro infanzia. I fan li ascoltavano con entusiasmo quando in Hood gospel dicevano: “Da ragazzi poveri ci nascondevamo, ma quando facevamo rap eravamo noi stessi”. Chuck D, un componente dei Public Enemy, ha dichiarato che il rap era la “Cnn dell’America nera”. Allo stesso modo i testi del rap giapponese riflettono la realtà della gioventù nipponica in un modo difficilmente alla portata dei mezzi d’informazione tradizionali. In quanto arte, l’hip-hop si sta evolvendo ed è sempre più popolare tra i ragazzi. Trascinati dal ritmo, sono colpiti da un universo che è al tempo stesso puro e brutale, illusorio e concreto, anche se lontano dal mio. Completamente immersa nell’atmosfera del festival, che nessun video su YouTube potrebbe descrivere fedelmente, sono rientrata a casa maledicendomi per aver trascurato così a lungo la scena rap. u adr

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Città Novecento Rai Storia, sabato 23 settembre, ore 23 Passato e presente di Colleferro, città-fabbrica laziale fondata e cresciuta insieme alla sua industria, dagli anni dieci del novecento, attraverso lo sviluppo urbanistico del periodo fascista, fino ai giorni nostri. Cold Case Hammarskjöld. Un mistero all’Onu PrimeVideo Dal documentarista e reporter danese Mads Brügger, già ospite a Internazionale a Ferrara, un’appassionante inchiesta sul caso irrisolto della morte in un incidente aereo del segretario generale dell’Onu, Dag Hammarskjöld, nel 1961. Napoli, città delle arti Arte.tv Napoli affascina e attira artisti da tutto il mondo. Alcuni di loro, insieme ai protagonisti della scena culturale partenopea, ci guidano in una visita della città all’insegna della creatività. Salvador Allende I Wonderfull, ZalabView Il suo celebre documentario sulla storia del Cile e del suo presidente, assassinato l’11 settembre 1973 durante il golpe guidato da Augusto Pinochet, apre un omaggio al regista cileno Patricio Guzmán in quattro film. Tiro al piccione. Ritratto di John le Carré Apple Tv+ Il maestro Errol Morris firma questo documentario su vita e carriera dell’ex spia britannnica David Cornwell, meglio conosciuto come John le Carré, celebre autore di best seller di spionaggio.

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Serie tv Marseille mon amour Arte tv, 7 episodi Presentata in competizione all’edizione 2023 di Canneseries, Marseille mon amour racconta una storia d’amore che nasce in una banlieue marsigliese, intorno a un campo da basket che due gruppi rivali di ragazzi si contendono. Ines e Slimane s’incontrano sull’orlo di questa rivalità e vivono il lo-

ro primo grande amore. Qualcuno ha citato West side story, ma la miniserie di Aurélie Meimon è leggera e luminosa, molto diversa da Il leader (Netflix) con cui la regista parigina si è fatta conoscere. Un concentrato di emozioni e umorismo, lontano dalle violenze che popolano l’attualità. La Marsellaise

Il primo gruppo di alcolisti anonimi si formò nel 1935 in Ohio. Da allora, il loro metodo dei dodici passi è stato usato per ogni genere di dipendenza, dagli stupefacenti al gioco d’azzardo. Dal 2017 ci sono gruppi per gestire la dipendenza da Internet, chiamati internet and technology addicts anonymous (Itaa): “Le fatiche spaziano dallo shopping online allo scrolling compulsivo dei social media alla dipendenza dai videogiochi”, scrive il Guardian, che ha partecipato a una seduta online. Spesso l’obiettivo non è l’astinenza, ma la gestibilità: “Non si tratta di eliminare la tecnologia”, spiega un partecipante. “Si tratta d’imparare cosa è sano e cosa non lo è per ognuno di noi”. Gaia Berruto

Televisione Giorgio Cappozzo

Pulsatilla Mia nonna era una grande appassionata della Signora in giallo. Guardarla, diceva, la rilassava, e io non capivo come omicidi e intrighi potessero conciliarle il sonno invece di farla sobbalzare dalla poltrona su cui lei, intanto, si era già addormentata. Evidentemente a distenderla non era la trama ma la voce familiare della signora Fletcher, i colori tenui della fotografia, il montaggio leggero e la linearità logica degli snodi. A me succede lo stesso con Alessandro Barbero, lo

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storico più apprezzato, guardato, ascoltato, seguito degli ultimi dieci anni; che sia un podcast o un video, che parli del rogo di Giovanna d’Arco o del rapimento di Aldo Moro, la narrativa dello storico piemontese scaccerà dalla mia mente ogni inquietudine. Non perché sia soporifero, anzi, ma perché è straordinariamente capace di armonizzare il pensiero, di pacificarlo, di far cadere ogni resistenza critica. Barbero ha due qualità puramente televisive: la mimica sincronizzata

al testo (l’agere degli antichi retori), con il pugno che funge da punto esclamativo, e l’impressione di credere in ciò che racconta. Un’evoluzione di Roberto Benigni più che di Paolo Mieli. Nello speciale di La7 su dittatura e democrazia, In viaggio con Barbero, scritto con Davide Savelli, le telecamere raccolgono le testimonianze del suo pubblico: fan adoranti, giovani e anziani, intellettuali e tatuati, uniti dalla riconoscenza di aver trovato nel caos ideologico la loro pulsatilla. u

I consigli della redazione

Io capitano Matteo Garrone, in sala

Questa prima parte è un’introduzione al secondo film, che comincia dopo l’aggressione, un buco nero in cui sprofondano le indagini della polizia, da cui la donna esce accusata di aver istigato la violenza. E qui il film passa dalle mani del regista a quelle della protagonista, genio assoluto quanto ad ambiguità. Murielle Joudet, Le Monde

Strange way of life

Il caftano blu Di Maryam Touzani. Con Lubna Azabal, Saleh Bakri. Marocco 2022, 122’. In sala ●●●●● In Adam, Maryam Touzani ha raccontato una storia di solidarietà ed emancipazione tra le mura di una pasticceria. La nobiltà del piccolo artigianato è al centro anche del suo secondo splendido film. Ma stavolta affronta un tabù assoluto in Marocco. Il sarto Halim confeziona bellissimi caftani tradizionali che la moglie Mina vende nella loro bottega. La complicità della coppia è evidente, resa forse ancora più salda dal segreto di Halim, attratto dagli uomini. E mentre scopriamo che Mina è malata di cancro, si forma un sorprendente triangolo con il giovane apprendista Youssef. Proprio come i suoi protagonisti, Touzani dimostra di saper

DR

Strange way of life Di Pedro Almodóvar. Con Pedro Pascal, Ethan Hawke. Spagna/ Francia 2023, 30’. In sala ●●●●● In questo eccentrico western queer di trenta minuti, Pedro Pascal interpreta Silva, un mandriano che arriva nella cittadina dall’altisonante nome di Bitter Creek. È andato a trovare lo sceriffo Jake, interpretato da Ethan Hawke, che non vede da venticinque anni. Cenano insieme, bevono e i sentimenti reciproci prendono il sopravvento. La mattina dopo gli animi si raffreddano rapidamente. Jake si rammarica per essersi lasciato andare, anche perché, tra le altre cose, è sulle tracce del figlio di Silva, sospettato di omicidio. Nella robusta narrazione vecchio stile non può mancare una sparatoria, da esaminare in lungo e in largo in cerca di significati metaforici. È bello vedere Pedro Almodóvar di nuovo in sella. Peter Bradshaw, The Guardian L’ultima luna di settembre Di e con Baljinnyamyn Amarsaikhan. Mongolia 2022, 90’. In sala ●●●●● Uno dei più popolari attori mongoli debutta alla regia e

interpreta Tulga, un mite chef di Ulan Bator, che si trova di fronte a un dilemma. Tulga è costretto a tornare nelle campagne dov’è cresciuto per occuparsi dei terreni della sua famiglia. Lì incontra un vivace bambino di dieci anni di cui si prendono cura i nonni, in cui Tulga si riconosce molto. In sostanza il film è la storia del loro incontro, una storia semplice e tenera, emozionante ma mai stucchevole. Grazie alla sua esperienza Baljinnyamyn Amarsaikhan ottiene un’ottima recitazione naturale, anche dagli attori meno esperti. Amarsanaa Battulga, ScreenAnarchy La verità secondo Maureen K. Di Jean-Paul Salomé. Con Isabelle Huppert. Francia 2022, 122’. In sala ●●●●● In La verità secondo Maureen K. ci sono due film. Il primo è un adattamento del libro La syndacaliste della giornalista Caroline Michel-Aguirre, sulla storia di cui fu protagonista la combattiva leader sindacale Maureen Kearney, vittima di una brutale aggressione mentre cercava di denunciare un contratto segreto tra una multinazionale francese dell’energia e il governo cinese.

El conde Pablo Larraín, Netflix

confezionare piccole opere preziose, eccezionali in confronto alla mediocrità dei prodotti industriali. Samuel Douhaire, Télérama Gran turismo Di Neill Blomkamp. Con Archie Madekwe. Stati Uniti/Giappone 2023, 134’. In sala ●●●●● Forse è riduttivo definire Gran turismo un film tratto da un videogioco, anche perché contiene elementi di una biografia sportiva, i brividi di un film sulle corse automobilistiche e le emozioni di una storia di formazione. Anche se insiste sul legame con il famoso videogioco, il film è in realtà la storia di un ragazzo, Jann Mardenborough, diventato pilota grazie alla sua abilità con il simulatore di guida. E incredibilmente questa complessa miscela funziona bene soprattutto grazie alla sua estrema semplicità. Shirley Li, The Atlantic

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Film

Manodopera Alain Ughetto, in sala

Il caftano blu Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Cultura

Libri Stati Uniti

I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana la giornalista belga Vanja Luksic.

Cuochi della domenica

Claudio Consalvo Corduas L’Unione europea siamo noi Edizioni Scientifiche Italiane, 101 pagine, 20 euro ●●●●● Come nel precedente Europa contro (Rubbettino), il giurista Claudio Consalvo Corduas dialoga con un grande conoscitore dell’Unione europea, il sindacalista e politico Enzo Mattina. Molto positiva sull’allargamento, questa nuova analisi vuole dimostrare che, al contrario di un’idea molto diffusa, un’Ue a diverse velocità e con diversi gradi d’integrazione non sia un male o un pericolo ma una ricchezza. Come lo è anche la creazione di un Istituto delle cooperazioni rafforzate che, per Mattina, devono includere almeno nove paesi, cioè un terzo dei 27 membri dell’Ue, come previsto dai trattati. Per Corduas un’integrazione fatta a “piccoli passi” è comunque positiva visto che l’Ue si presenta ormai come “un tronco con molti rami, facenti tutti parte della stessa pianta”. Non si può negare, però, che ci sia un progressivo distacco tra i cittadini europei e la loro istituzione sovranazionale anche se in tanti casi, come sottolinea il libro, questa è stata più rapida dei singoli governi a risolvere i loro problemi. Bisogna solo migliorare l’informazione e far capire ai cittadini europei che l’Unione europea sono proprio loro. u

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Le raccolte di ricette di autori che hanno un grande seguito su TikTok risollevano il mercato dei libri di cucina Tre anni fa, B. Dylan Hollis, 28 anni, era un musicista squattrinato del Wyoming che non aveva mai infornato niente. Poi qualche settimana fa il suo primo libro di ricette, Baking yesteryear (Penguin Random House) ha venduto più di 150mila copie in un giorno scalando le classifiche in tutti gli Stati Uniti. Il libro è una raccolta di ricette vintage ed è stato uno dei volumi più prenotati degli ultimi anni, secondo solo alle memorie degli Obama e del principe Harry. Eppure Hollis non ha una carriera politica alle spalle o una famiglia reale a farlo tribolare.

PENGUIN RANDOM HOUSE

Italieni

B. Dylan Hollis

Quello che ha sono 10,2 milioni di follower su TikTok, dove, dal 2020, pubblica video di cucina. Anche se in generale le vendite dei libri di ricette negli ultimi anni sono diminuite, Hollis non è un caso isolato, visto il successo su TikTok di molti cuochi non professioni-

sti che hanno pubblicato libri o si apprestano a farlo. I professionisti dell’arte culinaria storcono il naso, ma ora per molti editori di libri di cucina il numero dei follower dell’autore vende più del numero di stelle Michelin. The New York Times

Il libro Nadeesha Uyangoda

A mani vuote Bernardo Zannoni 25 Sellerio, 192 pagine, 16 euro Gero è un ragazzo che vive in una non ben specificata città di mare. Abita da solo nella casa che fu di suo nonno, mangia dalla zia che è l’unica persona che s’interessa a lui (e per questo sembra una creatura irreale, addirittura gli dice che la fotografia è “un lavoro serio”), esce di notte e dorme di giorno, non ha un lavoro, e il suo migliore amico ha appena tentato di

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suicidarsi. Il nuovo libro di Bernardo Zannoni è un secondo romanzo, figlio del successo di I miei stupidi intenti, che l’anno scorso ha vinto il premio Campiello. Ne replica lo stile minimalista, rendendolo ancora più asciutto per raccontare la quotidianità di una settimana qualunque di un venticinquenne qualunque. “Erano tutti perduti. Andavano a vuoto. Occupavano solo spazio”. È forse un romanzo meno composto e composito del

precedente, si porta dietro il pessimismo e lo usa per scavare nelle vite svuotate di giovani quasi adulti. Ne viene fuori a mani vuote, ma con frasi che ben cesellano quel galleggiare. Intorno a Gero, la vita si presenta incerta, sbilanciata verso nuove responsabilità: un ragazzo che scivola verso la morte, una ragazza che deve partorire, un pappagallo di cui prendersi cura, un nuovo lavoro. Eppure sono ombre fugaci, sfiorano tutto, non toccano nulla, nemmeno chi legge. u

I consigli della redazione

Esther Yi Y/N Edizioni e/o

Il romanzo

Michael Bible L’ultima cosa bella sulla faccia della terra Adelphi, 135 pagine, 16 euro ●●●●● La danza macabra tra religione e violenza è stata a lungo un punto fermo nella cultura degli Stati Uniti del sud. Il nuovo romanzo di Michael Bible, L’ultima cosa bella sulla faccia della terra, affronta questi orrori. Si apre con un coro greco di uomini di mezza età che raccontano la tragedia che ha trasfigurato l’atmosfera da cartolina di Harmony, nel North Carolina. Una domenica mattina del 2000, l’adolescente Iggy entra in chiesa durante una funzione battista e si cosparge di benzina, ispirato dai suicidi dei monaci buddisti. Mentre accende un fiammifero, il suo amico Johnny gli si avventa contro, scatenando un inferno che inghiotte il santuario e uccide venticinque fedeli, risparmiando in qualche modo Iggy, la madre bigotta di Johnny e un bambino di quattro anni. Da quel momento, il romanzo vaga avanti e indietro nel tempo, scandagliando vite distrutte sullo sfondo di cornioli in fiore e piogge di meteoriti. Bible conosce bene la regione della Bible belt, con i suoi segreti familiari, le tempeste estive, le rigide griglie sociali attraverso le quali il sesso scorre come l’acqua di un lago. Lo attirano le conseguenze della ribellione. I capitoli di gran lunga più avvincenti sono narrati da Iggy stesso nel 2006, mentre attende l’esecuzione nel braccio della morte, scrivendo un libro di memorie che fa da retroscena: “Ho fatto co-

MICHAELBIBLEWRITER.COM

In cerca di un senso

Michael Bible se orribili. Una volta ho investito mia madre, ho distrutto l’auto di uno sconosciuto e ho rubato tremila dollari a mio padre per comprare della droga”. Era andato alla deriva verso l’alcol e l’erba, formando un ménage à trois con la sua ragazza dai capelli tinti, Cleo, e il suo ragazzo aspirante ballerino, Paul. Bible cattura magnificamente la svogliatezza di questi outsider alla ricerca di un senso in un luogo dove c’è poco da fare se non guidare all’impazzata lungo strade secondarie, fumare canne e rimorchiare. I battisti portano Iggy in un campo di riabilitazione, dove è costretto a pentirsi dei suoi vizi e a raccogliere fondi per i viaggi missionari, ma tutto questo non fa che accendere il suo progetto di autoimmolazione. L’ultima cosa bella sulla faccia della terra è una breve meditazione sulla vita che scavalca i confini tra giusto e sbagliato: le vere colpevoli potrebbero essere le persone sul pulpito e sulle panche. Hamilton Cain, The New York Times

Karen Jennings Un’isola Fazi

Patrick Modiano La strada per Chevreuse Einaudi, 128 pagine, 16 euro ●●●●● Forse Patrick Modiano non è mai stato così vicino a Proust: non per lo stile, ma per il modo molto speciale di raccontare e riscoprire il suo tempo perduto. La strada per Chevreuse è la storia di un apprendistato già avvenuto, ricomposto dalla memoria, e che potrebbe concludersi, nelle ultime pagine, con la promessa di un’opera, proprio l’opera che stiamo leggendo. Prima di questo epilogo, la narrazione lavora, con una fluidità senza pari, per sovrapporre i tre periodi di una vita: un’infanzia lontana, che immaginiamo nasconda qualche segreto, nei pressi di Jouyen-Josas; la giovinezza negli anni sessanta; e infine il periodo contemporaneo, in cui Jean Bosmans, alter ego dell’autore, rivede la sua intera esistenza. Modiano fa rivivere le immagini di vecchi luoghi e i volti di personaggi che ha già incontrato in passato, e si sofferma sugli oggetti, piccoli segni che formano un passaggio segreto e discreto tra epoche diverse. Scivoliamo con loro dal presente al periodo dell’occupazione tedesca, dal quartiere di Saint-Lazare alla rue du Docteur-Kurzenne, dove la casa al numero 38 nasconde ancora un tesoro e un enigma irrisolto. Le sue pareti proiettano anche un’ombra inquietante, la sagoma del fratello assente, Rudy, scomparso a dieci anni. La strada per Chevreuse non è però un testamento né un romanzo triste. Più una riunione con il passato, che dà la strana sensazione di riportarci a un mondo lontano che non sappiamo più se abbiamo vissuto o sognato. Fabrice Gabriel, Le Monde

Francesca Coin Le grandi dimissioni Einaudi

Manuel Muñoz Le conseguenze Edizioni Black Coffee, 230 pagine, 18 euro ●●●●● I dieci racconti di Le conseguenze sono ambientati per lo più negli anni ottanta, nella vasta Central valley della California, un bacino agricolo favolosamente fertile che genera immense ricchezze per pochi e un lavoro precario e mal pagato per chi lavora nei campi. Il racconto di apertura comincia con questa frase: “La sua preoccupazione immediata era il denaro”. Delfina è nuova in città. Suo marito non è tornato dal lavoro nei campi, forse sequestrato dalle autorità. Mentre aspetta sui gradini di casa, l’avvicina una donna, Lis, che le propone di unirsi a lei per raccogliere pesche e dividere i guadagni. L’affitto va pagato entro un paio di giorni e Delfina accetta. Con immensa abilità Muñoz mostra come la privazione e la disperazione possano portare a scelte ignobili. Nel racconto che dà il titolo al libro, il solitario Mark incontra il vivace e attraente Teddy e presto gli chiede di trasferirsi a casa sua. Quando Teddy si ammala (forse di hiv), Mark mostra il suo vero volto e chiede a Teddy di tornare dalla sorella in Texas. Mark non riceve mai la telefonata che si aspetta da Teddy, in cui potrebbe scusarsi, e alla fine scopre che è morto. Percorre molte ore di macchina per raggiungere il funerale, dove capisce di non essere il benvenuto e dove prova finalmente l’amore che non riusciva a esprimere quando Teddy era vivo. Muñoz conferisce tenerezza e immediatezza a queste storie di segreti e nascondigli, desideri, vulnerabilità e fughe imperfette. David Hayden, The Guardian

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Cultura

Libri timo capitolo di Melvill, il figlio esaudisce la richiesta del padre e lo slega. A un certo punto si legge: “I morti che si prendono cura di noi perché noi ci prendiamo cura di loro e che spesso cerchiamo di dimenticare per poi renderci conto che non ci dimenticano e che non fanno altro che ricordarci che non possiamo mai dimenticare”, ed è in questa chiave che si può leggere l’intrepida rapsodia di Fresán, la sua visione della “balena bianca” della morte, che ci mobilita e insieme ci spaventa. Mariano Vespa, La Nación JJ Bola L’atto altruistico di respirare Frassinelli, 320 pagine, 19,90 euro ●●●●● “Mi viene spesso ricordato che provengo da un luogo in guerra”, pensa il protagonista del secondo romanzo di JJ Bola. E uno dei conflitti più estremi nella vita di Michael Kabongo,

un giovane insegnante di scuola superiore britannicocongolese, è quello tra il modo in cui appare (forte, apprezzato) e quello in cui si sente (suicida, inutile). A seguito delle crescenti pressioni sul lavoro e da parte di familiari e amici, Michael viaggia da Londra all’America, “per nessun motivo se non per romanticismo e poesia”. Preleva tutti i soldi dal suo conto in banca e, quando li ha finiti, pensa di togliersi la vita. Il libro racconta in prima persona gli eventi di Londra che hanno portato alla sua decisione, mentre capitoli alternati in terza persona seguono il suo viaggio attraverso gli Stati Uniti. Bola affronta l’eredità del colonialismo e il sentimento dei giovani uomini che temono di essere considerati “deboli”. La grandezza lirica è a tratti contaminata da un’aria di banalità, rischiando di trasmettere meno profondità di quella che annuncia. Jonathan McAloon, Financial Times

Non fiction Giuliano Milani

Bombe da buttare via Francesco Vignarca Disarmo nucleare Altreconomia, 192 pagine, 16 euro Il successo estivo del film Oppenheimer di Christopher Nolan, in sala mentre è in corso una guerra promossa da una potenza nucleare, ricorda a tutti che la bomba atomica esiste ed è ancora uno dei maggiori pericoli per l’umanità. Proprio dal test Trinity, la prima esplosione nucleare realizzata nel deserto del New Mexico nel luglio 1945 e al centro del film, parte il racconto di

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Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete italiana per il disarmo, che ripercorre la storia della proliferazione delle armi atomiche nel dopoguerra, la sua riduzione a partire dagli anni novanta, e la situazione attuale, offrendo dati utili sul numero di testate nucleari presenti in Europa e in Italia e sul loro costo economico e politico. Spiega quindi come fin da subito si sia formato un movimento di scienziati e di una parte della società civile, con un’importante presenza in Italia, che facendo

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pressione sulla diplomazia internazionale ha condotto prima al Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) del 1968 e più recentemente (nel 2017) all’apertura alla firma del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Tpnw). Vignarca spiega nel dettaglio il contenuto di questo nuovo accordo che, come verrà ricordato il prossimo 26 settembre in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione totale delle armi nucleari, costituisce una speranza concreta per uscire dall’incubo. u

Europa dell’est

BIRULIK

Rodrigo Fresán Melvill Mondadori, 312 pagine, 20 euro ●●●●● Rodrigo Fresán si cala in quel centro di gravità permanente che è l’autore di Moby Dick. Lo fa attraverso un romanzo immaginario su Allan Melvill, padre di Herman, mercante, viaggiatore, con un pedigree promettente ma assalito da una serie di disgrazie. Allan muore giovane e indebitato, al punto che la sua vedova elimina la “e” dal cognome per dissociarsene. L’autore combina un resoconto enciclopedico e misurato con inserti o note a piè di pagina piene di licenze, spazi in cui Herman parla per chiarire, impostare la scena o semplicemente sproloquiare. Immagina il ragazzo Herman ai piedi del letto del padre che prende appunti, mentre Allan, legato, monologa in una stanza di ospizio: una serie di deliri, metafore gelide e figure spettrali che corrono verso un orizzonte biancastro. Nell’ul-

Nikolaj Kononow La révolte Noir sur Blanc Sergej Solovëv (1916-2009) racconta la sua storia di giovane topografo che voleva solo dedicarsi alla passione per le carte geografiche. Come molti altri, fu sopraffatto dalla guerra e dalla repressione. Kononow è nato a Mosca nel 1980. Mikhail Chevelev Le numéro un Gallimard Nel 1984 Vladimir Llovitch è convocato negli uffici della polizia sovietica per un banale affare di mercato nero. Un incidente che gli cambierà la vita per sempre. Chevelev è un giornalista russo di opposizione nato nel 1959. Virgil Gheorghiu Dracula dans les Carpates Editions du Canoë Gli appassionati di vampiri rimarranno delusi dal romanzo, finora inedito, di Gheorghiu (Razboieni, Romania, 19161992). Più che un horror, è un’evocazione storica, mitica e fantastica delle tragedie romene del novecento. Maria Kassimova-Moisset Rhapsodie balkanique Editions des Syrtes Miriam è uno spirito troppo libero per la Bulgaria dei primi del novecento. Maria Kassimova-Moisset è una scrittrice bulgara nata nel 1969. Maria Sepa usalibri.blogspot.com

Cile 1973 Il governo di Allende, il golpe e la dittatura di Pinochet nella stampa di tutto il mondo

Internazionale storia

Cile 1973 Il governo di Allende, il golpe e la dittatura di Pinochet nella stampa di tutto il mondo A cinquant’anni dal colpo di stato 192 pagine di cronache e foto dalla stampa cilena e internazionale dell’epoca e analisi sul Cile di oggi In edicola, in libreria e online

INSERZIONE PUBBLICITARIA

SALUTE SENZA FRONTIERE LILT Salute e interculturalità per migliorare gli stili di vita delle comunità straniere. Il progetto propone un modello su misura e il coinvolgimento di chi può essere testimone di buone pratiche. Salute Senza Frontiere è il progetto avviato nel 2017 da LILT - Lega italiana per la lotta contro i tumori per promuovere la prevenzione oncologica e gli stili di vita salutari nelle comunità straniere. Il percorso punta ad attivare tra i migranti azioni per l’equità e l’inclusione nell’ambito della salute. Andare incontro alle persone; non imporre il proprio punto di vista ma accogliere le specifiche esigenze che si presentano; collaborare con esperti in diversi ambiti per fornire informazioni eterogenee; formare chi può svolgere il ruolo di ambasciatore del messaggio di LILT tra le persone delle diverse comunità di appartenenza, sono i pilastri principali di Salute Senza Frontiere. A fare la differenza nella sua efficacia è l’approccio “tailor made” che consente di adattare le iniziative alle caratteristiche culturali e ai bisogni specifici delle popolazioni target. Fare integrazione in ambito sanitario significa anche riuscire a coinvolgere in modo diretto chi, per vicinanza fisica, culturale e impegno professionale, può essere testimone di buone pratiche. SSF è giunto alla quarta annualità. La prima edizione è stata finanziata da LILT Nazionale con il programma del 5 per mille; la seconda e la terza edizione e l’edizione Academy sono state realizzate grazie al parziale finanziamento dei Community Award Program 2019, 2021 e 2022, promossi da Gilead Science.

Un corso per gli operatori Accanto a diverse iniziative di sensibilizzazione e prevenzione rivolte alle comunità straniere, sono previsti incontri gratuiti online sul tema della medicina transculturale e di comunità, aperti alla cittadinanza e dedicati in particolare agli operatori socio-sanitari ma anche a tutti coloro che sono interessati alla tematica. Etnopsichiatria, percezione della salute e della medicina in relazione alla religione, ma anche il vissuto della maternità nelle diverse culture, la differenza di approccio tra donne e uomini e i temi della sessualità e della contraccezione tra gli adolescenti stranieri sono tra i temi trattati, con il coinvolgimento di docenti universitari, mediatori culturali e psicopedagogisti. Sfatare luoghi comuni, migliorare le sensibilità ai temi più caldi legati alla salute e rafforzare le competenze sono tra gli obiettivi principali. Gli incontri (settembre e ottobre 2023) sono gratuiti e sulla piattaforma Zoom. Il percorso è patrocinato dal Comune di Milano, dal Comune di Monza e da Regione Lombardia.

La quarta edizione è realizzata in collaborazione con EngageMinds Hub – Consumer, Food & Health Research Center, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il primo Centro di Ricerca Italiano dedicato allo studio e alla promozione dell’engagement delle persone nelle condotte di salute. Il corso si inserisce all’interno di Salute senza frontiere Academy, l’edizione 2022 di Salute Senza Frontiere.

Inquadra per partecipare a uno o più incontri formativi

Cultura

Libri Ragazzi Imparare a cavarsela Angie Thomas Nic Blake. La profezia dell’incantatore Rizzoli, 400 pagine, 17 euro Angie Thomas è una garanzia. Ha il dono d’insegnare senza annoiare. Il suo The hate u give (Giunti 2017) è stato un unguento che ha lenito le ferite di un’America lacerata. Raccontando delle violenze a cui sono sottoposti gli adolescenti negli Stati Uniti, di pallottole che uccidono, di istituzioni pigre e a volte complici, ha dato una scossa a un sistema che accettava passivamente l’odio razziale. E lo ha fatto con la grazia di una scrittura lineare ma immaginifica. Nic Blake. La profezia dell’incantatore è il primo volume di una trilogia dove il fantasy è coniugato con la vita in una grande metropoli, ed è subito balzato in testa nella classifica dei best seller del New York Times. La protagonista è una ragazza di dodici anni di nome Nichole, che però tutti chiamano Nic. È una creatura straordinaria in mezzo a un mondo di ordinari. E ha un dono, anche se non sa bene cos’è e cosa deve farci. Il racconto è un susseguirsi di avventure, momenti catartici, colpi di scena e personaggi che vanno oltre il misterioso. Ci sono giganti, maghi, veggenti, mutaforma, perfino vampiri. Ma la storia reale è quella di ragazze e ragazzi che si trovano in bilico tra due mondi e devono imparare a cavarsela. Igiaba Scego

Ricevuti Saghar Setareh Melograni e carciofi. Ricette e ricordi di un viaggio dall’Iran all’Italia Slow food editore, 288 pagine, 35 euro Una raccolta di ricette iraniane, mediorientali e italiane. Giuseppe Nucci Along the Shepherds’ highways Crowdbooks, 150 pagine, 39 euro Nel volume curato da Rosy Santella, un viaggio lungo le antiche strade della transumanza nel sud dell’Italia, alla scoperta di tradizioni millenarie sopravvissute fino a oggi.

Fumetti

Semplice ma profondo Nadine Redlich Paniktotem Rulez, 96 pagine, 16 euro La prima qualità del lavoro di Nadine Redlich è la bellezza del suo segno grafico. Questa giovane autrice tedesca riesce a mantenere un’unità non solo stilistica – malgrado giochi su una certa disomogeneità – ma anche d’intenti, che pare interpretare la complessità della vita mediante un’apparente semplicità del tratto, molto pulito, e della costruzione della sequenza. Ed è qui che Redlich dimostra di padroneggiare al meglio una seconda specificità: la cosiddetta contemplazione plastica globale della sequenza all’interno della tavola, che si offre al lettore in un colpo d’occhio, contrariamente al cinema dove è un flusso che si scopre gradualmente. Sono i due strumenti principali dell’autri-

ce per veicolare l’umorismo surreale presente in questa raccolta di sequenze, di una pagina o di quattro al massimo, unite a diversi disegni a tutta pagina. La sua sembra appunto una ricerca della profondità espressa dalla totale semplicità apparente anche grazie a un segno dall’espressività diabolica. La sua magia fa vivere buffi personaggi che vanno e vengono e dai quali non vogliamo più separarci, come l’informe essere spugnoso di colore giallo o un cane bianco, e che anzi speriamo di ritrovare in futuro proprio come succede nel fumetto popolare. Trasfigurando ogni stress nel suo mondo fondato sul nonsense, e rovesciando la logica del reale, Redlich ci rivela, divertendoci, quanto sia insensato il nostro quotidiano. Francesco Boille

Stefano Valenti Cronache della sesta estinzione Il Saggiatore, 160 pagine, 17 euro Dopo aver perduto tutto, un uomo affetto da malinconia decide di rinascere costruendosi una nuova vita. Lukas Bärfuss Koala L’Orma editore, 144 pagine, 16 euro Romanzo autobiografico che, attraverso una riflessione sulla violenza e sul rapporto tra essere umano e mondo animale, difende le ragioni della pigrizia e della libertà di rinunciare. Katerina Poladjan La musica del futuro Sem, 160 pagine, 18 euro Nella distesa siberiana, nonna, madre, figlia e nipote vivono in un piccolo edificio comunitario sotto l’intonaco fatiscente di un’epoca passata.

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Cultura

Suoni Podcast Il divieto che uccide

Dal Canada

Flavia Campeis ¿Dónde está Paula? Erre Podcast La sera del 18 settembre 2011 a San Lorenzo, in Argentina, la trentaseienne Paula Perassi riceve una telefonata verso le sette di sera ed esce di casa. Sarà l’ultima volta che suo marito e i due figli di sei e due anni avranno sue notizie. Dopo qualche giorno i genitori, grazie alle confidenze di alcune amiche, scoprono che Paula aveva da qualche mese una relazione extraconiugale e che era incinta di sei settimane. Dopo nove anni d’indagini e un processo, nel 2020 l’imprenditore Gabriel Strumia e la moglie vengono condannati a diciassette anni di carcere per aver costretto Paula a sottoporsi a un aborto clandestino e per aver fatto sparire il suo corpo dopo l’esito mortale dell’intervento. La condanna è arrivata negli stessi mesi in cui per la prima volta il paese ha introdotto la possibilità d’interrompere una gravidanza entro le prime quattordici settimane. Prima, quindi anche ai tempi della morte di Perassi, era consentito solo in caso di stupro o di rischio per la vita della gestante. Il podcast di Flavia Campeis ricostruisce con un ritmo serrato la ricerca di Perassi, l’indagine e il processo, soffermandosi sulla responsabilità politica di un proibizionismo che alimenta solo pratiche illegali e pericolose. L’autrice sarà ospite di Mondoascolti al Festival di Internazionale a Ferrara per far sentire alcuni estratti del podcast e discuterne con il pubblico. Jonathan Zenti

L’esordiente Debby Friday ha ricevuto il premio per il disco canadese dell’anno

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La giovane cantante Debby Friday ha vinto il Polaris music prize, il più importante premio musicale canadese, per il suo primo album, Good luck, pubblicato a marzo dall’etichetta statunitense Sub Pop, la stessa che negli anni novanta diede alle stampe gli album di gruppi grunge come i Nirvana. “Sono sotto shock”, ha dichiarato l’artista il 19 settembre, quando è salita sul palco a Toronto per ritirare il premio dal vincitore dello scorso anno, Pierre Kwenders. “Sono nata in Nigeria, in un piccolo villaggio, e ora sono qui. Sembra un mi-

MATT WINKELMEYER (GETTY)

Buona fortuna

Debby Friday, luglio 2023 racolo”. Good luck è caratterizzato da una serie d’influenze che spaziano dalla techno al punk, ed è stato prodotto dalla stessa Friday insieme al compositore Graham Walsh. La rosa dei candidati includeva anche gli album Blue rev degli Alvvays, Multitudes di Feist e Never enough di Daniel

Caesar, oltre a lavori di Aysanabee, Begonia, Dan Mangan, Gayance, the Sadies e Snotty Nose Rez Kids. Alla cerimonia di premiazione Friday ha eseguito le sue canzoni What a man e So hard to tell con l’accompagnamento degli archi. “Sono sempre stata un po’ strana, diversa dalle altre persone”, ha dichiarato. “Questo in realtà è un dono e penso che sia molto importante proteggere le cose che ci rendono diversi”. Sono saliti sul palco anche altri candidati tra cui i Sadies, Aysanabee, Begonia e Snotty Nose Rez Kids. I finalisti Feist e Daniel Caesar non hanno potuto partecipare a causa d’impegni precedenti. Cbc Music

Canzoni Claudia Durastanti

Ariete somiglia a se stessa Quando ho visto che Olivia Rodrigo farà qualche data del tour con le Breeders, da una parte me l’aspettavo – accreditarsi presso l’indierock nobiliare di Kim Deal e Tanya Donelly è una mossa intelligente quanto prevedibile – dall’altra mi sono chiesta perché non prendere coraggio e chiamare Avril Lavigne, di cui Rodrigo è la più legittima erede. Forse sarebbe stata una scelta troppo vicina a casa, dato che il loro pop-punk ha una comune matrice genetica, ma è come quando uscì il disco domestico di Fiona Apple, che

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era bellissimo, ma non ricordava solo Yoko Ono o Steve Reich, ricordava anche alcune cose di Tori Amos degli anni novanta. Nel gioco dei riferimenti, ci sono evidentemente delle cose di cui ci si vergogna, e che suscitano timidezza nei critici ancor prima che negli artisti in questione: perché mai ci si ricorda di canzoni o album “medi” del genere? Come quando si ha una cotta per qualcuno e ci si vergogna di confessare che si ricorda tutto di quella persona, perfino il colore dell’involucro della caramella che ha scartato la

prima volta che siete usciti insieme. Quel che mi piace di Ariete è l’esplicita assenza di questa vergogna, anche se nei suoi atti di denudamento resta una fragilità, come si evince anche da Rumore, singolo che anticipa il suo prossimo album La notte. È proprio la sua schiettezza o la sua capacità di scatenare l’incidente progressivo dell’intimità a far sì che, malgrado la riconoscibilità delle sue basi o dell’it-pop più gentile, Ariete abbia una personalità così netta e sia una cantautrice che somiglia soprattutto a se stessa. u

Resto del mondo Scelti da Marco Boccitto

Bombino, Sahel Partisan

Mitski

EBRU YILDIZ

Album

Irreversible Entanglements Protect your light Impulse! ●●●●● Se mai c’era una band perfetta per la storica etichetta jazz Impulse!, quello era il quintetto free degli Irreversible Entanglements. Ora, dopo tre album con la più piccola International Anthem, è successo e, si spera, per loro ci saranno più visibilità e riconoscimento. Gli Irreversible Entanglements si sono formati nel 2015 quando la poeta Camae Ayewa (in arte Moor Mother), il sassofonista Keir Neuringer e il bassista Luke Stewart hanno preso parte a una manifestazione di Musicians against police brutality a New York. Gli otto brani del loro ultimo album si rivolgono sia agli oppressori sia agli oppressi, attraverso una sequenza di lamenti, grida e inni di battaglia. Come la musica di Fela Kuti, quella del gruppo statunitense è tanto un’esortazione a cogliere l’attimo quanto una denuncia dell’ingiustizia e dello sfruttamento. C’è un punto di partenza per ogni brano: a volte è un ostinato giro di basso, altre un ritmo di batteria, altre ancora una melodia dei fiati,

da cui in seguito si sviluppa il resto del brano. In effetti, spesso vengono suggeriti paragoni con il quartetto di Ornette Coleman insieme a Don Cherry. Chris May, All About Jazz Joe Hisaishi A symphonic celebration. Musica dai film di Hayao Miyazaki Dg ●●●●● Alfred Hitchcock e Bernard Herrmann o Steven Spielberg e John Williams sono celebri coppie regista-compositore. Un’altra è Hayao Miyazaki e Joe Hisaishi, i padri fondatori del giapponese Studio Ghibli,

PIPER FERGUSON

Mitski Land is inhospitable and so are we Dead Oceans ●●●●● Il settimo disco di Mitski è pieno di pedal steel, violini, cani ululanti e trombe tex-mex. Stavolta l’artista, acclamata come “la migliore giovane cantautrice americana”, suona come il fantasma vendicativo di Nancy Sinatra, mentre descrive un paese allo stremo. Nata in Giappone nel 1990 da padre statunitense e madre giapponese, Mitski Miyawaki ha vissuto in tredici paesi diversi. “Non mi sono adattata a nessuno di quei posti, ma mi sono sempre considerata americana”, ha detto nel 2016. Stabilitasi negli Stati Uniti a quindici anni, è rimasta traumatizzata quando ha capito che non apparteneva neanche a quel luogo. Oggi sta rafforzando le sue crude narrazioni country con un tocco di melodramma che la fa sembrare una donna persa per le praterie con stivali alti fino alla coscia. “Crescendo ho imparato che sono una bevitrice”, confida nel pezzo d’apertura Bug like an angel. Il suo tocco geniale è quello di aggiungere un coro che offre un senso di consolazione comunitaria. Ho apprezzato i momenti più bizzarri dell’album, quando Mitski porta nelle orchestrazioni una goccia sperimentale di Scott Walker, come in The deal. Le sottili melodie di The land is inhospitable and so are we hanno bisogno del loro tempo per conquistare. Quindi dategli tempo e spazio di notte, quando siete soli, per permettere alla loro oscurità selvaggia di risplendere. Helen Brown, The Independent

Gregory Isaacs In person Dr. Bird

Sinikka Langeland Wind and sun Ecm

che ha realizzato molti film d’animazione familiari a bambini, genitori e nonni. La musica di Hisaishi per i dieci film di questo disco riflette l’arguzia, la giocosità e il fascino del lavoro di Miyazaki, per esempio nel Castello errante di Howl (2004), con la fantasia musicale di un tema di valzer che accompagna dodici coloratissimi minuti del film. Come direttore d’orchestra, arrangiatore e produttore di questo album, Hisaishi non poteva desiderare una squadra migliore: la Royal Philharmonic Orchestra, il coro della Tiffin school, il Bach Choir e Grace Davidson, soprano dalla voce eterea di tanti film, danno il massimo con la vera festa corale di Ponyo sulla scogliera (2008). Entusiasmante anche la sincopata Hey let’s go da Il mio vicino Totoro (1988). Altri titoli portano ulteriori delizie, per esempio Kiki – Consegne a domicilio (1989), dove il tema di apertura ha l’innocenza infantile che è il marchio di fabbrica Ghibli. Miyazaki e Hisaishi sono un binomio regista-compositore che sta bene in compagnia con Blake Edwards e Henry Mancini, i maghi della Pantera rosa. Adrian Edwards, Gramophone

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Pop L’arte della compressione Richard Hughes Gibson In quell’istante affondò nel laghetto. L’uomo magro, che lo teneva per la mano destra, improvvisamente aveva lasciato la presa. “Oh!”. “È caduto!”. “È caduto!”. Gli astanti stavano strepitando per avere una vista migliore quando improvvisamente furono spinti da dietro e sprofondarono anche loro nel laghetto. La risata chiara e acuta dell’uomo magro si udiva al di sopra del frastuono. L’uomo magro attraversò di corsa il ponte come un cane nero e scappò verso la città buia. “È scappato!”. “Maledizione!”. “Era uno scippatore?”. “Un pazzo?”. “Un detective?”. “È il tengu del monte Ueno!”. “È il kappa del lago Shinobazu!”. L’incidente del cappello, di Yasunari Kawabata, 1926 per l’estate le serve vestito carino cotone cotone notoce coonet tcooen toocen toonec tocnoe tocone toceon contoe Appunti durante lunga conversazione con mamma, di Lydia Davis, 2014

RICHARD HUGHES GIBSON

è professore d’inglese al Wheaton college, nell’Illinois, Stati Uniti. Questo articolo è uscito sul sito del periodico accademico statunitense The Hedgehog Review. Il titolo originale era The art of compression. Conjuring a fiction out of almost nothing.

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osa distingue esattamente il racconto dal romanzo? Come ha osservato lo scrittore scozzese William Boyd, la questione è più complicata di come potrebbe sembrare. Chi scrive romanzi e racconti, fa notare Boyd, usa gli stessi “strumenti letterari”, come personaggi, trama, ambientazione, titolo e dialogo, e sulla pagina il risultato – frasi e paragrafi – è lo stesso. La tentazione è quella di rispondere alla domanda rifugiandosi nella differenza più ovvia: i racconti sono semplicemente più corti dei romanzi. Già alla fine dell’ottocento, i critici scrivevano che questa risposta non era abbastanza soddisfacente.

C

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Nel 1885, in The philosophy of the short-story (La filosofia del racconto), uno dei primi tentativi di definire il genere, il critico statunitense Brander Matthews sosteneva che il tratto distintivo del racconto non sia la lunghezza in sé (“Un racconto di lunghezza breve può scriverlo chiunque sappia scrivere”). Secondo Matthews, a definire il racconto sono l’originalità, l’inventiva e, soprattutto, la “vigorosa compressione”. Su quest’ultimo punto, afferma che nel racconto conta ogni parola, a differenza del romanzo, dove lo scrittore è libero di divagare. La forma del racconto richiede un certo grado di disciplina nella pianificazione e nell’esecuzione che, secondo Matthews, manca a molti romanzieri di successo. Anche se il suo nome è ricordato di rado, la sua tesi della “compressione” è stata ripresa nelle antologie, nei manuali e nei saggi di critica letteraria per più di un secolo. William Boyd, per esempio, contrappone la “compressione” del racconto breve all’“espansione” del romanzo. Scrittori e critici da tempo riconoscono che è anche il pubblico a esercitare una certa pressione. Il racconto è stato fin dall’inizio una forma profondamente moderna: pubblicati originariamente su giornali e riviste, e letti su treni e autobus, erano il materiale ideale per chi non aveva il tempo o la pazienza di leggere un romanzo. Il concetto è stato sintetizzato bene da un mentore della scrittrice Olivia Clare Friedman: con il racconto “il timer parte appena leggi la prima frase”. Ma per quanto deve andare avanti il timer? Per venti pagine? Trenta? Quaranta? Cinquanta? Per più di un secolo, gli scrittori sono andati anche nell’altra direzione, cimentandosi con le forme più brevi del genere. Negli anni venti, per esempio, un giornalista di Cosmopolitan sperimentò la pubblicazione di racconti che potevano essere stampati su poche pagine, anche una di seguito all’altra, in ottemperanza al principio che, come osservava W. Somerset Maugham (a sua volta collaboratore della testata), “al pubblico non piace cominciare un racconto e, dopo averne letto un po’, sentirsi dire che devono sfogliare fino a pagina cento e qualcosa” in fondo al giornale. Negli ultimi quarant’anni, gli scrittori hanno mostrato una sempre maggiore inclinazione alla brevità, producendo una nuova tassonomia di forme brevissime che hanno preso nomi come microfiction, nanofiction o flash fiction (categoria quest’ultima che può comprendere tutte le altre). Per gli insegnanti di

GABRIELLA GIANDELLI

scrittura creativa la forma flash ha un chiaro vantaggio: si può ragionevolmente chiedere agli studenti di scrivere i loro microracconti nell’arco di una settimana o due. Inoltre, come i critici hanno già sottolineato fino alla nausea, la flash fiction si addice all’epoca del tweet, in cui si può contare sempre meno sull’attenzione dei lettori. Ma i racconti brevissimi non sono necessariamente una concessione alle esigenze di praticità dei corsi di scrittura, a internet o a una soglia dell’attenzione ridotta. A volte, come ci mostrano i due estratti che ho messo all’inizio, sono anche una seria esplora-

zione delle possibilità della compressione estrema. Nel primo esempio abbiamo la fine di uno dei famosi racconti “in un palmo di mano” dello scrittore giapponese Yasunari Kawabata, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1968, che coniò la definizione nel 1925. La data è importante: come gli Stati Uniti al tempo di Brander Matthews, la scena letteraria giapponese dei primi anni venti pullulava di riviste che andavano alla ricerca di contributi stringati. Kawabata considerava i suoi minuscoli racconti come un modo per mediare tra il passato e il presente. Anche se scritta in prosa e spesso incentrata sulla vita Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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GABRIELLA GIANDELLI

Pop

Storie vere Tornando a casa Johnny Abney di Dallas, in Texas, Stati Uniti, ha trovato la porta aperta e l’appartamento completamente vuoto. “Mobili, vestiti, la tenda della doccia, la verdura che avevo in frigo: non c’era più niente”, ha raccontato Abney, che ha subito chiamato la polizia. Il mistero si è risolto contattando l’agenzia immobiliare che gli aveva affittato l’appartamento. “C’è stato un equivoco”, ha dichiarato un dipendente dell’agenzia. “Dovevamo svuotare l’appartamento accanto”.

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moderna, la narrativa brevissima gli sembrava un’estensione naturale della predilezione giapponese per il minimalismo letterario caratteristico di forme poetiche come l’haiku. L’incidente del cappello mostra immediatamente i segni dell’arte della compressione: nella traduzione dal giapponese l’azione si esaurisce in appena tre pagine e mezzo, dura pochi minuti e si svolge in un unico luogo, il ponte della luna sul laghetto Shinobazu, nel parco Ueno, a Tokyo. L’incidente del titolo si riferisce a un giovane senza nome che fa cadere il cappello nel laghetto ed è invitato a recuperarlo da un “uomo magro” dalla “voce severa”. “Afferrando la mano dell’uomo magro con la destra”, scrive Kawabata, “e appoggiando la sinistra sul bordo, l’uomo si cala lungo il pilone del ponte” per acchiappare il cappello con le dita dei piedi. Mentre il giovane tenta di risalire sul ponte, l’uomo magro gli lascia la mano facendolo cadere nel laghetto insieme al cappello. “Strepitando per avere una vista migliore”, gli astanti sono a loro volta spintonati nel fiume dall’uomo magro, che si dilegua nella notte. Nelle battute conclusive la folla azzarda diverse teorie sulla sua identità. Si noti che i primi tre suggerimenti corrispondono a personaggi tipici della città moderna: lo scippatore, il pazzo e il detective. Gli ultimi due, invece, sono figure d’imbroglioni del folklore giapponese: il tengu è uno spirito della terra, il kappa è un folletto dell’acqua. Poiché il racconto a questo punto s’interrompe, anche il lettore non sa bene come giustificare questi curiosi eventi. Dobbiamo propendere per una spiegazione naturalistica? (È pazzo!). O per una soprannaturale? (È un demone!). Questo problema d’interpretazione ci fa tornare con occhi nuovi alla descrizione iniziale dell’am-

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biente. Il ponte della luna è un elemento classico dell’architettura paesaggistica giapponese, e la struttura e la luna che ci si riflette appartengono al mondo dei simboli tradizionali, insieme ai fiori di loto che punteggiano il laghetto. Kawabata sovrappone a queste attrazioni l’intrusività della città moderna. In modo particolare le “luci delle pubblicità” che proiettano sull’acqua nomi di marche – come “DENTIFRICIO LEONE” – e distraggono i visitatori dal magnifico riflesso della luna (le increspature create dalla brezza della sera lo fanno sembrare “un pesce dalle scaglie dorate”). Come hanno a lungo osservato i critici, la compressione dei racconti “in un palmo di mano” spesso crea ambiguità difficili da decifrare: il lettore non ha abbastanza informazioni per capire le motivazioni di un personaggio o se ciò che pensa che sia successo è successo davvero. In molti racconti le regole fondamentali della realtà sono opache: in questo caso un problema esacerbato dall’amore di Kawabata per il fantastico e il folkloristico. Nel palmo della mano del lettore, l’autore presenta un ritratto in miniatura – vivido e misterioso come un haiku – del Giappone che si sta modernizzando. A confronto della mia seconda selezione, i racconti in un palmo di mano di Kawabata sembrano perfino generosi. La scrittrice e traduttrice statunitense Lydia Davis è spesso citata tra i maestri della flash fiction, anche se questa osservazione è anacronistica perché l’autrice già componeva narrativa brevissima prima che il termine fosse di uso comune. Molti racconti di Davis sono lunghi uno o due paragrafi, alcuni addirittura una o due frasi. Prendiamo Companion (Compagna): “Siamo sedute qui insieme, io e la mia digestione. Io sto leggendo un libro e lei è intenta a lavorare sul pranzo che ho consumato poco fa”.

Nel testo che ho scelto all’inizio, Davis si supera nell’esercizio dell’arte della compressione. Al lettore sono forniti solo i rudimenti di una frase (“per l’estate le serve / vestito carino cotone”), seguiti da una serie di rimaneggiamenti delle lettere della parola “cotone”. Ci si potrebbe chiedere – come forse state facendo in questo momento – se questi pochi scampoli equivalgano effettivamente a un racconto. La domanda è giusta, perché qui Davis sta testando apertamente il minimo richiesto dalla narrativa. Lo ammette lei stessa, scrivendo dei suoi primi esperimenti con l’austerità estrema: “Volevo vedere quanto riuscissi a rendere breve uno scritto e dargli comunque un senso”. A questo proposito è istruttivo ricordare (come fa Davis) il leggendario racconto di sei parole – “Vendesi. Scarpe da bambino. Mai indossate” – attribuito a Ernest Hemingway dall’agente letterario Peter Miller. Miller raccontò che Hemingway aveva vinto una scommessa sulla forza del racconto con alcuni colleghi scrittori. In seguito, il maestro della fantascienza Arthur C. Clarke scrisse a un amico che non riusciva “a pensarci senza piangere”. Perché? Il successo del racconto dipende moltissimo dal contributo del lettore. Innanzi tutto deve riconoscere quel “Vendesi” come la formula tipica degli annunci economici dei quotidiani (la parte dove la gente comune pubblicava ciò che le serviva o voleva mettere in vendita). Poi deve dare una spiegazione del perché le scarpe da bambino non siano mai state indossate. Qui il gusto di Hemingway per il tragico influenza il nostro giudizio: il bambino dev’essere morto! (In realtà, ci sono molti altri scenari plausibili, per esempio che il bambino avesse i piedi troppo grossi). Anche il racconto di Davis richiede un certo lavoro di assemblaggio. Il titolo fornisce una chiave interpretativa – chiamata con mamma – con cui decifrare

Poesia

RAGNAR HELGI ÓLAFSSON

Fotografia

è un autore e artista visivo islandese nato nel 1971. Dirige la casa editrice Tunglið Forlag, che pubblica nelle notti di luna piena. Questo testo è tratto da un volume di “fogli sciolti” uscito nel 2021. Traduzione dall’islandese di Silvia Cosimini.

Forse il motivo per cui trovo tanto strano che tu possieda questa foto di questo tizio che dorme è che quel tizio sono io ma io non l’ho mai visto dormire Ragnar Helgi Ólafsson

quel che segue. Allo stesso tempo, l’interesse della storia nasce dal modo in cui si articola il titolo. Dopo le prime due righe, gli appunti non sono più dei promemoria ma anagrammi senza senso. Nella mia lettura, sono tentativi falliti di combattere la noia (è una lunga conversazione, dopotutto). In questo caso, dunque, più che leggere un racconto stiamo usando l’artefatto – una pagina strappata dal taccuino della narratrice – per creare la trama. L’arte della compressione è il trionfo dell’inferenza. Per lo scrittore di racconti brevi, sosteneva Matthews nel 1885, “più che per chiunque altro, la metà è più del tutto”. Era una buona stima per quei tempi. I nostri esempi suggeriscono che a volte basta un ottavo, o un sedicesimo, o ancora meno. Il virtuoso del racconto brevissimo sa tirare fuori una storia quasi dal nulla. u fas

Altri animali Leonardo Caffo

A lungo termine In Come essere un buon antenato (Edizioni Ambiente 2023) Roman Krznaric, professore di filosofia a Oxford e grande voce del pensiero filosofico contemporaneo, prova a invertire i termini narrativi con cui pensiamo al presente e al futuro: il futuro è già nel presente, stiamo lavorando ogni giorno per l’eredità di qualcuno che non conosciamo ma di cui siamo responsabili. È un’evoluzione della celebre teoria del tempo come eterno ritorno, nel senso che in questo caso il futuro è già tornato: siamo noi stessi. Il capitalismo ha spinto

il pensiero e la politica verso una visione a breve termine, ma per tenere conto allo stesso modo di ambiente, animali ed esseri umani che verranno dobbiamo prendere sul serio l’idea che siamo qui di passaggio e lavoriamo per figli nostri e di altri. Il neoliberismo ha offerto al mondo un modello economico che nega la realtà del futuro, un modello destinato ad aggravare le disuguaglianze del presente. Sono già un miliardo le persone che non hanno da mangiare, e aumenteranno. Da forme di vita diverse da quella umana possia-

mo imparare modelli alternativi. Noi siamo gli antenati di chi verrà a breve, le scelte che facciamo oggi determinano le loro possibilità: prendiamoci cura del mondo vivente, anche e soprattutto di quello non umano, e ci prenderemo cura dei nostri figli. Ha ragione Krznaric: l’umanità è un unico immenso corpo senza storia, disteso sullo scorrere degli eventi. u Roman Krznaric incontrerà Leonardo Caffo il 30 settembre al festival di Internazionale a Ferrara. Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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29, 30 settembre e 1 ottobre

Il programma del festival è online internazionale.it/festival

Internazionale a Ferrara è promosso da Internazionale Comune di Ferrara Ferrara feel the festival Regione Emilia-Romagna Università degli studi di Ferrara Fondazione Teatro Comunale Comune di Cento Comune di Portomaggiore Arci Ferrara Progetto Polimero Associazione IF

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Scienza In Italia Si riparte a ottobre

ANGELO MONNE

u I vaccini aggiornati prodotti dalla Pfizer e dalla Moderna dovrebbero arrivare in Italia all’inizio di ottobre. Nello stesso periodo dovrebbe partire la nuova campagna vaccinale, che darà la precedenza alle persone con più di sessant’anni, ai soggetti fragili, alle donne in gravidanza e agli operatori sanitari. Chiunque abbia ricevuto l’ultima dose o si sia ammalato da almeno tre mesi potrà comunque ricevere il farmaco. La vaccinazione si potrà fare anche in farmacia o dal medico di base. Ansa

SALUTE

È ora di rifare il vaccino contro il covid Prakash e Mitzi Nagarkatti, The Conversation, Australia La diffusione di nuove varianti e il calo dell’immunità stanno favorendo la ripresa dei casi. Per questo i medici consigliano a tutti di vaccinarsi con i farmaci aggiornati l primo vaccino contro il covid uscito nel dicembre 2020 era monovalente, cioè agiva solo contro il virus originale sars-cov-2. Quel farmaco aveva senso prima che il virus cominciasse a mutare in una lunga serie di varianti e sottovarianti. Ma via via che la sua struttura è cambiata, gli anticorpi prodotti in risposta al primo vaccino sono diventati meno efficaci. Nel 2022 è stato quindi necessario sviluppare nuovi vaccini “bivalenti”, efficaci sia contro il ceppo originario, sia contro le varianti allora dominanti, come le omicron Ba.4 e Ba.5. Com’era prevedibile, però, hanno continuato a spuntarne altre. Nel giugno 2023 la Food and drug administration (Fda) statunitense ha chiesto alle case farmaceutiche di creare un nuo-

I

vo vaccino capace di contrastare la sottovariante Xbb.1.5 e ha quindi approvato un vaccino monovalente a mRna. Purtroppo negli Stati Uniti l’Xbb.1.5 non è più dominante, ma è stata soppiantata da altre varianti. Questo ha suscitato preoccupazione sulla potenziale efficacia del nuovo prodotto. Ora la variante più diffusa nel paese è l’Eg.5, anche nota come Eris, seguita dalla Fl.1.5.1 – chiamata Fornax – e dall’Xbb.1.16.6. Nel frattempo in tutto il mondo si sta diffondendo la Ba.2.86, una variante dell’omicron che presenta molte mutazioni, soprannominata Pirola. I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) statunitensi consigliano a chiunque abbia più di sei mesi di fare un vaccino aggiornato. Secondo l’agenzia chi ha ricevuto il bivalente del 2022-2023 “è stato più protetto dalla malattia e dal ricovero rispetto a chi non l’ha fatto”. I medici raccomandano di fare sia il vaccino contro il covid sia l’antinfluenzale prima della fine di ottobre. I Cdc ritengono che la variante Ba.2.86 potrebbe infettare anche chi è stato vaccinato o ha già avuto il covid. Tuttavia si aspettano anche che i farmaci aggiornati

riescano a evitare gli effetti gravi della malattia e a limitare i ricoveri. Ad agosto la Moderna ha riferito che il suo nuovo vaccino monovalente a mRna ha prodotto un “significativo aumento” degli anticorpi che proteggono da due delle varianti ora in circolazione, l’Eg.5 e l’Fl.1.5.1. L’azienda inoltre ha annunciato che i test sugli esseri umani hanno rilevato un aumento di 8,7 volte degli anticorpi efficaci contro l’ultima variante Ba.2.86 in seguito alla somministrazione del vaccino aggiornato. I dati della Pfizer dimostrano che anche il suo nuovo vaccino a mRna produce anticorpi in grado di neutralizzare le varianti Xbb.1.5, Ba.2.86 ed Eg.5.1. Queste prime ricerche indicano che i nuovi vaccini a mRna, anche se studiati contro l’Xbb.1.5, sono comunque efficaci contro alcune delle varianti prevalenti. Gli anticorpi prodotti dopo aver contratto il covid o ricevuto il vaccino durano circa sei mesi per poi cominciare a diminuire. Un anno dopo resta solo una minima quantità di anticorpi. Ecco perché se è passato un anno dall’ultima iniezione o dal covid i medici consigliano di vaccinarsi di nuovo. Ormai è accertato che i vaccini non proteggono completamente dalla possibilità di ammalarsi, ma possono rendere la malattia più leggera o più breve. Inoltre offrono una notevole protezione dal ricovero e dalla morte e possono contribuire a evitare il long covid. In genere le infezioni virali hanno il loro picco in inverno, motivo per cui gli esperti suggeriscono di vaccinarsi contro il covid e l’influenza nei mesi di settembre e ottobre. u sdf Prakash e Mitzi Nagarkatti insegnano immunologia all’università della South Carolina, negli Stati Uniti. Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Scienza CDC

RICERCA

ZOOLOGIA

Gli studi più improbabili

Una canzone intelligente

Lo sapevate che i paleontologi leccano le rocce? Lo fanno perché su una superficie bagnata le particelle minerali risaltano meglio, e quindi è più facile dedurre la composizione chimica delle formazioni rocciose. La tecnica è salita sul podio della cerimonia degli Annals of improbable research, che dal 1991 assegna gli IgNobel alle ricerche scientifiche più bizzarre. Quest’anno il premio per la medicina è andato a uno studio che ha contato i peli nelle narici di cadaveri umani per aiutare a curare l’alopecia nei vivi. Quello per la salute pubblica è stato assegnato alla toilette intelligente di Stanford, capace di analizzare in tempo reale le urine e le feci: una striscia reattiva rileva i segni di infezioni batteriche, diabete e altre malattie, un dispositivo ottico calcola la velocità e la quantità dell’urina, e un sensore identifica il soggetto in base alle caratteristiche uniche del suo ano. L’IgNobel per l’ingegneria meccanica è andato all’esperimento che ha trasformato i ragni morti in utili “pinze necrobotiche”, e quello per la fisica a uno studio che ha misurato quanto il movimento dell’acqua dell’oceano è influenzato dall’attività sessuale delle acciughe. Nella categoria nutrizione si è distinta una ricerca giapponese su come bacchette e cannucce elettrificate possono cambiare il gusto del cibo. Tra gli altri premi: un esperimento statunitense che ha contato quanti passanti per strada si fermano a guardare verso l’alto quando vedono altri che lo fanno; uno studio spagnolo sulle caratteristiche neurocognitive di due persone che parlano al contrario e una ricerca sulla sensazione di jamais vu (il contrario di déjà vu) che si ha quando una parola nota ripetuta molte volte finisce per sembrare sconosciuta.

Science, Stati Uniti Gli uccelli capaci di apprendere canti complessi tendono a essere più intelligenti. Uno studio pubblicato su Science ha considerato una particolare forma di intelligenza, la capacità di risolvere i problemi, prendendo in esame più di duecento esemplari appartenenti a 23 specie selvatiche e domestiche. I ricercatori hanno verificato i tipi di richiami emessi e la complessità del canto. Gli uccelli che apprendevano le vocalizzazioni elaborate erano anche i più abili nel risolvere i problemi. Nell’esperimento infatti gli animali dovevano risolvere un compito, come l’apertura di un contenitore, per poter ottenere una ricompensa. Quelli più intelligenti tendevano ad avere anche un cervello relativamente più grande. Negli esseri umani il legame tra apprendimento del linguaggio e intelligenza è ben noto, ma non è facile verificare un rapporto simile negli uccelli. Alcune caratteristiche associate all’intelligenza, come l’autocontrollo, non sono invece risultate correlate alla capacità di apprendimento del canto. La ricerca potrebbe quindi aiutare a capire le basi neurobiologiche di alcuni aspetti dell’intelligenza. ◆

IN BREVE

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Zoologia Anche di notte le zanzare riescono spesso a sfuggire a chi prova a schiacciarle. Non fanno infatti affidamento sulla vista, ma sulla percezione del flusso d’aria, scrive New Scientist. Secondo lo studio le palette forate sono più efficaci delle altre, perché riducono il flusso d’aria. Gli insetti sfruttano la pressione generata dalla paletta anche per allontanarsi più rapidamente. Genetica Una ricerca pubblicata su Nature Genetics spiega perché il dna mitocondriale viene ereditato solo dalla madre. Questo dna si trova in organelli cellulari chiamati mitocondri. Anche gli spermatozoi maturi hanno i mitocondri, ma sono privi di dna. Si pensa che l’assenza di dna sia dovuta alla mancanza di una proteina, la tfam, che è essenziale per mantenere il dna mitocondriale. La scoperta potrebbe essere usata a scopo terapeutico.

SALUTE

Composti cancerogeni

BIOLOGIA

Il catalogo delle cellule È stato creato un catalogo delle cellule umane (nella foto quelle della pelle), con una stima della quantità e della dimensione di ogni tipo. Sono stati considerati circa 1.200 tipi di cellule appartenenti a sessanta tessuti, mediamente presenti in un uomo, una donna e un bambino di dieci anni. In generale più è grande il tipo di cellula, meno è abbondante nel corpo. Gli autori stimano che un uomo abbia circa 36 miliardi di cellule, una donna 28 e un bambino 17. Secondo Pnas il catalogo potrebbe essere utile in molti campi di ricerca.

Le persone a cui è stato diagnosticato un cancro tendono ad avere nel sangue livelli di inquinanti chimici più alti. Per esempio, le donne affette da melanoma hanno in media una concentrazione più alta di pfde, un composto chimico del gruppo dei pfas. Lo studio suggerisce un legame tra l’esposizione ad alcuni composti chimici e il rischio di cancro, scrive il Journal of Exposure Science and Environmental Epidemiology.

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Il diario della Terra TT NEWS AGENCY/REUTERS/ CONTRASTO

Il nostro clima

Cicloni mediterranei

Pianeta Le attività umane hanno portato al superamento di sei dei nove “confini planetari” individuati da un gruppo di scienziati nel 2009, oltre i quali il sistema terrestre potrebbe uscire dalle condizioni di stabilità climatica ed ecologica che hanno permesso lo sviluppo della civiltà. Gli indicatori relativi all’ozono atmosferico, all’acidificazione dei mari e alla concentrazione di particelle nell’aria sono ancora sotto la soglia di sicurezza, mentre hanno superato i limiti il cambiamento climatico, l’integrità della biosfera, il consumo delle risorse idriche, i cicli dell’azoto e del fosforo, l’uso dei terreni e gli elementi introdotti dagli esseri umani, come la plastica, i composti chimici sintetici e gli organismi geneticamente modificati. Nella foto: alghe sulla costa svedese del Baltico, giugno 2020

Radar

L’Algeria continua a bruciare Maltempo Un forte tornado ha colpito la provincia del Jiangsu, nell’est della Cina, uccidendo almeno dieci persone e provocando gravi danni materiali. ◆ Almeno otto persone sono state uccise dai fulmini e dalle inondazioni durante l’ondata di maltempo che ha investito la provincia di Al Hodeida, nell’ovest dello Yemen.

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Animali A causa della siccità migliaia di elefanti e altri animali hanno lasciato il parco nazionale di Hwange, nello Zimbabwe, per andare a cercare acqua e cibo nel vicino Botswana. ◆ Le autorità cinesi hanno annunciato di aver catturato tutti i 71 coccodrilli fuggiti da un allevamento a Maoming, nel sud del paese, durante un’alluvione. Terremoti Un sisma di magnitudo 6,2 ha colpito l’isola meridionale della Nuova Zelanda senza provocare vittime.

Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

Ghiaccio I dati satellitari mostrano che l’estensione della banchisa antartica al culmine dell’inverno australe è molto inferiore alla media stagionale (in giallo nell’immagine). Finora il continente era stato relativamente risparmiato dal cambiamento climatico, ma gli esperti temono che le temperature da record raggiunte quest’anno dagli oceani possano averlo destabilizzato. Lo scioglimento dei ghiacci antartici potrebbe accelerare il riscaldamento del pianeta e perturbare le correnti oceaniche.

NSIDC

Incendi Diversi incendi sono scoppiati nella regione di Bejaia, nel nord dell’Algeria, tra le più colpite dai roghi che quest’estate hanno ucciso più di quaranta persone nel paese.

Caldo Un’ondata di caldo estremo ha investito la costa orientale dell’Australia, con temperature di dieci gradi più alte rispetto alla media stagionale. Gli esperti temono che il calore possa aumentare il rischio d’incendi gravi come quelli dell’estate del 20192020

◆ All’inizio di settembre il ciclone Daniel ha causato gravi danni in Grecia, Bulgaria e Turchia per poi spostarsi sulla costa orientale della Libia, dove ha provocato un’alluvione che ha distrutto gran parte della città di Derna e ucciso migliaia di persone. Daniel apparteneva alla categoria dei cicloni tropicali mediterranei, noti tra i meteorologi come medicane (dalla fusione tra mediterranean e hurricane, uragano), fenomeni analoghi agli uragani che colpiscono l’area caraibica e il Pacifico occidentale ma più rari e meno distruttivi. Come i loro equivalenti tropicali, i medicane si formano quando l’aria calda che s’innalza dal mare incontra uno strato più freddo, generando un moto convettivo attorno a un’area di bassa pressione. I cicloni mediterranei hanno meno spazio per svilupparsi, spiega il Guardian, e sono più piccoli e deboli: normalmente la loro intensità equivale a quella di un uragano di categoria 1 ( la più bassa) sulla scala SaffirSimpson, con venti tra i 119 e i 153 chilometri orari. Tendono a formarsi in autunno, quando la temperatura dell’acqua è più alta, di solito nel Mediterraneo occidentale e tra il mar Ionio e la costa nordafricana. In media se ne registrano uno o due all’anno. Gli scienziati ipotizzano che con l’aumento delle temperature questi fenomeni diventeranno meno frequenti ma più intensi: secondo il World weather attribution il cambiamento climatico ha aumentato di cinquanta volte la probabilità di precipitazioni estreme come quelle che hanno colpito la Libia.

Il pianeta visto dallo spazio 27.06.2023

Giacimenti di idrogeno, in Australia Nord 1 km

Depressioni circolari

Lago Dalaroo

Moora

nord a sud. Le depressioni hanno un diametro di alcune centinaia di metri, e la quantità di vegetazione e di acqua presente al loro interno varia nel tempo. Nel 2021 un gruppo di ricercatori australiani ha confermato la presenza d’idrogeno nelle depressioni circolari, soprattutto lungo i bordi. L’idrogeno può svilupparsi naturalmente nel sottosuolo grazie a una serie di processi, tra cui alcune reazioni tra l’acqua e le rocce, e la rottura delle molecole d’acqua in seguito a radiolisi. Riguardo ai bacini a nord di Perth, i ricercatori ipotizzano che l’idrogeno provenga da una reazione tra l’acqua e le rocce ricche di ferro, mentre la faglia di Darling potrebbe contribuire a incanalarlo verso la superficie. In Australia, come nel resto del mondo, negli ultimi anni è aumentato l’interesse per l’idrogeno come possibile alternativa a zero emissioni dei combustibili fossili. Attualmente però l’idrogeno è prodotto a partire da carburanti fossili o usando procedimenti che richiedono molta energia.–Lindsey Doermann (Nasa)

EARTHOBSERVATORY/NASA

In futuro i bacini, presenti anche in altri paesi, potrebbero essere usati come fonte d’energia pulita perché contengono grandi quantità d’idrogeno, soprattutto lungo i bordi. ◆ Circa 150 chilometri a nord di Perth, nell’ovest dell’Australia, ci sono delle depressioni circolari che in futuro potrebbero essere usate come fonte d’energia pulita. Questi

bacini, chiamati fairy circles (cerchi delle fate), emettono infatti grandi quantità d’idrogeno, e ce ne sono di simili anche in altri paesi, dagli Stati Uniti al Brasile e alla Russia.

Quest’immagine, scattata dal satellite Landsat 9 della Nasa, mostra alcune depressioni circolari vicino alla cittadina di Moora, lungo la faglia di Darling, che si estende da



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C.J. BURTON (GETTY)

Economia e lavoro

PETROLIO

Riyadh condiziona l’economia globale Javier Blas, Bloomberg, Stati Uniti Il greggio dell’Arabia Saudita ha un prezzo nettamente superiore agli indici principali dei mercati mondiali. Una cattiva notizia per i paesi che cercano di frenare l’inflazione elevata on esiste un prezzo del petrolio valido per tutto il mondo. Ci sono decine di quotazioni, una per ogni varietà di greggio. Il mercato finanziario si concentra su due in particolare, Brent e West Texas intermediate (Wti), scambiate rispettivamente a Londra e a New York. Questi due indici al momento suggeriscono un prezzo intorno ai novanta dollari al barile. In Arabia Saudita, invece, il petrolio è già sui cento dollari a barile. Questa discrepanza riflette il potere di dettare il prezzo che Riyadh ha conquistato nell’ultimo anno e mezzo e che ha permesso alla monarchia del Golfo di esigere un sovrapprezzo record per il suo greggio, soprattutto dai clienti statunitensi ed europei in cerca di alternative al petrolio russo.

N

Il sovrapprezzo è rilevante per il ruolo centrale rivestito dall’Arabia Saudita nei mercati mondiali, visto che nel paese si estrae circa un barile su dieci di tutto il greggio prodotto nel mondo. La strategia di Riyadh sta alimentando le pressioni inflazionistiche globali e potrebbe costringere le banche centrali a mantenere ancora alti i tassi d’interesse. Allo stesso tempo l’Arabia Saudita sta rafforzando la sua posizione politica nella scena mondiale. Secondo i calcoli di Bloomberg, già da giorni la quotazione europea dell’Arab light, la principale varietà del greggio saudita, gravitava intorno ai cento dollari al barile. Negli ultimi quarant’anni l’Arab light è stato scambiato a un prezzo superiore ai cento dollari solo poche volte: nel 2008, tra il 2012 e il 2014 e nel 2022. I meccanismi del mercato globale spiegano perché l’Arab light sia scambiato con un sovrapprezzo così alto rispetto al Brent e al Wti. Dopo il crollo del sistema dei prezzi fissi gestito dall’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec), alla metà degli anni ottanta, sono stati i mercati a fissare le quotazioni: l’O-

pec esercita la sua influenza modificando la produzione. Dal 1988 l’Arabia Saudita ha venduto il suo greggio con contratti a lungo termine basati su una formula che, partendo da un prezzo di riferimento come il Brent, applicava uno sconto o un sovrapprezzo relativamente bassi. Lo standard e la differenza sono diversi a seconda che le vendite avvengano verso gli Stati Uniti, l’Europa o l’Asia. Per gran parte degli ultimi 35 anni, queste differenze sono state misurate in centesimi di dollaro. E, con l’eccezione dell’Asia, erano prevalentemente negative: Riyadh cioè vendeva il suo greggio a un prezzo scontato rispetto alle quotazioni di riferimento europee e statunitensi. L’Asia pagava un sovrapprezzo, ma era relativamente basso. Tra il 2000 e il 2020, il paese mediorientale ha fatto ai compratori europei uno sconto medio rispetto al Brent di circa tre dollari al barile. Di recente, invece, ha applicato un sovrapprezzo che tende ad aumentare costantemente. A settembre i sauditi hanno fissato il prezzo dell’Arab light a un valore di 5,8 dollari al barile in più rispetto al Brent. Per i clienti statunitensi, invece, il sovrapprezzo ha toccato la quota record di 7,2 dollari al barile. Per l’Asia al momento il sovrapprezzo è inferiore, anche se l’anno scorso ha raggiunto un picco di quasi dieci dollari al barile.

Una scelta precisa La svolta decisa dall’Arabia Saudita è dovuta a due fattori: uno frutto di una scelta precisa, l’altro è della congiuntura internazionale. Il primo, e forse il più importante, è che a Riyadh sta andando una parte della torta che si spartiscono le aziende di raffinazione. In tutto il mondo i margini per la raffinazione – la differenza tra il costo del greggio e il valore della benzina, del diesel e di altri prodotti petroliferi – hanno raggiunto livelli altissimi per una combinazione di domanda in crescita e ridotta capacità di raffinazione. Ogni mese l’Arabia Saudita calcola il valore dei prodotti che una raffineria potrebbe ottenere cono l’Arab light. Nel settore questo valore è noto come gross product worth (gpw, valore lordo del prodotto). Più il gpw sale, più alto è il prezzo che un venditore può esigere da una raffineria, senza che il compratore se ne lamenti. Il gpw saudita continua ad aumentare dalla metà del 2022. Riyadh quindi si sta assicurando che le raffinerie condividano Internazionale 1530 | 22 settembre 2023

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Economia e lavoro

Da sapere Diesel introvabile u Le aziende che raffinano il petrolio hanno difficoltà a soddisfare la domanda mondiale di diesel, una situazione che rischia di aggravare l’inflazione in molti paesi e che priva le economie avanzate di un carburante fondamentale per le attività industriali e per i trasporti. Il 14 settembre negli Stati Uniti il prezzo del diesel ha raggiunto i 140 dollari al barile, mentre in Europa la quotazione è cresciuta del 60 per cento durante l’estate. Oltre ai tagli al greggio decisi dall’Arabia Saudita e dalla Russia, ha pesato il caldo torrido estivo, che ha costretto molti impianti a ridurre i ritmi di produzione. Inoltre c’è più richiesta per prodotti diversi dal gasolio e dal carburante per aeroplani. Il sistema infine risente ancora della scomparsa di numerose raffinerie, costrette a chiudere a causa della crisi provocata dal covid-19 e che non hanno mai riaperto. Bloomberg

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AZIENDE

CINA

Il doppio volto della Exxon

Un altro colosso in crisi

La prima dichiarazione in cui la ExxonMobil riconosceva pubblicamente che le fonti d’energia fossili sono una delle cause del riscaldamento climatico risale al 2006, ma da allora il colosso energetico statunitense ha cercato per anni di ridimensionare il problema, scrive il Wall Street Journal. Il quotidiano statunitense ha preso visione di alcuni documenti interni da cui risulta che mentre in pubblico il gruppo si diceva preoccupato dei rischi per l’ambiente e sosteneva la necessità di un’azione globale per contrastarli, dietro le quinte “aveva un atteggiamento diverso: pensava a come contenere le paure sull’aumento delle temperature e cercava di snaturare gli studi che danneggiavano gli affari legati al petrolio e al gas”. Questo succedeva quando alla guida del gruppo c’era Rex Tillerson, che appena eletto amministratore delegato aveva cominciato a instillare dubbi sugli effetti del cambiamento climatico e spinto i ricercatori della Exxon a sostenere studi che negavano il problema. Oggi l’atteggiamento dell’azienda è cambiato, soprattutto dopo che contro il gruppo sono state avviate alcune azioni legali con l’accusa di aver mentito sulla crisi climatica.

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Fuyang, Cina, 3 settembre 2023

COSTFOTO/NURPHOTO/GETTY

parte di questi profitti supplementari. Il secondo fattore è che il mercato globale del petrolio è particolarmente affamato del tipo di greggio prodotto dall’Arabia Saudita. In larga misura è il risultato dei profondi tagli alla produzione decisi quest’anno da Riyadh. Riflette però anche il fatto che una delle varietà di greggio più diffuse – quella statunitense ricavata con la tecnica del fracking – è molto diversa dalla saudita. Per molte aziende di raffinazione con strutture ultramoderne in grado di spezzare le molecole più resistenti di idrocarburi, il greggio saudita è un prodotto di base che permette di far funzionare al meglio gli impianti. È particolarmente adatto alla produzione di diesel, il cavallo da tiro dell’economia globale. Il greggio da fracking statunitense, invece, permette di ottenere una quantità relativamente superiore di prodotti petrolchimici. Morale della favola: i prezzi del petrolio non solo sono alti e destinati ad aumentare ancora, ma sono anche molto più cari di quanto suggeriscono i due più importanti indici di riferimento, come quelli basati sul Brent e sul Wti. Come nel 1973-1974, ai tempi della prima crisi petrolifera, quando la varietà saudita era il principale riferimento per i mercati, le banche centrali devono tenere d’occhio l’andamento dell’Arab light per valutare l’inflazione. E per come stanno le cose, il quadro non è dei più rosei. Anzi, sta peggiorando. u gim

Dopo la Evergrande, un altro grande gruppo immobiliare cinese rischia l’insolvenza, scrive la Bbc. In questo caso la crisi non è stata scatenata tanto dai debiti eccessivi, ma dalla maggiore difficoltà a trovare investitori e soprattutto persone disposte a comprare nuovi immobili. La Country Garden concentra le sue attività sui centri delle aree rurali e sulle zone industriali, che sono state il motore della crescita cinese. Oggi queste aree sono penalizzate dai minori investimenti governativi e dall’aumento delle persone che si trasferiscono altrove. Nei primi sei mesi del 2023 la Country Garden era coinvolta in più di tremila progetti immobiliari, che comprendevano milioni di abitazioni. Il gruppo aveva passività per 186 miliardi di dollari, tra appartamenti già venduti ma non ancora consegnati, obbligazioni e debiti verso i fornitori e le banche. Molti di questi impegni scadranno nel giro di un anno, ma intanto nel primo semestre l’azienda ha già registrato una perdita di sette miliardi di dollari. u SIRIA

Prezzi fuori controllo Ad agosto il presidente siriano Bashar al Assad ha deciso di raddoppiare lo stipendio ai dipendenti statali nelle zone controllate dal regime. Ma subito dopo, scrive il settimanale indipendente siriano Ennab Baladi, ha rincarato del 300 per cento il prezzo del carburante. L’aumento in

busta paga, che i dipendenti statali aspettavano da anni, è stato “completamente inutile”. Per questo c’è stata una grande ondata di rabbia tra i residenti delle aree controllate da Damasco. Nel sud del paese, mai toccato direttamente della guerra, sono esplose molte manifestazioni di protesta per la situazione economica. Con un tasso d’inflazione al 238 per cento, la Siria è seconda solo allo Zimbabwe e al Venezuela.

RESISTERE SERVE SEMPRE Quando la storia ha una svolta, costringe a scegliere da che parte stare. L’8 settembre del 1943 è la data che sancisce l’inizio della Resistenza armata nel nostro paese, il giorno che mise un’intera generazione di fronte alla possibilità di «imparare a disobbedire». Oltre i confini di luogo e di tempo, questo numero di Jacobin Italia traccia la dimensione universale della Resistenza, per evidenziarne le connessioni con le battaglie di oggi.

RESISTERE SERVE SEMPRE IL NUOVO NUMERO DI JACOBIN ITALIA È IN LIBRERIA Una copia: 13 euro Abbonamento annuale 4 numeri: Cartaceo+digitale: 39 euro Digitale: 26 euro

con tra gli altri contributi di: Barbara Berruti Luca Casarotti Matteo Cavalleri Chiara Cruciati Eric Gobetti Carlo Greppi Selene Pascarella Alessandro Portelli Lorenzo Zamponi

Copertina di Paolo Ventura

jacobinitalia.it @jacobinitalia

Peanuts, 1960 Charles M. Schulz, Stati Uniti

Buni Ryan Pagelow, Stati Uniti

War and Peas E. Pich e J. Kunz, Germania

Strisce

Mafalda, 1964 Quino, Argentina

PEANUTS ©PEANUTS WORLDWIDE LLC. DIST. DA ANDREWS MCMEEL SYNDICATION. RIPRODUZIONE AUTORIZZATA. TUTTI I DIRITTI RISERVATI

© 2023, SUCESORES DE JOAQUÍN S. LAVADO (QUINO)

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L’oroscopo

Rob Brezsny VERGINE “Gli uomini hanno una vita più facile rispetto alle donne”, dice la scrittrice Fran Lebowitz. “Sono avvantaggiati, come lo sono anche le persone bianche, ricche o belle”. Sei d’accordo, Vergine? Io sì. Non sono né ricco né bello, ma sono un maschio bianco e per questo ho avuto notevoli vantaggi. E tu? Penso che dovresti riflettere sulle benedizioni immeritate che hai avuto, ringraziare ed espiare aiutando persone svantaggiate. Se invece non hai avuto molti vantaggi, i prossimi mesi saranno un periodo ideale per chiedere di più.

COMPITI A CASA

Dedica dieci minuti a ricoprirti di elogi. Pronuncia le tue lodi ad alta voce.

ra”. Nei momenti ordinari della sua vita “riceve illuminazioni straordinarie”. In quei momenti “la percezione di ciò che è buono e importante cambia”. Penso che nelle prossime settimane vivrai qualcosa di simile, Leone. Sei pronto a trovare il sacro nel profano? Sei disposto a rinunciare alle tue convinzioni su come nasce la magia per accoglierla quando arriva in modo inaspettato?

no a cambiare atteggiamento, ti consiglio di saltare la fase delle blasfemie e dei tradimenti. Se poni la questione nel modo giusto, potrai passare direttamente dalla fase delle battute e delle fantasie a quella delle questioni aperte alla discussione. Comunque sia, impegnati a favorire il cambiamento. Metti tutto in discussione con eleganza e allegria. CAPRICORNO

ARIETE

GEMELLI

Sta cominciando la fase del tuo ciclo astrale di costruzione e consolidamento della comunanza con gli altri. Nelle prossime otto settimane avrai la possibilità di abbandonare rapporti tossici e coltivarne di nuovi e migliori. Per metterti nello stato d’animo giusto, ti offro alcuni suggerimenti delle consulenti relazionali Mary D. Esselman ed Elizabeth Ash Vélez: “Non importa da quanto tempo stiate insieme o pensiate di conoscervi. Avete comunque bisogno di riaccendere l’amore, soprattutto in un rapporto stabile. Non fate l’errore di affidarvi a un restyling estremo o all’acquisto di rose rosse e champagne. Cercate invece di essere gentili, comprensivi e rispettosi. Dimostrate al vostro partner, spesso e anche in modo tenero e sciocco, che il suo cuore è la vostra casa”.

Lo scrittore Joe Hill, dei Gemelli, è convinto che l’unica battaglia che conti sia quella “per dare un significato al caos del mondo”. Mi vengono in mente molte altre battaglie importanti, ma la scelta di Hill è una delle migliori e può essere interessante e gratificante. Te la consiglio, Gemelli, soprattutto nelle prossime settimane. Stai entrando in una fase in cui potrai ottenere importanti vittorie contro la confusione, l’ambiguità e gli enigmi. Se t’impegnerai a fondo, le mie benedizioni ti accompagneranno.

ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI

TORO

Dal maggio 2023 i pianeti Giove e Urano sono nel Toro e ci resteranno fino al maggio 2024. Sospetto che in questo periodo nasceranno molti rivoluzionari del tuo segno. C’è una lunga tradizione di Tori dall’animo ribelle. Ecco un elenco di alcuni dei più importanti: Karl Marx, Malcolm X, l’attivista Kathleen Cleaver, la scrittrice femminista lesbica Adrienne Rich, il leader vietnamita Ho Chi Minh, l’artista Salvador Dalí, la drammaturga Lorraine Hansberry e la danzatrice Martha Graham. Sono tutti innovatori che hanno lasciato un segno nel loro campo. Spero t’ispirino a definire l’impatto unico e stimolante che potresti avere.

CANCRO

Crescent Dragonwagon ha scritto più di cinquanta libri, quindi possiamo dire che non ha problemi a esprimersi. Ma un personaggio di uno dei suoi romanzi dice: “Non so dire esattamente cosa intendo per ‘tenere qualcosa dentro’, ma so che lo faccio. Non so cosa sia quel qualcosa. È un mistero anche per me. Sento che potrebbe essere la mia essenza, ciò che sono nel profondo. Ma se non so cos’è, come posso donarlo o condividerlo con qualcuno?”. Te lo dico, Cancerino, perché le prossime settimane saranno un periodo ideale per superare la tua tendenza a “tenere qualcosa dentro”.

Il mio maestro di creatività preferito è lo scrittore Roger von Oech, inventore del Creative whack pack, un mazzo di carte con consigli per stimolare l’immaginazione. Ho deciso di pescare una di queste carte e di offrirtela per le prossime settimane. Il titolo è “Esagera”, ed ecco il testo: “Immagina una barzelletta così divertente da non riuscire a smettere di ridere per un mese; un tipo di carta più resistente dell’acciaio; una mela grande come un albergo; un motore a reazione più silenzioso del battito d’ali di una falena; una cena per venticinquemila persone. Hai un’idea? Esagera. Rendila mille volte più grande, forte, veloce e brillante”. P.s. È un momento favorevole per scambi intensi tra mente, cuore e anima. Per un risultato migliore, esagera! SCORPIONE

Se compri del popcorn da fare al microonde, sul fondo rimangono sempre dei chicchi che non scoppiano. Per quanto il tuo spuntino possa essere gustoso, ti sentirai comunque un po’ tradito da quei chicchi inesplosi. Nei prossimi mesi non dovrai affrontare problemi simili né con il popcorn né in altri aspetti della tua vita, in senso letterale e metaforico. Ti aspettano esperienze complete e perfettamente sbocciate.

LEONE

SAGITTARIO

Nel suo libro Undercurrents: a life beneath the surface, la psicologa e scrittrice Martha Manning dice che per lei è più facile avere rivelazioni “nei negozi di alimentari e nelle lavanderie a gettoni piuttosto che nei tradizionali luoghi di meditazione e preghie-

Lo scrittore George Bernard Shaw diceva che all’inizio le nuove idee e prospettive “sono considerate battute e fantasie, poi blasfemie e tradimenti, poi questioni aperte alla discussione e infine verità consolidate”. Se vuoi convincere qualcu-

Lo scrittore e astrologo Forrest E. Fickling ha cercato di analizzare la predisposizione dei vari segni dello zodiaco a compiere varie attività, scoprendo che i Capricorni sono quelli che lavorano di più e in modo più efficiente. Sospetto che nelle prossime settimane questa tua capacità sarà al culmine, insieme a quella di trarre soddisfazione dal tuo lavoro. Sfrutta al massimo questo periodo di grazia! ACQUARIO

La band britannica Oasis ha venduto più di novantacinque milioni di dischi. Il primo singolo a essere pubblicato fu Supersonic. Il chitarrista Noel Gallagher scrisse gran parte della musica e dei testi in mezz’ora mentre il resto della band mangiava cibo cinese. Sospetto che nei prossimi giorni avrai lo stesso tipo di creatività agile, concisa e concreta. Potresti usarla per trovare le soluzioni a due dei tuoi dilemmi attuali. In questa fase la vita dovrebbe essere più semplice e facile del solito. PESCI

“Quando il sesso è davvero bello”, dice lo scrittore Geoff Nicholson, dei Pesci, “mi sento come se stessi scomparendo, come se fossi polverizzato in minuscoli granelli di detriti, smog, fuliggine e pelle che fluttuano nell’aria”. Be’, è senz’altro una possibile versione del sesso davvero bello. Se la vorrai, nelle prossime settimane potrai averne in abbondanza. Ma t’invito a esplorare anche altre versioni del sesso davvero bello, come quello che ti fa sentire un animale geniale, una tempesta favolosa o una divinità con superpoteri.

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internazionale.it/oroscopo

BILANCIA

WOLTERING, PAESI BASSI

L’ultima

“Non credevo che l’Europa fosse così piccola”. COCO, FRANCIA

CÔTÉ, CANADA

Emmanuel Macron. Martedì: Borussia Dortmund. Mercoledì: Carlo III. Venerdì: papa Francesco. “E poi non ci vengano a dire che non accogliamo abbastanza migranti”.

SENAGA, FRANCIA

Iran.

VEJ

“Pensa che sarà tutto ricostruito in tempo per le nostre prossime vacanze?”.

“Gran brutto modo di finire l’estate”.

Le regole Come vestirsi a un matrimonio 1 In linea di massima devi vestirti elegante. Soprattutto se è il tuo. 2 Il fatto che tu vada a un matrimonio gay non ti autorizza a vestirti da sposa. 3 Un matrimonio hippy sulla spiaggia è l’unico a cui si può andare scalzi. 4 Non esagerare con il cappello: non sei a un matrimonio reale. 5 Quando scegli la cravatta considera che ti finirà legata in fronte mentre balli ubriaco.

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