Internazionale 26 gennaio/1 febbraio 2024. Numero 1547. Il culto di Trump

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26 gen/1 feb 2024 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo

n. 1547 • anno 31

internazionale.it

4,50 €

Astra Taylor Lode dell’incertezza

Scienza L’importanza della lingua

Germania In piazza contro l’Afd

Il culto di Trump È rimasto al centro della scena politica statunitense anche grazie al sostegno della destra cristiana, che lo considera un leader benedetto da Dio

SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03 ART 1, 1 DCB VR • AUT 12,90 € • BE 8,60 € CH 10,30 CHF • CH CT 10,00 CHF D 11,00 € • PTE CONT 8,30 € • E 8,30 €

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26 gennaio/1 febbraio 2024 • Numero 1547 • Anno 31 “Se mi mostri la lingua, posso dirti un sacco di cose”

Sommario 26 gen/1 feb 2024 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo

n. 1547 • anno 31

internazionale.it

4,50 €

Astra Taylor Lode dell’incertezza

Scienza L’importanza della lingua

Germania In piazza contro l’Afd

IN COPERTINA

Il culto di Trump

Il culto di Trump È rimasto al centro della scena politica statunitense anche grazie al sostegno della destra cristiana, che lo considera un leader benedetto da Dio

Giornali

SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03 ART 1, 1 DCB VR • AUT 12,90 € • BE 8,60 € CH 10,30 CHF • CH CT 10,00 CHF D 11,00 € • PTE CONT 8,30 € • E 8,30 €

Giovanni De Mauro “Un po’ alla volta, la luminosa sala da pran­ zo di un hotel di campagna vicino a Pots­ dam si riempie di persone. Sono una venti­ na. Esponenti di Alternative für Deutsch­ land (Afd, il principale partito di estrema destra in Germania), militanti del Movi­ mento identitario e membri di confraterni­ te studentesche nazionaliste. Tra i parteci­ panti ci sono anche medici, avvocati, politi­ ci, imprenditori e due rappresentanti del Partito cristiano democratico (Cdu) legati all’associazione conservatrice Unione dei valori”. Comincia così l’articolo pubblicato il 10 gennaio da Correctiv, sito tedesco di giornalismo investigativo. Nell’inchiesta vengono rivelati i dettagli di un incontro se­ greto che si è svolto a novembre e a cui han­ no partecipato politici dell’Afd, neonazisti e ricchi imprenditori per pianificare l’espul­ sione di massa di milioni di immigrati dalla Germania. Ne è seguito un terremoto poli­ tico e più di un milione di tedeschi lo scorso fine settimana sono scesi in piazza per pro­ testare contro il progetto e contro l’Afd. Correctiv è nato nel 2014, la redazione è a Essen e ci lavorano circa venti giornalisti. La sua particolarità è che si tratta di un gior­ nale senza scopo di lucro finanziato da fon­ dazioni. Il suo obiettivo è realizzare inchie­ ste di grande impatto che escono sul mag­ gior numero possibile di mezzi d’informa­ zione (giornali, radio e tv), per amplificarne la portata. Nel 2023 Correctiv ha rivelato che la banca tedesca per lo sviluppo ha fi­ nanziato progetti di deforestazione in Para­ guay; ha dimostrato che la privatizzazione dell’acqua in Germania si sta allargando; ha contribuito ad avviare una causa contro Be­ nedetto XVI per lo scandalo degli abusi ses­ suali nella chiesa tedesca; ha reso pubblici i progetti di un’azienda privata per costruire un enorme impianto solare e un centro commerciale in una foresta a 80 chilometri da Berlino. E ha condotto altre decine di in­ chieste, sempre con particolare attenzione alla Germania. Quando qualcuno si chiede a che servono i giornali, Correctiv è una del­ le migliori risposte. u

È rimasto al centro della scena politica statunitense anche grazie al sostegno della destra cristiana, che lo considera un leader benedetto da Dio (p. 40). Immagine di Doug Chayka

GERMANIA

18 Un piccolo

20

miracolo della democrazia Die Zeit Ostacoli imprevisti per l’estrema destra Süddeutsche Zeitung ISRAELE-PALESTINA

22 La strategia

perdente di Benjamin Netanyahu Haaretz BRASILE

26 La malaria

di Parigi rinasce Geographical AMBIENTE

54 Due ruote più verdi The New York Times SCIENZA

58 Il tesoro nascosto

34

OPINIONI

36 Israele vuole 38

un’altra intifada Gideon Levy Al giornalismo manca la terra di mezzo Ezra Klein

80

Giorgio Cappozzo

Le opinioni

82

Nadeesha Uyangoda

84

Giuliano Milani

86

Claudia Durastanti

101 Stefano Feltri

Dalla redazione di Internazionale

14

Posta

17

Editoriali

RITRATTI

95

Poesia

A caro prezzo Financial Times VIAGGI

è sempre più difficile Le Monde Giorni decisivi per l’ex Ilva di Taranto Financial Times

Alice Rohrwacher

6

74 Bucarest

31 Abortire in Italia

14

delle acque Felipe Fittipaldi

64 La marcia

INDIA

VISTI DAGLI ALTRI

Schermi, libri, suoni

Le rubriche PORTFOLIO

70 Tang Mingfang.

il trionfo del suprematismo indù Associated Press

80

Science

si diffonde nelle terre degli yanomami Folha de S.Paulo

28 Modi celebra

Cultura

FRANCIA

50 Nostra signora

103 Strisce 105 L’oroscopo 106 L’ultima Articoli in formato mp3 per gli abbonati

nei ricordi Scena9 CULTURA

78 Ricominciare dal palco de Volkskrant POP

90 Lode dell’incertezza Astra Taylor SCIENZA

96 La scienza da sola non basta New Scientist ECONOMIA E LAVORO

100 I fondi

d’investimento mirano alle grandi opere The Economist

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Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

5

internazionale.it/sommario

La settimana

KURT SCHWENK A PAGINA 60

Dalla redazione di Internazionale Per ritrovare gli articoli di cui si parla in questa pagina si può usare il codice qr o andare qui: intern.az/1ISD

Internazionale Kids In edicola dal 31 gennaio ◆ L’articolo di copertina del prossimo numero parla di codici segreti. Per scrivere i suoi messaggi cifrati Giulio Cesare rimpiazzava ogni lettera con quella tre posizioni più avanti nell’alfabeto, mentre nel sedicesimo secolo lo scienziato Giambattista Della Porta nascondeva i messaggi all’interno di uova sode. Codici e messaggi cifrati sono diventati sempre più complessi a mano a mano che venivano “risolti”. Alcuni dei primi computer moderni inizialmente erano strumenti per decifrare codici durante la seconda guerra mondiale. La copertina è dell’illustratore francese Simon Landrein.

IN COPERTINA

E tu sai tenere un segreto? Newsletter

ATTUALITÀ

CONFRONTO

A che servono le democrazie E perché da qualche anno ce ne sono sempre meno.

Un weekend di tre giorni In alcune scuole del Queensland, in Australia, si va solo dal lunedì al giovedì.

BRASILE

TEST

Le case storte di Santos Chi ci vive ha a che fare con porte che si aprono da sole e uova che rotolano nel frigo.

Che mezzo di trasporto sei Preferisci vedere posti nuovi, ammirare un panorama, guardare dal finestrino o farti cullare dalle onde?

AMBIENTE

Gusto amaro Un fumetto per capire da dove arriva il cioccolato.

FUMETTO

Django Reinhardt Il chitarrista jazz che ha inventato uno stile musicale.

SPORT

Acrobazie in piscina Tuffi e immersioni a ritmo di musica.

RICETTA

Canederli agli spinaci con fonduta di fontina

internazionale.it

Video

Schermi Cosa vedere al cinema e in “tv”. A cura di Piero Zardo. Ogni giovedì

Articoli GERMANIA

L’estrema destra vuole uscire dall’Unione europea La leader dell’Afd dice che il suo partito potrebbe organizzare un referendum per una Dexit.

Economica La newsletter su economia e lavoro. A cura di Alessandro Lubello. Ogni venerdì.

ITALIA

Doposcuola La newsletter su scuola, università e ricerca. A cura di Anna Franchin. Ogni due settimane, il sabato.

I pronto soccorso sono al collasso Com’è nato il caos e cosa servirebbe per affrontarlo. PODCAST

DR

Sudamericana Cosa succede in America Latina. A cura di Camilla Desideri. Ogni due settimane, il venerdì. Internazionale ha diciassette newsletter. Per scoprirle tutte e iscriverti: internazionale.it/newsletter

6

Come preoccuparsi di meno Nella vita passiamo troppo tempo a immaginare scenari catastrofici che poi puntualmente non si verificano. Ma dopo, spesso, evitiamo di dedicarci a un’attività salutare che potrebbe aiutarci in futuro: confrontare l’entità delle nostre preoccupazioni con quello che poi è successo e capire se i nostri timori erano effettivamente giustificati. Il consiglio del filosofo Alain de Botton.

Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

Dentro una puntata di Tintoria Una serata con Daniele Tinti e Stefano Rapone. DALL’ARCHIVIO

Faccia a faccia con Lenin Lo scrittore britannico H.G. Wells racconta il suo incontro con il leader bolscevico.

Immagini Ora basta Amburgo, Germania 19 gennaio 2024 Nel fine settimana in tutta la Germania si sono svolte centinaia di manifestazioni contro il partito di estrema destra Alternative für Deutschland (Afd). Secondo gli organizzatori più di un milione e mezzo di persone sono scese in strada da Berlino ad Amburgo, da Dresda a Monaco. La mobilitazione segue la notizia di una riunione di militanti di estrema destra avvenuta a Potsdam a novembre, in cui si era discusso un piano per l’espulsione in massa di milioni di immigrati e cittadini tedeschi di origine straniera. Foto di Hami Roshan (Middle East Images/Afp/Getty)

Immagini Tolleranza zero Roraima, Brasile 5 dicembre 2023 Minatori illegali arrestati dalle forze speciali dell’Istituto brasiliano per l’ambiente e le risorse naturali rinnovabili durante un’operazione nella terra degli indigeni yanomami, nel nord del Brasile. Un anno fa il presidente Luiz Inácio Lula da Silva ha dichiarato che nella regione era in corso una crisi umanitaria tra i nativi a causa dell’aumento dei morti per malaria. Creando miniere a cielo aperto e spostandosi di continuo, i minatori contribuiscono a diffondere il virus nei villaggi. Foto di Ueslei Marcelino (Reuters/Contrasto)

Immagini Su onde da record Nazaré, Portogallo 22 gennaio 2024 La surfista brasiliana Maya Gabeira in gara durante il Nazaré big wave challenge, un torneo internazionale che si svolge nella Praia do Norte, vicino alla località balneare portoghese. Questo punto sull’oceano Atlantico è famoso per le sue onde, considerate le più alte del mondo. Nazaré detiene il record dell’onda più alta mai affrontata nella storia del surf: il 29 ottobre 2020 il tedesco Sebastian Steudtner ne ha cavalcata una di 26,2 metri. Foto di Armando Franca (Ap/Lapresse)

[email protected] All’ombra dell’Olocausto u L’articolo di Masha Gessen (Internazionale 1546) è una lezione di storia che chiarisce come si possa arrivare alla strumentalizzazione dei fatti più atroci. Il richiamo di Netanyahu alla shoah offende la memoria delle vittime. La shoah e la nakba sono entrambe catastrofi, come ricorda Gessen, e nessun popolo ne ha l’esclusiva. L’Europa dovrebbe muoversi da questo semplice principio a difesa del popolo palestinese, ma la memoria lo impedisce. Il vittimismo fa comodo ai carnefici di qualsiasi tipo per nascondere le vere vittime, e serve a Netanyahu per giustificare questo sterminio. Un solo sopravvissuto rappresenterebbe un pericolo per chi da decenni semina odio e distruzione. Claudia Dalmastri

L’attore vittima di una società intollerante u L’articolo sul suicidio dell’attore coreano Lee Sun-

Kyun (Internazionale 1546) fa riflettere. Dobbiamo parlare del suicidio, delle sue cause e di come prevenirlo. Il sociologo Émile Durkheim, citato nell’articolo, ha dimostrato che una delle cause del suicidio è il rapporto dell’individuo con la società. Molti giovani si sono suicidati in relazione al bullismo su internet o alla competizione accademica. Abbiamo la responsabilità di non pretendere troppo dalle persone. Siamo tutti umani, soggetti a paure, errori e traumi. Tutti abbiamo le nostre debolezze e abbiamo bisogno di una società accogliente. Antonio E. Nardi

I Cure e la loro salvifica vena pop u Mi è piaciuto molto l’articolo di Daniele Cassandro sui Cure (internazionale.it). Già l’incipit centra in pieno la peculiarità di questa band: i Cure portano con sé un mondo che va oltre la musica. Hanno rappresentato un periodo in cui ci si identificava con il genere di musica che si ascoltava. Non

potevi essere fan dei Cure e allo stesso tempo fan dei Queen, proprio perché erano anche due modi di essere antitetici. Nei loro dischi c’è di tutto, dal meraviglioso abisso di Pornography al “Let’s get happy!” di Doing the unstuck. Da “curista” preferisco il loro lato oscuro, ma Japanese whispers è un disco di canzoni “happy-sad” come solo loro sanno fare. Mauro

Errata corrige u Su Internazionale 1546, a pagina 78, il nuovo libro di Hisham Matar, My friends, è uscito a otto anni dall’ultimo. Errori da segnalare? [email protected] PER CONTATTARE LA REDAZIONE

Telefono 06 441 7301 Fax 06 4425 2718 Posta via Volturno 58, 00185 Roma Email [email protected] Web internazionale.it INTERNAZIONALE È SU

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Dear Daddy Claudio Rossi Marcelli

Pigiama party A mia figlia di nove anni piace molto avere le amiche a dormire ma puntualmente il giorno dopo ha molto sonno e fatica a fare tutto, anche di domenica. È sbagliato far dormire i bambini insieme? –Carlotta Quando Madonna era la popstar del momento la Rai decise di trasmettere in diretta il suo primo concerto in Italia. Era il settembre del 1987 e per un undicenne come me era un evento imperdibile. Per l’occasione avevo deciso di invitare la mia migliore amica Patty a dormire da me. Era un evento

14

speciale quasi quanto il concerto che dovevamo vedere. I nostri genitori avevano contrattato orari e dettagli per giorni e ricordo l’emozione di restare alzato fino a tardi, di chiacchierare prima di dormire e di fare colazione insieme. Ora, andiamo avanti di circa 35 anni e ci sono io con tre figli che, per qualche strano motivo, pensano che ogni volta che un’amica viene a trovarle, deve restare anche a dormire. I pigiama party, che si chiamano così perché, appunto, erano una festa, oggi sono la norma. E io non ne sono entusiasta, perché comunque per i genitori si trat-

Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

ta di gestire letti da fare e rifare, ronde a notte fonda per implorare di andare a dormire e soprattutto uno stato di coma dei figli per tutto il giorno successivo. Ultimamente ho chiesto ai miei figli di fare quelli che negli Stati Uniti chiamano lateover, un neologismo in contrasto con sleepover (che significa restare a dormire): si va da un’amica, si cena insieme, si guarda un film, ma poi verso le undici ognuno a casa sua. Così si protegge la notte di sonno e la natura speciale dei pigiama party. [email protected]

Un anno con

Alice Rohrwacher

Generazioni senza strade

u Ancora pochi giorni per vedere la mostra Favoloso Calvino alle Scuderie del Quirinale. Ci vado all’ora di pranzo, tra un treno e l’altro. Le Scuderie sono deserte, sembra di entrare nel castello fatato di Giovannin senza paura, mi aspetto che dai camini piombino giù pezzi di giganti: braccia, gambe, teste che rotolano. I pezzi che metto insieme sono quelli della vita di Calvino, le sue illuminazioni prismatiche, le magie, il lavoro scrupoloso. Ma la mostra è anche il ritratto di una generazione che si chiede “che fare”, e tenta di rimettere a posto i pezzi della società del dopoguerra, devastata dalle bombe. E ora che i pezzi sono di nuovo tutti sparsi, come se l’ordine faticosamente trovato fosse solo l’intonaco di un palazzo che crolla; ora che non c’è una guerra soltanto, ma la guerra è ovunque, anche se talvolta si finge pace; ora c’è un “che fare” a chiamarci, a renderci generazione? O ci rende generazione solo ciò che consumiamo? Mentre corro verso la stazione, mi vengono in mente le parole di un’altra grande lettrice di fiabe, Cristina Campo: “Nelle fiabe, come si sa, non ci sono strade. Si cammina davanti a sé, la linea è retta all’apparenza. Alla fine quella linea si svelerà un labirinto, un cerchio perfetto, una spirale, una stella”. Quello che sembra è spesso un inganno, una prova per chi non ha il coraggio di fidarsi dell’inaffidabile. Fiaba oscura, nespola dura, la paglia e il tempo te la matura.

Editoriali

Strada in discesa per Trump “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra filosofia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Editor Giovanni Ansaldo (opinioni), Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri), Gabriele Crescente (scienza, ambiente), Camilla Desideri (America Latina), Francesca Gnetti (Medio Oriente), Alessandro Lubello (economia), Alessio Marchionna (Stati Uniti), Stefania Mascetti (Europa, caposervizio) Andrea Pipino (Europa), Francesca Sibani (Africa), Junko Terao (Asia e Pacifico), Piero Zardo (cultura, caposervizio) Copy editor Giovanna Chioini (caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco Romano (coordinamento, caporedattore) Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web) Impaginazione Beatrice Boncristiano, Pasquale Cavorsi (caposervizio), Marta Russo Podcast Claudio Rossi Marcelli, Giulia Zoli (caposervizio) Web Annalisa Camilli, Simon Dunaway (notizie), Giuseppe Rizzo, Giulia Testa Internazionale Kids Alberto Emiletti, Martina Recchiuti (caporedattrice) Internazionale a Ferrara Luisa Ciffolilli Segreteria Monica Paolucci, Gabriella Piscitelli Correzione di bozze Lulli Bertini, Sara Esposito Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla fine degli articoli. Stefania De Franco, Francesco De Lellis, Andrea De Ritis, Susanna Karasz, Giusy Muzzopappa, Alberto Riva, Amadio Ruggeri, Andrea Sparacino, Bruna Tortorella, Nicola Vincenzoni Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto grafico Mark Porter Hanno collaborato Giulia Ansaldo, Cecilia Attanasio Ghezzi, Francesco Boille, Jacopo Bortolussi, Daniele Cassandro, Catherine Cornet, Sergio Fant, Claudia Grisanti, Ikyung Hong, Anita Joshi, Alberto Riva, Concetta Pianura, Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pauline Valkenet Editore Internazionale spa Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Giovanni De Mauro Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e diffusione Angelo Sellitto Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli, Ester Corda, Alessia Salvitti Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del Marketing Editoriale srl Tel. +39 06.69539344 ­ Mail: adv@ame­online.it Subconcessionaria Download Pubblicità srl Stampa Elcograf spa, via Mondadori 15, 37131 Verona Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) Copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. Significa che può essere riprodotto a patto di citare Internazionale, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Per questioni di diritti non possiamo applicare questa licenza agli articoli che compriamo dai giornali stranieri. Info: [email protected]

Registrazione tribunale di Roma n. 433 del 4 ottobre 1993 Iscrizione al Roc n. 3280 Direttore responsabile Giovanni De Mauro Chiuso in redazione alle 19 di mercoledì 24 gennaio 2024 Pubblicazione a stampa ISSN 1122­2832 Pubblicazione online ISSN 2499­1600 PER ABBONARSI E PER INFORMAZIONI SUL PROPRIO ABBONAMENTO Telefono 02 4957 2022 (lun­ven 9.00­19.00), dall’estero +39 02 8689 6172 Fax 030 777 23 87 Email [email protected] Online internazionale.it/abbonati Imbustato in Mater­Bi

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Le Monde, Francia Dopo le primarie repubblicane nel New Hamp­ shire la corsa alla nomination presidenziale, appena cominciata, sembra già decisa. Una maggioranza significativa degli elettori conser­ vatori vuole concedere un’altra possibilità a Do­ nald Trump, nonostante il suo ruolo nella peri­ colosa contestazione del risultato delle elezioni del 2020. Quello che un tempo era il partito dell’ordine pubblico oggi si prostra davanti a un uomo che infrange la legge. I processi a carico di Trump hanno accentuato il legame dei sosteni­ tori con un politico che uno spot elettorale defi­ nisce “un dono di Dio”. Questa cecità condanna al fallimento la candidatura dell’ex governatri­ ce della South Carolina Nikki Haley, anche se i sondaggi indicano che otterrebbe una vittoria schiacciante contro Joe Biden il prossimo 5 no­ vembre. Nel 2020 Biden aveva promesso di fare da “ponte” verso una nuova generazione di leader democratici, ma ha scelto di ricandidarsi, con­ vinto di poter vincere di nuovo. Questa ostina­ zione è una pessima notizia, per gli Stati Uniti e per il resto del mondo. La critica principale ri­ volta a Biden riguarda la sua età, all’origine dei momenti di stanchezza che gli avversari pre­ sentano come sintomi di declino senile. Ma

Trump, che compirà 78 anni a giugno, non può presentarsi come una giovane alternativa. Questo e le sentenze giudiziarie che atten­ dono Trump – i suoi avvocati cercheranno di rinviarle a dopo il voto, quando un’eventuale vittoria lo metterebbe di nuovo al di sopra della legge – renderanno la campagna elettorale im­ minente una delle più strane nella storia degli Stati Uniti. Il risultato delle elezioni si annuncia estremamente incerto, anche perché il candi­ dato repubblicano sembra determinato a non accettare un verdetto negativo delle urne, e una massa sempre più consistente di elettori con­ servatori pensa di aver bisogno di un leader pronto a infrangere le regole per il bene del pae­ se. Una campagna elettorale dovrebbe essere l’occasione per una battaglia di idee. Le sfide sono molte, a cominciare dal clima, di cui l’ex presidente non parla mai. Ma se le cose rimar­ ranno invariate, gli elettori degli Stati Uniti do­ vranno constatare la fine del “sogno america­ no”. A novembre si troveranno a scegliere tra un candidato che denuncia una catastrofe immagi­ naria e un altro che mette in guardia dal rischio di una crisi della democrazia. Questa purtroppo effettivamente alimentata dalle polemiche di Donald Trump. u as

Conflitti da non dimenticare Nikkei Asia, Giappone I conflitti regionali in Africa e in altre zone del mondo sono sempre più gravi. L’occidente è coinvolto nella guerra tra Russia e Ucraina e nel caos in Medio Oriente, mentre Pechino e Mosca esitano a intervenire in dispute regiona­ li che non riguardano direttamente i loro inte­ ressi nazionali. Non dobbiamo sottovalutare il fatto che questi “conflitti dimenticati” si stiano trasformando in crisi pericolose. In Sudan prosegue la battaglia tra l’esercito e i paramilitari delle Forze di supporto rapido. Le organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani spiegano che il rischio di omicidi di massa in Darfur sta aumentando. I tentativi di mediazione dei governi stranieri sono falli­ mentari, mentre gli aiuti umanitari faticano ad arrivare a causa dell’ostruzionismo di alcuni attori coinvolti. Nel 2023 le Nazioni Unite hanno chiuso la loro missione di pace in Mali, anche se nel pae­

se la situazione è instabile. In Birmania, dove l’esercito ha preso il potere nel 2021 con un col­ po di stato, gli scontri tra i gruppi armati e i mi­ litari si sono intensificati. La comunità interna­ zionale non ha fatto abbastanza pressione sul regime, che continua a opprimere i civili. La leadership degli Stati Uniti nell’affronta­ re casi simili sembra svanita, anche per questo le Nazioni Unite non svolgono il loro ruolo tra­ dizionale. Per assicurarsi un coinvolgimento della comunità internazionale, l’Unione afri­ cana e l’Associazione delle nazioni del sudest asiatico dovrebbero impegnarsi di più per ri­ solvere le cause delle crisi e garantire la sicu­ rezza in alcune regioni. Come ci insegnano l’Afghanistan e l’Iraq, quando si lascia che i conflitti e le crisi si sviluppino senza freni, alla fine ci sono ripercussioni globali impreviste, per esempio la diffusione di ideologie estremi­ ste o del terrorismo internazionale. u as Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

17

Europa

HESHAM ELSHERIF (ANADOLU/GETTY)

Soest, Germania, 22 gennaio 2024

GERMANIA

Un piccolo miracolo della democrazia Jana Hensel, Die Zeit, Germania Negli ultimi giorni centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza nelle città tedesche per far sentire la propria voce contro l’estrema destra. Un novità politica di straordinaria rilevanza agari può sembrare un’affermazione troppo enfatica, eppure descrive alla perfezione quello che stiamo vivendo in questi giorni: la Germania assiste a un piccolo miracolo della democrazia. Le manifestazioni contro l’estrema destra e il partito Alternative für Deutschland (Afd) che si tengono in tutto

M 18

Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

il paese improvvisamente sembrano aver fatto nascere il movimento politico più importante degli ultimi anni. Ad Amburgo, il 19 gennaio, sono scese in piazza più di cinquantamila persone (addirittura ottantamila secondo gli organizzatori), in quella che probabilmente è stata la più grande manifestazione contro l’Afd mai vista in Germania. Il giorno dopo, a Halle, in Sassonia-Anhalt, i manifestanti erano sedicimila. È dal 1989 che in città non se ne vedevano tanti. Questi due casi sono solo un esempio delle molte mobilitazioni che stanno scuotendo l’intero paese, dalle metropoli ai piccoli centri. Anche a Spremberg, Francoforte sul Meno, Bernau, Berlino, Colonia, Erfurt, Hannover, Lingen e

Stralsund più di quattrocentomila persone sono uscite di casa per esprimere collettivamente la preoccupazione per una svolta a destra. Sono numeri incredibili. È da tempo che in Germania la maggioranza silenziosa, liberale e democratica non alzava la testa con questa determinazione.

Un fenomeno nazionale Ad accomunare metropoli e piccoli centri sono i numeri, che hanno superato di gran lunga le aspettative degli organizzatori. Stavolta in piazza non c’è solo chi abitualmente partecipa a cortei o manifestazioni. Eppure le proteste non sono state organizzate da partiti o sindacati e non arrivano dopo lunghi preparativi, co-

me nel caso delle recenti manifestazioni degli agricoltori. Quella contro l’estrema destra è una mobilitazione spontanea di numerose organizzazioni della società civile, innescata dalle rivelazioni del sito di giornalismo investigativo Correctiv sull’incontro che si era tenuto a Potsdam a novembre tra estremisti di destra e dirigenti dell’Afd per pianificare l’espulsione di milioni di cittadini con “background migratorio”. Appare evidente che in ampi settori della società sta crescendo il timore di una sempre più marcata svolta a destra. Del resto il 2024 si è aperto in modo decisamente preoccupante: prima il vicecancelliere Robert Habeck, di ritorno da un viaggio privato, è stato accolto al porto di Schlüttsiel da una folla di agricoltori furiosi in sella ai loro trattori; poi ci sono state le grandi proteste contro il taglio delle agevolazioni sul gasolio per uso agricolo. Per quanto gli agricoltori abbiano cercato di evitare le infiltrazioni dell’estrema destra, durante le loro proteste sono spuntati spesso slogan eversivi, simboli nazionalisti e rappresentazioni del cappio pendente dalla forca. Quando il ministro dell’economia Christian Lindner ha incontrato gli agricoltori, il suo discorso, dai toni a tratti perfino ruffiani, è stato accolto da un coro di fischi. Dal punto di vista politico lo sciopero, che era cominciato come una più che legittima vertenza di categoria, non ha trovato una collocazione precisa, per non dire di peggio. Poi, nel bel mezzo delle proteste dei coltivatori, è scoppiata la bomba dell’inchiesta di Correctiv. Per molti è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno all’inverosimile: l’Afd è da tempo in crescita nei sondaggi e alle urne (anche in Germania occidentale, per esempio alle elezioni per il parlamento dell’Assia dello scorso ottobre), ed esponenti del partito conservatore Cdu/Csu come Friedrich Merz e Markus Söder hanno assunto toni sempre più populisti, avvicinandosi alla retorica e alle proposte dell’Afd. Poi c’è stato lo scandalo che ha coinvolto Hubert Aiwanger, leader del raggruppamento p0litico dei Liberi elettori, che da ragazzo aveva scritto e distribuito volantini antisemiti: nonostante le rivelazioni, Söder si è comunque di nuovo alleato con i Liberi elettori e ha nominato proprio Aiwanger

vicepresidente del land della Baviera. Il tutto sommato ai tanti attacchi verbali ai Verdi, alla campagna contro il provvedimento del governo federale per limitare il riscaldamento negli edifici e alle aggressioni contro gli ambientalisti durante la campagna elettorale per le elezioni in Baviera. E, soprattutto, oggi l’Afd è in testa ai sondaggi in tutti i land della Germania orientale. Per mesi è sembrato che la Germania, come altri paesi europei, si stesse spostando sempre più inesorabilmente a destra. E che le piazze fossero ormai dominate da chi manifestava contro il governo di Olaf Scholz, contro le sue politiche ambientali, contro il sostegno all’Ucraina e a favore di una stretta in tema di immigrazione.

Nuova sensibilità Nel fine settimana tra il 19 e il 21 gennaio, tuttavia, la musica è cambiata, e ora i tedeschi scendono in piazza per qualcosa di più grande, per qualcosa che li unisce: scendono in piazza per la democrazia. E a sorprendere, oltre alla grande adesione, sono anche le numerose dichiarazioni rilasciate da figure pubbliche negli ultimi giorni. Ai funerali dell’ex calciatore Franz Beckenbauer, Uli Hoeneß, anche lui ex calciatore ed ex presidente del Bayern Monaco, si è lanciato in un discorso appassionato contro l’Afd, mentre in conferenza stampa gli allenatori del Friburgo e dello stesso Bayern, Christian Streich e Thomas Tuchel, hanno invitato i tedeschi a unirsi alle proteste contro l’estrema destra. Intanto, sui social network la Deutsche Bahn (le ferrovie tedesche) ha pubblicato un appello in cui si legge: “È il momento di alzarci tutti in piedi. Alziamoci a difesa della democrazia!”. Anche il presidente della confindustria tedesca, Siegfried Russwurm, ha espresso il suo sostegno alle manifestazioni. Insomma, sembra proprio che i riflessi democratici in Germania funzionino ancora. È più di un barlume di speranza. Incrociando le dita, possiamo dire che le proteste ci mostrano la strada da percorrere in questo 2024 che sarà decisivo per la democrazia. Per ora una cosa è certa: le cittadine e i cittadini liberali e dalla mentalità aperta sono molto preoccupati. E i politici dei partiti democratici devono dare ascolto ai loro timori. u sk

L’inchiesta

L’incontro di Potsdam ra una riunione di cui nessuno doveva sapere niente, gli invitati erano stati convocati con grande discrezione solo con una lettera. Invece è stata rivelata dal sito tedesco di giornalismo d’inchiesta Correctiv: alcuni reporter sono riusciti a infiltrarsi, ottenendo copia dei testi discussi e avvicinandosi abbastanza da scattare delle foto. Il 25 novembre una ventina di persone – un mix di militanti del partito di estrema destra Alternative für Deutschland (Afd), del Movimento identitario, di confraternite studentesche nazionaliste, medici, avvocati e imprenditori – hanno discusso un piano di “remigrazione”: l’espulsione di richiedenti asilo, immigrati regolari e cittadini tedeschi di origine straniera ritenuti non abbastanza “assimilati”. Il progetto non sembra aver sollevato obiezioni tra i partecipanti, scrivono i giornalisti, se non sulla sua fattibilità, in quanto violerebbe i diritti di cittadinanza e il principio di uguaglianza che sono alla base della costituzione tedesca. Per questo motivo l’Afd non si è opposto con eccessivo vigore alla decisione del governo di cancellare il divieto di doppia cittadinanza, spiega una deputata del partito, presente all’incontro: “Così si può togliere la cittadinanza tedesca a chi ne ha un’altra”. Uno degli imprenditori presenti si è detto fiducioso che tutto questo sarà possibile quando “una forza patriottica sarà arrivata al potere” e ha quindi proposto di nominare un comitato di esperti per mettere a punto i dettagli del piano: il comitato dovrebbe fare in modo che abbia l’apparenza di una normale iniziativa politica. Martin Sellner, figura influente dell’estrema destra tedesca e austriaca presente a Potsdam, inoltre, avrebbe proposto di individuare uno “stato modello” in Nordafrica dove “spostare” fino a due milioni di persone. All’incontro c’era anche il consigliere della presidente dell’Afd Alice Weidel, Roland Hartwig, che in seguito alla pubblicazione dell’inchiesta ha lasciato il suo incarico. u

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Europa

MARCO RAUCH (PICTURE-ALLIANCE/DPA/AP/LAPRESSE)

La leader dell’Afd Alice Weidel al Bundestag, 18 gennaio 2024

Sassonia, eletto nella circoscrizione elettorale di Meißen. All’inizio del novembre 2023, l’Afd – su cui da tempo esistevano sospetti – è stato ufficialmente classificato come “organizzazione di estrema destra” dai servizi di intelligence del land. Neanche questo è servito a far vacillare il sostegno al partito. Al contrario, spiega Hütter, le persone con cui parla ai banchetti per strada dicono che se lo aspettavano: “È una cosa che abbiamo già visto ai tempi della Ddr (la Repubblica Democratica Tedesca)”. Secondo Hütter, c’è anche chi, proprio per via dell’etichetta che i servizi segreti hanno affibbiato al partito, “oggi è più convinto che mai di voler sostenere l’Afd”.

Prudenza necessaria GERMANIA

Ostacoli imprevisti per l’estrema destra Tim Frehler, Süddeutsche Zeitung, Germania Le recenti manifestazioni in Germania potrebbero modificare alcuni equilibri politici. Ma di certo non faranno crollare i consensi per l’Afd ualcosa si muove, questo è evidente. Da giorni decine di migliaia di persone riempiono le piazze delle città tedesche per protestare contro l’estrema destra. Il 19 gennaio ad Amburgo e due giorni dopo a Monaco, gli organizzatori sono stati addirittura costretti ad annullare le manifestazioni previste per il numero troppo alto di partecipanti. All’origine ci sono le rivelazioni di Correctiv, il sito di giornalismo investigativo che ha raccontato i dettagli di un incontro, in un albergo di Potsdam, a cui hanno partecipato diverse figure dell’estrema destra insieme ad alcuni esponenti del partito di opposizione Alternative für Deutschland (Afd). Secondo l’inchiesta, durante l’incontro si è discusso, tra le altre cose, di come espellere dalla Germania le persone di origine straniera,

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incluse quelle con la cittadinanza tedesca. Da allora le proteste sono quasi quotidiane. Ma fino a che punto coinvolgono la società tedesca? Abbastanza da instillare dubbi in chi ancora è tentato dall’idea di votare per l’Afd? E il partito in questione, su posizioni nazionaliste e di estrema destra, cosa ne pensa? Teme davvero un calo dei consensi? A quest’ultima domanda, dalla leadership del partito arriva una risposta secca e concisa: “No,” dice Carsten Hütter, tesoriere e membro della segreteria nazionale dell’Afd. A sostegno della sua affermazione, Hütter cita le esperienze accumulate ultimamente partecipando ai banchetti di propaganda del partito e agli incontri con gli elettori. Certo, c’è chi è preoccupato e chiede conto di quanto si legge sui giornali: “Anche gli iscritti fanno domande”, ammette Hütter. Ma in molti casi sono di tutt’altro tenore, e riflettono l’atteggiamento prevalente tra i sostenitori del partito: “Le manifestazioni non indeboliranno il nostro sostegno e la nostra determinazione a votare per l’Afd”, si sente dire dai militanti. Hütter è deputato al parlamento del land della

Tuttavia, il partito non è rimasto del tutto immune alle rivelazioni di Correctiv e alle successive mobilitazioni popolari. Per esempio è stato rescisso il contratto di Roland Hartwig, collaboratore della segretaria Alice Weidel, che era presente a Potsdam. Non tutti l’hanno presa bene. In un post sui social network, l’editore di estrema destra Götz Kubitschek, considerato uomo di fiducia di Björn Höcke, tra le figure più influenti del partito, ha criticato duramente la decisione, accusando Weidel di aver gestito la faccenda come in “un qualsiasi partito dell’establishment”, cosa che avrebbe “portato acqua al mulino degli avversari”. Ma il portavoce di Weidel, Daniel Tapp, respinge le accuse, sostenendo che la decisione di separarsi da Hartwig è stata ben più complessa di come la descrive l’editore Kubitschek. Sembra che il 20 gennaio, durante una riunione a porte chiuse tra i dirigenti nazionali e i responsabili dei land, si sia discusso anche di come il partito debba affrontare gli ultimi eventi. Secondo Carsten Hütter “la discussione è stata breve ma intensa: noi rimaniamo fedeli alla nostra linea”. Tapp riferisce che si è parlato dei due possibili approcci alla situazione attuale: c’è chi vuol rimanere “fedele alla linea” e chi ritiene necessaria una comunicazione verso l’esterno più efficace e più chiara. Intanto, mentre l’Afd teneva le sue riunioni, in tutto il paese centinaia di migliaia di persone tornavano a riempire le piazze, in alcuni casi con un’affluenza di gran lunga superiore alle previsioni. D’altra parte, è anche vero che ormai da mesi

REGNO UNITO

AGRICOLTURA

Il Ruanda è lontano

Trattori in rivolta

Il piano del primo ministro Rishi Sunak per trasferire in Ruanda i migranti entrati illegalmente nel Regno Unito – cardine di una nuova e più restrittiva politica migratoria – procede a rilento e tra mille ostacoli. Il 22 gennaio la camera dei lord ha votato per sospendere il trattato tra Londra e Kigali che è alla base del progetto di legge. Secondo la camera alta, prima di definire il paese africano “sicuro” per i migranti servono maggiori garanzie. Come ricorda il Guardian, il progetto di legge in esame in parlamento è una versione modificata del primo testo presentato e già bocciato dalla corte suprema.

GUILLAUME SOUVANT (AFP/GETTY)

Maillé, Francia, 23 gennaio 2024

Richieste di asilo politico nel Regno Unito, migliaia 90 60 FONTE: GOV.UK

i sondaggi danno il partito di Weidel intorno, o addirittura oltre, il 20 per cento. Vista la situazione le cose possono davvero cambiare? Non è escluso. Secondo il politologo Frank Decker, dell’università di Bonn, che si occupa dell’Afd da anni, l’opinione pubblica non ha mai discusso tanto del partito come sta facendo ora, neanche nel 2017, quando Höcke definì “monumento della vergogna” il memoriale dell’Olocausto di Berlino. Secondo Decker, le manifestazioni di questi giorni segnano una “cesura” che potrebbe “spingere a riflettere parte dell’elettorato dell’Afd”, soprattutto chi appoggia il partito a causa di un generale senso di insicurezza generato anche dalle tante crisi in corso e potrebbe cambiare idea proprio per via della sua radicalizzazione e delle rivelazioni di Correctiv. È un discorso che vale in particolare per gli abitanti della Germania occidentale. Tuttavia, sottolinea il politologo, non bisogna peccare d’ingenuità: i consensi per l’Afd non crolleranno, al massimo diminuiranno un po’ rispetto ai picchi recentemente raggiunti nei sondaggi. Decker è scettico anche sul coinvolgimento nelle ultime mobilitazioni dei segmenti della società tradizionalmente lontani dagli ambienti di sinistra: “Almeno per il momento”, ipotizza, “sarà difficile che la mobilitazione coinvolga ampi strati della media borghesia”. u sk

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giu 2023

In Europa continuano le proteste degli agricoltori, le cui rivendicazioni variano da paese a paese: si va dalle richieste di tasse più basse e di maggiore regolarità nei pagamenti dei sussidi alle proteste contro i tagli alle agevolazioni per il settore e contro le importazioni sottocosto dall’Ucraina. Un comune denominatore, però, esiste: la categoria si sente particolarmente danneggiata dalle politiche volute da Bruxelles per la transizione verde. Negli ultimi giorni gli agricoltori hanno bloccato le strade di diverse località in Romania, hanno manifestato nel sud della Francia, sono scesi in piazza a Berlino, in Germania, e hanno organizzato mobilitazioni anche in Lituania. L’unica soluzione, scrive Euractiv, è il dialogo con le istituzioni europee, che sarebbe dovuto cominciare già da tempo. u

Da sapere

Doppia cittadinanza

u Il 18 e il 19 gennaio 2024 il parlamento tedesco ha approvato due leggi che modificano sostanzialmente la politica migratoria del paese. Il primo provvedimento facilita i respingimenti ai confini e le espulsioni dei migranti la cui richiesta di asilo non è stata accolta, aumentando da dieci a 28 giorni la durata massima della detenzione per gli irregolari e autorizzando perquisizioni domiciliari al fine di verificare l’identità dei migranti. La seconda legge, invece, semplifica il percorso per ottenere la cittadinanza tedesca, per cui d’ora in poi basteranno cinque anni di residenza, e legalizza la doppia nazionalità. Con il paese sempre più a corto di manodopera, il provvedimento intende facilitare l’integrazione degli immigrati regolari e già residenti in Germania e favorire l’arrivo di forza lavoro qualificata attraverso i canali regolati dallo stato. Die Zeit

VIAGGI

NATO

Traffico sotto la Manica

Le grandi manovre

Nel 2023 il traffico dell’Eurostar, il servizio ferroviario che collega il Regno Unito al continente europeo, è tornato ai livelli precedenti all’epidemia di covid-19, con un aumento del 22 per cento dei passeggeri, scrive il Guardian. I viaggi da Londra a Parigi sono cresciuti del 25 per cento mentre le rotte verso Bruxelles e Amsterdam sono aumentate di un terzo. Il numero totale di passeggeri ha raggiunto i 18,9 milioni.

Mentre il conflitto in Ucraina si avvicina al compimento del secondo anno, in Europa la Nato sta organizzando la sua più grande esercitazione congiunta degli ultimi decenni. Dalla fine di gennaio novantamila uomini saranno impegnati a simulare una risposta militare a un attacco russo. Alle manovre, che dureranno fino a maggio, parteciperanno tutti i 31 paesi dell’alleanza più la Svezia, il cui ingresso nella Nato è stato ap-

provato dal parlamento turco il 23 gennaio, dopo mesi di trattative. “Attaccare l’Ucraina è molto diverso dal fare la guerra alla Nato”, scrive l’ungherese Index. “Putin può anche immaginare di vendicarsi del ‘malvagio occidente’, ma farlo davvero presenta infiniti problemi. Il Cremlino può solo diffondere notizie false, alimentare intrighi e cavalcare i dissidi interni ai singoli paesi”. Tuttavia, aggiunge l’ucraino Gordonua, “più l’occidente si prepara a un conflitto, meno questo diventa probabile. La Russia non dichiarerà mai guerra a chi è pronto a farla”.

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Africa e Medio Oriente ISRAELE-PALESTINA

La strategia perdente di Benjamin Netanyahu

natamente rifiutato di ammettere qualsiasi errore da parte sua o di assumersi una responsabilità anche parziale delle scelte fallimentari che hanno reso possibile lo scoppio della guerra.

La versione di Eisenkot

Amos Harel, Haaretz, Israele Il primo ministro israeliano si rifiuta di discutere una soluzione per la fine della guerra a Gaza e per il rilascio degli ostaggi. Questo aumenta la sfiducia e lo scontento dei cittadini a conferenza stampa del primo ministro Benjamin Netanyahu è stata convocata in tutta fretta il 18 gennaio, e si è tenuta immediatamente prima che Channel 12 trasmettesse l’intervista a Gadi Eisenkot, ministro del gabinetto di guerra ed ex capo di stato maggiore dell’esercito israeliano. L’apparizione pubblica di Netanyahu non è stata un evento che ispira fiducia. Alla crescente diffidenza della maggioranza degli israeliani verso l’uomo che

AVI OHAYON (AP/LAPRESSE)

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dovrebbe condurre la guerra si aggiungono i timori di un ulteriore aumento delle tensioni nel nord del paese. Due attacchi mortali compiuti il 20 gennaio – uno nel cuore della capitale siriana Damasco e un altro vicino alla città di Tiro, nel sud del Libano – sono stati attribuiti a Israele. L’ultima prova di Netanyahu, per ora, ha lasciato un’impressione triste e deludente. Il primo ministro sembra in campagna elettorale. La confusione e la paura che trasparivano dalle sue apparizioni dopo il sanguinoso attacco di Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre hanno lasciato il posto all’arroganza e all’aggressività, rivolte soprattutto ai giornalisti che hanno osato fare domande più dure di quelle di Channel 14, il “canale di casa”, che ancora una volta, miracolosamente, ha ottenuto il diritto di fare la prima domanda. Netanyahu ha litigato con i giornalisti e si è osti-

Su tutto gravava la consapevolezza che per Netanyahu in questo momento evitare di decidere è di fatto la linea principale. Quando non si è scontrato direttamente con i giornalisti, ha promesso una lunga guerra (almeno un anno), si è rifiutato di parlare di come portare a termine l’offensiva contro Hamas a Gaza, ha evitato riferimenti diretti al dramma degli ostaggi israeliani nella Striscia, le cui vite sono in pericolo, e ha tralasciato la situazione sempre più complicata in Cisgiordania. Le sue affermazioni erano in netto contrasto con le posizioni espresse due ore dopo da Gadi Eisenkot nell’intervista con la giornalista Ilana Dayan. La tragedia personale del ministro – suo figlio Gal Meir Eisenkot è stato ucciso in combattimento a Gaza all’inizio di dicembre – ha generato un grande interesse tra gli israeliani. La sincerità e la schiettezza con cui Eisenkot ha parlato del lutto della sua famiglia hanno suscitato molta compassione, ma anche le parti meno personali del

Benjamin Netanyahu con i soldati israeliani nella Striscia di Gaza, il 25 dicembre 2023

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suo intervento possono far capire molte cose. Eisenkot ha ammesso che le autorità israeliane non stanno dicendo la verità sulla guerra, ha evitato di dire che si fida di Netanyahu – ha fiducia, ha affermato, nei meccanismi decisionali del gabinetto di guerra –, ha chiesto rapidi progressi verso un accordo per gli ostaggi, anche a caro prezzo, e ha proposto di tenere elezioni anticipate entro pochi mesi.

Il giorno dopo Le complesse circostanze militari e politiche incidono sul processo decisionale del gabinetto di guerra: Netanyahu e il ministro della difesa Yoav Gallant, anche se concordano sul proseguimento della guerra e sul modo di condurre le trattative per gli ostaggi, sono ai ferri corti sul piano personale e a malapena si parlano. Nelle ultime due settimane Gallant ha espresso apertamente il suo sostegno a dei piani per il “giorno dopo”, che Netanyahu rimanda per timore dei suoi alleati di estrema destra. Gallant non va d’accordo con Eisenkot, mentre ha un buon rapporto con il capo del Partito di unità nazionale Benny Gantz. Tutti e tre questi generali in pensione nutrono profondi sospetti verso le intenzioni del primo ministro, e sono insoddisfatti del suo operato. Gallant è preoccu-

pato per la sicurezza del paese. La questione è se questa preoccupazione si tradurrà in mosse politiche e se si troveranno alleati tra i componenti del gabinetto e i deputati del Likud, il partito del premier. Al momento sembra che, in fatto di battaglie politiche, il primo ministro sia più determinato e calcolatore di tutti i suoi rivali. Dopo una pausa di un mese, il 19 gennaio il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha ripreso le comunicazioni telefoniche con Netanyahu. Le aveva interrotte dopo il rifiuto del primo ministro israeliano di approvare un accordo per sbloccare le entrate fiscali dell’Autorità nazionale palestinese, che erano state congelate. Il 18 gennaio il gabinetto di sicurezza ha discusso un complicato compromesso che prevede un trasferimento di quei fondi attraverso la Norvegia, e il giorno successivo c’è stata la telefonata. L’ufficio del primo ministro ha definito “buona” la conversazione con Biden. Alcuni rappresentanti della Casa Bianca hanno lasciato intuire alla stampa statunitense che Biden ha fatto pressione su Netanyahu perché accetti la creazione di uno stato palestinese dopo la fine della guerra, e Netanyahu non ha respinto l’idea. È una linea decisamente diversa da quella tenuta in Israele, dove il primo miCONTINUA A PAGINA 24 »

Da sapere Bilancio in crescita u Secondo le autorità di Hamas, l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza ha causato la morte di 25.490 persone, più dell’1 per cento della popolazione del territorio e in grande maggioranza donne, bambini e adolescenti. L’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 ha provocato 1.140 vittime in Israele, secondo un conteggio dell’Afp basato sugli ultimi dati israeliani disponibili. u Un portavoce dell’esercito israeliano ha annunciato il 23 gennaio 2024 che ventuno riservisti erano morti il giorno prima nella Striscia di Gaza. Tre ufficiali dei paracadutisti inoltre erano stati uccisi a Khan Yunis. Si tratta del bilancio giornaliero più pesante per l’esercito dall’inizio dell’offensiva di terra il 27 ottobre. In tutto hanno perso la vita più di duecento soldati israeliani. u Al termine di un incontro con il loro collega israeliano Yisrael Katz, il 22 gennaio i ministri degli esteri dell’Unione europea hanno confermato che il governo israeliano non è disposto a prendere in considerazione una “soluzione a due stati”, che prevede la nascita di uno stato palestinese. Il capo della diplomazia europea

10 km

Mar Mediterraneo

Valico di Erez Beit Lahia

Striscia di Gaza (PALESTINA)

Khan Yunis

Gaza

Wadi Gaza

ISRAELE

Rafah

EGITTO

Valico di Rafah

Josep Borrell ha reagito dicendo: “La soluzione a due stati è l’unica possibile, a meno che Israele non voglia trasferire l’intero popolo palestinese o ucciderli tutti. Per ora non sta facendo altro che piantare i semi dell’odio per le generazioni future”. u Il 23 gennaio l’esercito israeliano ha annunciato di aver circondato la città di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, dove si sono rifugiate centinaia di migliaia di persone fuggite dai bombardamenti israeliani nel nord. Afp

Mar Rosso

Certezze e timori l 23 gennaio i miliziani huthi hanno annunciato che risponderanno ai nuovi bombardamenti condotti durante la notte da Stati Uniti e Regno Unito contro le loro postazioni nello Yemen. Quella statunitense e britannica è stata la seconda operazione congiunta messa a punto in reazione agli attacchi contro le navi mercantili nel mar Rosso e nel golfo di Aden compiuti nelle ultime settimane dai miliziani, che dicono di agire a sostegno dei palestinesi della Striscia di Gaza. Questi attacchi hanno costretto molti armatori a sospendere il transito attraverso una zona dove passa il 12 per cento del commercio globale. Il corrispondente di Al Araby al Jadid da Sanaa, la capitale dello Yemen controllata dagli huthi dal 2014, riferisce che il rumore dei bombardamenti aerei anglo-statunitensi, i più violenti dell’inizio dell’operazione, è stato sentito in tutta la città. Il timore di un’escalation nel mar Rosso ha spinto l’Egitto ad aprire nuovi canali di comunicazione con gli huthi, spiega il quotidiano panarabo. Lo stretto di Bab el Mandeb è fondamentale per il flusso nel canale di Suez e quindi per le entrate del governo. Fonti egiziane hanno rivelato che ci sono stati “intensi contatti con i leader del movimento huthi e con l’Iran”, in seguito ai quali Il Cairo ha confermato che non parteciperà agli attacchi internazionali contro i miliziani. L’Egitto ha anche avvertito l’amministrazione statunitense del pericolo di una soluzione militare alla crisi del mar Rosso: gli iraniani potrebbero bloccare il passaggio attraverso lo stretto di Hormuz a tutte le navi dirette verso il Golfo. Il 22 gennaio migliaia di persone hanno partecipato a una manifestazione a sostegno dei palestinesi di Gaza a Marib, una città nell’est dello Yemen diventata rifugio di molti abitanti in fuga dalle milizie huthi. Il giornale yemenita Al Sahwa, ostile agli huthi, ricorda che i manifestanti hanno ribadito di considerare il sostegno occidentale a Israele “un fallimento morale e una palese violazione di tutte le leggi internazionali”. u

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Africa e Medio Oriente nistro si presenta come l’unico in grado d’impedire la nascita di uno stato palestinese. In deroga alle consuetudini, l’ufficio del primo ministro ha diffuso una dichiarazione durante lo Shabbat, la festa del riposo che si celebra di sabato, per precisare che Netanyahu resta contrario alla sovranità palestinese sulla Striscia di Gaza.

Momenti decisivi L’urgenza di salvare i 136 ostaggi trattenuti da Hamas, alcuni già dichiarati morti dall’esercito, non può essere sottovalutata. Il 20 gennaio sono emersi timori per la salute di Ohad Yahalomi, riconosciuto in un video pubblicato da un’organizzazione palestinese nella Striscia di Gaza. La settimana precedente altri due ostaggi, Yossi Sharabi e Itay Svirsky, sono stati dichiarati morti. La sorella di Svirsky, Merav, ha dichiarato che la famiglia sa che è stato ucciso dai suoi sequestratori dopo un attacco israeliano nella zona. L’esercito ha risposto dicendo che quando aveva attaccato non sapeva che Svirsky fosse nelle vicinanze. Per Merav Svirsky ci sono altri casi simili. Agli occhi della maggior parte dei familiari non solo i tentativi dell’esercito di liberare gli ostaggi non stanno portando a nulla – a eccezione del caso di Ori Megidish, un soldato detenuto da Hamas e salvato alla fine di ottobre –, ma operazioni azzardate, e perfino imprecise, mettono in pericolo la vita delle persone. La sera del 20 gennaio alcune famiglie hanno allestito un accampamento di tende davanti alla casa privata di Netanyahu a Cesarea, tra Tel Aviv e Haifa. Nei prossimi giorni è probabile che assisteremo a gesti di protesta più eclatanti, perché la sensazione è che il tempo stia per scadere (il 22 gennaio un gruppo di parenti degli ostaggi ha fatto irruzione in parlamento, chiedendo interventi urgenti per il loro rilascio). Le proposte di Egitto e Qatar per un nuovo accordo stanno avanzando lentamente, nonostante l’ottimismo che l’amministrazione Biden cerca di comunicare. Sul fronte settentrionale, secondo le notizie provenienti da Siria e Libano, in due ore sono state condotte due operazioni che hanno causato vittime. Prima è stato segnalato un attacco aereo israeliano che ha colpito un edificio a Damasco usato dai Guardiani della rivoluzione irania-

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ni. Cinque affiliati dell’organizzazione sono stati uccisi, tra cui il capo dell’intelligence della Forza Quds e il suo vice. Poi vicino a Tiro un drone israeliano avrebbe colpito un veicolo uccidendo due palestinesi. Uno di loro era il collegamento tra la Forza Quds iraniana e Hamas in Libano. Se queste notizie sono vere, è chiaro che, come nell’attacco di dicembre a Damasco in cui è stato ucciso il generale iraniano Razi Mousavi, Israele sta cercando di approfittare della situazione per colpire chi sta guidando il progetto iraniano di armare Hezbollah, un piano che a ottobre ha accelerato. In Siria negli ultimi tre mesi e mezzo ci sono state decine di attacchi aerei israeliani. Quello vicino a Tiro esce dai limiti geografici dei combattimenti, ma invece di essere contro Hezbollah ha preso di mira Hamas, considerato il suo alleato minore nella campagna in Libano. L’operazione era stata preceduta dall’uccisione, anche questa attribuita a Israele, dell’alto funzionario di Hamas Saleh al Arouri all’inizio di gennaio. Il 19 gennaio il Washington Post ha scritto che Israele ha concesso agli statunitensi qualche altra settimana per i negoziati, nel tentativo di risolvere pacificamente la crisi alla frontiera libanese e far ritirare Hezbollah dall’area. La vera scadenza sarà probabilmente posticipata. Secondo fonti statunitensi e libanesi contattate dal quotidiano, l’inviato di Biden nella regione, Amos Hochstein, avrebbe presentato alle parti una proposta per spingere Hezbollah qualche chilometro più a nord e dare all’esercito libanese nel sud del paese un ruolo più attivo. La guerra, su tutti i fronti, sta cambiando forma. Nella Striscia di Gaza ci sono meno truppe israeliane, concentrate nell’area di Khan Yunis e in altre zone per compiere operazioni mirate contro Hamas. Nel nord sta emergendo una sfida più grande, perché la tensione cresce ed è difficile far tornare alle loro case gli abitanti delle comunità di confine. Israele sembra avvicinarsi a dei momenti decisivi, anche se il primo ministro non dà segni di voler prendere una decisione ed è impegnato a promettere la vittoria totale in un lontano futuro. Senza una strategia, la palla ora è per lo più nel campo della politica, e dipende dalle decisioni del gabinetto di guerra, di Gantz e di Eisenkot. u fdl

Dalla Striscia di Gaza

Senza contatti con il mondo Ruwaida Kamal Amer, The Electronic Intifada, Palestina a quando ha dichiarato la sua guerra genocida, Israele ha più volte bloccato completamente i collegamenti internet nella Striscia di Gaza. Ogni blackout ha avuto conseguenze. Non potevamo tenerci in contatto con i familiari in altre parti della Striscia o con il mondo esterno. L’ultimo blackout è durato più di una settimana. L’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha avvertito che ostacolava l’accesso delle persone a informazioni che potevano salvargli la vita e impediva di chiamare i soccorsi. Anche altre forme di assistenza sono state rese più difficili. Rima Saadi, 35 anni, vive Khan Yunis e quando è cominciato il blackout si è preoccupata: “Forse Israele aveva un nuovo piano per ucciderci senza che il mondo lo sapesse? Ogni volta che mancava internet ci sono stati dei massacri. La cosa più frustrante è che Israele controlla tutti gli aspetti della nostra vita, anche quella online. Noi non controlliamo nulla”. Khaled Lawz, vent’anni, racconta che i suoi vicini si sono riuniti ad ascoltare la radio: “Le notizie però erano scarse, nulla di paragonabile alla possibilità di contattare le persone direttamente”. Da quando è cominciata la guerra, anche suo padre segue le notizie sul telefono attraverso il canale YouTube di Al Jazeera: “Carica il telefono due volte al giorno all’Ospedale europeo, vicino a dove viviamo, così può restare connesso. Quando c’è stato il blackout si è agitato”. Per distrarsi, Khaled ha passato il tempo a guardare le foto che aveva scattato prima della guerra: “C’erano luoghi bellissimi a Gaza. Vorrei che quello che stiamo vivendo fosse solo un sogno, e finisse presto. Ma purtroppo è la realtà e non sappiamo quando finirà”. u fdl

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Ruwaida Kamal Amer è una giornalista di Gaza.

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KENYA

L’odio diffuso contro le donne Dall’inizio di gennaio in Kenya sono avvenuti cinque femmini­ cidi che hanno sconvolto l’opi­ nione pubblica. In due casi le donne sono state uccise in ap­ partamenti affittati su Airbnb: una di loro, Starlet Wahu (nella foto), era famosa sui social; un’altra, Rita Waeni, era una studente di una ventina d’anni ritrovata con il corpo mutilato. Sul quotidiano The Star Lucy Mwangi scrive che questi delitti mostrano “una società in cui i casi di femminicidio sono di­ ventati allarmanti. Anche se so­ no denunciati, discussi e analiz­ zati pubblicamente sui social media, dalle conversazioni onli­ ne emergono atteggiamenti pre­ occupanti come gli attacchi ri­ volti alle vittime, la disumaniz­ zazione e la giustificazione della violenza sulle donne. Il femmi­ nicidio non è un problema isola­ to, ma è il sintomo di una cultu­ ra radicata che svaluta e svilisce le donne. L’assenza di una rispo­ sta forte e unitaria dei nostri lea­ der è altrettanto pericolosa: in­ dica una mancanza di attenzio­ ne e di presa di coscienza della gravità della situazione. È arri­ vato il momento di smantellare la cultura tossica che permette ai colpevoli di sfuggire alle loro responsabilità. Il femminicidio dovrebbe essere dichiarato que­ stione d’interesse nazionale”. Nel 2022, secondo un sondaggio keniano riportato dalla Bbc, il 34 per cento delle intervistate aveva detto di aver subìto vio­ lenze fisiche.

SENEGAL

MAROCCO

Diritti umani sotto esame

I rifiuti dell’Europa

Sud Quotidien, Senegal

“Si è riaccesa la polemica sui ri­ fiuti che dall’Unione europea ar­ rivano in Marocco”, scrive Tel Quel dopo la pubblicazione di un rapporto dell’Eurostat, se­ condo cui nel 2022 il regno ha importato 0,8 milioni di tonnel­ late di rifiuti europei. Il settima­ nale ricorda che la ministra della transizione energetica Leila Be­ nali era stata già invitata dall’op­ posizione a precisare che tipo di immondizia arrivasse nel paese dall’estero, e a riferire sulle mi­ sure messe in atto per fermare il traffico di rifiuti illegali, in parti­ colare dalla Spagna. Il governo non ha mai risposto ed è accusa­ to da alcune associazioni di un “ambientalismo di facciata”.

“Il caso Senegal in discussione”, titola il giornale Sud Quotidien commentando le denunce di Human rights watch. Secondo l’organiz­ zazione per i diritti umani, in vista delle presidenziali del 25 febbraio le autorità di Dakar hanno schiacciato l’opposizione, imbavagliato i mezzi d’informazione e intimidito la società civile. Il giro di vite, in realtà, è cominciato nel 2021 – con i primi processi contro l’oppositore Ousmane Sonko – e si è intensificato negli ultimi mesi. Intanto, il 21 gennaio, il consiglio costituzionale del Senegal ha pubblicato la lista definitiva dei venti candidati presidenziali, da cui mancano due figure di primo piano: Sonko, escluso perché deve scontare una condanna a due anni di carcere, e Karim Wade, figlio dell’ex capo di stato Abdoulaye Wade. La candidatura di Wade per il Partito democratico senegalese (Pds) non è stata accettata perché lui ha la doppia nazionalità senegalese e francese, cosa non ammessa dalla costituzione. Nella sede del Pds, scrive il sito Seneplus, i militanti accusano il presidente Macky Sall di aver voluto favorire il candidato del suo partito, il premier Amadou Bâ. u

250 km

NIGER

NIGERIA

Lagos

Abuja

CAMERUN

Lagos

CAMERUN

Vaccini e anniversari Il 22 gennaio sono cominciate in Camerun le prime campagne di vaccinazione contro la malaria. A novembre il paese aveva rice­ vuto trecentomila dosi del far­ maco Rts,s finanziate dalla Ga­ vi, un ente di cooperazione in­ ternazionale tra soggetti pubbli­ ci e privati. Il vaccino, autorizza­ to e raccomandato dall’Organiz­ zazione mondiale della sanità, è stato sottoposto a sperimenta­ zione in tre paesi (Malawi, Gha­ na e Kenya) ed è somministrato in quattro dosi a partire dai sei mesi. Nel 2022 la malaria ha uc­ ciso 608mila persone in tutto il mondo, su circa 250 milioni di infezioni totali.

u Lo stesso giorno nel paese si ricordava Martinez Zogo, il con­ duttore radiofonico ucciso per le sue inchieste sulla corruzione, il cui corpo era stato ritrovato il 22 gennaio 2023. Secondo Le Monde Afrique nessuno avrebbe potuto immaginare che dopo l’uccisione del giornalista il potente direttore dei servizi segreti esteri, Léopold Maxime Eko Eko, sarebbe finito in carce­ re come principale mandante. Ma restano ancora parecchie zo­ ne d’ombra: Deutsche Welle scrive che Zogo potrebbe essere stato la vittima dello scontro tra clan che ambiscono a prendere il posto del presidente Paul Biya. NEWSLETTER Africana e Mediorientale sono le newsletter settimanali di Francesca Sibani e Francesca Gnetti con le notizie dall’Africa e dal Medio Oriente. Per riceverle: internazionale.it/newsletter

IN BREVE

Nigeria Nello stato di Lagos, che ha 16,5 milioni di abitanti, è entrato in vigore il 23 gennaio il divieto di usare e vendere poli­ stirolo e plastiche monouso. Iran Il 23 gennaio è stata esegui­ ta la condanna a morte di Mo­ hammad Ghobadlou, 23 anni, accusato di aver ucciso un poli­ ziotto durante le proteste contro il governo del 2022. Sudan Il 22 gennaio il consiglio dell’Unione europea ha sottopo­ sto a sanzioni sei aziende che producono armi collegate all’e­ sercito o alle Forze di supporto rapido. Secondo alcune stime gli scontri tra le due parti hanno già causato 13mila morti, ma per gli esperti dell’Onu nella sola città di Al Geneina sono state uccise più di diecimila persone.

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Americhe

ALAN CHAVES (AFP/GETTY)

Nell’ospedale pediatrico Santo Antônio. Boa Vista, 17 gennaio 2024

BRASILE

La malaria si diffonde nelle terre degli yanomami Leonardo Zvarick, Folha de S.Paulo, Brasile All’inizio del 2023 il governo brasiliano ha decretato l’emergenza sanitaria tra i nativi. Anche se sono stati fatti passi avanti, gli yanomami continuano a morire per malattie curabili n anno dopo la denuncia dell’emergenza sanitaria nei territori dei nativi yanomami, nel nord del Brasile, la malaria continua a essere una delle cause principali di morte. “I bambini si ammalano”, dice Júnior Hekurari, presidente del consiglio distrettuale sanitario yanomami, che da settembre denuncia la ripresa delle invasioni dei garimpeiros, i minatori d’oro illegali. “Quasi tutte le comunità della zona sono colpite dalla malaria”, aggiunge. I dati del ministero della sanità dimostrano che, nonostante i provvedimenti del governo, la malattia continua a diffondersi. Nel 2023 sono morte 25 persone per la malaria, rispetto alle 21 dell’anno prima. E il distretto sanitario speciale indigeno yanomami (Sdei) ha contato 25.895 casi di ma-

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laria, cioè il 20 per cento di quelli registrati in tutto il Brasile. Sono numeri record, con un aumento del 64 per cento rispetto al 2022. Il ministero afferma che nei territori dei nativi sono stati inviati operatori sanitari per individuare le persone malate e nel 2023 sono stati fatti più di 140mila esami diagnostici. Inoltre è stato messo a punto un piano d’azione per il controllo dell’infezione, in particolare nelle aree dove si concentrano le larve delle zanzare, e per individuare le strutture adeguate alla cura di chi è malato.

Lavoro discontinuo La malaria è endemica in tutta la regione amazzonica, ma negli ultimi dieci anni la sua diffusione è aumentata soprattutto nelle terre degli yanomami. Nello stesso periodo è cresciuta la presenza dei garimpeiros nella regione e si è intensificata l’attività estrattiva. “Le miniere a cielo aperto causano profondi mutamenti e alterazioni nel territorio”, spiega Maria de Fátima Ferreira da Cruz, responsabile del laboratorio di ricerca sulla malaria della fondazione

Oswaldo Cruz (Fiocruz), che coordina gli studi sull’argomento. Con ogni nuova miniera a cielo aperto nella foresta nasce un nuovo centro di diffusione della malattia, che raggiunge i villaggi vicini. Inoltre i minatori, che si spostano di continuo, contribuiscono a farla circolare. Le autorità affermano che la mancanza di prevenzione e assistenza durante il governo dell’ex presidente Jair Bolsonaro ha ridato slancio alla malattia. I controlli stavano aumentando dal 2014, ma sono crollati nel 2021 e nel 2022. Rispetto al 2014, i casi sono cresciuti del 784 per cento e rispetto al 2019, prima della pandemia, del 57 per cento. Nel 2015 il Brasile ha lanciato il piano nazionale per l’eliminazione della malaria, che ha l’obiettivo di debellarla entro il 2035. Ferreira da Cruz però lancia un nuovo allarme: è in crescita l’infezione causata dalla specie Plasmodium falciparum, che scatena la forma più grave della malattia, spesso letale. Rispetto al resto del Brasile, dove è in calo, nei territori yanomami la Plasmodium falciparum è responsabile di tre casi su dieci. “Questo dimostra che gli operatori sanitari non hanno agito come avrebbero dovuto. Ci sono solo tre cose da fare per bloccare la malattia: vigilanza, diagnosi e cura”, dice il medico Paulo César Basta, ricercatore della Fiocruz che lavora con gli yanomami dal 1998. La diffusione della malattia, dice, è il risultato dei tagli al servizio sanitario durante il governo Bolsonaro. “Lo Sdei è stato praticamente sabotato, il personale è stato sostituito e molte risorse sottratte e sviate”. Secondo il medico, le azioni del governo di Luiz Inácio Lula da Silva nel primo semestre del 2023 sono state importanti, ma non hanno risolto il problema della salute tra le popolazioni native. “Sono state salvate molte vite e il governo ha fatto la sua parte per le emergenze, inviando medici e trasportando i malati più gravi in centri specializzati. Ma il lavoro è stato discontinuo e oggi si nota una certa stanchezza”, afferma Basta. Oltre a ciò, la presenza delle miniere illegali rende più difficile l’azione degli operatori sanitari, spiega Hekurari, leader yanomami. I medici, minacciati da minatori spesso armati, non riescono a raggiungere i villaggi. “Fino a che ci sarà il garimpo, gli yanomami soffriranno a causa delle malattie. I

500 km

Oceano Atlantico

Boa Vista Yanomami

BRASILE Brasília

BOLIVIA PARAGUAY

São Paulo

ARGENTINA URUGUAY

Rio de Janeiro

HAITI

STATI UNITI

Port-au-Prince sotto assedio

Trump vince ancora

ECUADOR

Decine di arresti Il 21 gennaio la polizia ha arrestato 68 uomini armati che avevano fatto irruzione in un ospedale di Yaguachi, nella provincia di Guayas, scrive la Bbc. Secondo le forze di sicurezza dell’Ecuador, l’obiettivo era proteggere un loro compagno ricoverato da eventuali attacchi di bande rivali. Sono state sequestrate armi e droga. Dal 9 gennaio nel paese andino è in vigore lo stato d’emergenza per far fronte alla violenza.

Nashua, New Hampshire, 23 gennaio 2024

AL DRAGO (BLOOMBERG/GETTY)

“Il 18 gennaio le bande criminali hanno preso d’assalto Solino, un quartiere strategico di Port-au-Prince, costringendo gli abitanti a rifugiarsi nelle loro case. Molti altri”, riporta il giornale Gazette Haïti, “sono scappati (nella foto) a piedi o in moto per mettersi al riparo dalla violenza, portandosi dietro solo qualche vestito”. Negli scontri a fuoco, che sono andati avanti per quattro giorni, sono morte almeno 24 persone. Oggi i gruppi armati controllano circa l’80 per cento della capitale e la caduta eventuale di Solino gli aprirebbe la strada per espandersi nelle poche zone ancora sicure.

RICHARD PIERRIN (AFP/GETTY)

bambini più degli altri”, dice. “Chiediamo al governo di cercare soluzioni permanenti. Senza un piano di sicurezza sanitaria non si potrà garantire la salute dei nativi”. Kleber Karipuna, responsabile dell’associazione dei popoli indigeni brasiliani, è d’accordo: “Lo stato non deve limitarsi a cacciare i garimpeiros, deve restare sul territorio. È l’unico modo di impedire il ritorno dei minatori e l’invasione di altre comunità”, afferma. Dal gennaio 2023, quando è stata dichiarata l’emergenza sanitaria, il ministero della sanità ha investito “più di 220 milioni di real (40 milioni di euro) per garantire l’accesso alla salute dei nativi in quella zona”, si legge in un documento pubblico. Il doppio rispetto al 2022. Gli operatori sanitari attivi nella regione sono passati da 690 a 960, e sono stati riaperti sette ambulatori: oggi nella terra yanomami sono 68 i centri in grado di assistere i malati. “In queste zone sono stati curati più di trecento bambini affetti da forme gravi e moderate di malnutrizione. Inoltre il governo, attraverso il programma Mais médicos, ha portato da 9 a 28 il numero di medici”, continua il documento del ministero. Un rapporto recente del centro operazioni d’emergenza yanomami ha reso noto che fino al novembre 2023 erano morti 308 nativi, il 10 per cento in meno rispetto al 2022. Metà erano bambini di meno di quattro anni. Oltre alla malaria le cause di morte sono la polmonite, la diarrea e la denutrizione. Il 9 gennaio Lula ha annunciato l’apertura di una “casa del governo” nello stato del Roraima, dove vivono gli yanomami, per organizzare le azioni nelle terre indigene e installare tre basi per la vigilanza, di cui si occuperà la polizia e l’esercito. La spesa prevista è di 1,2 miliardi di real. u ar

“Dopo aver conquistato l’Iowa, il 23 gennaio Donald Trump ha vinto le primarie del Partito repubblicano in New Hampshire, e ora la sua candidatura alle presidenziali di novembre sembra inevitabile”, scrive Il Wall Street Journal. “L’ex presidente ha staccato di undici punti la sua unica sfidante, Nikki Haley, conquistando la maggioranza dei voti degli uomini, delle donne e dei giovani”. Haley ha detto che continuerà la campagna elettorale, ma la strada è in salita. Sulla carta il New Hampshire era lo stato a lei più favorevole, visto che gli elettori repubblicani tendono a essere più moderati rispetto al resto del paese e alle primarie possono votare anche le persone registrate come indipendenti. Il prossimo stato importante a esprimersi sarà la South Carolina, il 24 febbraio. Haley lì è stata governatrice, ma secondo i sondaggi Trump è in vantaggio di circa quaranta punti percentuali. Haley è data seconda in tutti gli stati in cui si deve ancora votare. L’ex presidente ha commentato il risultato del New Hampshire attaccando la sfidante, e nel partito cominciano le pressioni perché Haley si ritiri e appoggi Trump in vista della sfida contro il presidente Biden. “Ma dal New Hampshire sono arrivati anche segnali allarmanti per Trump in vista delle presidenziali, come era già successo in Iowa”, scrive il New York Times. “Una parte significativa del sostegno a Haley è arrivata da elettori non iscritti al partito che volevano insistere sulla necessità di fermare Trump. Secondo gli exit poll della Cnn, la metà di chi ha votato alle primarie pensa che Trump non sarebbe adatto alla presidenza se dovesse essere condannato in uno dei processi in cui è imputato. In un’elezione combattuta, questo fattore potrebbe essere importante”. u Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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Asia e Pacifico INDIA

Modi celebra il trionfo del suprematismo indù B. Banerjee, S. Saaliq e K. Pathi, Associated Press, Stati Uniti Il premier indiano ha inaugurato un tempio indù sulle macerie della moschea che nel 1992 fu rasa al suolo da una folla di estremisti. Un forte segnale d’intolleranza verso le minoranze l 22 gennaio il primo ministro indiano Narendra Modi ha inaugurato un tempio indù sulle rovine di una storica moschea nella città settentrionale di Ayodhya, nell’Uttar Pradesh. Ha mantenuto così un importante impegno con i nazionalisti indù che, nelle speranze del suo partito, dovrebbe permettergli di ottenere un terzo mandato consecutivo alle elezioni di aprile. Il tempio, ancora in costruzione, è dedicato al dio indù Rama ed è la risposta alle rivendicazioni avanzate da tempo da milioni di devoti. Per il Bharatiya janata party (Bjp), il partito di Modi, e per altri gruppi nazionalisti indù, il tempio è un elemento centrale della loro rivendicazione dell’orgoglio indù, che ritengono cal-

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PRESS INFORMATION BUREAU/AP/LAPRESSE

Ayodhya, India, 22 gennaio 2024

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Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

pestato da secoli di dominio islamico e di colonialismo britannico. Modi, vestito con un kurta tradizionale, ha guidato la cerimonia di apertura mentre i sacerdoti indù intonavano inni nel santuario dentro il tempio, dov’è stata installata una scultura in pietra di Rama alta 1,3 metri. Un sacerdote ha suonato la conchiglia per segnalare l’apertura del tempio e Modi ha deposto un fiore di loto davanti all’icona di pietra nera, addobbata con intricati ornamenti dorati e con in mano un arco e una freccia d’oro. Poi si è prostrato davanti alla statua. “Nostro signore Rama è arrivato dopo secoli di attesa”, ha detto Modi, applaudito da migliaia di persone. Ha dichiarato che il tempio è stato costruito dopo “innumerevoli sacrifici” ed è la testimonianza di un’India in ascesa che “sta rompendo le catene della mentalità schiavista”. “Il 22 gennaio 2024 segna l’alba di una nuova era”, ha detto Modi. Milioni di indiani hanno seguito la cerimonia in diretta tv, dove l’evento è stato presentato come uno spettacolo religioso. “Comincia il Ram rajya (governo di Ra-

ma)”, recitava un titolo del telegiornale. Ram rajya è un’espressione sanscrita che nell’induismo significa governo giusto ed etico, ma è stata usata dai nazionalisti indù per indicare il dominio indù in un’India ufficialmente laica. Quasi 7.500 persone, tra cui esponenti dell’élite industriale, politici e star del cinema, hanno assistito al rito su uno schermo gigante fuori dal tempio, mentre un elicottero militare lanciava petali di fiori. Modi ha voluto incarnare un’inedita ed esplicita fusione tra religione e politica in India. Prima dell’apertura di quello ad Ayodhya, ha visitato per undici giorni diversi templi di Rama come parte di un rituale indù. Gli analisti considerano la cerimonia del 22 gennaio come l’inizio della campagna elettorale di Modi che, nei suoi quasi dieci anni al governo, ha cercato di trasformare il paese da democrazia laica in uno stato esplicitamente religioso. Secondo gli osservatori, la sfarzosa esibizione mostra fino a che punto con Modi si sia erosa la separazione tra religione e stato. “Altri primi ministri prima di lui avevano visitato templi e luoghi di culto, ma l’avevano fatto da devoti. Questa è la prima volta che un premier ci va in veste di sacerdote”, commenta Nilanjan Mukhopadhyay, esperto di nazionalismo indù e autore di un libro su Modi. Il tempio si trova in uno dei luoghi religiosi più problematici dell’India e dovrebbe rafforzare le probabilità per Modi di ottenere il terzo mandato consecutivo, facendo leva sul sentimento religioso degli indù, che sono l’80 per cento su una popolazione di 1,4 miliardi di abitanti. Ayodhya, un tempo piena di case attaccate le une alle altre e bancarelle fatiscenti, ha subìto un elaborato rifacimento in vista dell’inaugurazione del tempio. Le strade strette sono state trasformate in un percorso di pellegrinaggio a quattro corsie verso il tempio, i turisti arrivano in un nuovo aeroporto e in un’enorme stazione ferroviaria e le principali catene alberghiere stanno costruendo nuove strutture. Per l’inaugurazione sono arrivati gruppi di devoti da tutto il paese che ballano al ritmo di canti religiosi trasmessi dagli altoparlanti nelle strade addobbate di fiori. Ayodhya è tappezzata di enormi sagome di Rama e manifesti di Modi. I confini della città sono stati chiusi per impedire l’ingresso di altre persone e sono stati dispie-

Una ferita aperta Costato circa 217 milioni di dollari e distri­ buito su quasi tre ettari, il tempio sorge sulle macerie della moschea di Babri, risa­ lente al sedicesimo secolo e rasa al suolo nel 1992 da una folla di estremisti indù convinti che fosse stata costruita a sua vol­ ta sulle rovine del tempio che segnava il luogo di nascita di Rama. Il sito è stato per molto tempo motivo di attriti religiosi tra le due comunità e la demolizione della moschea scatenò in tutta l’India sanguinose rivolte che provo­ carono la morte di duemila persone, per lo più musulmani. Nel 2019, con una deci­ sione molto discussa, la corte suprema ha definito la distruzione della moschea “una grave violazione” della legge, ma ha concesso il sito agli indù, assegnando ai musulmani un altro appezzamento di ter­ reno. Questa storia è ancora una ferita aperta per molti musulmani, che vedono nella costruzione del tempio una prova della politica suprematista indù di Modi. L’inaugurazione si è trasformata in un grande evento nazionale. Il governo ha organizzato proiezioni in diretta in tutto il paese e i cinema di alcune città hanno of­ ferto anche popcorn. I sostenitori del Bjp hanno distribuito bandiere religiose di casa in casa e Modi ha incoraggiato la gen­ te a festeggiare accendendo lampade nel­ le abitazioni e nei santuari locali. Il giorno dell’evento gli uffici governativi sono ri­ masti chiusi per mezza giornata e in molti stati è stato decretato un giorno di festa. Anche i mercati azionari e monetari sono rimasti chiusi. Non tutti però hanno festeggiato. Quattro importanti autorità religiose in­ dù si sono rifiutate di partecipare, affer­ mando che la consacrazione di un tempio incompiuto va contro le scritture. Anche alcuni leader del Congress, il principale partito d’opposizione, hanno boicottato l’evento, mentre molti parlamentari dell’opposizione accusano Modi di sfrut­ tare il tempio per ottenere vantaggi poli­ tici. u gim

Melbourne, 3 ottobre 2023

CINA

Il potere degli astri Il calo della popolazione cinese per il secondo anno consecutivo preoccupa gli economisti, scrive Caixin. Le nascite nel 2023 hanno toccato il record negativo di 9,02 milioni di bambini, la metà rispetto al 2017. Il dato riflette la varietà di sfide che la Cina ha di fronte, tra cui il rapido in­ vecchiamento della popo­ lazione, il calo della forza lavoro e la diminuzione del numero di matrimoni e del tasso di fecondità. Ma, se­ condo uno studio citato da The Conversation, nel 2024 si potrebbe assistere a un’inversione di rotta. Comincia infatti l’anno del drago, considerato di buon auspicio, e termina quello del coniglio, ritenuto me­ no fortunato. Per questo molte coppie potrebbero aver deciso di aspettare ad avere un figlio. Tasso di fecondità, figli per donna 8

4 Mondo 2 Tasso di sostituzione 1950

1985

AUSTRALIA

Dolore di genere Lo stato di Victoria sta per lanciare un’indagine sul dolore femminile, la prima in Australia, dopo che un sondaggio ha rivelato che due donne su cinque nello stato soffrono di do­ lore cronico. L’ha annunciato la prima ministra dello stato, Jacinta Allan, affetta da endometriosi, spiegando che, anche se non colpite dal dolore cronico più degli uomini, le donne hanno meno probabilità di ricevere cure. Questo, scrive il Guardian, è dovuto in parte al fatto che spesso le donne si sentono dire dai medici che il dolore “è normale” o non ven­ gono credute. L’indagine fa parte di un piano sulla salute femminile promesso da Allan in campagna elettorale.

THAILANDIA

L’assoluzione di Pita Nikkei Asia, Giappone

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JOE ARMAO (THE AGE/GETTY)

gati circa ventimila agenti e più di dieci­ mila telecamere di sicurezza. “Sono qui per vedere la storia mentre si svolge da­ vanti ai nostri occhi. Da secoli la storia del signore Rama risuona nei cuori di milioni di persone”, dice Harish Joshi, arrivato dallo stato dell’Uttarakhand quattro gior­ ni prima della cerimonia.

Cina 2020

Fonte: Un population division, Shanghai academy of social sciences

BIRMANIA

L’anno nero dei rohingya Secondo l’Alto commissa­ riato delle Nazioni Unite per i rifugiati, nel 2023 so­ no morti o risultati dispersi più profughi rohingya in fuga dalla Birmania o dal Bangladesh che nei dieci anni precedenti.

La corte costituzionale tailan­ dese ha assolto Pita Limja­ roenrat, il leader del partito d’opposizione Move forward, dall’accusa di aver violato le norme elettorali. Dopo la vit­ toria del suo partito alle ele­ zioni del maggio 2023, Pita, candidato primo ministro, era stato bocciato dal senato, controllato dai milita­ ri, ed era stato poi sospeso dal parlamento dopo che un attivista conservatore l’aveva denunciato alla commissione elettorale per essersi candidato nono­ stante possedesse azioni di un’emittente tv. La leg­ ge, infatti, vieta agli azionisti di aziende dell’infor­ mazione di candidarsi. La corte l’ha assolto perché l’azienda televisiva, di cui Pita aveva ricevuto in eredità delle azioni, non fatturava dal 2007. Pita po­ trà riprendere l’attività parlamentare ma il suo par­ tito è in attesa di un’altra sentenza della corte, che potrebbe decretare di scioglierlo. u Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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il podcast quotidiano di

GIOVEDÌ 25 GENNAIO 2024

LUNEDÌ 22 GENNAIO 2024

Un candidato inatteso in Russia con Orietta Moscatelli caporedattrice esteri dell’agenzia Askanews e analista della rivista Limes

In Germania l’estrema destra progetta l’espulsione di massa degli immigrati con Leonardo Bianchi giornalista di Facta

Donald Trump verso la nomination repubblicana con Alessio Marchionna editor di Stati Uniti di Internazionale

Le parole delle donne sulla violenza di genere con Annalisa Camilli giornalista di Internazionale

MERCOLEDÌ 24 GENNAIO 2024

VENERDÌ 19 GENNAIO 2024

In India Narendra Modi celebra il suprematismo indù con Junko Terao editor di Asia di Internazionale

L’uso politico della memoria dell’Olocausto con Gad Lerner giornalista e scrittore

Gigi Riva raccontato da uno storico inglese con John Foot storico britannico

Gli azionisti della Shell appoggiano gli attivisti climatici con Stella Levantesi giornalista climatica

MARTEDÌ 23 GENNAIO 2024 La guerra a Gaza e il peso della storia con Lorenzo Kamel storico I 30 chilometri orari rivoluzionano le città con Alice Facchini giornalista

Ogni giorno due notizie scelte dalla redazione di Internazionale con Claudio Rossi Marcelli e Giulia Zoli Dal lunedì al venerdì dalle 6.30 sulle principali piattaforme di ascolto internazionale.it/ilmondo

LUCIA ARGIOLAS

Visti dagli altri

SANITÀ

Abortire in Italia è sempre più difficile Raphaëlle Rérolle, Le Monde, Francia Le donne che interrompono una gravidanza devono affrontare un percorso a ostacoli che, oltre alla carenza di medici e strutture, molto spesso include umiliazioni e pressioni psicologiche ll’ospedale San Filippo Neri, a Roma, le donne che intendono abortire devono imparare a leggere tra le righe se vogliono arrivare nella stanza giusta. Il servizio di interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) però c’è. È indicato all’ingresso di questo grande complesso nel nordovest

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della capitale. Ma poi le cose si fanno difficili. Superata l’accoglienza c’è solo un foglio A4 appeso al muro in cui c’è scritto in maiuscolo: “Chirurgia ginecologica”. Poi, tra parentesi e più piccolo, “legge 194/78”. È il numero della legge che autorizza l’aborto in Italia e l’anno in cui è entrata in vigore. Per ritrovare la sigla Ivg bisogna arrivare fino alla porta del reparto di ostetricia e ginecologia. Marina Marceca, la responsabile del reparto, racconta di aver dovuto lottare per imporre questa scelta, scontrandosi con il parere della direttrice dell’ospedale, molto cattolica e contraria a mettere quell’indicazione. Remore semantiche che però non cambiano il modo

Corteo di Non una di meno contro la violenza maschile sulle donne e di genere, Roma, 27 novembre 2021

in cui le pazienti sono trattate al San Filippo Neri. A differenza di molte altre strutture in un paese dove la sanità pubblica è sotto-finanziata, questo reparto ha attrezzature moderne. La mancanza di indicazioni chiare, tuttavia, ricorda la nube di condanna che ancora avvolge l’aborto in Italia, quarantasei anni dopo la sua legalizzazione. Le pazienti sono troppo spesso vittime di umiliazioni inflitte dal personale medico: “Avresti dovuto pensarci prima”, a volte si sentono dire e molte rinunciano ad abortire. E perfino a denunciare questi comportamenti, per paura di essere stigmatizzate.

Tecniche di dissuasione Le pressioni delle cosiddette associazioni pro vita, di solito cattoliche, giocano un ruolo importante in questo clima di intimidazione. Alcune riescono addirittura a entrare negli ospedali pubblici, con la benedizione delle autorità, per fornire “soInternazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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Visti dagli altri stegno emotivo” alle donne e, naturalmente, cercare di convincerle a non interrompere la gravidanza. In Italia nel 2021 (ultimi dati disponibili sul sito del ministero della salute) sono stati praticati 63.653 aborti, ventimila in meno rispetto al 1988 e 171mila in meno rispetto al 1982, l’anno in cui ne sono stati fatti di più. “Oggi ci sono 5,3 interruzioni di gravidanza ogni mille donne tra i 15 e i 49 anni, contro le 9,4 del 2000 e le 8 del 2009”, sottolinea Marceca. “Si tratta di uno dei tassi più bassi in Europa”. La flessione non corrisponde a un aumento del desiderio di avere figli, come dimostra il famoso “inverno demografico” di cui soffre la penisola: con 400mila nascite e 700mila decessi nel 2022, l’Italia potrebbe perdere il 20 per cento della sua popolazione entro il 2070. Il fatto che ci siano meno interruzioni di gravidanza non è neanche collegato al fatto che verso la fine del 2022 Giorgia Meloni, del partito postfascista Fratelli d’Italia, è diventata presidente del consiglio. Questo calo è cominciato molto prima. Ma l’arrivo al potere di Meloni, che aveva fatto sfoggio della sua maternità durante la campagna elettorale, non ha aiutato a ridurre lo stigma associato all’aborto né le difficoltà che le donne devono affrontare se vogliono intraprendere questa strada. Sempre più spesso si trovano di fronte a un vero e proprio percorso a ostacoli.

Panorama frammentato

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Molti medici diventano obiettori di coscienza per motivi di carriera Questa direttiva però non è applicata su tutto il territorio nazionale: nelle Marche, regione governata da Fratelli d’Italia e citata come esempio da Meloni in campagna elettorale, il termine continua a essere di sette settimane. I consultori, che hanno sempre meno fondi o che spesso vengono chiusi, sono coinvolti in questa procedura solo in tre regioni: nel Lazio, in Emilia-Romagna e in Toscana. E anche lì le cose non sono facili, come spiega l’infermiera Graziella Bastelli, attivista a Roma per la pianificazione familiare: “A causa della mancanza di risorse e di formazione, solo quattro dei settanta centri del Lazio hanno la RU 486”. Nel 2021 solo il 59,6 per cento delle strutture sanitarie autorizzate a praticare l’interruzione di gravidanza offriva effettivamente questo servizio, il 10 per cento in meno rispetto a tre anni prima. Quindi

Da sapere L’importanza dei consultori Strutture a cui le donne si rivolgono per avere la certificazione per la richiesta di Ivg, 2021 % Consultorio Servizio ostetrico Medico di fiducia Altra struttura

42,8 34,9 20,3 2,0

◆ In Italia ci sono circa 1.800 consultori familiari, uno ogni 32.325 residenti, un numero molto al di sotto di quanto stabilito dalla legge 34 del 1996, che ne prevede uno ogni ventimila abitanti. È quanto emerge dall’Indagine nazionale sui consultori familiari 2018-2019 pubblicata dall’Istituto superiore di sanità (Iss).

FONTE: MINISTERO DELLA SALUTE

La presidente del consiglio può anche ripetere che non toccherà la legge 194 e che deve essere applicata integralmente, ma sono rassicurazioni generiche. Innanzitutto perché il testo della legge, approvata dalla Democrazia cristiana nel contesto teso degli anni di piombo, in alcuni punti è ambigua: nel preambolo afferma che “lo stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana fin dal suo inizio”. E poi, come spiega l’ex senatrice Emma Bonino, Meloni non ha bisogno di attaccare frontalmente la 194 per “svuotarla dall’interno”. A Fratelli d’Italia e ai suoi alleati della Lega, che controllano la maggior parte delle regioni italiane, non mancano i modi per rendere più difficile l’interruzione di gravidanza in un paese in cui la sanità è di competenza regionale. Il risultato è un panorama del tutto “frammentato”, come spiega l’antropolo-

ga Silvia De Zordo, specialista in questioni riproduttive. Ogni regione può interpretare a modo suo le direttive nazionali. È il caso dell’aborto farmacologico: prima del 2020 veniva fatto in ospedale, fino alla settima settimana di gravidanza, e prevedeva un ricovero di tre giorni. A partire da quell’anno è possibile somministrare la pillola abortiva RU 486, in ambulatorio e nei consultori, fino alla nona settimana di gestazione.

le donne che devono abortire sono costrette a superare scogli enormi, soprattutto a causa della grave carenza di medici disposti ad assisterle. È il fenomeno dell’obiezione di coscienza. Come in Francia e in altri paesi, la legge italiana permette ai medici di rifiutarsi di fare aborti, condannati dalla chiesa cattolica. In Italia la percentuale di obiettori ha raggiunto proporzioni enormi. Ci sono obiettori anche nei consultori familiari, strutture storicamente legate alla sinistra. Secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, nel 2021 erano obiettori il 63,4 per cento dei ginecologi, il 40 per cento degli anestesisti, il 32 per cento del personale infermieristico (infermieri, assistenti, eccetera) e alcuni farmacisti, anche se la legge riconosce questa scelta solo ai medici. Secondo Silvia Agatone, presidente della Laiga, un’associazione che difende l’applicazione della legge 194, sono dati fuorvianti: “In alcune strutture ci sono il 90 per cento o addirittura il 100 per cento di obiettori”. Più si va verso sud più la percentuale aumenta. Tanto che in alcune regioni, come il Molise o l’Abruzzo, è ormai quasi impossibile interrompere una gravidanza. Alcuni diventano obiettori “per convinzione cattolica”, come Maria Chiara D’Alessio, ginecologa del San Filippo Neri, anche se non condanna la legge perché ritiene che “le donne debbano poter scegliere”. Altri, molto numerosi secondo le femministe, lo fanno per motivi di carriera. Lo sa bene Cristina Damiani, che ha lavorato per anni come consulente esterna all’ospedale San Giovanni di Roma. “Dovevo sopperire all’alto numero di obiettori”, ricorda la ginecologa, in pensione dal 2020. “Chi pratica aborti viene sistematicamente screditato. È come se svolgesse una sottoprofessione”. Visto che i medici non obiettori sono pochi, alcuni di loro finiscono per fare solo interruzioni di gravidanza e si trovano bloccati in un’unica attività poco gratificante. “L’aborto è visto come una cosa sporca e svalutante”, osserva Agatone. “Le donne non tornano più da quel medico. Vogliono dimenticarsene e basta”. Tutto questo ricade sulle pazienti, come spiega un’educatrice incontrata ad Ancona, nelle Marche. Ylenia (preferisce non dire il cognome), quarant’anni, racconta di aver rischiato di morire a causa dei medici che la stavano curando per un

LUCIA ARGIOLAS (2)

A sinistra: corteo di Non una di meno contro la violenza maschile sulle donne Roma, 26 novembre 2022. A destra: presidio di Non una di meno per il diritto all’aborto libero, sicuro e gratuito, Roma, 28 settembre 2022

aborto fatto dopo la morte del feto. “Tutti i medici dell’ospedale erano obiettori tranne uno, che ha fatto male il suo lavoro”, racconta la donna, sottolineando la formazione inadeguata degli studenti di medicina in alcune facoltà cattoliche, dove la pratica per l’interruzione di gravidanza non è neppure insegnata. “Sono stata lasciata per settimane con frammenti di placenta che si stavano infettando”, aggiunge. “La ginecologa e il mio medico di base, entrambi obiettori, dicevano che il dolore che provavo era psicologico e che sarebbe passato. Alla fine hanno dovuto arrendersi all’evidenza: stavo per andare in setticemia”. In caso di aborto terapeutico (oltre le dodici settimane previste dalla legge e fino a cinque mesi), la questione è ancora più complicata. La legge italiana obbliga a

rianimare un feto che nasce vivo, e questo può succedere già a 23 settimane. Di conseguenza, molti ginecologi si rifiutano categoricamente di praticare aborti da questo momento in poi. “Se ci sono obiettori cattolici, possono chiamare il rianimatore”, osserva Marina Marceca, del San Filippo Neri. “È successo”. Anche prima di questo termine, i medici si trovano talvolta in una drammatica impasse. Agatone, ad esempio, ricorda di aver dovuto affrontare l’emorragia simultanea di due pazienti all’ospedale Sandro Pertini di Roma senza alcun aiuto: “Tutto il personale era uscito dalla stanza e io gli correvo dietro gridando: ‘Non ne avete il diritto!’. Se quelle donne fossero morte, la responsabilità sarebbe stata mia”.

Il cimitero dei feti Alcune pazienti hanno avuto altre sorprese spiacevoli. Alla fine del 2020 una donna romana ha letto il suo nome per puro caso, svoltando in un vicolo del cimitero Flaminio. In questo immenso labirinto di 37 chilometri di strade interne e piccionaie grandi come condomini, la donna si è

imbattuta in un cimitero di feti costellato di croci metalliche, su alcune c’erano scritti i cognomi delle donne che avevano abortito. In Italia, i feti di meno di venti settimane vengono cremati e quelli di più di 28 settimane devono essere seppelliti, ma tra le due categorie c’è una sorta di limbo legale. L’ospedale aveva fatto firmare alla donna, che all’epoca stava molto male, un documento che autorizzava l’ospedale a disfarsi del feto. Il feto è stato poi portato al Flaminio, accompagnato da un modulo di identificazione. A seguito dello scandalo sollevato da questa scoperta, di cui hanno parlato diversi giornali nazionali, il servizio di pompe funebri ha dovuto rimuovere i nomi delle donne, ma le croci sono ancora lì. Si trovano accanto alle tombe dei bambini, decorate con foto, fiori di plastica e piccoli vasi a forma di scarpette o palloni da calcio. Qua e là, si vedono orsacchiotti tra le lapidi, spazzati via dal vento. Sulle croci di metallo ci sono ancora le etichette, i nomi sono stati sostituiti da numeri e da una data, quella del loro trasferimento. ◆ gim Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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Visti dagli altri

NICOLA ZOLIN (REDUX/CONTRASTO)

Lo stabilimento di ArcelorMittal (ex Ilva) a Taranto, 8 novembre 2019

INDUSTRIA

Giorni decisivi per l’ex Ilva di Taranto Amy Kazmin, Financial Times, Regno Unito Il governo vuole prendere il controllo dell’azienda siderurgica perché non ha trovato un’intesa con il socio di maggioranza sul futuro dell’impianto l governo di Giorgia Meloni ha avviato l’iter per mettere in amministrazione straordinaria il più grande stabilimento siderurgico d’Europa, quello di Taranto, perché non trova un accordo con la ArcelorMittal sul futuro dell’impianto. La decisione arriva dopo uno stallo tra Roma e il colosso industriale su un aumento di capitale di 320 milioni di euro per mantenere l’ex Ilva in attività e pagare le bollette del gas in sospeso. L’acciaieria è gestita dalla Acciaierie d’Italia, un’azienda che ha come socio di maggioranza la ArcelorMittal, multinazionale della siderurgia, e come socio di minoranza Invitalia, l’agenzia pubblica per gli investimenti. In passato l’ex Ilva è stata a lungo al centro di problemi ambientali e fatica ad andare avanti: con una produzione scesa l’anno scorso a meno di

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tre milioni di tonnellate di acciaio a fronte di una capacità produttiva di otto milioni. Un tribunale ha stabilito che la Snam, la società che si occupa della distribuzione del metano, può interrompere la fornitura di gas all’azienda siderurgica, che ha duecento milioni di euro di bollette in sospeso, anche se la Acciaierie d’Italia ha presentato ricorso. Ma chiudere uno stabilimento dove lavorano diecimila persone è un problema politico per Giorgia Meloni. Quando l’ex Ilva sarà in amministrazione straordinaria – una procedura del diritto fallimentare per mantenere operative grandi aziende con problemi di liquidità – Roma potrà nominare un amministratore delegato che solleverà dalla gestione la ArcelorMittal in attesa di trovare un acquirente. Il governo sta predisponendo un prestito ponte da 320 milioni di euro mentre cerca un nuovo socio. Aditya Mittal, amministratore delegato dalla ArcelorMittal, ha chiarito ai ministri italiani che l’azienda non era più disposta a investire altri soldi nell’impianto. Il governo – che lo scorso anno ha accordato all’acciaieria un finanziamento

d’emergenza da 680 milioni di euro – ha detto che Invitalia poteva mettere nuovi capitali convertendo quel prestito in quote, diventando così azionista di maggioranza. Ma sono state espresse forti perplessità su come dovrebbe essere governata la Acciaierie d’Italia se Invitalia diventasse azionista di maggioranza. Dopo il mancato raggiungimento dell’accordo, Adolfo Urso, il ministro delle imprese e del made In Italy, ha detto in parlamento: “Sono ore decisive per garantire, in assenza di impegno del socio privato, la continuità della produzione e la salvaguardia dell’occupazione, nel periodo necessario a trovare altri investitori”. Il ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti ha spiegato che l’Italia ha bisogno di “partner che condividano questa grande ambizione di produrre acciaio in Italia in modo compatibile con l’ambiente”, e che il governo è disposto a fare gli investimenti che servono.

Danni all’ambiente Costruita nel 1960, la fabbrica un tempo era motivo d’orgoglio. Ma si è rivelata un disastro dal punto di vista ambientale, diffondendo agenti cancerogeni che, secondo gli abitanti della zona, hanno provocato un aumento dei casi di tumore. Nel 2014 Roma ne ha preso il controllo, con l’obiettivo di trovare nuovi proprietari per rinnovare lo stabilimento ormai obsoleto, rimettere in sesto le finanze e aumentare la produzione. Nel 2018 la ArcelorMittal si è accordata per un contratto di affitto con obbligo di acquisto da 1,8 miliardi di euro, promettendo centinaia di milioni di euro per la bonifica ambientale. Per avere il via libera dall’autorità europea sulla concorrenza, il gruppo siderurgico ha dovuto vendere varie acciaierie in Europa. Ma nel 2019 al governo è arrivato il Movimento 5 stelle, che ha tolto dal contratto la clausola del cosiddetto scudo penale, che garantiva alla ArcelorMittal l’immunità nel caso di eventuali accuse di reato, compreso quello ambientale. La ArcelorMittal ha minacciato di recedere dal contratto ma poi si è accordata per formare un’azienda con Invitalia e dirigere insieme la fabbrica. Le relazioni sono sempre state tese, con le due parti che si accusavano a vicenda di non rispettare gli impegni presi. L’aumento dei prezzi del gas del 2022 ha fatto salire ancora di più la tensione. ◆ nv

Mauro Balestrazzi

Angelo Foletto

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Prefazione di Alessandro Baricco

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Le opinioni

Israele vuole un’altra intifada Gideon Levy re ore e mezzo. Da Jenin a Tulkarem. si al posto di blocco; qualunque mossa sbagliata po­ In tre ore e mezzo puoi prendere un teva portarli alla morte. Avrebbe potuto farli esplo­ volo da Tel Aviv fino a Roma, o anda­ dere di esasperazione. re in auto a Eilat. Ma nella Cisgiorda­ Israele sta facendo di tutto per spingere la Cisgior­ nia occupata di oggi questo è il tempo dania verso un’altra intifada. Non sarà facile. La Cis­ che abbiamo impiegato la settimana giordania non ha né la leadership né lo spirito com­ scorsa per percorrere quei 35 chilometri. Da quando battivo della seconda intifada, ma come si fa a non il 7 ottobre 2023 è cominciata la guerra a Gaza, in perdere la testa? Circa 150mila persone che lavorava­ Cisgiordania alla fine di ogni strada palestinese c’è no in Israele sono disoccupate ormai da tre mesi. Si un cancello di ferro chiuso. può perdere la testa anche per altre co­ L’app di navigazione stradale Waze Con il pretesto se, come l’ipocrisia dell’esercito. I co­ ci suggeriva le stesse strade che abbia­ della guerra mandanti dicono ai riservisti israeliani mo percorso noi, ma non sa che alla fi­ e con l’aiuto che combattono a Gaza che le persone ne di ognuna c’è un cancello sbarrato o del governo, devono poter andare al lavoro, ma se un blocco stradale. Vicino ai resti della l’esercito israeliano scoppierà una rivolta palestinese saran­ stazione ferroviaria ottomana di Seba­ ha modificato no proprio le forze armate israeliane le stia i soldati riservisti fermavano i pale­ la sua condotta nei principali responsabili. stinesi e gli impedivano di imboccare territori occupati: Il problema non è solo economico. anche un remoto sentiero sterrato. Vi­ Con il pretesto della guerra e con l’aiu­ vuole una Gaza cino all’insediamento di Shavei to del governo di estrema destra di Shomron i militari permettevano di in Cisgiordania Benjamin Netanyahu, l’esercito israe­ viaggiare da sud a nord, ma non nella liano ha modificato in modo pericolo­ direzione opposta. Al posto di blocco successivo, in­ so la sua condotta nei territori occupati: vuole una vece, i soldati si stavano facendo dei selfie, e tutte le Gaza in Cisgiordania. auto dovevano aspettare che finissero di scattarsi le I coloni vogliono la stessa cosa, per poter cacciare foto. Poi, in modo sprezzante e paternalistico, hanno quanti più palestinesi possibile. Secondo i dati delle fatto il gesto della mano che permetteva ai palestine­ Nazioni Unite, dal 7 ottobre in Cisgiordania sono sta­ si di passare, mentre l’ingorgo alle loro spalle conti­ ti uccisi 344 palestinesi, tra cui 88 bambini e adole­ nuava ad aumentare. scenti. Otto o nove di questi sono stati uccisi dai colo­ Il blocco stradale vicino all’insediamento israelia­ ni. Nello stesso periodo cinque israeliani sono stati no di Einav, che abbiamo attraversato al mattino, nel uccisi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, quattro pomeriggio era stato chiuso al traffico. Impossibile dei quali dalle forze di sicurezza israeliane. sapere perché. Il posto di blocco della cittadina di Ha­ Questo perché negli ultimi mesi in Cisgiordania wara era chiuso. L’uscita da Shufa era chiusa. Lo stes­ l’esercito israeliano ha cominciato a sparare dal cielo, so valeva per la maggior parte delle strade che dai proprio come a Gaza. Il 7 gennaio, per esempio, i sol­ villaggi palestinesi portano alle arterie principali. dati hanno ucciso sette giovani fermi in uno sparti­ È così che abbiamo viaggiato la settimana scorsa, traffico vicino a Jenin, dopo che uno di loro aveva pre­ “come scarafaggi storditi dentro una bottiglia”, per sumibilmente lanciato una carica esplosiva contro dirla con le parole del generale Rafael Eitan che nel una jeep, mancandola. È stato un massacro. Quei 1983 si vantava delle sue vittorie in Cisgiordania. Tre sette ragazzi facevano parte della stessa famiglia: ore e mezza da Jenin a Tulkarem, per raggiungere quattro fratelli, altri due fratelli e un cugino. Ma Isra­ l’autostrada 557 e tornare in Israele. Questa, del resto, ele non si fa scrupoli. è la vita dei palestinesi in Cisgiordania negli ultimi Ora l’esercito di Tel Aviv sta trasferendo le sue for­ tempi. Come fa quel brano del cantautore israeliano ze da Gaza alla Cisgiordania. L’unità Duvdevan, che Yehuda Poliker e dello scrittore Yaakov Gilad? “Po­ agisce sotto copertura, è già sul territorio, ed è in arri­ trebbe andare meglio / potrebbe essere un disastro / vo anche la brigata di fanteria Kfir. Torneranno in Ci­ buonasera disperazione e buonanotte speranza / chi sgiordania esaltati dalle violenze indiscriminate è il prossimo in fila e chi c’è nella fila accanto”. commesse a Gaza e vorranno continuare il loro gran­ Alla sera, migliaia di auto erano ormai ferme al dioso lavoro. bordo della strada. I guidatori se ne stavano lì, umi­ Israele vuole una nuova intifada. Forse alla fine liati, impotenti e silenziosi. Avreste dovuto vedere la riuscirà ad averne una. Quando questo succederà, paura nei loro occhi quando riuscivano ad avvicinar­ non dovrà fingersi sorpreso. u fdl

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GIDEON LEVY

è un giornalista del quotidiano israeliano Haaretz, su cui è uscito questo articolo.

Le opinioni

Al giornalismo manca la terra di mezzo Ezra Klein i dispiace che l’editore Condé vantaggiosa, capace di rendere il pacchetto ancora Nast abbia trasferito la rivista più interessante. musicale online Pitchfork D’altro canto, per i giornalisti indipendenti manall’interno del sito del mensile tenersi è più facile che mai. Sono entrato nel mondo maschile Gq. Non farò l’enne- del giornalismo come blogger. All’epoca per farsi pasimo elogio funebre del sito. gare bisognava trasferire il proprio blog su una testata Ma ancora oggi, se guardate la schermata iniziale del affermata. Ora i blog sono diventati newsletter e le mio telefono, tra l’app del New York Times e quella di newsletter hanno degli abbonati. L’innovazione prinNote, c’è la pagina delle recensioni di Pitchfork. È uno cipale della piattaforma Substack è stata quella di dei pochi angoli di internet che amo, rendersi conto che per un abbonamenanche se spesso non sono d’accordo con È questo il punto in to alla newsletter di un singolo autore si quello che scrivono. Ma il disaccordo è cui si trova chi fa può chiedere molto più di quanto molti parte del piacere! Gli articoli sono buo- informazione: di noi immaginavano. Non mi sarebbe ni, i recensori enciclopedici, i punti di si può prosperare mai venuto in mente di vendere abbovista stimolanti. se si è molto piccoli namenti al mio blog a 80 dollari all’anLa rivista Sports Illustrated ha appe- o molto grandi, no. Vendendoli a questa cifra, è possibina licenziato la maggior parte dei suoi ma è difficile le guadagnarsi da vivere con cinquemidipendenti. BuzzFeed News non esiste sopravvivere nello la abbonati. Un piccolo pubblico, se è più. L’Huffington Post si è ridimensiodisposto a pagare, genera un ottimo spazio tra questi nato. Vice è tenuto in vita artificialmenflusso di entrate. Questo flusso di entrate. Il vecchio sito di gossip Gawker è due estremi te, però, non basta a finanziare il lavoro scomparso e così anche il nuovo di più giornalisti, redattori, copy editor, Gawker. Il blog politico FiveThirtyEight, fondato da photo editor e così via. C’è un motivo se su Substack Nate Silver, è stato venduto alla Abc News e poi ha prosperano le opinioni e non il giornalismo investigasubìto una riduzione del personale. Vox Media, che tivo. Alcune pubblicazioni, come Politico, hanno coun tempo era casa mia, negli ultimi anni ha tagliato il struito delle redazioni a partire dalle newsletter, ma personale. per farle funzionare serve un pubblico ricco. Non soffre solo il giornalismo digitale. Nei primi È questo il punto in cui si trovano i mezzi d’inforanni della pandemia sono falliti più di 350 giornali mazione: si può prosperare se si è molto piccoli o cartacei. È lo stesso ritmo con cui fallivano prima del- molto grandi, ma è difficile sopravvivere nello spazio la pandemia: due chiusure alla settimana. I tre mag- tra questi due estremi. È un disastro per il giornaligiori quotidiani dell’Alabama hanno smesso di anda- smo e per i lettori. Quello che sta in mezzo può essere in stampa. Giornali storici come il Los Angeles re più specializzato e sperimentale rispetto alle pubTimes, il Baltimore Sun e il Dallas Morning News so- blicazioni di massa, e può essere più ambizioso rino diventati l’ombra di se stessi. Non sta fallendo una spetto a quelle di nicchia. È nel mezzo che si formaparticolare strategia editoriale. A crollare, nel giorna- no i grandi giornalisti. È nel mezzo che si trova il lismo, è proprio tutto quello che sta nel mezzo. giornalismo locale, ed è nel mezzo che la cultura si fa Ai vertici, invece, ci sono ancora delle opportuni- e non si rincorre. tà. Prendiamo il New York Times. Sta affrontando Qualche settimana fa ho ospitato nel mio podcast molte difficoltà: i ricavi degli abbonamenti alla ver- Kyle Chayka, autore del libro Filterworld (Roi edizioni sione cartacea sono in calo come altrove, ma l’acces- 2024). La conversazione ruotava intorno a quello che so a un pubblico globale ha aperto nuovi orizzonti. Il si è perso con il passaggio da un’internet costruita sul Times può essere competitivo in California come a concetto di cura e selezione dei contenuti a un’interNew York, e anche al livello internazionale. Ma nel net costruita sulle raccomandazioni degli algoritmi. mercato globale chi vince tende a prendere sempre Il valore della cura dei contenuti, ha spiegato Chayka, di più. La maggior parte delle persone si abbona, a “non consiste solo nel dirvi cosa consumare. Significa dir tanto, a un solo mezzo d’informazione, perciò offrire una visione di come funzionano le cose. È un sceglierà quello che offre il valore più alto. Più saran- lavoro enorme che richiede tempo per presentare no numerosi gli abbonamenti a un leader del merca- idee, canzoni o qualsiasi altra cosa nel contesto che to, più soldi avrà questo per attirare i collaboratori merita. E nell’internet di oggi è andato perso”. migliori e ampliare l’offerta. Più prodotti offre (cuci- Pitchfork faceva proprio questo, e ora non c’è più. Ci na, giochi, recensioni, sport locali), più l’offerta è mancherà. E temo che non sarà sostituito. u gim

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EZRA KLEIN

è un giornalista statunitense. È stato tra i fondatori di Vox. È un editorialista del New York Times, dov’è uscito questo articolo, e conduce il podcast The Ezra Klein show.

In copertina

Il culto di Don Tim Alberta, The Atlantic, Stati Uniti

In questi anni è rimasto al centro della vita politica statunitense anche grazie al sostegno della destra cristiana, che lo considera un leader benedetto da Dio. La storia di un pastore e di suo figlio mostra come è nata quest’alleanza

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lici (81 per cento) aveva votato per lui. Quella statistica in realtà era solo un indi­ catore superficiale di un cambiamento radicale. I sondaggi indicavano che gli evangelici di orientamento conservatore, in precedenza titubanti su Trump, erano ormai tra i suoi sostenitori più fedeli. Jes­ sup mi ha rivolto la domanda che si face­ vano milioni di americani: perché?

Tra due estremi Da credente e figlio di un pastore evange­ lico, cresciuto in una chiesa conservatrice in una comunità conservatrice, cercavo da tempo una risposta convincente. Co­ noscevo molti cristiani che avevano vota­ to per Trump, con più o meno entusia­ smo, e non c’era modo di riassumere in un’unica definizione le loro posizioni, le loro motivazioni e i loro comportamenti. Li vedevo come punti in uno spettro: a un’estremità c’erano i cristiani che, pur votando per Trump, avevano mantenuto una dignità, consapevoli che il sostegno pragmatico e prudente a un candidato non corrispondeva necessariamente a un’accettazione incondizionata dei suoi comportamenti. All’estremo opposto c’e­ rano i cristiani che avevano perso ogni credibilità e si vantavano di essere degli ipocriti reazionari: persone che erano an­ cora indignate per l’infedeltà del presi­ dente Bill Clinton ma giustificavano gli atteggiamenti da playboy di Trump. Gran parte dei cristiani che conoscevo era a metà tra i due estremi. Erano in qualche modo stati sedotti dal culto del trumpismo, ma non sarebbe stato giusto farli rientrare tutti in un un’unica carica­ tura. La verità era che stava succedendo

TOM BRENNER (REUTERS/CONTRASTO)

ra il 29 luglio 2019, il peg­ gior giorno della mia vita, anche se non lo sapevo an­ cora. Nel centro di Wash­ ington le macchine avan­ zavano a passo d’uomo, mentre l’umidità entrava dai finestrini dell’auto. Ero in ritardo e facevo fatica a restare sveglio. Da due settimane giravo tra canali tv ed emittenti radio della costa est degli Stati Uniti per promuovere il mio libro, che raccontava la trasforma­ zione del Partito repubblicano e l’ascesa di Donald Trump alla presidenza del pa­ ese. Quel giorno mi mancava l’ultima in­ tervista prima di andare a casa. Il mio editore mi aveva proposto di cancellarla, dicendo che non era così importante. Ma mi ero rifiutato, perché per me lo era. Ar­ rivato sulla M street northwest mi sono affrettato per entrare negli uffici del Chri­ stian Broadcasting Network. Nel giro di pochi minuti i produttori mi hanno preso lo smartphone, mi hanno piazzato addosso un microfono e mi han­ no catapultato nello studio dove mi aspettava John Jessup, il conduttore della trasmissione. Siamo andati in onda e Jes­ sup ha saltato i convenevoli. Visto che il programma si rivolgeva principalmente a spettatori cristiani, voleva sapere cosa avevo imparato sull’alleanza tra il presi­ dente e i cristiani evangelici bianchi. Nel 2016, durante la campagna elettorale, Donald Trump si era comportato in mo­ do osceno e pericoloso: aveva preso in giro un disabile, insultato gli immigrati e incitato ripetutamente alla violenza con­ tro i suoi avversari politici. Eppure la grande maggioranza dei bianchi evange­

qualcosa a un livello profondo, sia nel pa­ ese sia nella chiesa evangelica. Qualcosa che non avevamo mai visto prima. Avevo cercato, con molta cautela, di dirlo nel mio libro. Quel giorno di fine lu­ glio, nello studio televisivo, stavo provan­ do a fare lo stesso.

nald Trump Donald Trump prega con alcuni rappresentanti delle chiese evangeliche. Miami, Florida, gennaio 2020

Jessup si è accorto che ero in difficoltà. Allontanandosi dal motivo per cui mi trovavo lì, la promozione del libro, mi ha chiesto un parere su una recente polemica scoppiata nel mondo evangelico. Dopo che l’amministrazione Trump aveva deciso di separare le famiglie di migranti

al confine con il Messico, Russell Moore, uno dei leader della Southern baptist convention, la più importante denominazione battista del paese, aveva scritto su Twitter: “Le persone create a immagine di Dio dovrebbero essere trattate con dignità e compassione, specialmente quel-

le che cercano rifugio dalla violenza”. Jerry Falwell Jr., presidente della Liberty university, uno dei più grandi college cristiani del mondo, si era scagliato contro Moore. “Chi credi di essere? Hai mai lavorato in vita tua? Hai mai costruito un’organizzazione partendo da zero? CoInternazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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In copertina sa ti dà il diritto di esprimerti su qualsiasi argomento?”. A quel punto io ero intervenuto su Twitter scrivendo: “Ci sono cristiani come Russell Moore e cristiani come Jerry Falwell Jr. Scegliete con saggezza, fratelli e sorelle”. Jessup ha letto il mio tweet in diretta e mi ha chiesto: “Davvero pensa che gli evangelici siano divisi in due schieramenti?”. Ho esitato. Ammettendo che si trattava di una “semplificazione eccessiva”, ho ribadito che esisteva una “separazione fondamentale” tra i cristiani che osservavano il mondo attraverso gli occhi di Gesù e quelli che valutavano la realtà alla luce di considerazioni politiche faziose. Alla fine dell’intervista ero consapevole di aver perso l’occasione per esprimere in modo chiaro e semplice le mie preoccupazioni sulla chiesa evangelica statunitense. In effetti pensavo che gli evangelici fossero divisi in due schieramenti, uno fedele a Dio e l’altro che idolatrava cose terrene come la nazione, il potere e la fama. Ma avevo troppa paura per dirlo. Il mio percorso personale come cristiano non era stato impeccabile, e comunque non sono un teologo. Jessup voleva da me un’analisi giornalistica, non un’esegesi biblica. Andando via dallo studio mi sono chiesto se mio padre avesse seguito l’intervista. Sicuramente qualcuno, a casa, l’aveva vista e gliene avrebbe parlato. Ho preso il telefono, poi mi sono fermato per chiacchierare con Jessup e alcuni suoi

colleghi. Quando ci siamo salutati, ho guardato lo schermo del cellulare, che avevo messo in modalità silenziosa. Avevo ricevuto molte chiamate da mia moglie e da mio fratello maggiore. Mio padre aveva avuto un infarto. I medici non avevano potuto fare nulla. Era morto.

La verità di mio padre L’avevo visto per l’ultima volta nove giorni prima. L’amministratore delegato di Politico, dove lavoravo all’epoca, aveva organizzato una festa per il mio libro nella sua villa di Washington. I miei genitori non se la sarebbero persa per niente al mondo. Erano saliti sulla loro Chevrolet ed erano partiti dalla casa di famiglia, nel sudest del Michigan. All’inizio mio padre mi era sembrato un pesce fuor d’acqua, un trasandato pastore del midwest con una camicia sformata infilata nei pantaloni macchiati. Poi mi ero accorto che aveva monopolizzato l’attenzione degli invitati, facendo scompisciare dalle risate diplomatici e ricchi lobbisti. A un certo punto, notando che lo guardavo a bocca aperta, mi aveva strizzato l’occhio in modo teatrale, prima di soddisfare il suo pubblico con l’ennesima battuta. Ero all’apice della mia carriera. Il libro stava andando molto bene e mi avevano già chiesto di scrivere un seguito. Mio padre era orgoglioso (molto orgoglioso, teneva a precisarlo), ma si sentiva anche a disagio. Per mesi, con l’avvicinarsi della data di pubblicazione, aveva cercato di convincermi a riconsiderare la direzione

Da sapere Meno religiosi ma più radicali ◆ L’evangelicalismo è un movimento teologico che fa parte del cristianesimo protestante. Nato nel Regno Unito nel settecento, si è poi diffuso negli Stati Uniti. Si concentra sulla lettura della Bibbia, che non deve essere interpretata ma considerata come “parola di Dio” ed è per questo insindacabile. Nel mondo evangelico non c’è un’unica autorità centrale, come il papa per i cattolici o la prima presidenza per i mormoni. Inoltre gli evangelici possono far parte di varie denominazioni protestanti (come battisti, pentecostali e presbiteriani). Questi elementi, uniti al fatto che è piuttosto facile creare un

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gruppo di preghiera o una chiesa e diventare pastore, rende da sempre difficile dare una definizione chiara degli evangelici. Dagli anni ottanta, cioè dall’arrivo di Ronald Reagan alla Casa Bianca, le chiese evangeliche statunitensi hanno sempre sostenuto i candidati repubblicani, spostando progressivamente a destra il partito sui diritti civili, in particolare aborto e matrimoni tra persone dello stesso sesso. ◆ Da almeno trent’anni si registra un allontanamento degli statunitensi dalla religione, una dinamica che ha colpito in modo particolare le chiese protestanti, comprese

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quelle evangeliche. Nel 2006 i cristiani evangelici bianchi rappresentavano il 23 per cento della popolazione, mentre oggi sono il 14 per cento. La perdita di fedeli è andata di pari passo con la radicalizzazione del mondo evangelico, e con l’aumento delle persone che fanno coincidere fede, appartenenza politica e identità culturale. Questo fenomeno si è accentuato dopo che Donald Trump è diventato il leader del Partito repubblicano. Molti evangelici si considerano combattenti in una battaglia contro il male (cioè i politici democratici) e pensano che Trump sia benedetto da Dio. The Atlantic

della mia carriera. Continuava a ripetermi che la politica era “una cosa squallida e cattiva”, una perdita di tempo e uno spreco del talento che Dio mi aveva regalato. Quella sera, durante la festa, aveva chiesto a un parlamentare di scusarlo per un attimo e mi aveva preso da parte. Mi aveva messo un braccio intorno alle spalle e si era avvicinato per dirmi sottovoce: “Le vedi tutte queste persone?”. “Sì”, avevo risposto con soddisfazione. “La maggior parte di loro si sarà dimenticata di te tra una settimana”. Era stato come sentire un disco graffiare. Il mio momento di estasi era finito. Avevo girato la testa e gli avevo sorriso. Ero infastidito. Più restavamo lì in silenzio e più mi innervosivo. Non perché avesse torto, ma perché aveva ragione. “Ricorda”, mi aveva detto mio padre con un sorriso. “Su questa terra la gloria è effimera”. Il 29 luglio, mentre correvo all’aeroporto di Washington per imbarcarmi sul primo volo per Detroit, quelle parole mi sono tornate in mente. Non c’era stato niente di forzato nell’ultimo ammonimento di mio padre. Mi aveva detto semplicemente quello che pensava. Era fatto così.

La chiamata di Dio Dopo aver raggiunto una buona posizione nel mondo della finanza a New York, nel 1977 Richard J. Alberta si avvicinò alla religione. Anche se aveva una bella casa, una moglie e un figlio in salute, sentiva un enorme vuoto dentro. Non riusciva a dormire e aveva attacchi d’ansia. All’inizio la religione non gli era sembrata una soluzione per i suoi problemi, anche perché era figlio di genitori separati e non credenti. A metà del percorso di studi universitario si era convinto di essere ateo. Poi, durante una visita alla sua famiglia nella Hudson valley, nello stato di New York, mio padre accettò di accompagnare la nipote Lynn in chiesa. Quel giorno diventò una persona nuova. La sua angoscia svanì, i suoi dubbi sparirono. Tutti intorno a lui facevano fatica a riconoscerlo. Si alzava la mattina presto, molte ore prima di andare al lavoro, per leggere la Bibbia e riempire un piccolo quaderno con annotazioni e citazioni di versi. Restava seduto a pregare per ore. Mia madre, una giovane giornalista che lavorava all’Abc Radio di New York, pensò che fosse impazzito. Ma il suo cognome da nubile – Pastor – era la prova del senso dell’umorismo di Dio. Presto anche lei accettò di far entrare Gesù nella sua vita. Quando mio padre sentì che era arrivato il

DAVID GOLDMAN (AP/LAPRESSE)

Sostenitori di Trump a Lansing, in Michigan, 8 novembre 2020

momento di lasciare la finanza per la religione, incontrò Stewart Pohlman, il pastore della chiesa di Goodwill di Montgomery, a nord di New York. Mentre pregavano nell’ufficio di Pohlman, mio padre disse di percepire lo spirito del Signore vorticare intorno a lui e riempire la stanza. Non era tipo da credere facilmente ai fenomeni sovrannaturali (è il cristiano più sobrio e razionale che abbia mai conosciuto), ma quel giorno si convinse che il Signore lo avesse scelto. Poco tempo dopo i miei genitori vendettero tutti i loro averi, lasciarono gli ottimi impieghi a New York e si trasferirono nel Massachusetts, dove mio padre cominciò a studiare al Conwell theological seminary. Per i vent’anni successivi i miei genitori lavorarono in piccole chiese della zona, tirando avanti grazie ai sussidi del governo e alla generosità dei fedeli. Quando sono nato io, nel 1986, mio padre era assistente di Stewart Pohlman nella chiesa di Goodwill. Vivevamo nell’edificio vicino alla chiesa. La mia stanza dei giochi era la biblioteca, dove torri di volumi rilegati in pelle erano state innalzate dai pastori a partire dalla metà del settecento. Pochi anni dopo ci trasferimmo in Michigan. Mio padre prese ser-

vizio alla Cornerstone church, nel sobborgo di Brighton, alla periferia di Detroit, che faceva parte di una confessione minore chiamata Chiesa evangelica presbiteriana (Epc). Ci rimase come primo pastore per 26 anni. La Cornerstone era la nostra casa. Giocavo a nascondino nei ripostigli, facevo i compiti negli uffici, portavo le mie fidanzate del liceo ai corsi sulla Bibbia. Durante il college ci lavorai come custode. L’ultima volta che avevo visitato la chiesa, alla fine del 2017, avevo parlato davanti a una folla riunita per il pensionamento di mio padre, facendo battute bonarie e raccontando aneddoti vagamente piccanti. Dopo la sua morte, invece, ho dovuto pronunciare un discorso molto diverso.

A pochi metri dalla bara In piedi in fondo alla chiesa, io e i miei tre fratelli maggiori abbiamo accolto chi arrivava. Quando venimmo qui la prima volta, ancora bambini, la Cornerstone church era una comunità piccola. Ma le cose poi cambiarono. Brighton, in passato una cittadina sonnolenta all’incrocio tra due grandi arterie, diventò una zona molto ambita da chi lavorava a Detroit e

ad Ann Arbour. Nel frattempo mio padre, con le sue metafore basate sul baseball e le sue lezioni di lingua greca, si era costruito una certa fama per i suoi sermoni. Quando me ne andai da Brighton, nel 2008, la Cornerstone era passata da duecento a duemila fedeli. Ora tante persone si aggiravano intorno a noi, riempendo la sala e occupando anche i corridoi e l’atrio, dove sui tavoli erano sistemati fiori, mazze da golf e fotografie di mio padre. Ero intontito, come i miei fratelli. Nessuno di noi aveva dormito molto nei giorni precedenti. Così, quando qualcuno ha fatto un riferimento a Rush Limbaugh, il più popolare conduttore radiofonico di destra, non ci ho fatto caso. Poi un’altra persona ha tirato in ballo quel nome, e poi un’altra. Solo in quel momento ho capito cosa stava succedendo. A quanto pare Limbaugh mi aveva citato nel suo programma – “un tizio di nome Tim Alberta” – e aveva descritto le rivelazioni poco lusinghiere contenute nel mio libro su Trump. In quel momento non avrebbe potuto importarmi di meno. Quindi ho sorriso e ho continuato a ringraziare i presenti per essere venuti. Ma continuavano a infastidirmi. Molti fedeli, persone che conoscevo da una viInternazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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fratelli siamo sprofondati sui divani del salotto dei nostri genitori. Abbiamo stappato qualche birra e acceso la tv su una partita di baseball. Alle nostre spalle, in cucina, un piccolo plotone di donne della chiesa stava preparando da mangiare. “Questo è il vero amore di Gesù”, ho pensato. Osservando quelle donne e il loro impegno nel confortare mia madre e occuparsi dei suoi figli, mi sono pentito delle mie parole su Limbaugh. In fondo quasi tutte le persone che avevano partecipato al funerale erano di buon cuore come quelle donne. Forse avevo esagerato.

Mi accusava di far parte di un complotto per ostacolare Trump, il leader scelto da Dio Proprio in quel momento, una delle signore si è avvicinata e mi ha consegnato una busta. L’avevano lasciata in chiesa. Il mio nome era scarabocchiato sulla carta. L’ho aperta e ho trovato una pagina intera scritta a mano. L’autore era uno dei fedeli più anziani della Cornerstone, un uomo che mio padre considerava un amico e che mi aveva insegnato molto quando ero un ragazzo. Mi conosceva praticamente da quand’ero nato. Aveva scritto una lettera per farmi sapere quanto fosse deluso dal mio comportamento. Mi accusava di far parte di un complotto malvagio per ostacolare il leader che Dio aveva scelto per guidare gli Stati Uniti. Per lui le mie critiche a Trump erano paragonabili al tradimento (nei confronti di Dio e della

patria) e avrei dovuto vergognarmi. Ma potevo ancora salvarmi. Dio perdona, e anche quest’uomo era pronto a farlo, se avessi usato le mie abilità giornalistiche per indagare sullo “stato profondo” e smascherare il perfido complotto contro il presidente Trump. L’uomo concludeva la sua lettera dicendo che avrebbe pregato per me. Mi ha dato il voltastomaco. Ho passato il foglio a mia moglie. Lei l’ha letto senza cambiare espressione. Poi l’ha lanciato in aria emettendo un grido che ha fatto sussultare le donne della chiesa: “Ma che problemi hanno queste persone?”.

Un video inappropriato Non c’è mai stato un consenso su cosa significhi esattamente essere un cristiano evangelico. Varie definizioni, sovrapponibili o contrastanti, sono state proposte in periodi diversi. Billy Graham, un predicatore battista diventato un simbolo di tutto ciò che è “evangelico”, una volta aveva ammesso che anche lui faceva fatica a rispondere. Negli anni ottanta, grazie agli sforzi dei telepredicatori e degli attivisti politici, quello che un tempo era un credo religioso cominciò a trasformarsi in un movimento politico. “Evangelico” diventò sinonimo di “cristiano conservatore” e poi di “repubblicano bianco e conservatore”. Mio padre, un teologo autorevole che aveva completato gli studi in ottimi seminari, era profondamente irritato dalle analisi riduttive della sua comunità religiosa. Spesso spiegava ai fedeli cos’era, secondo lui, un evangelico: una persona che interpreta la Bibbia come la parola

Da sapere Culto libero Gruppi religiosi e non credenti negli Stati Uniti, sondaggi Gallup, percentuali

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Cristiani (senza specificare)

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FONTE: GALLUP

ta, non si preoccupavano nemmeno di farmi le condoglianze e cominciavano subito a parlare di Limbaugh e Trump. Alcuni erano pacati e mi accusavano bonariamente di essere ancora il bambino impertinente che ero all’asilo. Ma altri non scherzavano. Erano astiosi o cercavano apertamente lo scontro. Un uomo ha messo in dubbio che fossi un vero cristiano. Un altro mi ha chiesto se ero ancora “dalla parte giusta”. Tutto questo mentre mio padre era in una bara a pochi metri di distanza. A un certo punto ho sentito il bisogno di allontanarmi e fare due passi. Ero sconvolto dal fatto che proprio lì, nel nostro luogo di preghiera, la gente mi aggredisse parlando di politica mentre piangevo mio padre. Quella notte, mentre finivo di scrivere l’elogio che avrei pronunciato al funerale il pomeriggio seguente, mi sentivo ancora ferito. Mia moglie se n’è accorta, naturalmente. Dato che in famiglia è la più brava a mantenere la calma, mi ha invitato a parlare in modo prudente e a non fare nessun riferimento a quello che era successo quel giorno. Ho seguito il suo consiglio solo a metà. Il 2 agosto, davanti a una sala piena, ho reso omaggio all’uomo che mi ha insegnato tutto: come lanciare una palla da baseball, come essere una persona per bene e come avere fiducia in Dio e amarlo. Recitando il mio verso preferito, dalla seconda lettera di san Paolo ai corinzi, ho ripetuto un insegnamento di mio padre: tenere sempre gli occhi fissi su quello che non possiamo vedere. Leggendo la sua poesia preferita, Richard Cory, ho ricordato che mio padre diceva che si può restare poveri anche dopo aver ammassato una fortuna enorme. Poi mi sono rivolto direttamente a tutti quelli che il giorno prima mi avevano avvicinato per parlare di Trump, suggerendogli che se volevano ascoltare qualcosa nei loro spostamenti in macchina potevano rivolgersi ai pastori presenti in chiesa. “Perché state a sentire Rush Limbaugh?”, ho chiesto alla congregazione che era stata di mio padre. “La spazzatura produce solo spazzatura”. Qualcuno in sala ha riso nervosamente. Altri erano visibilmente agitati. Altri ancora hanno distolto lo sguardo facendo finta di non aver sentito. Il giovane pastore che ha preso il posto di mio padre, Chris Winans, aveva un’espressione sconvolta. Ma non m’interessava. Ho detto quello che dovevo dire. Finiva lì. O almeno così credevo. Poche ore dopo la sepoltura, io e i miei

ANGELA WEISS (AFP/GETTY)

Leslie Rossi, deputata statale della Pennsylvania, davanti alla “Trump house”, a Youngstown il 6 novembre 2022

ispirata di Dio e che s’impegna per diffonderla nel mondo. Ma anche se aveva molte qualità, mio padre aveva una grande debolezza: la kryptonite del pastore Alberta era l’amore intenso per il suo paese. In realtà penso che ne fosse consapevole, anche se con me non l’ha mai ammesso. Dopo essere stato un atleta di talento, a sedici anni mio padre si ammalò di tubercolosi. Fu ricoverato per quattro mesi e a un certo punto i medici temettero che potesse non farcela. Alla fine si riprese. Durante la guerra in Vietnam decise di entrare nel corpo dei marines, ma non superò le prove fisiche dell’accademia di Quantico, in Virginia. I suoi polmoni non erano in buone condizioni. Dopo essere stato congedato con onore, tornò a casa provando un certo senso di vergogna. Negli anni successivi scoprì che molti sottotenenti con cui aveva fatto l’addestramento, e anche molti dei ragazzi con cui era cresciuto, erano morti in guerra. Si sarebbe portato dietro quel peso per tutta la vita. Quell’esperienza, insieme al suo disprezzo per gli hippy, per la cultura della droga e per le proteste contro la guerra, trasformò mio padre in un repubblicano convinto. La sua preoccupazione politica

principale riguardava l’aborto. Nel 1947 mia nonna, intrappolata in un matrimonio sbagliato e doloroso, aveva deciso di mettere fine alla gravidanza, ma poi aveva cambiato idea all’ultimo minuto. Mio padre ha sempre attribuito quella decisione a un intervento divino. In ogni caso non si tirava indietro davanti ad altre battaglie culturali, come il matrimonio tra persone dello stesso sesso, i programmi scolastici e la moralità nella vita pubblica. Mio padre mi ha sempre insegnato che l’integrità personale è un prerequisito della leadership politica. Nel 2001, dopo la fine del secondo mandato di Bill Clinton, era così felice che organizzò una festa per seguire la cerimonia d’insediamento di George W. Bush e celebrare il ritorno della moralità alla Casa Bianca. Con il passare degli anni, però, cominciò a concentrarsi su altro. In una domenica all’inizio del 2010 lo vidi proiettare alla sua congregazione un filmato in cui alcuni leader cristiani si scagliavano contro l’Obamacare, la riforma sanitaria voluta da Barack Obama. Gli dissi che mi era sembrato un video inappropriato per un servizio di culto, ma lui non era d’accordo. In quegli anni ci scon-

travamo di continuo. Era sempre amorevole e rispettoso, ma era chiaro che i nostri percorsi filosofici si stavano separando. La frattura è diventata insanabile durante la presidenza di Donald Trump. Nel 2016 mio padre avrebbe voluto veder vincere qualsiasi altro candidato repubblicano, perché sapeva che Trump era un narcisista, un bugiardo e, cosa più grave, un uomo senza morale. Ma alla fine, considerando che in gioco c’erano il destino dei feti e la maggioranza alla corte suprema, sentì di non avere altra scelta che sostenerlo. Capivo le ragioni di quella decisione. Quello che non riuscivo a capire era come avesse fatto mio padre a diventare un convinto sostenitore di Trump nel giro di due anni, arrivando a pensare che qualsiasi critica a Trump nascondesse un tentativo di emarginare chi lo appoggiava. Mio padre ci credeva davvero. Era seriamente convinto che gli attacchi costanti contro Trump fossero attacchi contro le persone come lui. Questa convinzione creò a livello inconscio la struttura che permise a mio padre di ignorare l’immoralità del presidente. Io non potevo fare altro che dirgli la verità: “Sei tu che Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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ti come nazione benedetta da Dio, fonte di speranza in un mondo alla deriva. Ogni volta che un soldato si presentava in chiesa in uniforme, mio padre lo chiamava per nome, gli chiedeva di alzarsi e faceva partire un grande applauso collettivo. È stata una delle prime cose che Chris Winans, il suo successore alla Cornerstone, ha voluto cambiare.

Rivolta in chiesa Diciotto mesi dopo il funerale di mio padre, nel febbraio 2021, ho incontrato Winans in un ristorante. Non sembrava a suo agio. Era nervoso, perfino un po’ paranoico. Mentre parlavamo si guardava intorno con aria circospetta. Non ci ho messo molto a capire perché. Mio padre aveva dedicato anni alla ricerca di un erede. Aveva avuto molti assistenti, ma nessuno gli sembrava adatto a prendere il suo posto. La congregazione era la missione della sua vita, quindi non voleva accontentarsi di un successore qualunque. L’incertezza sul futuro della sua chiesa lo aveva consumato. Temeva che non avrebbe mai trovato la persona giusta. Poi un giorno aveva conosciuto Winans, un giovane pastore di Goodwill, la chiesa dove mio padre aveva avuto la sua illuminazione e dove aveva prestato servizio appena uscito dal seminario. Lo aveva convinto a trasferirsi alla Cornerstone per guidare i giovani della congregazione, e fin dall’inizio mi era sembrato evidente che Winans fosse la persona adatta.

Da sapere Fedeltà politica Risultati delle presidenziali 2020 in base all’appartenenza religiosa, percentuale Trump

Biden FONTE: PEW RESEARCH CENTER

mi hai insegnato a distinguere le cose giuste da quelle sbagliate”, gli ricordavo. “Non puoi arrabbiarti se mi comporto di conseguenza”. Mio padre non era un uomo fazioso. Spesso affrontava temi che alla Cornerstone potevano risultare piuttosto spinosi, come le armi da fuoco, la povertà e l’immigrazione. Non era un nazionalista cristiano e non voleva assolutamente vivere in una teocrazia. Semplicemente, credeva che Dio avesse benedetto gli Stati Uniti e sentiva che chiunque si sforzasse di difendere questa benedizione stesse compiendo il volere del Signore. Nel 2007 questo modo di pensare produsse conseguenze spiacevoli, quando Mark Kidd, un giovane fedele della comunità, morì combattendo in Iraq. All’epoca l’opinione pubblica era contro la guerra e i democratici chiedevano all’amministrazione Bush di riportare a casa i soldati. Per mio padre la morte di Kidd fu devastante. Si scrivevano spesso quando il ragazzo era al fronte e si erano incontrati per pregare quando era tornato a casa. Ma il lutto del pastore lasciò presto il posto alla rabbia del sostenitore repubblicano. Arrivò a chiedere ai politici democratici del posto di non andare al funerale. “Personalmente provo vergogna per i leader che dicono di sostenere le truppe ma non il comandante in capo”, tuonò nel suo sermone, ricevendo un’ovazione. “Non capiscono che in questo modo scoraggiano i combattenti e incoraggiano i terroristi?”. Quella vicenda scatenò una tempesta nella comunità. Buona parte della congregazione era d’accordo con mio padre, ma anche in una città conservatrice come Brighton c’erano molti che non apprezzavano l’idea di trasformare il funerale di un soldato in un comizio politico. Mostrarsi patriottici è una cosa (molte chiese sfoggiano una bandiera americana), ma lui aveva fatto qualcosa di più. Aveva preso il peso, la gravità e l’eterna certezza di Dio e l’aveva usata per una causa effimera e discutibile. Aveva attaccato alcune persone per non aver seguito incondizionatamente il presidente degli Stati Uniti, quando l’unica autorità che tutti dovrebbero seguire incondizionatamente, soprattutto in una chiesa, è quella di Cristo. So che mio padre con il tempo se ne pentì, ma non poteva fare a meno di comportarsi così. Per lui era impossibile separare il suo ruolo pastorale dalla sua storia personale e dalla sua idea degli Stati Uni-

Protestanti Bianchi evangelici Bianchi non evangelici Protestanti neri Cattolici Cattolici bianchi Non appartenenti a un culto Atei / Agnostici Altre fedi 0

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Appena trentenne, era precisamente il leader del futuro di cui la chiesa aveva bisogno. Studente brillante della Bibbia, parlava con grande precisione e chiarezza, era umile e non aveva l’ego smisurato tipico dei predicatori di successo. Tutto in lui – dalla pettinatura da ragazzino alla sua splendida famiglia – sembrava calzare alla perfezione. C’era solo un problema. Chris Winans non era un repubblicano conservatore. Non gli piacevano le armi. Pensava che combattere la povertà fosse più importante che tagliare le tasse. E, soprattutto, disprezzava Trump e le sue buffonate. Queste posizioni non sarebbero sembrate eretiche per i cristiani in altre zone del mondo. Vista la sua solida posizione contro l’aborto, Winans sarebbe stato considerato quasi ovunque il ritratto della coerenza spirituale e intellettuale. Ma nella tradizione evangelica statunitense, e in una chiesa come la Cornerstone, quell’accenno di liberalismo lo rendeva sospetto. Mio padre sapeva che Winans era diverso. Ma in fin dei conti era una cosa positiva. Winans non avrebbe dovuto semplicemente guidare gli anziani e ricchi fedeli della Cornerstone. La sua missione era evangelizzare, creare una visione e ampliare il raggio d’azione, mettere alla prova i credenti e portare il vangelo a chi non faceva parte della congregazione. Mio padre era sicuro che il giovane pastore, con la sua abilità retorica e il suo amore per Gesù, avrebbe superato qualsiasi ostacolo. Si sbagliava. Subito dopo l’insediamento di Winans, all’inizio del 2018, saltarono fuori i coltelli. Qualsiasi accenno alla politica o alla cultura, qualsiasi minima critica nei confronti di Trump o del Partito repubblicano (esplicita o solo percepita) produceva un’ondata di lamentele. I fedeli più anziani chiedevano un incontro con mio padre (che era rimasto nella chiesa per aiutare il nuovo pastore) e si lasciavano andare a proteste di ogni tipo. Lui gli chiedeva se le loro erano rimostranze concrete in merito alla teologia, e quasi sempre la risposta era no. Un mese dopo la sua nomina, Winans disse durante un sermone che i cristiani devono proteggere il creato, invitando i fedeli a prendere sul serio le minacce nei confronti del pianeta. Mio padre ricevette subito decine di visite infuriate. Gli chiedevano di tenere a bada Winans. Mio padre rispondeva di darsi una calmata. Se qualcuno aveva un problema con il pa-

MICHAEL REYNOLDS (EPA/ANSA)

Un sostenitore di Trump a Manchester, nel New Hampshire, gennaio 2024

store, avrebbe dovuto parlarne con il pastore. Winans ebbe un primo anno di lavoro piuttosto difficile, ma alla fine lo superò. I fedeli della Cornerstone si stavano lentamente adattando alla sua presenza e lui doveva rispettare i loro tempi. D’altronde anche lui aveva bisogno di un periodo di assestamento. Fino a quando mio padre avesse continuato a sostenerlo non ci sarebbero stati problemi. Ma poi mio padre è morto. Il giorno in cui l’ho incontrato al ristorante, Winans mi ha confessato che la situazione nella congregazione stava precipitatando. La chiesa era sprofondata nel caos e il suo lavoro era diventato insopportabile. Poco dopo la morte di mio padre era cominciata la pandemia di covid-19. Poi c’era stato l’assassinio di George Floyd. Tutto questo mentre Trump portava avanti la sua campagna per la rielezione. Nel 2016 si era candidato promettendo che “i cristiani” avrebbero avuto “il potere”, mentre nel 2020 diceva che il suo avversario, Joe Biden del Partito democratico, avrebbe “ferito Dio” e avrebbe preso di mira i cristiani a causa delle loro convinzioni religiose. Affidandosi alla retorica più ag-

gressiva e alle teorie del complotto, Trump aveva arruolato i cristiani evangelici in una battaglia spirituale, in cui i repubblicani timorati di Dio sfidavano i laici di sinistra che volevano cancellare la tradizione giudaico-cristiana degli Stati Uniti. I fedeli della Cornerstone hanno cominciato a chiedere al pastore di condannare le restrizioni sanitarie imposte dal governo, di schierarsi contro il movimen-

C’era solo un problema. Chris Winans non era un repubblicano to antirazzista Black lives matter e contro Biden. Quando Winans si è rifiutato di farlo, molte persone hanno lasciato la chiesa. La tensione è aumentata dopo la sconfitta di Trump, nel novembre 2020. Nella congregazione è partita una crociata per ribaltare l’esito delle elezioni, guidata da un gruppo di cristiani infuriati che comprendeva Jenna Ellis, avvocata di Trump. Tanti fedeli se ne sono andati do-

po che un dipendente della chiesa, che faceva proselitismo per il culto complottista QAnon, è stato licenziato in seguito a una serie di scontri con Winans. Quando i sostenitori di Trump hanno assaltato il congresso, il 6 gennaio 2021, Winans ha capito di aver perso definitivamente il controllo della sua chiesa. “È un esodo”, mi ha confessato poche settimane dopo. Osservando quelle scene apocalittiche in tv, Winans si era sentito responsabile. I simboli cristiani erano dovunque: i rivoltosi pregavano in cerchio, cantavano gli inni e mostravano Bibbie e croci. La perversione della religione dominante negli Stati Uniti sarebbe stata associata per sempre a quella tragedia. Lo hanno dimostrato le parole pronunciate l’anno dopo dal senatore repubblicano Josh Hawley: “Siamo un paese rivoluzionario proprio perché siamo gli eredi della rivoluzione della Bibbia”. Secondo Winans questa impostazione è una minaccia molto più grave degli eventi del 6 gennaio. “Molte persone credono che il paese sia nato dalla religione, dalla Bibbia. Questa è la fonte di molti dei nostri problemi”. Per buona parte della storia degli Stati Uniti, i cristiani bianchi Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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In copertina hanno avuto ricchezza, potere e sicurezza. Data questa realtà – nonché la natura miracolosa della vittoria contro il Regno Unito, la velocità con cui il paese è diventato una superpotenza e la sua opera di diffusione della libertà e della democrazia (e della cristianità) nel mondo – è facile capire come mai tanti evangelici siano convinti che gli Stati Uniti siano una nazione benedetta. Il problema è che le benedizioni spesso si portano dietro l’idea che tutto sia dovuto. Una volta stabilito che Dio ha benedetto qualcosa, quel qualcosa può diventare oggetto di gelosia, ossessione e perfino venerazione. “In buona sostanza stiamo parlando di idolatria. Per molte persone l’America è diventata un idolo. Se credi che Dio abbia stretto un patto con l’America, allora credi anche (e ho sentito molte persone dirlo esplicitamente) che siamo un nuovo Israele”, mi ha spiegato Winans riferendosi alla narrativa del Vecchio testamento sul popolo eletto. “A quel punto credi che le stesse promesse fatte a Israele siano applicabili a questo paese, ti convinci che l’America sia una santa alleanza da proteggere. Ti consideri prima di tutto un americano, e questo significa fraintendere terribilmente quello che dovremmo essere”. Nella Bibbia sono citate molte nazioni. Gli Stati Uniti non ci sono. Di solito gli evangelici sono abbastanza sofisticati da rifiutare l’idea che questo paese sia sacro agli occhi di Dio. Ma molti di loro hanno deciso di idealizzare l’America cristiana, allontanandosi da ciò che dovrebbe essere la cristianità. Hanno permesso alla loro identità nazionale di modellare la loro fede, invece che il contrario.

Nazione benedetta Winans sta molto attento a questo aspetto, ed è uno dei motivi per cui ha deciso di cambiare le regole sul saluto ai soldati. Li incontra dopo la funzione, gli stringe la mano e li ringrazia per il servizio prestato al paese. “Non voglio disonorare nessuno. Penso che le nazioni abbiano diritto all’autodifesa e rispetto i sacrifici fatti da queste persone”, mi ha spiegato. “Ma prima arrivavano e ricevevano un’ovazione scatenata, mentre quando ospitavamo i missionari a malapena c’era qualche applauso. Viene da chiedersi perché. Cosa abbiamo nei nostri cuori?”. Questo genere di eresia culturale gli ha creato grossi problemi. Ogni settimana la congregazione registrava nuove de-

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fezioni. Molti fedeli se ne andavano in un’altra chiesa a poche centinaia di metri di distanza, guidata da un pastore che predica il nazionalismo cristiano. Winans mi ha confidato che stava pensando di lasciare la Cornerstone. “È psicologicamente sfiancante”, mi ha detto. Aveva attacchi d’ansia. Tra una funzione e l’altra si chiudeva in una stanza buia per riprendersi. Chiedeva ad alcuni fedeli di restargli vicino la domenica mattina, nel caso in cui perdesse i sensi. Ho pensato a mio padre, a come quelle parole gli avrebbero spezzato il cuore. Poi mi sono chiesto se non fosse in qualche modo responsabile per quello che stava succedendo a Winans. Era evidente che alla Cornerstone qualcosa era andato storto, prima del covid, di George Floyd e di Donald Trump. Avevo sempre ignorato gli interventi catastrofisti su Facebook pubblicati dai fedeli, e in fondo ero stuzzicato dall’idea che alcune di quelle persone mi prendessero di mira sui social network. Ma in quel momento mi sono reso conto che erano avvertimenti, allarmi che avrei dovuto prendere sul serio. Mio padre non aveva mai avuto un profilo sui social network. Forse non aveva idea di quanto fossero smarrite alcune delle sue pecorelle. Non avevo mai raccontato a Winans degli scontri che avevo avuto alla veglia funebre di mio padre e della lettera che avevo ricevuto dopo aver pronunciato invano il nome di Rush Limbaugh. Mi sono avvicinato a lui e gli ho detto tutto, nei minimi dettagli. Ha socchiuso gli occhi e ha esalato un respiro sofferto. Mi ha detto che gli dispiaceva e che non riusciva a trovare le parole. Siamo rimasti in silenzio per un momento. Poi gli ho fatto una domanda che mi girava ossessivamente in testa da diciotto mesi. Era una versione ripulita dell’esclamazione di mia moglie nel salotto di casa dei miei genitori, dopo aver lanciato in aria la lettera: “Qual è il problema degli evangelici americani?”. Winans ci ha pensato su per un attimo. “L’America”, mi ha risposto. u as L’AUTORE

Tim Alberta è un giornalista statunitense. Si occupa di politica all’Atlantic. In passato ha lavorato al Wall Street Journal e a Politico. Il suo ultimo libro pubblicato negli Stati Uniti è The Kingdom, the power, and the glory: American evangelicals in an age of extremism.

Da sapere

Elezioni e processi onald Trump è nettamente in vantaggio nelle primarie del Partito repubblicano per la scelta del candidato alle presidenziali del 5 novembre. Se vincerà dovrà sfidare alle elezioni il presidente Joe Biden, del Partito democratico, che ha deciso di ricandidarsi. La campagna elettorale sarà condizionata dai procedimenti giudiziari in cui è coinvolto Trump. Nel 2023 è stato incriminato quattro volte: per i pagamenti a una pornostar, in presunta violazione delle leggi sui finanziamenti elettorali; per aver portato nella sua residenza privata documenti riservati del governo dopo aver lasciato la Casa Bianca; per aver cercato di ribaltare il risultato delle elezioni presidenziali nello stato della Georgia; per aver alimentato le proteste che portarono all’assalto al congresso del gennaio 2021 e aver provato a sovvertire l’esito delle elezioni presidenziali. Le udienze per l’ultimo caso dovrebbero cominciare a marzo del 2024, anche se gli avvocati di Trump stanno cercando di ritardare l’inizio del processo in modo da evitare un verdetto prima delle elezioni. Anche se dovesse arrivare una condanna prima del voto, Trump potrebbe continuare a fare campagna elettorale. La costituzione stabilisce pochi requisiti per chi si vuole candidare alla presidenza – bisogna avere almeno 35 anni ed essere nati negli Stati Uniti – e non esclude chi ha precedenti penali. In alcuni stati i funzionari elettorali e i giudici hanno stabilito che l’ex presidente non può candidarsi alle elezioni sulla base del 14° emendamento, che vieta di ricoprire cariche pubbliche a chi ha tentato di sovvertire l’ordine costituzionale. Su questo punto dovrebbe pronunciarsi la corte suprema all’inizio di febbraio. Ci si aspetta, però, che i giudici decidano in favore di Trump. Altra questione è come un’eventuale condanna di Trump condizionerebbe l’orientamento degli elettori. Alcuni sondaggi condotti nelle ultime settimane mostrano che in quel caso il presidente Biden potrebbe guadagnare consensi tra gli elettori più moderati. Sarebbe comunque una sfida tra due candidati molto impopolari. The New York Times

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Francia

Nostra signora di Parigi rinasce Tim Clark, Geographical, Regno Unito

Quasi cinque anni dopo l’incendio che l’ha distrutta, la cattedrale di Notre-Dame viene ricostruita da un gruppo di artigiani seguendo le tecniche tradizionali di ottocento anni fa l 15 aprile 2019 un incendio è divampato nella cattedrale di Notre-Dame, a Parigi, divorandone il tetto originale in legno di quercia. Le travi avevano resistito per ottocento anni prima di essere mangiate dal fuoco. Due giorni dopo l’incendio il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che la cattedrale sarebbe stata ricostruita entro cinque anni, affermando che Notre-Dame avrebbe riaperto nel 2024, in tempo per le Olimpiadi di Parigi. Da quel momento si è cercato di capire come ricostruire e chi poteva farlo. Molti dubitavano che esistesse ancora qualcuno con le abilità necessarie a ricostruire l’antico tetto di legno. E se non fosse stato per il gruppo Charpentiers sans frontières (Carpentieri senza frontiere) e il loro fondatore, François Calame, probabilmente avrebbero avuto ragione. Negli anni Calame aveva conosciuto alcuni falegnami e carpentieri altamente qualificati che lavoravano usando tecniche tradizionali. Nel 1992 ha fondato l’associazione per mantenere vive queste abilità, in particolare le anti-

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che tecniche della lavorazione del legno. Rémi Fromont, capo architetto dei monumenti storici francesi, che nel 2014 aveva fatto degli studi su Notre-Dame, è stato cruciale quando si è trattato di convincere le autorità che la cattedrale dove-

va e poteva essere ricostruita seguendo i progetti originali. Ha convinto il comitato Rebâtir Notre-Dame de Paris, responsabile della ricostruzione, a chiamare due ditte di falegnameria tradizionale: la Perrault, per la ricostruzione della sezione

Parigi, 11 gennaio 2024

del coro; e la Desmonts, con sede in Normandia e associata a Charpentiers sans frontières, per le grandi capriate del tetto della navata. Quindi è cominciata la ricerca di esperti artigiani. Uno dei 25 falegnami ingaggiati è Mike Dennis, ex mili-

tare dei royal marines britannici. Dennis ha partecipato alle guerre in Iraq e in Afghanistan, poi ha insegnato inglese in Cina e fitness sulle navi da crociera. Un giorno, quasi per gioco, ha deciso di seguire un corso di falegnameria tradizionale in

Galles e ne è rimasto affascinato. “Cercavo un lavoro che mi permettesse di viaggiare”, ha detto. “Il pilota? Mi sarebbe costato cinquantamila sterline ancora prima di cominciare. Il medico? Be’, non mi piacciono molto le persone, tanto meInternazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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Francia no operarle. Ma la falegnameria? Quanto poteva essere dura?”. È finito in Canada a restaurare le impalcature di legno di un ponte a cavalletto sull’isola di Vancouver, legato a corde lunghe quaranta metri, con una motosega in mano. Finora Notre-Dame è il suo progetto più importante. “All’inizio ero un po’ riluttante a farmi coinvolgere”, dice. “Ma era l’opportunità di mostrare al mondo che le tecniche per ricostruirla esistono ancora. Stiamo perdendo l’architettura tradizionale, soprattutto nella Francia rurale. Possiamo mostrare che tutte queste tecniche, che sono l’eccellenza del mestiere, erano usate in tutte le case. E che chiunque può farlo: servono solo tempo e fatica”.

L’albero giusto Il team della Desmonts è stato incaricato di costruire undici capriate principali – larghe più di 14 metri e alte dieci – e 45 secondarie delle stesse dimensioni per la navata di Notre-Dame. Responsabile del laboratorio è Loïc Desmonts, che ha 25 anni. “Volevo fare l’agricoltore o, come molti bambini, pilotare un aereo da guerra”, racconta. “Poi ho conosciuto i Charpentiers sans frontières quando un gruppo di loro è venuto in Normandia una decina di anni fa. Ricordo ancora l’odore della quercia fresca, i colpi dell’ascia, le strutture in legno, le persone che parlavano lingue diverse e ridevano forte. Ho detto a mio padre che volevo fare quello, lavorare con le mie mani e la mia testa”. Per Desmonts non si trattava semplicemente di avviare un progetto imprenditoriale. Voleva capire com’era stato possibile, ottocento anni prima, costruire un edificio così impressionante. “Non parliamo solo di storia dell’architettura: a Notre-Dame c’è la storia dell’essere umano”, afferma. “La cattedrale è stata costruita quando in Francia l’uso della giunzione ‘a mortasa e tenone’ (cioè a incastro tra due parti di legno) era appena agli inizi: quindi è interessante vedere com’è cambiato il modo di realizzare le capriate”. Per le travi sono serviti più di 1.300 alberi: i boscaioli hanno lavorato seguendo un ordine preciso a seconda delle capriate, in modo da individuare le piante con i giusti diametri e le giuste lunghezze per il progetto. Gli alberi dovevano avere poco alburno, la parte più periferica e più fragile del tronco, ed essere senza nodi. Non c’è modo di sapere quale albero ha un eccesso di alburno finché non viene tagliato. Come dice la falegname Solène Savaëte, che ha accompagnato i boscaioli nella loro

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Nel laboratorio dei falegnami le enormi capriate del tetto completate attendono il difficile viaggio su strada fino al centro di Parigi ricerca, “se fai un foro nell’albero, poi lo compri”. Sono stati perlustrati circa ottanta boschi nella regione di Rouen in cerca di querce della giusta qualità. “Molti pensavano che li avremmo distrutti, ma noi non volevamo comportarci come dei predatori. È stato più simile alla raccolta dei funghi”. Dall’esterno, il laboratorio Desmonts somiglia a un capannone industriale. Tuttavia entrando ci si trova davanti a un muro coperto di asce che sembra un arsenale medievale. Sulla parete opposta ci sono file di motoseghe. In mezzo, carrelli con scalpelli e martelli. Il legno di quercia viene trasformato in travi lavorandolo a mano, tagliandolo con le asce come avrebbero fatto gli artigiani nel medioevo. I lavori di restauro della cattedrale sono uno dei più grandi progetti di realizzazione artigianale di capriate da più di un secolo. “Molti di noi non avevano mai avuto l’opportunità di intagliare per uno, due o tre mesi di fila; è una cosa rara”, dice Dennis impugnando l’ascia per tagliare i bordi dello chapeau di una console, una trave lunga due metri che si trova sotto la parte principale della capriata e che serve a distribuire meglio il peso.

Da sapere

L’incendio di Notre-Dame u La cattedrale di Parigi è stata costruita tra il dodicesimo e il quattordicesimo secolo sull’Île de la Cité, nel cuore della città. u Nel 2019 cominciano dei lavori di restauro per ripulire e consolidare la parte esterna della guglia e una serie di sculture. Nella notte tra il 15 e il 16 aprile un incendio scoppiato nel sottotetto, probabilmente a causa di un cortocircuito nell’impianto elettrico, divampa velocemente provocando il collasso della guglia e del tetto, con il crollo di una parte del transetto. I vigili del fuoco riescono a salvare la struttura portante e gran parte delle opere d’arte. u I restauri cominciano nel 2022. Il 15 gennaio 2024 viene posata l’ultima trave che forma la nuova capriata dell’abside. I lavori dovrebbero essere completati entro la fine 2024. Afp

Le estremità degli chapeaux originali erano state intagliate singolarmente. Nessuno sa perché. Forse per lasciare ogni falegname libero di esprimersi. “Mancano molte informazioni”, dice Dennis mentre usa una matita e un compasso per capire le proporzioni di un intaglio. “Fortunatamente, abbiamo qualche fotografia delle travi del tetto originale”. Dennis prende in mano un’accetta per cominciare a modellare la replica di una scultura del tredicesimo secolo. I trucioli cadono a terra mentre l’ascia intaglia la quercia, che viene poi piallata a mano. “S’impara a capire quale ascia si adatti meglio a ogni artigiano”, dice mentre intaglia il legno. “Si considera il peso, la sua distribuzione, la curvatura della lama, la sua smussatura. Con alcuni, l’ascia farà bene il suo lavoro, con altri no”. Una buona ascia può arrivare a costare mille euro. Per ragioni sconosciute, le prime sette capriate principali del tetto della navata originale di Notre-Dame sono state tutte costruite con disegni leggermente diversi. Si pensa che i falegnami medievali abbiano, in una certa misura, imparato lavorando. Ora, mentre interpretano i progetti precedenti, i colleghi contemporanei dei carpentieri gotici devono trarre le loro conclusioni sul perché ogni capriata sia diversa dall’altra. La squadra mi ha mostrato la capriata numero due, una struttura particolarmente complicata. “Penso che questa sia stata costruita per prima”, dice Mathieu Larigot esponendo la sua ipotesi. “Credo che quando cominciarono a costruire Notre-Dame partirono da qui, poi si resero conto di aver bisogno di travi extra e così le misero intorno alla struttura”. La spiegazione di Desmonts è più pratica: “La capriata numero due è la più rognosa da realizzare. I falegnami medievali hanno continuato a cambiare la lavorazione fino alla numero sette, poi si sono detti: ‘Questo è il modo più semplice’. E hanno continuato così”. Questo dibattito è solo una piccola parte di una più ampia discussione su come fu originariamente costruita Notre-Dame. Gli errori di falegnameria del tredicesimo secolo sono come cicatrici che danno informazioni vitali alla squadra di oggi. L’intero progetto è una forma di archeologia sperimentale.

Falegnami nomadi Il laboratorio in Normandia ha attirato falegnami dagli Stati Uniti, dalla Francia, dal Regno Unito, dall’Estonia e dalla Germania. “È uno stile di vita”, dice Dennis.

PATRICK ZACHMANN (MAGNUM/CONTRASTO)

Parigi, 11 gennaio 2024

“Probabilmente risale alla lunga tradizione del falegname ambulante, quando si partiva per un viaggio dopo l’apprendistato. In alcuni paesi si fa ancora. In noi c’è la stessa passione di girovagare, di fare cose nuove e interessanti. Perché è un mestiere artigianale e non si smette mai d’imparare; è una continua condivisione delle conoscenze”. Andre Uus, docente di costruzioni in legno all’università di scienze della vita dell’Estonia, è venuto in Francia per quella che doveva essere una vacanza di lavoro di tre settimane. Insieme a lui, Dennis e Desmonts siamo stati per due notti a Le Petit Moulin, un mulino in disuso che funge da casa per molti carpentieri della squadra. Arrivo mentre Carlos Barbero, che ha lavorato al progetto per due mesi, sta preparando la sua festa di addio: pizza e vino. Chiede a Dennis quando si rivedranno: “Novembre? Nella Guyana Francese?”. “Forse”, è la risposta un po’ evasiva. I falegnami hanno uno stile di vita seminomade, si spostano da un progetto all’altro: s’incontrano, condividono esperienze e progettano il lavoro successivo. Le serate sono brevi, la maggior parte degli artigiani va a dormire subito dopo le 21 e si sveglia molto prima dell’alba. Salgo

una stretta scala di legno per arrivare al mio giaciglio (un semplice materasso e una lampada) in soffitta, dove ci sono anche i vecchi macchinari del mulino. Nel laboratorio le enormi capriate del tetto completate attendono il difficile viaggio su strada fino al centro di Parigi. Nel frattempo i falegnami lavorano sui pezzi successivi del puzzle. Di tanto in tanto un artigiano viene a contemplare le strutture finite o a mangiare il suo panino sotto di esse. Qualcuno ha appeso un’amaca in alto, tra le travi, per un pisolino pomeridiano. Nel caldo del pomeriggio l’intero laboratorio scricchiola mentre il legno si riscalda. Sembra il rumore di un animale randagio che è salito sul tetto e non riesce a scendere.

Si torna a casa Il tempo stringe e la sfida per finire la cattedrale per le Olimpiadi è dura. Dopo più di un anno d’intenso lavoro la maggior parte delle capriate è stata completata. Dennis torna a casa. Riguardo ai prossimi mesi, ci sta ancora pensando. Potrebbe partecipare come volontario a un progetto nel Suffolk, dove stanno costruendo una replica della nave funeraria di Sutton Hoo, o fare domanda per un dottorato basato

sulla sua esperienza con il progetto di Notre-Dame. Uus è tornato in Estonia a insegnare all’università della sua cittadina di 15mila abitanti. Prima, però, entrambi i falegnami si dirigono a Parigi, principalmente perché è uno scalo nel viaggio verso casa, ma anche perché è un’opportunità per vedere i risultati del loro lavoro. È una notte calda nella capitale francese. Più tardi, in piedi tra le gru, i ponteggi e gli uffici temporanei, i due carpentieri si sforzano di individuare uno dei loro lavori sul tetto. Alla fine scorgono una capriata di quercia. Altre due sono appena visibili su una piattaforma vicino alla Senna. Una volta installato, il tetto in legno sarà difficilmente visibile, dato che si troverà a più di trenta metri d’altezza, sopra il soffitto a volta della cattedrale, e le strutture saranno per la maggior parte inghiottite dall’oscurità. I falegnami non danno molto importanza al fatto che la loro arte rimarrà nascosta. Sanno che è lì e che l’hanno realizzata loro. Dennis ha un ultimo pensiero. Dice che è stato bello essere stati pagati il giusto, ma aggiunge: “La verità è che avremmo ricostruito il tetto di Notre-Dame anche gratis”. u aru Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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Ambiente

Due ruote più verdi The New York Times, Stati Uniti Foto di Brian Otieno

La transizione ai veicoli elettrici potrebbe essere più rapida nei paesi dell’Africa e dell’Asia che in quelli occidentali. Perché riguarda piccoli mezzi di trasporto usati ogni giorno da miliardi di persone giganti del petrolio devono af­ frontare un minuscolo nemico nelle strade dell’Asia e dell’Afri­ ca. I rumorosi e inquinanti veico­ li a due o tre ruote che ogni gior­ no portano in giro miliardi di persone stanno silenziosamente passan­ do ai motori elettrici, riducendo la do­ manda mondiale di petrolio di un milio­ ne di barili al giorno nel 2023. In Kenya e in Ruanda decine di start­ up fanno a gara per sostituire i mototaxi a benzina con quelli a batteria. In India più della metà dei mezzi a tre ruote venduti e immatricolati l’anno scorso erano ali­ mentati a batterie. Anche Indonesia e Thailandia incoraggiano il passaggio dei mototaxi all’elettrico. Il mercato è dominato dalla Cina, do­ ve da decenni il governo promuove l’uso di veicoli elettrici per ripulire le città sof­ focate dallo smog, e questo spiega perché la stragrande maggioranza delle moto e delle bici elettriche del mondo circola sulle strade cinesi. Nel complesso il passaggio a questi mezzi di trasporto ha fatto calare la do­ manda globale di petrolio di 1,8 milioni di barili al giorno nel 2023, come mostrano i dati di BloombergNef, la divisione di ri­ cerca del gruppo fondato da Michael Bloomberg. La riduzione è dovuta per il 60 per cento (1,08 milioni di barili) ai vei­ coli a due o tre ruote elettrici. Secondo alcune stime, l’anno scorso le auto e i mezzi elettrici più piccoli hanno abbassato la domanda complessiva di pe­

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trolio solo del 4 per cento. Ma la loro dif­ fusione è cruciale per la transizione ener­ getica perché i trasporti sono responsabi­ li del 20 per cento circa delle emissioni di gas serra. Tra tutti i cambiamenti che gli stati stanno mettendo in atto per rallen­ tare il riscaldamento del pianeta, le ven­ dite di veicoli elettrici sono l’unico in li­ nea con gli obiettivi sul clima, come affer­ mano i risultati di uno studio indipen­ dente. Inoltre questi mezzi aiutano a ri­ solvere il problema dell’inquinamento atmosferico, a cui l’Organizzazione mon­ diale della sanità riconduce sette milioni di morti premature all’anno. In Europa e negli Stati Uniti è difficile rendersi conto della transizione: anche se le bici e gli scooter elettrici sono piuttosto diffusi, l’attenzione si concentra soprat­ tutto sulle auto. Invece, nel resto del mondo, la maggioranza delle persone non usa le quattro ruote per spostarsi. A Nairobi, in Kenya, e ad Hanoi, in Vie­ tnam, le moto fanno da taxi. A Mumbai, in India, gli scooter possono trasportare fa­ miglie di quattro persone. In Cina milioni di pendolari usano le bici elettriche. “Le moto elettriche sono più silenzio­ se, efficienti e rispettano l’ambiente”, di­ chiara Jesse Forrester, fondatore della Mazi Mobility, un’azienda che ha messo in circolazione sessanta mototaxi elettri­ ci, chiamati boda-boda, nelle strade della capitale keniana. “Oggi nel nostro paese è in corso una rivoluzione silenziosa, che ci porterà verso il futuro”. L’azienda di Forrester è una delle tante che stanno

contribuendo a creare un ecosistema di veicoli elettrici vendendo o assemblando moto importate, installando postazioni di ricarica e collaborando con le banche per offrire prestiti a condizioni vantag­ giose. In altre parti del mondo produttori af­ fermati stanno facendo uscire nuovi mo­ delli a batteria, come l’azienda indiana Hero MotoCorp, che ha messo in vendita uno scooter elettrico a meno di 1.800 dol­ lari. Nel settore si affacciano anche i ser­ vizi di ride-sharing come Ola, anche que­ sto con sede in India. Di recente la giap­ ponese Honda ha dichiarato di voler fare investimenti per 3,4 miliardi di dollari,

Due conducenti di mototaxi elettrici in attesa di clienti. Nairobi, Kenya, 20 novembre 2023

con l’obiettivo di vendere, da oggi al 2030, quattro milioni di moto elettriche all’anno. L’ostacolo più grande per la diffusione di questi veicoli sono le politiche dei governi. Il Messico, per esempio, sovvenziona la benzina ma non le batterie, e per questo ci sono pochi veicoli elettrici a due o tre ruote. Secondo Karla Ramírez, che vende moto a Città del Messico, sono un “prodotto di nicchia”.

Batterie negli armadietti A un distributore di benzina lungo un’autostrada vicino a Nairobi, una squadra dell’Arc Ride, una delle principali startup che puntano sui boda-boda elettrici, sta

installando una struttura fatta di armadietti nuovi di zecca che si aprono con un’app sul cellulare. Il sistema funziona così: si lascia una batteria al litio scarica in un armadietto vuoto, se ne prende un’altra carica e si continua a viaggiare per almeno novanta chilometri, quanto basta a un conducente di mototaxi per coprire una giornata di lavoro. L’Arc Ride ha creato 72 stazioni di scambio per le batterie a Nairobi e intende aprirne altre venticinque nei prossimi mesi, una ogni due chilometri lungo le strade più trafficate della città. “Vogliamo arrivare al trasporto elettrico di massa”, dice Felix Saro-Wiwa, responsabile

per la crescita sostenibile dell’azienda. La storia della famiglia di Saro-Wiwa è legata a tutto questo. Suo nonno, Ken Saro-Wiwa, fu un attivista per i diritti umani che attirò l’attenzione della comunità internazionale sui danni sociali e ambientali causati dall’estrazione di petrolio in Nigeria. Per questo nel 1995 fu messo a morte dal governo militare. Oggi in Kenya ci sono 1.500 boda-boda elettrici su 1,3 milioni di veicoli a due ruote in circolazione. Il paese, però, è in una fase critica della sua transizione energetica. I prezzi dei carburanti sono saliti alle stelle dopo l’invasione russa dell’Ucraina e dopo che nel settembre Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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Ambiente 2022 il governo keniano ha eliminato i sussidi sulla benzina. Questa decisione ha causato un aumento del costo della vita, innescando ampie, e a tratti violente, proteste antigovernative. Ma ha anche fornito un’opportunità ai sostenitori della mobilità alternativa. I veicoli a batteria sono più economici da gestire, anche se costano circa il 5 per cento in più rispetto ai modelli a benzina. I venditori di boda-boda come la Mazi Mobility e l’Arc Ride collaborano con le banche per offrire prestiti a interessi bassi, l’unico modo per i motociclisti keniani di acquistare un modello elettrico. Uber sta testando Nairobi come prima città africana dove sarà possibile prenotare una corsa su due ruote. Il presidente keniano William Ruto ha stabilito l’obiettivo di duecentomila moto elettriche nel paese entro il 2025. Tuttavia, restano molti ostacoli. L’elettricità costa. Il governo ha esentato i venditori di moto elettriche dai dazi d’importazione con una misura che, però, dev’essere approvata di anno in anno, cosa che rende difficile per le aziende fare progetti a lungo termine. Per importare i pezzi di ricambio le pratiche burocratiche sono estenuanti. E la svalutazione della moneta locale non aiuta. I veicoli delle diverse start up funzionano con batterie e sistemi operativi che non sono compatibili tra loro, e questo ne ostacola la diffusione. Ma Saro-Wiwa è convinto che presto l’elettrico decollerà. “È il futuro dei trasporti in Kenya”, dichiara.

Dipende dal prezzo Shankar Rai è all’avanguardia nella transizione all’elettrico in India. Ha 45 anni, tre figli, e guida un risciò a batteria per nove ore al giorno, sei giorni alla settimana, a Darbhanga, una città indiana piuttosto povera, vicino al Nepal. Guadagna circa mille rupie (11 euro) al giorno e ne dà quasi la metà a un amico, che è il proprietario del risciò e lo ricarica di notte. Il resto lo spende per mangiare e mandare a scuola i figli. “Siamo poveri, ci arrangiamo per sopravvivere”, dice Rai. Rai partecipa a un’iniziativa costata 1,2 miliardi di dollari e lanciata dal governo indiano per fare in modo che entro il 2030 il 30 per cento dei veicoli in circolazione funzioni a batteria. La maggior parte di questi soldi va ai concessionari, che favoriscono l’acquisto di risciò elettrici abbassando i prezzi.

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A Darbhanga un risciò nuovo come quello guidato da Rai, dotato di una batteria al piombo acido, costa circa 175mila rupie, cioè 1.900 euro. È la metà del prezzo di uno nuovo alimentato a metano. Ricaricare la batteria costa 20 rupie (22 centesimi di euro), un quarto di un pieno di metano. Gli sconti sembrano aver avuto l’effetto desiderato. La Reliance Industries, la più grande azienda indiana, sta convertendo all’elettrico i suoi veicoli commerciali a tre ruote. I servizi per le consegne di prodotti alimentari stanno rapidamente facendo lo stesso. Chetan Maini, che con la sua azienda Sun Mobility costruisce colonnine per la ricarica, sostiene che il settore sta crescendo in fretta. I prezzi delle batterie scendono e questo contribuisce a ridurre il costo delle moto e dei risciò. “A un certo punto”, prevede Maini, “l’effetto sarà parecchio rapido, perché questo mercato dipende molto dai prezzi”. Secondo il concessionario Balaji Motors, a Darbhanga si vendono circa duecento risciò elettrici al mese. Tra due anni, stima un responsabile delle vendite, domineranno le strade. Per gli standard indiani Darbhanga, che ha trecentomila abitanti, potrebbe essere definita una città sonnacchiosa. In realtà è parecchio caotica. Gli altoparlanti dei templi diffondono musica e quelli dei chioschi all’aperto pubblicità. I clacson suonano, i motori strombazzano. In questo paesaggio sonoro il ronzio del risciò elettrico di Rai è una rarità, apprezzata dai clienti. L’insegnante in pensione Satyen Vir Jha, 65 anni, ha scelto il veicolo di Rai non solo perché è più silenzioso, ma anche perché offre un viaggio più piacevole, con meno scossoni, che gli dà meno fastidio alla schiena. “Gli altri veicoli peggiorano il mio problema”, spiega. “Questo no”. Per stare più tranquillo, comunque, indossa una fascia per l’ernia. Jha è felice di sentirsi dalla parte giusta della storia: “Se tutti i vecchi risciò in circolazione fossero sostituiti con questi, avremmo meno incidenti e meno inquinamento”.

di Città del Messico. Fra le trenta moto in offerta spicca un modello elettrico, una moto grigia e bianca chiamata Voltium Gravity. Qualche giorno prima, un venerdì, Ramírez ha mostrato la Voltium a José Antonio Palmares, un cliente magro e dall’aria seria. “È un concetto completamente diverso”, gli ha spiegato. “Non va a benzina e non inquina. Può farci un giro gratis”. Palmares ha detto che la moto gli piaceva “per l’ambiente”. Ma poi è stato assalito da un dubbio: “Nel mio quartiere ci sono molte colline”, ha detto, “quindi ho bisogno di potenza e di peso”. Ramírez, da esperta venditrice, l’ha portato alla postazione di ricarica, mostrandogli come poteva sostituire la batteria usando semplicemente una tessera magnetica. Lui ha alzato un sopracciglio. “E se la batteria si scarica mentre guido?”. Poi ha chiesto di vedere i modelli tradizionali. Ramírez è abituata a queste perplessità. Ogni mese vende in media 55 moto, e solo una è elettrica. Non aiuta che il modello elettrico più economico costi di più di quelli a benzina. Secondo l’Associazione messicana dei produttori e degli importatori di motocicli, sugli 1,25 milioni di moto vendute nel 2022 solo mille erano alimentate a batteria. Il governo messicano offre pochi incentivi per i veicoli elettrici. “Al nostro presidente”, si lamenta Ramírez, “il petrolio piace troppo”. Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha bloccato gli sforzi per espandere le energie rinnovabili e per il futuro del suo paese ha puntato sui combustibili fossili, sostenendo la Petróleos Mexicanos, la compagnia petrolifera di stato. Il suo governo, come altri in America Latina, continua a sovvenzionare i carburanti tradizionali, oltre ai trasporti in autobus e in metropolitana. Il prezzo è l’ostacolo più importante per gli appassionati di moto elettriche, tra cui c’è anche Karla Ramírez. Lei possiede una moto a benzina, ma sta pensando di prenderne una elettrica. “Prima, però, devo mettere da parte i soldi”, dice. u gim

I dubbi dei clienti

Questo articolo è stato scritto da Somini Sengupta e Abdi Latif Dahir (da Nairobi, Kenya), Alex Travelli (da Darbhanga, India) e Clifford Krauss (da Città del Messico, Messico).

I palloncini e la musica reggaeton conferiscono un’atmosfera di festa permanente alla concessionaria di moto di Karla Ramírez, nell’elegante quartiere Polanco

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Gli animali ringraziano per la concessione di questo spazio.

IMPERFETTI CERCASI

Scienza

PAUL SOUDERS (GETTY)

Un camaleonte di Parson cattura una cavalletta in Madagascar

Il tesoro nasc 58

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La lingua è un organo sottovalutato perché di solito non si vede, ma svolge funzioni molto complesse e ha avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione dei vertebrati Elizabeth Pennisi, Science, Stati Uniti l quarterback Patrick Mahomes ha guidato per due volte i Kansas City Chiefs alla vittoria nel Super Bowl, la competizione più importante del football statunitense. Sebbene la maggior parte dei fan abbia gli occhi puntati sulla palla mentre Mahomes si prepara a lanciare, la sua lingua fa qualcosa di altrettanto interessante. Proprio come faceva la star del basket Michael Jordan quando saltava per una schiacciata, e come fanno spesso i giocatori di freccette quando prendono la mira, subito prima di passare Mahomes tira fuori la lingua. Secondo alcuni scienziati forse è qualcosa di più di una stranezza. Sporgere la lingua potrebbe migliorare la precisione dei movimenti della mano. Un piccolo ma crescente gruppo di ricercatori è affascinato da un organo che spesso diamo per scontato. Raramente pensiamo a quanto deve essere agile la nostra lingua per formare parole o evitare di morderci mentre mastichiamo il cibo prima di deglutirlo. Ma questo è solo un aspetto della sua versatilità in tutto il regno animale. Senza lingua, esisterebbero ben pochi vertebrati terrestri, forse nessuno. I primi dei loro antenati a strisciare fuori dall’acqua, circa 400 milioni di anni fa, trovarono moltissime nuove cose da mangiare, ma ci voleva la lingua per poterle assaggiare. La gamma di cibi che avevano a disposizione si ampliò man mano che le lingue si diversificarono e alla fine assunsero funzioni che andavano oltre l’alimentazione. “L’incredibile varietà di forme della lingua nei vertebrati è piena di esempi di adattamento sorprendenti e quasi inverosimili”, afferma Kurt Schwenk, un biologo evoluzionista dell’università del Connecticut, negli Stati Uniti. Salamandre che usano lingue appiccicose più lunghe del loro corpo per catturare gli insetti, serpenti che “annusano” l’ambiente circostante con la punta della lingua biforcuta, colibrì che succhiano nettare dal fondo dei fiori, pipistrelli che schioccano la lingua per usare l’ecolocalizzazione: sono la dimo-

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strazione che quest’organo ha permesso ai vertebrati di sfruttare ogni angolo della Terra. Negli esseri umani ha ancora più funzioni. “È incredibile quello che facciamo con la lingua: mangiare, parlare, baciare”, afferma Jessica Mark Welch, ecologa del Forsyth institute, in Massachusetts. “È una componente fondamentale dell’essere umano”. Gestire queste funzioni ha stimolato l’espansione della capacità cerebrale, permettendoci non solo di lanciare la palla con precisione, ma forse anche di pensare e stare in piedi. “L’idea è che se puoi afferrare con la lingua, puoi afferrare con le mani, e anche con il pensiero”, dice Ian Whishaw, un neuroscienziato dell’università di Lethbridge, in Canada. “Forse ne siamo consapevoli a livello intuitivo quando usiamo espressioni come ‘sulla punta della lingua’ e ‘mordersi la lingua’”.

Ipotesi evolutive Eppure, come si siano formate le lingue “è uno dei più grandi misteri della nostra storia evolutiva”, afferma Sam Van Wassenbergh, un esperto di morfologia funzionale dell’università di Anversa, in Belgio. Come altri tessuti molli, le lingue sono raramente conservate nei fossili. Dato che sono nascoste all’interno della bocca, non sono facili da osservare. Nell’ultimo decennio, tuttavia, nuove tecnologie hanno permesso di studiare la lingua in azione in diversi gruppi di animali. Questo lavoro sta cominciando a produrre nuove ipotesi sulle traiettorie evolutive dell’organo e su come abbiano alimentato un’ulteriore diversificazione. Kory Evans, un biologo evoluzionista della Rice university, in Texas, dice che più i biologi imparano, più si convincono che “le lingue sono davvero fantastiche”. La lingua è sempre stata una cosa difficile da definire. Sebbene esistano strutture simili a lingue praticamente in tutti i vertebrati, dalle lamprede ai mammiferi, “non c’è una definizione chiara di cosa sia una ‘vera lingua’”, afferma Daniel Schwarz, un biologo evoluzionista del Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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Scienza

LOIC POIDEVIN (NATURE PICTURE LIBRARY)

Un gabbiano tridattilo alle isole Svalbard, Norvegia

Museo di storia naturale di Stoccarda, in Germania. Tendiamo a pensare alla lingua come a qualcosa di morbido, muscoloso e flessibile, come la nostra. La lingua umana è un idrostato muscolare, che, come un palloncino pieno d’acqua, quando cambia forma deve mantenere lo stesso volume complessivo. Quindi, quando Mahomes la tira fuori, la sua lingua diventa più sottile rispetto a quando è chiusa nella bocca. Lo stesso vale per la lingua viola di una giraffa quando si allunga di 46 centimetri per strappare le foglie dal ramo spinoso di un albero. Ma nel regno animale ci sono anche casi meno chiari. Anche l’organo palatale

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di alcuni pesci può essere un fascio di muscoli, ma i biologi sono divisi sul fatto che debba essere considerato una lingua. “Invece che nella parte inferiore della bocca, è nella parte superiore”, afferma Patricia Hernandez, studiosa di morfologia funzionale della George Washington university, negli Stati Uniti. E sebbene siano state fatte molte ipotesi, nessuno conosce davvero la funzione di questo organo, aggiunge. Infatti i pesci non hanno bisogno di una lingua come la nostra per ingoiare il cibo. Possono servirsi della suzione: spalancano le mascelle, allargano la gola e pompano l’acqua attraverso le fessure

branchiali per creare una corrente che trasporta il cibo all’interno. Ma “appena gli animali mettono la testa fuori dall’acqua, la suzione diventa inutile”, dice Schwenk, che ha dedicato la sua carriera allo studio delle lingue degli animali. Una volta che queste creature sono approdate sulla terra, “avevano bisogno di qualcosa che prendesse il posto dell’acqua” per attirare la preda nella loro gola, e l’aria non è abbastanza densa. Per milioni di anni, i primi animali terrestri probabilmente sono tornati nell’oceano per ingoiare le prede catturate sulla terraferma. Alcuni potrebbero aver tenuto la testa alta e lasciato che ci pensasse la

gravità, come fanno molti uccelli di oggi. Ma le basi di un nuovo modo di nutrirsi erano già presenti nell’anatomia dei pesci: una serie di ossa curve chiamate archi branchiali e i loro muscoli di sostegno. Nei pesci gli archi branchiali formano le mascelle, l’osso ioide che sostiene la parte posteriore della mascella e lo scheletro che forma la gola e le fessure branchiali. Quando si nutrono, i muscoli che sostengono queste strutture provocano la suzione abbassando e ritraendo lo ioide e allargando le fessure branchiali per aspirare l’acqua. Agli specialisti della lingua questi movimenti sembrano familiari. “Il movimento dello ioide per produrre la suzione è molto simile al movimento della lingua avanti e indietro per ingerire una preda”, spiega Schwenk. Schwenk e Van Wassenbergh pensano che nei primi vertebrati terrestri gli archi branchiali e i relativi muscoli abbiano cominciato a modificarsi per formare una “protolingua”, forse un cuscinetto muscolare attaccato allo ioide che batteva quando quello si muoveva. Nel corso del tempo, quel cuscinetto diventò più lungo, più controllabile e più abile nell’afferrare e ingerire la preda. Sulla base di esperimenti condotti sui tritoni, Schwarz pensa che una protolingua sia diventata funzionale anche prima del passaggio sulla terraferma. Come altre salamandre, i tritoni sono acquatici da giovani, ma per lo più terrestri da adulti. La loro metamorfosi, e il cambiamento nelle strategie alimentari che l’accompagna, potrebbero essere simili alle transizioni dall’acqua alla terraferma avvenute centinaia di milioni di anni fa. Schwarz e il suo team hanno scoperto che prima di trasformarsi in adulti i tritoni sviluppano un’appendice simile a una lingua che preme il cibo contro “denti” affilati e aghiformi collocati sul palato. Questo suggerisce che una struttura simile a una lingua potrebbe aver aiutato i primi tetrapodi a nutrirsi, anche prima che si avventurassero sulla terraferma.

Alimentazione balistica Le esigenze dell’alimentazione possono aver provocato la comparsa della lingua, ma la selezione naturale l’ha poi adattata e affinata per una miriade di altri scopi, a volte creando “sistemi specializzati stranissimi”, dice Schwenk. Per esempio, le salamandre del genere Hydromantes tirano fuori la loro lingua appiccicosa per catturare insetti o altri piccoli artropodi, proiettando fuori dalla bocca l’intero schele-

tro della gola. Questo modo di alimentarsi implica la riorganizzazione dei muscoli della gola: una parte immagazzina energia elastica che può essere rilasciata istantaneamente per far uscire la lingua, e un’altra la riavvolge. Altre salamandre, almeno 7.600 specie di rane e rospi, così come i camaleonti e altre lucertole, hanno sviluppato indipendentemente forme estreme di questo tipo di alimentazione “balistica”. I camaleonti, per esempio, lanciano la lingua a una velocità di quasi cinque metri al secondo, catturando i grilli in meno di un decimo di secondo. L’alimentazione balistica ha richiesto anche un adattamento della superficie della lingua e della saliva che la riveste. L’abbondante saliva appiccicosa emessa da sporgenze appena visibili chiamate papille può contribuire a rendere la lingua di alcune rane così appiccicosa da catturare prede il 50 per cento più pesanti di loro. La saliva ricopre le papille, che possono agire come minuscole dita appiccicose per afferrare la preda, hanno scritto David Hu, un ricercatore di biomeccanica del Georgia institute of technology, e i suoi colleghi nel 2017.

Le lucertole cornute usano la lingua per proteggersi dai morsi delle prede Le lucertole cornute (Frinosoma) usano la lingua ricoperta di saliva non solo per afferrare le prede, ma anche per proteggersi da loro. Le formiche di cui si nutrono mordono e sono particolarmente velenose, ma le lucertole le ingoiano vive. Nel 2008 Schwenk ha scoperto che spessi filamenti di muco secreti dalle papille della lingua e della gola paralizzano le prede pericolose. Più di recente, il biologo ha scoperto che nelle lucertole cornute i muscoli che di solito compongono i lati della lingua sono attaccati solo nella parte posteriore. L’evoluzione ha riconfigurato le parti libere dei muscoli in creste laterali, probabilmente per creare una tasca mucosa con cui tenere ferme le formiche prima di deglutire. Mentre la lingua di molte rane e lucertole è stata messa a punto per catturare la preda e farla scendere nella gola, quella dei serpenti si è evoluta per garantire un fine senso dell’olfatto, che consente ai

rettili di rilevare la presenza di animali lontani o nascosti e avvicinarsi di soppiatto. Le differenze nelle concentrazioni di un odore percepito da ogni punta della lingua biforcuta di un serpente lo aiutano a individuare una preda che non può vedere. Le specie che cacciano sia nell’acqua sia nell’aria, come il serpente d’acqua del nord (Nerodia sipedon), modificano i movimenti della lingua a seconda che la testa sia sott’acqua, in superficie o in aria, hanno scritto Schwenk e il suo ex studente William Ryerson in un articolo pubblicato su Integrative and Comparative Biology. Sembra che regolino l’oscillazione per ottimizzare la raccolta di molecole di odore in diverse condizioni. Dopo aver studiato la morfologia, la fisiologia e i movimenti della lingua di decine di specie di rettili, Schwenk è sbalordito da quanto rivelano sullo stile di vita di un animale. “Se mi mostri la lingua, posso dirti un sacco di cose”, afferma.

Pompe e pennelli L’evoluzione della lingua ha aiutato rettili e anfibi a catturare animali, ma negli uccelli alcuni degli adattamenti più stravaganti sono rivolti alle piante. Nella maggior parte degli uccelli la lingua è un frammento rigido di cheratina (come le unghie) o di osso, con pochi muscoli o altri tessuti vivi. “Sono solo un nastro trasportatore per muovere il cibo dalla parte anteriore a quella posteriore” della bocca, afferma Schwenk. Ma ci sono delle eccezioni, in particolare nei colibrì e in altre specie che si nutrono di nettare. “La lingua è probabilmente il componente più importante per cibarsi di nettare”, afferma David Cuban dell’università di Washington, a Seattle, che lavora con l’ecofisico comportamentale Alejandro Rico-Guevara. Il nettare è molto nutriente e facile da trovare. Ma ogni fiore ne contiene solo una goccia o poco più, spesso nascosta in fondo a un canale lungo e stretto. Molti colibrì che si nutrono di nettare, i nettarinidi e altre specie di uccelli non imparentati con loro superano questo problema grazie a dimensioni molto ridotte (di solito pesano meno di 20 grammi), becchi lunghi e sottili e lingue altamente specializzate. Prima i ricercatori pensavano che per succhiare il nettare questi uccelli sfruttassero la capillarità, la tendenza di un liquido a scorrere verso l’alto in un tubo stretto. Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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Scienza E alcuni lo fanno, tra cui il mangiamiele pezzato (Certhionyx variegatus), come hanno scoperto Amanda Hewes, una studente di Rico-Guevara, e i suoi collaboratori. In questa specie, la lingua ha una punta simile a un pennello con cui raccoglie il nettare, che viene poi aspirato all’interno lungo scanalature che corrono per tutta la sua lunghezza. Ma per i colibrì la capillarità non è sufficiente, dice Rico-Guevara. Il suo team ha girato alcuni video ad alta velocità mentre gli uccelli si posavano su fiori artificiali trasparenti carichi di nettare artificiale. E hanno scoperto che la lingua del colibrì funziona come una minuscola pompa. Due scanalature che intrappolano il liquido partono dalla punta e arrivano fino a metà della lingua. Quando la punta del becco si chiude, spreme il nettare contenuto nelle frange che si trovano nella parte anteriore della lingua, spingendolo verso l’interno. Ultimamente, l’ecofisico e i suoi collaboratori hanno rivolto la loro attenzione ai pappagalli. Lungo trenta centimetri e pesante cento grammi, il lorichetto arcobaleno è più grande della maggior parte degli uccelli nettarivori e non è capace di librarsi a mezz’aria come un colibrì. Ha il tipico becco corto, robusto e adunco dei pappagalli e una lingua muscolosa simile alla nostra. Ma Rico-Guevara e Cuban hanno individuato adattamenti che consentono a questo animale di cibarsi di nettare. Tanto per cominciare, prende di mira fiori più piatti e aperti. E invece di librarsi, atterra su un ramo vicino e si curva sul fiore. Poi apre il becco e tira fuori la lingua, che per infilarsi nel fiore subisce una trasformazione sorprendente: la punta, dura e ruvida, si apre in una serie circolare di piccole protrusioni. Queste sporgenze funzionano come le setole di un pennello per raccogliere il nettare.

Una mano nella bocca Cuban, Hewes e Rico-Guevara sperano di comprendere come le strategie alimentari di questi uccelli possono aver plasmato la loro evoluzione e quella delle piante di cui si nutrono. Da quando sono comparsi 22 milioni di anni fa, per esempio, i colibrì hanno influito sulla quantità di nettare prodotta dalle loro piante preferite e sulla profondità dei loro fiori, e questo a sua volta ha influito sulla lunghezza del becco dei colibrì e altri tratti evolutivi. È una danza coevolutiva tra uccelli e fiori, mediata dalla loro lingua.

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Ma è nei mammiferi che la lingua mostra la sua massima versatilità. Si è evoluta in un’intricata rete di fibre muscolari in grado di muoversi in modo complesso anche senza ossa, tendini o articolazioni. Nella maggior parte delle specie facilita l’allattamento, in alcune contribuisce alla regolazione della temperatura (pensate a un cane che ansima) e in altre svolge compiti ancora più specializzati, come la produzione dei suoni usati dai pipistrelli per l’ecolocalizzazione e il linguaggio degli esseri umani. Ospita anche le papille gustative che rendono piacevole mangiare. “La lingua dei mammiferi fa grandi cose”, dice Hu. “Non ha mai ricevuto molta attenzione solo perché è meno accessibile delle appendici esterne di un animale”.

Whishaw ha individuato una regione “oromanuale” nel cervello Il compito più essenziale della lingua nei mammiferi è posizionare il cibo perché possa essere masticato e deglutito. A seconda delle specie, questo può significare spostarlo da un lato all’altro della bocca o tenerlo da un solo lato, proteggendo la lingua dai denti che masticano. Quindi, con l’aggiunta della saliva, la lingua modella il cibo trasformandolo in un bolo arrotondato che può attraversare facilmente la gola. Infine lo spinge indietro perché possa essere deglutito, assicurandosi che non sconfini nelle vie aeree. In un certo senso, la lingua è diventata una “mano della bocca”, dice il biologo J.D. Laurence-Chasen. Tutto questo lavoro consente ai mammiferi di digerire il cibo in modo più rapido ed efficiente, e quindi ricavare più nutrimento rispetto alla maggior parte degli altri animali. Questo vantaggio ha determinato altri progressi evolutivi, come un più alto tasso di attività metabolica, gravidanze più lunghe e un cervello più grande. Callum Ross, un biomeccanico e neurobiologo dell’università di Chicago, considera l’origine della masticazione una delle tre transizioni evolutive rese possibili dalla lingua che hanno cambiato il corso della storia, insieme al passaggio dall’acqua alla terraferma e all’origine del linguaggio. Fino a poco tempo fa, i ricercatori non riuscivano a capire precisamente come la lingua agisca sul cibo perché erano osta-

colati dalla presenza di labbra, guance e denti. Ma recentemente il gruppo di Ross ha usato una tecnica chiamata ricostruzione a raggi X della morfologia in movimento (Xromm) che consiste nella registrazione a raggi X dei movimenti di minuscole sfere impiantate chirurgicamente nella lingua per poi ricostruirli in animazioni in 3d. Nei loro esperimenti con opossum e scimmie, le telecamere hanno catturato simultaneamente immagini da diverse angolazioni mentre un animale mangiava o beveva, e l’animazione ha consentito ai ricercatori di vedere come si muove la lingua rispetto alle mascelle e ai denti. Confrontando i movimenti della lingua in diverse specie, gli scienziati sperano di capire come le sue specializzazioni possano aver contribuito all’evoluzione del comportamento e delle preferenze alimentari di ciascun animale. Più recentemente, Laurence-Chasen e Ross hanno collaborato con altri ricercatori per combinare l’analisi Xromm con le registrazioni dell’attività neurale delle scimmie. Sperano che questi studi rivelino come il cervello coordina i complessi movimenti della lingua coinvolti nell’alimentazione, nel bere e forse anche nelle vocalizzazioni. In un esperimento, hanno monitorato con degli elettrodi una regione di corteccia cerebrale delle dimensioni di una monetina situata dietro la tempia, mentre le scimmie mangiavano chicchi d’uva. Questa regione contiene sia i neuroni sensoriali che ricevono input dalla lingua e dalla bocca sia i motoneuroni che inviano segnali per controllare il movimento della lingua. I ricercatori hanno così scoperto che lo schema di attivazione dei motoneuroni prevede con precisione i cambiamenti di forma della lingua.

Alle origini del pensiero I risultati di questa ricerca capovolgono l’ipotesi un tempo prevalente che la masticazione, come il camminare, sia controllata principalmente dal tronco encefalico. Anche la corteccia è molto coinvolta, e garantisce che la lingua “sia capace di deformazioni complesse e asimmetriche” che si adattano immediatamente a orsetti gommosi, bistecche e frappè, spiega Laurence-Chasen. Whishaw si chiede se l’agilità della lingua umana possa aver reso possibile un controllo più preciso delle nostre mani e perfino della nostra mente. La sua curiosi-

TAMBAKO THE JAGUAR (GETTY) EDYPAMUNGKAS (GETTY)

Sopra: una giraffa. Sotto: un esemplare di Trimeresurus insularis in Indonesia

tà è stata stuzzicata da una scoperta inaspettata. Il suo team aveva insegnato a un gruppo di topi a usare le zampe invece della bocca per raccogliere la frutta e aveva notato che mentre allungavano le zampe alcuni di loro tiravano fuori la lingua. Whishaw, il neurobiologo della Duke university Xu An e i loro colleghi hanno

individuato quella che chiamano la regione “oromanuale” della corteccia, un’area precedentemente inesplorata che controlla sia le mani sia la lingua. Whishaw pensa che negli esseri umani esista una regione del cervello simile, che potrebbe spiegare perché tante persone gesticolano mentre parlano, perché i bambini che im-

parano a scrivere spesso storcono la lingua mentre le loro dita formano le lettere e anche perché Mahomes tira fuori la lingua prima di un passaggio. Sospetta che molte persone muovano la lingua quando stanno per usare le mani, ma poiché la bocca rimane chiusa, nessuno lo sa esattamente. Una regione cerebrale comune per le mani e la lingua ha perfettamente senso dal punto di vista evolutivo, dice Whishaw. Nei primi animali terrestri, una lingua agile era essenziale per nutrirsi. In seguito, quando alcune specie hanno cominciato ad afferrare il cibo con gli arti, l’evoluzione potrebbe aver sfruttato gli stessi circuiti cerebrali che guidano la lingua per coordinare i movimenti delle mani. Il neuroscienziato ipotizza quindi che comportamenti ancora più complessi, come il pensiero, potrebbero essere nati dalle capacità cerebrali che inizialmente si erano evolute per coordinare la lingua: “Per quanto folle possa sembrare, penso che la lingua sia il centro del nostro essere”. u bt Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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La marcia delle acque Per dieci anni Felipe Fittipaldi ha fotografato gli effetti della crisi climatica ad Atafona, in Brasile, per invitarci a reagire, scrive Christian Caujolle a sempre le onde erodono le coste: piccole isole scompaiono, villaggi di pescatori sono inghiottiti dalle acque, costruzioni troppo vicine al mare vengono trasferite in posti più sicuri. Con il riscaldamento globale e lo scioglimento dei ghiacci sui continenti e ai poli, l’innalzamento del livello dei mari accelera e cresce l’allarme per le possibili catastrofi. Di solito si pensa sopprattutto alle zone costiere dell’oceano Atlantico o del Pacifico, ma anche il Mediterraneo è in pericolo. Secondo uno studio dell’università di Kiel, in Germania, di qualche anno fa, almeno 49 siti costieri patrimonio dell’Unesco sono a rischio. La più minacciata è la zona di Venezia, ma anche le antiche rovine di Samo in Grecia, il sito archeologico di Tarraco a Tarragona, in Spagna, la città di Tiro, in Libano, oltre a Siracusa, Paestum e la costiera amalfitana in Italia. Lontano dall’Europa, nella piccola città balneare di Atafona, a nord di Rio de Janeiro, nel delta del fiume Paraíba do Sul, il fotografo brasiliano Felipe Fittipaldi documenta, dal 2014, l’evoluzione annuale dell’avanzata delle acque. In quest’area, una sessantina di anni fa il processo di erosione costiera si è aggravato a causa della crisi climatica e dell’attività umana. Il fiume Paraíba do Sul alimenta alcune delle grandi città del Brasile, fornendo acqua potabile a circa 14 milioni di persone. “Il deficit idrico dell’estuario dovuto allo sfruttamento del territorio è il principale responsabile dell’erosione”, spiega il fotografo, poiché lo scarso afflusso di acqua e sedimenti non riesce a garantire l’equilibrio con l’oceano e a contrastare la risalita dell’acqua di mare.

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Una striscia di sabbia Atafona fa ormai parte del 4 per cento delle coste terrestri che arretrano di più di cinque metri all’anno. Sui circa undicimila chilometri di costa del Brasile, Atafona è la città più colpita dall’erosione: ogni anno l’oceano

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avanza in media di 2,7 metri, con dei picchi di oltre otto metri, come accadde tra il 2008 e il 2009. Finora l’acqua ha distrutto più di 500 edifici. Oggi quattordici isolati della città sono completamente sommersi: sono spariti lo storico faro della spiaggia, i bar, le discoteche e i mercati, i quattro piani di un albergo, la stazione di rifornimento per le barche, la scuola, le ville, le due chiese e un’isola in cui vivevano trecento pescatori con le loro famiglie, la Ilha da Convivência, che si trovava a duecento metri dalla riva e di cui rimane solo una striscia di sabbia coperta di rovine. Molti abitanti hanno già lasciato le loro case inghiottite dal mare. Gli scienziati ritengono che dagli anni sessanta l’erosione abbia provocato duemila profughi ambientali. Atafona vive un’inesorabile tragedia ambientale, simile a quella di altre regioni costiere. In Texas, per esempio, da più di trent’anni nella città di Freeport si assiste a un’erosione costiera media di tredici metri all’anno. Nel 2050, più di duecento

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500 km

Oceano Atlantico

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Brasília

BOLIVIA Atafona

PARAGUAY

São Paulo

Rio de Janeiro

ARGENTINA URUGUAY

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milioni di persone rischiano di dover fare i conti con l’aumento del livello dei mari e le frequenti inondazioni, e questo anche se l’umanità dovesse riuscire a controllare le emissioni di gas serra. Secondo uno studio del 2019 pubblicato sulla rivista Nature Communications dalla Climate central, un’organizzazione non profit che si occupa di clima, se l’aumento delle emissioni dovesse continuare a provocare lo scioglimento così rapido dei ghiacci, il numero di persone coinvolte potrebbe salire a 480 milioni entro il 2100. Un grido d’allarme Felipe Fittipaldi è nato nel 1982 a Rio de Janeiro e vive a Vancouver, in Canada. Dopo aver studiato giornalismo e comunicazione, oggi collabora con mezzi d’informazione in tutto il mondo e con alcune istituzioni internazionali. Dal 2014 al 2023 ha realizzato il progetto intitolato Eustasy (eustatismo), un termine che indica le variazioni su scala globale del livello medio dei mari, misurate partendo da un punto fisso, di solito il centro della Terra. Dal progetto è nato il libro La marche de l’océan (La marcia dell’oceano). Nelle sue immagini scattate ad Atafona, Fittipaldi fa convivere paesaggi e ritratti con immagini più misteriose, dimostrando di essere un abile colorista, che conosce i classici della pittura. Dal suo lavoro con la luce e la materia emerge una preferenza per i toni sordi, al limite dell’espressionismo, ma sempre padroneggiati con sufficiente moderazione da evitare facili effetti. Grazie alla coerenza cromatica, il lato documentario del suo lavoro si trasforma in un mondo quasi onirico. Le foto sembrano lanciare un grido di allarme, un appello alla mobilitazione: “Il mio obiettivo è parlare di questioni importanti come la crisi climatica, i profughi ambientali, lo sfruttamento e la conservazione delle risorse naturali, per contribuire alla comprensione del mondo in cui viviamo e mettere l’accento sulla relazione complessa tra gli esseri umani e la natura, e le sue conseguenze”. u adr

Da sapere Il libro u Il libro La marche de l’océan (La marcia dell’oceano) è stato pubblicato da Éditions d’une rive à l’autre, una casa editrice creata nel 2019 con l’obiettivo di far dialogare fotografia e scienze sociali. Le immagini di Felipe Fittipaldi sono accompagnate dai testi della geomorfologa Marie-Hélène Ruz.

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Ritratti

Tang Mingfang A caro prezzo Yuan Yang, Financial Times, Regno Unito Lavorava nello stabilimento della Foxconn a Hengyang, in Cina. Ogni giorno assisteva a violazioni dei diritti dei lavoratori, e a un certo punto ha deciso di denunciarle. Per questo è finito in carcere ll’inizio di ogni estate l’autobus cominciava a riempirsi di adolescenti. Tang Mingfang, capouf­ ficio quarantenne, osser­ vava la navetta che colle­ gava i dormitori dei dipendenti allo stabi­ limento del gigante taiwanese della Foxconn a Hengyang, specializzato nelle forniture per Amazon e situato nel sud della Cina. Quei ragazzi avrebbero avuto il compi­ to di assemblare i Kindle e le casse blue­ tooth Echo in vista del Natale. All’apice del ciclo produttivo erano talmente tanti che non bastava un solo viaggio a riportar­ li. Inviati dai loro istituti professionali, gli studenti arrivavano a centinaia nell’ambi­ to di un accordo con la Foxconn. L’azienda è il primo datore di lavoro privato della Cina, con più di settecentomila dipenden­ ti, ed è il produttore esclusivo nel paese per la Apple e Amazon. Nei periodi di maggiore attività per le fabbriche cinesi, è facile vedere studenti dai 16 anni in su as­ sunti per soddisfare l’aumento della do­ manda. Una volta raggiunta la fabbrica di Hengyang, il loro compito era montare dispositivi elettronici, a volte lavorando dieci ore al giorno. Non avevano scelta. Se si fossero rifiutati, gli insegnanti avrebbe­ ro potuto bocciarli. Tang sapeva che im­ porre ai ragazzi turni notturni e straordi­ nari era illegale, oltre che ingiusto. Sotto­

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posti al lavoro della catena di montaggio, gli studenti ripetevano all’infinito movi­ menti meccanici e frenetici. Tang non sopportava l’ostilità con cui li trattavano gli insegnanti. Tang è basso, serio e ha un’espressione allegra. Si definisce “una persona beneducata”. All’inizio non ha parlato con nessuno di quello che stava succedendo, ma un giorno ha scoperto da alcuni colle­ ghi che un insegnante aveva picchiato uno studente lasciandolo in lacrime all’inter­ no dello stabilimento. I responsabili delle catene produttive non punivano i ragazzi direttamente, ma si lamentavano con gli insegnanti. Nel ca­ so specifico, l’insegnante aveva urlato al ragazzo e l’aveva trascinato per un orec­ chio. Tang in quel momento ha pensato a suo figlio, che stava per cominciare le ele­ mentari. E se i suoi insegnanti l’avessero trattato nello stesso modo? Non avrebbe mai potuto accettarlo. Così nella primave­ ra del 2019 ha deciso di fare qualcosa. Tang è nato nel febbraio 1979 in un’a­ rea rurale distante mezza giornata di viag­ gio dalla fabbrica di Hengyang. La sua giovinezza, trascorsa nella provincia dello Hunan, ha coinciso con la crescita dovuta alle riforme economiche introdotte dopo la morte di Mao Zedong. All’epoca gli in­

Biografia ◆ 1979 Nasce in una zona rurale in Cina. ◆ 2006 Va a vivere a Shenzhen per lavorare in uno stabilimento della Foxconn. ◆ 2016 Si trasferisce nello stabilimento di Hengyang per stare più vicino alla famiglia. ◆ 2019 Denuncia le violazioni dei diritti dei lavoratori nella fabbrica con un’email alla ong China labor watch. Pochi mesi dopo lo arrestano. ◆ 2020 Riceve una condanna a due anni di carcere per violazione del segreto aziendale. ◆ 2021 Esce dal carcere.

vestitori stranieri come la Foxconn co­ minciavano a costruire fabbriche in Cina. In quanto studente di buon livello, gli in­ segnanti lo incoraggiarono a studiare meccanica, un settore in espansione du­ rante la modernizzazione dell’agricoltura cinese. Seguì i loro consigli diventando il primo della sua famiglia a frequentare l’u­ niversità. Finiti gli studi, gli avevano offerto un lavoro in un’officina locale, ma la paga era troppo bassa. Così si trasferì a Shang­ hai, a più di ottocento chilometri di di­ stanza da casa, dove trovò lavoro in un’of­ ficina per auto.

Fuori posto La carriera di Tang l’ha portato in diverse città, ma nel corso degli anni si è sempre sentito fuori posto. La sua adolescenza nelle campagne non l’aveva preparato alla vita spietata dei grandi centri urbani. In una fabbrica automobilistica della città meridionale di Shenzhen, una banda cri­ minale locale gli aveva offerto una maz­ zetta equivalente a un mese di stipendio in cambio del suo silenzio sui furti del me­ tallo. Aveva paura di fare una brutta fine, ma non sapeva come rifiutare la tangente. Alla fine confessò tutto al suo superiore, che gli disse di non preoccuparsi. Ma Tang, a quel punto, non voleva più restare nella fabbrica. Così trovò un nuovo lavoro presso la Foxconn, la cui sede principale in Cina si trova a Shenzhen. Era il 2006, l’anno precedente al lancio del primo iPhone. Con il suo diploma pro­ fessionale, Tang poteva chiedere di lavo­ rare in ufficio anziché nelle catene di mon­ taggio. Nella sede della Foxconn ha incon­ trato la sua futura moglie, anche lei arriva­ ta dalla provincia dello Hunan. Dopo la nascita del loro primo figlio, la donna ha lasciato la fabbrica per tornare nella sua città natale e occuparsi del bambino. Tang

ZHOU PINGLANG

Tang Mingfang, 27 ottobre 2023

li vedeva una o due volte all’anno, un fatto non insolito per un lavoratore migrante cinese. Ma voleva stare vicino alla famiglia, così nel 2016 ha ottenuto il trasferimento nello stabilimento di Hengyang, dedicato alla produzione per Amazon. Il suo ufficio si affacciava su un’area recintata riservata al personale. Era felice di poter vedere i familiari più spesso e andare a trovarli ogni mese. Come molte madri cinesi, la moglie di Tang viveva con i genitori, che la aiutavano a crescere il bambino. Il suo stipendio e quello della moglie, impiegata in una fabbrica locale, bastavano a far quadrare i conti, ma niente di più. In ogni caso il lavoro come supervisore dell’inventario non era faticoso. Ogni settimana ordinava il numero esatto di componenti necessari per la produzione, lo stretto necessario. Gli sembrava una cosa sensata, perché permetteva di ridurre i costi al minimo. A un certo punto, però, ha cominciato a rendersi conto che anche con la forza lavoro veniva adottato lo stesso metodo. A quell’epoca gli stipendi cinesi erano in crescita e le fabbriche cercavano nuovi modi per risparmiare. Le aziende aveva-

no capito che avrebbero potuto farlo assumendo lavoratori precari con bassi salari per i picchi dell’estate e dell’autunno, liberandosene quando la produzione calava dopo Natale, evitando così di pagare l’assicurazione medica e le pensioni. Quel sistema aveva creato una popolazione di migranti precari che si spostavano da una fabbrica all’altra, a volte restandoci solo pochi giorni. Le leggi cinesi sul lavoro fissano un tetto alla percentuale di lavoratori stagionali sul totale della forza lavoro, stabilendo che più del 90 per cento dei dipendenti dev’essere impiegato a lungo termine. Ma le ispezioni sono rare e le azioni disciplinari ancora di più, soprattutto se si tratta di aziende che pagano tasse cospicue alle amministrazioni locali. Tang e i suoi colleghi discutevano spesso dell’aumento di lavoratori temporanei, che svolgevano le stesse mansioni di quelli a contratto ma a condizioni peggiori. In alta stagione il numero di dipendenti nello stabilimento della Foxconn di Hengyang arrivava fino a diecimila, ma in bassa stagione, quando restavano solo i lavoratori a lungo termine, il numero

scendeva a duemila. Nel frattempo aumentavano gli studenti “stagisti”, incaricati di tappare i buchi nel ciclo produttivo estivo. Tang e i colleghi ritenevano che questa pratica fosse dovuta al successo dello stabilimento nell’ottenere più ordini da Amazon e alla pressione per accelerare la produzione. Ma a volte avevano l’impressione che tutti i lavoratori della catena di montaggio fossero precari. Nelle pause dal lavoro, Tang leggeva. Soprattutto notizie di politica e di economia, tanto che i suoi colleghi lo chiamavano Tang Baidu, come il motore di ricerca cinese. Un giorno, scorrendo i social network, ha scoperto che qualcuno stava indagando sulle assunzioni nella fabbrica della Foxconn. Nel giugno 2018 l’ong China labor watch , con sede a New York e specializzata nelle indagini sotto copertura nelle fabbriche cinesi, aveva pubblicato un articolo sullo stabilimento della Foxconn di Hengyang in collaborazione con il periodico britannico The Observer. L’articolo ipotizzava che i precari rappresentassero più del 40 per cento della forza lavoro nello stabilimento, cioè il quadruplo del Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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Ritratti limite consentito. All’epoca Amazon aveva dichiarato di aver “immediatamente richiesto un’azione correttiva” e aveva promesso di risolvere il problema. Sulla scia di quelle rivelazioni, il superiore di Tang aveva previsto che ci sarebbero stati cambiamenti nel sistema delle assunzioni. Tang gli aveva creduto, ma all’arrivo dell’estate gli studenti e i precari si erano presentati puntuali.

Basta silenzi A quel punto aveva capito che quelle dei dirigenti erano solo vuote promesse. Era convinto che i vertici della fabbrica stessero violando la legge. Deciso a verificare i suoi sospetti, ha consultato la rete informatica interna. Tang è rimasto colpito perché i dati confermavano le enormi alterazioni nella composizione della forza lavoro. Poi c’è stato l’incidente dell’insegnante e del ragazzo in lacrime, e ha capito di non poter più stare in silenzio. Quando è tornato in fabbrica dopo le vacanze per il capodanno cinese, all’inizio del 2019, ha scritto un’email a China labor watch rivelando che lo stabilimento della Foxconn a Hengyang stava continuando a violare le leggi sulle assunzioni. A quel punto si è chiesto cosa sarebbe successo. Sapeva che gli informatori come Edward Snowden erano stati molto elogiati dai mezzi d’informazione cinesi per aver rivelato le attività di sorveglianza del governo statunitense. A maggio il fondatore di China labor watch ha risposto a Tang, comunicandogli che stava pensando d’inviare degli investigatori in incognito nella fabbrica, ma aggiungendo che aveva bisogno di prove concrete. Per Tang è stato facile procurarle. Pensava che nel peggiore dei casi sarebbe stato licenziato, ma era pronto ad accettarlo. D’altronde la sua carriera procedeva lentamente e il suo stipendio era di appena cinquemila yuan (circa 640 euro). Con la sua esperienza, avrebbe trovato qualcosa di meglio. Nell’agosto 2019 China labor watch e il Guardian hanno pubblicato nuove rivelazioni. Ancora una volta, Amazon ha annunciato che avrebbe “discusso la situazione con la Foxconn ai livelli più alti” e ha inviato alcuni ispettori. La Foxconn ha licenziato il direttore dello stabilimento e il responsabile delle risorse umane, ma al tempo stesso ha avviato un’indagine interna per scoprire chi fosse l’informatore. Una settimana dopo la pubblicazione dell’articolo, un agente della polizia locale

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si è presentato a casa di Tang accompagnato da due dirigenti della Foxconn. Tang è stato arrestato e portato in caserma, dov’è stato sottoposto per ore ad abusi fisici e verbali, fino a quando ha accettato di firmare una confessione. Per i dieci mesi successivi ha ricevuto l’ordine di presentarsi regolarmente in ufficio, ma ogni giorno lo scortavano in una sala riunioni dove i responsabili della sicurezza potevano sorvegliarlo. Lì restava a guardare mentre la vita dell’ufficio si svolgeva come se niente fosse. In un’occasione ha visto una persona dello staff di Ama-

In carcere aveva diritto solo a una telefonata con la moglie ogni mese zon frugare nei cassetti del suo vecchio ufficio. Ancora oggi non sa dire perché. Alla fine è stato ricondotto alla stazione di polizia e accusato di aver rubato documenti commerciali segreti. Per nove mesi, rinchiuso in un centro di detenzione, ha atteso l’avvio del processo. In base alla legge cinese sulla concorrenza, l’azienda avrebbe dovuto fornire prove dei danni arrecati dal comportamento di Tang. La Foxconn ha dichiarato che ad agosto, a causa delle rivelazioni del suo dipendente e della conseguente necessità di aumentare gli stipendi, aveva perso 1,4 milioni di yuan (180mila euro). In tribunale l’avvocato di Tang ha sostenuto che le perdite della Foxconn fossero state causate dal comportamento illecito dell’azienda e che dunque il caso avrebbe dovuto beneficiare dell’esenzione per gli informatori prevista dalla legge. Inoltre l’avvocato ha dichiarato che i documenti consultati dal suo cliente erano accessibili e tutt’altro che segreti. Ma secondo Tang i giudici non se la sono sentita di riconoscere le attività illegali della fabbrica. Il 1 luglio 2020 Tang è stato condannato a due anni di carcere per aver violato il segreto aziendale. Nel 2021, pochi mesi dopo la sua scarcerazione, in una zona industriale situata nei pressi di Shenzhen dov’era andato per cercare lavoro, Tang mi ha detto: “Nella vita ci sono svolte decisive in cui, se fai il passo giusto, sei al sicuro. Io sono sempre inciampato”. Nei due anni passati dietro le sbarre, prima in detenzione in attesa del processo

e poi in carcere, Tang ha dovuto lavorare duramente. Insieme ad altri detenuti ha piegato origami di carta dorata e argentata venduti nei templi del monte Heng, una famosa località turistica della provincia di Hunan, e ha confezionato fiori di plastica destinati alla vendita. I detenuti ricevevano tre pasti al giorno, “ma anche i cani si sarebbero rifiutati di mangiarlo”, ricorda. In carcere ha incontrato uomini che avevano fatto più esperienze di lui. Alcuni erano molto giovani, ma Tang sentiva di avere qualcosa da imparare da tutti. I loro racconti avrebbero potuto riempire un libro. C’era un dirigente ricco che aveva litigato con un capo della polizia locale, scatenando una faida che era finita sulle prime pagine dei giornali nazionali. C’era un giovane che era stato coinvolto in uno scandalo di prestiti online con la sua ragazza. C’erano alcuni uomini che entravano e uscivano di prigione fin da quando avevano lasciato la scuola. Uno di loro aveva guadagnato somme da capogiro contrabbandando merce dalla Birmania. In molte delle storie che ascoltava ritrovava errori giudiziari e coincidenze ricorrenti che avevano rovinato la vita delle persone.

Il valore dell’onestà In quel periodo Tang ha cominciato a riflettere sulla sua ingenuità e su come avesse sopravvalutato il valore dell’onestà, sia quando aveva affrontato le bande nella fabbrica di autoricambi sia quando aveva deciso di denunciare gli illeciti nello stabilimento della Foxconn. Davanti alle prove prodotte da Tang, la Foxconn aveva riconosciuto l’esistenza di un problema e aveva promesso di risolverlo. Ma nel 2022 Tang ha saputo da Li – il fondatore di China labor watch, che aveva continuato a inviare investigatori in incognito a Hengyang – che la struttura ricorreva ancora al lavoro degli studenti oltre i limiti consentiti. In carcere Tang ha scoperto che suo padre era morto a causa di un ictus, e non ha potuto partecipare al funerale. Da quel momento è stato impossibile nascondere il suo arresto alla famiglia allargata, agli amici d’infanzia e ai vicini. Non sapeva cosa si dicesse in giro di lui, perché in carcere aveva diritto solo a una telefonata di cinque minuti con la moglie ogni mese. Ma era sicuro che ormai si fosse sparsa la voce. Tra l’altro in prigione non poteva guadagnare e quindi mantenere la famiglia. Sapeva che la moglie soffriva a causa

PENG BIN (XINHUA NEWS AGENCY/EYEVINE/CONTRASTO)

I dormitori della Foxconn a Hengyang, in Cina, 2019

sua e temeva che perdesse la pazienza. Un giorno lei gli ha detto che da quando era finito in galera era diventato una persona diversa. Anche altri parenti avevano subìto le conseguenze del suo arresto. I nipoti avevano paura di essere penalizzati nella carriera nel servizio pubblico perché avevano uno zio con precedenti penali. Poco dopo la sua scarcerazione, la sorella di Tang (a cui lui era molto legato) è morta al termine di una lunga malattia. Tang si è sentito in colpa per non esserle stato accanto.

Comportamento punitivo Era sempre più convinto che avrebbe dovuto dimostrare a se stesso e alla famiglia di aver preso la decisione giusta. Voleva che Amazon e la Foxconn si scusassero con lui e che il suo verdetto di colpevolezza fosse ribaltato, in modo da poter trovare un nuovo lavoro e “lavare via l’onta” dalla sua famiglia. Inoltre voleva assicurarsi che lo stabilimento della Foxconn a Hengyang smettesse di usare il lavoro forzato degli studenti. Mentre era in prigione, un avvocato di nome Liu Siyao aveva pubblicato un articolo in cui sosteneva che l’informatore non avrebbe dovuto essere incriminato. Liu aveva ribadito che le perdite della Foxconn erano la conseguenza delle violazioni commesse dall’azienda e che il comportamento “punitivo” del gigante taiwanese era palese. “Anche se l’azienda coinvolta è molto famosa, siamo convinti che un tribunale dovrebbe mantenere la

propria imparzialità. È triste che il giudice non abbia preso in considerazione la tesi dell’accusato, emettendo una sentenza difficile da accettare”. Quando Tang è stato scarcerato, per prima cosa è tornato a casa, dove ha bruciato bastoncini di carta sulla tomba del padre, in lacrime. “Non ho fatto nulla di male”, ha detto davanti alla lapide. “Non preoccuparti per me”. Poi ha cominciato a preparare il suo ricorso, ma non ha trovato nessun avvocato disposto a difenderlo. Molti non avevano nemmeno il coraggio di scrivergli su WeChat, ma gli hanno inviato messaggi vocali, convinti che fossero più difficili da intercettare, per fargli presente che il suo caso era troppo difficile. Un giornalista gli ha spiegato che era rischioso mettere in discussione il verdetto di un tribunale. Tang comprendeva la loro titubanza e non voleva mettere in pericolo nessuno. Nel sistema penale cinese, dove il tasso di condanne è del 99 per cento, un avvocato deve avere coraggio per sfidare un giudice. In Cina la separazione dei poteri è inesistente: i procuratori, la polizia e i tribunali rispondono al Partito comunista. Tang sospettava che nessun avvocato cinese avrebbe accettato il caso per via dell’influenza politica della Foxconn. “Può essere difficile ribaltare il giudizio dei tribunali locali, perché significa sottolinearne gli errori e addirittura accusarli di abuso di potere”, spiega Jeremy Daum, del Paul Tsai China center, un centro studi presso la facoltà di legge di Yale.

Determinato a non arrendersi, Tang ha accettato il consiglio di Li e ha scritto una lettera aperta al presidente di Amazon Jeff Bezos, pubblicata online da China labor watch nel gennaio 2022. Nella lettera Tang ha raccontato la sua storia e ha detto di aver subìto un’ingiustizia. La lettera di Tang non ha ricevuto risposta. Amazon ha dichiarato di “rispettare le leggi e le normative in tutte le giurisdizioni” in cui opera e di pretendere “che i fornitori seguano le regole aziendali”. Le leggi statunitensi rendono difficile dimostrare che una multinazionale è responsabile per gli abusi commessi all’estero. Nel 2022 Tang si è rivolto a un consorzio di consulenti legali che si occupano di diritti umani. Gli avvocati di Tang stanno valutando la possibilità di presentare denuncia negli Stati Uniti ma anche in Francia e in Germania, dove la legge obbliga le aziende a impedire le violazioni dei diritti umani nella loro catena di approvvigionamento, non solo a reagire dopo i fatti.

In cerca di giustizia Qualche mese fa Amazon ha presentato una nuova linea di casse Echo, prodotte nello stabilimento della Foxconn di Hengyang. Nel 2022 l’azienda ha registrato un aumento del 35 per cento nell’uso della tecnologia Alexa contenuta nelle casse. Secondo le stime di Amazon le vendite per l’ultimo trimestre dell’anno hanno raggiunto i 160 miliardi di dollari. Oggi Tang è preoccupato e non sa se riuscirà a ottenere giustizia. “Vivo costantemente nell’incertezza”, spiega. A volte gli amici gli chiedono di partecipare alle loro iniziative, ma Tang sente di avere ancora un conto in sospeso. Tiene aperta la corrispondenza con i suoi avvocati ed è tornato a seguire l’attualità, soprattutto le notizie che riguardano la Foxconn e Amazon. Passa il tempo a lavorare o a cercare lavoro. Dopo la scarcerazione, ha dormito sul pavimento della casa di un vecchio amico. Ogni assunzione in una fabbrica prevede una serie di controlli, e con i suoi precedenti penali non riesce a trovare un incarico come quello precedente. Così è diventato precario anche lui. Dato che le grandi fabbriche impongono controlli più approfonditi sul passato dei candidati, Tang è costretto a lavorare in piccoli stabilimenti. Fa la spola tra la costa meridionale e quella orientale. Spesso si chiede se, tornando indietro, rifarebbe le stesse scelte. u as Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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Viaggi

Bucarest nei ricordi Una passeggiata nei luoghi più significativi della capitale romena. Un’esplorazione fatta soprattutto di sensazioni, immagini e nuove scoperte a psicogeografia invita a riconsiderare il proprio rapporto con la città in cui si vive. Si basa su un principio preciso: andare alla deriva. E andare alla deriva implica esplorare a piedi uno spazio (fisico o mentale).Vuol dire lasciarsi portare dalla corrente, prendere decisioni senza pensarci, fare connessioni libere e, forse l’aspetto più importante, stupirsi di fronte a ciò che si trova durante il percorso. In base alla mia esperienza, ho capito che questo tipo di esercizio è più fruttuoso se si fa in luoghi che si conoscono bene, perché permette di osservarli con occhi nuovi. Nelle righe che seguono vi propongo un esercizio di esplorazione. Il punto di partenza (e di arrivo) sarà piazza Unirii (piazza dell’Unione, nel centro di Bucarest). Ma prima un chiarimento: di solito non lavoro con le immagini, cioè con rappresentazioni che coinvolgono percezione, memoria, cultura e storia. Un’immagine non è mai isolata, è sempre parte di un significato più ampio e per comprenderla bisogna ricorrere a un’ampia gamma di leve interpretative. Sarà così anche per questa esplorazione. Mentre cammino, cerco di capire cosa si nasconde dietro

L

UNGHERIA

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Bucarest

SERBIA 100 km

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Mar Nero

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il tessuto urbano. E per questo ho la tendenza a perdermi in dettagli e a infilarmi in situazioni assurde. In fondo andare alla deriva non è essenzialmente questo? Ma cominciamo dall’inizio. Io sono di Costanza, sul mar Nero, e sono arrivato a Bucarest per la prima volta nel 2001. Avevo nove anni e di quel viaggio porto con me solo una manciata d’immagini confuse. Ricordo che la città mi sconvolse, una reazione abbastanza normale. Ho provato la stessa sensazione anche anni dopo, quando mi sono iscritto all’università e mi sono trasferito in città. Prima di allora per me Bucarest esisteva solo come luogo immaginario, fatto di frammenti diversi. Ne avevo sentito parlare nei notiziari, nelle pubblicità, dai parenti, nei libri, dagli amici, su internet. Bucarest era per me, come per tanti altri, prima di tutto uno spazio mentale. È per questo che anche oggi, dopo averci vissuto per anni, la vedo ancora sotto questa luce. Quando vado a passeggiare riemergono immagini e ricordi, e sperimento il trauma d’imbattermi in luoghi che credevo di conoscere ma che in realtà non avevo mai visto. Tutte queste cose si confondono nella mia testa. A volte sembrano avere senso, altre creano solo un caos, che cerco in qualche modo di organizzare.

La pubblicità Cominciamo dal centro dell’incrocio di piazza Unirii. Per me questo è il punto centrale della città. Per altri invece può essere piazza Universității (piazza dell’Università) o il monumento Kilometrul zero (Chilometro zero), davanti alla chiesa di san Giorgio, da dove si misurano le distanze con le altre località del paese. Piazza Unirii è attraversata da un flusso incessante di persone: la maggior parte si sposta dalla stazione del tram di viale Rahovei verso gli ingressi della metropolitana, altre vanno verso il centro storico o nella direzione opposta. Il parco

PETER ADAMS (GETTY)

Cristian Dragan, Scena9, Romania

nel centro della piazza è spesso usato come scorciatoia. Intorno sorgono i palazzi costruiti alla fine degli anni ottanta per i dirigenti più importanti della nomenclatura del Partito comunista. Palazzi con facciate e tetti ricoperti da enormi cartelloni pubblicitari. Al piano strada si trovano filiali di banche, farmacie, forni che vendono covrigi (le tipiche ciambelle salate romene), supermercati e uffici di cambio. Ma le attività più interessanti sono senza dubbio i negozi di vestiti, abiti da sposa, scarpe e accessori di pelle che sembrano essere lì dalla notte dei tempi. Non ho mai visto nessuno entrarci. Non capisco come facciano a resistere.

Piazza Unirii, Bucarest, Romania

La grande fontana al centro della piazza mi fa sempre pensare alla Buckingham fountain di Chigaco, inaugurata nel 1927, immortalata nei titoli di testa della sitcom Sposati… con figli. Una connessione che mi mette quasi a disagio. Ogni volta che vedo la fontana è come se mi preparassi a qualcosa d’inappropriato. È una specie di reazione pavloviana: mi sento come se stesse cominciando il telefilm (che da bambino non potevo vedere perché c’erano battute “sporche”) e io mi trovassi di fronte a qualcosa di proibito, d’inadeguato. Lo stesso succede con Bucarest nella sua interezza. Come ogni città grande e caotica è una specie di frullatore, cosa che qui si avverte con par-

ticolare chiarezza. In lontananza, su uno degli isolati verso sud, si vede la pubblicità della Pepsi: una grande lattina rotante in cima a un palazzo. Credo sia stata la prima cosa che ho visto quando sono arrivato in città. In qualche modo può essere considerata un monumento a un particolare momento storico. Negli anni sessanta la Pepsi fu la prima bibita statunitense a essere distribuita nei paesi dell’Europa dell’est. Mio nonno lavorò a lungo alla fabbrica Munca nella cittadina di Ovidiu, dove arrivava un concentrato di cola a cui andava aggiunta solo dell’acqua frizzante. La pubblicità con la grande lattina rotante simboleggia la continuità tra la Romania prima e dopo il

1989, e conferma lo status del paese come mercato per i beni occidentali. Altrettanto importante è l’attraversamento pedonale tra i viali Brătianu e Coposu, che potrebbe a sua volta essere considerato un luogo di importanza storica, perché qui è stato girato il video del cosiddetto cittadino francese, molto famoso in Romania, che ha segnato la nascita e l’inizio della diffusione di una cultura digitale autoctona. Un classico dell’umorismo involontario. A un anziano romeno viene chiesto perché la piazza in cui si trova – appunto piazza Unirii – porti questo nome, e lui comincia a rispondere in un francese improvvisato, balbettando frasi strane, ma anche affascinanti per la loro Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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Viaggi ambiguità culturale. Da una parte sembra che l’anziano voglia stupire gli ascoltatori con l’uso del francese, la lingua feticcio per molti intellettuali romeni, dall’altra il suo gesto si trasforma subito in un’azione pagliaccesca. Il video del “cittadino francese” è ancora amato dai romeni. Dalla sua prima apparizione online, nel 2007, è stato parodiato, commentato e remixato centinaia di volte: Tik-Tok è piena di clip sul tema. Accanto a quest’incrocio è stato collocato di recente uno strano monumento: una testa in pietra del re Decebalo. Forse è il tentativo di riparare simbolicamente a un’ingiustizia. Come abbiamo imparato dai libri di storia, la testa e le mani del re dei daci, morto dopo una sconfitta, furono mandate come omaggio a Traiano a Roma nel 106 dC. Ma allora non sarebbe il caso di fare un monumento anche alle sue mani? Comunque, dipendesse da me, trasformerei la testa di Decebalo in un omaggio alla singolare e spesso morbosa fascinazione dei romeni verso il glorioso popolo daco (di cui si considerano i discendenti): un fenomeno nato alla metà dell’ottocento, coltivato negli anni del regime comunista e tornato prepotentemente alla ribalta negli anni novanta. Questa “dacopatia” fa parte della cultura di massa dei romeni e si manifesta spesso sui social network.

Misteri tellurici Continuando a passeggiare ci si accorge, grazie a una croce datata 1999, che la cattedrale della Salvezza del popolo avrebbe dovuto essere costruita proprio in mezzo al parco. Alla fine piazza Unirii è rimasta senza la sua chiesa perché uno studio di fattibilità ha dimostrato che un edificio costruito lì sarebbe sicuramente sprofondato. La piazza non può ospitare le fondamenta di una struttura di grandi dimensioni a causa dei tanti tunnel sotterranei: due linee della metro, con i relativi passaggi pedonali, il sottopasso Victoria per le auto, il canale sotterraneo in cui scorre il fiume Dâmbovița, oltre ai recenti collegamenti costruiti per permettere il funzionamento delle fontane della piazza. L’attenzione a questi misteri tellurici non è del tutto incomprensibile. Perfino io, che passo da queste parti piuttosto spesso, ho notato delle cose inspiegabili. A volte, quando il livello del Dâmbovița è particolarmente basso, appena prima che il fiume scompaia nei canali sotterranei accanto all’albergo Hanul lui Manuc, il

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Ogni volta che passo per la piazza mi viene in mente l’idea di vuoto, per l’assenza di edifici, per le cavità sotterranee e per i negozi vuoti

neoclassiche, colonne e frontoni sembrano applicati al palazzo quasi a volerlo un po’ ingentilire. Ma nei suoi volumi grandiosi l’edificio rimane una ziggurat (le strutture religiose diffuse in Mesopotamia) gigantesca e misteriosa. È apparso nei film, è stato oggetto di documentari e ha innescato innumerevoli polemiche, soprattutto in merito alla sua utilità. Il fatto che sia la seconda struttura amministrativa più grande del mondo, in sé non dice granché. Solo dopo aver percorso l’intero perimetro s’intuisce la mole. Enorme e immutabile, visto il suo status di bene protetto.

Il pezzo di gesso vecchio caravanserraglio, nel suo letto s’intravedono i contorni di un grande quadrato di cemento. Nei periodi di secca, il monolite grigio esce in superficie. Se si passa di notte e si avvicina l’orecchio al terreno, si può sentire un sinistro mormorio di voci che sembrano ripetere una frase in ostrogoto. Per rimanere in questo spirito, possiamo voltare lo sguardo verso est, dove si vede quello che rimane del vecchio Magazinul Unirea, uno dei principali grandi magazzini di Bucarest che, dopo un periodo di relativa prosperità tra gli anni novanta e i primi duemila, è stato surclassato dai nuovi centri commerciali sul modello di quelli statunitensi. Oggi la struttura è in uno stato di semiabbandono. Dal piano strada sembra quasi tutto in ordine, ma appena si sale si entra in uno spazio liminale. Riflettendo su come le rovine medievali nell’ottocento alimentarono la nostalgia dei poeti romantici, un commentatore culturale si è chiesto su YouTube che tipo di creazioni ispireranno i resti di questi vecchi negozi. Chi avrebbe mai pensato che il Magazinul Unirea potesse diventare oggetto di simili disquisizioni? Personalmente credo che queste strutture non sopravvivranno abbastanza a lungo per essere d’ispirazione nei secoli futuri. Di fronte all’Unirea, tuttavia, c’è un edificio che sembra costruito per durare nel tempo. Il palazzo del parlamento, o Casa del popolo, attira gli sguardi di chiunque passi lì. Anche se non fa parte di piazza Unirii, ne domina comunque la visuale. Solo percorrendo la breve distanza che lo separa da piazza Constituției (piazza della Costituzione) ci si rende conto dell’immensità dell’edificio. Decorazioni

Forse è questo l’aspetto che voleva sottolineare l’artista Mircea Nicolae, quando, nel 2008, ha staccato uno degli ornamenti di gesso dal muro di cinta del lato meridionale e l’ha spedito per posta in Kirghizistan, a una mostra intitolata Utopia of space (Utopia dello spazio). Il fatto che, finita la mostra il museo nazionale di arte del Kirghizistan, che ha sede a Bishkek, gliel’abbia rispedito mi sembra stupefacente. Anche se ho visto più volte il video in cui l’artista illustra la performance, non sono mai riuscito a ritrovare l’ornamento che aveva viaggiato per più di ottomila chilometri. Probabilmente, dopo essere stato rimesso al suo posto, è stato staccato di nuovo da qualcuno (e forse oggi blocca una porta in qualche appartamento in città) oppure è semplicemente caduto e qualcuno che passava l’ha buttato via. Ci penso ogni volta che osservo il perimetro del palazzo, camminando o semplicemente guardandolo. E la cosa strana è che pur sapendo che quel pezzo di gesso non c’è più, continuo comunque a cercarlo. Ogni volta che passo per piazza Unirii penso al concetto di vuoto, che qui è espresso in diversi modi: l’assenza di edifici, le cavità sotterranee, i negozi vuoti o gli ingressi vuoti dei palazzi, la mancanza dell’ornamento di gesso sul muro di cinta, le lacune storiche o anche la mia incapacità di capire (simile a quella che si prova davanti al video del cittadino francese). Ma in qualche modo, e a dispetto della mia tripofobia (la paura dei buchi), piazza Unirii rimane l’unico luogo dove tutte queste assenze, considerate insieme, acquistano un senso, in modo forse inspiegabile. O almeno così pare a me. ◆ mt Cristian Dragan è un regista e documentarista romeno.

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Cultura

Teatro

WAN ROOF THEATER

Una rappresentazione di Poda Poda, Freetown, 2023

Ricominciare dal palco Carlijn van Esch, de Volkskrant, Paesi Bassi Nel desolato panorama culturale della Sierra Leone, il teatro può essere un mezzo ideale per ripartire uff puff, puff puff ”, sbuffa il motore del minibus stracolmo. Il lungo viaggio dalla cit­ tadina di Makeni fino a Freetown, capitale della Sierra Leone, è appena cominciato e già il giovane pasto­ re si alza in piedi per attaccare con una predica, agitando la bibbia. Quando rie­ sce a spillare ai passeggeri un contributo “per il prete”, per poi ficcarselo in tasca con aria soddisfatta, nella sala scoppiano le risate. Per il pubblico non è un afoso sabato sera qualunque. Invece di farsi un giro al­

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la sala da tè, guardare una partita di cal­ cio al bar o ballare al ritmo dell’ultimo successo afrobeat, questi giovani di Ma­ keni assistono per la prima volta nella lo­ ro vita a una rappresentazione teatrale. Quando il regista Bilal Jalloh chiede al pubblico chi ha mai visto un “drama”, si sollevano poche mani esitanti.

Piattaforma sociale Negli anni ottanta la scena teatrale della Sierra Leone era vivace, poi è crollata del tutto, come molte altre forme d’arte. La repressione politica e una profonda crisi economica hanno posto le basi per una devastante guerra civile, che tra il 1991 e il 2002 è costata la vita a 50mila persone e ha spinto alla fuga metà della popola­ zione. Quasi tutti i teatri e i circoli cultu­ rali sono stati dati alle fiamme, e non so­ no mai stati ricostruiti.

Il gruppo Wan Roof vuole dare nuova vita al teatro della Sierra Leone e offrire ai giovani uno spazio dove parlare dei pro­ blemi sociali. Poda Poda è solo il loro se­ condo lavoro, ma dopo una decina di rap­ presentazioni nella capitale il gruppo si esibisce in giro per il paese. Tutti sono benvenuti, l’invito recita: “Pay as you can”, paga quello che puoi. Nella sala da ballo del Wusum hotel, dove la piscina circondata da palme e il night club chiuso ricordano tempi miglio­ ri, ci sono soprattutto adolescenti in uni­ forme scolastica e ventenni in sgargianti abiti da sera. Ishmael Koroma, 32 anni, conosce il teatro per sentito dire: “Una volta venivano nel nostro villaggio delle compagnie itineranti. Dicono che l’intero villaggio andasse a guardare”. “Raccontare storie, fare teatro e musi­ ca erano attività importanti”, spiega il drammaturgo Charlie Haffner, 71 anni, davanti alla scuola di un quartiere povero di Freetown. Ogni anno visita una cin­ quantina di scuole con il suo gruppo Free­ tong Players, fondato nel 1985 per rende­ re più professionale il teatro in Sierra Le­ one. “Il teatro era ovunque si riunisse la gente. Le persone andavano semplice­ mente a sedersi tutte insieme, alcune si esibivano, altre assistevano”. Durante la guerra Haffner è fuggito dal paese e al suo ritorno ha scoperto che il teatro era scomparso. “Le persone sfol­

Charlie Haffner

INSIGHT FILM

WAN ROOF THEATER

Poda Poda

late, scappate, uccise erano tantissime. La gente aveva perso la sua comunità”, racconta mentre dei bambini gli girano intorno per ammirare i suoi dreadlock e i braccialetti di conchiglie. “Abbiamo dovuto ricominciare tutto da zero”. La guerra in Sierra Leone è tristemente nota per l’enorme violenza inflitta alla popolazione civile. Fazioni dell’esercito e gruppi di ribelli hanno saccheggiato e distrutto innumerevoli villaggi commettendo amputazioni, stupri, rapimenti e assassini. Inoltre, sono stati impiegati più di diecimila soldati bambini. Dopo la guerra, l’attenzione si è concentrata sulla ricostruzione di scuole, strade e ospedali e sulla ripresa economica. Ma sono state sottovalutate le conseguenze psicologiche della guerra e il recupero della fiducia reciproca e delle tradizioni culturali che sin dall’antichità avevano contribuito al funzionamento della società. Alcune ricerche mostrano che, a tutt’oggi, sia le vittime sia i carnefici soffrono di stress post-traumatico e depressione, mentre della guerra si parla poco o per nulla. Proprio a tale riguardo, secondo Haffner, la recitazione può rivestire un ruolo importante. “Il teatro è uno strumento di educazione, di cambiamento, di pace. Se vuoi parlare di gravidanza durante l’adolescenza, puoi inserire il tema in una rappresentazione. La nostra cultu-

ra funziona così”. Il suo spettacolo, a cui assistono centinaia di bambini stipati in uno spazio non adatto – la scuola non ha un’aula magna –, parla della storia della Sierra Leone e della guerra civile, di ciclo mestruale, di buon comportamento a scuola e altro ancora. Alcuni alunni hanno un ruolo nella rappresentazione.

Una casa sulla sabbia Proprio a scuola Haffner aveva scoperto il teatro, che però adesso non fa più parte dei programmi. Lui dà lezioni di recitazione agli insegnanti in modo che questi, a loro volta, possano mettere su dei gruppetti teatrali. Secondo Haffner il problema non è la mancanza d’interesse della popolazione, ma il fatto che il governo non ne veda l’importanza. La Sierra Leone non ha un ministero o politiche istituzionali su arte e cultura. “Un paese che trascura la sua cultura è come una casa costruita su un mucchio di sabbia”. Anche per questo i gruppi che devono ancora farsi conoscere, proprio come il Wan Roof, incontrano ogni tipo di ostacolo. “Non è facile trovare persone in grado di venire a tutte le prove”, racconta l’aiuto-regista Carlos Velazquez, 36 anni. “Devono pensare a procurarsi da mangiare. Sono talmente tanti i problemi quotidiani che le prove finiscono facilmente in secondo piano”. Sarebbe bello guadagnarsi da vivere recitando ma, in

uno dei paesi più poveri del mondo, questa è un’utopia. Inoltre, è difficile trovare dei posti per provare ed esibirsi. “Non c’è spazio per l’arte, a Freetown”, dice James Fortune, 26 anni, che recita nella parte dell’autista maleducato. Il municipio, appena ricostruito, è ufficialmente dedicato agli spettacoli, ma l’affitto costa 15mila leoni (più di 600 euro). Senza sponsor è una cifra irraggiungibile, dato che uno spettatore medio non può permettersi più di un paio di leoni per il biglietto. Infine, ci sono le limitazioni tecniche. La rappresentazione Poda Poda si svolge praticamente in un unico atto: un giro nel minibus, un mezzo molto comune. La scenografia è composta da una decina di sedie, messe una di fianco all’altra per rappresentare i sedili dell’autobus. Eppure al pubblico sembra subito di trovarsi in un autobus dai colori vivaci, con borse, mobili, caschi di banane e capre legati sul tetto. A causa dei ripetuti black out, alcune scene sono illuminate solo con dei telefoni, ma il pubblico è contento. “È stato fantastico! Il testo è spassoso e istruttivo al tempo stesso”, commenta Umar Barrie, 25 anni. Ha già deciso che il prossimo anno parteciperà alle audizioni. Anche Aminata, 12 anni, l’ha trovato “divertentissimo”. E dice: “Voglio vedere più spesso degli spettacoli come questo”. u oa Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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Cultura

Schermi Documentari

In rete Difesa e attacco

Cile: popolo vs economisti Arte.tv Decenni di politiche neoliberiste, inizialmente imposte dalla dittatura, hanno reso il Cile uno dei paesi più disuguali. Le rivolte del 2019, seguite dal tentativo di stesura di una nuova costituzione, vogliono invertire questa tendenza. Kinnaur Himalaya Inquota.tv Dopo secoli d’isolamento, il Kinnaur, nell’Himalaya indiano, ha conosciuto recentemente una rapida modernizzazione. La trasformazione più evidente è la monocoltura delle mele, che però potrebbe avere vita breve. Leonardo. Il capolavoro perduto Amazon Video, Apple TV, Chili, Google Play Movies Si parla molto di dipinti misteriosamente scomparsi, forse contraffatti. Il caso più celebre è quello del Salvator mundi, primo dipinto attribuito tra molti dubbi a Leonardo oltre un secolo fa. Melma Sky Arte, giovedì 1 febbraio, ore 21.15, Now Partendo dalla mostra di Firenze, che terminerà a febbraio con una performance originale, un ritratto di Nico Vascellari, artista e musicista che ha conquistato un posto di rilievo nella scena contemporanea. Polaris Apple TV, Amazon Video Com’è finita una donna di origini magrebine a navigare nell’Artico? Dall’incontro tra la regista Ainara Vera e la skipper Hayat è nato questo potente ritratto, premiato al Trento film festival.

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Serie tv Griselda Netflix, 6 episodi Vista la grande quantità di film e serie dedicati ai narcotrafficanti, era solo questione di tempo prima che qualcuno ne realizzasse uno su Griselda Blanco, la Madrina, che inondò Miami di cocaina tra gli anni settanta e gli anni ottanta. Così Eric Newman e Andrés Baiz (Narcos) hanno unito le

forze con la star di Modern family Sophia Vergara per provare a guardare sotto una nuova luce la classica storia su un barone della droga, in questo caso una baronessa. L’ascesa di Griselda all’inizio può sembrare esaltante, almeno finché non si scopre che la madrina non è meglio dei padrini. The Wrap

“A Davos, qualche anno fa, si parlava di decrescita. Non penso che la gente la voglia davvero. Ciò che la maggior parte delle persone desidera è che le nostre vite migliorino. E l’unico modo sostenibile per ottenerlo è con la tecnologia, con le scoperte scientifiche. E penso che i due campi più importanti siano l’intelligenza artificiale e l’energia”. Così, durante la conferenza annuale a Davos, Sam Altman, amministratore delegato della OpenAi, ha difeso il lavoro della sua azienda. Ad attaccare Altman appena sceso dal palco, scrive Quartz, è stato il musicista Will.i.am: “È un po’ disumano pensare di vivere in un mondo in cui gli oggetti hanno più finanziamenti per diventare intelligenti degli esseri umani”. Gaia Berruto

Televisione Giorgio Cappozzo

Sit com Non è facile raccontare l’istituto della famiglia, un po’ perché è notoriamente infelice e lo è a modo suo, un po’ perché è diventato il precipitato di tante nevrosi ideologiche da risultare noioso. Ero rimasto, a proposito di affreschi assai efficaci, a quello di Michele Apicella in Ecce bombo. In un appartamento piccolo borghese dove ogni cosa concorre a un clima di mestizia, Nanni Moretti esibisce un padre che cerca di stabilire un dialogo con il figlio commentando le soubrette in

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tv, una madre depressa seduta in cucina a chiedersi dove ha sbagliato e una sorella minore che insidia equilibri più presunti che reali. La stessa analisi impietosa, insieme a una recitazione che annienta ogni pretesa naturalistica, la si può ritrovare in Faccende complicate (Raiplay), il nuovo programma in cui Valerio Lundini affronta storie di denaro, disabilità e cucina con l’obiettivo di smantellare i luoghi comuni che questi argomenti spesso nutrono. Nella puntata dedica-

ta alla famiglia, Lundini sfida la teoria secondo cui la bellezza è un fattore genetico. Seleziona madre e padre avvenenti, una nonna vincitrice di un vero concorso di miss e mette in scena un’esilarante sit com domestica, tra silenzi ostili, premure asfissianti e rimproveri noiosi. Il grottesco prende il sopravvento con limpida naturalezza, e lo sguardo di Apicella torna tra noi, rischiarando con generosa “laicità” tempi d’insopportabile e rinnovata catechesi. u

I consigli della redazione

The holdovers Alexander Payne, in sala

Tutti tranne te Di Will Gluck. Con Sydney Sweeney, Glen Powell. Stati Uniti 2023, 103’. In sala ●●●●● La zoppicante commedia romantica Tutti tranne te ha diversi punti a favore: le stelle in ascesa Sydney Sweeney e Glen Powell, una lussuosa ambientazione australiana e più sorrisi smaglianti e addominali scolpiti di un numero di Sport Illustrated dedicato ai costumi da bagno. La trama ruota intorno a un meccanismo classico: i nemici giurati Bea (Sweeney) e Ben (Powell), invitati a un matrimonio, fingono di essere innamorati in modo che famiglie e amici smettano di provare a convincerli che sono fatti l’una per l’altro. È una larghissima rielaborazione di Troppo rumore per nulla, presumibilmente il primo adattamento shakespeariano in cui un cane fa yoga e di sicuro il primo in cui un uomo fa una serenata a un koala. In ogni caso il film, diretto da Will Gluck, che ha scritto la sceneggiatura insieme a Ilana Wolpert, è assemblato in modo così goffo che la nostra attenzione si allontana dai protagonisti per essere catturata dai sontuosi buffet sullo sfondo. Amy Nicholson, The New York Times

Povere creature! Di Yorgos Lanthimos. Con Emma Stone, Willem Dafoe, Mark Ruffalo, Ramy Youssef. Irlanda/Regno Unito/Stati Uniti 2023, 141’. In sala ●●●●● È vero che è solo la fine di gennaio, ma è difficile immaginare che nell’arco dell’anno riusciremo a vedere un film più divertente, più osceno o più stravagante dell’ultima pellicola di Yorgos Lanthimos, la seconda in cui ha collaborato con Emma Stone. Descrivere Povere creature!, adattamento di Tony McNamara (La favorita) del romanzo di Alasdair Gray, come creativo e disinibito non rende giustizia alla corsa sfrenata in cui ci conduce questa invenzione esplosiva. Povere creature! segue il viaggio che trasforma Bella Baxter (Emma Stone) nella self-made woman per eccellenza. Come molte cose all’interno del film, l’ambientazione è indefinibile. La storia si svolge in un passato parallelo, un’epoca vittoriana intrisa di steampunk, un mondo distorto (anche letteralmente, attraverso le inquadrature) dalle disparità di potere della società patriarcale. Senza scendere nei dettagli, il film è una versione sovversiva di Frankenstein di Mary Shel-

ley, con il ruolo di creatore e tutore di Bella assunto dal genio non ortodosso del dottor Godwin Baxter (Willem Dafoe). Soprannominato God da Bella, Godwin porta cicatrici grottesche sul viso e sul corpo, risultato di un’infanzia in cui era oggetto della folle curiosità scientifica di suo padre. Il dottore assume l’entusiasta studente Max (Ramy Youssef ) per registrare i progressi della sua creatura. Ma la fame di conoscenza di Bella è troppo vorace per essere contenuta nelle mura della ricca residenza di Godwin. Cogliendo l’opportunità che le offre l’ignobile avvocato Wedderburn (un Mark Ruffalo meravigliosamente gigione), Bella si avventura per le strade di Londra, poi a Lisbona, quindi sul piroscafo Alexandria e infine in un bordello parigino. La collaborazione tra Lanthimos e Stone è qualcosa di alchemico. Due talenti, che già singolarmente amano il rischio, insieme sembrano in grado di scatenare un livello extra di audacia artistica. E questo è più che mai evidente nella fisicità dell’interpretazione di Emma Stone, non solo per la nudità e le scene di sesso, che non mancano. L’uso virtuoso che l’attrice fa del suo corpo è un elemento cruciale dell’esperienza. Wendy Ide, The Guardian

The wicker man Robin Hardy, Mubi

Appuntamento a Land’s End Di Gillies MacKinnon. Con Timothy Spall, Phyllis Logan. Regno Unito/Emirati Arabi Uniti 2021, 86’. In sala ●●●●● In questo faticoso road movie, il pensionato malato Tom Harper (un Timothy Spall particolarmente strascicato e farfugliante) viaggia dalla sua casa in un remoto villaggio scozzese alla punta della Cornovaglia per spargere le ceneri della moglie morta. I flashback sui primi giorni del loro matrimonio, nei lontani anni cinquanta, aggiungono un po’ di contesto alla vicenda ma rallentano un ritmo già al limite. Soprattutto, il viaggio sembra una scusa per dipingere, attraverso Tom, un bel ritratto cosmopolita del Regno Unito. L’atteggiamento del protagonista, infatti, è meno provinciale di quanto potrebbero far supporre le sue origini. Per esempio fraternizza con un gruppo di allegri ucraini, anche se alla fine non è abbastanza audace da provare i loro pierogi. Simran Hans, The Observer NEWSLETTER Schermi è la newsletter settimanale di Piero Zardo su cosa vedere al cinema, in tv e sulle piattaforme di streaming. Per riceverla: internazionale.it/newsletter

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Povere creature!

Film

Kripton Francesco Munzi, in sala

Tutti tranne te Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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Cultura

Libri Stati Uniti

I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana la giornalista belga Vanja Luksic.

Psicologia distorta

Paolo Rumiz Una voce dal profondo Feltrinelli, 288 pagine, 18 euro ●●●●● “Cominciò verso le due con un lamento di cani. Lungo, esasperante, come un canto di anime perse”. Si apre così il viaggio di Paolo Rumiz attraverso l’Italia, seguendo gli strani suoni di un sottosuolo magico. Per lo scrittore, giornalista e viaggiatore triestino, uomo del nord, la parte più straordinaria di questa penisola piena di crateri, di fiumi sotterranei, di fondali marini e di terremoti è senz’altro il sud, che ne è particolarmente ricco. Il viaggio parte dall’isola di Alicudi, la più occidentale delle Eolie, dove “Stromboli mandava lampi intermittenti”. Rumiz è affascinato dalle isole Eolie, dalla Sicilia ma soprattutto da Napoli. Infatti, il libro è dedicato “A Roberto De Simone e alla terra che l’ha cresciuto”, dove la ricchezza del sottosuolo, della storia e dei miti è favolosa, grazie anche ai tantissimi invasori fenici, romani, greci, arabi, ebrei, cartaginesi che hanno lasciato tracce importanti. Con questo libro pieno di amore, di ammirazione e anche molto ben documentato, Rumiz ci fa condividere la sua passione per l’Italia. Ma purtroppo anche la sua rabbia per la cattiva gestione (soprattutto le poche costruzioni antisismiche) di un sottosuolo così turbolento. u

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Madness racconta la storia di un ospedale del Maryland, dove i neri con disturbi mentali erano segregati e costretti a lavorare gratis Gli Stati Uniti hanno una lunga e travagliata storia di manipolazione della psicologia per controllare i neri. Al culmine del sistema schiavistico i medici bianchi sostenevano che i neri erano immuni alle malattie mentali. A “mantenerli sani” erano la bontà degli schiavisti, l’aria fresca e l’esercizio fisico garantiti dal lavoro nei campi. Salvo poi attribuire i crescenti tentativi di fuga a un disturbo mentale, la drapetomania. Per curarla, il dottor Samuel Cartwright consigliava di “frustare il demonio fuori dal corpo”. Ma come documenta il libro Madness della

AFRO AMERICAN NEWSPAPERS/GADO/GETTY

Italieni

Crownsville hospital, 1947

giornalista Antonia Hylton, l’abolizione della schiavitù non pose fine a questo tipo di distorsioni. Hylton racconta la storia del Crownsville hospital in Maryland, un “manicomio” riservato ai neri inaugurato all’inizio del novecento dove le teorie del dottor Cartwright

erano pane quotidiano. Per più di novant’anni la struttura ospitò migliaia di neri con “disturbi mentali”, tenendoli segregati e curandoli con una particolare “terapia industriale”, ovvero facendoli lavorare gratis. The New York Times

Il libro Nadeesha Uyangoda

Una donna spigolosa Emanuela Anechoum Tangerinn Edizioni e/o, 256 pagine, 18 euro Tangerinn si apre con due amiche, in un incontro che per rapporto di potere, personalità e temi di confronto mi ha ricordato le protagoniste di Il profilo dell’altra, di Irene Graziosi. Mina non ha ancora trovato il suo sogno, il suo carattere, non si è ancora scoperta e ha trascorso l’attesa a Londra, in una distanza fisica ed emotiva dalla sua famiglia. Il riavvicinamento avviene alla

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morte del padre, al quale si rivolge in seconda persona, che la costringe a prendere un volo verso la Sicilia e a spogliarsi di tutto quanto si è messa addosso per essere la donna interessante che frequenta le persone e gli ambienti giusti. L’esordio di Emanuela Anechoum è un romanzo costruito per accumulo, di ricordi – non importa se reali o percepiti –, di sensazioni, di contraddizioni generazionali e familiari. Le frasi brevi che racchiudono analisi profonde sono forse la sintesi della stessa

Mina, una donna spigolosa e non finita, in un paesino sul mare dove chiunque sembrasse fuori posto gravitava intorno al bar del padre. La figura paterna, Omar, il suo Marocco, le sue ceneri aleggiano come fantasmi sul racconto di Mina: verrebbe quasi da dire che la riportano a casa, alle sue radici, alla sua identità, ma sono concetti sfuggenti, cose che non bastano. E, come dice lo stesso Omar alla fine, se non troviamo le cose che ci bastano, almeno avremo trovato qualcos’altro. u

I consigli della redazione

Bret Easton Ellis Le schegge Einaudi

Il romanzo

Dickens tra i redneck Barbara Kingsolver

DAVID LEVENSON (GETTY)

Barbara Kingsolver Demon Copperhead Neri Pozza, 656 pagine, 22 euro ●●●●● Allo stesso tempo esilarante e straziante, questa è la storia di un ragazzo terribile che nessu­ no vuole, ma che i lettori ado­ reranno. Damon è l’unico fi­ glio di un’adolescente alcoliz­ zata nel sudovest della Virgi­ nia. Si rende conto presto della sua condizione, più o meno nello stesso periodo in cui ot­ tiene il soprannome di De­ mon. “Ero un delinquente”, dice, “nato in una casa mobile, quindi un capo scout dei pove­ racci che vivono nelle roulot­ te”. Più afferra le connotazioni di parole come “bifolco” e “redneck”, più si scoraggia. “Questo è quello che direi, se potessi, a tutti gli intelligentoni del mondo con le loro stupide battute sui poveracci… sentia­ mo tutto quello che dite”. E ora noi sentiamo lui. “Arrivi al punto che non te ne frega nien­ te delle persone convinte che tu non valga nulla”, dice. “So­ prattutto perché ci sei già arri­ vato da solo”. Demon ha ragio­ ne riguardo alla derisione pa­ ternalistica dell’America, ma ha torto riguardo al proprio va­ lore. In un’impresa di alchimia letteraria, Kingsolver usa il fuoco dello spirito di quel ra­ gazzo per illuminare – e bru­ ciacchiare – i recessi più oscuri del nostro paese. L’americani­ tà di Demon Copperhead sem­ bra particolarmente ironica dato che Kingsolver si è ispira­ ta proprio a uno dei classici in­ glesi più celebri: David Copperfield di Charles Dickens. In ef­ fetti, chiunque abbia familiari­

tà con il romanzo più autobio­ grafico di Dickens ne sentirà l’eco in diversi personaggi e avvenimenti. E in un passag­ gio da meta­romanzo, King­ solver strizza l’occhio al pub­ blico quando Demon elogia un autore che ha scoperto a scuo­ la. Charles Dickens, dice, è “un vecchio, pure morto e straniero, ma Cristo Gesù se si è fatto l’idea di come bambini e orfani vengono fregati e a nessuno frega un cazzo. Pen­ seresti che fosse proprio di queste parti”. Gran parte della riuscita di questo romanzo (premio Pulitzer 2023) deriva dal modo in cui l’esperienza di Demon s’interseca con l’epi­ demia della dipendenza da op­ pioidi negli Stati Uniti. Demon cresce negli anni in cui usciva una pillola “miracolosa”, l’OxyContin, e Kingsolver rac­ conta come una cospirazione del capitalismo e della crimi­ nalità abbia sfruttato il dolore degli statunitensi più poveri per creare un’industria redditi­ zia e mortale. Ron Charles, The Washington Post

Will Ferguson Felicità® Accento

Dorothy Strachey Olivia Astoria, 160 pagine, 16 euro ●●●●● Olivia è andato fuori catalogo e ci è rientrato diverse volte da quando è uscito per la prima volta nel 1949. Ma è stato rico­ nosciuto come un capolavoro fin dall’inizio. Quest’ultima edizione contiene una nuova introduzione di André Aciman (l’autore di Chiamami col tuo nome) che ben contestualizza la storia del romanzo e il suo impatto immutato. Aciman ammette anche di essersi ispi­ rato a Olivia per il suo libro di maggior successo. È notevole che sebbene fosse molto ben inserita nel circolo di Blooms­ bury (era la sorella di Lytton Strachey e la traduttrice di André Gide), Strachey abbia scritto solo questo romanzo e che abbia avuto il coraggio di pubblicarlo solo passati i ses­ sant’anni. Olivia è un romanzo radicato nella vita reale di Strachey: è la storia di una gio­ vane di buona famiglia che, spedita in un prestigioso colle­ gio francese, s’innamora di un’insegnante, mademoiselle Julie. Il sentimento è ricambia­ to anche se Julie è consapevole del fatto che la loro è una rela­ zione proibita. Ma non è tanto la trama a essere avvincente, quanto la ricchezza del lin­ guaggio, la capacità di analisi di Strachey nell’esplorare i me­ andri emotivi della sua giova­ ne protagonista. Strachey ci prende per mano aiutandoci a riscoprire la complessità e le contraddizioni del primo amo­ re. Questo romanzo breve e asciutto ha momenti di ecce­ zionale bellezza e profondità, dalle descrizioni di Parigi a quelle delle persone che ruota­ no intorno alle protagoniste. Rhea Rollmann, PopMatters

Günter Grass Statue viventi La nave di Teseo

Anna Nerkagi Muschio bianco Utopia, 168 pagine, 17 euro ●●●●● Anna Nerkagi, nata nel 1952 nella penisola di Jamal, in Si­ beria, è l’unica scrittrice della comunità nomade dei nenec. E la sua voce è diventata una guida nel mondo e nella cultu­ ra di questa remota popolazio­ ne. Muschio bianco era uscito in russo nel 1995 e nel 2023 l’autrice è stata candidata al premio Nobel per la letteratu­ ra. Il romanzo nasce dall’espe­ rienza di vita nomade di Ner­ kagi nella tundra di Baida­ ratskaja. Un’esperienza di sco­ perta di sé, del proprio popolo e una riflessione sul proprio destino, pervasa di mitologia nenec. Nel 2014 Muschio bianco è stato adattato per il grande schermo con la regia di Vladi­ mir Tumaev. Tass Yang Jisheng Lapidi Adelphi, 836 pagine, 38 euro ●●●●● Lapidi è il dettagliato racconto del “grande balzo in avanti” di Mao Zedong, un disastroso tentativo di far decollare l’eco­ nomia cinese che invece cau­ sò una terribile carestia e la morte di 36 milioni di perso­ ne. Il libro è uscito a Hong Kong nel 2008 ma è stato vie­ tato nella Repubblica popolare cinese, dove circola clandesti­ namente online oppure sotto­ banco in alcune librerie. Nel 2016 Yang è stato premiato “per coscienza e integrità nel giornalismo” dall’università di Harvard ma gli è stato vie­ tato di lasciare la Cina per par­ tecipare alla cerimonia. Yang è nato nel 1940 nella provin­ cia dell’Hubei e in una scena straziante del libro racconta di quando era tornato da scuola

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Cultura

Libri Raphaël Krafft I ragazzi della Clarée Keller, 182 pagine, 16 euro ●●●●● Seguire al contrario la rotta delle migrazioni per raccontare le storie di bambini e ragazzi partiti per attraversare il Sahara e la Libia, che trovano posto su una barca per l’Italia e poi entrano in Francia. Raphaël Krafft, giornalista, voce di France Culture, conosce alcuni di questi migranti nel 2015 negli accampamenti parigini. Fin dai primi incontri le loro storie mettono in crisi il reporter e lo portano sempre più a sud. Ma è durante la sua lunga permanenza nel fondo di una valle alpina, al confine con l’Italia, che il suo approccio all’argomento cambia davvero. Lì incontra cittadini francesi che, in nome dei diritti umani, salvano da morte certa in montagna i nuovi arrivati. Proprio lì, a pochi chilometri da Briançon, comincia una storia che ci porta ai piedi del col de l’Echelle, un passo attraversa-

to dal 2017 da circa diecimila migranti, in maggioranza guineani, molti a malapena adolescenti. Alla fine di quell’anno ne arrivarono a decine, sfidando il freddo e la neve che non avevano mai visto e di cui non sapevano niente. Ogni sera gli abitanti della zona si organizzano per salvare questi ragazzi. Dai militari in pensione alle guide alpine, alla gente comune, Raphaël Krafft racconta le storie di coloro che pattugliando la valle di notte hanno creato un’organizzazione “segreta” per fornire vitto e alloggio a chi arriva, congelato e affamato. Cittadini onesti che quando salvano i giovani e li aiutano a tornare a valle vengono fermati come se avessero compiuto un reato. Se la Clarée è lo scenario di buona parte del racconto di Raphaël Krafft, il giornalista non si ferma lì e decide di andare ancora più a sud, fino in Guinea per vedere dove nasce il vento delle migrazioni. Maryline Baumard, Le Monde

Non fiction Giuliano Milani

Guerra e false notizie Francesco Petronella Atlante delle bugie Paesi edizioni, 143 pagine, 13 euro “Quando scoppia una guerra, tra le prime vittime c’è la verità”. Questo principio, attribuito a volte al senatore statunitense Hiram Johnson che lo citò alla fine della prima guerra mondiale, altre al tragediografo greco Eschilo, appare tanto più minaccioso oggi che la verità sembra difficile da identificare anche in tempo di pace, a causa della crisi dei vecchi sistemi d’informazione

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e dell’esplosione dei social network. Per non rinunciare alla possibilità di distinguere tra le informazioni affidabili e quelle che non lo sono è utile questo manuale piccolo, chiaro e combattivo. Scritto da un giovane giornalista specializzato in Medio Oriente che lavora all’Ispi, contiene tutto il necessario per non farsi ingannare: un agile resoconto di come è cambiato il modo in cui ci informiamo e su cosa abbiamo guadagnato e perso nella trasformazione; una solida batteria di definizioni utili

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per operare una buona selezione delle fonti di notizie (primarie e secondarie, affidabili, di parte, di propaganda) basata su tanti esempi pratici e talvolta su esercizi che il lettore può praticare, e infine due studi di casi scelti tra i più difficili: quello della Siria dopo il 2011 e quello dell’invasione dell’Ucraina. Petronella cita per nome giornali, giornalisti e agenzie, permettendo di farsi un’idea propria e corretta tanto ad aspiranti giornalisti che a lettori sull’orlo di una crisi di nervi. u

Africa

Hemley Boum Le rêve du pêcheur Gallimard Zack lascia il Camerun a diciotto anni, abbandonando la madre. Diventato psicologo a Parigi, sposato e padre di famiglia, è raggiunto dal passato proprio quando la vita che si è costruito comincia a sgretolarsi. La sua storia s’intreccia con quella del nonno pescatore Zacharias. Hemley Boum è nata a Douala, Camerun, nel 1973. Nathacha Appanah Rien ne t’appartient Folio La storia di Tara, una giovane vedova che era stata aiutata dal marito medico a superare il traumatico passato. Nathacha Appanah è nata a Mahébourg, Mauritius, nel 1973. Chigozie Obioma The road to the country Hutchinson Heinemann Nigeria, fine anni sessanta: la vita di due fratelli è sconvolta dalla guerra del Biafra. Chigozie Obioma è nato ad Akure, Nigeria, nel 1986. Ora vive negli Stati Uniti. Akwaeke Emezi Little Rot Faber Un fine settimana, l’oscuro e corrotto sottobosco di una città nigeriana, un’intricata rete di sesso, bugie e corruzione. Akwaeke Emezi è nata a Umuahia, Nigeria, nel 1987. Maria Sepa usalibri.blogspot.com

JEAN-MARC ZAORSKI (GAMMA-RAPHO/GETTY)

e aveva ritrovato l’amatissimo zio (che aveva rinunciato all’ultimo pezzo di carne per nutrire il ragazzo che stava crescendo come un figlio) talmente debole da non riuscire neanche ad alzare un braccio per salutarlo, gli occhi incavati e il viso smunto. Tutto questo accadeva nel 1959, durante la carestia, ma Yang ci avrebbe messo decenni a capire che la morte dello zio era parte di una tragedia nazionale. Dopo i fatti di piazza Tiananmen, e dopo aver cercato in ogni modo di essere un buon comunista, nel 1989 ha avuto un risveglio. “Il sangue di quegli studenti ha lavato via dal mio cervello tutte le menzogne che avevo accettato”. Ha giurato di trovare la verità e si è dedicato a ricostruire la storia della carestia fingendo di svolgere una ricerca economica. E grazie alla sua iscrizione al Partito comunista ha avuto accesso a documenti riservati. Barbara Demick, The Atlantic

Ragazzi Calore negato Neil Gaiman Per stare al caldo vorrei… Mondadori, 32 pagine, 17 euro Molte persone, molti bambini, vivono in condizioni abominevoli. Soffrono per la fame, il freddo, le malattie. Dormono male su brandine scomode o direttamente sulla nuda terra. Hanno paura di essere uccisi o feriti. Di perdere la capacità di vedere il mondo o sentire gli uccelli. Si vive in un perenne stato di separazione dalla normalità. E in questo non vivere si sognano le cose quando andavano meglio e si poteva ancora sognare. Questa sofferenza che serpeggia nel nostro mondo è il tema della penna magica di Neil Gaiman, che insieme a tredici artisti ha creato un piccolo albo illustrato pieno di luce e che si chiede cosa serva davvero per stare al caldo. Tra le pagine spuntano caminetti, calzini, gatti, morbide muffole di lana, trapunte piumate, ma anche parole gentili, patate arrosto, tazze colme di cioccolata fumante, sciarpe, cappotti, maglioni, zuppe, punch, un bricco che bolle, un sorriso. Il pensiero corre ai bambini palestinesi nelle tende al confine di Rafah o ai piccoli afgani ai confini dell’Europa. Si pensa ai senzatetto che vagano nelle nostre metropoli egoiste. Il pensiero corre a un’anziana che non riesce a pagare la bolletta della luce. Un albo che parla della necessità di calore che spesso manca. E di diritti sempre più violati. Igiaba Scego

Ricevuti Ilaria Maria Dondi Libere Einaudi, 176 pagine, 15 euro Esistono mille modi di essere madri e mille di non esserlo, oltre le aspettative, i pregiudizi, gli stereotipi e perfino le leggi. Solo liberandosi da queste gabbie si può scardinare il sistema patriarcale. A cura di Mauro Corso Salvate dai pesci Castelvecchi, 114 pagine, 15 euro I pensieri delle donne detenute nella sezione femminile del carcere di Rebibbia: storie di oggetti, di luoghi possibili e impossibili, di ricordi, desideri e rimpianti che lasciano uno spiraglio per la speranza e per la libertà.

Fumetti

Poesia della perdita Animo Chen Una breve elegia Add editore, 312 pagine, 28 euro Un fumetto di poesia da Taiwan, per giunta ben riuscito, non è cosa di tutti i giorni. Come nel caso di questo esordio che si misura con il miglior fumetto sperimentale occidentale, spesso dal taglio pittorico proprio come queste elegie. Al plurale perché si tratta di tre racconti dal poco testo e dall’impronta visiva molto lirica sul tempo che passa. Il filtro è la memoria, fissata da piccoli dettagli, dettagli che placano l’animo, facendo rifiorire la gioia. La natura – i fiori, il fogliame di un albero e non solo i paesaggi – gioca infatti un ruolo centrale in questo avvicendarsi inatteso di piccoli fatti del quotidiano, dove i lutti, già consumati o del tutto inattesi, si susseguono fino alla narrazione di una

perdita amorosa, di una giovane donna all’inseguimento del suo amato in una città straniera. Le metafore visive, delle perdite e dell’inseguimento, in altre parole del perdersi, ritrovarsi e riperdersi, sono lo strumento di una narrazione fatta d’immagini che dilatando lo spazio dilatano il tempo, e di una poesia dove la malinconia e la felicità sembrano inscindibili l’una dall’altra. Questo è forse l’insegnamento più importante espresso da una filosofia animista che pervade la narrazione, ma evitando di essere troppo esplicita. Lasciando una certa segretezza, o mistero, nelle cose. Anche quando questi dettagli prendono il volo o si sciolgono (una sciarpa rossa, un fiocco rosso tra i capelli) nel nulla. Ma che pare il tutto. Francesco Boille

Guido Davico Bonino La felicità è nel giardino Il Saggiatore, 184 pagine, 16 euro Una passeggiata nei giardini della letteratura italiana alla scoperta di odori, colori, alberi, erbe e frutti nascosti tra le pagine. Marcello Musto L’ultimo Marx Donzelli, 288 pagine, 19 euro In questa nuova edizione ampliata l’autore illustra le ragioni della recente riscoperta dell’opera di Marx, mettendo in luce la rilevanza politica dei suoi ultimi scritti. Alejandro Zambra Messaggio per mio figlio Sellerio, 240 pagine, 16 euro Manuale non ortodosso per genitori debuttanti. Un diario della paternità in cui la realtà e la finzione convivono in una strana armonia.

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Cultura

Suoni Audio Ti presento Harry

Dagli Stati Uniti

Jonathan Goldstein Harry Heavyweight, Gimlet Media Ted e Todd sono due gemelli identici e sono cresciuti nelle campagne del South Dakota insieme a un altro fratello di un anno più piccolo, Scott. Nel 1986, poco più che ventenne, Scott scopre di aver contratto il virus dell’hiv e decide di affrontare il periodo e le difficoltà della malattia con la compagnia di Harry, un grande pappagallo rosso con un’aspettativa di vita di circa novant’anni. Dopo la morte di Scott, Ted e Todd decidono di consegnare il pappagallo a un rifugio per animali e di non prendersene cura, ma ventiquattro anni dopo, tormentati dal senso di colpa e da un lutto mai pienamente elaborato, cercano di ritrovare Harry per sistemare il loro debito con il passato. Questo episodio è il congedo, dopo nove anni di programmazione, di Heavyweight, il podcast di Jonathan Goldstein che è stato uno dei migliori esempi di questo mezzo di espressione e che è stato cancellato all’improvviso da Spotify lo scorso dicembre. Nato appena prima dell’ascesa dell’industria dell’audio, ha sempre mantenuto un altissimo livello autoriale e produttivo lottando con la decadenza generale dell’offerta di podcast. Questo ultimo episodio da un lato segna una resa alle dinamiche del mercato dei contenuti digitali contemporanei, dall’altro riafferma l’audio come un mezzo unico per indagare le relazioni umane e costruire un rapporto intimo con il pubblico. Jonathan Zenti

Il sito di recensioni e notizie musicali è stato ridimensionato dall’editore

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Il sito musicale Pitchfork sarà inglobato in un’altra pubblicazione e una parte della redazione è stata licenziata. L’ha deciso Condé Nast, l’editore che lo ha acquistato nel 2015. Secondo un’email interna trapelata il 17 gennaio, Pitchfork diventerà una sezione del sito del maschile GQ, anch’esso di proprietà di Condé Nast. L’email, scritta dalla direttrice artistica di Condé Nast Anna Wintour, certifica anche che alcuni dipendenti di Pitchfork, tra cui la direttrice Puja Patel, entrata in carica dopo l’acquisizione di Condé Nast, hanno la-

MICHAEL NAGLE (GETTY)

Il futuro incerto di Pitchfork

Ryan Schreiber sciato l’azienda. La decisione è stata presa “dopo un’attenta valutazione delle prestazioni di Pitchfork”, scrive Wintour, aggiungendo che l’azienda ritiene che questo sia “il miglior percorso da seguire per il marchio in modo che la nostra copertura musicale possa continuare a prosperare”.

Ryan Schreiber, fondatore di Pitchfork ed ex caporedattore che ha venduto la pubblicazione a Condé Nast nel 2015, ha scritto: “Sono molto triste per la notizia che Condé Nast ha scelto di ristrutturare Pitchfork e licenziare gran parte del suo personale, compresi alcuni che sono stati parte integrante delle sue attività per molti anni”. Non è ancora noto quanti giornalisti siano stati licenziati, ma secondo l’Associated Press si tratterebbe di dodici persone. E non è chiaro in che modo la decisione dell’azienda potrà influenzare la pubblicazione dei contenuti di Pitchfork in futuro. Christian Eede, The Quietus

Canzoni Claudia Durastanti

Passi in un vicolo Le mie preferenze nell’ambito della letteratura statunitense si sono concentrate su autori e autrici che si sono fortemente compromessi con altre discipline senza diventare dei critici o creare una “narrativa da galleria d’arte”. Firme come Don DeLillo, Chris Kraus, Rachel Kushner. Anche se non c’entra con il disco di cui sto per parlare, è un modo per introdurre l’idea che le figure compromesse, corrotte o con un talento specifico per la ramificazione riescono a produrre opere particolari. Opere per cui non basta dire che sono riuscite o no, perché

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l’esperienza sta negli ostacoli, nei riverberi, in tutta la materia che assorbono mentre inventano i propri strati. Jonathan Clancy è una figura di questo tipo. Reduce da diverse vite da solista o con una band (Settlefish, A Classic Education, His Clancyness) e dopo aver prodotto alcuni degli album sperimentali più caratterizzati della scena italiana recente (ma che non fanno “musica da galleria d’arte”) con la Maple Death Records, il 2 febbraio torna con l’album solista Sprecato. Il titolo è mutuato dall’immaginario del

disegnatore Michelangelo Setola con cui Clancy collabora da tempo e condivide materiali orientati a una cupezza psichedelica ma sfrangiata, proprio come la voce di Clancy è acuta ma smagliata. I singoli che precedono l’uscita sono dei binomi, Had it all/Precipice e I want you/A worship deal, presentati per contrasti, ma proprio A worship deal è un buon punto d’ingresso: è un po’ come se Arthur Russell e Nick Cave stessero facendo una passeggiata in un vicolo di rifiuti che pian piano diventa lo spazio. u

Classica Scelti da Alberto Notarbartolo

Marc-André Hamelin Fauré: Nocturnes, Barcarolles Hyperion

Philadelphia Woodwind Quintet Complete Columbia albums Sony Classical

The Smile

della title track e di Teleharmonic ci sono sequenze di accordi adorabili e in minore con ritmi vagamente latini. Friend of a friend porta in dote qualcosa del fascino rilassato dei primi anni settanta: la splendida melodia è quasi in stile McCartney, anche se poi arriva una mitragliata di archi taglienti e discordanti quasi da film horror. Nonostante tutti gli effetti elettronici, il suono di Wall of eyes è quello di una band che suona dal vivo, uno stile amplificato dalla batteria di Tom Skinner. Questo album getta un’incognita sul futuro dei Radiohead. Ma possiamo consolarci con la sua qualità. Alexis Petridis, The Guardian Sleater-Kinney Little rope Loma Vista ●●●●● L’undicesimo lavoro delle leggendarie Sleater-Kinney è il meglio che ogni fan e simpatizzante possa desiderare nel 2024. Il tempo non ha scalfito la loro energia, come testimonia per intero Little rope. Se da una parte i pezzi, che non superano i tre minuti, offrono grandi ritornelli, testi sprezzanti e riff garage,

dall’altra sono attraversati anche dalla tristezza che ha riempito la vita di Carrie Brownstein nell’ultimo anno, dopo la morte di sua madre e del patrigno. Insieme a Corin Tucker ha composto un disco sincero e appassionato, che ulula alla luna con dolore e nobiltà . Elvis Thirlwell, Diy Benno Moiseiwitsch The art Benno Moiseiwitsch, piano, con artisti vari Scribendumi ●●●●● Benno Moiseiwitsch (18901963) è stato uno dei pianisti più eloquenti e aristocratici della sua generazione. La Scri-

bendum ora raccoglie tutte le sue registrazioni commerciali dal 1916 al 1953 su 19 cd, insieme a materiale dal vivo o radiofonico. Moiseiwitsch era in tutto e per tutto un musicista della vecchia scuola: un bel tono, una tecnica che non conosce ostacoli e un approccio libero al testo. Nell’Invito alla danza di Weber, Moiseiwitsch sceglieva l’elaborata trascrizione di Karl Tausig, e la suonava meglio di chiunque. Si può dire lo stesso per la sua ouverture del Tannhäuser di Liszt o per lo scherzo del Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn trascritto da Rachmaninov. I preludi di Chopin sono perfetti per lo stile a ruota libera di Moiseiwitsch. Il suo tocco leggero in Jeux d’eau di Ravel e Jardins sous la pluie di Debussy farebbero impallidire tutti i giovani talenti del nostro tempo. Probabilmente molti preferirebbero esplorare la produzione del pianista in modo selettivo. Ma se volete una montagna di Moiseiwitsch in un’unica comoda raccolta a poco prezzo, non cercate oltre. Jed Distler, ClassicsToday NEWSLETTER Musicale è la newsletter settimanale di Giovanni Ansaldo su cosa succede nel mondo della musica. Esce ogni lunedì. Per riceverla: internazionale.it/newsletter

Sleater-Kinney

CHRIS HORNBECKER

The Smile Wall of eyes XL ●●●●● Per decenni i testi di Thom Yorke hanno tracciato un territorio emotivo delimitato da paura, rabbia, disperazione e noia. È così anche in Wall of eyes. Ci sono canzoni abitate da fonti di turbamento senza nome, timori che qualcosa di terribile stia succedendo (“Non lasciare che mi prendano”, canta in Under our pillows). C’è un momento favolosamente improbabile in Bending hectic, dove Yorke immagina di essere su una montagna in Italia a bordo di un’auto d’epoca, ma poi si torna a pensieri ballardiani di suicidio. Sono passati quasi otto anni dall’ultimo album dei Radiohead, A moon shaped pool, la pausa più lunga della carriera del gruppo. Ma questo periodo è stato riempito con un torrente di progetti solisti e da due album degli Smile, la band che unisce a Yorke il chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood e il batterista dei Sons of Kemet Tom Skinner. Il debutto degli Smile nel 2021, A light for attracting attention, aveva portato alcuni a chiedersi se i Radiohead avessero un futuro, perché era chiaro che tutto quello che facevano gli Smile l’avrebbe potuto fare anche la vecchia band. Ma forse le cose non stanno così. Come per il primo album, sarebbe difficile descrivere Wall of eyes come qualcosa di diverso dai Radiohead. Però, se è un album carico d’inquietudine e tristezza, c’è uno strano senso di disinvoltura in gran parte dei brani. È il suono di Yorke e Greenwood che fanno musica liberi dalle aspettative e dalla pressione. Alla base

FRANK LEBON

Album

Profeti della Quinta Cavalieri: Lamentationes Pan Classics

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È in arrivo il nuovo Internazionale Kids! In questo numero: impariamo a scrivere un messaggio in codice, a che servono le democrazie, venerdì niente scuola, a lezione di nuoto artistico, come si vive in una casa storta e molto altro Ogni mese articoli, giochi e fumetti dai giornali di tutto il mondo per bambine e bambini

In edicola o i a n n e g 1 3 l i

Pop Lode dell’incertezza

Astra Taylor

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ASTRA TAYLOR

è una regista, giornalista e attivista politica canadese. Questo articolo è uscito sul bimestrale canadese The Walrus con il titolo Rethinking uncertainty in an insecure age.

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gni quattro anni, il National intellipiante e gli animali da cui dipende la nostra salute gence council degli Stati Uniti pubalimentare, sanitaria e ambientale? blica il rapporto Global trends, che Quando hanno descritto un futuro di crescente ha l’obiettivo di prevedere le minacincertezza e insicurezza, gli autori del rapporto sapece e i motivi d’incertezza che il monvano che la maggior parte dei lettori avrebbe trovato do dovrà affrontare nei due decenni inquietanti questi termini. Ma l’incertezza e l’insicusuccessivi. Scritto da un’associazione di agenti segrerezza non sono sempre negative. Se vogliamo evitare ti con un nome che sarebbe più adatto a un gruppo le conseguenze più gravi del collasso economico ed rock – Strategic futures group – ha come scopo di inviecologico contro cui il rapporto mette in guardia – ed tare la Casa Bianca e i suoi consiglieri ad adottare un evitare di vivere alcuni degli scenari futuri più preocorizzonte temporale più esteso. cupanti – molti sistemi e modi di pensare profondaL’edizione 2021 del Global trends, intitolata “Un mente radicati dovrebbero diventare meno scontati. mondo più conteso”, si concentra sulle Il nostro mondo sta diventando sempre sfide che l’umanità dovrà affrontare in Molti sistemi e più instabile. Ma per altri versi non lo è condizioni di “crescente incertezza”. modi di pensare abbastanza. Uno dei grafici principali del rapporto dovrebbero Come sosteneva il leader indigeno e presenta un riquadro etichettato “Crisi diventare meno stratega politico canadese Arthur Manuel nel libro Unsettling Canada, del della sicurezza umana” accompagnato scontati. Il nostro 2015, una delle cose da cambiare è la rida una serie di possibili minacce: condi- mondo sta zioni meteorologiche estreme, uso im- diventando sempre vendicazione coloniale della terra. Il riproprio dell’acqua, innalzamento del più instabile. Ma per conoscimento della sovranità indigena livello del mare, geoingegneria, camavrebbe profonde implicazioni per la altri versi non lo è biamenti sociali e istituzionali, disugiustizia sociale, la sicurezza economiguaglianze, instabilità, conflitti e altro abbastanza ca dei popoli indigeni e, più in generale, ancora. In questa scatola piena di perila stabilità ecologica. coli, sostiene il rapporto, c’è il futuro in cui vivremo Ci sono volute generazioni di organizzazione e retutti a meno che non avvenga un miracolo. sistenza da parte delle popolazioni indigene per far sì Il rapporto si conclude proponendo cinque sceche il Canada cominciasse ad accettare l’esistenza di nari ipotetici, ognuno dei quali suggerisce una posquello che ufficialmente è chiamato “titolo aborigesibile traiettoria del nostro futuro incerto. L’ipotesi no”, il diritto intrinseco dei popoli indigeni ai loro terfinale prevede una rivoluzione ambientale globale ritori tradizionali. Secondo Manuel, l’inclusione dei guidata dai giovani, che alla fine porterà alla creadiritti degli indigeni nella legge costituzionale del zione di una nuova organizzazione internazionale: 1982 è stata una vittoria fondamentale contro gli aril Consiglio per la sicurezza umana. Leggendola mi gomenti usati dal governo per giustificare il fatto che sono ritrovata d’accordo per la prima volta in vita la maggior parte del territorio canadese appartiene mia con i funzionari dell’intelligence statunitense, alla corona britannica. Questi argomenti poggiano un’esperienza sconcertante. Se vogliamo sfuggire sull’idea cinquecentesca della terra nullius, secondo alla crisi della sicurezza umana, un grande e visiocui un territorio abitato da decine di migliaia di anni nario movimento sociale dovrà spingere i nostri siera invece vuoto, quindi poteva essere “scoperto” da stemi sociali a rinunciare a uno stato delle cose che stranieri famelici e confusi, che l’avrebbero trasfortrangugia combustibili fossili. mato magicamente in un loro possedimento. Allo stesso tempo, mi sono chiesta se un’organizCon una serie di decisioni spartiacque, i tribunali zazione simile sarebbe davvero sufficiente a mettercanadesi hanno cominciato a sgretolare queste assurci su una rotta stabile. Se le sfide che l’umanità deve dità, a partire dal caso di Delgamuukw contro la affrontare sono così intrecciate tra loro in un pianeta British Columbia. Nel 1984, le nazioni dei popoli già devastato, come chiarisce il rapporto del Natiogitxsan e wet’suwet’en lanciarono una sfida senza nal intelligence council, non dovremmo anche chieprecedenti per cercare di far applicare i diritti sanciti derci cosa significa sicurezza per gli ecosistemi, le dalla nuova costituzione. Fecero causa al governo per

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il riconoscimento del loro titolo aborigeno su più di 133 territori, per un totale di 58mila chilometri quadrati di terra che non erano mai stati ceduti con un trattato: la rivendicazione costrinse il governo canadese a fare i conti con lo status legale dei beni comuni indigeni e i concetti di sovranità e proprietà. Le nazioni gitxsan e wet’suwet’en hanno culture orali, quindi non hanno mai registrato la proprietà terriera attraverso stipule di contratti, e i querelanti stabilirono un precedente usando come prove legali le tradizioni orali, invece dei documenti scritti. Gli anziani presentarono come prove il gitxsan adaawk e il wet’suwet’en kungax, due raccolte orali di leggende,

leggi, rituali e tradizioni, con grande costernazione del giudice. Il primo giorno del processo i capi ereditari spiegarono come le loro nazioni avevano affrontato la questione del diritto di proprietà. Delgamuukw Earl Muldoe, capo dei gitxsan e querelante ufficiale, dichiarò: “Il mio potere è racchiuso nelle storie, nei canti, nelle danze e negli stemmi della mia comunità. Per noi, la proprietà del territorio è un matrimonio tra il capo e la terra. Ogni capo ha un antenato che ha incontrato e riconosciuto la vita e la terra. Da questi incontri nasce il potere. La terra, le piante, gli animali e le persone hanno tutti uno spirito e a tutti si deve mostrare rispetto. Questa è la base della Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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Pop nostra legge”. A una donna che era tra gli anziani invitati a testimoniare, Mary Johnson, fu chiesto d’intonare un canto funebre che documentava la proprietà territoriale: parlava di due ragazze salvate dalla fame da un uccello dopo la morte del fratello. Ma il giudice si oppose. “Chiedere ai testimoni di cantare in tribunale non è un modo appropriato per affrontare questo problema”, disse. Inoltre, siccome non aveva un “orecchio musicale”, era incapace di capire cosa avesse a che fare una canzone triste con un luogo o una storia specifica. Come si poteva garantire la proprietà con parole cantate? opo 318 giorni di testimonianze e 56 giorni di arringhe conclusive, il giudice emise il suo verdetto. Citando il filosofo del seicento Thomas Hobbes, il verdetto descriveva la vita dei popoli gitxsan e wet’suwet’en prima della colonizzazione “disgustosa, brutale e breve” e si pronunciava contro i querelanti. Ma quando una decina d’anni dopo la corte suprema discusse il caso in appello, i giudici si mostrarono più inclini ad ascoltare. Nel 1997 la corte riconobbe il principio del titolo aborigeno come una forma di proprietà collettiva, anche se rifiutò di pronunciarsi su terre e titoli specifici, consigliando al governo federale di negoziare direttamente con le Prime Nazioni e trovare un modo per conciliare le rivendicazioni aborigene con quelle della corona, cosa che il governo si è finora rifiutato di fare. Per usare le parole di Shiri Pasternak, una docente della Toronto metropolitan university, “la corte suprema ha convenuto che i popoli indigeni detenevano un diritto di proprietà sulla loro terra. Era il bene collettivo di una nazione” e delle sue generazioni presenti e future. Affermando la validità della testimonianza orale, quella decisione è stata anche un passo importante per gettare un ponte tra le tradizioni giuridiche indigene e quelle canadesi. Il verdetto gettò nel panico il settore privato. Dai documenti governativi resi pubblici da Pasternak emerge che i lobbisti volevano “certezze”, cioè un accesso incontrastato alle proprietà indigene. Il giorno dopo la sentenza, Marlie Beets, allora vicepresidente del consiglio delle industrie forestali della British Columbia, si lamentò del fatto che il verdetto di Delgamuukw contro British Columbia aveva “solo creato più incertezza. Siamo molto preoccupati per le reazioni dei governi di fronte alle conclusioni della corte. La decisione rende ancora più chiaro il bisogno di certezze ottenute attraverso la cessione delle terre”. I lobbisti delle multinazionali esortavano i funzionari governativi a spingere le Prime Nazioni a rinunciare ai loro diritti, recentemente ampliati, per garantire la “certezza” degli interessi commerciali. Il presidente dell’associazione degli allevatori s’impegnava a esercitare “una forte pressione sul governo provinciale affinché facesse di tutto per ottenere la cessione”. L’avvocato del comitato consultivo per i negoziati organizzò un incontro del “gruppo di lavoro sulla certezza” e suggerì che le trattative dove-

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Storie vere L’ufficio dello sceriffo della contea di Marion, Florida, negli Stati Uniti, ha chiesto aiuto alla cittadinanza per identificare un ladro, che era stato chiaramente ripreso da una telecamera di sicurezza. La polizia ha diffuso la foto del ricercato. Cos’ha rubato? La telecamera. Vale 355 dollari (circa 310 euro).

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vano andare in direzione della “fine dei diritti e dei titoli aborigeni”, un approccio a cui le Nazioni Unite si oppongono decisamente. Anche se la corte suprema canadese ha riconosciuto il titolo aborigeno e ha il sostegno del diritto internazionale per i diritti umani, la lotta per la sovranità indigena rimane profondamente sbilanciata, perché le comunità povere devono scontrarsi con i colossi multinazionali, i loro potenti lobbisti nelle varie province e le agenzie governative che li appoggiano. Nel corso degli anni, varie decisioni della corte suprema hanno ulteriormente rafforzato le rivendicazioni indigene, ma la corona concede ancora alle aziende private il permesso di trivellare, estrarre, disboscare e costruire dighe su terre mai cedute, tra cui il contestato gasdotto Coastal gaslink, di 670 chilometri, che dovrebbe trasportare il gas ottenuto con il fracking attraversando il territorio tradizionale dei wet’suwet’en. Incoraggiate dalle fantasie sul futuro dei beni comuni coloniali, la Chevron, la TransCanada e la Enbridge sono determinate a costruire infrastrutture per l’economia dei combustibili fossili sulla terra dei wet’suwet’en, nonostante l’opposizione della comunità. Quando i capi ereditari delle Prime Nazioni hanno insistito sul verdetto Delgamuukw e affermato la loro giurisdizione difendendo con blocchi pacifici il territorio non ceduto, il governo ha mandato la polizia a scacciare i manifestanti con la minaccia delle armi. La violenta risposta degli agenti ha rivelato quanto il titolo aborigeno sia una minaccia per l’industria petrolifera e quanto alto sia il rischio che rappresenta per i suoi profitti. In Unsettling Canada Arthur Manuel ci ricorda che il caso Delgamuukw non solo ha confermato e ampliato i diritti degli aborigeni, ma ha anche affermato i corrispondenti doveri che ne derivano. Il diritto di usufruire della terra è inseparabile dalla responsabilità di prendersene cura. La corte suprema ha stabilito che l’unico caso in cui il titolo aborigeno può essere considerato estinto è quello di comunità che svolgono attività distruttive o incoerenti con il loro legame con la terra, che impedirebbero alle generazioni future di usufruirne (Manuel fa l’esempio della costruzione di un parcheggio su un sito sacro). Questa condizione, come spiega Manuel, obbliga ulteriormente i popoli indigeni a proteggere i loro territori da uno sviluppo irresponsabile e insostenibile, il tipo di sviluppo che il settore privato vuole perseguire in base a un diritto certo. Questo è un esempio del tipo di cambiamento che la nostra epoca d’insicurezza richiede: la modifica di un sistema di proprietà che calpesta i diritti costituzionali delle persone e danneggia il pianeta. Nel 1974 l’ecologista Garrett Hardin pubblicò un articolo sulla rivista Psychology Today in cui metteva in ridicolo l’idea di restituire la terra o concedere indennizzi alle comunità indigene, sulla base delle argomentazioni che aveva esposto nel suo saggio del 1968 The tragedy of the commons (La tragedia dei beni comuni). Intitolato “L’etica delle scialuppe di salvataggio: perché non dobbiamo aiutare i poveri”, l’articolo invitava il lettore a immaginare una scena, in un

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oceano. Le scialuppe piene di passeggeri facoltosi galleggiano pericolosamente in un mare di persone che annegano e minacciano di capovolgerle. L’unico modo per i pochi privilegiati di proteggersi, sostiene Hardin, è quello di tenere fuori gli altri – dalle scialuppe di salvataggio, dai paesi ricchi, dai beni comuni – accumulando risorse, fermando l’immigrazione e mettendo fine agli aiuti alimentari internazionali allo scopo di ridurre la popolazione globale dei poveri, che, ammette, è costituita in gran parte da non bianchi. “Per il prossimo futuro”, scrive, “se vogliamo sopravvivere dobbiamo adottare l’etica della scialuppa di salvataggio, per quanto dura possa sembrare”. Le idee di Hardin sono in linea con la corrente di pensiero cosiddetta “ecofascista”, purtroppo in ascesa in questi tempi incerti, che si basa sul concetto più ristretto e meschino di sicurezza, e invita a proteggere i propri privilegi a scapito della vita degli altri. È la visione, come afferma uno slogan terrificante dei suprematisti bianchi, di un “futuro verde per bambini bianchi”. Naturalmente, ci sono anche i negazionisti. Rifiutando la realtà del cambiamento climatico, considerano il cambiamento sociale come la vera minaccia alla sicurezza, ai profitti dell’industria, agli stili di vita dei consumatori e alle gerarchie razziali e di genere. La sociologa Cara Daggett ha coniato il termine “petromascolinità” per descrivere il modo in cui il negazionismo climatico, i tir che consumano fiumi di benzina e le fette di carne rossa sono diventati potenti simboli di virtù patriarcale. In questo paradigma, il disprezzo per il mondo “più che umano”, e per chiunque cerchi di prendersene cura, rafforza il disprezzo per certe categorie di persone, chiunque non sia bianco, maschio e normodotato. Da una ricerca di Will Kymlicka, politologo della Queen’s university di Kingston, in Canada, è emerso che la fede nella gerarchia delle specie è “costantemente associata a una disumanizzazione dei gruppi umani svantaggiati o emarginati”. O, come mi ha detto di recente la celebre militante afroamericana Angela Davis, “attribuire la priorità agli esseri umani porta anche a definizioni restrittive di chi può essere considerato umano, e la violenza contro gli animali è correlata alla violenza contro gli umani”. Il tentativo di sottomettere altre persone e creature ha prodotto una serie di enormi incendi, cappe di calore, vortici polari, tempeste devastanti e siccità. Cinquecento anni dopo che il filosofo Thomas More si lamentava della piaga delle pecore lasciate libere nelle terre comuni inglesi, il bestiame ha ormai divorato la terra. Oggi gli animali addomesticati e mercificati, principalmente mucche e maiali, costituiscono più del 62 per cento di tutta la biomassa dei mammiferi, che deforesta vaste aree di territorio ed emette enormi quantità di carbonio, mentre tutti gli animali selvatici sono ridotti a un misero 4 per cento. La natura selvaggia che rimane è in gran parte protetta dai popoli indigeni, che costituiscono circa il 5 per cento della popolazione mondiale e proteggono l’80 per cento della biodiversità globale. Proposte come quel-

le che cercano d’istituire più aree marine protette in collaborazione con le Prime Nazioni sulla costa occidentale del Canada sono il promettente riconoscimento del fatto che la cura e la riparazione dell’ambiente hanno bisogno d’investimenti e sostegno. Ma, in realtà, la gestione del pianeta è qualcosa di cui tutti dovrebbero essere responsabili. l mio interesse per i diritti della natura deriva, in parte, dalla mia convinzione che la biodiversità abbia un valore politico oltre che biologico. Ogni specie che lasciamo estinguere riduce quella che potremmo chiamare democrazia ecologica, sottolineando la necessità di prefigurare un sistema politico in grado di proteggere gli interessi di altre forme di vita. Il beneficio per gli animali e gli insetti, oltre che per il 40 per cento delle specie vegetali minacciate dal cambiamento climatico, dovrebbe essere più che sufficiente per spingerci a combatterne l’estinzione. Ma dovremmo coltivare la solidarietà con il mondo più che umano anche per un semplice interesse personale. La biodiversità è essenziale per la nostra esistenza: per la sicurezza degli ecosistemi in cui siamo inseriti, dei sistemi alimentari su cui facciamo affidamento e della nostra capacità di evitare future pandemie. Quando un ecosistema è sano, la biodiversità tampona la trasmissione di agenti patogeni mortali e la variazione genetica interrompe le vie di contagio. Ciò significa che il ridimensionamento e la frammentazione dell’habitat selvatico riduce la biodiversità e aumenta le possibilità di quello che gli scienziati chiamano spillover, o infezione interspecie, la dinamica che probabilmente ha portato alle recenti epidemie di ebola in Guinea.

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Pop

Come spiega un rapporto delle Nazioni Unite del 2020 sulla prevenzione delle pandemie, le malattie infettive sono in genere frutto dell’attività umana. Sono l’ennesimo sintomo dell’arroganza degli umani che produce insicurezza, che nasce dagli eterni tenta­ tivi di conquistare la natura. I cambiamenti nell’uso del suolo, in particolare il disboscamento dei terreni a favore dell’agricoltura intensiva, sono responsabili di un terzo di tutte le nuove malattie. Come gli uraga­ ni e le siccità dovute al riscaldamento climatico, i nuovi e pericolosi agenti patogeni sono collegati all’attività umana, anche se non nel modo cospirato­ rio che ad alcune persone piace immaginare. La pan­ demia del 1918, per esempio, probabilmente comin­ ciò come un’influenza aviaria o suina in un alleva­ mento industriale. Le condizioni per la diffusione dei microbi nocivi sono ancora più presenti negli alleva­ menti moderni, che ammassano un numero enorme di animali geneticamente simili in condizioni crudeli e insalubri. Negli Stati Uniti e in Canada, al bestiame viene somministrato l’80 per cento di tutti gli antibio­ tici consumati nel mondo, la ricetta ideale per alleva­ re superbatteri resistenti ai farmaci. Come ho letto di recente su una rivista medica, l’agricoltura animale intensiva concede ai virus innumerevoli “giri della roulette pandemica”. Proprio per questo l’American public health association, la più grande organizzazio­ ne di professionisti della salute pubblica degli Stati Uniti, ha ripetutamente chiesto una moratoria sugli allevamenti intensivi. Alla luce di queste e innumerevoli altre sfide, non possiamo limitare le nostre ambizioni al Consiglio per la sicurezza umana previsto dal rapporto del Na­ tional intelligence council, anche se sarebbe un otti­

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mo inizio. Solo la sicurezza più che umana sarà risolu­ tiva. Dobbiamo lavorare con il mondo naturale, co­ operando con il Sole e il vento per sfruttare le energie rinnovabili, con gli oceani e le foreste per isolare il carbonio senza soffocarlo e acidificarlo, con la biodi­ versità delle piante per rinfrescare le nostre città e nutrire il mondo, con animali nostri alleati come i ca­ stori che proteggono l’acqua, combattono gli incendi e forniscono rifugio ad altre specie. Eppure, anche se le Nazioni Unite e i principali scienziati sono d’accor­ do sul fatto che la nostra sicurezza futura c’impone di prestare attenzione alle interconnessioni tra il benes­ sere umano e quello degli animali e degli ecosistemi, predomina ancora un atteggiamento antropocentri­ co e assetato di profitti. Oltre a lavorare con la natura, dobbiamo collabo­ rare tra noi, il che significa trasformare la nostra an­ sia e insicurezza climatica in solidarietà, una solida­ rietà abbastanza forte da superare gli interessi parti­ colari sempre favorevoli alle soluzioni inadeguate presentate nelle politiche climatiche dei governi. Come hanno abbondantemente chiarito gli scienziati autori del rapporto del Gruppo intergover­ nativo di esperti sul cambiamento climatico del 2022 e gli agenti segreti del National intelligence council, tutto deve cambiare: i nostri sistemi energetici, i no­ stri sistemi alimentari, i nostri sistemi di trasporto e i nostri sistemi di sicurezza sociale. L’attivista e scrit­ trice Naomi Klein sostiene che garantire una base di sicurezza materiale alle persone, in particolare la garanzia di posti di lavoro verdi che potrebbe facili­ tare una transizione dai combustibili fossili, è fonda­ mentale per affrontare lo sconvolgimento climatico: “Più le persone si sentono sicure, sapendo che le loro famiglie avranno da mangiare, medicine e un riparo, meno saranno vittime della demagogia razzista che sfrutta le paure che invariabilmente accompagnano i tempi di grandi cambiamenti”. La sicurezza mate­ riale, sostiene, può aiutarci ad “affrontare la crisi dell’empatia in un mondo che si sta riscaldando”. sostegni al reddito forniti dai governi degli Stati Uniti e del Canada in risposta alla pan­ demia di covid­19 sono stati molto efficaci, e hanno garantito la sicurezza materiale in un modo che non si era più visto dai tempi della creazione dello stato sociale dopo la seconda guerra mondiale. Ma come giustamente insistono nel dire Klein e altri, non possiamo semplicemente risu­ scitare le politiche sociali di una volta. Invece di guar­ dare con nostalgia allo stato sociale del novecento, che si basava sul presupposto che la crescita economi­ ca e lo sfruttamento dell’ambiente potessero essere illimitati, dovremmo aspirare a una visione più lungi­ mirante di uno stato che garantisca la sicurezza a tut­ ti in modo sostenibile, uno stato che sia allo stesso tempo decarbonizzato e democratico, quello che mi piace chiamare uno stato solidale. Radicato nella collaborazione per i beni comuni, uno stato solidale aspira all’uguaglianza politica ed economica e al riconoscimento della nostra fonda­

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mentale interdipendenza, compresa quella con il mondo più che umano. Come ha detto Lindsay Borrows, linguista e giurista di etnia anishinaabe, la natura ha bisogno di diritti, ma gli esseri umani hanno bisogno di una “carta dei doveri”. Soprattutto, ci serve l’obbligo di non prendere nulla dalla natura se non ci preoccupiamo anche di reintegrarlo per rispettare i limiti ecologici. Oggi sappiamo dove ci porta ignorare obblighi e limiti: alla calamità climatica e alla spirale dell’insicurezza. Ma questa non è certo una novità. Già nel suo dialogo Crizia, Platone si lamentava della terra distrutta dalla cattiva gestione, e descriveva il suolo arido, l’assenza di alberi e l’abbandono di luoghi dove un tempo c’erano sorgenti fresche come “lo scheletro di un uomo malato, in cui tutta la terra grassa e molle si è consumata”. Anche i sumeri, i romani, i maya e altre società antiche si spinsero oltre i limiti ecologici, generando instabilità e accelerando il collasso della loro civiltà. Leggendo le cronache dei coloni si scopre che erano i primi a meravigliarsi del proprio potere distruttivo sull’ambiente e allo stesso tempo ne pianificavano la devastazione definitiva. La differenza oggi è che questa distruzione sta avvenendo su scala globale. I tentativi antropocentrici di soggiogare il pianeta sono sempre controproducenti. Non possiamo sottomettere il mondo se vogliamo viverci in sicurezza. Non saremo mai i lupi alfa sicuri e onnipotenti del regno animale in cui ci vorrebbero trasformare i petromaschilisti, ed è giusto così, perché quella dei lupi alfa è un’idea sbagliata che deriva dallo studio degli animali in cattività. In natura gli animali non lottano per scalare le gerarchie. L’immagine del mondo naturale come cerchio inclusivo anziché gerarchia esclusiva non è frutto del romanticismo, ma della corretta lettura delle informazioni scientifiche che descrivono la nostra realtà, dove siamo inseriti in un elaborato circolo di vita, non-vita e perfino semi-vita. Mio padre è un chimico farmaceutico e la sua ricerca si concentra sui virus. I virus sono sequenze microscopiche di dna o rna che per replicarsi dipendono dal dirottamento dell’energia delle cellule ospiti. Abitano in un limbo che sfida le categorie, una strana zona grigia tra vivente e non vivente, animato e non animato. Quello che vedo nel lavoro di mio padre non è un desiderio di conquista ma un senso di mistero. I virus non sono affatto simpatici, ma mio padre mi ha dimostrato che meritano il nostro rispetto, se non il nostro timore. Il fatto che le nostre vite dipendano da processi biologici e fisici che a malapena riusciamo a categorizzare e da dinamiche complesse certamente fuori dal nostro controllo dovrebbe suscitare una grande dose di umiltà. Questa umiltà è l’ethos che associo alle capacità buone e generative dell’insicurezza, quelle che possono aiutarci a essere curiosi, a connetterci, a evolverci e forse a sopravvivere in un mondo che sta radicalmente cambiando. Non ho la formula per una società in cui tutti i nostri problemi saranno risolti per sempre, non ce l’ha

Poesia

NADEŽDA RADULOVA

Tarantella

è una poeta e traduttrice bulgara nata nel 1975. Questo testo è tratto dalla sua penultima raccolta, Kogato zaspjat (“Quando si addormentano”, Žanet45 2015). Traduzione dal bulgaro di Alessandra Bertuccelli.

La poesia che stai tentando di tradurre nella tua lingua è una ragnatela, di quelle che fluttuano nell’aria, intessuta di seta e veleno, parole, respiro, trovate alle quali non sei mai preparato e che ti sorprendono come un colpo di sole nel campo di un altro. Ma ogni tuo tentativo di deviare, proteggerti, metterti all’ombra è fatale, e la ragnatela si dissolve senza lasciar traccia, e per questo: non battere le palpebre, guarda dritto il sole e reggiti forte alle favolose corde che un ragno-crociato ti ha teso dal suo lontano mondo e non smettere di danzare finché non avrai la lingua intorpidita e luccicante di queste furiose bave amorose, di questi tradimenti. Nadežda Radulova

nessuno. Non credo nell’utopia, ma posso immaginare un futuro più promettente in cui i nostri problemi diventeranno più interessanti e complessi, di una complessità che si addice al mondo ingarbugliato e imprevedibile in cui viviamo. Invece delle domande noiose e deprimenti che ci troviamo ad affrontare oggi – per esempio, se una manciata di produttori di combustibili fossili dovrebbe avere la licenza di ridurre in cenere il pianeta – potremmo puntare a costruire una società sicura e sostenibile che ci costringa a cimentarci con enigmi filosofici e pratici molto più avvincenti. Se la natura ha dei diritti, dovrebbero essere tutelate anche le specie invasive? Se tutti gli ecosistemi sono interconnessi dov’è lo spartiacque tra loro? Come possiamo prendere decisioni quando le nostre azioni hanno ripercussioni globali? Come possiamo garantire libertà e dignità a tutti nel rispetto dei limiti ecologici? Questo è il tipo di interrogativi su cui vale la pena riflettere, e le risposte non sono evidenti. Ma anche se tutto ciò è incerto e instabile, so una cosa: l’illusione della sicurezza umana a spese della natura non può reggere. u bt Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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ANGELO MONNE

Scienza

SALUTE

La scienza da sola non basta

ca – nel 2018 sono rimasti senza vaccino 34 milioni di ragazze in paesi che non possono nemmeno finanziare lo screening e la cura del cancro della cervice uterina. I paesi intermedi – troppo “ricchi” per ottenere le sovvenzioni, ma non abbastanza per acquistare il vaccino – non hanno nessun accesso al mercato. Non è una questione di scienza, ma di economia, politiche pubbliche e condivisione delle risorse, tutte cose di cui noi scienziati dovremmo occuparci se vogliamo che il nostro lavoro serva davvero a qualcosa. Un altro ostacolo alle potenzialità del vaccino contro l’hpv è rappresentato dalle infrastrutture e dalla distribuzione. Le normali campagne di vaccinazione riguardano i bambini piccoli, mentre questo è destinato alle ragazze tra i 9 e i 14 anni. Aggiungere una nuova voce all’elenco delle vaccinazioni di un paese significa stoccare, programmare, formare e altre questioni logistiche. Non c’è niente di scientifico, ma è fondamentale affinché le ricerche mediche uscite dal laboratorio possano arrivare ai loro destinatari.

Pregiudizi infondati

Linda Eckert, New Scientist, Regno Unito Il vaccino contro il virus che provoca il cancro del collo dell’utero esiste da vent’anni, ma questa malattia continua a uccidere a causa di fattori economici, politici e culturali el 2003 le persone impegnate nella prevenzione del tumore al collo dell’utero ricevettero una notizia straordinaria. Erano usciti i risultati di uno studio di quattro anni su un possibile vaccino per la forma del virus hpv 16 che causa questo cancro: delle 2.400 volontarie a cui era stato somministrato, nessuna aveva contratto l’infezione. Neanche una. Io, che lavoravo come ginecologa specializzata in ostetricia da dodici anni, sapevo che stavo assistendo a un miracolo. Oggi, vent’anni più tardi, questo tumore continua a uccidere – una donna ogni due minuti – e i casi sono in aumento: 604mila nel 2020, che secondo le stime dovrebbero diventare 855mila entro il 2040. Significa milioni di decessi e detur-

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pazioni, oltre alla perdita della sessualità e della fertilità per le sopravvissute. È scandaloso. È anche la prova che la scienza non basta, per quanto vorrei che fosse vero il contrario. Le sue scoperte cambiano davvero il mondo solo quando superano ostacoli politici, economici e culturali. Noi, i ricercatori impazienti di condividerle, dobbiamo capirlo, intervenire e prepararci. Ogni vaccino che esce dal laboratorio entra in un contesto dominato da domanda e offerta, in cui la lealtà del mercato al miglior offerente consente a paesi come gli Stati Uniti, che possono permettersi di pagare 160 dollari per una dose contro l’hpv, di acquistare tutte quelle di cui hanno bisogno. I paesi poveri fanno affidamento sulle sovvenzioni della Gavi, un ente di cooperazione internazionale, che ha negoziato un prezzo di 4,55 dollari a dose, e ricevono il vaccino solo dopo che la domanda dei paesi ricchi è stata soddisfatta. A causa della scarsa disponibilità a livello mondiale – soprattutto perché fino a non molto tempo fa il grosso delle dosi era prodotto da una sola casa farmaceuti-

Le sfide più problematiche per la prevenzione del tumore al collo dell’utero, però, dipendono dal fatto che le principali destinatarie del vaccino sono ragazze e che il suo bersaglio è una malattia a trasmissione sessuale. E questo, sia nei paesi ricchi sia in quelli poveri, si scontra con paure di natura culturale, pregiudizi e disuguaglianze. L’idea che il vaccino incoraggi le ragazze alla promiscuità è ancora diffusa, anche se è stata completamente smentita. E le accuse di effetti collaterali, anche queste infondate, hanno causato un drastico calo delle vaccinazioni in Giappone, che in dieci anni sono passate dal 70 per cento a quasi zero. Dalla pandemia di covid-19 la maggior parte di noi ha la dolorosa consapevolezza che contro la disinformazione la scienza da sola è impotente e ha bisogno di messaggi forti delle autorità sanitarie e di una solida fiducia. Se nel 2003 pensavo di poter assistere all’eliminazione di un cancro nel corso della mia vita, oggi su cinque ragazze idonee solo una riceve la vaccinazione contro l’hpv. Ormai so che la ricerca da sola non basta. Per realizzare tutte le potenzialità di cambiamento di questo vaccino dobbiamo occuparci anche di politica, economia e cultura. u sdf

ETOLOGIA

Sulle tracce del mammut

Perché i cani scodinzolano

Élmayųujey’eh è una femmina di mammut lanoso vissuta 14mila anni fa in Nordamerica. I suoi resti sono stati rinvenuti nel sito archeologico di Swan Point, in Alaska. L’analisi del dna e degli isotopi di una zanna ha permesso di ricostruire la sua storia: Élmayųujey’eh trascorse gran parte della sua vita nell’attuale Yukon, nel Canada nordoccidentale, poi percorse più di mille chilometri in due anni e mezzo fino all’Alaska, dove morì tre anni dopo. I suoi resti sono stati trovati insieme a quelli di altre femmine e giovani di mammut, scrive Science Advances. Probabilmente Swan Point era un punto d’incontro per almeno due branchi matriarcali imparentati. Altri ritrovamenti indicano che nello stesso periodo in quella zona erano presenti i primi accampamenti di cacciatori. L’arrivo degli esseri umani potrebbe aver limitato gli spostamenti dei mammut e l’accesso al cibo, e aver contribuito alla loro estinzione insieme al cambiamento climatico.

Biology Letters, Regno Unito Il movimento ritmico della coda è uno dei comportamenti più comuni dei cani, eppure il suo significato non è chiaro. Un gruppo di ricercatori ha analizzato gli studi già pubblicati e ha formulato due ipotesi. Una possibilità, scrivono gli autori su Biology Letters, è che lo scodinzolio sia stato selezionato dagli esseri umani durante il processo di domesticazione, perché gli stimoli ritmici risultano piacevoli al nostro cervello. L’altra possibilità è che sia un sottoprodotto di quel processo, cioè che sia comparso in quanto legato alla selezione di altri caratteri, come la docilità. Non si conosce neanche la funzione di questo comportamento. I lupi e gli altri animali non scodinzolano: usano la coda per mantenere l’equilibrio, scacciare gli insetti e, tenendola in determinate posizioni, per comunicare. Anche i cani potrebbero comunicare con la coda, soprattutto per segnalare un legame, per chiedere qualcosa o per esprimere un’emozione positiva. In futuro le ricerche potrebbero aiutare a capire la funzione di questo comportamento, ma anche spiegare perché per gli esseri umani è così piacevole vedere un cane che scodinzola. ◆

IN BREVE

NASA/ESA/P. OESCH (YALE)

SALUTE

I segnali del covid lungo L’università di Zurigo ha sviluppato un modello computazionale per predire il covid lungo sulla base delle proteine presenti nel sangue, scrive Science. L’analisi di circa 6.500 proteine isolate in 268 campioni di sangue ha identificato come possibili biomarcatori alcune molecole coinvolte nella risposta immunitaria e nella coagulazione. Ma per individuare il meccanismo alla base del covid lungo, che colpisce circa 65 milioni di persone, saranno necessari ulteriori studi di dimensioni maggiori.

GUO XIAOCONG

PALEONTOLOGIA

ASTRONOMIA

Il buco nero più antico Grazie al telescopio spaziale James Webb è stato scoperto quello che potrebbe essere il buco nero più antico mai osservato. Si trova nella galassia Gn-z11 (nel dettaglio), eccezionalmente luminosa. Il buco nero potrebbe essersi formato più di tredici miliardi di anni fa, 400 milioni di anni dopo il big bang. Inoltre potrebbe essere in rapida crescita, un fattore che potrebbe influire sullo sviluppo futuro della galassia. Lo studio è stato pubblicato su Nature.

Archeologia L’Homo sapiens potrebbe essere arrivato in Asia orientale, attraverso i monti Altai, la Siberia e la Mongolia, prima di quanto stimato. A Shiyu, un sito archeologico nella Cina settentrionale, sono state trovate tracce che risalgono a 45mila anni fa. Secondo uno studio pubblicato su Nature Ecology and Evolution gli utensili in pietra rinvenuti potrebbero essere stati usati per cacciare i cavalli. Nel sito, scoperto nel 1963, sono state trovate anche ossa di mammiferi. Biologia Per la prima volta una scimmia clonata ha superato i due anni di vita. La metodologia usata dai ricercatori, descritta in uno studio uscito su Nature Communications, potrebbe migliorare la clonazione con cellule somatiche. Questa tecnica è usata a scopo scientifico, ma spesso il feto non sopravvive o l’animale muore poco dopo la nascita.

SALUTE

Il divario si riduce L’aspettativa di vita di uomini e donne nel mondo diventa sempre più simile. Gli uomini, che in genere vivono di meno, stanno raggiungendo le donne, probabilmente a causa della diminuzione del consumo di alcolici e tabacco. L’analisi è stata condotta sulla popolazione di 194 paesi tra il 1990 e il 2010. Le previsioni al 2030 fanno pensare che la tendenza continuerà, ma che non sarà sufficiente a colmare il divario, scrivono gli autori dello studio su PlosOne.

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Il diario della Terra Il nostro clima

Distribuzione delle piante usate dagli esseri umani Stime della varietà di specie per 400 km2

Ghiacciai senza tappo

S. PIRONON ET AL. (SCIENCE)

0-154 155-318 319-502 503-686 687-860 861-1.005 1.006-1.219 1.220-.1414 1.415-1.659 1.660-2.612

Piante Le regioni del mondo con la maggiore diversità floristica sono anche quelle dove le persone usano una grande varietà di piante, raccolte in natura o coltivate. Proteggere le piante utili permetterebbe di conservare la biodiversità e aiutare le popolazioni locali. La ricerca, pubblicata su Science, ha incluso oltre 35mila specie impiegate nell’alimentazione, nella medicina e per produrre mangimi, materiali da costruzione o combustibile. Le regioni tropicali sono quelle dove si usa il maggior numero di specie. Alcune zone dell’America centrale, il Corno d’Africa e l’Asia meridionale hanno una grande diversità di piante, ma poche aree protette.

In Europa torna il morbillo Freddo Almeno 89 persone sono morte assiderate o in incidenti provocati dal gelo a causa dell’ondata di freddo che ha investito gli Stati Uniti. Alluvioni Secondo le Nazioni Unite almeno 350mila persone hanno bisogno di aiuti umanitari urgenti a causa delle inondazioni nel bacino del Congo. Valanghe Quattro alpinisti sono morti a causa delle valanghe nel nord dell’Iran. Terremoti Un sisma di magnitudo 7,1 ha colpito la provincia dello Xinjiang, nel nor-

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dovest della Cina, uccidendo almeno tre persone.

CNSPHOTO/REUTERS/CONTRASTO

Radar

Caldo Un’ondata di caldo record legata al fenomeno meteorologico detto El Niño ha investito la Colombia con temperature fino a quaranta gradi, favorendo lo scoppio di diversi incendi. Morbillo L’Organizzazione mondiale della sanità ha avvertito che nel 2023 in Europa sono stati registrati 42.200 casi di morbillo, un numero 45 volte maggiore rispetto all’anno precedente. I paesi più colpiti sono Russia e Kazakistan. Il motivo sarebbe il calo delle vaccinazioni durante la pandemia di covid. Frane Una frana ha ucciso almeno 31 persone in un villaggio nella provincia dello Yunnan, nel sudovest della Cina (nella foto). ◆ Due persone so-

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no morte in una frana sull’isola di Mindanao, nelle Filippine. Siccità Il governo portoghese ha annunciato l’introduzione di limiti al consumo di acqua nella provincia meridionale dell’Algarve, dov’è in corso la peggiore siccità di sempre. Vulcani Le autorità islandesi hanno dichiarato conclusa l’eruzione nella penisola di Reykjanes. NEWSLETTER Pianeta è la newsletter settimanale di Gabriele Crescente con le ultime notizie sulla crisi climatica e sull’ambiente. Per riceverla: internazionale.it/newsletter

◆ Secondo uno studio statunitense, finora lo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia dovuto al cambiamento climatico potrebbe essere stato sottovalutato. La calotta glaciale dell’isola si sarebbe infatti ridotta ai margini più di quanto stimato. Lo studio, pubblicato su Nature, ha analizzato migliaia d’immagini satellitari. Tra il 1985 e il 2022 la Groenlandia ha perso oltre mille miliardi di tonnellate di ghiaccio, un’area di circa cinquemila chilometri quadrati, il 20 per cento in più di quanto si pensasse. Il ghiacciaio che si è ridotto di più è lo Zachariæ, seguito dal Jakobshavn e dall’Humboldt. Ma quasi tutti i ghiacciai groenlandesi si sono sciolti in modo significativo. I più vulnerabili sembrano essere quelli che hanno ampi cicli stagionali, con un avanzamento in inverno e un ritiro in estate. La perdita della parte terminale dei ghiacciai accelera lo scioglimento di quella restante: quando la fronte si stacca, l’acqua di mare si infiltra, riducendo l’attrito fra il ghiaccio e la roccia sottostante. “È come se si togliesse il tappo dal fiordo, permettendo al ghiaccio di scorrere più velocemente nell’oceano”, ha detto Chad Greene, ricercatore del Jet propulsion laboratory della Nasa e autore principale dello studio. Poiché il ghiaccio perso si trovava in gran parte sotto il livello del mare, il suo scioglimento ha avuto un effetto minimo sull’innalzamento degli oceani, ma il fenomeno ha comunque un impatto considerevole sulla salinità e sulle correnti marine.

Il pianeta visto dallo spazio 19.09.2023

I monti Aladaghlar, in Iran

Nord

Autostrada Zanjan-Tabriz

EARTHOBSERVATORY/NASA

Fiume Qezel Ozan

◆ Questa immagine dell’aspro panorama dei monti Aladaghlar, nel nordovest dell’Iran, è stata scattata da un astronauta a bordo della Stazione spaziale internazionale. Le creste delle montagne proiettano ombre nelle valli e nelle altre zone a bassa altitudine, creando un aspetto tridimensionale. Le alterazioni del paesaggio di origine umana sono visibili soprattutto nei letti dei fiumi, più pianeggianti e accessibili.

Le linee curve visibili nella foto sono strati di roccia composti da minerali diversi, piegati nel corso di milioni di anni dai processi naturali. La curvatura è l’effetto delle forze tettoniche che operano nel punto d’incontro tra la placca eurasiatica e quella araba. La convergenza di queste placche solleva, piega e deforma gli strati di roccia colorata, e in seguito l’erosione li porta alla luce. Sulla sinistra dell’immagi-

Le linee curve sono il risultato delle forze tettoniche al confine tra la placca eurasiatica e quella araba, che hanno deformato gli strati di roccia



ne si distingue il fiume Qezel Ozan, uno dei principali corsi d’acqua dell’Iran settentrionale. Lungo le sponde, strette tra i fianchi delle montagne, sono visibili campi coltivati. Il fiume è attraversato dall’autostrada Zanjan-Tabriz, un’importante via di comunicazione costruita nel letto di un fiume prosciugato che unisce la capitale Teheran a Tabriz, capoluogo della provincia dell’Azerbaigian orientale.–Nasa

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SONGPHOL THESAKIT (GETTY)

Economia e lavoro

FINANZA

I fondi d’investimento mirano alle grandi opere The Economist, Regno Unito Approfittando delle difficoltà finanziarie dei governi, investitori privati come il fondo statunitense BlackRock stanno mettendo le mani su infrastrutture fondamentali econdo Larry Fink l’economia globale è sulla soglia di una “rivoluzione delle infrastrutture”. Il presidente della BlackRock, il più grande fondo di gestione patrimoniale del mondo, ha espresso questa pacata previsione il 12 gennaio 2024, dopo aver annunciato che la sua azienda avrebbe comprato la Global Infrastructure Partners (Gip) per 12,5 miliardi di dollari. La Gip, guidata da Adebayo Ogunlesi, amico di Fink dai tempi in cui entrambi lavoravano nel settore bancario, è il terzo investitore in infrastrutture al mondo, dopo l’australiana Macquarie e la canadese Brookfield. Le sue attività vanno dall’aeroporto di Gatwick a Londra al porto di Melbourne. Ogunlesi e i suoi soci diventeranno il secondo azionista della BlackRock.

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Fink non è l’unico entusiasta del settore. Il 16 gennaio il fondo d’investimenti General Atlantic ha confermato l’acquisto della Actis, un investitore in infrastrutture specializzato nei mercati emergenti. A settembre il fondo Cvc ha comprato l’olandese Dif. Secondo la società di analisi dei dati Preqin, negli ultimi dieci anni il patrimonio gestito dai fondi infrastrutturali è quasi quintuplicato, raggiungendo i 1.300 miliardi di dollari. I fondi pensione e i gestori di fondi sovrani sono stati attirati dai rendimenti del settore, al tempo stesso interessanti e relativamente stabili. Più della metà dei finanziatori intervistati dalla Preqin intende aumentare la quota dei propri portafogli destinata alle infrastrutture. Questo settore degli investimenti è in espansione dagli anni novanta. A causa dei debiti crescenti, i governi occidentali hanno deciso di cercare investitori privati che acquisissero e contribuissero ad ammodernare infrastrutture obsolete: dagli aeroporti alle ferrovie fino alle condotte idriche. In seguito, osserva Sam Pollock, il responsabile del settore per le infrastrutture della Brookfield, molte al-

tre aziende, dai fornitori di energia agli operatori di telecomunicazioni, si sono rivolte ai fondi infrastrutturali per liberarsi di beni come oleodotti e torri per la telefonia mobile. Oggi, continua Pollock, la richiesta di questi investimenti è in aumento grazie a tre tendenze. In primo luogo la decarbonizzazione: perché il mondo possa raggiungere gli obiettivi fissati per il clima, fino al 2030 bisognerà investire ottomila miliardi di dollari nelle fonti d’energia rinnovabili, nelle batterie e nelle linee di trasmissione. Saranno inoltre necessarie enormi somme per i sistemi di rimozione dell’anidride carbonica e per impianti a idrogeno destinati a produrre carburante pulito per aerei e navi. La seconda tendenza è la digitalizzazione: i software si staranno anche mangiando il mondo, ma per farlo hanno bisogno di molte opere, dai cavi in fibra ottica alle reti 5g. La terza tendenza è la deglobalizzazione: gli sforzi per spostare le catene di forniture fuori dalla Cina stanno stimolando la domanda di fabbriche affamate di capitale e di nuove infrastrutture per trasportare le merci via terra e via mare. In Europa i timori per la sicurezza energetica dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia hanno generato una corsa alla costruzione di terminali di gas naturale liquefatto.

Bilanci sotto pressione La domanda d’investimenti di questo tipo arriva in un momento in cui i bilanci dei governi e delle imprese sono sotto pressione. Si prevede che il debito pubblico federale statunitense, pari a 26mila miliardi di dollari (il 98 per cento del pil), continuerà a crescere nel prossimo decennio. Anche molti governi europei hanno un debito pesante. L’aumento dei tassi rende più costosi gli interessi legati a queste passività e complica la vita alle aziende. La necessità di ridurre l’indebitamento limiterà la loro capacità di fare grandi investimenti nei prossimi anni. I fondi infrastrutturali sono pronti a colmare il vuoto. Nel 2022 la Intel si è rivolta alla Brookfield per finanziare il 49 per cento di una nuova fabbrica di processori da trenta miliardi di dollari negli Stati Uniti. Finora la maggior parte degli investitori in infrastrutture si è concentrata sui paesi ricchi, dove i governi sono più affidabili e le valute più stabili. Secondo i dati della Preqin, più di quattro quinti delle

FRANCIA

AZIENDE

Una multa per Amazon

Azioni sovversive

La Commission nationale de l’informatique et des libertés (Cnil), il garante francese per la privacy, ha inflitto ad Amazon una multa di 32 milioni di euro per “l’eccessiva sorveglianza” esercitata sui suoi dipendenti, scrive la Bbc. Secondo la Cnil, Amazon France Logistique, l’azienda che gestisce i magazzini francesi del colosso statunitense, archiviava i dati registrati dagli scanner portatili usati dai lavoratori. Lo scopo era seguirne l’attività nei minimi dettagli e chiedere spiegazioni su ogni interruzione ritenuta “sospetta”. Amazon ha annunciato che farà ricorso contro la multa. NEWSLETTER Economica è la newsletter settimanale a cura di Alessandro Lubello che racconta cosa succede nel mondo dell’economia. Per riceverla: internazionale.it/newsletter

Parigi, Francia

BENJAMIN GIRETTE (BLOOMBERG/GETTY)

attività gestite da questo settore si trovano sui mercati occidentali. L’esigenza di nuove infrastrutture è tuttavia più forte nel sud del mondo, dove sia la popolazione sia le economie crescono più rapidamente. “Gli investimenti nei mercati emergenti rappresentano una grande opportunità per noi”, afferma Raj Rao, uno dei fondatori della Gip. Leigh Harrison, responsabile degli investimenti infrastrutturali della Macquarie, sottolinea che la sua azienda sta aumentando la quota di fondi da destinare a questi mercati. Nonostante la crescente importanza del settore per l’economia globale, non mancano i detrattori. Nel Regno Unito la Macquarie è stata criticata per come ha amministrato la Thames Water, l’azienda che gestisce le forniture idriche di Londra e dintorni. Nel periodo in cui è stata proprietaria dell’azienda, dal 2006 al 2017, la Macquarie ha triplicato i debiti della Thames Water, portandoli a undici miliardi di sterline (12,8 miliardi di euro), ma realizzando un enorme profitto per sé e per gli altri azionisti. Da allora l’azienda, appesantita da questi debiti, ha faticato a trovare i soldi necessari per riparare le tubature rotte e ridurre l’immissione delle acque reflue nei fiumi. Harrison sostiene che durante la gestione della Macquarie sono stati investiti nell’azienda 1,6 miliardi di euro all’anno, più che in qualsiasi altro periodo precedente. Tuttavia, ammette che quando la Macquarie ha comprato la Thames Water “i mercati erano molto diversi” , e che oggi la sua società non appesantisce più di debiti le sue attività come faceva in passato. In un mondo in cui il debito è sempre più costoso, gli investitori in infrastrutture non guadagnano con strumenti d’ingegneria finanziaria, ma grazie a una gestione più intelligente dei patrimoni. Harrison osserva che la Macquarie sta aumentando il numero di esperti del settore. “Il nostro valore aggiunto consiste nella capacità di apportare un maggior rigore operativo a un’attività”, afferma Rao, della Gip. Il manager fa l’esempio di Gatwick, dove il fondo si è concentrato sulla velocizzazione dei controlli di sicurezza, lasciando ai viaggiatori più tempo per rilassarsi e per fare acquisti prima del volo. Anche le aziende del settore delle infrastrutture, ormai, trovano che sia un piacere anche solo andarsene in giro a fare spese. u gim

Il gruppo energetico statunitense Exxon Mobil ha avviato un’azione legale contro due suoi azionisti, Arjuna Capital e Follow This, gruppi che si battono per un’accelerazione dei piani per abbandonare le fonti fossili. Come spiega il Wall Street Journal, l’obiettivo è bloccare una mozione che Arjuna Capital e Follow This vogliono sottoporre alla prossima assemblea degli azionisti, a cui proporranno nuovi piani per ridurre le emissioni del gruppo e dei suoi clienti. La Exxon sostiene che la mozione non va presentata, perché viola le regole dell’autorità di borsa. Il gruppo conta di azzerare le emissioni entro il 2050. u

Micro Stefano Feltri

Meglio riposare L’economista Augustín Velásquez, in un documento appena pubblicato dal Fondo monetario internazionale (Fmi), ha studiato la relazione tra la globalizzazione e le ore lavorate. La riduzione delle barriere doganali, delle tariffe e dei costi di trasporto favorisce l’aumento del pil e quindi fa crescere il reddito delle famiglie. Lo studio ha analizzato un campione di paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo

economico (Ocse) dal 1950 al 2014. Quando il reddito che è possibile ottenere da un’ora aggiuntiva di lavoro sale – perché è aumentata la sua produttività o perché è cambiato il contesto – una persona può scegliere di lavorare più ore (perché il riposo comporta un sacrificio monetario maggiore) o di ridurre le ore lavorate mantenendo lo stesso reddito di prima. Velásquez stima che la seconda scelta sia stata quella domi-

nante e che con la globalizzazione abbiamo guadagnato, a seconda del paese, tra le 19 e le 91 ore di tempo libero all’anno. Anche altri fattori hanno contribuito a ridurre le ore lavorate in questi decenni, ma la globalizzazione ha pesato tra il 2,5 e il 15,1 per cento. La spiacevole implicazione è che nel mondo meno globalizzato, plasmato da nuove tensioni geopolitiche, potrebbe toccarci lavorare di più. u

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Lo shop di Internazionale

shop.internazionale.it

Strisce

War and Peas E. Pich e J. Kunz, Germania

MA CHE . . .

PERCHÉ È FINITA DI NUOVO LA CARTA IGIENICA?

NON NE HO IDEA , AMORE.

LA SERA PRIMA . BOH , NEANCH'IO.

Peanuts, 1960 Charles M. Schulz, Stati Uniti

Buni Ryan Pagelow, Stati Uniti

OH . . . MERDA .

no! no! no! cosi non va!

se vuoi imparare a contare, sally, devi essere attenta...

in questa fotografia ci sono delle barche... dimmi quante ne vedi...

tutte!

Mafalda, 1964 Quino, Argentina

PEANUTS ©PEANUTS WORLDWIDE LLC. DIST. DA ANDREWS MCMEEL SYNDICATION. RIPRODUZIONE AUTORIZZATA. TUTTI I DIRITTI RISERVATI

© 2023, SUCESORES DE JOAQUÍN S. LAVADO (QUINO)

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L’oroscopo

Rob Brezsny

CANCRO

BILANCIA

“Nella vita non esistono segnali stradali”, scrive l’autrice Holly Hickler. Non sono d’accordo con lei, soprattutto per quanto riguarda il tuo imminente futuro. Anche se forse non troverai veri cartelli con le indicazioni che ti servono, incontrerai segnali metaforici chiari e forti. Non lasciarteli sfuggire, Cancerino, anche se potrebbero non corrispondere alla tua idea di come dovrebbero essere. Espandi la tua concezione di segnale stradale.

Ho scelto una poesia che dovresti attaccare al tuo frigo per i prossimi due mesi. È del monaco zen cinese del tredicesimo secolo Wumen Huikai: “Diecimila fiori in primavera, la luna in autunno, / la brezza fresca in estate, la neve in inverno. / Se la tua mente non è offuscata da cose inutili, ognuna è la stagione migliore della tua vita”. Il mio augurio per te, Bilancia, e anche la mia previsione, è che sarai più capace di svuotare la tua mente dalle cose inutili. Sarai più felice che mai di concentrarti sui pochi elementi essenziali che affascinano il tuo cuore selvaggio e la tua tenera anima.

“Scrivere bene è come nuotare sott’acqua e trattenere il respiro”, diceva Francis Scott Fitzgerald. Vorrei allargare questa metafora e applicarla a te, Acquario. Prevedo che nelle prossime settimane penserai e prenderai decisioni come se nuotassi sott’acqua trattenendo il respiro. Intendo dire che otterrai risultati migliori facendo ciò che ti sembra innaturale. Per entrare nello stato d’animo giusto devi avere il coraggio di scendere sotto la superficie e imparare a muoverti in profondità.

L’autrice dell’Ariete Dani Shapiro ha pubblicato diversi romanzi, tre libri autobiografici e una serie di articoli. Ha contribuito alla fondazione di un’associazione di scrittori, insegna nelle migliori università e tiene un podcast. Possiamo concludere che è una persona di successo. Ecco il suo segreto: pensa che avere coraggio sia più importante che essere sicuri di sé. Intraprendere un’azione coraggiosa per realizzare i propri desideri è più importante che avere fiducia in se stessi. Nelle prossime settimane ti propongo di applicare i suoi princìpi alle tue ambizioni. TORO

ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI

Nel corso della storia non c’è mai stata una cultura senza credenze religiose, mitiche e soprannaturali. La grande maggioranza delle persone ha sempre creduto nella magia e in qualche divinità. Significa che è tutto vero? Certo che no. Ma non significa nemmeno che nulla di tutto questo sia vero. Gli ultrarazionalisti che rifiutano la spiritualità sono degli arroganti. Tutto questo è il preludio al mio oracolo per te: alcune cose che succederanno nelle prossime tre settimane saranno frutto della magia e del divino. Il tuo compito è capire quali sono. GEMELLI

Diverse persone sagge mi hanno assicurato che la ricerca della ricchezza, del potere, della popolarità e della felicità non è importante quanto la ricerca di un significato. Se senti che la tua vita è interessante, ricca e ha uno scopo sei una persona di successo. Questo tema sarà fondamentale nei prossimi mesi, Gemelli. Se hai

LEONE

Uno dei messaggi principali del mio libro La pronoia è l’antidoto alla paranoia riguarda l’importanza di cercare attivamente il meglio dalla vita e considerare i problemi come potenziali opportunità. Mentre lavoravo al libro, nessuno più di me aveva bisogno di un simile consiglio! Oggi ho ancora molta strada da fare per diventare un abile ottimista. Mi capita di avere pensieri cupi e preoccupazioni, magari irrazionali o slegate dalla realtà. In altre parole sto cercando di imparare le stesse cose che sono stato chiamato a insegnare. Qual è l’equivalente di questo nella tua vita, Leone? È un ottimo momento per migliorare la tua abilità di esprimere le attitudini e la consapevolezza che vorresti avessero tutti. VERGINE

Nel 1951 il regista Akira Kurosawa realizzò un film trat-

SCORPIONE

Lo psicologo Carl Jung ha scritto: “L’amore materno è uno dei ricordi più commoventi e indimenticabili della nostra vita, la radice misteriosa di ogni crescita e cambiamento. È un amore che evoca il ritorno a casa, un rifugio, e il lungo silenzio da cui tutto comincia e in cui tutto finisce”. Per allinearti agli attuali ritmi cosmici, Scorpione, fai tutto ciò che è necessario per avere la benedizione descritta da Jung. Se tua madre non è disponibile o è inadatta per questa profonda immersione, trova altre fonti di maternità. Prendi in prestito un’anziana saggia o immergiti nell’adorazione della Dea. Crogiolati nel calore che ti accoglie e ti ama esattamente per come sei e ti fa sentire a casa nel mondo.

SAGITTARIO

Con una serie di esperimenti, il medico ed etologo russo Ivan Pavlov insegnò ai cani una risposta automatica a un certo stimolo. Mentre gli dava da mangiare, suonava un campanello. Dopo un po’ i cani cominciavano a salivare quando sentivano il campanello, anche se non gli veniva dato niente da mangiare. Da allora, il “riflesso di Pavlov” è l’espressione che indica la facilità con cui può essere condizionata la natura istintiva degli animali. Chissà cosa sarebbe successo se Pavlov avesse usato i gatti. I felini si sarebbero sottomessi ai suoi inganni scientifici? Ne dubito. Ti esorto a essere più simile a un gatto che a un cane nelle prossime settimane. Resisti a ogni tentativo di addestramento o manipolazione. CAPRICORNO

Il primo libro della poeta Louise Glück, Firstborn, fu rifiutato da 28 editori. Dopo la pubblicazione le venne il blocco della scrittrice. Il volume successivo sarebbe apparso solo otto anni dopo il primo. Per il terzo avrebbe impiegato cinque anni, e il quarto ne avrebbe richiesti altri cinque. Ecco il lieto fine: quando è morta, all’età di 80 anni, aveva pubblicato 21 libri e vinto il premio Pulitzer e il Nobel per la letteratura. Secondo i miei calcoli sei in una fase simile al tempo trascorso dopo il quarto libro di Glück: preparato, ben attrezzato e pronto a fare grandi progressi. PESCI

In questo momento cruciale della tua vita ti propongo quattro riflessioni. 1) Liberati da una storia che si è ripetuta troppe volte. Concediti un bel pianto e poi ridi di quanto è diventata noiosa questa storia. 2) Finisci di pagare il tuo debito karmico con qualcuno che hai ferito. Cambia te stesso per essere sicuro di non comportarti mai più in quel modo. 3) Puoi perdonare quelli che ti hanno ferito se perdoni te stesso per essere stato vulnerabile. 4) Ogni volta che ti spogli di un’illusione, vedrai chiaramente come ti hanno influenzato le illusioni degli altri.

Internazionale 1547 | 26 gennaio 2024

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mai fantasticato che il tuo destino somigli a un antico mito, a una fiaba, a un romanzo di mille pagine o a un film epico, realizzerai il tuo desiderio.

to dall’Idiota, un romanzo di Fëdor Dostoevskij, che era il suo autore preferito. Kurosawa non era ancora famoso e influente. Per questo accettò la richiesta dello studio di tagliare 99 minuti dalla versione originale del film che ne durava 265. Ma si rivelò una cattiva idea, perché gli spettatori avevano difficoltà a seguire la storia così tagliata. Di conseguenza, la maggior parte delle recensioni dei critici fu negativa. Te lo dico, Vergine, per due motivi: per incoraggiarti a fare piccole modifiche al tuo capolavoro ma anche a non accettare niente di simile all’ampia revisione di Kurosawa.

ACQUARIO

ARIETE

COMPITI A CASA

Liberati dal peso di dover essere all’altezza di aspettative che non ti piacciono.

SCHOT, PAESI BASSI

L’ultima

MATT, REGNO UNITO

Joe Biden: la soluzione a due stati non è irraggiungibile. A Benjamin Netanyahu, dietro il muro del pianto: “Ti prego ascolta, amico mio…”.

MOUGEY, FRANCIA

“Spero che l’operazione alla prostata di re Carlo non sarà ricordata con una serie speciale di francobolli”.

ALI

FLAVITA BANANA, SPAGNA

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz partecipa alle manifestazioni contro l’estrema destra. “Ma il governo cosa fa?”.

“Ripeti con me: ‘Sono una nomade digitale’”.

“Dobbiamo riuscire a finire almeno un film, così avremo qualcosa per cui fare il tifo agli Oscar”.

Le regole Parlare di Chiara Ferragni 1 Far finta di non sapere chi sia non è più accettabile. 2 Oltre al pandoro, studia la questione uova di Pasqua. 3 Stanco di parlare di lei? Sposta il discorso su Fedez. 4 Stanco di parlare di loro? Sposta il discorso sull’ossessione di Giorgia Meloni per loro. 5 Il fatto che lei abbia riattivato i commenti ai suoi post non significa che tu devi diventare uno hater.

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