Internazionale 19/25 gennaio 2024. Numero 1456. All'ombra dell'Olocausto

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19/25 gennaio 2024 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo

n. 1546 • anno 31

internazionale.it

4,50 €

Inchiesta Il mistero delle radio che danno i numeri

Reportage Il Nagorno Karabakh non esiste più

Canada La rivolta degli inquilini di Toronto

All’ombra dell’Olocausto Come la politica della memoria in Europa oscura quello che vediamo oggi in Israele e a Gaza

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19/25 gennaio 2024 • Numero 1546 • Anno 31 “La lotta ha delle conseguenze”

Sommario La settimana

JASON MCBRIDE A PAGINA 40

19/25 gennaio 2024 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo

n. 1546 • anno 31

internazionale.it

4,50 €

Inchiesta Il mistero delle radio che danno i numeri

Reportage Il Nagorno Karabakh non esiste più

Canada La rivolta degli inquilini di Toronto

IN COPERTINA

All’ombra dell’Olocausto

Spietato SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03 ART 1, 1 DCB VR • AUT 12,90 € • BE 8,60 € CH 10,30 CHF • CH CT 10,00 CHF D 11,00 € • PTE CONT 8,30 € • E 8,30 €

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All’ombra dell’Olocausto

Come la politica della memoria in Europa oscura quello che vediamo oggi in Israele e a Gaza (p. 86). Foto di Paolo Pellegrin (Magnum/Contrasto)

Come la politica della memoria in Europa oscura quello che vediamo oggi in Israele e a Gaza

Giovanni De Mauro ISRAELESUDAFRICA

18 Un momento storico per il diritto internazionale L’Orient-Le Jour GERMANIA

22 I trattori invadono le città tedesche Die Tageszeitung COREA DEL SUD

24 L’attore suicida vittima di una società intollerante The Diplomat STATI UNITI

27 Un successo economico invisibile The Economist COLOMBIA

28 Le attiviste di Medellín contro i femminicidi El País VISTI DAGLI ALTRI

30 Lotta di potere

32

NAGORNO KARABAKH

ECONOMIA E LAVORO

46 Il paese perduto

100 La difficile scelta

De Groene Amsterdammer

tra ambiente ed economia Bloomberg

SCIENZA

52 Ti aspettavo con ansia New Scientist

Cultura 76

Schermi, libri, suoni

Le opinioni

INCHIESTA

56 Codici misteriosi Le Monde RITRATTI

62 Alma Pöysti. I silenzi giusti Libération VIAGGI

64 Esplorando

14

Alice Rohrwacher

34

Jayati Ghosh

36

Anthony Samrani

76

Giorgio Cappozzo

78

Nadeesha Uyangoda

80

Giuliano Milani

84

Claudia Durastanti

101 Stefano Feltri

il Pantanal Folha de S. Paulo

Le rubriche 6

Dalla redazione di Internazionale

14

Posta

PORTFOLIO

66 Lettere per il futuro Marieke van der Velden e Philip Brink

17

Editoriali

95

Poesia

103 Strisce 105 L’oroscopo

GRAPHIC JOURNALISM

106 L’ultima

72 Cartoline da Barcellona Claudio Marinaccio

a destra in vista delle europee Financial Times L’anima punk che tenne viva Palermo Die Tageszeitung

74 Resistenza

CANADA

96 Le città ritrovate

Articoli in formato mp3 per gli abbonati

MUSICA

musicale A2 SCIENZA

38 La rivolta degli inquilini Maclean’s

Internazionale Kids è in edicola

dell’Amazzonia Science

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Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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internazionale.it/sommario

Intervistato dal Guardian alla vigilia della lunga campagna elettorale statunitense che rischia di riportare alla presidenza Donald Trump, il senatore democratico Bernie Sanders è sconsolato. “Stiamo affrontando una serie di crisi senza precedenti. Il clima: non sappiamo se riusciremo a ridurre le emissioni di carbonio per garantire un pianeta abitabile ai nostri nipoti. La crescita dell’oligarchia: un piccolo numero di uomini molto ricchi controlla la vita economica e politica di miliardi di persone. La democrazia: è gravemente minacciata da quelli che sfruttano le paure della gente”. Fino a poco tempo fa, osserva il Guardian, Sanders era preso in giro per i suoi discorsi. Oggi nessuno ride più di lui. Due guerre, una catastrofe umanitaria a Gaza, grandi aree del Nordamerica in fiamme, la crescita impressionante delle disuguaglianze. Come ha scritto il New Yorker, “la realtà è dalla parte di Bernie Sanders”. E anche l’ultimo rapporto di Oxfam. La ricchezza dei miliardari è cresciuta in tre anni di 3.300 miliardi di dollari in termini reali, un aumento del 34 per cento rispetto all’inizio del decennio, con un tasso di crescita tre volte superiore all’inflazione. Invece gli stipendi di quasi 800 milioni di lavoratori in 52 paesi sono diminuiti in termini reali di 1.500 miliardi di dollari nel biennio 20212022, quasi uno stipendio mensile in meno per ogni lavoratore. Entro dieci anni potrebbe esserci il primo essere umano ad avere mille miliardi di dollari. Ai ritmi attuali ci vorrebbero invece più di due secoli per portare l’incidenza della povertà sotto l’1 per cento. Secondo Oxfam, mentre i cinque uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato la loro ricchezza dal 2020, cinque miliardi di persone sono diventate ancora più povere. Commentando proprio questi numeri, Sanders ha citato Martin Luther King Jr: “Spesso in America abbiamo il socialismo per i ricchi, e lo spietato capitalismo d’impresa per i poveri”. u

Dalla redazione di Internazionale Per ritrovare gli articoli di cui si parla in questa pagina si può usare il codice qr o andare qui: intern.az/1IPA

Internazionale.it Video

Articoli MEDIO ORIENTE

MUSICA

La tensione tra Stati Uniti e Iran sta degenerando L’escalation del conflitto prosegue e negli ultimi giorni si è intensificata.

Perdersi nelle trame del nuovo disco degli Smile La recensione del nuovo disco della band di Thom Yorke e Jonny Greenwood, le due principali menti creative dei Radiohead.

VIOLENZA CONTRO LE DONNE

ARTE

Un trauma lungo trent’anni Era la fine degli anni novanta. Lavoravo in un locale. Una sera non sono riuscita a fermarlo.

Un mese senza alcol Tra i dieci paesi del mondo in cui si beve di più, nove sono nell’Unione europea. Emerge però una nuova tendenza: sempre di più i giovani stanno abbracciando iniziative, come il dry january, per ridurre il consumo di bevande alcoliche. Il video di Arte spiega cosa dicono gli esperti al riguardo.

CINEMA

I fantasmi di Viaggio in Giappone danno serenità Un film breve ma intenso, semplice e profondo, anche quando gioca con gli stereotipi e i luoghi comuni su altri paesi e popoli.

L’elefante nella stanza “Il mio fidanzato mi ha lasciato da poco. Mi ha confessato che ha una dipendenza dalle orge e non può essere presente come vorrei”.

Newsletter Pianeta Le notizie sulla crisi climatica e ambientale. A cura di Gabriele Crescente. Artificiale Cosa succede nel mondo dell’intelligenza artificiale. Ogni venerdì, a cura di Alberto Puliafito. Frontiere La newsletter sulle migrazioni. A cura di Annalisa Camilli. Ogni lunedì.

6

SESSO

Podcast Il continente sommerso ◆ “Di sicuro saprete che la Terra è divisa in continenti”, scrive Muse, rivista statunitense per ragazze e ragazzi. “Africa, Asia, Europa, America, Oceania, Antartide… e Zealandia. Aspetta, non avete mai sentito parlare della Zealandia? C’è un motivo: si trova due chilometri sott’acqua”.

ECONOMIA

L’anno di Taylor Swift I suoi concerti hanno talmente successo che sono un affare anche per le città che li ospitano. ATTUALITÀ

Cosa dire della guerra In Belgio gli insegnanti si chiedono se parlare in classe del conflitto in Medio Oriente. CONFRONTO

Chi dovrebbe scegliere la musica in macchina? Per alcuni l’autista, per altri il passeggero. Votate!

Mediorientale Cosa succede in Medio Oriente. A cura di Francesca Gnetti. Ogni mercoledì. Internazionale ha diciassette newsletter. Per scoprirle tutte e iscriverti: internazionale.it/newsletter

CINEMA

La crisi del Libano in due film Due opere che aiutano a capire la situazione e il ruolo dell’arte in contesti del genere.

AMBIENTE

Avventure nel bosco Dondolarsi su un’amaca è più divertente che stare sul divano. PORTFOLIO

In edicola

Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

Come si vive in Lapponia Le foto di Natalya Saprunova.

◆ Il Mondo è il podcast quotidiano di Internazionale: ogni giorno due notizie scelte e raccontate dai giornalisti e dalle giornaliste della redazione e dalle persone che collaborano con Internazionale. Il Mondo è disponibile tutte le mattine, dal lunedì al venerdì, a partire dalle 6.30, sulle principali piattaforme di ascolto e sul sito di Internazionale al link internazionale.it/ilmondo.

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Immagini Selfie democratico Taipei, Taiwan 13 gennaio 2024 Un gruppo di sostenitori di Lai Chingte, vicepresidente uscente e candidato del Partito democratico progressista che ha vinto le elezioni presidenziali a Taiwan, festeggia l’esito del voto davanti alla sede del partito a Taipei. Nel suo discorso dopo i risultati definitivi Lai, che in passato si era espresso a favore dell’indipendenza, ha detto di voler collaborare con la Cina, il principale partner commerciale di Taiwan, e mantenere la pace e la stabilità, senza però farsi intimidire da Pechino. Foto di Yasuyoshi Chiba (Afp/Getty)

Immagini Rifate le valigie Grindavík, Islanda 14 gennaio 2024 Una colata di lava a poca distanza da Grindavík, nel sudovest dell’Islanda. I quattromila abitanti della cittadina, già evacuata a novembre per l’eruzione del vulcano Sundhnúkur, hanno dovuto lasciare nuovamente le loro case dopo l’apertura di un’altra fessura. La lava ha superato le barriere costruite dopo la prima eruzione, raggiungendo il centro abitato e distruggendo alcuni edifici. Il sistema vulcanico della penisola di Reykjanes si è risvegliato nel 2020 dopo ottocento anni di inattività. Da allora ha già eruttato cinque volte. Foto di Halldór Kolbeins (Afp/Getty)

Immagini Tiro alla fune Nairobi, Kenya 16 gennaio 2024 Veterinari e ranger cercano di tenere fuori dall’acqua la testa di un rinoceronte che è finito per sbaglio in un torrente dopo essere stato sedato. Il 16 gennaio vicino a Nairobi, la capitale del Kenya, sono cominciate le operazioni per spostare 21 rinoceronti neri di tre riserve troppo affollate in un’ampia area protetta nel nord. Nonostante i rischi, il trasferimento è considerato necessario per controllare la popolazione di questi animali (circa mille in tutto il Kenya) e tenere lontani i bracconieri. Nel 2018 un precedente tentativo era fallito ed erano morti undici rinoceronti. Foto di Luis Tato (Afp/Getty)

[email protected] Rane u L’editoriale di Giovanni De Mauro dell’ultimo numero (Internazionale 1545) è condivisibile, ma sarebbe stato meglio usare una metafora diversa da quella delle rane che si cuociono lentamente nell’acqua, anche perché in realtà è tutta umana e se le rane potessero proporrebbero una tesi molto diversa. Sergio Sinigaglia

In fondo al pozzo u Grazie a Zerocalcare per il fumetto su Ilaria Salis (Internazionale 1545) che ci aiuta a riflettere sulla responsabilità individuale, a cogliere la complessità del reale da altre prospettive e a non dimenticarci di Ilaria. Andrea Gallina u Ho scoperto la vicenda di Ilaria Salis da una notizia breve sul sito dell’Ansa e sono rimasta senza parole nello scoprire che è imprigionata in modo disumano da circa un anno in Ungheria. Non ne sa-

pevo nulla. Quando è arrivato l’ultimo numero di Internazionale a casa sono stata felice di vedere che Zerocalcare ha dedicato il suo fumetto a Ilaria Salis e alla vicenda del “giorno dell’onore” dell’anno scorso a Budapest. Mi chiedo in che paese sto facendo crescere i miei figli se le notizie in prima pagina riguardano solo l’operato del governo, i reality show e il ruolo degli influencer. Grazie a Internazionale che mi aiuta a rimanere sempre connessa con i problemi reali del mondo. Tutti dovrebbero conoscere la storia di Ilaria Salis perché ha provato a manifestare contro l’odio indiscriminato dei neonazisti in Europa e si è fatta carico di una responsabilità civile indiscutibile: quella di combattere l’ingiustizia e il razzismo dilagante. Rosanna De Angelis

ternazionale 1518). Mi è tornato in mente in questi giorni in cui a Bologna sono cominciate a fioccare le multe per i nuovi limiti dei 30 chilometri orari imposti in molte vie della città. Prendendo il caso di Tokyo, sarebbe interessante capire come i cittadini giapponesi reagirono alle nuove norme che miravano a ridurre il numero di auto in circolazione. Immagino che avessero la possibilità di spostarsi adeguatamente in città. Da cittadina bolognese, ho la sensazione che tutti vorremmo vivere in città più verdi, meno rumorose e più vivibili, ma allo stesso tempo non sono così convinta che a Bologna esistano alternative alle auto per tutti. Claudia Errori da segnalare? [email protected]

La città senza automobili

PER CONTATTARE LA REDAZIONE

u Quest’estate ho letto con piacere un articolo sulla mobilità nella città di Tokyo (In-

Telefono 06 441 7301 Fax 06 4425 2718 Posta via Volturno 58, 00185 Roma Email [email protected] Web internazionale.it

Dear Daddy Claudio Rossi Marcelli

Un’ora a scelta Stiamo per iscrivere nostra figlia alla scuola elementare ed è arrivato il momento di decidere se esonerarla o meno dalle due ore settimanali di religione cattolica. Perseverante contraddizione in uno stato laico che dovrebbe educare alla diversità, anche religiosa. Da atei convinti siamo per l’esonero. D’altra parte non vogliamo che la bimba si senta esclusa dalla classe, dove tutti gli altri frequenteranno. Che fare? –Stefano Proprio questa settimana l’Unione degli atei, agnostici e ra-

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zionalisti (Uaar) ha diffuso dei dati del ministero dell’istruzione secondo cui, nell’anno scolastico 2022- 2023 il 15,5 per cento degli studenti italiani ha preferito un’alternativa all’ora di religione. Ed è una scelta che aumenta man mano che gli studenti crescono, visto che alle superiori sono quasi il doppio delle elementari. Lo scorso anno mi avevano colpito i dati del Trentino Alto-Adige, dove 35 anni fa gli studenti che sceglievano l’ora di religione erano il 97,7 per cento mentre oggi uno su cinque non la segue. La direzione in cui sta andando la nostra società è evidente,

Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

ma la libertà di scelta di oggi è anche il frutto del coraggio dei genitori (che all’inizio erano pochissimi) che per primi hanno iscritto i figli all’ora alternativa da quando è stata istituita, nel 1984. Oggi come allora si tratta di una scelta politica e dovete capire quanto conta per voi. Non è detto che passare un’ora da sola con un insegnante sia un’esperienza che farà sentire vostra figlia esclusa. E magari, sapendo di non essere gli unici, anche altri genitori seguiranno il vostro esempio. [email protected]

Un anno con

Alice Rohrwacher

Liberarsi dalle catene

u Stiamo preparando un piccolo film con l’artista JR sul mito della caverna di Platone. Lo gireremo in un teatro focolare dell’anima, il Théâtre des Bouffes du Nord, fondato nel 1974 dalla compagnia di Peter Brook in una music-hall abbandonata di Parigi. Ci entrai la prima volta a diciott’anni proprio per assistere a uno spettacolo di Brook, Le costume. Ricordo la messa in scena sospesa, essenziale e piena di vita. Dopo lo spettacolo mi misi a camminare come uno spirito per il quartiere, in preda a una nostalgia di vita non vissuta. Alle Bouffes du Nord sono tornata da poco per vedere La tendresse di Julie Berès con la compagnia Les Cambrioleurs. La regista ha intervistato ragazzi delle periferie parigine, ballerini di strada, rapper, sul loro legame con la mascolinità e la virilità. Sono stata travolta dall’energia dei ragazzi, che sulla scena si spogliano delle costruzioni sociali e si chiedono come essere uomini fuori dalla “fabbrica maschile”. Anche il mito della caverna di Platone racconta la condizione umana: siamo incatenati con gli occhi rivolti verso il fondo di una caverna, guardiamo delle ombre e le crediamo vere. La luce è alle nostre spalle. Platone profetizza che chi riesce a liberarsi dalle catene, a voltarsi verso l’uscita, viene deriso e preso per pazzo dagli altri prigionieri. Ma dev’essere sempre questo il finale? È ancora possibile immaginare un avvenire meno prevedibile?

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Editoriali

Equilibri delicati a Taiwan “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra filosofia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Editor Giovanni Ansaldo (opinioni), Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri), Gabriele Crescente (scienza, ambiente), Camilla Desideri (America Latina), Francesca Gnetti (Medio Oriente), Alessandro Lubello (economia), Alessio Marchionna (Stati Uniti), Stefania Mascetti (Europa, caposervizio) Andrea Pipino (Europa), Francesca Sibani (Africa), Junko Terao (Asia e Pacifico), Piero Zardo (cultura, caposervizio) Copy editor Giovanna Chioini (caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco Romano (coordinamento, caporedattore) Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web) Impaginazione Beatrice Boncristiano, Pasquale Cavorsi (caposervizio), Marta Russo Podcast Claudio Rossi Marcelli, Giulia Zoli (caposervizio) Web Annalisa Camilli, Simon Dunaway (notizie), Giuseppe Rizzo, Giulia Testa Internazionale Kids Alberto Emiletti, Martina Recchiuti (caporedattrice) Internazionale a Ferrara Luisa Ciffolilli Segreteria Monica Paolucci, Gabriella Piscitelli Correzione di bozze Lulli Bertini, Sara Esposito Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla fine degli articoli. Olga Amagliani, Alessandra Bertuccelli, Stefania De Franco, Francesco De Lellis, Andrea De Ritis, Susanna Karasz, Giusy Muzzopappa, Francesca Rossetti, Andrea Sparacino, Bruna Tortorella Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto grafico Mark Porter Hanno collaborato Giulia Ansaldo, Cecilia Attanasio Ghezzi, Francesco Boille, Jacopo Bortolussi, Daniele Cassandro, Catherine Cornet, Sergio Fant, Claudia Grisanti, Ikyung Hong, Anita Joshi, Alberto Riva, Concetta Pianura, Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pauline Valkenet Editore Internazionale spa Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Giovanni De Mauro Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e diffusione Angelo Sellitto Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli, Ester Corda, Alessia Salvitti Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del Marketing Editoriale srl Tel. +39 06.69539344 - Mail: [email protected] Subconcessionaria Download Pubblicità srl Stampa Elcograf spa, via Mondadori 15, 37131 Verona Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) Copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. Significa che può essere riprodotto a patto di citare Internazionale, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Per questioni di diritti non possiamo applicare questa licenza agli articoli che compriamo dai giornali stranieri. Info: [email protected]

Registrazione tribunale di Roma n. 433 del 4 ottobre 1993 Iscrizione al Roc n. 3280 Direttore responsabile Giovanni De Mauro Chiuso in redazione alle 19 di mercoledì 17 gennaio 2024 Pubblicazione a stampa ISSN 1122-2832 Pubblicazione online ISSN 2499-1600 PER ABBONARSI E PER INFORMAZIONI SUL PROPRIO ABBONAMENTO Telefono 02 4957 2022 (lun-ven 9.00-19.00), dall’estero +39 02 8689 6172 Fax 030 777 23 87 Email [email protected] Online internazionale.it/abbonati Imbustato in Mater-Bi

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Financial Times, Regno Unito La vittoria alle presidenziali di Taiwan di Lai Ching-te, descritto da Pechino come un pericoloso separatista, ha regalato al Partito democratico progressista (Dpp) un sorprendente terzo mandato consecutivo. Nelle loro prime dichiarazioni Lai e i vertici del governo cinese hanno scelto toni abbastanza concilianti. A Pechino l’ufficio per gli affari di Taiwan ha garantito di voler “lavorare con i partiti politici, i gruppi e i cittadini di ogni settore per promuovere gli scambi e la cooperazione”. Lai ha riconosciuto di avere “la grande responsabilità di mantenere la pace e rapporti stabili” con la Cina. Questa moderazione è un ottimo segnale. Lo stretto di Taiwan, che separa l’isola dalla Cina continentale, è una polveriera. Pechino rivendica la sovranità su Taiwan e minaccia di attaccarla se continuerà a opporsi all’unificazione, mentre il Dpp rifiuta la definizione di Taiwan come “provincia” della Cina. La moderazione di Pechino e la capacità di Lai di trovare un equilibrio saranno messe alla prova più volte. Entrambi gli schieramenti, così come i governi occidentali, dovrebbero fissare in modo chiaro i limiti invalicabili nei rapporti tra i due paesi ed evitare di oltrepassarli. Il primo test sarà il 21 gennaio con l’arrivo a Taipei di

una delegazione di ex alti funzionari statunitensi incaricati di “esprimere le congratulazioni del popolo americano”. Considerando che la Cina si oppone a qualsiasi contatto tra il governo degli Stati Uniti e quello di Taiwan, la scelta dei componenti della delegazione è un segnale di sensibilità da parte di Washington. Inviando ex funzionari anziché politici in carica, la Casa Bianca può sostenere di non avere legami ufficiali con Taipei. Anche se Lai ha avuto circa il 40 per cento delle preferenze e il Dpp ha perso il controllo del parlamento, il risultato è un messaggio di sfida degli elettori agli avvertimenti lanciati da Pechino prima del voto. In futuro tutti dovrebbero concentrarsi sul mantenimento della pace: a Pechino spetta il compito di interrompere le manovre militari intorno all’isola smettendo di minacciare un intervento armato; a Lai e agli altri funzionari taiwanesi di mantenere la prudenza nei discorsi scelta da Tsai Ing-wen durante la sua presidenza e favorire i contatti diretti con i loro colleghi nella Cina continentale; gli Stati Uniti dovrebbero evitare di provocare inutilmente Pechino. L’attuale equilibrio geopolitico è fragile, ma è molto meglio di una guerra che potrebbe degenerare in uno scontro tra superpotenze. ◆ as

La strategia rischiosa dell’Iran Süddeutsche Zeitung, Germania Spesso in Medio Oriente la gente muore solo perché una delle parti in conflitto ha bisogno di mandare un messaggio, di salvare la faccia o di mantenere intatto il proprio potere deterrente. Non serve neanche che ci sia una guerra in corso. Anzi: a volte è proprio a causa dei morti che la situazione rimane relativamente pacifica o quantomeno stabile. È dal 7 ottobre che lungo il confine tra Libano e Israele ci sono scontri a fuoco tra il gruppo libanese Hezbollah e l’esercito israeliano: muoiono miliziani di Hezbollah, soldati israeliani e civili di entrambe le parti. Così l’organizzazione libanese dimostra la sua solidarietà verso i palestinesi di Gaza e verso Hamas senza dover entrare in guerra con Israele. Una guerra che non vuole. I morti – suoi e israeliani – consentono a Hezbollah di evitarla. Cinico, ma vero. Anche i missili che l’Iran ha lanciato nella notte tra il 15 e 16 gennaio hanno mandato un

segnale. Cosa vogliono dirci i mullah? Come Hezbollah, dal 7 ottobre sono sotto pressione. Teheran ha giurato per anni di voler distruggere lo stato ebraico e ora che tutta la regione guarda a Gaza con orrore cosa fa? Poco o niente. Il regime iraniano lascia che i suoi alleati conducano una guerra ombra: mentre in Iraq e in Siria le milizie sciite lanciano ripetuti attacchi contro le basi statunitensi e gli huthi dello Yemen impazzano nel mar Rosso, Teheran si muove con discrezione. A Erbil, nel nord dell’Iraq, un missile iraniano ha colpito un’abitazione privata, uccidendo cinque persone. Eppure, di obiettivi nella città ce ne sarebbero molti altri: il consolato statunitense in costruzione, per dirne uno. Ma attaccandolo Teheran avrebbe lasciato intendere di volere un’escalation. I missili, invece, veicolano un messaggio diverso: l’Iran non vuole allargare il conflitto. Una guerra regionale in Medio Oriente si può evitare. ◆ sk Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Africa e Medio Oriente ISRAELE-SUDAFRICA

Un momento storico per il diritto internazionale Laure-Maïssa Farjallah, L’Orient-Le Jour, Libano Il caso presentato dal Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia in cui Israele è accusato di genocidio a Gaza suscita l’interesse del mondo. E ha profonde implicazioni 11 e il 12 gennaio molte persone sono rimaste incollate davanti agli schermi per ore. Al punto da mandare in tilt il sito delle Nazioni Unite che trasmetteva la diretta, una cosa del tutto eccezionale. Probabilmente infatti è la prima volta che tante persone seguono, e con grande interesse, le udienze pubbliche di un caso portato davanti alla Corte internazionale di giustizia (Cig). Alla fine di dicembre il Sudafrica ha

REMKO DE WAAL (ANP/AFP/GETTY)

L’

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Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

denunciato Israele accusandolo di aver mancato al suo dovere di applicare la convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, di cui lo stato ebraico è firmatario. Alla base dell’accusa c’è la guerra distruttiva portata avanti nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre dopo il sanguinoso attacco a sorpresa di Hamas, che Pretoria colloca in un contesto più ampio di apartheid, di occupazione e di assedio. “La violenza e la distruzione in Palestina e in Israele non sono cominciate il 7 ottobre 2023”, ha dichiarato davanti alla corte il ministro sudafricano della giustizia, Ronald Lamola. “I palestinesi hanno vissuto un’oppressione e una violenza sistematiche negli ultimi 76 anni”. È difficile ignorare quello che stanno vivendo i palestinesi. Nell’era dei social

network e dell’informazione istantanea le notizie provenienti dalla Striscia di Gaza sono riuscite ad arrivare fuori dall’enclave nonostante le interruzioni della connessione internet e le censure imposte ripetutamente da Israele dall’inizio della guerra. E le dichiarazioni israeliane, che lascerebbero presagire l’inizio di una terza fase di combattimenti, a più bassa intensità, sembrano contraddette dai fatti, mentre il bilancio delle vittime fatto dalle autorità di Gaza supera i 24mila morti. “Ci sono tante persone sconvolte dal numero di vittime tra i civili palestinesi a Gaza che la causa per genocidio proposta dal Sudafrica contro Israele è oggetto di un’attenzione straordinaria”, afferma Kenneth Roth, ex direttore dell’ong statunitense Human rights watch (dal 1993 al 2022), attualmente professore alla School of public and international affairs dell’università di Princeton, negli Stati Uniti. Il ministro della giustizia del Sudafrica, Ronald Lamola (a sinistra), e l’ambasciatore sudafricano nei Paesi Bassi, Vusimuzi Madonsela, prima dell’udienza alla Corte internazionale di giustizia all’Aja, nei Paesi Bassi, l’11 gennaio 2024

Tanto più che le udienze per stabilire le misure provvisorie chieste dal Sudafrica – cioè la cessazione delle operazioni militari israeliane – si svolgono contemporaneamente al conflitto che continua a infuriare. L’emittente qatariota Al Jazeera, che si è distinta per la sua copertura giornalistica dall’interno della stessa Striscia di Gaza, ha diffuso in diretta immagini che mostravano la distruzione e la sofferenza nell’enclave parallelamente alla trasmissione delle udienze. Anche se i casi giudiziari in materia di genocidio sono rari, difficili da provare perché bisogna non solo dimostrare l’esistenza del crimine ma anche l’intenzione di commetterlo, e richiedono anni di procedure, una decisione della corte è attesa nelle prossime settimane in merito alle disposizioni che Israele dovrebbe immediatamente adottare per prevenire un eventuale genocidio. “Questo caso fa nascere la speranza di un’altra via possibile per imporre un’assunzione di responsabilità”, osserva Roth. “Se la corte nel quadro delle sue misure provvisorie ordinerà al governo israeliano di smettere di compiere atti genocidari, questo potrebbe contribuire a salvare le vite di molti civili palestinesi”. Secondo diversi analisti ci sono buone possibilità che la corte prenda dei provvedimenti, ma la giurisdizione internazionale non ha gli strumenti per farle applicare, se non passando per il Consiglio di sicurezza dell’Onu, dove il fedele alleato statunitense di Tel Aviv imporrebbe sicuramente il suo veto. Rilevando che un rischio di genocidio è molto concreto, tuttavia, una decisione simile danneggerebbe comunque Israele in modo consistente.

A geometria variabile Il timore di vedere la propria immagine e la propria reputazione internazionale infangate dal peccato originale che è il fondamento stesso della sua creazione ha spinto lo stato ebraico a mettere in campo una vasta offensiva di comunicazione rivolta all’opinione pubblica straniera e agli alleati per screditare la denuncia sudafricana. Alcuni osservatori hanno giudicato insufficiente la copertura giornalistica della procedura nei paesi occidentali, denunciando faziosità e mancanza d’indipendenza dei mezzi d’informazione. L’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett ha descritto il procedimento giu-

diziario come “l’affare Dreyfus del ventunesimo secolo”, definendolo una “vergognosa dimostrazione di ipocrisia e di flagrante antisemitismo”. L’11 gennaio, dopo l’udienza degli avvocati di Pretoria che hanno citato i dati provvisori di danni, perdite e vittime, gli elementi probatori e gli indizi di un’intenzione genocidaria, il capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che “Israele è accusato di genocidio mentre sta combattendo un genocidio, è un mondo alla rovescia”. Ma di insolito in questa denuncia c’è soprattutto il fatto di provenire dal sud globale. La giustizia internazionale è spesso criticata per i suoi costi e la sua lentezza, ma in molti la ritengono anche faziosa, uno strumento di potere a geometria variabile usato dalle potenze occidentali. Una realtà che la denuncia del Sudafrica sembra aver smentito. “L’attenzione ricevuta da questo caso deriva anche dal fatto che rappresenta un esempio di un’importante iniziativa in materia di diritti umani guidata da un governo del sud globale”, insiste Kenneth Roth. I governi occidentali, che spesso sono i paladini della difesa dei diritti umani, non hanno fatto niente, o quasi, per fermare la devastazione di Gaza compiuta da Israele e impedire la morte di più di 24mila palestinesi. Commentando le audizioni della squadra sudafricana sul social network X, la relatrice dell’Onu sui territori occupati palestinesi, Francesca Albanese, ha

Da sapere Cento giorni dopo u Trascorsi cento giorni dall’inizio dell’offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza, secondo le autorità di Hamas nei bombardamenti sono morte 24.448 persone, circa l’1 per cento della popolazione del territorio. Negli ultimi giorni gli attacchi israeliani si sono concentrati a Khan Yunis, la grande città del sud. L’esercito israeliano ha affermato che una delle quattro divisioni che hanno partecipato all’offensiva di terra ha lasciato la Striscia il 15 gennaio. Allo stesso tempo, però, il governo israeliano insiste sul fatto che il conflitto andrà avanti per mesi, e il 15 gennaio ha stanziato quindici miliardi di dollari per coprirne i costi. u Il 15 gennaio Hamas ha annunciato la morte di due ostaggi israeliani nei bombardamenti dell’esercito. Afp

elogiato “donne e uomini africani che lottano per salvare l’umanità e il sistema della giustizia internazionale”, concludendo che “questo segnerà la storia, qualunque cosa accada”.

Recuperare la fiducia Sarà un’occasione per la giustizia internazionale di riconquistare credibilità agli occhi del sud globale? Le udienze sono state seguite con attenzione da Pretoria a Gaza, nei limiti del possibile date le condizioni attuali. “Anche se la maggior parte delle persone non sa molto sulla Corte internazionale di giustizia – in tanti la confondono con la Corte penale internazionale (Cpi) – sa però che Israele è sotto processo”, sottolinea Phyllis Bennis, direttrice del progetto Nuovo internazionalismo presso l’Institute for policy studies di Washington: “Ed è una cosa senza precedenti, perché per decenni gli Stati Uniti hanno sostenuto Israele non solo con miliardi di dollari in aiuti militari, ma anche offrendogli l’impunità”. Questo sentimento emerge anche dallo stallo dell’inchiesta lanciata nel 2021 dalla Cpi sui crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nel conflitto israelo-palestinese dal giugno 2014. “In tanti sono frustrati dal fatto che finora il suo procuratore generale, Karim Khan, abbia pubblicato solo dei comunicati stampa, senza formulare accuse per crimini di guerra”, osserva Kenneth Roth, secondo il quale i progressi su questo caso potrebbero fare “un’enorme differenza per ripristinare la fiducia nel diritto internazionale”. L’ex direttore di Human rights watch precisa: “Senza il diritto ci si limiterebbe a quelle politiche di potere che finora hanno solo incoraggiato il governo israeliano nella sua traiettoria”. Resta da vedere se i componenti della Cig non si lasceranno influenzare dalle loro appartenenze nazionali, dato che la presidente della Corte, Joan Donoghue, è una cittadina statunitense. “Probabilmente non tutti i giudici voteranno secondo le preferenze del loro governo, ma senz’altro terranno presenti le conseguenze politiche” nel paese, prevede Bennis. Tuttavia, “i giudici sono indubbiamente preoccupati per la loro credibilità e per quella della Corte in futuro, e sono consapevoli dell’indignazione globale rispetto alle azioni israeliane a Gaza”. u fdl Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Africa e Medio Oriente COSTA D’AVORIO

RDC

SAHAND TAKI (SHARQ NEWS ONLINE/AFP/GETTY)

La sfida della Coppa d’Africa I caschi blu si ritirano

L’Avenir, Costa d’Avorio

MAROCCO

MEDIO ORIENTE

Capodanno amazigh

Conflitto in espansione

Per la prima volta il 12 gennaio yennayer, il capodanno amazigh (berbero), è stato celebrato come festa nazionale in Marocco. Per gli amazigh, che vivono in tutto il Nordafrica, è l’anno 2974, perché il loro calendario comincia con l’ascesa al trono d’Egitto del re libico Sheshonq. Il settimanale Amadal Amazighen dà notizia della festa a Rabat, a cui hanno partecipato rappresentanti del governo: “Dopo che nel 2011 il tamazight è diventato una delle lingue ufficiali, è arrivato un altro importante riconoscimento del fatto che l’identità marocchina non è solo araba e musulmana”.

Il 15 gennaio i Guardiani della rivoluzione iraniani hanno compiuto un attacco alla periferia di Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno. L’Iraq l’ha definito un’aggressione e una violazione della sua sovranità, mentre Teheran ha rivendicato un’operazione mirata contro un

IRAN

Rilasciate ma sotto accusa

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Cisgiordania LIBANO SIRIA IRAQ

IRAN

Striscia GIORDANIA di Gaza ISRAELE ARABIA EGITTO SAUDITA Mar Rosso YEMEN 700 km

Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

QATAR

EMIRATI ARABI UNITI

“centro di spionaggio” israeliano. Il 12 gennaio gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno compiuto dei bombardamenti contro gli huthi nello Yemen, uccidendo cinque persone, in risposta agli attacchi dei ribelli sciiti alle navi nel mar Rosso. Nei giorni successivi gli huthi hanno assalito altre navi al largo delle coste del paese. Secondo il settimanale yemenita Al Sahwa gli huthi sfruttano l’oppressione dei palestinesi per realizzare gli interessi dell’Iran e i suoi progetti espansionistici nella regione. “Mentre l’attenzione del mondo è concentrata sulla guerra d’Israele nella Striscia di Gaza, ci si dimentica delle gravi violazioni commesse dagli huthi e della loro responsabilità nel trascinare il paese in un nuovo scontro militare”.

Sake, Rdc

GLODY MURHABAZY (AFP/GETTY)

Nilufar Hamedi e Elahe Mohammadi, due giornaliste iraniane detenute da 17 mesi per aver reso pubblica la morte di Mahsa Jina Amini nel 2022, sono state rilasciate il 14 gennaio (nella foto). Il giorno dopo è stato aperto un nuovo procedimento contro di loro per essersi mostrate senza il velo obbligatorio all’uscita dal carcere. Lo stesso giorno, scrive Iran Wire, l’attivista e premio Nobel per la pace Narges Mohammadi, in carcere dal 2021, è stata condannata ad altri quindici mesi di detenzione per “propaganda” contro lo stato.

“Splendore, grandezza, orgoglio. La Costa d’Avorio è riuscita nell’impresa”, titola il giornale ivoriano L’Avenir, commentando l’inizio della 34a edizione della Coppa d’Africa (Can), il torneo di calcio che ogni due anni impegna 24 squadre del continente. “È l’evento più importante organizzato da quando il presidente Alassane Ouattara ha preso il potere nel 2011. In questi anni i preparativi hanno suscitato interrogativi in patria e all’estero. Il paese sarà pronto? Le infrastrutture saranno all’altezza? Finora la Costa d’Avorio ha dimostrato di aver saputo affrontare la sfida, ma per il bilancio definitivo si dovrà aspettare la fine dei giochi”. Resta da vedere se gli investimenti fatti in termini di infrastrutture e servizi saranno ripagati, scrive il sito di Rfi. “Nella precedente edizione della Can, in Camerun, le speranze degli organizzatori sono state deluse perché l’evento non ha fatto da catalizzatore per la crescita”. In Costa d’Avorio molti appalti per gli stadi – come la grande arena da 60mila posti costruita a Ebimpé, a nord di Abidjan – sono stati assegnati ad aziende cinesi. ◆

Il 13 gennaio le autorità della Repubblica Democratica del Congo hanno detto che il ritiro della missione Monusco delle Nazioni Unite è cominciato e si concluderà entro la fine del 2024, scrive il sito Politico.cd. Dal 1999 nell’est del paese sono presenti i caschi blu dell’Onu, con lo scopo di riportare la stabilità in un territorio dove imperversano più di cento gruppi armati. Duemila poliziotti e 13.500 militari lasceranno la provincia del Sud Kivu entro fine aprile, poi quelle del Nord Kivu e dell’Ituri. Il ritiro, chiesto da Kinshasa, è dovuto alle tensioni tra i caschi blu e la popolazione congolese, che non si sente sufficientemente protetta dagli attacchi ribelli. Le basi della Monusco passeranno sotto il controllo dell’esercito congolese.

IN BREVE

Nigeria Dopo quasi cent’anni, la multinazionale britannica Shell ha venduto le sue attività di estrazione di gas e petrolio sulla terraferma, nell’area del delta del Niger. A comprarle, per 2,4 miliardi di dollari, è stato un consorzio internazionale formato da cinque aziende. Somalia Il 10 gennaio un elicottero delle Nazioni Unite con nove passeggeri è stato catturato dal gruppo jihadista Al Shabaab dopo che aveva fatto un atterraggio d’emergenza nel centro del paese. Il 16 gennaio tre persone sono state uccise in un attentato suicida a Mogadiscio.

Europa

KAY NIETFELD (PICTURE ALLIANCE/GETTY)

La protesta degli agricoltori a Berlino, 15 gennaio 2024

che camion, corrieri, artigiani e circa 14 milioni di automobilisti con motori diesel. Il fatto che i primi tagli abbiano colpito gli agricoltori dimostra che la politica preferisce vedersela con il malcontento dei contadini piuttosto che con quello degli automobilisti e aumentare i prezzi dei generi alimentari piuttosto che quelli del carburante. Al momento non sembra una scommessa vincente, visto che gli agricoltori sono furiosi. Secondo la federazione che li rappresenta è a rischio la loro sopravvivenza. Sarà vero?

Un sistema da rivedere

GERMANIA

I trattori invadono le città tedesche Ingwar Perowanowitsch, Die Tageszeitung, Germania Per giorni migliaia di agricoltori hanno bloccato autostrade e città. Sono arrabbiati per motivi molto diversi. E l’opposizione di estrema destra ne vuole approfittare e immagini hanno fatto il giro del mondo: a Schlüttsiel, nel nord della Germania, centinaia di agricoltori occupano il molo su cui deve attraccare il traghetto con a bordo Robert Habeck, ministro dell’economia e vicecancelliere, di ritorno dall’isola di Hallig Hooge. La situazione si fa critica quando una trentina di manifestanti prova a prendere d’assalto il traghetto: la polizia li trattiene a fatica. Habeck propone un incontro, ma i manifestanti rifiutano. Il ministro è costretto a tornare sull’isola, raggiungendo la terraferma solo a tarda notte. L’incidente è il triste apice delle proteste degli agricoltori tedeschi che per giorni sono scesi in piazza contro misure che il governo – una coalizione tra Partito so-

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cialdemocratico (Spd), Partito liberaldemocratico (Fdp) e Verdi – nel frattempo ha in parte ritirato: i trattori restano esenti dalla tassa sugli autoveicoli, mentre i tagli ai sussidi per l’acquisto del carburante agricolo saranno introdotti gradualmente. Dall’8 gennaio si sono susseguiti blocchi in tutto il paese: con i loro trattori, gli agricoltori hanno paralizzato strade, villaggi e città. E, il 15 gennaio, tutti a Berlino per il gran finale di questa settimana di proteste. Se il governo è in difficoltà la colpa è solo sua. Colto in fallo dalla corte costituzionale mentre cercava di aggirare le regole sul pareggio di bilancio, si è ritrovato a corto di denaro al momento sbagliato: nei sondaggi la coalizione è ai minimi storici e l’inflazione si fa ancora sentire. Oltretutto, il governo ha deciso di cominciare a tagliare proprio dal settore agricolo: un errore fatale. Avrebbe potuto modificare il contributo forfettario per i pendolari, per esempio, oppure il regime fiscale delle auto aziendali. O smettere di tassare il gasolio meno della benzina. Dopotutto l’imposta ridotta sul gasolio non riguarda solo i mezzi agricoli, ma an-

La realtà è complessa. Gli agricoltori non sono una categoria omogenea. Ci sono grandi aziende che riescono a guadagnare sempre di più, ma anche molte di piccole dimensioni che se la passano piuttosto male. Aumentano costi e burocrazia e la scomparsa di un numero impressionante di aziende agricole sembra suggerire che per alcuni è impossibile far fronte a tagli apparentemente irrisori. Gli agricoltori se n’erano stati buoni anche se la carica di ministro dell’agricoltura era andata a un esponente dei Verdi, partito tradizionalmente malvisto da molti di loro. Ora il governo ha svegliato il gigante dormiente. Ma è meglio non mettersi contro gli agricoltori: oltre a godere di ampie simpatie da parte della popolazione, hanno alle spalle una federazione piuttosto potente e molti alleati – l’Unione Cdu/Csu, i Liberi elettori della Baviera e l’estrema destra di Alternative für Deutschland (AfD). Questa non è la prima volta che gli agricoltori protestano: alla fine del 2019 migliaia di trattori avevano assediato la capitale per contestare le norme più severe in materia di protezione dell’ambiente e degli insetti. Per anni, gli agricoltori sono scesi in piazza contro il regolamento europeo sui fertilizzanti. Discorsi e forme di lotta, però, erano sempre rimasti all’interno di una cornice democratica, senza registrate infiltrazioni di altri gruppi. Il fatto che la destra metta il cappello sulle proteste non è una buona notizia per gli agricoltori: la situazione gli sta sfuggendo di mano e i toni accesi, i simboli e gli striscioni stanno distogliendo l’attenzione dell’opinione pubblica dalle rivendicazioni della protesta. C’è chi non se la sente più di manifestare perché non vuole scendere in piazza con gente che insegue

UCRAINA

FRANCIA

Diplomazia e accordi

Volti noti

Mentre i russi continuano a bombardare l’Ucraina, qualcosa si muove al livello politico. A Davos il presidente Volodymyr Zelenskyj ha ricordato che la guerra riguarda l’intera Europa, e ha detto che ogni aiuto che aumenti la fiducia di chi si difende, cioè l’Ucraina, “accorcia il conflitto” e avvicina “una pace giusta e stabile”. Inoltre, racconta Ukrainska Pravda, il 12 gennaio Kiev ha siglato con il Regno Unito un patto per la sicurezza che i leader dei due paesi hanno definito “storico”. Cinque giorni dopo il presidente Emmanuel Macron ha fatto sapere che anche Parigi sta per siglare con Kiev un accordo simile.

Libération, Francia

Gli aiuti all’Ucraina, 24 febbraio 2022-31 ottobre 2023, miliardi di euro Militari Umanitari Economici Europa Stati Uniti Germania Regno Unito Norvegia Giappone Canada Polonia 0 20 40 60 80 100

MIGRANTI

Una condanna per la Grecia

Il nuovo primo ministro Gabriel Attal ha annunciato l’11 gennaio la composizione del suo governo, approvato dal presidente Emmanuel Macron. L’esecutivo è composto da otto uomini e sette donne. Un nome ha fatto particolarmente discutere: quello di Rachida Dati, messa alla guida del ministero della cultura. “La scelta dell’ex ministra ha avuto l’effetto sorpresa che si cercava ma, al di là del colpo di scena politico, la sua nomina è il segno delle radici di destra del partito di Macron”, scrive Libération. Sindaca del 7° arrondissement di Parigi dal 2008, Dati aveva guidato il ministero della giustizia durante la presidenza di Nicolas Sarkozy. Dati è tuttora coinvolta in due casi giudiziari: quello di Carlos Ghosn, ex amministratore delegato della Renault, nel quale è indagata per “corruzione passiva” e “favoreggiamento di abuso di potere”, nel 2021; e l’inchiesta sull’arresto in Qatar di un lobbista franco-algerino, che ha portato a una perquisizione dei suoi uffici nel giugno 2023. u GERMANIA

Contro l’estrema destra Tra il 14 e il 17 gennaio in numerose città tedesche (tra cui Lipsia, Berlino, Colonia) migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro il partito di estrema destra Alternative für Deutschland (Afd). Al corteo di Potsdam hanno partecipato anche il cancelliere Olaf Scholz e la ministra degli esteri Annalena Baerbock, racconta la Süddeutsche Zeitung. A scatenare le proteste è stato un incontro riservato avvenuto a novembre. Alcuni esponenti dell’Afd, tra cui Roland Hartwig, portavoce

di Alice Weidel, presidente del partito (nella foto), avrebbero discusso insieme a militanti di destra tedeschi e austriaci dei piani di espulsione forzata (remigration) di milioni di immigrati. L’incontro ha fatto nascere un dibattito sulla possibilità di mettere fuorilegge l’Afd. L’università di Marburg ha indicato proprio remigration come la parola peggiore del 2023.

Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

LIESA JOHANNSSEN (REUTERS/CONTRASTO)

La Corte europea dei diritti umani ha ordinato ad Atene di pagare 80mila euro ai parenti di un cittadino siriano ucciso dalla guardia costiera greca, scrive The Guardian. Nel settembre 2014 i militari avevano aperto il fuoco contro un motoscafo che trasportava una decina di migranti al largo dell’isola di Pserimos, vicino alle coste turche.

FONTE: KIEL INSTITUTE

fantasie eversive. “Anche noi siamo contrari alla cancellazione, senza compensazioni, delle agevolazioni sul gasolio agricolo”, spiega uno di loro. Ma bisogna riorganizzare il sistema di sovvenzioni in modo che renda veramente conveniente l’agricoltura sostenibile e che a beneficiarne siano i coltivatori. Per esempio i fondi per l’agroforestazione o per l’incremento dell’humus nel terreno, di vitale importanza per la tutela del clima, sono insufficienti. Insomma il dibattito sul gasolio agricolo non fa altro che distrarre l’attenzione dalle pessime politiche agricole degli ultimi decenni. Il comitato “Wir haben es satt” (Siamo stufi) è d’accordo. Dal 2011, insieme a 35mila coltivatori, si batte per una transizione agricola e alimentare che sia anche socialmente equa. Il comitato è preoccupato dalla presenza nelle proteste di gruppi di estrema destra, perciò scenderà in piazza il 20 gennaio. “Le nostre rivendicazioni vanno ben al di là delle questioni relative al gasolio agricolo e alla tassa sugli autoveicoli”, afferma la portavoce. Per ridurre la dipendenza dalle sovvenzioni, oltre a un aumento dei prezzi, servono incentivi che mettano al centro l’ambiente, il clima e la protezione degli animali. C’è anche il fatto che molti agricoltori soffrono per come vengono rappresentati, sentendosi ridotti a capri espiatori per i problemi ambientali e schiacciati da leggi e regolamenti. Insomma, l’annuncio del taglio alle sovvenzioni è semplicemente la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Perché una cosa è certa: da un punto di vista macroeconomico, per molti agricoltori il problema non è certo il modesto aumento dei costi del gasolio. Ma sono le grandi aziende, la concorrenza estera a basso costo, le politiche europee che basano le sovvenzioni sull’estensione dei terreni e la tendenza, tra i consumatori tedeschi, a spendere poco. I generi alimentari, infatti, in Germania hanno prezzi piuttosto bassi: i tedeschi gli riservano l’11,9 per cento del loro reddito, sotto alla media europea. È un sistema che andrebbe radicalmente riformato, invece ci si limita a intervenire sui sintomi. La vittoria per gli agricoltori non sarebbe il ritiro delle misure annunciate, ma fare in modo che le proteste diventino un’occasione per correggere le storture del sistema agricolo. u sk

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Asia e Pacifico

PASCAL LE SEGRETAIN (GETTY)

Lee Sun-kyun al festival di Cannes, Francia, 22 maggio 2019

COREA DEL SUD

L’attore suicida vittima di una società intollerante Lee Eunwoo, The Diplomat, Giappone Lee Sun-kyun, uno dei protagonisti di Parasite, era indagato per droga. Ed era il bersaglio di critiche violente in un paese che tratta i consumatori di stupefacenti come criminali in dalla sua prima apparizione in tv nel 2001, Lee Sun-kyun ha affascinato il pubblico con il suo atteggiamento mite e il sorriso da zio. La sua filmografia spazia da drammi struggenti a thriller avvincenti. Aveva ottenuto fama e consenso internazionali per il suo ruolo in Parasite, una satira amara

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sulle disuguaglianze estreme in Corea del Sud che ha vinto il premio Oscar come miglior film nel 2020, il primo film non in lingua inglese ad aggiudicarselo. Più di recente, era stato candidato come miglior attore agli Emmy 2022 per la serie fantascientifica Dr. Brain. Perciò il mondo è rimasto sconvolto quando Lee è stato trovato morto il 27 dicembre in un’auto parcheggiata nel centro di Seoul, a quanto pare per suicidio, all’età di 48 anni. Lee era indagato dalla polizia per la presunta assunzione di sostanze illegali. Della sua morte si continua a parlare in modo superficiale, soprattutto tra chi vive fuori della Corea del Sud. Tutti sono dispiaciuti per la tragica perdita di un

grande talento. Chi va un po’ più a fondo scopre che Lee è solo l’ultima vittima della “guerra alla droga” promossa dal presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol. Ma c’è altro. Secondo il sociologo francese Émile Durkheim, un suicidio non è mai un affare isolato e individuale, ma una manifestazione e una conseguenza delle “tendenze collettive” o delle “passioni collettive” di una società. Una persona fa parte di una società e allo stesso tempo è vittima dei suoi costumi e vincoli. In quello che Durkheim definiva il suicidio “fatalista” l’individuo è sottoposto a una pressione psicologica così insopportabile da non riuscire a immaginare un futuro migliore. Questo concetto può essere equiparato all’“omicidio sociale”, cioè alle morti provocate da sistemi che non lasciano a chi soffre altra scelta che togliersi la vita. Il suicidio di Lee rientra in questo schema. La società sudcoreana nel suo complesso – l’opinione pubblica, i mezzi d’informazione e le istituzioni – hanno messo alla gogna e seppellito socialmente Lee.

Prima, nell’ottobre 2023, la polizia ha fatto trapelare alla stampa la sua indagine su Lee. La legge del paese vieta la pubblicazione di informazioni su un presunto reato prima che sia formalizzata un’accusa. Questo per evitare la stigmatizzazione del sospettato, perché può capitare che l’indagine interna trovi prove insufficienti e che il caso sia archiviato. Spesso però questo principio non è rispettato. Su Lee si sono scatenate voci e speculazioni infondate. Polizia e mezzi d’informazione hanno marciato a ranghi serrati e la folla li incitava. La gente ha cominciato a esprimere disappunto. Ha definito l’attore un ipocrita, un “criminale della droga” nascosto dietro la maschera di padre sorridente. Ha scoperchiato la sua vita privata e spiato la sua famiglia. Giornali di ogni tipo e social network l’hanno fatto a pezzi. Si sono accodate anche le tv nazionali. La regola secondo cui una persona è “innocente fino a prova contraria” è stata calpestata. I negozi hanno rimosso i poster di Lee dalle vetrine. Le aziende che l’avevano avuto come testimonial stavano già pensando di fargli causa per danni d’immagine. Gli studi cinematografici stavano discutendo se distribuire o meno i suoi nuovi film. Non importava che Lee fosse risultato negativo a diversi test tossicologici né che fosse vittima di un ricatto (l’attore aveva detto alla polizia di aver consumato una volta una sostanza offerta da un conoscente e un altro conoscente l’aveva poi minacciato di rendere pubblico il fatto, chiedendogli soldi in cambio del silenzio). Il caso sarebbe stato molto probabilmente archiviato, invece Lee è stato preso di mira. L’opinione pubblica gli ha fatto un processo e l’ha condannato.

Senza possibilità di redenzione I sudcoreani hanno una forte avversione per le droghe. Chi le usa è marchiato e messo al bando senza possibilità di redenzione. La stampa seguiva Lee ovunque, come se stesse raccontando la fine della sua carriera e della sua vita. L’antipatia dell’opinione pubblica nei confronti di chi abusa di sostanze va di pari passo con le politiche del governo e dei sistemi giudiziario e sanitario. La Commissione coreana per le comunicazioni (l’agenzia governativa che controlla i contenuti delle trasmissioni) ha dichiarato di voler “vietare ai criminali della droga di apparire in tv”.

Al centro del problema ci sono le parole usate dal pubblico e dalle istituzioni: chi assume droghe è considerato e descritto come un criminale invece che come una persona che ha bisogno di un aiuto medico e sociale. Nel 2022 il presidente Yoon ha creato una squadra speciale antidroga composta da 840 specialisti e ha più che raddoppiato il bilancio per combattere i crimini legati alla droga. Nel 2023 sono state arrestate più di ventimila persone, il doppio rispetto agli anni precedenti al mandato di Yoon. La maggior parte di loro, però, aveva problemi di dipendenza. Eppure, per esempio nel 2022, l’ufficio del procuratore ha richiesto le cure mediche solo in quattordici casi. Questo dimostra quanto le forze dell’ordine siano orientate a perseguire i consumatori di stupefacenti invece di offrirgli opportunità di cura e di riabilitazione. In un contesto sociale in cui la dipendenza è considerata un reato e non un problema di ordine sanitario, la logica è che più tossicodipendenti la polizia consegna alla “giustizia” meglio è. Più pesante è la punizione più si sentono nel giusto. Si perpetua così la falsa impressione che la società stia diventando più pulita quando in realtà negli ultimi cinque anni il 50 per cento circa dei tossicodipendenti è finito di nuovo in tribunale. Nel frattempo, l’amministrazione Yoon ha tagliato l’85 per cento dei fondi destinati alle cure mediche per le dipendenze da sostanze. Gli ospedali hanno dovuto chiudere i loro servizi per mancanza di fondi governativi. E le poche risorse rimaste sono state destinate a consulenze, invece che a trattamenti professionali, e a campagne di sensibilizzazione. L’umiliazione pubblica ha distrutto in un giorno vent’anni di attività di Lee. La polizia l’ha torchiato per 19 ore, anche di notte. Ha subìto un ostracismo e uno stigma sociale totale. Nel suo biglietto d’addio l’attore ha scritto alla moglie: “Non ho altra scelta”. Se fosse stato tracciato un percorso che avesse permesso alla società di riaccoglierlo, offrirgli cure adeguate e favorire la ripresa della sua carriera, Lee sarebbe ancora qui. Chiunque abbia una dipendenza merita la possibilità che a lui è stata negata. ◆ gim DOVE CHIEDERE AIUTO Se hai dei pensieri suicidi o conosci una persona che li ha, puoi chiamare il 112, il Telefono Amico al numero 02 2327 2327, o l’associazione Samaritans allo 06 7720 8977.

L’appello

Il cinema chiede un’indagine Lee Gyu-lee, The Korea Times, Corea del Sud sponenti del mondo dello spettacolo coreano, tra cui il regista premio Oscar Bong Joon-ho, si sono riuniti il 12 gennaio per chiedere un’indagine sulle circostanze della morte dell’attore Lee Sun-kyun. “L’unico modo per correggere eventuali metodi investigativi scorretti e impedire che ci siano altre vittime è un’indagine approfondita sulle procedure”, ha dichiarato Bong durante una conferenza stampa a Seoul. Ventinove enti e organizzazioni di categoria, tra cui il festival internazionale di Busan, l’associazione dei registi coreani e quella dei produttori di serie tv, insieme a singoli artisti, si sono uniti in un gruppo di solidarietà. Hanno esortato le forze dell’ordine a fare luce su eventuali comportamenti impropri nell’indagine e hanno invitato i mezzi d’informazione a smettere di fare servizi invadenti e di pubblicare informazioni prive di fondamento. E hanno anche esortato il governo a riesaminare le leggi in vigore per evitare altri episodi simili. “Bisognerebbe esaminare in particolare le circostanze che hanno permesso all’emittente Kbs di diffondere il 24 novembre molti dettagli sui risultati delle analisi condotte dal medico legale”, ha detto Bong. Il regista di Parasite ha inoltre puntato il dito contro quelli che ha definito servizi offensivi su Lee, realizzati da youtuber e giornali scandalistici, chiedendone la rimozione. “Siamo sicuri che il modo in cui ci si occupa delle indagini risponda davvero al diritto del pubblico a essere informato? È giustificabile un’informazione che insiste sulla vita privata di qualcuno solo perché è un personaggio pubblico? Esortiamo tv e giornali a rimuovere subito qualsiasi contenuto che non risponda all’esigenza di un’informazione responsabile”. ◆ gim

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Asia e Pacifico PAKISTAN

TAIWAN

INDIA

Tensioni con Teheran

Vittoria della democrazia

Il potere degli estremisti

KCNA/REUTERS/CONTRASTO

La Corea del Nord rinuncia alla riunificazione con la Corea del Sud. Il leader Kim Jong-un (nella foto) l’ha annunciato in un discorso, aggiungendo che la costituzione sarà modificata e designerà Seoul come il nemico numero uno della nazione. Kim ha anche accusato la Corea del Sud di cercare di istigare un cambio di regime a Pyongyang. Tre agenzie governative dedicate alla promozione dei rapporti intercoreani saranno chiuse, scrive la Kcna, l’agenzia di stampa nordcoreana. E i monumenti dedicati all’unificazione saranno abbattuti.

Pyongyang, 31 dicembre 2023

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Per la prima volta dal 1996, cioè da quando a Taiwan si tengono le elezioni presidenziali, il Partito democratico progressista (Dpp) si è aggiudicato un terzo mandato consecutivo. Lai Ching-te (nella foto), il vicepresidente uscente noto anche come William Lai, è stato eletto presidente il 13 gennaio con il 40 per cento dei voti. Poco rispetto al 56 per cento ottenuto da Tsai Ing-wen nel 2020, ma comunque un risultato storico. Lai in passato si era definito un sostenitore dell’indipendenza, ma i toni del suo discorso da vincitore sono stati moderati, in linea con l’atteggiamento prudente e a favore della linea seguita da chi l’ha preceduto. Pechino, che ha definito Lai “un piantagrane” e “un pericoloso indipendentista”, ha sottolineato che con il 40 per cento delle preferenze non si rappresenta l’orientamento della maggioranza della popolazione, mentre la riunificazione con la Cina continentale è “inevitabile”. Il governo cinese ha anche criticato i leader di Giappone, Stati Uniti e Regno Unito per essersi congratulati con il vincitore, chiedendo di stare fuori dagli “affari interni” della Cina. In realtà il presidente statunitense Joe Biden ha ribadito che Washington non sostiene l’indipendenza dell’isola. “Tutti e tre i partiti in gara hanno vinto qualcosa”, scrive su Nikkei Asia Yifeng Tao, docente di scienze politiche all’università nazionale di Taiwan. Il Dpp ha la presidenza, ma ha perso la maggioranza in parlamento, dove è il Kuomintang ad aver ottenuto più seggi. Il Partito popolare di Taiwan (Tpp), arrivato terzo, avrà quindi un ruolo decisivo nel processo legislativo. “Indipendentemente dalle riserve che si possono avere sul Dpp, il risultato e la natura pacifica del voto sono il trionfo della democrazia e un segno di speranza in un mondo impazzito”, scrive sul Guardian Michelle Kuo, docente all’università nazionale Chengchi di Taipei. u

Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

ZEE STUDIOS

COREA DEL NORD

Rinuncia epocale

In seguito a una denuncia e alle proteste di gruppi estremisti indù, Netflix ha cancellato dalla sua offerta in tutto il mondo il film Annapoorani: the goddess of food, realizzato dalla casa di produzione indiana Zee Entertainment. Il film, uscito nelle sale in India il 1 dicembre e online il 29, racconta la storia della figlia di un bramino, la casta più elevata nel sistema indù, che cucina i pasti in un tempio. Nel film Annapoorani, che vuole diventare la cuoca più famosa dell’India, cucina e mangia carne, tradizionalmente bandita dalla dieta di bramini e sacerdoti induisti. La Zee Entertainment si è scusata per aver offeso gli indù e i bramini e ha promesso di rieditare il film, scrive Scroll.

Taipei, 13 gennaio 2024

ANN WANG (REUTERS/CONTRASTO)

Il Pakistan ha richiamato il suo ambasciatore in Iran dopo che Teheran ha sferrato un attacco missilistico contro due presunte basi di un gruppo islamista armato in Belucistan, nel Pakistan occidentale. Islamabad, scrive Dawn, ha fatto sapere che nel raid sono morti due bambini e ha minacciato “conseguenze serie” per l’Iran. L’operazione militare iraniana sul territorio pachistano era stata preceduta da attacchi in Siria e nel nord dell’Iraq per colpire il gruppo Stato islamico e agenti del Mossad, l’intelligence israeliana.

IN BREVE

Cina L’ufficio nazionale di statistica di Pechino ha detto che il declino demografico procede più velocemente del previsto. Nel 2023 la popolazione, che ha toccato un record negativo per il secondo anno consecutivo, è diminuita di quasi tre milioni di persone. Corea del Sud La Samsung ha annunciato che entro il 2030 intende automatizzare completamente le sue fabbriche di semiconduttori. Il più grande produttore al mondo di chip di memoria vuole usare l’intelligenza artificiale per eliminare la manodopera.

Americhe STATI UNITI

Un successo economico invisibile The Economist, Regno Unito Negli Stati Uniti l’inflazione è scesa, l’occupazione è alta e il pil è in forte crescita. Ma molte persone sono scontente e se la prendono con l’amministrazione Biden. Come si spiega? olti dati economici affidabili suggeriscono che gli statunitensi dovrebbero essere soddisfatti della situazione del loro paese: l’inflazione ha rallentato bruscamente, il prezzo della benzina è sceso, i posti di lavoro non mancano, gli stipendi crescono e la borsa è in salute. Eppure stando ai sondaggi molte persone sono scontente: pensano che l’economia sia in crisi e che il presidente Joe Biden la stia gestendo male. Come si spiega questo contrasto? Partiamo dallo scontento. Il dato che gli economisti osservano con più attenzione per cogliere l’umore degli statunitensi è l’indice della fiducia dei consumatori pubblicato dall’università del Michigan. Negli ultimi due anni ha oscillato intorno TIMOTHY A. CLARY (AFP/GETTY)

M

New York, 9 gennaio 2024

ai livelli registrati durante la crisi finanziaria globale del 2007-2009. A dicembre è salito un po’, ma è ancora del 30 per cento più basso rispetto al picco raggiunto all’inizio del 2020, prima della pandemia. Altre analisi confermano l’insoddisfazione dell’opinione pubblica. Ogni settimana dal 2009 l’Economist e YouGov chiedono a circa 1.500 statunitensi di valutare la loro economia. Oggi quasi metà degli intervistati dice che sta peggiorando, mentre nel decennio prima del covid la percentuale era di poco superiore al 30 per cento. Infine, secondo un sondaggio Gallup, due americani su tre disapprovano il modo in cui la Casa Bianca gestisce l’economia, nonostante gli ottimi risultati degli Stati Uniti rispetto agli altri paesi ricchi.

Il tempo necessario C’è chi pensa che gli statunitensi abbiano ottime ragioni per essere preoccupati, visto che alcuni indicatori, in particolare quelli che riguardano la vita quotidiana delle persone, non sono così positivi. L’inflazione, cresciuta molto nel 2022, ha intaccato gli stipendi. Oggi il reddito personale netto è inferiore di circa il 15 per cento

rispetto al marzo 2021, quando era sostenuto dagli abbondanti sussidi voluti dall’amministrazione Biden. Inoltre la decisione di aumentare i tassi d’interesse per domare l’inflazione ha reso più costosi i mutui e i prestiti per l’acquisto di un’automobile, e il mercato immobiliare resta inaccessibile per molte persone. Altri spiegano l’insoddisfazione dei cittadini sostenendo che i sondaggi e le analisi sulla fiducia sono alterati da un pregiudizio negativo. L’ostilità verso il partito rivale è un fattore importante. Gli economisti Ryan Cummings e Neale Mahoney hanno creato un modello per prevedere l’evoluzione dell’indice della fiducia dei consumatori usando l’inflazione, la disoccupazione e i dati sui consumi. Secondo loro, l’antipatia dei repubblicani verso un’amministrazione controllata dai democratici è all’origine del 30 per cento del divario tra la fiducia registrata e l’indice che dovrebbe scaturire dai dati reali. Questo divario potrebbe anche essere alimentato dal fatto che i mezzi d’informazione tendono a descrivere la situazione economica peggio di quanto non sia in realtà. Un’ultima spiegazione riguarda lo scollamento tra la ripresa economica post-pandemia e la percezione che ne hanno le persone. L’ultimo periodo è stato molto complicato. L’estrema incertezza degli anni del covid – la perdita di posti di lavoro, la chiusura delle scuole, i fallimenti di attività commerciali e le preoccupazioni sanitarie – ha avuto effetti pesanti. Molti americani sono ancora provati dalla dura battaglia contro l’inflazione. Anche se oggi sono sotto controllo, i prezzi sono quasi il 20 per cento più alti rispetto all’inizio della presidenza Biden. Questo trauma è difficile da superare. Se le cose stanno così, gli statunitensi sarebbero più o meno a metà strada nel percorso che porta ad accettare la nuova realtà dei prezzi. In questo senso l’accelerazione del reddito reale dell’ultimo anno è un fattore positivo, perché aiuta la popolazione a recuperare parte del potere d’acquisto perduto. L’indice della fiducia dei consumatori è stato instabile, ma ha chiaramente raggiunto i livelli minimi a metà del 2022 (con il picco dell’inflazione) per poi segnare un consistente aumento a dicembre, pur rimanendo basso. Insomma, le percezioni dell’opinione pubblica potrebbero presto cambiare. u as Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Americhe

VANNESSA JIMENEZ (AFP/GETTY)

Manifestazione contro la violenza sulle donne. Bogotá, 25 novembre 2023

COLOMBIA

Le attiviste di Medellín contro i femminicidi Jules Ownby, El País, Spagna Qualche anno fa due volontarie hanno cominciato a raccogliere dati e informazioni sugli omicidi di donne nella città colombiana. Il progetto è cresciuto e ora il loro lavoro riguarda tutto il paese stefanía Rivera Guzmán e Carol Rojas si dedicano a contare le morti. In particolare, quelle delle donne uccise dagli uomini. Sono due delle quattro volontarie dell’osservatorio colombiano sul femminicidio che, basandosi sui mezzi d’informazione locali, regionali e nazionali, tiene traccia dei casi di violenza maschilista nel paese. Nel 2023 l’osservatorio ha registrato 511 femminicidi, più di uno al giorno. “Psicologicamente non è facile”, ammette Rojas, seduta a un tavolo all’aperto del café Ruda, nel centro di Medellín. L’ha aperto insieme all’associazione femminista che finanzia l’osservatorio, la Rete femminista antimilitarista. “A volte mi assale l’ansia”, dice. Ma lavora con un obiettivo ben chiaro in mente:

E

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Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

hanno creato un progetto importante. Pubblicano bollettini mensili di settanta pagine sulla violenza di genere in Colombia. Partecipano alle tavole rotonde sul tema organizzate dal comune di Medellín e dal dipartimento di Antioquia. A loro volta organizzano conferenze, workshop, mobilitazioni e meccanismi di protezione e assistenza per le vittime. Antioquia è uno dei dipartimenti più conservatori del paese: “In questo territorio di destra, noi resistiamo”, afferma Rivera Guzmán. Il loro lavoro è sintetizzato nel Reporte dinámico (Rapporto dinamico) sul femminicidio, disponibile sul sito dell’osservatorio. Rapidamente, con qualche clic, questo strumento traccia un quadro abbastanza completo dei femminicidi in Colombia. Fornisce informazioni su diciotto diverse categorie di uccisioni: i femminicidi per dipartimento (nel 2023 il più violento è stato quello di Antioquia), la fascia d’età della vittima (la maggioranza di quelle identificate ha tra i 20 e i 39 anni), il rapporto che aveva con il criminale, il lavoro della donna uccisa, l’arma usata e perfino il metodo per eliminare il cadavere.

Similitudini “Fermare la violenza”. Rivera Guzmán, la coordinatrice dell’osservatorio, ha 37 anni e viene dalla Estrella, una frazione del comune di Yarumal, circa tre ore a nord da Medellín. Ne parla come di un luogo dal passato violento. Accanto a lei c’è Carol Rojas, la direttrice della Rete femminista antimilitarista, 35 anni, vestita completamente di nero, occhiali da sole compresi. È cresciuta a Doce de Octubre, sulle colline di Medellín, una zona che un tassista locale definisce “un postaccio”. Insieme Mar dei Caraibi VENEZUELA

PANAMÁ

Dipartimento di Antioquia Medellín

Oceano Pacifico

Bogotá

COLOMBIA BRASILE ECUADOR PERÙ

300 km

L’osservatorio è nato nel 2012, quando Guzmán e Rojas si sono rese conto “dell’alto numero di donne uccise nel centro di Medellín”. Hanno cominciato a raccogliere dati sui femminicidi compiuti nel quartiere della Candelaria. All’epoca erano solo in due e gestivano “un foglio excel rudimentale”. Poi il progetto è cresciuto: sono passate a registrare informazioni su tutta la città, poi sulla valle dell’Aburrá, la regione che circonda Medellín. Nel 2017 l’osservatorio è diventato nazionale. Rivera Guzmán e Rojas sono tra le persone più esperte di femminicidi in Colombia. Passano ore a controllare i mezzi d’informazione e a leggere notizie sugli omicidi. Entrambe vanno regolarmente in terapia: “Dobbiamo prenderci cura della nostra salute mentale”, spiegano. A volte devono staccare per due o tre giorni, perché la violenza le travolge. In alcuni casi riescono a individuare elementi sfuggiti alla procura, com’è successo nel 2019. Rivera stava documentando i femminicidi nella valle dell’Aburrá quando ha notato alcuni casi simili tra loro. Nel giro di pochi mesi erano state uccise cinque donne nel comune di Bello, alla periferia

STATI UNITI

GUATEMALA

Trump vince in Iowa

Arévalo presidente

LUIS ECHEVERRIA (BLOOMBERG/GETTY)

Il 15 gennaio Donald Trump ha vinto nettamente le primarie del Partito repubblicano in Iowa, facendo un primo passo verso la candidatura alle elezioni presidenziali del 5 novembre. Trump ha ottenuto il 51 per cento dei voti, mentre i suoi due principali sfidanti, il governatore della Florida Ron DeSantis e l’ex governatrice della South Carolina Nikki Haley, si sono fermati intorno al 20 per cento. “L’Iowa di per sé non è molto rappresentativo dell’elettorato in generale, ma il margine della vittoria di Trump dimostra la sua presa sull’elettorato repubblicano”, scrive il New York Times. Il 23 gennaio si voterà in New Hampshire, dove gli elettori tendono a essere più moderati e dove può partecipare alle primarie anche chi si registra come indipendente. “Per questi motivi Haley, che è considerata la candidata meno radicale, potrebbe ottenere un buon risultato. I sondaggi la danno seconda dietro Trump con uno svantaggio non molto ampio”. L’ex presidente è imputato in quattro processi: quello per il suo tentativo di sovvertire l’esito delle elezioni del 2020 dovrebbe cominciare a marzo. Finora le incriminazioni non hanno indebolito comunque il suo consenso.

“Il 14 gennaio il presidente socialdemocratico Bernardo Arévalo (nella foto), eletto a sorpresa lo scorso agosto, si è insediato come presidente del Guatemala”, scrive la Reuters. La cerimonia si è svolta con qualche ora di ritardo a causa dell’ostruzionismo del parlamento. “La nostra democrazia ha la forza di resistere. Attraverso l’unità e la fiducia possiamo trasformare la situazione politica del Guatemela”, ha detto Arévalo, che prende il posto del conservatore Alejandro Giammattei, il cui governo è stato segnato da una serie di scandali e dalla corruzione. Le priorità del nuovo esecutivo, che per metà sarà composto da donne, saranno l’istruzione, la sanità, lo sviluppo e l’ambiente. Secondo il sito guatemalteco Plaza Pública, “l’insediamento di Arévalo, ostacolato dall’élite politica ed economica, dimostra che i cittadini del paese centroamericano credono ancora in un cammino democratico”. u

ECUADOR

Carceri sotto controllo

Media dei sondaggi per le primarie del Partito repubblicano, percentuale

80 Trump 60 40 DeSantis 20 Haley 0 gen 2023

gen 2024

FONTE: FIVETHIRTYEIGHT

di Medellín, vicino a due stazioni della metropolitana. Erano tutte madri uscite di casa per andare a lavorare la mattina presto. Erano state uccise con armi da taglio e trovate seminude in zone boschive. Doveva trattarsi di un serial killer. Insieme alle sue colleghe, Rivera Guzmán ha realizzato un rapporto speciale per mettere in guardia la popolazione della regione. Asesinos seriales. El caso de Bello-Antioquia è stato pubblicato nel settembre 2019. Nel marzo 2023 la procura di Medellín ha accusato Carlos Andrés Rivera Ruiz di aver ucciso tre donne tra il 2019 e il 2020. Gli inquirenti hanno offerto 200 milioni di pesos (circa 45mila euro) “per informazioni utili a localizzare il femminicida”, ancora a piede libero. Una delle vittime, Ruth Estella Álvares, compare nel rapporto speciale dell’osservatorio. Rivera e Rojas sono sicure che Rivera Ruiz sia il femminicida seriale. Nonostante il lavoro dell’osservatorio, il numero dei femminicidi in Colombia non è chiaro. Il governo non ha un sistema d’informazione ufficiale. Per anni la procura, l’osservatorio e altre organizzazioni hanno fornito cifre divergenti. Storicamente quelle della procura sono state molto più basse di quelle dell’osservatorio, a volte anche della metà. Secondo Rivera e Rojas la differenza dipende dal fatto che loro danno una definizione più ampia di femminicidio. Parlano di “omicidio di una donna che lancia un messaggio di potere”, mentre la procura si riferisce in modo più tecnico e legale alla “morte di una donna legata alla sua condizione di donna o alla sua identità di genere”. Nel 2023 per la prima volta la procura e l’osservatorio hanno fornito cifre molto simili: entrambi hanno riportato più di cinquecento casi. Rivera Guzmán e Rojas definiscono il loro lavoro “attivismo dei dati”. Si battono per “una Colombia in cui le donne abbiano condizioni di vita diverse”. Sperano che i dati e l’attivismo possano favorire un cambiamento e “rendere visibile l’invisibile”. Non sanno di preciso quale sia la soluzione per ridurre l’alto numero di femminicidi nel paese. È un problema complesso, che affonda le sue radici in anni di maschilismo, povertà e cultura del crimine e della violenza. Ma sono certe che “mettere in prigione gli uomini che commettono un femminicidio non è l’unica soluzione”. u fr

Il 13 gennaio le autorità ecuadoriane hanno annunciato di aver liberato circa duecento persone, tra agenti e impiegati penitenziari, presi in ostaggio nelle carceri dai gruppi della criminalità organizzata. Il 9 gennaio il presidente Daniel Noboa aveva dichiarato lo stato d’emergenza e aveva detto che è in corso un conflitto armato interno

in seguito all’evasione del boss criminale Adolfo Macías, detto Fito, e allo scoppio della violenza in varie città. Secondo i dati del governo, finora esercito e polizia hanno arrestato 1.105 persone e ucciso cinque presunti terroristi. Noboa ha presentato una lista di ventidue gruppi terroristici attivi nel paese. Nelle operazioni sono morti anche due agenti. Secondo il sito indipendente Gk tra le vittime delle violenze ci sono anche cittadini colpiti da proiettili vaganti.

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Visti dagli altri POLITICA

Lotta di potere a destra in vista delle europee Amy Kazmin, Financial Times, Regno Unito

a presidente del consiglio Giorgia Meloni e il suo “nemico-amico” di estrema destra, il vicepremier Matteo Salvini, sono riusciti a tenere sotto controllo la loro rivalità da quando hanno formato un governo di coalizione verso la fine del 2022. Ma ora, in vista delle elezioni del parlamento europeo, che si terranno a giugno, le tensioni tra loro sembrano destinate ad aumentare. Salvini sta cercando di guadagnare nuovi consensi per la Lega, eclissata dal partito di Meloni, Fratelli d’Italia (Fdi). “Salvini cercherà di rendersi visibile per sottrarre voti a Meloni”, spiega Giovanni Orsina, docente di scienze politiche dell’università Luiss di Roma. “Prevedo che si comporterà sempre di più come una spina nel fianco per il governo”. L’ultima volta che gli italiani hanno votato per il parlamento europeo, cinque anni fa, Salvini era all’apice della sua popolarità. In quell’occasione la Lega ottenne una vittoria trionfale, assicurandosi il 34 per cento dei voti. Fratelli d’Italia, le cui radici politiche affondano nel Movimento sociale italiano, un partito neofascista fondato dai seguaci di Benito Mussolini dopo la seconda guerra mondiale, era invece considerato una formazione marginale e non superò il 6,5 per cento dei voti. Ma da allora Meloni è diventata molto più popolare, mentre la stella di Salvini non brilla più. Alle elezioni politiche italiane del 2022 FdI ha ottenuto il 26 per cento dei voti, contro l’ 8,8 per cento della Lega. Un risultato che ha portato Meloni alla guida del governo. Gli ultimi sondaggi indicano che Fratelli d’Italia continua a crescere.

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La Lega, invece, fatica a tenere il passo. Gli analisti sostengono che Salvini cercherà di recuperare terreno per fugare ogni dubbio sulla sua gestione del partito, mentre Meloni proverà a rafforzare il proprio status di leader della destra italiana. “Meloni vuole mettere in chiaro di essere la guida del centrodestra”, sottolinea Ernesto Di Giovanni, partner dell’azienda di consulenza politica Utopia, con sede a Roma. “Questo le permetterebbe di affermarsi come la figura politica più importante del paese”.

Alleanze a Bruxelles Anche se tanti prevedono un conflitto più acceso e visibile all’interno della coalizione, in pochi credono che i rapporti si rovineranno a tal punto da mettere in pericolo la stabilità dell’esecutivo, visto che entrambi i leader politici vogliono conservare il potere. “Assisteremo soprattutto a schermaglie superficiali”, spiega Daniele Albertazzi, politologo dell’università del Surrey, nel Regno Unito. “Non credo esista la possibilità concreta di una crisi di governo”. Durante il suo mandato Meloni ha preso le distanze dall’euroscetticismo che lei stessa rivendicava in passato, accreditandosi come leader della destra tradizionale pronta a dialogare con Bruxelles e con le altre capitali europee. Il suo sostegno convinto all’Ucraina nella sua lotta contro l’aggressione russa ha differenziato la posizione di Meloni da quella degli altri leader dell’estrema destra europea, storicamente legati al partito Russia unita del presidente Vladimir Putin. Oggi Meloni è corteggiata dal Partito

Meloni è diventata molto più popolare, mentre la stella di Salvini non brilla più

ALESSANDRO SERRANÒ (AGF)

Giorgia Meloni vuole conservare la leadership della coalizione. La Lega vuole recuperare terreno. Ma per la tenuta del governo, a Fratelli d’Italia non conviene stravincere

popolare europeo, e il gruppo politico di centrodestra spera di ottenere l’appoggio della presidente del consiglio italiana per affidare un secondo mandato a Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea. “Meloni ha scelto di mostrarsi responsabile, per farsi accettare e per dimostrare all’Europa che un governo di destra in Italia non è una catastrofe”, spiega Orsina. “Si sta spostando verso il centro, anche se con molte ambiguità”. Di Giovanni pensa che Meloni intenda conquistare gli elettori conservatori che in passato avevano votato per Silvio Berlusconi. La sua morte, nel 2023, ha gettato nell’incertezza Forza Italia, altro partner della coalizione di governo. “Meloni si sta avvicinando a una fetta diversa dell’elettorato, meno di estrema destra e più moderata”, sottolinea Di Giovanni.

Matteo Salvini e Giorgia Meloni in parlamento. Roma, 25 ottobre 2022

Elezioni europee I partiti italiani più forti Voti reali e sondaggi 2024 2019 Voti, %

Intenzione di voto

35 30 Fratelli d’Italia 25 20

Partito Democratico Cinque stelle Lega

10 5 0

Forza Italia Alleanza Verdi e Sinistra* Azione +Europa

*Europa verde e La sinistra avevano corso separatamente alle europee del 2019.

Salvini, intanto, sta rafforzando la sua alleanza con gli euroscettici di estrema destra all’interno dell’Unione europea, tra cui la francese Marine Le Pen, l’olan­ dese Geert Wilders e i leader della forma­ zione tedesca Alternative für Deutsch­ land (Afd). “Il messaggio di Salvini agli elettori è chiaro: ‘Se siete arrabbiati, se siete euro­ scettici, se vi sentite ancora traditi (dalla politica tradizionale) io sono l’uomo che fa per voi’”, spiega Orsina. Il tema dell’immigrazione, molto im­ portante per la destra italiana, potrebbe mettere in difficoltà Meloni, dal momento che nel 2023 l’arrivo di migranti irregolari in Italia è aumentato del 50 per cento ri­ spetto al 2022. In autunno, quando il centro d’acco­ glienza sull’isola di Lampedusa era so­ vraffollato, Andrea Crippa, vicesegretario

della Lega, ha dichiarato che gli sforzi di Meloni per trovare una soluzione europea alla crisi dell’immigrazione si erano rive­ lati fallimentari. In seguito Salvini ha sen­ tenziato che in momenti così difficili ser­ vono soluzioni drastiche, suggerendo di imporre un blocco navale per fermare gli sbarchi.

La posta in gioco Meloni ha cercato di evitare ulteriori criti­ che ammettendo di non aver potuto “ot­ tenere i risultati sperati” su quello che ha definito “il fenomeno più complesso” che si fosse trovata a “gestire”. Allo stesso tempo ha ribadito di voler continuare a lavorare per ridurre gli arrivi dei migranti irregolari, dopo aver raggiunto un accor­ do con l’Albania per la costruzione di cen­ tri d’accoglienza nel paese sotto la super­ visione delle autorità italiane. Ma con

l’avvicinarsi delle elezioni europee, gli esperti ritengono che la presidente del consiglio potrebbe sentirsi costretta ad assumere una posizione più intransigente sulle questioni legate all’Unione europea, in modo da convincere la sua base eletto­ rale di non aver abbandonato le politiche sostenute in passato. A dicembre Fratelli d’Italia ha deluso i leader europei votando contro la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), il fondo per aiutare i paesi dell’euro in difficoltà, spazzando via la speranza che anche l’Italia, ultima a non aver anco­ ra ratificato le modifiche, fosse finalmente pronta ad accodarsi. “Non mi aspetto uno scontro frontale tra Meloni e Salvini, ma ci sarà una forte competizione per mostrarsi più nazionali­ sta e sovranista dell’avversario”, spiega Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto af­ fari internazionali di Roma. Diversi osservatori sono scettici sulla strategia di Salvini, e ritengono che il ri­ schio principale per Meloni sia quello di una vittoria troppo larga del suo partito. Un’eventualità che potrebbe creare una rottura all’interno della coalizione. “Se Fratelli d’Italia otterrà un risultato miglio­ re rispetto alle elezioni legislative, la bi­ lancia del potere penderà nettamente a suo favore”, spiega Tocci. “Per Meloni potrebbe non essere una buona notizia, perché costituirebbe un rischio per la so­ pravvivenza del governo. E la posta in gio­ co per lei è più alta”. ◆ as Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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FONTE: FINANCIAL TIMES

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FABIO SGROI

Palermo, 1986. Dal libro Palermo 1984-1986 Early works

CULTURA

L’anima punk che tenne viva Palermo Alex Samuels, Die Tageszeitung, Germania Negli anni ottanta questo genere musicale interpretava la voglia di cambiamento da cui sono nate nuove iniziative culturali. Era una reazione alla guerra di mafia che sconvolse quel periodo el dialetto siciliano il tempo futuro non esiste. Per parlare del domani si usa il presente accompagnato da espressioni come “domani”, “dopodomani” e “mai”. Del resto, in Sicilia più che altrove lo sguardo è rivolto al passato. No future è uno slogan esistenziale piuttosto adatto al capoluogo siciliano,

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che negli anni ottanta, durante una delle guerre di mafia più sanguinose, ha incarnato un paradossale mix di nichilismo e voglia di cambiamento attraverso una vivace scena punk. In barba al turismo e alla gentrificazione, Palermo, con la sua architettura fatiscente, è ancora oggi sporca, rumorosa, anarchica e uguale a se stessa. Il punk ha esercitato una forte influenza sulla città, come documenta molto bene il volume fotografico di Fabio Sgroi Palermo 1984– 1986, Early works (YardPress 2018). All’epoca Sgroi, insieme alla fotografa Letizia Battaglia, collaborava con L’Ora, giornale progressista e antimafia. I due ritraevano soprattutto le scene degli omicidi. Nel tempo libero Sgroi si concentra-

va sulla sottocultura punk, hardcore e darkwave della città. Tra i tanti locali e le occupazioni, la vita culturale di Palermo faceva da contrappeso alla violenza onnipresente. Era un baluardo più che necessario, visto che tra il 1980 e il 1993 la mafia a Palermo ha ucciso centinaia di persone. Solo alla metà degli anni novanta, con la decisa risposta dello stato a cosa nostra, dopo gli attentati in cui sono morti i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la città è diventata più sicura, grazie a una svolta epocale frutto dell’impegno politico e culturale contro la mafia del sindaco Leoluca Orlando, che nel 2022 ha lasciato la politica dopo aver ricoperto quel ruolo per 25 anni, per tre mandati non consecutivi.

A prezzi popolari Negli anni ottanta la maggior parte dei palermitani considerava inavvicinabile il centro storico, nonostante le sue magnifiche architetture. Oggi Sgroi, che incontro al caffè del Kassaro, a due passi dalla piazza barocca Quattro Canti, traccia un parallelo tra la Palermo contemporanea e uno dei suoi più famosi affreschi quattro-

centeschi, in cui la morte raffigurata come uno scheletro (la peste) armato d’arco e frecce, intento a prendere di mira personaggi di tutte le classi sociali. “Il trionfo della morte di palazzo Abatellis è un’immagine azzeccata”, spiega Sgroi. “Nonostante i tanti turisti, nei vicoli e in periferia la morte è ancora in agguato”. La scena punk, con gruppi come MGs e Under trash, era nata in reazione a quei tempi bui, prosegue Sgroi, quando le forze dell’ordine la reprimevano duramente e c’erano anche gli omicidi di mafia. “Il punk e la darkwave ci hanno salvato la vita, proprio perché davano spazio anche a rappresentazioni della morte. All’epoca noi ce ne volevamo andare da qui e invece oggi a Palermo vogliono venirci tutti. Eppure la città è rimasta chiusa in se stessa”. Ci sono zone dove l’anima politica del punk è ancora viva: in particolare nella Palestra popolare, centro sportivo e culturale in via San Basilio, vicino allo storico mercato della Vucciria, una palestra degli anni trenta collocata nel cortile di un palazzo del seicento. Alle pareti, accanto alla bandiera siciliana – la Trinacria con la testa di Medusa – spiccano citazioni di Muhammed Ali, eroe del pugilato, e degli indipendentisti e dei separatisti siciliani. La palestra è nata da un’occupazione che puntava a offrire a tutti i palermitani la possibilità di accedere a sport e cultura a prezzi popolari. Si praticano soprattutto le arti marziali e il sollevamento pesi, ma si fa anche musica punk, hardcore e folk siciliano. La palestra ha raccolto l’eredità dell’ExKarcere, un’ex prigione femminile occupata, che nei primi anni duemila era il cuore della scena punk-hardcore. All’organizzazione delle attività sportive e musicali partecipa anche Verdiana Mineo, atleta pluripremiata del sollevamento pesi, considerata una delle donne più forti del mondo. È forte anche la voce con cui canta – rigorosamente in siciliano – come front woman dei Mavaria, gruppo folk siciliano contemporaneo. Dal vivo la voce roca aggiunge accenti mediterranei alle malinconiche ballate, che spesso sono quelle composte da Rosa Balistreri, leggenda della musica folk che negli anni settanta aveva trascritto e registrato tante vecchie canzoni popolari. “La nostra è una musica malinconica”, spiega Mineo, “perché la musica popolare siciliana è fondamentalmente triste e spesso parla delle condizioni di vita dei lavoratori, del-

la campagna, della povertà e di storie d’amore molto cupe. Il mio obiettivo di attivista, ma anche di atleta e cantante, è denunciare e superare le disuguaglianze sociali. Rivendichiamo anche l’indipendenza siciliana, non per orgoglio nazionalista ma perché vorremmo che nascesse una coscienza siciliana capace di resistere al sistema capitalista che ci sfrutta”.

Il lato oscuro La scena della musica elettronica palermitana è meno politica ma altrettanto indipendente. Nata durante le occupazioni degli anni novanta, oggi può essere ascoltata in piccoli disco-pub del centro storico come Castigamatti, Botanico e Fabbrica 102. Proprio in quest’ultimo locale, Ric-

Nei primi anni duemila l’ExKarcere era il cuore della scena punk-hardcore cardo Schirò, fondatore dell’etichetta Gravity Graffiti e conosciuto anche oltre i confini dell’isola, sta organizzando una serata. La Meeraqui, invece, organizza feste nei sontuosi palazzi e giardini di villa Tasca (nota grazie alla serie tv The white lotus), mentre non ha una sua sede il collettivo queer Fluidae collective, fondato nel 2021 per creare in Sicilia spazi sicuri per persone queer e non binarie, oltre che per tener vivo il legame che l’isola ha con la natura anche nell’arte e nella musica. Pur essendo catanesi, i quattro componenti del collettivo sono molto presenti a Palermo. E questo è un bene. Può non sorprendere che produttori e dj palermitani di fama internazionale, come Luca Mortellaro, fondatore dell’etichetta Stroboscopic Artefacts, o il produttore di musica industriale Nino Pedone (alias Shapednoise), si siano trasferiti a Berlino anni fa. È sorprendente, però, che entrambi da allora si siano esibiti a Palermo solo rarissimamente. Mortellaro, che qualche anno fa è tornato in città, a febbraio ha suonato per la prima volta da quando era giovane nel locale I Candelai, mentre Pedone, che di recente ha presentato il suo album Absurd matter al festival Berlin Atonal, si è esibito in città una sola volta.

La dj Flora Pitrolo, 35 anni, fondatrice dell’etichetta A Colder Consciousness, non si stupisce. Laureata in lettere e ricercatrice musicale e teatrale al Birkbeck college della University of London, è convinta che sia tipico di Palermo ignorare i suoi talenti invece di accoglierli a braccia aperte: “Prima che santa Rosalia diventasse la patrona di Palermo, il nume tutelare della città di epoca preromana era il cosiddetto Genio di Palermo, solitamente raffigurato come un uomo che allatta un serpente. L’iscrizione latina sulla sua statua recita: ‘Palermo divora i suoi e nutre gli stranieri’. E questo vale anche per la rinascita palermitana. Se un tempo la scena musicale cittadina era irrimediabilmente isolata, ora soffre l’eccessiva attenzione data al turismo. Le arti figurative possono contare su fondazioni e finanziatori privati, mentre l’attività musicale dipende dalla fedeltà del pubblico”. Come Fabio Sgroi, anche Pitrolo pensa che il lato oscuro di Palermo giochi un ruolo fondamentale – talvolta esagerato – nell’immagine offerta dalla scena musicale. Nonostante i suoi lavori non riguardino direttamente Palermo, la sua musica è stata influenzata e orientata proprio dall’atmosfera cupa e culturalmente isolata della città, specialmente quando era una giovane artista goth. Oggi Pitrolo, con il dj Nunzio Borino, organizza la serata Creature (Italodisco, EBM ed elettronica sperimentale) nel locale I Candelai. La musica sperimentale palermitana ha al tempo stesso un respiro locale e internazionale, e i concerti del collettivo Curva Minore sono stati una forza trainante. La biennale artistica Manifesta, ospitata a Palermo nel 2018, ha gettato i semi di un nuovo cosmopolitismo, anche se con un impatto limitato sulla scena artistica locale e sulla musica sperimentale. L’esperienza musicale più intensa e importante rimane però quella della Vucciria: nelle notti del fine settimana capita spesso che ritmi afrobeat, reggaeton e pop rimbalzino da un sound system all’altro ad altissimo volume. Come sempre il futuro di Palermo e della sua musica è incerto, perciò No future continua a essere uno slogan attuale per una città dove, come nel dialetto siciliano, il passato è ovunque e il futuro è nel presente. ◆ sk Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Le opinioni

I problemi nascosti dietro la crescita indiana Jayati Ghosh

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uella dell’India sembra essere la storia L’India fatica a creare posti di lavoro, soprattutto sulla crescita preferita da tutti. Nono- nell’ultimo decennio. Secondo gli studi promossi dal stante le fondate preoccupazioni governo, il rapporto tra occupati e popolazione del sull’accuratezza dei dati ufficiali, si paese è sceso dal 38,6 per cento del 2011-2012 al 37,3 prevede che l’economia indiana si per cento del 2022-2023. Le statistiche mostrano anespanderà del 6,3 per cento nel 2024. che che l’occupazione femminile è scesa ad appena Un risultato notevole, se si considera che il suo pil il 20,8 per cento. Anche questo, però, è un dato gonsupera i 4.100 miliardi di dollari (4.490 miliardi di fiato, perché il governo considera lavoratore anche euro). Anche se continua a essere un paese a reddito “chi dà una mano nelle imprese familiari senza essemedio basso, con un pil pro capite infere retribuito”. riore ai tremila dollari (al tasso di cam- La più grande Se si esclude dalle analisi chi fa un bio di mercato), la rapida crescita del lacuna del tanto lavoro non retribuito, il tasso di occupapaese suggerisce che il suo potenziale decantato modello zione è molto inferiore rispetto a quaneconomico potrebbe andare oltre le di crescita indiano to suggeriscono le cifre ufficiali. Nel previsioni. Tuttavia bisogna stempera- è la sua incapacità 2022-2023 il 48 per cento degli uomini re l’ottimismo, alla luce dell’incapacità di generare indiani era impegnato in un’attività laindiana di affrontare due sfide correla- opportunità vorativa retribuita, rispetto ad appena il te. La prima è la distribuzione disugua- d’occupazione, 13 per cento delle donne, un tasso di le dei benefici di questa rapida crescipartecipazione femminile al lavoro tra i nonostante il rapido ta, che sono andati prevalentemente al più bassi del mondo. Questo sottolinea 10-20 per cento più ricco delle persone aumento del pil la più grande lacuna del tanto decantache percepiscono un reddito. to modello di crescita indiano: la sua Poiché dal 2011-2012 l’India non pubblica i dati incapacità di generare opportunità di occupazione, sui consumi, è difficile produrre stime affidabili nonostante il rapido aumento del pil. Non c’è da stusull’aumento della disuguaglianza e della povertà. pirsi perciò se i salari reali sono fermi da dieci anni. Queste stime si basano in larga misura sulle indagini I consumi di massa sono di conseguenza rimasti relative alle spese dei consumatori, condotte in ge- limitati, il che può spiegare la riluttanza del governo a nere ogni cinque anni. Il governo del primo ministro condurre indagini sulle spese dei cittadini. Questo ha Narendra Modi, però, ha cancellato l’indagine del contribuito a un forte calo degli investimenti interni, 2017-2018, perché i risultati non erano in linea con la che sono scesi da un picco del 42 per cento del pil nel narrazione che stava promuovendo. In seguito Modi 2006-2007 a circa il 31 per cento nel 2022-2023. Inolsi è rifiutato di fare ulteriori indagini, anche se la di- tre, gli indicatori di base sullo sviluppo umano, in parsponibilità di dati aggiornati è fondamentale per ticolare quelli relativi alla nutrizione, sono rimasti definire le scelte politiche. molto bassi e sono addirittura peggiorati negli ultimi Inoltre, il censimento decennale che doveva esse- anni a causa dell’esigua spesa pubblica per sanità, re completato nel 2021 è stato rinviato a data da desti- istruzione e sicurezza sociale. narsi. Né il governo né i cittadini sanno perciò quante Purtroppo la creazione di nuovi posti di lavoro di persone ci sono effettivamente in India, dove abitano qualità non sembra essere tra le priorità del governo e quali sono le loro condizioni di vita e di occupazio- Modi. La sua strategia economica si è invece conne. Nonostante questo, però, diversi indicatori sugge- centrata sull’incentivare un gruppo selezionato di riscono che i redditi di chi guadagna di più hanno investitori attraverso sussidi finanziati dai contrisubìto una brusca impennata, mentre i salari della buenti e nuove leggi. Al tempo stesso le esigenze maggior parte dei lavoratori, soprattutto quelli della delle piccole e medie imprese, che impiegano la metà più povera, sono rimasti fermi o sono diminuiti. maggior parte della forza lavoro indiana, sono spesLa seconda sfida che l’India deve affrontare ri- so trascurate. guarda il fatto che la rapida crescita del pil non ha geSenza riforme di ampio respiro per favorire l’ocnerato un numero di posti di lavoro sufficiente ad as- cupazione e garantire salari dignitosi, l’India fatisorbire i giovani. Ogni anno entrano nella forza occu- cherà a ottenere un vero successo economico. Le pazionale milioni di ragazzi e ragazze altamente elezioni previste per aprile e maggio offrono ai cittaistruiti, ma le loro aspettative non soddisfatte e i cre- dini la possibilità di riorientare l’economia verso un scenti disordini sociali minacciano di trasformare in percorso più sostenibile ed equo. Non bisogna spreun disastro il tanto atteso “dividendo demografico”. care questa occasione. u gim

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JAYATI GHOSH

è un’economista indiana. Insegna all’università Jawaharlal Nehru di New Delhi e collabora con diversi giornali indiani.

Le opinioni

A Hezbollah non serve una guerra contro Israele Anthony Samrani egli ultimi decenni l’identità del dell’inizio delle ostilità con Israele, il partito sciita sta partito libanese Hezbollah è diven- facendo di tutto per evitare l’inizio di una guerra totatata sempre più complessa, a mano le. Lo stato israeliano ha colpito il territorio libanese, a mano che il gruppo ha diversifica- ucciso civili, assassinato il numero due di Hamas alla to le sue attività. Creato dai Guar- periferia sud di Beirut e ha già ucciso 158 combattenti diani della rivoluzione iraniana di Hezbollah, ma il movimento continua a combatteall’inizio degli anni ottanta, da allora è stato un mo- re rispettando le regole d’ingaggio. vimento di resistenza, un partito-milizia, un’orgaLa presenza delle portaerei statunitensi nella renizzazione a sfondo sociale, una mafia internaziona- gione, inviate proprio per dissuadere il movimento, le e una forza militare regionale. Può ha certamente avuto l’effetto auspicapermettersi di mostrare, a seconda Il gruppo libanese to. La formazione filoiraniana sa che i delle circostanze, varie identità senza riconosce l’esistenza rapporti di forza le sarebbero troppo mai rinunciare totalmente alle altre. È dello stato ebraico. sfavorevoli e che una guerra aperta questa la sua forza principale, che al Continuerà a tenere contro Israele potrebbe indebolirla, o tempo stesso rende così difficile com- viva la retorica addirittura portare alla sua cancellaprenderlo e combatterlo. zione. Non può correre questo rischio. sulla “resistenza”. Ma più gioca un ruolo di primo piano Ma vuole congelare La sua priorità è mantenere il dominio in Libano, più Hezbollah perde una par- a tempo in Libano e l’influenza dell’Iran nella te della sua identità. Invece di dare forregione, e non “liberare la Palestina”. indeterminato za al sogno di “liberare la Palestina”, la Hezbollah non è più quello del “vittoria divina” nella guerra del Liba- il conflitto 2006, perché oggi ha molto più da perno contro Israele nel 2006 l’ha incoragdere. È diventato l’azionista principale giato a consolidare la posizione nel suo paese. Fino a dello stato libanese e deve comportarsi come tale. È diventare, dieci anni dopo, una specie di Leviatano. pronto a entrare in guerra per salvare il regime siriaInvece di indebolire il movimento, gli interventi in no di Bashar al Assad; è pronto a tutto per evitare che Siria, in Iraq e nello Yemen gli hanno dato la sensazio- la giustizia faccia il suo corso nel caso dell’assassinio ne di poter svolgere un ruolo su scala regionale, atteg- del primo ministro libanese Rafiq Hariri o in quello giandosi a grande esecutore della politica iraniana in della doppia esplosione al porto di Beirut; ma non Medio Oriente. In appena quindici anni Hezbollah è vuole lanciarsi in una nuova avventura militare concosì diventato il dominatore dei giochi in Libano – an- tro Israele. che se una parte della popolazione lo contesta – e un Il comportamento del gruppo libanese rivela la protagonista del mondo arabo. sua evoluzione. Non solo non ha rimesso in discussioIl movimento, però, ha conquistato il nuovo status ne la strada presa dopo il 2006, ma ne sta accelerando sacrificando la volontà di affrontare il nemico origi- la mutazione. Al punto che il segretario Hassan nale. La frontiera israelo-libanese è rimasta calma Nasrallah si dice aperto a dei colloqui con il nemico per diciassette anni e nel 2022 la milizia è arrivata al sul dopoguerra. punto di dare il via libera alla firma di un accordo sulla Il fatto che Hezbollah accetti di negoziare il ritiro delimitazione delle frontiere marittime con lo stato israeliano dai territori occupati dopo la guerra del ebraico. All’epoca il partito aveva spiegato che l’ac- 2006, che sono al centro della sua retorica per giusticordo non rappresentava una forma di normalizza- ficare il rifiuto di abbandonare le armi, è senza prezione e si limitava a questioni tecniche. Ma questo cedenti. Questo implica che in qualche modo il parnon aveva ingannato nessuno: Hezbollah non aveva tito riconosce l’esistenza dello stato israeliano e che rinunciato alla “resistenza” e ha dimostrato di avere non ha più intenzione di combattere il suo nemico altre priorità, a cominciare dalla stabilizzazione delle sul fronte meridionale. Non vuole la pace e conticonquiste in Libano e nel mondo arabo. nuerà a mantenere la sua retorica sulla “resistenza”. Il sanguinoso attacco a sorpresa di Hamas del 7 Ma è pronto a congelare a tempo indeterminato il ottobre in un primo tempo ha stravolto questa equa- conflitto. zione. Hezbollah, al pari di Hamas, ha nascosto per Dopo il 2006 Hezbollah si è libanizzato. Non peranni il suo gioco al fine di preparare un attacco di va- ché agisce nell’interesse del Libano anziché dell’Iran, sta portata? O ne è stato colto alla sprovvista, come ma nel senso che il destino di Beirut è legato intrinsesostiene? Tre mesi dopo, la domanda resta irrisolta. È camente al suo. Lo stato, ormai, è Hezbollah, che vorassodato invece che a partire dall’8 ottobre, data rebbe rimanere così. Senza rivali. u fdl

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ANTHONY SAMRANI

è un giornalista libanese. È il direttore del quotidiano L’Orient-Le Jour, per il quale ha scritto questo articolo.

Canada

CREATIVE TOUCH IMAGING LTD./NURPHOTO/GETTY

Toronto, 7 aprile 2023

La rivolta degli inquilini Jason McBride, Maclean’s, Canada

In molte città canadesi i prezzi degli affitti sono fuori controllo. E le persone che protestano smettendo di pagare sono in aumento. Il caso di Toronto 38

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800 km

Mare di Beaufort

C A NA DA

Groenlandia (Danimarca)

Baia di Hudson

Mare del Labrador

Vancouver Victoria

Ottawa

STATI UNITI

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harlene Henry si è trasferita al civico 33 di King street, un condominio di 27 piani nel quartiere di Weston, a Toronto, all’inizio degli anni duemila. Aveva trent’anni e dirigeva un negozio della catena Foot Locker. L’appartamento, che aveva trovato con il fidanzato Peter, aveva una camera da letto e costava 700 dollari canadesi al mese (circa 470 euro), compresi il parcheggio e la tv via cavo. Qualche anno dopo sua madre, Theresa, è venuta ad abitare nello stesso palazzo. Henry era cresciuta in questa zona e le piaceva tantissimo. Incastrato tra il centro di Toronto e la periferia in-

Montréal

Toronto

terna della città, Weston era un quartiere operaio, molto vario, con un forte senso di solidarietà tra gli abitanti. Henry ricorda che da ragazza, nei fine settimana, andava con tutta la famiglia a Weston road, la strada principale del quartiere, per fare la spesa al mercato contadino o per provare i ristoranti caraibici. Il palazzo al 33 di King Street era abbastanza vecchio, ma aveva affitti ancora accessibili in una città che sembrava diventare ogni anno più costosa. Nel 2010 Sharlene e Peter si sono trasferiti in un appartamento di due stanze all’ultimo piano, che costava meno di mille dollari canadesi. Due anni dopo è nato il loro primo figlio, Xavier. Nel 2013 la Realstar, la società immobiliare proprietaria del palazzo, li ha informati che quell’anno l’affitto sarebbe aumentato del 5,5 per cento. Henry era confusa. I prezzi erano sempre stati calmierati, e per il 2013 era previsto un aumento del 2,5 per cento. Ma c’era un dettaglio che poteva spiegare quel cambiamento: nell’Ontario, la provincia che include Toronto, i proprietari possono imporre un aumento straordinario dell’affitto – chiamato Above guideline rent increase (Agi) – se fanno lavori di ristrutturazione importanti. Quell’anno la Realstar aveva riparato il tetto e gli ascensori, quindi Henry ha pensato che si trattasse di un’eccezione. Ma l’anno dopo l’affitto è aumentato del 3,8 per cento, molto al di sopra dello 0,8 previsto. A quel punto lei e i suoi vicini erano infuriati. Hanno fatto presente che l’edificio era in cattive condizioni e che la Realstar non si faceva carico della manutenzione ordinaria. Alcuni pensavano che la società usasse gli Agi per aumentare il valore della proprietà facendo pagare di più agli inquilini. Nel 2017 Henry ha cominciato a lavorare alla catena di montaggio di uno stabilimento Chrysler a Brampton, una città vicina, e si è iscritta all’Unifor, uno dei principali sindacati canadesi. Era emozio-

nante far parte di un gruppo di persone che lottavano per i propri diritti. Stimolata da quell’esperienza, nel 2018 ha fondato un’associazione per riunire gli inquilini del suo palazzo e combattere contro i futuri aumenti dell’affitto. Non è cambiato granché: la quota è cresciuta nel 2018, nel 2019 e nel 2021. Quell’anno il palazzo è stato comprato dalla Dream, un colosso immobiliare con un patrimonio di 23 miliardi di dollari canadesi. Henry e gli altri inquilini hanno cercato di mettere subito le cose in chiaro con i nuovi proprietari. Lavorando con la York South-Weston tenant union (Yswtu), un’organizzazione che raccoglieva tredici associazioni di inquilini della zona, hanno organizzato delle proteste, hanno chiesto un incontro con il presidente della Dream, Michael Cooper, e hanno contattato i giornali. L’obiettivo era impedire ulteriori aumenti straordinari degli affitti. Nell’estate del 2022 sono riusciti a negoziare una riduzione dell’aumento, ma l’affitto di Sharlene e Peter ormai era arrivato a quasi 1.500 dollari canadesi, più del doppio rispetto al 2003. Nonostante questo la donna si considera fortunata: “Dal punto di vista economico non ho problemi, a differenza di molti dei miei vicini”.

Strada rischiosa Durante un’assemblea degli inquilini che si è svolta nell’aprile 2023, Theresa, la madre di Sharlene, ha lanciato un’idea provocatoria: e se smettessimo di pagare l’affitto? Era già successo in passato. Nel 2017 e nel 2018 alcuni abitanti di Parkdale, un quartiere in via di gentrificazione, nella zona occidentale di Toronto, avevano organizzato due scioperi che avevano avuto successo. Ma era una strategia rischiosa. In Ontario i proprietari possono avviare una procedura di sfratto anche se un inquilino salta un solo pagamento, e una volta sfrattate dal 33 di King street sarebbe stato difficile per quelle persone trovare un affitto a un prezzo simile nelle vicinanze. Alcuni avrebbero dovuto lasciare la città. Alla fine dell’incontro circa cinquanta persone appoggiavano la proposta di Theresa, ma per indire lo sciopero c’era bisogno che almeno la metà degli inquilini fosse d’accordo. Poi, a maggio, sono stati battuti sul tempo da alcuni abitanti di Thorncliffe Park, un quartiere dall’altra parte della città. Nel 2022 e nel 2023 l’affitto in tre palazzi controllati dalla Starlight Investments è aumentato più del dovuto. Quando l’azienda ha annunciato che Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Canada avrebbe fatto trattative individuali con gli inquilini, più di cento famiglie hanno smesso di pagare l’affitto. La notizia ha dato coraggio agli abitanti del 33 di King street, che a giugno hanno cominciato il loro sciopero. Henry era euforica: “Stavamo dimostrando di poter mettere in moto un cambiamento e trasformarlo in qualcosa di più grande”. Durante l’estate e l’autunno gli abitanti di altri quartieri si sono uniti alla protesta. I motivi erano simili: aumenti degli affitti fuori controllo, infestazione di cimici, manutenzione inadeguata. Oggi a Toronto ci sono centinaia le famiglie che non stanno pagando l’affitto. Anche se gli scioperi sono solo vagamente coordinati, si tratta probabilmente della più grande mobilitazione di questo tipo nella storia del Canada. La lotta ha delle conseguenze. La Dream ha avviato la procedura di sfratto per più di settanta inquilini del 33 di King street e la Starlight ha mandato lo stesso avviso a 75 persone a Thorncliffe Park. Probabilmente arriveranno altri sfratti, ma gli scioperanti sono fermi nella loro posizione: anche se hanno paura di perdere la casa, non possono più accettare la situazione attuale. Questo attivismo sta divampando in tutto il paese, perché gli inquilini sono costretti a pagare affitti altissimi mentre le loro condizioni di vita peggiorano e il mercato immobiliare diventa sempre più ostile. Comunque andranno a finire, gli scioperi degli affitti di Toronto sono l’ultima e più importante battaglia di una nuova lotta di classe.

Competizione selvaggia

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del 150 per cento rispetto alle case già in affitto. Il mercato degli affitti non è semplicemente più costoso: sta diventando inaccessibile. Ma c’è un’altra questione: sta cambiando anche il rapporto tra proprietari e inquilini. In passato la maggior parte delle nuove abitazioni in affitto era in condomini costruiti per quello scopo, gestiti da amministratori che si occupavano solo di affittare appartamenti. Negli ultimi vent’anni nuovi tipi di proprietari – singoli investitori e grandi aziende – hanno trasformato gli alloggi in affitto in una risorsa finanziaria. Questo ha portato ad aumenti più rapidi dei prezzi, vite più precarie e maggiori probabilità di conflitto. Tra il 2011 e il 2021 le unità immobiliari in affitto in condomini controllati da piccoli investitori sono passate da circa 400mila a quasi 800mila. Il prezzo di questi appartamenti dipende dai capricci dei singoli proprietari invece che dalle valutazioni di amministratori professionisti. Secondo una ricerca di Pomeroy, le persone che vivono in affitto in questi appartamenti subiscono un maggior numero di sfratti “senza colpa”, cioè non determinati da gravi inadempienze ma da altre valutazioni, per esempio la volontà dei proprietari di vendere gli appartamenti o rilevarli per andarci a vivere.

Europa Proprietà o affitto Le abitudini abitative nei paesi dell’Unione europea nel 2022, percentuale Proprietari Proprietari con mutuo In affitto a prezzi calmierati In affitto a prezzi di mercato

Tentennamenti

Paesi Bassi Danimarca Svezia Germania Belgio Lussemburgo Austria Finlandia Francia Irlanda Portogallo Spagna Cipro Estonia Repubblica Ceca Slovenia Malta Italia Grecia Slovacchia Lettonia Ungheria Lituania Polonia Bulgaria Croazia Romania 0

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FONTE: EUROSTAT

Dopo la fine della seconda guerra mondiale il Canada diventò un paese di proprietari di casa, mentre l’affitto era generalmente riservato agli studenti, alle famiglie a basso reddito, alle minoranze e agli immigrati. Ma oggi, con i prezzi proibitivi delle abitazioni, la percentuale di proprietari di casa sta scendendo per la prima volta da generazioni, soprattutto tra i più giovani. Le famiglie in affitto crescono a un tasso tre volte superiore rispetto a quelle con una casa di proprietà. Secondo un sondaggio Ipsos del marzo 2023, più del 60 per cento dei canadesi che non possiedono una casa ha abbandonato l’idea di comprarla. Questo significa che c’è una competizione fortissima per aggiudicarsi le poche case in affitto rimaste. Secondo la Canada mortgage and housing corporation, nel 2023 solo l’1,9 per cento degli ap-

partamenti costruiti per essere messi in affitto erano vuoti, il dato più basso degli ultimi vent’anni. I canoni stanno aumentando di pari passo. A settembre a Vancouver, la città più costosa del Canada, per un appartamento di due stanze sulla piattaforma di annunci Rentals.ca si chiedevano in media 3.900 dollari canadesi (2.650 euro) al mese, rispetto ai 2.900 di quattro anni fa. A Toronto, dove metà della popolazione è in affitto, 3.400 dollari. Il reddito familiare mediano della città – 74mila dollari all’anno al netto delle tasse – non consente di stare tranquilli, tenendo conto che una famiglia ha anche bisogno di mangiare, trasporti, asili nido e altri beni e servizi di prima necessità. In una certa misura, il problema è semplice: non ci sono abbastanza nuovi appartamenti per soddisfare la domanda, e questa scarsità sta spingendo in alto gli affitti. Secondo Steve Pomeroy, docente della Carleton university di Ottawa, oggi un appartamento nuovo in Canada viene messo sul mercato a un prezzo superiore

Allo stesso tempo, le grandi aziende che possiedono terreni edificabili hanno conquistato una fetta maggiore del mercato. I fondi d’investimento immobiliari, gli hedge fund e aziende come la Starlight e la Dream hanno continuato a comprare, impossessandosi di gran parte del vecchio patrimonio di alloggi in affitto nel paese. Gli esperti del settore sostengono che l’obiettivo principale di queste aziende – generare rapidamente ricchezza per gli investitori o gli azionisti – causa aumenti più alti degli affitti e più sfratti, per sostituire i vecchi inquilini con persone in grado di pagare quei canoni e assicurare maggiori profitti. Nel 2022 Martine August, docente di urbanistica dell’Università di Waterloo, ha sottolineato questo punto in un rapporto per la commissione canadese per i diritti umani: “Gli appartamenti in affitto sono trattati come beni su cui investire e sono gestiti per generare il massimo profitto per gli investitori”. Le aziende ci riescono usando gli Agi: tra il 2012 e il 2019 a Toronto il 64 per cento di tutte le richieste di aumenti straordinari proveniva da grandi società. La Starlight

IAN WILLMS

Sharlene Henry nel suo appartamento a Toronto, settembre 2023

ha presentato più domande di qualsiasi altra azienda della città. Tony Irwin, amministratore delegato della Federation of rental-housing providers of Ontario, un’associazione che rappresenta chi ha proprietà in affitto, risponde che gli aumenti del canone sono dovuti ai tassi di interesse e ai costi di costruzione più alti. “Il tetto massimo per gli affitti non tiene conto della crescita dei costi di gestione”, sostiene Irwin. Quando Sharlene Henry e sua madre hanno proposto per la prima volta l’idea di uno sciopero, gli altri inquilini avevano dei dubbi: la Dream avrebbe potuto cac-

ciarli di casa? Cosa cercavano di ottenere? Per le due donne le risposte erano semplici. Per prima cosa, la Dream non poteva mandarli via, perché avrebbe dovuto ottenere un provvedimento di sfratto e sottoporre il caso alla Landlord and tenant board (Ltb), la commissione che regola i rapporti tra proprietari e inquilini. La Ltb aveva già molto lavoro arretrato, e il procedimento avrebbe richiesto mesi, forse anni. Rispetto alla seconda domanda, l’obiettivo era costringere la proprietà ad annullare le due richieste di aumento straordinario (che erano in sospeso), promettere una moratoria su quelle future e con-

cedere agli inquilini una riduzione dell’affitto per compensare ristrutturazioni che avevano creato parecchi disagi. Nel 2021, poco dopo aver rilevato la proprietà, la Dream aveva fatto interventi per “decarbonizzare” il palazzo, sostituendo le finestre, riadattando il sistema di riscaldamento, ventilazione e condizionamento d’aria e aggiungendo pannelli solari. In teoria erano cambiamenti positivi, ma gli inquilini avevano denunciato una serie di problemi, tra cui rumori continui, interruzioni di servizio, polvere. Nell’estate del 2022 le ringhiere dei balconi erano state rimosse in attesa che fossero costruite e installate le nuove. Un anno dopo alcune non erano ancora state sostituite. Gli operai affollavano gli ascensori e l’attesa per usarli era così lunga che i bambini arrivavano spesso tardi a scuola e gli adulti mancavano gli appuntamenti con il medico. Alcuni inquilini erano comunque scettici: pensavano che l’associazione volesse scioperare solo per ottenere l’affitto gratuito per tutti. Ma uno sciopero degli affitti non funziona così: una volta finito, i partecipanti devono pagare le mensilità saltate. Il punto era se quegli arretrati avrebbero incluso o meno gli Agi. Altre persone non hanno avuto bisogno di essere convinte, soprattutto quelle che non possono permettersi neanche un rialzo minimo dell’affitto. Tra queste c’è Pathma Tharmathevarajah, una donna minuta e simpatica di 64 anni che vive al civico 33 da quindici anni e lavora in una fabbrica di lampadari della zona da 25 anni. Guadagna duemila dollari canadesi al mese e paga un affitto di 1.075 dollari. In caso di un aumento straordinario sarebbe costretta ad andarsene. Altri inquilini erano semplicemente stanchi degli aumenti straordinari e delle continue ristrutturazioni. Gli sembrava che la Dream stesse cercando di cacciarli di casa. Nel rapporto sulla sostenibilità 2022 dell’azienda, il presidente Michael Cooper ha dichiarato: “Stiamo ristrutturando gli edifici di tutto il nostro portafoglio, il che ridurrà i costi operativi per sempre, farà aumentare gli affitti e attirerà inquilini che la pensano come noi”.

Tariffe giuste Una volta partito lo sciopero, nel giugno 2023, i rappresentanti della Yswtu hanno cominciato a contattare gli inquilini due volte alla settimana, al telefono e di persona. Sharlene Henry dice che sua madre Theresa è stata “la regista” dello sciopero. Conoscendo benissimo i suoi vicini, la loInternazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Canada

IAN WILLMS

Rashid Limbada nel suo appartamento a Toronto, ottobre 2023

ro vita e le loro idee politiche, ha aiutato a reclutarli. Hanno affisso manifesti, organizzato raduni e proteste e perfino una festa di quartiere con il furgone dei gelati. Vivendo in un palazzo con tanti appartamenti, si può sentire l’odore di quello che i vicini stanno cucinando per cena e le urla dei bambini. Ma ci si può anche sentire soli. Lo sciopero ha contribuito ad abbattere le barriere, dando a tutti un obiettivo comune. In una società in cui quasi tutto – l’economia, la politica, il clima – è diventato opprimente, lo sciopero dà la sensazione di avere un minimo di controllo. Stare fianco a fianco con gli altri per cercare di capire come superare i momenti difficili fa provare una gioia unica. Durante una protesta Montas Descollines, un inquilino di 65 anni originario di Haiti, mi ha parlato dell’importanza di avere uno scopo collettivo: “Ricchi o poveri”, ha detto, “respiriamo tutti la stessa aria”. A metà giugno la Dream ha cominciato a convocare gli inquilini, chiedendogli perché non stavano pagando l’affitto. Ha mandato lettere in cui li avvertiva che stavano violando la legge e gli proponeva di risolvere il problema facendo accordi individuali. Quando ho parlato con Michael Cooper, il presidente della Dream, mi è

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sembrato sinceramente offeso dalle critiche ricevute dagli inquilini: “C’è una crisi immobiliare in corso. Su questo siamo d’accordo. Ma loro dicono cose terribili su di noi e questo non aiuta né noi né loro”. Cooper sostiene che la Dream ha sempre investito nella comunità. Poco dopo aver comprato il palazzo al 33 di King Street, per esempio, ha creato un circolo per la colazione e i compiti dei bambini, oltre a offrire corsi di inglese come seconda lingua e di nuoto. Ha mandato i bambini al campeggio estivo e ha assegnato 59mila dollari di borse di studio. E, grazie anche ai finanziamenti della Canadian mortgage and housing corporation, ha fatto in modo che 137 appartamenti del palazzo fossero messi in affitto a non più del 30 per cento del reddito mediano degli affittuari di Toronto nel 2019. Sarebbero circa 1.350 dollari al mese. Gli intestatari possono subire aumenti solo secondo le linee guida degli affitti calmierati ed essere esentati da futuri Agi. Gli appartamenti a prezzi accessibili devono anche essere consegnati ai nuovi inquilini alla tariffa dei precedenti. Cooper ritiene che il sindacato stia sfruttando la situazione per portare avanti un piano politico sugli affitti, cosa che

secondo lui è responsabilità del governo, non di aziende come la sua. Anche se la Dream ha reagito, l’attivismo degli inquilini è cresciuto. Più di cinquanta organizzazioni di cittadini – tra cui FoodShare, Ywca e Social planning Toronto – hanno espresso il loro sostegno. Il coinvolgimento della Yswtu è stato fondamentale. Guidata da Bruno Dobrusin, un attivista sindacale e climatico originario dell’Argentina, e dall’assistente sociale Chiara Padovani, la Yswtu rappresenta circa duemila inquilini della zona. È attiva, aggressiva e popolare. Alle elezioni locali del 2022 Padovani si è candidata contro la consigliera comunale locale, Frances Nunziata, con un programma incentrato sui problemi degli inquilini, e ha perso per cento voti appena.

La lotta si allarga Il primo luglio, un mese dopo l’inizio dello sciopero, si sono aggiunti alla protesta novanta inquilini di un altro palazzo della Dream a meno di un isolato di distanza. Si tratta di un edificio lussuoso rispetto a quello di King street. Gli affitti sono molto più alti e non sono calmierati. Il palazzo è stato completato nel 2019, un anno dopo che il governo conservatore dell’Ontario

JARED ONG

Una protesta degli abitanti del quartiere di Weston, a Toronto, luglio 2023

aveva eliminato il tetto agli affitti per le nuove costruzioni, nel tentativo di stimo­ lare l’avvio di altri cantieri. Gli inquilini hanno subìto aumenti mensili dal sette al nove per cento ogni anno. Gli apparta­ menti con una camera costano 2.344 dol­ lari canadesi al mese. Le persone che ci abitano sono generalmente più ricche di quelle al civico 33 di King street, ma il fatto che si siano unite alla lotta dimostra quan­ ta gente soffre per la crisi degli affitti. Ad agosto la Dream ha cominciato a emettere avvisi di sfratto, e lo stesso ha fatto la Starlight di Thorncliffe Park. Que­ ste dispute devono essere risolte dalla Landlord and tenant board (Ltp), che è molto in ritardo con le pratiche. Ma a set­ tembre gli inquilini di Weston hanno rice­ vuto un aiuto inaspettato. Olivia Chow, da poco eletta sindaca di Toronto, ha accetta­ to di fare da mediatrice e di partecipare a un incontro tra loro e la Dream. Per alcuni attivisti è stato importante vedere la più importante autorità cittadina interessarsi ai loro problemi. “Nessun politico aveva fatto una cosa del genere”, dice Pierce Nettling, un geografo urbano iscritto al sindacato degli inquilini di Victoria, nella British Columbia. “È la prima volta che un sindaco riconosce un’associazione degli

inquilini e dice: ‘Hanno diritti politici e dobbiamo parlare con loro’”. Ma i dirigenti della Dream non hanno fatto passi indietro. Su consiglio degli av­ vocati, si sono rifiutati di fare concessioni mentre l’Ltb esaminava la disputa. L’in­ contro si è tenuto comunque, il 14 settem­ bre. La sala era piena di inquilini, molti dei quali indossavano magliette e distintivi dell’Yswtu. Frances Nunziata si è seduta vicino a Chow. La sindaca ha parlato di ciò che potrebbe fare per gli affittuari, inclusa l’apertura di un ufficio per l’assistenza. Dopo l’incontro, Sharlene Henry era cau­ tamente ottimista: “La sindaca ha detto che non vuole far perdere la casa a nessu­ no”. Ma alla fine non dipendeva da lei.

Secondo l’azienda, alcuni inquilini pagano l’affitto di nascosto ma dicono al sindacato che stanno partecipando allo sciopero

Le strategie aggressive degli inquilini si stanno diffondendo in tutto il paese, an­ che perché le misure più ortodosse non sembrano funzionare. Anni fa l’associa­ zione degli inquilini di Vancouver ha cer­ cato di cambiare le cose facendo pressio­ ne sul consiglio comunale per far approva­ re politiche a protezione degli affittuari. Ma, nonostante tutti i suoi sforzi, non è riuscita a ottenere niente di concreto. Nel 2022 il governo provinciale di Prince Edward Island ha chiesto aiuto al gruppo di attivisti Fight for affordable housing per rivedere la legge sulla locazione. Tuttavia, alla fine i funzionari hanno accettato solo quattro delle 27 raccomandazioni fatte dall’organizzazione. Per Cory Pater, che fa parte del gruppo, gli scioperi di Toronto sono un’ispirazione. “Le persone vengo­ no derubate per avere appartamenti che, in media, non sono neanche ben curati. Incontrarsi e cercare di trovare soluzioni è la risposta naturale a questo problema”. A Montréal, nella provincia del Qué­ bec, il sindacato autonomo degli inquilini sta seguendo con attenzione gli scioperi di Toronto e sta programmando un’azione simile contro una proposta di legge che consentirebbe ai proprietari di eliminare i trasferimenti di locazione, con cui gli affit­ Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Canada tuari possono passare un contratto a basso canone a un nuovo affittuario. A settembre il sindacato ha convinto 250 inquilini a partecipare allo sciopero, ma ha intenzione di andare avanti solo se riuscirà a coinvolgerne cinquemila. In tutto il paese le associazioni degli inquilini sono circa quaranta. Gli ultimi sono nati a Victoria, Montréal e perfino in piccole città come Nelson, nella British Columbia. Sperano che altri inquilini costretti a pagare prezzi troppo alti reagiscano, in modo da cambiare i termini del dibattito e togliere potere ai proprietari. Per loro gli scioperi di Toronto segnano l’inizio di una nuova fase, in cui la classe in rapida crescita degli affittuari combatte collettivamente per difendere i propri interessi. Il giorno dopo l’incontro con Chow, ho accompagnato Sharlene Henry nel suo giro degli appartamenti, per vedere come stavano le famiglie e offrire aiuto a chi aveva ricevuto l’avviso di sfratto. Abbiamo parlato con una ragazza in tuta e sandali da doccia. Henry le ha chiesto se aveva deciso di aderire allo sciopero. La donna ha sorriso timidamente e ha risposto che ci stava pensando. Era favorevole, ma temeva di perdere il diritto alle riparazioni che aveva chiesto. Era tentata di trasferirsi, ma ha scoperto che la situazione era cambiata dall’ultima volta che aveva cercato un appartamento: ora molti proprietari vogliono la firma di un garante sul contratto e chiedono ai potenziali inquilini se guadagnavano almeno 75mila dollari all’anno.

Resa dei conti Chiara Padovani, attivista dell’Yswtu, sostiene che gli inquilini in sciopero sono circa duecento. La Dream continua a dichiararne un numero molto inferiore, 45, in calo rispetto all’inizio dello sciopero. Secondo l’azienda, alcuni pagano l’affitto di nascosto ma dicono al sindacato che stanno partecipando. La Dream dice di includere nel conteggio solo chi non paga l’affitto dall’inizio dello sciopero, e sostiene che qualsiasi pagamento fatto in seguito dimostra che quegli inquilini non stanno scioperando. Padovani respinge questa logica e sottolinea il numero delle procedure di sfratto: alla fine di ottobre è stato chiesto a 76 inquilini del palazzo di lasciare i loro appartamenti per morosità. Questo numero non include tutti gli scioperanti. Sharlene Henry, per esempio, non ha ricevuto l’avviso.

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A ottobre al Landlord and tenant board si è tenuta la prima udienza di sfratto per il caso di due inquilini di Thorncliffe Park. L’incontro si è svolto online e almeno cento persone si sono collegate per assistere. A fare da arbitro c’era Sean Henry (nessuna parentela con Sharlene), che parlava con lunghi periodi sconnessi ma forbiti. I proprietari erano rappresentati da un avvocato anziano e con modi sbrigativi. L’avvocata degli inquilini, una donna giovane, seria, piena di buona volontà, ha chiesto se quel caso poteva essere accorpato con gli altri 74 degli inquilini di Thorncliffe Park che rischiavano lo sfratto e che lei rappresentava. Così potevano essere ascoltati nella stessa data, visto che le prove e la difesa sarebbero state le stesse per tutti. L’avvocato dei proprietari ha detto che questo avrebbe ritardato ulteriormente il procedimento e che se gli inquilini avessero continuato a non pagare l’affitto, la Starlight non sarebbe stata in grado di fare le manutenzioni. Alla fine Sean Henry si è schierato con l’avvocata degli inquilini in nome dell’“economia giudiziaria”. Tutti i 75 casi sarebbero stati discussi entro la fine dell’anno. Bruno Dobrusin, della Yswtu, pensa che l’udienza sia stata un passo avanti: “I proprietari vogliono sempre occuparsi di un caso alla volta”. Secondo lui è questo il nocciolo della questione: coinvolgere più persone, restare uniti. Per tutto l’autunno Sharlene Henry ha continuato a organizzare proteste, a parlare con i mezzi d’informazione. Si sta preparando per le udienze di sfratto degli inquilini di Weston, che si dovrebbero tenere all’inizio del 2024. E sta tenendo corsi per le donne che vogliono parlare in pubblico, presso l’Unifor family education centre, una struttura per la formazione sindacale di Port Elgin, una piccola città sulle rive del lago Huron, a nordovest di Toronto. Si è affezionata a quel posto. È carino, e lei sta contribuendo a formare un nuovo gruppo di lavoratrici. In una delle sue ultime visite ha portato con sé suo figlio Xavier. Anche a lui è piaciuto. Poteva andare in spiaggia e giocare ai videogiochi, e dormivano in una casetta a schiera molto più grande del loro appartamento. Dopo un paio di giorni, però, a Henry mancavano alcune cose di Toronto: la famiglia, naturalmente, ma anche il trambusto della vita di città. Voleva solo tornare a casa. u bt

Da sapere

Attivismo internazionale ei paesi occidentali gli scioperi degli affitti non sono una novità. Vice News ha raccontato la storia di Pauline Newman, una sindacalista lesbica, femminista e socialista che nel 1907, quando i padroni di casa di New York cercarono di aumentare il costo degli affitti, guidò una protesta a Manhattan. Circa diecimila famiglie si rifiutarono di pagare l’affitto. Nei decenni successivi la loro lotta ispirò l’attivismo degli inquilini della città, che portò all’approvazione delle leggi sul controllo degli affitti in vigore ancora oggi. Si è tornato a parlare di scioperi degli affitti nel 2020, quando milioni di persone hanno perso il lavoro o si sono impoverite a causa della pandemia. A maggio di quell’anno sono scoppiate proteste in California, New York, Pennsylvania e altri stati americani. Iniziative simili ci sono state anche in Europa e in Italia, in particolare a Bologna, nel quartiere della Bolognina. Negli ultimi tre anni i prezzi in molte città occidentali hanno continuato a crescere, mentre i governi e le amministrazioni locali non riescono a offrire soluzioni, quindi gli inquilini si sono organizzati e in molti casi hanno smesso di pagare. Tra le persone più colpite ci sono gli studenti universitari, che spesso non possono permettersi di vivere nella città dove studiano. “All’inizio del 2023 decine di studenti di Manchester, nel Regno Unito, hanno smesso di pagare la retta degli studentati, protestando per le pessime condizioni delle stanze e chiedendo all’ateneo una riduzione del 30 per cento dei costi”, ha scritto il Guardian. Mesi dopo centinaia di studenti italiani hanno protestato accampandosi con le tende davanti a molte università, tra cui quelle di Roma, Milano, Firenze, Padova e Cagliari. L’aumento degli affitti brevi per turisti ha fatto impennare i prezzi degli immobili e sta riducendo il numero di appartamenti concessi in affitto agli studenti. Secondo i dati del 2023, la città con gli affitti più alti per gli studenti è Milano, dove una stanza singola costa in media 627 euro al mese. Poi Bologna (482 euro) e Roma (463). u

N

Nagorno Karabakh

Il paese perduto Jorie Horsthuis e Anush Babajanyan, De Groene Amsterdammer, Paesi Bassi Foto di Nanna Heitmann

olo quando nella sua strada compaiono i militari, Siranush Sargsyan, 39 anni, capisce che se ne deve andare. È una delle ultime persone rimaste in città. Il caos è completo: i collegamenti telefonici sono interrotti, non c’è quasi elettricità e per la strada cammina gente traumatizzata che ha appena lasciato la propria casa. Sargsyan aiuta come volontaria nel ricovero di emergenza e nel frattempo gira brevi video che diffonde sui social network. Sono già nove mesi che questa zona è isolata dal resto del mondo, il cibo scarseggia e non c’è nemmeno un giornalista straniero che possa documentare l’entità del disastro umanitario in corso. Appena avvista i soldati, Sargsyan corre verso casa. Raccoglie un po’ di cose in fretta e fugge nella piazza centrale. È già sera quando riesce a trovare posto in

S 100 km

RUSSIA GEORGIA

AZERBAIGIAN ARMENIA Erevan Corridoio di Laçın

NAGORNO KARABAKH

Baku

Ağdam Stepanakert Şuşa

IRAN NAXCIVAN (Exclave Azerbaigian)

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Mar Caspio

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un’auto pronta a unirsi alla lunga colonna che si è formata nei giorni precedenti. Salgono impauriti verso il valico di montagna. Sul sedile posteriore c’è una donna anziana che non è mai uscita dal suo villaggio. Hanno fame. Dopo 27 ore bloccati al valico, l’auto non ce la fa più. Il vecchio veicolo non ha resistito a tutte le volte che si è dovuto fermare e poi ripartire. Sargsyan afferra lo zaino e decide di proseguire a piedi. “Resta con noi, troveremo una soluzione”, le dicono i compagni di viaggio. Ma lei non vuole aspettare. Vuole andare avanti. Supera il lungo corteo di automobili cariche di persone e cose, in alcuni casi impilate fino al tetto. Poco prima del confine, Sargsyan trova un posto in piedi su un autobus. Supera la frontiera con il cuore in gola. Nel primo villaggio in territorio armeno le danno una bottiglietta d’acqua. L’unica cosa che riesce a pensare è: sono ancora viva. Solo in seguito comincia a farsi delle domande. Alla fine del settembre 2023 l’intera popolazione del Nagorno Karabakh è fuggita oltre il confine con l’Armenia in seguito all’invasione dell’esercito dell’Azerbaigian: un esodo di proporzioni bibliche. Questo conflitto ai margini dell’Europa è rimasto poco tra le notizie internazionali, fino a quando, una settimana dopo, è scoppiata la guerra a Gaza e tutti gli occhi si sono puntati su Israele. I colloqui di pace tra l’Armenia e l’Azerbaigian sono in corso, ma sul destino dei profughi regna ancora molta incertezza.

MAGNUM/CONTRASTO

Il 1 gennaio il Nagorno Karabakh, uno stato mai riconosciuto da nessuno, ha cessato ufficialmente di esistere. Alla fine di settembre l’intera popolazione è scappata in Armenia, in fuga dalle truppe azere

Il 1 gennaio 2024 la repubblica del Nagorno Karabakh (non riconosciuta dalla comunità internazionale) ha smesso formalmente di esistere. Poco dopo l’invasione compiuta dall’Azerbaigian, il presidente aveva firmato un decreto in cui aveva promesso di sciogliere tutte le istituzioni statali entro quella data. In realtà le istituzioni non sono mai state riconosciute dall’Azerbaigian o dalla comunità internazionale. Ex regione autonoma a

Profughi del Nagorno Karabakh a Kornidzor, Armenia, 25 settembre 2023 maggioranza armena all’interno dell’Azerbaigian, all’epoca repubblica dell’Unione Sovietica, il Nagorno Karabakh aveva proclamato unilateralmente l’indipendenza nel 1991. Tre anni dopo gli armeni dell’enclave vinsero la guerra che nel frattempo era scoppiata e per più di trent’anni hanno tenuto viva l’illusione di poter avere uno stato proprio, con tanto di presidente, parlamento, bandiera e inno nazionale. Il 2 settembre di ogni anno

si celebrava con grande solennità il giorno dell’indipendenza, mentre ai confini con l’Azerbaigian di tanto in tanto scoppiavano degli scontri e i giovani soldati di leva avevano cominciato a capire che la realtà era più complicata. Con il sostegno dell’Armenia e della Russia, però, gli abitanti si credevano al sicuro, almeno fino a quando, nel 2020, è scoppiato un nuovo conflitto e la situazione è cambiata radicalmente. Ecco il ritratto di un paese che

nessuno ha mai riconosciuto e che cessa di esistere.

Una nuova vita Saro Saryan, 61 anni, è cresciuto a Baku, un’importante città portuale dell’Unione Sovietica e poi capitale multiculturale della repubblica dell’Azerbaigian. Negli anni sessanta e settanta del novecento l’atmosfera è piacevole e cosmopolita. Nelle lunghe sere d’estate Saryan passeggia con gli Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Nagorno Karabakh amici sul viale lungo il mar Caspio e nessuno fa caso a chi è armeno o azero. Insieme parlano russo e non immaginano che di lì a breve le loro vite prenderanno una svolta drastica. Anche nella regione montuosa del Nagorno Karabakh gli armeni e gli azeri convivono. In realtà, negli anni successivi alla morte di Stalin, tra gli armeni della repubblica azera aumenta lo scontento: ritengono che lo spazio per la loro lingua e la loro cultura sia troppo esiguo e vedono calpestati i loro diritti politici. Le proteste contro l’assimilazione culturale forzata trovano spazio con l’arrivo di Michail Gorbačëv e della sua politica di glasnost e perestroika. Con il motto miatsum (riunificazione), nel 1988 molte persone scendono in piazza per chiedere l’annessione all’Armenia. Le manifestazioni alimentano le tensioni nelle due repubbliche sovietiche e presto l’atmosfera si fa più tesa. Sia in Azerbaigian sia in Armenia ci sono dei pogrom in cui decine di civili vengono brutalmente uccisi. Negli anni successivi, centinaia di migliaia di persone passano in tutta fretta i confini da una parte e dall’altra. Saryan e i suoi genitori scappano appena in tempo da Baku. Fuggono nel Nagorno Karabakh, rivendicata da entrambe le repubbliche come una sorta di Gerusalemme del Caucaso. Secondo gli armeni è l’ultima roccaforte cristiana in una zona dominata per secoli dal nemico islamico. Con i suoi antichi monasteri l’Artsakh, come la chiamano gli armeni, è il simbolo della loro civiltà. Per gli azeri la regione è la culla della loro cultura, essendo il luogo natale di alcuni dei loro più celebri poeti e musicisti. Il territorio è molto meno cosmopolita di Baku. Per di più, anche se è vero che possiede una certa bellezza data dalle montagne e dalla storia, l’economia perde colpi e la vita è piuttosto provinciale. D’altronde, Saryan non ha molto tempo per ambientarsi. Appena gli armeni proclamano l’indipendenza comincia la prima guerra del Nagorno Karabakh, come è comunemente chiamata. Saryan, che ha quasi trent’anni, decide di unirsi alle truppe armene. L’esperienza come soldato di leva nell’esercito sovietico gli torna comoda. Combatte al fronte per due anni finché, nel 1993, rimane ferito. Un anno dopo la Russia fa da mediatrice per il cessate il fuoco. La guerra è costata la vita a quasi trentamila persone. Gli armeni escono vincitori: hanno ottenuto il controllo sul Nagorno Karabakh e annesso grandi porzioni di territorio azero. Per

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gli azeri è un trauma che ha tuttora un ruolo importante nell’identità nazionale. E continuano a circondare la zona con i loro soldati.

L’odore dei gelsi Siranush Sargsyan trascorre la gioventù nei rifugi antiaerei. I suoi genitori allevano mucche, pecore e maiali, ma la situazione non è mai abbastanza sicura per poterli portare al pascolo come faceva da ragazzina, prima della guerra. A casa loro a Sos, nella parte orientale del Nagorno Karabakh, hanno un grande frutteto di gelsi. Con quei frutti dolci fanno un distillato, specialità della regione. L’odore però comincia a nausearla. Per rimediare alla carenza di zucchero, infatti, sua nonna fa torte al gelso, biscotti al gelso, caramelle al gelso. Così, l’odore delle more di gelso cotte per Sargsyan significa guerra. E nel 2020 lo sentirà ancora una volta. Suo zio viene ucciso in battaglia. A guerra finita, nel Nagorno Karabakh quasi tutti hanno perso un fratello, un padre o uno zio. Il paese è in lutto, ma onora i soldati caduti e la popolazione tenta di riprendere a vivere tra le macerie del Nagorno Karabakh “liberato”. Del fatto che la sua popolazione azera sia stata caccia-

Da sapere Guerre d’indipendenza 1991 Il 2 settembre la regione del Nagorno Karabakh, un’enclave a maggioranza armena in territorio azero, annuncia la secessione dall’Azerbaigian. Comincia la prima guerra. 1994 Con il cessate il fuoco gli armeni prendono il controllo dell’enclave. Il bilancio della guerra è di trentamila morti e centinaia di migliaia di profughi, in maggioranza azeri. 1995-2015 Lungo la linea di contatto ci sono alcune sporadiche violazioni del cessate il fuoco. 2016 Tra il 2 e il 5 aprile scoppia la cosiddetta guerra dei quattro giorni. Un nuovo cessate il fuoco è negoziato con la mediazione di Mosca. 2020 Il 27 settembre un’offensiva azera dà il via alla seconda guerra del Nagorno Karabakh. L’Azerbaigian riconquista i terrori persi nel 1994 e diverse aree dell’Artsakh (come gli indipendentisti armeni chiamano il Nagorno Karabakh). 2023 A luglio l’Azerbaigian blocca il corridoio di Laçın, l’unica strada che collega l’enclave con l’Armenia. A settembre lo riapre. Il 19 settembre l’Azerbaigian attacca l’enclave. Il 20 settembre si raggiunge una tregua. L’Azerbaigian riprende il controllo di tutto il Nagorno Karabakh. 2024 La repubblica armena dell’Artsakh smette di esistere. Continuano i negoziati di pace tra Armenia e Azerbaigian. Bbc

ta non si parla molto. Saro Saryan decide di rifarsi una vita a Şuşa, una città di montagna in posizione strategica nel sudovest del Nagorno Karabakh, completamente distrutta. Con le sue scuole di musica, i teatri, i musei e le biblioteche, alla fine dell’ottocento la cittadina era soprannominata “piccola Parigi”, ma di quella vivacità non è rimasto molto. Saryan va a vivere in un grande edificio circondato dalle macerie, dove prima abitavano degli azeri. Non ha dubbi morali: alla sua casa di Baku sarà successa la stessa cosa. Come profugo deve pur andare da qualche parte e dallo stato non può aspettarsi molto aiuto. Mette in piedi un’organizzazione che difende i diritti dei profughi armeni arrivati dall’Azerbaigian. Contemporaneamente fa lavori nella sua nuova casa, che ne ha urgente bisogno. Nel terreno intorno all’edificio Saryan e la moglie coltivano patate. Hanno un figlio e una figlia, che crescono in un pezzetto di terra circondato da rovine. Nel giardino della casa c’è un enorme albero di noce che ogni anno è carico di frutti.

Anni d’oro Settecento coppie di sposi si radunano nella piazza centrale di Stepanakert, la capitale della repubblica dell’Artsakh. Ballano tutti un valzer, con gli abiti delle spose che ondeggiano al vento. Con questo matrimonio di gruppo, nel 2008, il piccolo stato non riconosciuto sale alla ribalta delle cronache internazionali: l’imprenditore e filantropo russo-armeno Levon Hajrapetjan dona a ogni coppia duemila dollari e una mucca. Vuole dare impulso all’aumento della popolazione: per ogni bambino nato da questa unione, i genitori riceveranno una generosa somma di denaro. L’idea è che più armeni ci sono nel Nagorno Karabakh, più sarà difficile negare al paese il diritto di esistere. La giornata festiva si può seguire dal vivo in tv e gli armeni acclamano il benefattore. Nessuno può immaginare che anni dopo, nel 2017, morirà in una cella russa da prigioniero politico. Il matrimonio collettivo avviene negli anni d’oro del Nagorno Karabakh, quando nella zona s’investe in abbondanza. Sia l’Armenia sia la diaspora internazionale sostengono il sistema scolastico, quello sanitario e le infrastrutture. Nella piazza centrale di Stepanakert si stanno costruendo imponenti edifici governativi e uno splendido parco. Il fatto che la re-

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Profughi del Nagorno Karabakh si registrano nel centro di accoglienza di Goris, Armenia, 26 settembre 2023

gione sia ancora circondata dall’esercito azero e che nessun paese al mondo riconosca questo ministato del Caucaso non sembra scalfire più di tanto l’ottimismo dilagante. Gli armeni hanno la corrente geopolitica a loro favore e godono del sostegno della Russia. È proprio in quel periodo che Laurence Broers, del centro studi internazionale Chatham House, mette piede per la prima volta nel Nagorno Karabakh. La sua prima impressione è positiva. “A Stepanakert la situazione era decisamente migliore rispetto al resto del Caucaso”, spiega. “Il Nagorno Karabakh era un’isola democratica in un mare autoritario, questo era il mantra a suo tempo. Ma ho sempre trovato quell’immagine troppo rosea. Anche qui i veri detentori del potere erano gli oligarchi”. Che la storia sia complessa gli appare ancora più chiaro quando ha l’opportunità di visitare Ağdam, la città che durante la guerra è stata annessa dagli armeni e che funge da zona cuscinetto tra l’Azerbaigian e il Nagorno Karabakh. Ci sono macerie a perdita d’occhio. “Questo

lato oscuro non era messo molto in evidenza dalla comunità internazionale”. Con Conciliation resources, l’organizzazione internazionale per la pace di cui è direttore per il programma sul Caucaso, Broers stava lavorando a un progetto per favorire il dialogo tra azeri e armeni. Mentre le vecchie generazioni avevano convissuto con gli azeri, i giovani nati dopo il 1990 non avevano mai incontrato “l’altro”. L’immagine del nemico ripetuta nei mezzi d’informazione e dai leader politici non è affatto tenera e ai giovani dei due paesi vengono presentate versioni opposte della storia. L’obiettivo di Broers e della sua organizzazione è modificare quell’immagine.

Futuro incerto Intanto cresce la frustrazione di molti giovani dell’enclave. Si sentono rinchiusi e non riescono ad avere un’istruzione decente: basta una bottiglia di cognac o una scatola di cioccolatini per comprare un buon voto all’università. Molti vogliono andarsene, ma non è semplice: se si viene

da un paese che ufficialmente non esiste, ottenere un visto è praticamente impossibile. I loro diplomi non sono riconosciuti da nessuno e le università internazionali restano inaccessibili. Nel frattempo fioriscono corruzione e nepotismo: solo chi ha conoscenze riesce a trovare lavoro, soprattutto nel settore pubblico. Sono sempre di più le persone incompetenti che ricoprono posizioni importanti e il sistema marcisce lentamente dall’interno. Anche Siranush Sargsyan non ha illusioni sulla sua vita nell’enclave e sul modo in cui è governato il paese. Ha studiato la storia dell’Armenia e vorrebbe impegnarsi nell’ambito dei diritti umani e della salvaguardia ambientale, ma nessuna organizzazione internazionale è disposta ad avviare progetti in questo territorio conteso. In un simile vuoto internazionale, Sargsyan capisce che, se vuole cambiare qualcosa, dovrà fare da sola. Si candida per il consiglio comunale di Stepanakert. Ma la sua ambizione di cambiare il paese dall’interno è subito soffocata: non viene eletta, come le altre due giovani donne Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Nagorno Karabakh che si sono candidate. Assiste frustrata all’ennnesima elezione di quindici uomini, uno più incompetente dell’altro.

Resa dei conti Il 27 settembre 2020, di mattina presto, Saro Saryan sente un’esplosione. All’inizio pensa che siano fuochi d’artificio, ma appena risuona il secondo colpo, seguito poco dopo dall’allarme aereo, capisce che qualcosa non va. Presto si ritrova a correre da un rifugio antiaereo all’altro; con altri uomini fa in modo che tutti trovino un riparo sicuro. Suo figlio è già partito per il fronte. La separazione è difficile, ma nessuno ha dubbi: il paese va difeso. Se tutto va bene suo figlio tornerà presto a casa, anche nel 2016 ci sono stati scontri al confine e sono finiti in fretta. Dopo tre giorni però viene richiamato anche Saryan: servono rinforzi. Lui ha ormai 59 anni, eppure non ha un attimo di esitazione. Lascia precipitosamente casa, senza sapere che non tornerà mai più a Şuşa. La seconda guerra del Karabakh dura 44 giorni. L’esercito azero occupa molte parti dell’enclave e tutti i territori circostanti che erano stati annessi dall’Armenia nella guerra degli anni novanta. Gli abitanti vengono cacciati dai villaggi, alcuni macellano in fretta e furia il bestiame e danno fuoco alle case, pur di non far cadere in mani nemiche i loro beni più preziosi. Questa volta Saryan torna illeso dal fronte. A suo figlio non va altrettanto bene: è ferito e devono amputargli una gamba. Può ancora dirsi fortunato: suo cugino è rimasto ucciso, proprio come qualche altro migliaio di soldati. Il presidente russo Vladimir Putin conduce le trattative per la pace e invia delle truppe per sorvegliare l’enclave. Alcuni armeni fuggono definitivamente, ma la maggior parte torna nella zona del Nagorno Karabakh rimasta sotto il controllo armeno. Saryan e la sua famiglia si trasferiscono in un appartamento dei parenti di sua moglie. È la seconda volta che è costretto a lasciare tutto. Gli mancano la sua casa a Şuşa, i suoi libri e il grande albero di noce. “Russi e armeni sono amici per sempre”, recitano gli striscioni ai lati della strada. Quasi tutti gli abitanti del Nagorno Karabakh sono tradizionalmente filorussi e, nonostante lo shock di avere perso gran parte del loro paese, sono convinti che ora Putin li proteggerà. Dopotutto, i suoi soldati sono schierati lungo il confine.

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Poi, però, Mosca invade l’Ucraina e i rapporti geopolitici cambiano. Gli armeni non possono ancora prevedere che da questo dipenderà anche il loro destino. Il 12 dicembre 2022 c’è scompiglio al posto di frontiera del corridoio di Laçın, l’unica via di comunicazione tra il Nagorno Karabakh e l’Armenia, arteria di vitale importanza per l’enclave. Con il pretesto di reprimere una “protesta ambientalista” di alcuni gruppi azeri, l’esercito di Baku chiude il confine. Solo i militari russi e i veicoli della Croce rossa possono ancora passare, e dopo un po’, nemmeno questi. Quando gli abitanti del Nagorno Karabakh cominciano a fare provviste, è già troppo tardi: in poco tempo tutti i negozi si svuotano. Anche gas e benzina scarseggiano e l’elettricità c’è per poche ore al giorno. Nei primi mesi ci si affida al baratto: due chili di farina per un tubetto di dentifricio, tre uova per un pacchetto di fazzolettini. Gli abitanti del Nagorno Karabakh non si danno per vinti e diventano creativi, molti hanno vissuto la guerra degli anni novanta e tornano in modalità di sopravvivenza. Le donne cucinano sui falò, preparano il caffè con la farina di ceci, fanno dolci con le more di gelso. In classe i bambini tengono addos-

Gli armeni non avevano previsto che il loro destino era segnato so la giacca e fanno i compiti a lume di candela. Dopo un po’, però, la disperazione comincia a crescere. Sono sempre di più le persone che soffrono la fame e alcune donne per la tensione non riescono più ad allattare. C’è grande scarsità di latte in polvere. Gli anziani si ammalano, aumenta il numero di aborti spontanei. La gente sta ore in fila per un pezzo di pane. “Genocidio”, accusa Luis Moreno Ocampo, ex procuratore capo della Corte penale internazionale (Cpi). Cerca di attirare l’attenzione sulla crisi umanitaria in corso nell’enclave. Anche Amnesty international e Human rights watch danno l’allarme e i leader internazionali chiedono al presidente azero Ilham Aliyev di rispettare i diritti degli abitanti del Nagorno Karabakh. Nel febbraio 2023 la Cpi intima all’Azerbaigian di interrompere il blocco. Ma non serve a niente: il confine resta sigillato. “Viviamo in una prigione a

cielo aperto”, scrive Siranush Sargsyan sui social media. Comincia a girare video per far capire al mondo quanto sia drammatica la situazione. I suoi messaggi vengono notati dai mezzi d’informazione internazionali e ben presto lei riceve minacce per la sua “propaganda separatista”. Su internet vede la lunga fila di camion pieni di aiuti umanitari, fermi nel corridoio di Laçın. Si sente tradita dalla Russia, dagli Stati Uniti e perfino dall’Armenia. Perché nessuno fa niente? Vorrebbe una tazza di caffè, ma l’odore della bevanda di ceci la fa inorridire. Poi, il 19 settembre 2023, risuonano altre esplosioni. In un’offensiva lampo, l’Azerbaigian occupa anche il resto dell’enclave. Ci sono circa duecento morti, tra cui cinque militari russi. Nel giro di ventiquattr’ore il presidente si arrende: la popolazione è sotto shock. Mentre l’esercito azero si avvicina, la gente corre per le strade terrorizzata. Alcuni continuano a sostenere che non se ne andranno mai dal luogo in cui sono nati. Il 25 settembre salta in aria un deposito di carburante vicino alla capitale, dove varie persone si erano accalcate nella speranza di procurarsi un po’ di benzina per fuggire: muoiono 170 persone. Per Saryan è un punto di svolta: il Nagorno Karabakh non è più sicuro, bisogna andarsene. Brucia sul balcone le sue onorificenze militari e altri documenti che potrebbero metterlo in pericolo al confine. Con la sua famiglia sale in auto e lascia la città. Entro una settimana fuggono tutti gli abitanti dall’enclave, circa 120mila persone . Il timore che gli uomini possano essere fermati al confine si rivela infondato: passano quasi tutti. Solo quattro ex presidenti e alcuni altri leader politici vengono arrestati; oggi sono in carcere a Baku con l’accusa di separatismo e terrorismo. Sulla loro sorte non si sa molto. Laurence Broers non è convinto del fatto che la popolazione del Nagorno Karabakh sia partita di sua iniziativa, come affermano gli azeri. “Si è trattato di una pulizia etnica come quelle degli anni novanta, ma a parti invertite”, dice. Non crede nemmeno che i diritti degli armeni saranno rispettati se decideranno di tornare nella loro terra. “Se si considera la retorica del presidente azero Aliyev, si capisce che non fa sul serio quando parla di reintegrazione. Chiama l’Armenia ‘Azerbaigian dell’ovest’ e questo fa intuire quale potrebbe essere il suo prossimo passo”. Secondo Broers, il fatto che l’esercito azero abbia potuto conquistare il Nagor-

MAGNUM/CONTRASTO

Una protesta a Erevan, Armenia, 21 settembre 2023

no Karabakh in 24 ore mentre le forze di pace russe stavano a guardare dipende dal cambiamento dei rapporti geopolitici. “L’ordine mondiale liberale internazionale è in declino, sta emergendo un ordine multipolare in cui acquistano rilevanza potenze regionali come la Turchia, che appoggia l’Azerbaigian. Inoltre, è cambiato anche il ruolo della Russia: non è più il protettore dell’Armenia, ma piuttosto un partner”. Mentre gli abitanti del Nagorno Karabakh credevano che Mosca li avrebbe protetti se le fossero rimasti fedeli, l’Armenia aveva già capito che non poteva più puntare tutto su un’unica carta. “Dopo la guerra del 2020 si è messa alla ricerca di nuovi alleati in occidente. E anche l’adesione alla Corte penale internazionale, che nel 2023 ha emesso un mandato di arresto per Putin, ha complicato la situazione”. Nella capitale armena, Erevan, Siranush Sargsyan ordina il suo primo caffè. L’ha desiderato tanto, ma adesso che ce l’ha davanti non riesce a gustarlo. Gli scaffali pieni nei negozi causano un cortocir-

cuito nella sua testa, le sembrano surreali. Come molti altri profughi, Sargsyan ha trovato un alloggio temporaneo tramite dei conoscenti, ma non sa quanto a lungo potrà restarci. In questo piccolo paese (l’Armenia ha tre milioni di abitanti scarsi) con l’arrivo dei profughi i prezzi delle case sono saliti alle stelle, alcuni dormono ancora in palestre o alberghi abbandonati.

La città fantasma Due mesi dopo la fuga, Sargsyan vive ancora con le cose che è riuscita a infilare nello zaino, tutto il resto ha dovuto lasciarlo nel suo appartamento nel Nagorno Karabakh. A volte gira ancora brevi video per attirare l’attenzione sul destino di chi viveva nel suo paese, ma non sempre ha l’energia necessaria. A volte resta tutto il giorno a letto. “Perché tutti ci hanno abbandonato?”, continua a chiedersi. “Negli anni novanta i soldati sono morti per la nostra libertà. Ma abbiamo comunque perso il Nagorno Karabakh. Quei ragazzi sono morti per niente”. “Il nostro spirito è spezzato”, dice Saro

Saryan dall’undicesimo piano di un palazzo di cemento in un quartiere periferico di Erevan. Un bambino gironzola per il soggiorno: è il nipote Saro, chiamato così in onore del nonno. Tre generazioni della famiglia vivono insieme in questo appartamento avuto in affitto da una persona che aveva servito nell’esercito del Nagorno Karabakh; è stata una fortuna. Ogni tanto Saryan guarda la sua casa a Şuşa tramite le immagini satellitari: è ancora in piedi? È andato a viverci qualcun altro? Vede solo il tetto e la chioma del suo amato albero di noce. Le prime immagini dell’enclave svuotata le ha diffuse Al Jazeera. Un giornalista cammina nella piazza centrale di Stepanakert all’indomani dell’esodo. Le strade sono deserte, qui e là s’intravedono degli oggetti abbandonati. Gli unici esseri viventi sono i cani randagi, che seguono curiosi l’inviato. “È surreale”, dice, “Khankendi è diventata una città fantasma”. Khankendi è il nome azero di Stepanakert. La riconquista è ormai un dato di fatto. u oa Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Scienza

Ti aspettavo con ansia Tina Knezevic, New Scientist, Regno Unito. Foto di Alena Zhandarova

Dopo la nascita di un figlio molte persone sono completamente sopraffatte da preoccupazioni incontrollabili. Un disturbo spesso ignorato, che può avere conseguenze pesanti per i genitori e i bambini anielle Bahri aveva fatto tutto il possibile per prepararsi ad avere il suo primo bambino. Si era iscritta a corsi di rianimazione cardiopolmonare e allattamento al seno, aveva preso scrupolosamente nota di consigli e avvertimenti di medici e assistenti sanitari. Eppure, malgrado i suoi sforzi, quando finalmente ha portato a casa sua figlia si sentiva tutt’altro che tranquilla. Aveva da poco scoperto la sindrome della morte in culla, e questo rischio assorbiva ogni suo pensiero. Si ritrovò a stare sveglia tutta la notte per controllare il respiro della bambina e a misurarle ossessivamente la febbre. Ancora nove mesi dopo continuava a chinarsi sulla culla almeno tre volte a notte per accertarsi che stesse respirando. Non è raro che i genitori si sentano ansiosi nei primi mesi di vita dei figli. Dopo tutto, portare a casa un neonato provoca un enorme cambiamento nella loro vita. Ma Bahri aveva la sensazione di non riuscire a controllare la paura. Mentre suo marito superava le preoccupazioni che avevano condiviso, lei si chiedeva perché le sue non scomparissero. Come quasi tutti i genitori, Bahri, che vive in Canada, era stata messa in guardia dalla depressione post-partum, ma nessuno le aveva parlato dell’ansia postnatale. Nascosta dalla maggiore attenzione per la depressione e dall’idea che si tratti dei normali timori di ogni genitore, questa condizione occulta ha gravi conseguenze per genitori e figli. Ma ora che sempre più persone ne parlano aperta-

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mente e che l’interesse per questo problema aumenta, i ricercatori cominciano a capirne le cause e a esplorare le migliori terapie. Secondo alcune stime, l’ansia postnatale colpisce il 20 per cento delle donne. Alcuni studiosi ritengono che la sua diffusione sia in crescita, mentre per altri questo ci sono semplicemente più persone che riferiscono di questa condizione. È un fenomeno che non riguarda solo le madri. Proprio come per la depressione postnatale, anche i padri sono a rischio: fino al 18 per cento sviluppa qualche tipo di ansia in seguito alla nascita di un figlio. Anche compagni e genitori adottivi possono soffrirne. Quasi tutti conosciamo i sintomi della depressione post-partum: una tristezza che non accenna a placarsi, pianto, mancanza di allegria. “I sintomi contrastano con quello che la gente si aspetta dalla nascita di un bambino, cioè che sia un momento felice”, dice lo psichiatra perinatale Ryan Van Lieshout. L’ansia postnatale, invece, potrebbe

Kelly ha smesso di dormire e ha cominciato ad avere difficoltà respiratorie perché temeva che suo figlio non ricevesse cure adeguate

non essere immediatamente riconoscibile nei neogenitori perché è del tutto normale avere delle preoccupazioni dopo la nascita di un figlio. Ma per alcune persone queste preoccupazioni possono diventare debilitanti e persistono anche dopo i primi mesi. Alcuni, come Bahri, restano svegli tutta la notte. Altri hanno il terrore di lasciare il bambino a qualcun altro, perfino al proprio compagno o ai nonni. Altri ancora evitano certe attività o escono raramente di casa per paura che succeda qualcosa al bambino o a loro stessi. Per Kelley Hassanpour, la diagnosi non è arrivata finché non ha iscritto il figlio all’asilo nido, quando aveva tredici mesi. Ha smesso di dormire e ha cominciato ad avere difficoltà respiratorie perché temeva che il bambino non ricevesse cure adeguate. “Non me ne rendevo conto, e dato che ero mamma per la prima volta era molto difficile capire la differenza tra le preoccupazioni normali e quelle che non lo erano”, dice. Gli effetti dell’ansia postnatale vanno molto oltre il benessere dei genitori. “È terribile quando non è compresa, perché può causare enormi sofferenze e danneggiare il legame tra madre e figlio,” spiega Van Lieshout. Questo può ripercuotersi sullo sviluppo sociale ed emotivo di un bambino, soprattutto nel primo anno di vita. Nei casi estremi può sfociare nel rifiuto del neonato. L’ansia postnatale può anche influire su come una madre percepisce il suo legame con il figlio, aumentando ulteriormente la sua angoscia. L’ansia postnatale è una condizione insidiosa, e probabilmente sarà difficile

Dalla serie Hidden motherhood. Veronika, Russia 2018

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Scienza identificarne le cause. Fortunatamente, grazie anche a una crescente consapevolezza, stiamo cominciando a farlo. Finora gran parte delle ricerche si è concentrata sulle donne affette da depressione post-partum, ma poiché spesso questa coincide con l’ansia – circa il 75 per cento delle donne affette da depressione post-partum soffre anche di ansia – sono in molti a pensare che i risultati di questa ricerca possano applicarsi a entrambi i problemi.

Molecole stressanti Alcuni dei primi studi sulle cause della depressione post-partum hanno preso in esame gli ormoni della gravidanza. Durante la gestazione, i livelli di estrogeno e progesterone salgono per preparare il corpo a far crescere e poi dare alla luce un bambino, ma entro 48 ore dalla nascita diminuiscono rapidamente. L’ipotesi era che questi cambiamenti fossero in qualche modo responsabili della depressione. Per studiare il problema, Miki Bloch, che oggi lavora all’università di Tel Aviv in Israele, e i suoi colleghi riprodussero artificialmente questa altalena dei livelli di progesterone ed estrogeno in 16 donne, metà delle quali aveva una storia di depressione post-partum. Per otto settimane le volontarie ricevettero dosi crescenti dei due ormoni, e poi la somministrazione venne interrotta senza che il ricercatore e le volontarie ne fossero a conoscenza. Delle otto donne che avevano sofferto di depressione, cinque sperimentarono cambiamenti significativi dell’umore dopo l’interruzione degli ormoni. Nessuna delle altre otto ebbe problemi. “Il punto è che tutte le donne sono soggette a questa drastica caduta dei livelli di estrogeno e progesterone dopo aver partorito, ma non tutte sviluppano la depressione o l’ansia”, dice Lauren Osborne del Weill Cornell medical college di New York. “Quindi il problema non deve essere il livello degli ormoni, ma la vulnerabilità delle donne al cambiamento, perché altrimenti tutte le madri cadrebbero in depressione”. Mentre i ricercatori cercano di capire cosa c’è dietro questa diversa vulnerabilità, si studiano altre possibili cause. Una è la risposta allo stress. Anche l’ormone dello stress, il cortisolo, aumenta durante la gravidanza, ed è stato collegato alla depressione post-partum. Ma come spiega Ilona Yim dell’università della California a Irvine, la maggior parte degli studi non

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rileva un’associazione tra i livelli assoluti di cortisolo e questa condizione. Piuttosto, come nel caso dell’estrogeno e del progesterone, si pensa che sia la reazione del corpo all’ormone a influire sulla risposta. “L’ormone di per sé non fa nulla,” spiega Yim. “Deve legarsi a un recettore da qualche parte nel corpo, e poi questo determina un cambiamento, un organo reagisce oppure si avvia un altro processo”. In sostanza, due persone con gli stessi livelli di ormoni potrebbero avere reazioni diverse, a seconda della sensibilità dei loro recettori, dice Yim. Non conosciamo ancora le cause di queste differenze. Anche perché spesso mancano i finanziamenti per svolgere le necessarie ricerche di laboratorio, dice Jamie Maguire, della Tufts university school of medicine in Massachusetts. Con la sua équipe sta lavorando per trovare una risposta legata allo stress. Si sono concentrati sul ruolo dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (Hpa), un sistema fisiologico che regola la percezione dello stress e la reazione del corpo. Durante la gravidanza, l’attivazione dell’asse Hpa indotta dallo stress è soppressa. “Si pensa che sia un meccanismo protettivo per impedire che gli ormoni abbiano un impatto negativo sul feto”, dice. Maguire e i suoi colleghi si sono chiesti se nel caso della depressione post-partum questa soppressione non funzionasse. Hanno usato i topi per studiare i neuroni dell’ipotalamo che governano l’attività dell’asse Hpa, e in particolare una proteina chiamata Kcc2 che si trova all’esterno dei neuroni e aiuta a trasportare gli ioni cloruro e potassio dentro e fuori le cellule. Hanno scoperto che le femmine di topo gravide modificate geneticamente per non avere la proteina Kcc2 nei neuroni che governano l’attività dell’asse Hpa dopo aver partorito mostravano sintomi simili alla depressione e comporta-

La ricerca sulle cause dell’ansia postnatale è ancora agli inizi, ma ora sappiamo perché alcune persone hanno più probabilità di esserne affette

menti materni meno sviluppati. “Abbiamo concluso che l’incapacità di sopprimere la risposta allo stress durante la gravidanza accresce la vulnerabilità ai disturbi dell’umore,” dice Maguire. “Credo che esista una combinazione di fattori biologici e ambientali che può contribuire a questa condizione” Ora che stiamo facendo luce sulle cause della depressione e dell’ansia in generale, i ricercatori cercano di capire se rimangono le stesse anche nelle sindromi postnatali. Un campo in cui gli studi si stanno intensificando è il legame tra infiammazione cerebrale e disturbo d’ansia generalizzato, e quello tra la depressione e l’abbondanza di una cellula immunitaria chiamata Th17, un linfocita T helper che regola l’infiammazione. Esistono diversi indizi che il legame con le cellule T helper valga anche per la depressione post-partum, ma è difficile trarre conclusioni per l’ansia, soprattutto perché è stata meno studiata. Le cose stanno cominciando a cambiare. Nel 2022 Hao Ying dell’università Tongji di Shanghai, in Cina, e i suoi colleghi hanno esaminato 226 donne sei settimane dopo il parto cercando segni di entrambe le condizioni, e contemporaneamente hanno analizzato il sangue per cercare i linfociti T helper e le molecole che producono, dette citochine. Hanno scoperto che i livelli di Th17 e di una citochina chiamata Il-17a erano legati al rischio di sviluppare tutte e due le condizioni, e che i livelli erano più alti nelle donne con sintomi di ansia postnatale che nelle altre. Non sappiamo ancora perché tali cellule sembrino avere questo effetto, ma è noto che la Il-17a favorisce l’infiammazione e che le citochine possono penetrare nel cervello. L’équipe ipotizza che livelli più alti di cellule Th17 e di Il-17a potrebbero provocare un’infiammazione cerebrale, che può contribuire allo sviluppo dell’ansia postnatale. La ricerca sulle cause biologiche dell’ansia postnatale è ancora agli inizi, ma sappiamo di più sulle ragioni per cui alcune persone hanno più probabilità di esserne affette. Un fattore, dice Van Lieshout, è avere sofferto in precedenza del disturbo d’ansia generalizzato. “Una percentuale significativa di persone che sperimentano qualche forma di ansia postnatale o ansia da gravidanza ha già conosciuto l’ansia nella sua vita”. Bahri dice di aver avuto periodi di ansia in passato, ma era

Dalla serie Hidden motherhood. Kseniya, Russia 2019

andata da uno psicoterapeuta e non si sentiva ansiosa quando era rimasta incinta. Anche i cambiamenti possono rendere vulnerabili. Secondo Samantha Latorre dell’università del Maryland, le complicanze mediche, come il diabete in gravidanza, possono aumentare il rischio di ansia postnatale. Per Van Lieshout un aborto spontaneo, una gravidanza non prevista o indesiderata, la violenza intima del partner o anche importanti cambiamenti nella vita come un trasloco possono aumentare la vulnerabilità. Si pensa che questi fattori psicosociali possano spiegare perché ne soffrono anche i padri e i genitori adottivi. “Ci sono state pochissime ricerche biologiche sui padri,” dice Osborne. “Si parla solo di fattori psicosociali, disturbo del sonno e alcuni degli stessi problemi che influenzano le mamme”. I pochi studi realizzati hanno esaminato i livelli di testosterone, e una

ricerca indica che livelli più bassi di questo ormone nei padri dopo la nascita di un figlio sono associati alla depressione. In sostanza, l’ansia postnatale dipende da una combinazione di fattori biologici, psicologici e sociali, conclude Osborne. “Non credo che potremo mai arrivare a dire ‘l’unica causa è questa’, ma penso che otterremo progressi significativi nell’individuazione delle cause biologiche”, dice. “Ma in ogni caso queste interagiranno sempre con i fattori psicologici”.

Chiedere aiuto Quanto alle terapie per l’ansia post-natale, abbiamo idee molto più chiare su cosa funziona. “Ci sono prove convincenti che la psicoterapia, in particolare la terapia cognitivo comportamentale, è molto efficace,” dice Nichole Fairbrother dell’università della British Columbia, in Cana-

da. La studiosa crede che sovvenzionare questa terapia sarebbe di grande aiuto, dato che al momento è molto difficile accedervi. Anche farmaci come gli antidepressivi possono essere utili, ma secondo Fairbrother molte donne esitano ad assumerli. Spesso questo è dovuto al timore di nuocere al bambino, perché gli antidepressivi passano nel latte materno, anche se a livelli generalmente considerati sicuri. Hassanpour si è convinta a prendere lo Zoloft (sertralina) per vincere l’ansia, ma ha anche cercato un terapeuta. “Personalmente credo che la terapia abbia avuto un’enorme importanza. Mi ha aiutato a normalizzare l’ansia e mi sono sentita molto meglio”, racconta. Oltre ai farmaci e alla terapia, anche l’attività fisica può servire. Uno studio recente ha mostrato che tre o quattro allenamenti aerobici di 35-45 minuti alla settimana potrebbero favorire la prevenzione e la cura della depressione post-partum, quindi probabilmente sono utili anche per l’ansia postnatale. Anche coccolare il neonato fa bene, perché rilascia ossitocina, un ormone che può ridurre i sintomi nelle persone con ansia sociale generalizzata. E anche chiedere – e accettare – aiuto negli impegni quotidiani è importante. Hassanpour dice di aver provato “grande difficoltà a chiedere aiuto, perché pensavo di dover fare tutto da sola. E questo è stato negativo per tante cose, perché ero spossata e mi sentivo sopraffatta”. Lentamente, l’ansia sta entrando tra le priorità mediche del periodo post-parto. A giugno l’American college of obstetricians and gynecologists ha pubblicato le sue linee guida, raccomandando lo screening sia per la depressione sia per l’ansia durante e dopo la gravidanza. Nel Regno Unito, il National institute for health and care excellence sottolinea l’importanza di uno screening delle donne per l’ansia generalizzata durante la prima visita della gravidanza e subito dopo il parto. Latorre è contenta che si parli più spesso di ansia postnatale. Tristezza e ansia sono emozioni normali, proprio come felicità e gioia, perciò è importante non demonizzarle, ammonisce. “Ma non vogliamo che ci sfuggano quando diventano problematiche.” “Nessuno mi aveva detto che l’ansia postnatale poteva essere un problema”, dice Bahri. “Non se ne parla come della depressione post-partum perché la gente crede che non sia altrettanto grave. Ma non è vero. L’ansia può rovinarti la vita”. u bt Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Inchiesta

TREVOR WINTLE (ALAMY)

La ricostruzione dello studio di un radioamatore al museo di Amberley, nel Regno Unito

Codici miste 56

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eriosi

Da decenni i radioamatori di tutto il mondo indagano sulle stazioni che trasmettono sequenze di numeri. Questi messaggi senza un significato evidente sono forse legati al mondo delle spie Guillaume Origoni, Le Monde, Francia mmaginiamo di avere a casa una radio comprata prima del 1990. Immaginiamo che sia accesa e sintonizzata sulle onde corte. È notte fonda. Passiamo da un canale all’altro con la cuffia sulle orecchie. In mezzo al crepitio sentiamo le stazioni di tutto il mondo e tra esse la banda radio, che in teoria dovrebbe essere silenziosa ma in realtà non lo è. Prima si sente una serie di bip; poi una specie di ninnananna suonata da un carillon scassato. A quel punto, in modo un po’ misterioso, arriva la voce artificiale di un bambino che in tedesco elenca dei gruppi di cinque numeri: “Eins, sechs, fünf, neun, null…”, (uno, sei, cinque, nove, zero). Questa successione si ripete diverse volte, con le cifre cambiate. Poi la voce tace. Forse non lo sapevate, ma eravate sintonizzati su una number station, una stazione numerica. Notte dopo notte, muovendosi sulle onde corte, è possibile sentire delle serie di numeri in diverse lingue (tedesco, inglese, francese, russo, cinese e così via). A volte si tratta di altri suoni, di segnali in codice morse o politonali, di serie di note casuali o rumori così strani che un ascoltatore poco esperto potrebbe confonderli con il brusio di fondo. In realtà formano dei messaggi. Ma chi li invia? A chi sono destinati? Generazioni di radioamatori si sono fatti queste domande. Per capire questo fenomeno bisogna tornare alle sue presunte origini, negli anni cinquanta. Alcuni radioamatori, incuriositi da queste trasmissioni, si misero ad ascoltarle metodicamente. Con il passare del tempo nacque una comunità di appassionati. Nei decenni successivi nel gruppo d’iniziati un uomo s’impose come figura imprescindibile: William Thomas Godbey (1936-1996), conosciuto con lo pseudonimo di Havana Moon. Ufficiale delle comunicazioni radio della marina statunitense, Havana Moon individuò la prima stazione numerica alla fine degli anni sessanta e si mise in testa di svelare il mistero. Affascinato da questi

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incontri radiofonici “del terzo tipo”, li esaminò con uno spirito da ricercatore e una sensibilità da poeta, dando vita a una serie di libri che pubblicò a sue spese. “I numeri”, scriveva Godbey, “possono essere allo stesso tempo messaggeri di avventure, di rivolte, di intrighi e di amori. I numeri sono Bogart e Bergman. Sono Cagney e Lombard. Sono lo specchio dell’anima che si eleva alle frequenze più alte. Sono il mistero assoluto”. Alla fine degli anni settanta altri radioamatori, più giovani, captarono stazioni negli Stati Uniti e in Europa. Tra loro c’era lo statunitense Simon Mason, che a 14 anni aveva ricevuto come regalo di Natale una radio a onde corte e si era presto avventurato in questo aldilà radiofonico. Poco tempo dopo un altro adolescente suo connazionale, Chris Smolinski, futuro ingegnere informatico, scoprì le stazioni numeriche con l’attrezzatura che aveva comprato da poco. “Ero spesso collegato alle mie ricetrasmittenti”, racconta. “Una sera del 1980 ho captato una serie di numeri. Non riuscivo a capirne la natura e lo scopo. Ho cercato informazioni tra le radio in modulazione di frequenza, ma non ho trovato nulla”. Anche in Francia il fenomeno suscitava curiosità. Alain Charret, un ex militare di 65 anni, ricorda la sensazione che aveva provato da adolescente scoprendo “una strana serie di numeri in tedesco. Quando ho sentito per la prima volta una stazione numerica, ne ho parlato con il circolo locale di radioamatori ma anche loro non hanno saputo darmi una spiegazione”.

Una figura leggendaria Dall’altra parte dell’Atlantico gli appassionati annotavano tutto: frequenze, date, orari, numeri e così via. Seguendo l’esempio di Havana Moon, il loro maestro, si scambiavano questi dati per posta. All’epoca le stazioni erano centinaia e le serie di numeri facevano nascere ipotesi di ogni tipo. Erano i numeri estratti a una lotteria o dei bollettini meteo? Transazioni bancarie, prezzi del caffè o comunicazioni in Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Inchiesta codice tra narcotrafficanti? Nel libro del 1987 Uno dos cuatro: a guide to the number stations Havana Moon parlava anche di trasmissioni tra la Germania Est e il Sudamerica. Secondo lui i numeri, pronunciati in tedesco da una voce artificiale di donna, venivano dal Cile. Le sue indagini si concentravano su Colonia Dignidad, una setta neonazista, cosa che infittiva il mistero senza contribuire a svelarlo. Un altro caso interessante, evocato da Simon Mason, era quello della stazione chiamata Jazz player, captata solo una volta. Si sentiva suonare un sassofono, poi una voce femminile che leggeva dei numeri in tedesco a gruppi di cinque. Un’altra stazione, Bulgarian Betty, fu sentita in Nordamerica nel 1990 sulle frequenze 4.030 e 4.882,5 kilohertz (kHz): trasmetteva numeri in russo, in polacco, in bulgaro, in serbocroato e in macedone. A volte queste trasmissioni disturbavano le emittenti a onde corte. Nel 1991, durante la prima guerra del Golfo, un’ascoltatrice di Andorra della Bbc si lamentò dell’interferenza causata da una voce femminile che trasmetteva delle serie di numeri sovrapponendosi al radiogiornale. Incuriosita, la donna chiese alla Bbc se si trattava di spionaggio. La radio le inviò una risposta per posta con una spiegazione completamente diversa: “Cara signora, sono bollettini della neve destinati agli impianti di risalita”.

L’ipotesi più convincente All’inizio degli anni novanta, infatti, cominciava a farsi strada un’altra ipotesi più convincente: quelle trasmissioni, captate dall’inizio della guerra fredda, forse servivano come sistemi di comunicazione tra i servizi segreti e i loro agenti all’estero. Da allora la comunità dei listener (ascoltatori) è cresciuta e con l’avvento di internet gli scambi d’informazioni si sono moltiplicati. Secret signals, il cd-rom in cui Simon Mason ha raccontato le sue ricerche, ha avuto un’ampia circolazione, così come i libri di Havana Moon. Tutti suggeriscono che le stazioni numeriche e quelle di rumori sono in realtà dedicate allo spionaggio. Per saperne di più Havana Moon presentò varie richieste in base al Freedom of information act, la legge che permette ai cittadini statunitensi di ottenere informazioni sulle attività dello stato. Contattò i servizi segreti (Nsa, Cia) e la Federal communications commission (Fcc, l’autorità che regolamenta le telecomunicazioni) per fare una semplice domanda: “Ho cap-

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La stazione chiamata Jazz player fu captata solo una volta. Si sentiva suonare un sassofono, poi una voce femminile che leggeva dei numeri tato sulle onde corte una trasmissione in spagnolo: ‘52 145 63 526 89 526’. È preceduta da una voce che ripete diverse volte in spagnolo. ‘Atención’. Potete dirmi di cosa si tratta, visto che questa stazione radio non è registrata negli Stati Uniti?”. La risposta fu: “Non sappiamo nulla di queste trasmissioni, ma dopo una ricerca dei nostri servizi, sembra che provengano da un territorio fuori della nostra competenza e non riguardano quindi gli Stati Uniti. Comunque ora ne siamo a conoscenza e consideriamo chiuso il caso”. Curioso di conoscere l’origine esatta delle trasmissioni in spagnolo, frequenti sulla costa est degli Stati Uniti, Havana Moon percorse con la sua Chevrolet la Route one per seguire il segnale radio. Questa pista lo condusse alla base dell’aeronautica militare di Tequesta in Florida, rendendo leggendario Havana Moon nella comunità dei listener. Anche Alain Charret, che in passato ha lavorato per l’aeronautica militare e la direzione generale della sicurezza esterna (Dgse, i servizi segreti esteri francesi), scoprì che queste trasmissioni avevano effettivamente un legame con il mondo delle spie. Era distaccato a Berlino quando

Da sapere Una tecnologia sempre utile u La radio a onde corte ha preceduto la radio analogica a modulazione di ampiezza (am), che usa onde a bassa frequenza per trasmettere messaggi audio. La radio a onde corte è molto più semplice della televisione o dei servizi di telecomunicazione digitali: i ricevitori sono facilmente disponibili (e possono essere costruiti con pezzi di vecchi apparecchi elettronici) e le onde si propagano per lunghe distanze, percorrendo migliaia di chilometri, invece di decine di chilometri. I ricevitori radio a onde corte sono efficienti anche dal punto di vista energetico: possono funzionare per giorni con delle semplici batterie. Alcuni vanno con l’energia eolica o quella solare. The Conversation, Internazionale

gliel’hanno confermato la prima volta. Nel corso degli anni ai ranghi dei liste­ ner si sono unite persone che avevano lavorato nei servizi segreti o in unità militari dedicate alle intercettazioni, portando altre informazioni. Grazie a questi nuovi arrivi nel 1993 due appassionati, Chris Midgley e Mike Gaufman, crearono l’associazione Enigma, che attirò ben presto altri appassionati. I due esperti scrissero una control list, lista di controllo, catalogando le trasmissioni. Questo elenco è ancora un punto di riferimento per i listener di tutto il mondo. Le stazioni che trasmettono in inglese sono classificate con la lettera E, a cui viene aggiunto un numero (E01, E02…). Lo stesso vale per le lingue slave (identificate con la S) o il tedesco (G). Le altre lingue sono indicate con la lettera V. Gli esperti sono particolarmente affezionati alla stazione E10. Attribuita al Mossad, l’intelligence israeliana, è diventata famosa dopo aver inviato un messaggio in chiaro, che diceva: G.O.O.D.N.I.G.H.T. “Non posso fare a meno di pensare che quel famoso good­ night fosse rivolto a noi”, spiega Chris Smolinski. Quando le serie di numeri o di lettere sono trasmesse con l’alfabeto Morse, la lista di controllo usa la lettera M seguita da uno o più numeri. Per i segnali politonali, cioè quelli che si limitano a note musicali casuali, si usa la sigla XP. Se una trasmissione è difficile da definire, è preceduta da “unid”, unidentified, non identificata. Oltre a questi riferimenti, alla maggior parte delle stazioni sono stati affibbiati soprannomi che fanno riferimento alle sigle all’inizio e alla fine delle trasmissioni. La V02, che trasmette delle serie di numeri in spagnolo e si sente soprattutto negli Stati Uniti, è nota come Atención. La stazione G02 è Swedish rhapsody, riferimento alla ninnananna che segnala le trasmissioni. La V20 è nota anche come The bored man, per il tono annoiato dello speaker che legge i messaggi. Ricordiamo anche Six tones station, The Lincolnshire poacher e Magnetic fields. Nel corso degli anni novanta la lista diventò più dettagliata, spiega Smolinski: “Passammo a un sistema più strutturato compilando delle tabelle con orari e frequenze. A poco a poco siamo diventati degli esperti in questo mondo molto chiuso. Abbiamo analizzato i messaggi basandoci sulle loro strutture e abbiamo capito che uno stesso servizio o ambasciata poteva essere all’origine di varie stazioni che trasmettono in lingue diverse”.

KEYSTONE-FRANCE/GAMMA-RAPHO/GETTY

Un radioamatore in Cecoslovacchia, 30 maggio 1962

Nello stesso periodo se ne interessò il radioamatore e discografico britannico Akin Fernandez, editore nel 1997 di un’antologia di registrazioni composta da 180 campioni sonori etichettati in base alla nomenclatura proposta da Enigma. Il cofanetto di quattro cd, The Conet project, è diventato un oggetto di culto. Rimaneva il problema di sapere cosa dicevano i messaggi. Un compito tutt’altro che facile, soprattutto quando si basava sul principio one time pad (otp, chiave monouso): ogni messaggio, o serie di messaggi, è composto con un codice che può essere svelato solo con una chiave, che cambia di volta in volta. Lo scopo è evitare la ripetizione di numeri o lettere, facilmente individuabili e decifrabili. Senza l’otp corrispondente, è impossibile risalire al contenuto. Questo sistema è importante perché in alcuni processi per spionaggio negli Stati Uniti, le raccolte di chiavi otp sono state considerate delle prove. Nel 1998 l’arresto di cinque agenti cubani portò alla scoperta del più famoso caso di uso delle stazioni numeriche come mezzo di trasmissione

di messaggi tra una base e i suoi agenti. Da tempo l’Fbi stava tenendo sotto controllo le Spanish ladies, cioè un gruppo di stazioni che trasmettevano in spagnolo, le stesse che Havana Moon aveva seguito qualche anno prima lungo la Route one. I cinque agenti cubani erano stati scoperti perché usavano la stessa otp per diversi messaggi. Nella loro abitazione erano stati sequestrati una radio a onde corte e dei taccuini contenenti le chiavi per decifrare il codice. Un’altra rete di spie – composta questa volta da una decina di agenti che lavoravano per la Russia – è stata scoperta dall’Fbi nel 2010. In questo caso nei documenti parzialmente declassificati non si cita direttamente l’uso di stazioni numeriche, ma tra il materiale sequestrato ci sono radio a onde corte e taccuini pieni di otp usati dalle persone dell’organizzazione. Il legame tra queste stazioni e il mondo dello spionaggio è stato confermato da alcune dichiarazioni di John Winston, quand’era ai vertici della Fcc negli Stati Uniti. Il 26 maggio 2000, invitato a un programma della National public radio, Win-

ston disse: “Non vogliamo parlare di queste stazioni, sempre che esistano. Non sto ammettendo che le stazioni numeriche trasmettono dal nostro paese, anche se lei afferma il contrario. Ne conosciamo un gran numero, ma fuori del territorio statunitense”. Anche se tantissime emittenti sono sparite dopo il crollo dell’Unione Sovietica, è ancora possibile captarne qualcuna. Ma come spiegare il ricorso a un tecnologia che può sembrare obsoleta nell’epoca delle trasmissioni digitali? Parte della risposta deriva dalla semplicità del sistema, affidabile e poco costoso. Le radio non sono forse presenti nelle case di tutto il mondo? Le onde corte assicurano una copertura di migliaia di chilometri, mentre la rete internet è tutt’altro che capillare. Ci sono zone dove è più facile captare un segnale radio che trovare una connessione, così com’è più semplice comprare o riparare una radio in mezzo al Sahara che trovare un negozio di elettronica. L’affidabilità di questa tecnologia analogica offre una certa sicurezza agli agenti. Per incriminare una spia ci vogliono Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Inchiesta delle prove. Raramente una semplice radio è considerata una prova in un tribunale: se si è abbastanza in gamba da far sparire le chiavi otp, quel che resta è solo una vecchia radio. Per questo è utile avere taccuini di otp su carta da sigarette, facile da bruciare o, se necessario, da ingerire. Altro vantaggio di questo tipo di comunicazione: in situazioni di black out digitale globale o parziale, che sia accidentale o volontario, solo gli stati che hanno mantenuto i loro canali analogici saranno in grado di comunicare rapidamente attraverso le vecchie e fedeli radio. Ai tempi dell’Unione Sovietica capitava che dei trasmettitori radio a onde corte fossero installati su navi spia del Kgb mascherate da pescherecci battenti bandiera di paesi scandinavi. Di recente un’indagine condotta da un gruppo di giornalisti scandinavi e trasmessa da Arte nel giugno 2023 parlava della presenza nel mar Baltico di navi commerciali russe stranamente dotate di “vecchie radio analogiche”. I giornalisti hanno rivelato che quelle imbarcazioni erano state segnalate il giorno prima dell’esplosione del gasdotto russo Nord Stream 2, il 26 settembre 2022. Anche se molte stazioni numeriche non trasmettono più, ogni tanto ne appaiono di nuove. Altre, inattive per anni, sono state sentite di nuovo nel marzo 2022, all’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Tra queste, la Lincolnshire poacher, attribuita alla Royal air force, l’aeronautica militare britannica. Per spiegare questa rinascita, il blog specializzato Signal Monitoring, tenuto da un listener esperto che preferisce restare anonimo, ipotizza che “i russi non abbiano mai abbandonato le trasmissioni a onde corte e che, al contrario di quello che si pensa, le loro apparecchiature siano ancora ben funzionanti. Quando infatti durante i primi giorni dell’invasione abbiamo captato la Lincolnshire poacher, siamo rimasti sorpresi. I britannici non la usavano da quindici anni. Ma poco dopo abbiamo pensato che i russi, usando quello strumento obsoleto, volevano far capire agli occidentali che la guerra fredda era ricominciata”. Dal 2020 si assiste anche a trasmissioni ibride, che mescolano l’analogico al digitale. Il 28 agosto 2020 la Corea del Nord si è rivolta ai suoi agenti con un video su YouTube. Nel suo bollettino settimanale Renseignor, Alain Charret scrive: “Il video dura 65 secondi. Da uno sfondo nero si sente una voce femminile parlare in coreano. La trasmissione comincia con la frase: ‘Cari amici, ecco cosa dovete ripas-

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Molte radio non trasmettono più. Altre, inattive per anni, sono state sentite all’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina sare per il corso di tecnologia dell’informazione dell’università a distanza’. Poi segue una serie di dati che sembrano fare riferimento a un libro nella forma ‘n. 23, pagina 564’. Il video termina con la frase: ‘Ecco le missioni per la squadra di esplorazione 719’”. Questo nuovo metodo di comunicazione è sorprendente per Pyongyang. Di fatto il regime ha affidato i suoi messaggi a un’azienda privata statunitense come YouTube.

Potere evocativo Con l’arrivo del digitale le stazioni numeriche hanno invaso il campo dell’arte. Nel 2009 lo scultore e performer britannico Matt O’Dell ha esposto al Palais de Tokyo a Parigi, un centro d’arte contemporanea, l’opera Numbers station beacon (il faro delle stazioni numeriche). La scultura in legno a forma di torre era coperta di altoparlanti che diffondevano registrazioni della radio a onde corte. In quell’occasione Pascal Mouneyres, critico del sito Syntone dedicato all’arte radiofonica, si chiedeva: “Cosa c’è dietro a una voce trasmessa alla radio? Quali fantasie suscitano questi suoni ciechi? Di fronte a questi possibili racconti contemporanei, il visitatore fa i conti con una perdita di significato, con voci che parlano ma che non dicono nulla. Sarà lui a dover colmare i vuoti e a costruire i propri miti. Matt O’Dell ha fatto della sua torre un’allegoria vagamente minacciosa del potere costruttivista della radio, cioè della sua capacità di colpire l’immaginazione con molto poco”. Alcuni musicisti della scena electropop, come gli scozzesi Boards of Canada, i londinesi Stereolab o i marsigliesi Nasser, includono nelle loro composizioni campioni sonori presi dalle trasmissioni delle stazioni numeriche. Nicolas Viegeolat, dei Nasser, si sente vicino a Matt O’Dell: “Chi ascolta i nostri brani è trasportato in un territorio in cui nulla è visibile ma tutto è presente, compresa l’auto-

rità politica e l’ordine sociale. Una minaccia costante stimolata dall’immaginazione. Una prospettiva artistica esaltante”. Oggetto di studio oppure ossessione, le stazioni numeriche affascinano e stimolano reazioni antiche: paura dell’ignoto, del vuoto, del silenzio. Una di queste radio è diventata oggetto di un culto speciale: la stazione russa Uvb-76, conosciuta come The buzzer. Localizzata a nordovest di Mosca, in una zona militare segreta e operativa durante la guerra fredda, dal 1982 The buzzer trasmette sui 4.625 kHz un ronzio simile a quello dei segnalatori acustici usati per la navigazione in caso di nebbia, ventiquattr’ore su ventiquattro e venticinque volte al minuto. Nessuno è riuscito a capire quale sia la sua funzione. Sono trent’anni che desta curiosità. Alcuni dj di musica techno moscoviti hanno perfino inserito queste registrazioni nelle loro serate. Il ronzio alimenta interrogativi più o meno assurdi: sono messaggi destinati agli extraterrestri o di controllo mentale, per assoggettare la popolazione? Un’altra spiegazione sembra più fondata: la funzione del buzzer potrebbe essere simile a quello del “pedale dell’uomo morto”, un dispositivo di sicurezza usato, per esempio, sulle locomotive. Questo sistema di allarme ha il compito di assicurare al posto di controllo che il macchinista del treno sia vigile e non si sia sentito male. Per questo, a intervalli regolari, il conducente deve schiacciare un pedale. Il buzzer sarebbe una sorta di pedale dell’uomo morto nell’Unione Sovietica, e nella Russia di oggi. S’ipotizza che, attraverso questo rumore ininterrotto, gli ufficiali dei servizi segreti, i diplomatici, le truppe di stanza all’estero abbiano la sicurezza che Mosca e la sua regione non siano state distrutte da un attacco nucleare. In trent’anni il ronzio si è fermato solo tre volte. Durante queste interruzioni, l’ultima nel giugno 2010, sono state sentite alcune voci russe e delle serie di numeri. Nel 2011 un giornalista della rivista statunitense Wired, Peter Savodnik, è entrato nell’edificio da dove trasmette The buzzer. Ha constatato che il complesso militare era abbandonato da due anni. Si è chiesto perché si sente ancora il rumore e da dove sia emesso. Due misteri in più che alla fine dell’articolo Savodnik riassume in un’altra domanda: “E chi dà ancora da mangiare al cane rimasto lì?”. u adr

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Ritratti

Alma Pöysti I silenzi giusti Lelo Jimmy Batista, Libération, Francia. Foto di Paul Grandsard È la protagonista di Foglie al vento, l’ultimo film di Aki Kaurismäki. Ed è una delle attrici emergenti in Finlandia, un paese dove le persone sono abituate a tenere per sé storie e sentimenti embra una regina della finanza che ha deciso di mollare tutto e fare la fioraia, o una dominatrice che ha appeso al chiodo fruste e abiti di pelle per aprire una sala da tè. Alma Pöysti ci accoglie nell’ingresso di un hotel parigino nel nono arrondissement con stivali alti lucidi e una giacca aderente dai motivi variopinti. Le bastano uno sguardo e poche frasi per incutere un misto di calore e severità. Ci tiene a sapere se la mia poltrona è abbastanza comoda, e contemporaneamente chiede al personale dell’albergo di spegnere la musica dagli altoparlanti con un tono che non ammette repliche. Il suo è un atteggiamento tipicamente finlandese, dice: “Non amiamo i giri di parole”. Pöysti è stata scoperta di recente dal pubblico per il suo ruolo di coprotagonista in Foglie al vento, il film che ha segnato il ritorno di Aki Kaurismäki ed è valso al regista il premio speciale della giuria a Cannes. Un riconoscimento che l’attrice è andata a ritirare di persona, accompagnata dal suo compagno sullo schermo, Jussi Vatanen. Biondissima, lo sguardo trasparente, ride spesso e sceglie sempre le parole con cura. Parla perfettamente in francese. Alma Pöysti può ricordare un’acrobata, al tempo stesso agile e fragile. Cosa che le ha permesso dopo Foglie al vento di recitare in Amours à la finlandaise di Selma Vilhunen

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(il titolo internazionale è Four little adults). Nel film di Kaurismäki l’attrice interpretava una cassiera squattrinata che si lanciava in una storia d’amore con un operaio alcolizzato. In quella di Vilhunen è una parlamentare che, dopo aver scoperto l’infedeltà di suo marito, un sacerdote, decide di fare l’esperienza del poliamore. Dietro una locandina che richiama Scene da un matrimonio (“con crisi extraconiugale!”) di Ingmar Bergman, Four little adults nasconde un film dai toni singolari, che affronta l’argomento prendendolo molto sul serio, ma sembra divertirsi a far andare all’aria l’idea tradizionale di famiglia. E il suo umorismo mescola abilmente tenerezza e crudeltà. Nata nel 1981 in una famiglia immersa nel teatro e nel cinema – i suoi nonni erano attori, il padre regista –, Pöysti è cresciuta a contatto con la recitazione. “Già da giovanissima sognavo di trovare il mio posto. Ma avevo troppo rispetto per questo mestiere. Sapevo che non era una cosa leggera e che richiedeva lavoro e coraggio”. Dopo gli studi si è presa del tempo per riflettere e nel 2000 ha passato un anno a Parigi da suo nonno, che si era trasferito lì. Ha seguito corsi di lingua e cultura francese all’università della Sorbona e ha lavorato come cameriera. È stato un pe-

Biografia ◆ 1981 Nasce a Helsinki, in Finlandia. ◆ 2000 Si trasferisce a Parigi per un anno dal nonno. ◆ 2007 Si laurea all’università delle arti di Helsinki, e poi si trasferisce in Svezia per lavorare a teatro. ◆ 2011 Recita nel suo primo film: Where once we walked. ◆ 2023 Recita in Foglie al vento di Aki Kaurismäki. La sua interpretazione le fa guadagnare una candidatura come miglior attrice ai Golden Globe.

riodo “intenso”, spiega, durante il quale ha letto 1984 di George Orwell, e ha visto Pink Floyd – The wall di Alan Parker in un piccolo cinema vicino agli ChampsElysées. “A Parigi ho capito veramente cos’era il razzismo, il privilegio. E anche quanto sarebbe stato semplice comunicare, nonostante le differenze culturali e le barriere linguistiche”.

Fuga dalla celebrità Di ritorno in Finlandia, nel 2003 si è iscritta al conservatorio, dove si è diplomata nel 2007. Ha cominciato con il teatro e la televisione, per poi arrivare nel 2011 al cinema con un dramma storico sulla guerra civile finlandese. Da allora non ha più smesso di girare film. Ogni anno partecipa a cinque o sei produzioni. “Ho lavorato sodo. Ma il successo non m’interessa. Fuggo dall’esposizione, dalla celebrità”. Quando le parlo della sua nomination ai Golden globe come miglior attrice in un film musicale o commedia per Foglie al vento accanto a Margot Robbie, Emma Stone (che poi ha vinto il premio) e Jennifer Lawrence, sembra quasi imbarazzata. Su Instagram, dove si è rassegnata ad aprire un account (“è diventato inevitabile per il lavoro”), svela uno dei pochi aspetti della sua vita privata di cui vuole parlare: la sua passione per le api. Cura due arnie su un’isola dell’arcipelago finlandese, al largo di Helsinki. “Durante il lockdown i teatri erano chiusi, non potevo recitare. Allora ho seguito una formazione da apicoltrice. Le api mi appassionano perché le loro azioni hanno delle ripercussioni incredibili sulla nostra vita quotidiana”. Di tutto il resto, non dice nulla. Preferenze politiche, situazione sentimentale: allontana tutto con un grande sorriso, ma con fermezza. Anche se fa parte della minoranza di lingua svedese del paese (5 per cento della popolazione), resta fonda-

ANZENBERGER/CONTRASTO

Alma Pöysti al festival di Cannes nel 2023

mentalmente finlandese, un popolo che meglio di chiunque altro sa fare buon uso del silenzio. “Il silenzio è un aspetto centrale della nostra cultura. Kaurismäki d’altronde ne fa un uso superbo. Per un finlandese la tortura più grande è dover chiacchierare del più e del meno. È un lascito delle guerre combattute con la Russia. Quando i soldati tornarono non condividevano le loro storie, tenevano tutto per sé. E l’alcol era spesso una scappatoia o un mezzo per compensare”, dice. “Questo ha creato la società attuale nella quale si evita di parlare dei propri problemi. E quando se ne parla, lo si fa bevendo. È una cultura molto virile, ma le cose stanno cambiando. I giovani si comportano in modo op-

posto: non bevono, e parlano dei loro sentimenti”. I finlandesi da due anni devono anche convivere con un’atmosfera di oppressione latente. Il paese confina con la Russia per più di 1.300 chilometri. Con i suoi vicini la Finlandia ha una lunga storia di conflitti e di riappacificazione, sconvolta dall’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. “Dopo le guerre del 1939 e del 1941 ci sono stati grandi sforzi per ristabilire la fiducia tra i due paesi. Oggi è crollato tutto. Dopo la nostra adesione alla Nato ad aprile le tensioni si sono allentate, ma la perdita di fiducia sembra irreversibile”. Motivo ulteriore per Alma Pöysti, se ce ne fosse bisogno, di dedicarsi completamente al suo mestiere. Dopo il lavoro con

Kaurismäki, ha girato un film con un altro grande nome del cinema finlandese, la regista Pirjo Honkasalo. Un film “sulla spiritualità, il perdono e il senso di colpa”, spiega. Colgo l’occasione per chiederle che rapporto ha con la religione: “Nessuno. Ma credo nelle forze invisibili.” È vero che, quando per due volte nomina i suoi nonni, non dice che sono morti ma che “per il momento non ci sono”. I suoi punti di riferimento? Cita Kati Outinen, attrice feticcio di Kaurismäki, e Judi Dench. Attrici di cui ammira la sincerità, l’integrità. Fa una pausa, poi riprende: “Anche loro sono riuscite a esprimere un mistero. E a custodirlo”. Ora conosciamo un’altra attrice che ha tutte queste doti. E che sa farne buon uso. u fdl Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Viaggi

Esplorando il Pantanal Dopo gli incendi del 2020 e la pandemia, nella regione brasiliana tornano i turisti. Per osservare gli animali e scoprire la cultura locale l risveglio del Pantanal comincia con il rumore di una piccola barca che naviga lungo il fiume Mutum in direzione della baia di Siá Mariana, nel comune di Barão de Melgaço, nello stato brasiliano del Mato Grosso. Mentre si aspetta il sorgere del sole, nella baia regna il silenzio. Poi l’orizzonte assume tonalità nuove, tra l’arancione e il rosso, fino a quando tutti i colori del mattino si rivelano. Il viaggio di ritorno è immerso nel cinguettio degli uccelli. Sulla riva del fiume si vedono una poiana dal collare in cima a un albero, diversi aironi locali in volo e un caimano jacaré pronto a uscire dall’acqua, il che sembra voler dire che l’alba del Pantanal è finita. Questa zona umida, una delle più estese al mondo, ha un’enorme biodiversità. La popolazione e il turismo hanno sofferto per gli incendi del 2020 (che hanno distrutto circa 25mila chilometri quadrati di vegetazione e ucciso migliaia di animali) e per la pandemia di covid-19. Ora il piano di rilancio statale sta riportando i visitatori nel Mato Grosso, facendogli scoprire dei percorsi per conoscere la cultura locale, dalla musica alla quotidianità nel

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COLOMBIA

Oceano Atlantico

BRASILE PERÚ

Mato Grosso

BOLIVIA

Brasília

Pantanal Mato Grosso do Sul

PARAGUAY ARGENTINA

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500 km

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Pantanal. Un esempio di queste nuove attrazioni è la visita al museo della viola de cocho, a Santo Antônio de Leverger, trenta chilometri a sud di Cuiabá, la capitale del Mato Grosso. In questo museo dedicato a una piccola chitarra tipica della regione, si può incontrare il liutaio Alcides Ribeiro, che è un profondo conoscitore della materia. La sua famiglia è arrivata alla quarta generazione di artigiani e controlla tutto il processo della fabbricazione della viola de cocho, strumento a corde il cui corpo è costituito da un unico pezzo di legno. Nel museo è possibile scoprire le tecniche di lavorazione del legno e ascoltare dal vivo il suono di questa specie di chitarra. Per conoscere la storia del Mato Grosso conviene visitare la comunità Quilombola Mata Cavalo, a Nossa Senhora do Livramento, cinquanta chilometri a sud di Cuiabá. Questi 14mila ettari erano stati donati nel 1883 a degli ex schiavi, sottratti da alcuni proprietari terrieri (durante gli anni della dittatura, 1964-1985) e poi ripresi dallo stato con il ritorno alla democrazia. Qui le famiglie lavorano insieme: chi può dà il proprio contributo nell’insegnamento nella scuola Tereza de Conceição Arruda (un edificio pubblico in cui ci sono classi dalla scuola primaria fino alle superiori) e nel confezionamento di prodotti artigianali. I visitatori possono anche immergersi nella natura e passare alcune ore in una fazenda e gustare il quebra-torto, come viene chiamata la colazione dei lavoratori della regione: riso, carne secca, farofa (contorno salato della cucina brasiliana) con banana e uovo fritto. La degustazione si svolge nella Estância Maués, antico caseificio a Leverger. Un’altra opzione è quella di trascorrere una giornata nel Rancho São Jorge, a Poconé, un comune ancora più a sud, dove si può andare a cavallo, accompagnare gli allevatori e i loro animali e riposare su un’amaca al suono della viola de cocho.

VALERIO FERRARO (UNIVERSAL IMAGES GROUP/GETTY)

Tatiana Harada, Folha de S.Paulo, Brasile

I più avventurosi possono ammirare il tramonto a bordo di un kayak sulle acque del fiume Paraguay, nella città di Cáceres, 220 chilometri a est di Cuiabá. Il fiume nasce nel Mato Grosso e poi attraversa la Bolivia, il Paraguay e l’Argentina.

In attesa del giaguaro La fauna e la flora restano l’elemento prevalente delle visite nella regione. Il panorama riempie gli occhi e compensa le difficoltà che s’incontrano nelle strade sterrate. Il segnale del cellulare e il wifi non ci sono sempre, per cui è necessario informarsi in anticipo sulla copertura per evitare sorprese. La biodiversità del Pantanal attira gli appassionati di uccelli e i fo-

Un giaguaro nella pianura alluvionale del Pantanal, in Brasile

tografi di tutto il mondo. Lisa Canavarros, proprietaria dell’Aymara Lodge, a Poconé, racconta che metà dei suoi ospiti arriva dall’estero, soprattutto dal Regno Unito e dagli Stati Uniti. Questo interesse si riflette nella composizione del personale dell’albergo, di cui fanno parte biologi di São Paulo e guide per offrire un servizio qualificato. Anche i visitatori provenienti dall’America Latina arrivano per lo stesso motivo, come conferma la guida Waldir Telles, che ha accompagnato gruppi di argentini insieme a un ornitologo. I safari e i percorsi in barca sono le attività che offrono un’immersione nella natura ancora più intensa, con buone possibilità d’incontra-

re un giaguaro, il più grande felino delle Americhe. L’osservazione dei giaguari è organizzata dagli alberghi e dalle agenzie turistiche e può svolgersi anche in aree protette come il Parque Estadual Encontro das Águas, nella regione di Porto Jofre. Per tutelare la fauna sono state avviate varie iniziative, a cominciare dal coinvolgimento delle comunità e dei proprietari terrieri in progetti per il recupero degli animali selvatici e il reintegro nel loro ambiente. La ong Panthera si occupa della protezione dei felini, soprattutto del giaguaro e dell’ocelotto del Pantanal. Secondo Fernando Tortato, coordinatore dei progetti di Panthera, il turismo incentrato sull’osservazione dei giaguari è

un’attività relativamente recente, con meno di 25 anni di vita. Il periodo più favorevole per vedere il felino è la stagione secca, da luglio a ottobre, quando gli animali si concentrano lungo i fiumi e gli specchi d’acqua. I giaguari vanno lì in cerca delle loro prede, come i caimani o i capibara. Non esiste un orario specifico. Le auto e le barche partono intorno alle sei del mattino. Alcuni visitatori tornano negli alberghi dopo qualche ora, mentre altri restano fino alle sei del pomeriggio per avere più possibilità di vedere un esemplare. Durante il nostro viaggio è nei pressi di Poconé che abbiamo visto più esemplari. ◆ as Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Portfolio

Lettere per il futuro Cosa dire a un figlio quando si è costretti a lasciare la propria casa per sfuggire alla guerra e alla violenza? Il progetto di Marieke van der Velden e Philip Brink al 2014 circa tre milioni di persone hanno cercato di raggiungere l’Europa in maniera irregolare. “Tra loro ci sono molti genitori che viaggiano con i figli”, dice Marieke van der Velden. La fotografa olandese, insieme al regista Philip Brink, ha creato il progetto Children of the labyrinth (Bambini del labirinto), in cui sono raccolte le testimonianze fotografiche e video di alcuni genitori migranti. Per il progetto, Van der Velden e Brink hanno chiesto a madri e padri di scrivere una lettera che i loro figli leggeranno quando saranno più grandi, in cui raccontano il loro viaggio e cosa li ha spinti a partire. Le lettere sono state scritte mentre le famiglie erano bloccate in Grecia dopo essere fuggite da vari paesi, tra cui Afghanistan, Iran e Siria. “Il progetto è

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Prisca & Happyness Prisca ha avuto un’infanzia difficile con la sua famiglia adottiva di Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo. Quando è nata sua figlia Happiness, la donna ha sospettato che qualcuno volesse uccidere la bambina, così ha lasciato il paese. Dopo varie tappe è arrivata in Turchia e infine in Grecia. Mentre scriveva la sua lettera, stava provando a ricostruire una vita insieme alla figlia ad Atene. “Non ho detto a nessuno che ero incinta. Quando sei venuta al mondo, ho provato una sensazione meravigliosa. Una specie di miracolo mi aveva dato te, questa piccola Barbie, la mia bambina. Arrivate al campo profughi non avevamo un posto dove dormire e faceva molto freddo. Ti ho vegliato mentre dormivi tra le mie braccia. Ho pianto tutto il tempo, notte e giorno. Con lo status di residente che dovremmo ottenere presto, sembra che le cose andranno bene. Non ho parole per esprimere quanto sei importante per me. Sappi che ti proteggerò sempre”.

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stato realizzato in stretta collaborazione con i genitori che, mossi dalla speranza di offrire una vita migliore ai loro figli, si sono trovati intrappolati in un labirinto pericoloso e umiliante, fatto di muri, respingimenti, trafficanti di esseri umani e tendopoli”, racconta la fotografa. Le storie raccolte da Van der Velden e Brink, sebbene diverse, sono accomunate dal coraggio dei protagonisti, che hanno affrontato terribili ostacoli pur di trovare un posto sicuro in cui vivere. Insieme alle foto, sono stati realizzati alcuni cortometraggi, tra cui un video sull’intero progetto, in cui tutte le lettere s’intrecciano. ◆ Marieke van der Velden è una fotografa olandese. Questo progetto è stato realizzato con il regista Philip Brink. I video si possono vedere su internazionale.it e childrenofthelabirynth.eu

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Portfolio

Aisha (Malika) & Haroon Fuggiti dall’Afghanistan nel 2019, Aisha e i suoi tre figli sono arrivati in Turchia dopo un mese di viaggio. Poco tempo dopo però hanno ricevuto anche lì le stesse minacce e subìto le stesse discriminazioni del loro paese d’origine e sono partiti per la Grecia. Dopo vari tentativi, nell’ultimo viaggio hanno dovuto passare undici ore in acqua, prima di essere soccorsi da una ong. Hanno vissuto in strada per dieci giorni, al freddo e sotto la pioggia, prima di arrivare nel campo profughi di Salonicco. Hanno passato più di sei mesi in una tenda condivisa con altre famiglie. “I miei figli hanno sofferto molto in quel posto, avevano cicatrici su mani e viso. Io ho sofferto di problemi mentali e fisici di ogni tipo. Pensavo che la Grecia fosse un paese umano, ma la realtà è stata molto diversa. Non so quale dei miei dolori raccontare. Come quando mio figlio Haroon ha avuto un incidente ed è stato operato per cinque ore. Ancora oggi non si è ripreso del tutto. Quell’incidente ha avuto un impatto negativo su di lui. Il campo è un luogo molto difficile”.

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Nazir-Ahmad & Yasna Yasna è nata il 13 dicembre 2016 in Iran da genitori afgani. Quando ha compiuto un anno e mezzo, la famiglia ha lasciato il paese per provare a raggiungere l’Europa e offrire un futuro migliore a lei e a suo fratello. Per due anni e mezzo hanno vissuto in una tenda nel campo profughi di Moria, in Grecia, tra estati torride e inverni freddi e pungenti. “Volevamo assicurarci che la vita dei nostri figli fosse libera dalla paura, dalla discriminazione e dalla disuguaglianza che avevamo vissuto noi. Non ho mai preso in considerazione l’idea di tornare in Afghanistan per ragioni che ti spiegherò in seguito. Avere una figlia è stata una parte importante di questa scelta. Non volevo che crescesse nel dolore e nella sofferenza, né che vivesse in una società che da anni rinchiude le donne e le ragazze. Non dimenticherò mai i pericoli che hai vissuto nel vecchio campo di Moria. Me ne faccio una colpa ogni giorno. Piccola mia, spero di portarti in un luogo dove sarai libera di vivere e studiare. Un luogo che ti permetta di diventare una persona di successo, utile alla società e al mondo, e di realizzare i tuoi sogni”. Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Portfolio

Fabiola & Soan Fabiola è fuggita dal Camerun. Ha subìto maltrattamenti, stupri, ed è stata rapita due volte. Aveva perso ogni speranza. Quando ha scoperto di essere incinta i suoi rapitori volevano ucciderla, ma poi ha trovato un gruppo di persone che si stavano preparando a fuggire, che hanno accettato di portarla. Ha cominciato a chiedere l’elemosina per raccogliere i soldi necessari per il viaggio e alla fine è riuscita ad arrivare in Grecia. “Il mio caso è stato riconosciuto come prioritario e in meno di un mese sono stata trasferita in un rifugio adorabile, dove si sono presi cura di noi, dal terzo mese della mia gravidanza fino al sesto mese della tua esistenza. Il giorno della tua nascita è stato difficile, da sola in ospedale durante uno dei periodi peggiori di quell’anno, a causa della pandemia di covid. Mi sentivo ancora una volta sola e impaurita, ma sapevo che presto sarebbe finita perché avrei avuto te. Così ho continuato a lottare per sopravvivere all’operazione per il tuo bene. Ho promesso a me stessa di sostenerti per la tua istruzione e la realizzazione dei tuoi sogni. Oggi siamo ancora alla ricerca di documenti, ma sono felice di averti dato sicurezza e lo farò per sempre”.

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Latifa & Mozhda Nel 2018 Latifa, insegnante di inglese, è fuggita dall’Afghanistan insieme alla sua famiglia. Dopo un periodo difficile in Iran e in Turchia, sono saliti su un gommone diretto in Grecia. Quando ha scritto questa lettera si trovavano nel campo di Moria, dove sono costretti a vivere da più di tre anni in attesa che la loro quinta richiesta d’asilo sia accettata. “Mozhda, figlia mia, sei nata bianca come la neve e soffice come il cotone. Questa non è la vita che meriti”.

Iman & Mahmoud Iman è fuggita dalla Siria insieme al marito e al figlio Mahmoud a causa della guerra. Dopo un viaggio di due settimane attraverso la Turchia, sono arrivati a bordo di un gommone sull’isola di Lesbo, in Grecia, dove, dopo un anno e mezzo di attesa nel campo di Moria, la loro richiesta di asilo è stata accolta. “Questo terribile viaggio era l’unico modo per darti una vita migliore.” Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Graphic journalism Cartoline da Barcellona

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Claudio Marinaccio è un autore di fumetti nato a Torino nel 1982. Vive e lavora a Villarbasse, in Piemonte. Ha pubblicato Trentatré raggi ionizzanti (Feltrinelli Comics 2021). Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Cultura

Musica

YURII STEFANYAK (GLOBAL IMAGES UKRAINE/GETTY)

Le Dakh Daughters a Kiev, 19 maggio 2023

Resistenza musicale Kateryna Romanovska, A2, Repubblica Ceca La scena indie pop ucraina fornisce strumenti per capire emozioni e aspirazioni della popolazione

Mosca. Dall’altro vogliono creare un prodotto di qualità. I principali elementi di questo processo sono la lingua, la rivalutazione del passato e la rilettura delle tradizioni popolari.

32 anni dall’indipendenza e con una lunga storia di oppressione alle spalle, l’Ucraina sta vivendo un processo di formazione e riforma dell’identità nazionale, accelerato dall’aggressione militare russa. Uno dei mezzi principali per esprimerlo è la musica popolare contemporanea, nel senso ampio del termine. Molti artisti emergenti da un lato tentano di confrontarsi con la storia del colonialismo sovietico, quando l’Ucraina era considerata una zona periferica, abitata da contadini analfabeti e dipendente da

In cerca d’identità

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I giovani musicisti ucraini sono sorprendentemente legati alla musica degli anni ottanta e novanta, al centro dei primi tentativi di emancipazione dall’egemonia culturale dell’Unione Sovietica. Il festival Červona ruta, nato nel 1989, fu fondamentale. Secondo l’organizzatore Kyryl Stetsenko “aprì gli occhi e le orecchie a chi soffriva del complesso d’inferiorità nazionale”. Gli anni novanta furono segnati dall’euforia e, per la prima volta nella storia della musica del paese, la lingua ucraina era il criterio per accedere alle classifiche.

Ma la fioritura della cultura musicale ucraina non durò a lungo. Alla pressione economica e politica, la Russia aggiunse quella culturale, e la neonata scena musicale ucraina, indipendente e ancora instabile, fu soppiantata dal pop russo. Inoltre molti musicisti ucraini passarono al russo attratti dall’idea del successo in un mercato molto più ampio. A poco a poco l’industria dell’intrattenimento locale fu quasi completamente russificata. L’invasione russa del 24 febbraio 2022 ha cambiato tutto. La lotta per l’esistenza ha trasformato la cultura ucraina: la musica di produzione locale ha riempito i programmi radiofonici destinati alle truppe e sostituito il pop russo o di lingua russa. C’è stata una fase, soprattutto all’inizio dell’invasione, in cui i simboli della guerra sono serviti per una sorta di speculazione commerciale. I cliché sul battaglione Azov, i missili Javelin e i droni Bayraktar rientrano nel fenomeno noto come bayraktarščyna, musica che strumentalizza e appiattisce la tragicità della guerra. Una tendenza che è stata quasi subito criticata e arginata. La limitazione della bayraktarščina ha poi stimolato l’interesse per l’indie pop, un genere che offre più profondità emotiva e onestà, rispondendo così al cambiamento di umore nella società ucraina. Per esempio, i testi della band punk rock di Odessa Hate Speech, o del suo front-

Onuka

ONUKA (FACEBOOK)

OLHA KLYMUK/PALINDROM (INSTAGRAM)

Palindrom

man Dmytro Odnoroženko, esprimono apertamente l’odio contro i russi. E la presunta apoliticità di alcuni musicisti che hanno continuato a lavorare per l’industria dell’intrattenimento russa e a creare in lingua russa dopo il 2014 non è sfuggita alle critiche. A un anno e mezzo dall’inizio dell’aggressione militare, lo stato di guerra si è in qualche misura trasformato – per quanto tragicamente – nella nuova normalità. Sentimenti di frustrazione, rabbia e odio sono sempre più spesso accompagnati da riflessioni culturali, politiche e sociali. La musica rivolta al consumatore medio continua a poggiare su cliché – salo (cucina tradizionale), horilka (vodka) e hopak (danza popolare) – ma i social network e le piattaforme di streaming hanno aperto la scena indie a un pubblico più ampio, compreso quello di TikTok. Proprio su TikTok si è affermata Liza Uhlač, 19 anni, con il progetto Struktura ščasťa (La struttura della felicità), un divertente, quasi infantile mix di techno, witch house e breakcore accompagnato da testi dark sull’autolesionismo, la droga, la depressione, la guerra e la morte, rivolto principalmente a un pubblico adolescente. L’instabilità psichica è diventata uno dei temi centrali dei testi musicali. La canzone Stan (Condizione) della band Karoon si concentra invece sugli stati emotivi di chi è costretto ad amarsi a

distanza. Un tema che non sorprende in una società in cui la separazione fa parte della realtà quotidiana, così come non devono stupire testi che parlano di dolore, lutto, tristezza e altre condizioni direttamente o indirettamente causate dalla guerra. Del resto l’intensità dell’esperienza musicale permette di affrancarsi dall’autocommiserazione. L’Ucraina è stata a lungo un territorio di confine, un “cuscinetto” tra l’Europa e la Russia. Secondo la musicologa ucraino-statunitense Marie Sonevytsky, questa “liminalità” ha fatto sì che la tradizione popolare ucraina fosse concepita come la manifestazione di una cultura semiesotica e “selvaggia”.

Potenziale inespresso La rivolta della musica tradizionale ucraina, intesa come “arma” contro il regime sovietico, ha avuto la sua prima manifestazione nel festival Červona ruta. Ma come mezzo d’identificazione e rivalutazione del proprio passato svolge un ruolo essenziale anche nella musica ucraina contemporanea. Lo dimostrano il successo della cantante Ruslana e della sua Wild dances all’Eurovision 2004, la popolarità del gruppo femminile elettrofolk Onuka, la band etnofolk DakhaBrakha o il progetto tra musica e teatro delle Dakh Daughters. La simbiosi tra musica elettronica ed ele-

menti del folklore assume nuove forme e significati nel lavoro dell’artista di Kiev YUVI, che unisce ambient, tecno e folklore. I testi che riprendono lo spirito delle canzoni popolari e la stratificazione della voce su uno sfondo dark techno creano un sound quasi mistico. Tuttavia la ricerca delle radici culturali non è l’unico modo in cui si presenta la riflessione sulla lunga oppressione russa. Il rapper di Leopoli Stepan Burban, alias Palindrom, nell’ultimo anno e mezzo ha pubblicato due album significativamente influenzati dalla guerra. La nostalgia è un doloroso ricordare una casa che non esiste più, o che forse non è mai esistita. Le immagini del passato sembrano riferimenti a un potenziale mai espresso. Insieme alla musica e al suo significato è cambiata anche l’attività stessa dei musicisti ucraini. Dopo l’inizio dell’invasione è diventato quasi impossibile organizzare concerti, festival o feste. Diversi locali si sono trasformati in centri di assistenza. Però i musicisti hanno cominciato ad adattarsi e con i guadagni dei loro concerti o delle vendite hanno partecipato a raccolte di fondi per l’equipaggiamento dei soldati ucraini. Molti hanno addirittura deciso di arruolarsi. Neppure la musica può astenersi dalla politica e l’acquisto di un biglietto per un concerto diventa più importante di quello che sembra. u ab Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Cultura

Schermi Documentari

In rete In compagnia dei robot

Fuorilegge. Veneto a mano armata Sky Documentaries, sabato 20 gennaio, ore 21.15, Now In tre puntate la vicenda dell’avvocato padovano Enrico Vandelli, dall’attivismo politico e la difesa degli autonomi accusati di terrorismo nel celebre processo 7 aprile a quella del boss della mala del Brenta, Felice Maniero. Il tempo rimasto RaiStoria, sabato 20 gennaio, ore 0.10 Daniele Gaglianone ha intrapreso un viaggio nel mondo della vecchiaia, per raccontare cosa significa attraversare questa soglia ed entrare in una dimensione insieme rimossa e onnipresente. Israele: una faida tra tribù? Arte.tv Oltre che da differenti posizioni politiche, la società israeliana è segnata dalle divisioni tra gruppi e comunità. Ashkenaziti, mizrahi, ebrei ultraortodossi, arabi israeliani: la loro storia aiuta a capire l’attualità. John Lennon. Murder without a trial Apple Tv+ Personaggi chiave della vita di John Lennon condividono ricordi e analisi di quanto accadde il giorno in cui Mark David Chapman lo assassinò a New York l’8 dicembre 1980. The mayor Rai Play Predappio, città natale di Benito Mussolini, è nota per i raduni fascisti. Il sindaco Giorgio Frassineti ha cercato tra mille difficoltà di contrastare questa fama, convertendo la vecchia casa del fascio in museo e centro studi sui totalitarismi.

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Serie tv The brothers Sun Netflix, 8 episodi Eileen Sun (Michelle Yeoh) è una matriarca a “due teste”. Da una parte è una donna rispettabile nei sobborghi di Los Angeles. Dall’altra è la spietata leader di un clan taiwanese impegnata in una tentacolare guerra mafiosa che abbraccia due continenti. Le due facce di Eileen sono incarnate dai suoi

figli. Charles (Justin Chien) conduce una vita da principe della malavita a Taipei, mentre Bruce (Sam Song Li) vive a Los Angeles con la madre e non sa niente della sua attività criminale. Epopea gangster, arti marziali e commedia si mescolano in una serie imperfetta ma divertente. Les Inrockuptibles

Quanto dovrebbero essere intelligenti i robot? Se lo chiede Eve Herold su Time, descrivendo i nuovi “Alexa con steroidi” progettati per convincerci che vogliono il nostro affetto. Un esempio è Spot di Boston Dynamics, che combina le capacità tecniche all’intelligenza artificiale di ChatGpt. “Possono essere una manna dal cielo per le persone sole”, scrive Herold. “Ma possono anche essere manipolati con contenuti tossici e comportarsi in modi che alcuni ricercatori hanno definito psicopatici”. Herold conclude: “Da tecnoottimista, credo che alla fine queste tecnologie forniranno enormi benefici, ma ora servirebbe una pausa nell’attesa che la legge si metta al passo con la scienza”. Gaia Berruto

Televisione Giorgio Cappozzo

Parla, parla, parla Alla mostra su Enrico Berlinguer promossa dal comune di Roma, tra i tanti materiali che ne raccontano il sentiero politico ci sono alcuni estratti dalle tribune televisive dell’epoca. Ce n’è uno, in particolare, che si riferisce a un confronto tra il segretario del Partito comunista italiano e un politico socialdemocratico. Berlinguer si sofferma sull’idea di libertà secondo i comunisti. Nessuno lo interrompe, nessuno fa facce da clown, e lui parla, parla, parla e ti convince che la liber-

Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

tà sia quella cosa lì e nessun’altra. Ho ripensato a Giovanni Floris, tra i più virtuosi nel gestire il dibattito in tv. Il conduttore si è inventato un meccanismo che credo usi solo lui: a ogni infornata di ospiti, secondo un tempo calcolato ad arte, rimanda in onda gli stessi servizi a cui ispirarsi per fare le stesse domande. Una sorta di scaletta circolare, di talk dell’oca che riparte sempre da zero, pensata per il pubblico che arriva a trasmissione già cominciata e

per noi che, pur davanti allo schermo dal primo minuto, possiamo rivedere la gaffe del sottosegretario o la dichiarazione ardita del primo ministro. Con un ritmo sostenuto dall’infografica e dalla punteggiatura degli applausi, Floris ripete, ripete, ripete e noi, ormai duri di comprendonio, distratti e un po’ indifferenti, facciamo nostro il punto di vista non neutrale (ma apprezzabile) del conduttore. È la prosecuzione di Berlinguer con altri mezzi (televisivi). u

I consigli della redazione

Perfect days Wim Wenders, in sala

Viaggio in Giappone Élise Girard, in sala

gliamento Dupieux ci fa intravedere una strana ferocia che nello spazio codificato del teatro esprime la violenza sociale repressa dai costumi culturali. Mathieu Macheret, Le Monde

The holdovers

DR

La petite Di Guillaume Nicloux. Con Fabrice Luchini, Maud Wyler. Francia 2023, 93’. In sala ●●●●● Joseph è un restauratore di mobili, vedovo, rannicchiato nel suo lavoro solitario, sconvolto dalla notizia della morte in un incidente del figlio e del suo compagno. La coppia aspettava un bambino, grazie alla gestazione per altri con una madre in Belgio. Allora Joseph decide di trovare a tutti i costi questa ragazza per scoprire cosa ne sarà del nipote non ancora nato. Guillaume Nicloux adatta il romanzo Le berceau di Fanny Chesnel, mettendo in risalto le motivazioni di un uomo in lutto e di una donna che partotirà una nuova vita. Imponendo alla pellicola un’elegante sobrietà insieme a qualche tocco di umorismo intreccia con finezza un “thriller filiale” che dà sostanza a questioni filosofiche e morali. Guillemette Odicino, Télérama

The holdovers. Lezioni di vita Di Alexander Payne. Con Paul Giamatti, Da’Vine Joy Randolph, Dominic Sessa. Stati Uniti 2023, 133’. In sala ●●●●● Nel suo ottavo, malinconico ma adorabile film, Alexander Payne ritrova Paul Giamatti nei panni di Paul, professore di letteratura classica alla Barton academy, un collegio maschile del Massachusetts in cui era stato uno studente brillante ma impopolare. Ora, scrittore fallito con mal celati problemi di alcol, Paul è ancora più impopolare come insegnante. Come punizione per aver rifiutato di alzare il voto di uno studente “illustre”, è costretto a passare le vacanze di Natale del 1970 nel campus, per tenere d’occhio gli holdovers, studenti che per motivi diversi non possono tornare a casa, tra cui Angus (Dominic Sessa), un piantagrane più brillante della media. Insieme a loro c’è anche la cuoca della scuola, Mary (Da’Vine Joy Randolph), che ha appena perso il figlio in Vietnam. Nessuna sorpresa che tra queste anime bloccate dalla neve nasca un’improbabile amicizia. Del resto il vero piacere del film non è nei colpi di scena ma negli elementi fa-

miliari, dall’antieroe solitario al look rétro esplicitamente in debito verso classici degli anni settanta di Hal Ashby, Peter Bogdanovich o Arthur Penn. The holdovers, anche se ben realizzato, è senz’altro un’opera minore nella filmografia di Payne, ma è potenzialmente destinato a diventare un classico nel sottogenere delle vacanze natalizie tristi. Dana Stevens, Slate Yannick. La rivincita dello spettatore Di Quentin Dupieux. Con Raphaël Quenard, Pio Marmaï. Francia 2023, 69’. In sala ●●●●● Quentin Dupieux sforna film sempre più leggeri. E l’ultimo sembra una sintesi perfetta del suo cinema. Una rappresentazione teatrale è interrotta da uno spettatore, che si sente preso in giro. Lo dice forte e chiaro e non esita, pistola alla mano, a prendere in ostaggio l’intera rappresentazione di cui si sentiva a sua volta prigioniero. Il film si avventura in questa sospensione in cui avviene la rottura del patto tra teatranti e pubblico. Il film fa emergere la figura dell’eterno dimenticato del cinema d’autore: lo spettatore “medio” che per la prima volta si afferma come soggetto. Ma non è un eroe e attraverso il suo dera-

Mean girls Di Samantha Jayne, Arturo Perez Jr. Con Angourie Rice, Auli‘i Cravalho. Stati Uniti 2024, 112’. In sala ●●●●● In questo film, tratto da un musical tratto da un film tratto da un libro, non rimane molto dello spirito che ha originariamente affascinato il pubblico. In particolare, il film del 2004 di Mark Waters (con Lindsay Lohan, Rachel McAdams e Amanda Seyfried) è stato un successo di critica e di pubblico ed è ancora considerato un punto di riferimento nel canone dei film per adolescenti. L’idea forse era di attualizzare il materiale originario a beneficio dei ragazzi di oggi. Ma questo Mean girls si appoggia troppo sul film precedente e non si capisce se è un omaggio, una satira o altro. I numeri di canto e ballo, poi, non sono indimenticabili né particolarmente divertenti. Il risultato è un teen movie in crisi d’identità, pallida imitazione del predecessore. Hannah Strong, Little White Lies NEWSLETTER Schermi è la newsletter settimanale di Piero Zardo su cosa vedere al cinema, in tv e sulle piattaforme di streaming. Per riceverla: internazionale.it/newsletter

DR

Film

Sick of myself Kristoffer Borgli, Mubi

Yannick Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Cultura

Libri Regno Unito

I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana la freelance norvegese Eva-Kristin Urestad Pedersen.

Amici londinesi

Emanuele Coen La figlia del Vesuvio Sem, 176 pagine, 17 euro ●●●●● Elvira Notari. Non avevo mai sentito nominare la regista napoletana, forse la prima donna a dirigere film in Italia e sicuramente tra le più attive. Con La figlia del Vesuvio il giornalista Emanuele Coen, usando un mix di fatti biografici e finzione, racconta la vita di Notari, una vera e propria eroina della cultura cinematografica e femminista italiana. La sua storia somiglia alla trama di un film. Alla vita della regista, costretta da giovane a lasciare Salerno per Napoli, insieme alla famiglia, Coen aggiunge le sfide di una giovane intraprendente nella città campana all’inizio del novecento, la censura, le tensioni sociali e i legami con la giovane società italoamericana, creando così il romanzo storico di un’epoca affascinante e significativa per tutta l’Italia. Era un’epoca di grandi cambiamenti, e Notari era un prodotto di questi cambiamenti e contemporaneamente ne era un simbolo. Che La figlia del Vesuvio sia uscito nel 2023, un anno che ha messo in primo piano le registe italiane è curioso. La censura ufficiale non c’è più, ma c’è comunque un filo rosso molto evidente tra Elvira Notari e le sue colleghe di oggi: una battaglia che cominciò con lei e che le sue eredi stanno ancora combattendo. u

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A tredici anni dal romanzo che gli è valso il premio Pulitzer, il libico Hisham Matar ha pubblicato un nuovo libro, My friends Ci sono temi che Hisham Matar, 53 anni, vincitore del premio Pulitzer con il romanzo Il ritorno (Einaudi 2019), approfondisce da anni: la solitudine, lo sradicamento, il dolore in tutte le sue forme. Nel suo nuovo romanzo My friends, pubblicato all’inizio di gennaio da Random House, esplora in maniera sostanziale anche il tema dell’amicizia. Il libro segue tre esuli libici a Londra, amici da decenni: Khaled, il protagonista, uno studioso originario di Bengasi; Mustafa, che aveva studiato insieme a lui in Scozia; e Hosam, un enigmatico

MIKE KEMP (IN PICTURES/GETTY)

Italieni

Covent Garden, Londra, 2022

scrittore. Matar ha cominciato a sviluppare l’idea di My friends più di dieci anni fa, quando ha scritto un racconto su tre uomini che s’incontrano in un caffè di Londra. È rimasto affezionato a quei personaggi e ha provato a immaginare come si

sarebbero comportati nella vita di tutti i giorni, durante una corsa sull’autobus, per esempio. Tutta la vicenda è comunque ancorata ad alcuni eventi reali della storia recente della Libia e delle primavere arabe. The New York Times

Il libro Nadeesha Uyangoda

Di nuovo a Trieste Federica Manzon Alma Feltrinelli, 272 pagine, 18 euro Dove si trovano le radici quando si cresce al confine tra mondi antagonisti? Un tentativo di risposta sembra essere il viaggio, fisico e della memoria, che intraprende la protagonista del nuovo romanzo di Federica Manzon. Alma è una donna che, alla morte del padre, torna nella sua Trieste: un viaggio che dura appena tre giorni, ma che riesce a scavare molto più a fondo nella storia, dalla

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guerra nei Balcani alla dittatura di Tito.“Il passato è un paese straniero” è il famoso incipit con cui L.P. Hartley apre L’età incerta. La geografia di Trieste offre ad Alma un punto di vista privilegiato su quel paese straniero in cui si avvicendano le tre generazioni di una famiglia: i nonni borghesi; la madre ribelle che sposa uno slavo che è sempre altrove; Vili, il ragazzo di Belgrado, tra i paramilitari serbi prima e tra i fotografi di guerra poi; Alma, che è stata “capace di lasciare

tutto e andarsene altrove in pochi istanti”. Torna in città tra il venerdì santo e la Pasqua, sulle tracce di un’eredità lasciatale dal padre, finendo invece per guardare oltre il velo di dolore e “fare i conti con la famiglia, il passato, i morti e le radici, quel genere di cose che stanno sepolte sotto terra”. Alma è un romanzo in cui passato e presente non si fronteggiano in una gara tra il vivere e il ricordare, ma si cercano, attraversati dalla nostalgia di ciò che non può più essere. u

I consigli della redazione

Osvaldo Soriano Artisti, pazzi e criminali Sur

Il romanzo

Jane Sautière Corpi mobili La nuova frontiera, 128 pagine, 16,90 euro ●●●●● Questo è un libro breve ma deve essere letto lentamente. Ciò di cui parla è difficile da descrivere perché è qualcosa d’inafferrabile. L’argomento però è serio: la morte di bambini e il genocidio cambogiano consumato tra il 1975 e il 1979. Ma tutto viene raccontato attraverso ciò che manca, o meglio partendo da ciò che rimane quando tutto è scomparso. La scrittura scaturisce da un’esperienza ottica dell’autrice: nel suo campo visivo comparivano delle macchie, i “corpi mobili”, che disturbavano la visione. Grazie a questo disturbo e all’osservazione dell’ultima foto scattata dagli Khmer rossi a Bophana, una ragazza uccisa nel famigerato campo S21, l’autrice entra in una zona grigia che è l’esperienza della scomparsa del suo stesso passato. “Ciò che è morto è davvero morto?”, si chiede. In Cambogia, dove è vissuta tre anni, tra il 1967 e il 1970, durante gli ultimi anni del regime di Sihanouk, l’autrice cerca di adattarsi ai ritmi del paese, alla sua ricchezza di stimoli e alle sue continue fluttuazioni. La vita animale lì appare costamentemente simile alla vita umana, frutti sconosciuti maturano lasciando scie di odori inebrianti e dolciastri e scimmie essiccate sembrano ghignare dai banchi del mercato. In questo contesto Jane Sautière conosce la follia, il desiderio, la violenza sociale, il razzismo coloniale e tutto ciò che più tardi scoprirà

ALBERTO CRISTOFARI (CONTRASTO)

La grazia nell’orrore

Jane Sautière nei libri di Marguerite Duras. La materia è sempre autobiografica, ma l’autrice esula spesso dalle circostanze per trovare un tono simile a quello del saggio. Corpi mobili ci invita a un’etica dell’attenzione, a considerare tutti uguali, senza svalutarli, senza quell’indifferenza che così spesso c’impedisce di esserci per gli altri. Scopriamo le cose sempre troppo tardi. Una scena del libro descrive tutto questo: una compagna di scuola khmer esprime il suo timore, all’inizio della guerra, che nulla sarà più come prima. Ma la persona con cui parla non la sta ascoltando. Un’altra persona, che ha trovato rifugio in Francia, dice: “Ho camminato sulle ossa”, e nessuno l’ascolta. Alla fine però capiamo tutto, ma è sempre troppo tardi. Rispondere agli altri, immaginare che la loro scomparsa abbia lasciato delle tracce: sono tutte qui la leggerezza e la grazia di questo libro così difficile da descrivere. Tiphaine Samoyault, Le Monde

Rachel Aviv Stranieri a noi stessi Iperborea

Günter Grass Statue viventi La nave di Teseo, 80 pagine, 16 euro ●●●●● Statue viventi è un piccolo libro illustrato comparso sette anni dopo la morte del suo autore. Günter Grass andò a Naumburg alla fine degli anni ottanta “mentre il muro era ancora in piedi”. Il premio Nobel scrive di questo viaggio in un racconto inedito che è una scoperta letteraria importante. Nella città di Naumburg Grass viene colpito, nel coro della cattedrale gotica della città, dalla scultura di Uta che “sta dove è sempre stata”, accanto al marito Ekkehard, “e tiene il viso in parte nascosto dal collo del mantello tenuto sollevato a destra”. I turisti nella cattedrale sussurrano e in città c’è un forte odore di brace e Ute, la moglie di Grass, assaggia l’Ostwurst in un chiosco in piazza. Il titolo Statue viventi si riferisce a una giovane artista di strada che l’autore nota dopo davanti alla cattedrale: se ne sta lì immobile truccata e in costume, ed è identica alla statua di Uta. Monetine e banconote piovono in un piatto di latta accanto a lei. Lo scrittore rimane lì a osservarla senza avere il coraggio di parlarle. La scultura antica di secoli sembra essere viva, in carne e ossa. In questo breve testo, cominciato nel 2003 nell’isola danese di Mön e in parte dattiloscritto su una macchina da scrivere portatile, Günter Grass si limita a osservare tenendo insieme quelle arti in cui eccelle: la scultura di piccole figure in terracotta, il disegno a matita e a carboncino e la scrittura che lo aiuta a giustapporre storie di secoli lontani. Cornelia Geißler, Berliner Zeitung

Nick Drnaso Corso di recitazione Coconino press

Rabee Jaber I drusi di Belgrado Crocetti, 320 pagine, 18 euro ●●●●● I drusi di Belgrado, vincitore dell’International prize for arabic fiction nel 2012, prende spunto dalla storia del paese natale dell’autore. Racconta la storia dei drusi che furono esiliati dal Libano dopo i massacri avvenuti nel 1860, negli scontri tra cristiani e drusi. Il romanzo si apre con un cristiano, Hanna Yaqub che, a causa di uno scambio d’identità, viene catturato insieme ai drusi in esilio. Jaber delinea il drammatico declino dell’Impero Ottomano e l’ascesa delle potenze europee nell’ottocento. Ma la cosa più notevole del romanzo è che racconta la storia dal basso, adottando la voce di un personaggio sfortunato ed emarginato, appunto Hanna Yaqub, che diventa così una sorta di eroe tragico. In questo romanzo, Jaber sposta i suoi eventi dal Libano visto come “luogo” al Libano inteso come “dilemma”: gli eventi si svolgono in terre straniere (i Balcani), ma il paese è ancora al centro del romanzo attraverso il dilemma che i libanesi portano nel cuore, quello della loro identità. Tutti i personaggi del romanzo vivono uno stato di crisi, o esistenziale o legata al luogo in cui si trovano. L’autore getta il suo protagonista in esilio, piantandolo in una terra che non è la sua e facendolo combattere con un destino che non era pensato per lui, riflettendo la fragilità della condizione umana di fronte al dipanarsi della storia. Jaber usa una lingua semplice, bella, ma allo stesso tempo scioccante che arriva al cuore del lettore. Sayed Mahmoud, Ahram online

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Cultura

Libri regala un personaggio autentico, tormentato da una vita di orrore. Carol Memmott, The Washington Post William T. Vollmann Puttane per Gloria Minimum fax, 213 pagine, 17 euro ●●●●● William T. Vollmann è un poeta dei bassifondi e con Puttane per Gloria ha messo a fuoco l’essenza delle sue ossessioni: la ricerca di amore e redenzione tra la disperazione e l’autodistruzione. I suoi lettori riconosceranno l’ambientazione preferita di Vollmann, la zona del Tenderloin a San Francisco con le prostitute da 20 o 40 dollari a botta che affollano le viuzze laterali. La trama è scheletrica: Jimmy, un reduce della guerra del Vietnam squattrinato, paga le prostitute per farsi raccontare le loro storie o per farci sesso, ma solo occasionalmente, quando gli riesce. Jimmy prova inutilmen-

te a ritrovare o in qualche modo a ricreare una prostitua di cui si era innamorato e che ha perduto: Gloria. Gloria, la più bella di tutte, la quintessenza delle fantasie maschili. Poco importa se è frutto dell’immaginazione di Jimmy o se è una donna che ha realmente conosciuto. È comunque una fantasia che lui cerca, anche grottescamente, di riportare in vita. La forza del romanzo, la sua poesia, è nei ritratti delle prostitute, dei travestiti e dei papponi che popolano i marciapiedi del Tenderloin. Puttane per Gloria è un romanzo nel solco della tradizione di Ultima fermata a Brooklyn di Hubert Selby Jr (nel tema della redenzione attraverso il disprezzo di sé e nella discesa negli abissi del sesso) e delle parole delle canzoni di Lou Reed. La forza della scrittura di William T. Vollmann trasforma questo libretto in un poema lirico di strada, triste e bellissimo. Catherine Texier, The New York Times

Non fiction Giuliano Milani

Ripensare la guerra Frédéric Gros Perché la guerra Nottetempo, 156 pagine, 15 euro A più di tre mesi dalla nuova esplosione del conflitto in Palestina e a quasi due anni dall’invasione dell’Ucraina, l’orribile guerra si ritaglia spazi sempre più ampi insinuandosi nella vita e nella testa delle persone, anche di quelle che sopravvivono lontane dal fronte. Invita a non darla per scontata e a ripensarla questo saggio uscito l’anno scorso in Francia, ora tradotto con un’u-

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tile intervista-aggiornamento. Secondo Frédéric Gros, filosofo della politica, negli ultimi anni non abbiamo assistito a un “ritorno della guerra”, ma a un’evoluzione più complessa in cui, dopo la guerra fredda, sono seguite, dal 2001, delle “guerre globali” (Iraq, Afghanistan) e in seguito, dal 2011, delle “guerre di caotizzazione” (Siria, Libia, Yemen) che complessivamente hanno rimesso in causa princìpi etici e giuridici che parevano solidi. È dunque necessario ripercorrere le possibilità e i paradossi

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che comporta definire una guerra morale o giusta, nonché cogliere le contraddizioni della sua relazione con lo stato e infine riflettere sulla nozione di “guerra totale”. Solo a questo punto l’autore si pone la domanda del titolo e, passando per una disamina delle risposte fornite da Hobbes (avidità, paura, vanagloria), termina rifiutando l’idea della guerra come istinto umano inestirpabile, lanciando al lettore un pallido lampo di ottimismo che non squarcia il nero della copertina. u

Umorismo PHILIPPE LEBRUMAN (FEMA)

Mirinae Lee Le otto vite di una centenaria senza nome Nord, 384 pagine, 19 euro ●●●●● Mook Miran, l’indomita protagonista di questa avvincente storia ambientata sullo sfondo di una turbolenta Corea, afferma di aver vissuto l’occupazione giapponese, il conflitto coreano e la seconda guerra mondiale. Partendo dagli abusi subìti da bambina, la quasi centenaria Mook racconta la sua incredibile esperienza di sopravvissuta a uno scrittore di necrologi, in una residenza per anziani in Corea del Sud. Questo romanzo brillante e originale racconta la storia di una donna che, tra le altre cose, fu costretta alla schiavitù sessuale e che fece tutto il possibile, compreso un omicidio, per salvarsi la vita. Mook è stata una terrorista, una schiava, una spia e un’esperta dell’evasione, ma era anche un’amante e una madre. Mirinae Lee ci

Adrien Dénouette Nik ta race Façonnage éditions Nel saggio l’autore si chiede: “Perché l’umorismo popolare è disprezzato dalle élite culturali? Il mantra della stand-up comedy statunitense, secondo cui l’umorismo più distrugge, più allevia, vale anche per la Francia?”. Dénouette è un critico cinematografico francese. Jessica Cymerman, Julie Mamou-Mani, Tiffany Cooper Petit éloge du rire Leduc Humour Le giornaliste francesi Jessica Cymerman e Julie MamouMani s’interrogano sulla comicità con l’aiuto delle illustrazioni di Tiffany Cooper. Christophe Panichelli La thérapie par le rire Mardaga Lo psichiatra belga Christophe Panichelli ha creato un metodo di consulenza psicoterapeutica individuale, di coppia e familiare basato sull’importanza dell’umorismo nella relazione con il terapeuta. Daniel Grojnowski Les rires d’hier et d’aujourd’hui PU Rennes Esplorazione dell’umorismo, da Aristotele ai giorni nostri. Grojnowski è uno storico della letteratura francese, professore emerito a Paris VII. Maria Sepa usalibri.blogspot.com

Sei film su informazione, attualità e diritti umani Edizione 2023-2024 A cura di CineAgenzia

Le tappe del tour Treviso

Mantova

Fonzaso (Bl)

Cinema Edera fino al 22 gennaio

Il cinema del carbone fino al 27 febbraio

Dolomiti Hub fino all’11 aprile

Padova

Castelfranco Emilia (Mo)

Cinema Rex febbraio - marzo

Sala comunale Gabriella Degli Esposti marzo - maggio

Santa Maria Capua Vetere (Ce)

Castiglion Fiorentino (Ar) Palazzo comunale 10 febbraio - 2 marzo

Reggio Emilia Chiostri di San Pietro 13 febbraio - 5 marzo

Asti Find the cure / Spazio Kor fino al 14 febbraio

Savona Find the cure/ Nuovo Filmstudio fino al 15 febbraio

Castelfranco Veneto (Tv) Multisala Hesperia fino al 21 febbraio 2024

Palermo Rouge et Noir fino al 26 febbraio

Verona Fucina culturale Machiavelli fino al 26 febbraio

Prato Terminale cinema fino al 7 marzo

Firenze Cinema La Compagnia 12 marzo - 9 maggio

Università degli studi della Campania Dipartimento di giurisprudenza fino al 12 aprile

Pordenone Cinemazero fino ad aprile

Gorizia

Civico Trame fino al 15 marzo

Assid - Associazione degli studenti di scienze internazionali e diplomatiche aprile – maggio

Torino

Ferrara

Lamezia Terme (Cz)

Find the cure/ Cinema Massimo fino al 19 marzo

Bologna Pop Up Cinema fino a fine marzo

Genova Cinema Sivori e Filmstudio fino a fine marzo

Rovigo Cinema Duomo fino al 4 aprile

Arci Ferrara maggio

Perugia PostModernissimo maggio

Udine Visionario maggio

Trento Elsa Trento - Facoltà di giurisprudenza maggio - giugno

Schede dei documentari, tappe della rassegna e calendario delle proiezioni: cineagenzia.it/mondovisioni Per informazioni e per portare Mondovisioni nella tua città scrivi a: [email protected]

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Cultura

Libri Ragazzi La luce dei bambini Chiara Carminati Nella tua pelle Bompiani, 192 pagine, 16 euro I bambini sono le prime vittime della guerra. Sono uccisi, abusati, abbandonati, dimenticati. Lo vediamo nelle guerre della nostra contemporaneità, attraverso immagini strazianti che li mostrano soccombere al mondo storto degli adulti. C’è da dire però che in ogni bambino rimane una scintilla di luce dove continuano a esistere resistenza, amore, forza. Chiara Carminati, con la sua penna sottile e chirurgica, conosce bene il tempo dell’infanzia e tra le scrittrici italiane è una che ha il dono di non dimenticare la grande storia che travolge quella piccola. Già in Fuori fuoco e Un pinguino a Trieste ha mostrato la delicatezza del suo sguardo, ma anche la capacità di raccontare l’indicibile. Al centro di Nella tua pelle c’è l’istituto per i figli della guerra di Portogruaro, dove si mandavano i bambini nati da violenze di guerra. L’autrice comincia il libro con una frase lapidaria: “Alla fine della guerra ci sono gli orfani dei morti e ci sono i figli dei vivi”. E tra questi ultimi seguiamo le vicende di Giovanna, Vittorio e Caterina. Tre personaggi legati da un’amicizia profonda che Carminati racconta con la dolcezza dei primi legami. Un libro capace di farci abbracciare la storia in un modo inedito. Igiaba Scego

Ricevuti Vanessa Roghi Un libro d’oro e d’argento Sellerio, 192 pagine, 13 euro Storia intellettuale e sentimentale di un libro rivoluzionario e del suo autore, Grammatica della fantasia di Gianni Rodari, che ha riconosciuto il ruolo fondamentale della creatività all’interno del processo educativo. Vitaliano Trevisan Trilogia di Thomas Einaudi, 408 pagine, 16 euro Le prime tre opere di Trevisan sono l’elaborazione letteraria dell’incessante ruminare di pensieri, ricordi, immagini che affollano la mente di Thomas.

Fumetti

Selva oscura Sebastiano Vilella Lontano lontano Edizioni Npe, 144 pagine, 22,50 euro In una grande villa, immersa in una folta foresta dove sembra profilarsi una tempesta, si trovano riunite delle persone che non si conoscono. È il tema-archetipo di Dieci piccoli indiani di Agatha Christie: come lì, le condizioni ambientali isolano progressivamente gli invitati. Il loro ospite è in uno stato di perenne dormiveglia, conferendo una sottile ironia a questo paradigma dell’Autore in stato di crisi creativa, forse irreversibile. Gli invitati sono i personaggi dei graphic novel concepiti da Vilella in più di trent’anni di carriera, tra cui il commissario Italo Grimaldi, Il MiticOperaio Pietro Sartorio, il pittore Giorgio De Chirico, il compositore Erik Satie. Ma è un invito a ce-

na senza delitto e tutti ritrovano l’umanità, non solo la propria. Sebastiano Vilella, tra gli autori italiani di fumetto più significativi, si muove su una linea sottilissima di demarcazione (ir)reversibile, proprio come quella tra la vita e il sogno, tra la vita e la morte, opposizioni amalgamate in perfetta osmosi. Una realtà “altra” è nascosta dietro allo specchio, dietro alla nostra realtà finita c’è un infinito. Il tutto immerso in una “selva oscura” da fine del mondo (rinviata?), una natura che si adombra per via dello stato d’animo dell’uomo. Atmosfere di rara potenza evocano uno dei capolavori di Vilella, Friedrich. Lo sguardo infinito. Caspar Friedrich, il grande pittore romantico, è qui puro spirito (panteista) di una natura che tutto pervade. Francesco Boille

Anna Metcalfe Crisalide Nne, 272 pagine, 19 euro Una donna taglia tutti i ponti con il mondo mostrandosi solo attraverso i social. Tre persone che l’hanno conosciuta raccontano la sua storia. Stefano Mazzotti Meravigliose creature Il Mulino, 256 pagine, 18 euro Un viaggio dalla Papua Nuova Guinea al Borneo, dall’Himalaya al Mekong, alla scoperta di specie che abitano il nostro pianeta ma che rischiamo di perdere prima di conoscerle. Peter Singer Nuova liberazione animale Il Saggiatore, 440 pagine, 25 euro Edizione aggiornata, con una prefazione di Yuval Noah Harari, di un saggio che ha cambiato il nostro modo di pensare agli animali.

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Cultura

Suoni Audio L’avventura dei naufraghi

Dal Brasile

Piia Wirsu Expanse – From the dead Abc Negli anni settanta la navigazione per mare era una zona di frontiera con poche regole e ancor meno controlli, soprattutto nelle aree più remote, come nelle acque intorno alla Tasmania. Proprio da un porto nel sudovest dell’isola australiana salpò la Blythe Star, una nave cargo che trasportava un carico forse eccessivo di bancali di fertilizzante e barili di birra. Nonostante le previsioni del tempo favorevoli e nessun ostacolo alla navigazione, la nave cominciò a piegarsi su un lato e sprofondò. Il capitano, che non aveva fatto in tempo a lanciare la richiesta di soccorso, riuscì a sganciare un gommone di salvataggio sul quale salì tutto l’equipaggio di dieci persone. La giornalista Piia Wirsu racconta, a cinquant’anni dall’evento, la storia di un naufragio così avventuroso che sembra la Storia di Arthur Gordon Pym di Poe. Il sound design, all’inizio un po’ ruffiano, lascia posto alle voci dell’ultimo tra i sopravvissuti, dei protagonisti e dei familiari di quella vicenda, raccontata da tutti i punti di vista: quello dei naufraghi, che in undici giorni attraversarono scogli, fame, freddo, sete e allucinazioni collettive. E poi c’è il punto di vista di chi li aveva già dati per morti e di chi invece continuava ostinatamente a cercarli. Per cinque puntate, l’ascoltatore è in mare aperto, a contatto con una vicenda umana estrema, fatta di testimonianze autentiche e commoventi. Jonathan Zenti

Il collettivo brasiliano Bixiga 70 dal 2010 si distingue per il suo impegno politico

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Cinque anni dopo l’ultimo tour internazionale, il collettivo brasiliano Bixiga 70 è tornato in Europa per promuovere il suo quinto album, Vapor. La band, formata da nove musicisti, fa musica strumentale ed è famosa per le sue festose esibizioni dal vivo e per le posizioni politiche prese contro il fascismo e l’ex presidente Jair Bolsonaro. Come Rio de Janeiro o Salvador, la città di São Paulo non è sfuggita alla rinascita del carnevale in Brasile. Nelle strade un tempo deserte milioni di persone si radunano attorno a piccoli palchi improvvisati. Il

VIRGIN RECORDS/UNIVERSAL MUSIC

Quartiere occupato

I Bixiga 70 quartiere di Bixiga vive al ritmo di queste manifestazioni. Con il suo slogan “La strada appartiene a noi”, il collettivo di residenti Ocupai Bixiga (occupiamo Bixiga) ha l’obiettivo di fare del quartiere un centro culturale. È qui che i Bixiga 70 sono nati nel 2010 e hanno realizzato i loro primi

tre album. Il nome Bixiga 70 deriva dal numero civico del loro studio, ma si riferisce ovviamente al gruppo di Fela Kuti, gli Africa 70. L’icona nigeriana è il loro modello. Il fondatore ed ex componente del gruppo, Mauricio Fleury, ne parla con rispetto: “Ha trasformato la tristezza di alcuni nella gioia di altri, è quello che cervavamo di fare noi. La lezione di Fela è quella della resistenza. Solo rimanendo liberi possiamo dare il meglio”. Dopo un periodo di crisi in seguito all’elezione di Bolsonaro, i Bixiga 70 si sono sciolti, ma sono rinati nel 2022, dopo la vittoria di Lula, inserendo nuovi musicisti nel collettivo. S. de Langenhagen, PAM

Canzoni Claudia Durastanti

Le stagioni dei Massimo Volume Ci sono le interviste, e poi ci sono le conversazioni in cui te ne stai lì con il registratore e senti che il tuo interlocutore ti sta trasformando. C’è sempre una parte di me, convinta di essere molto giovane e molto inesperta, che sta su una poltrona in un salotto di Bologna davanti a Emidio Clementi a parlare dell’uscita di Aspettando i barbari dei Massimo Volume. È il 2013, sto facendo un’intervista per il Mucchio Selvaggio e non so ancora che undici anni dopo mi ritroverò a citare brandelli di quella conversazione a un artista appena conosciuto

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mentre è quasi buio, fa molto freddo e siamo in mezzo al Cretto di Burri a parlare d’invenzione, riciclo della materia e della salute che splende sul viso quando non si ha nostalgia, soprattutto del tempo che non ci è mai appartenuto. In mezzo a quella lapide e a quel labirinto penso a Stagioni. Tributo ai Massimo Volume, uscito per la NOS Records. So che voglio recensirlo, ma fatico per la mia falsa coscienza, perché mi sembra di tradire un’idea originaria in me, e cioè che i Massimo Volume siano incantabili, irriproducibili. E

anche se molte cose nei loro dischi generano un urlo, quell’urlo è sempre senza bocca. O meglio, è sempre quella bocca, quella voce, e non possono essercene altre. E se invece in una dimensione parallela le altre voci esistessero? Non nominerò gli artisti che partecipano a questo omaggio, dono o perfino richiesta di una restituzione – se consideriamo che la bellezza è un furto – perché meritano di essere scoperti nella loro ricerca. P.s. Durante la coda strumentale di Qualcosa sulla vita ho pianto. u

Resto del mondo Scelti da Marco Boccitto

Aron and The Jeri Jeri Band Dama bëgga ñibi (I want to go home) Urban Trout

Guo Gan, Huong Thanh, Fumie Hihara Three perfumes Felmay Kali Uchis

Bill Ryder-Jones Iechyd da Domino ●●●●● Dopo aver prodotto dischi per Michael Head e Brooke Bentham, Bill Ryder-Jones è tornato al centro dell’attenzione per le sue canzoni. Non succedeva da tempo. Il suo quinto album solista, intitolato Iechyd da, che significa “alla salute” in gallese, è il migliore che ha fatto. È ricco e pieno di chitarre aggraziate, pianoforti precisi e toni sommessi. “È il disco che ho prodotto di più”, ammette. “Non ero così orgoglioso di un album da A bad wind blows in my heart del 2013”. Ci sono archi, campionamenti, bambini che cantano e perfino il collega trovatore Mick Head che legge l’Ulisse di James Joyce sopra le onde subacquee alla Ennio Morricone di …And the sea…, lo strumentale di metà album La gloriosa If tomorrow starts without me è il tipo di guitar pop in cui fratelli gallesi di Ryder-Jones come gli Euros Childs e Sweet Baboo sono specializzati, mentre l’epopea di This can’t go on ricorda i Mercury Rev. I hold something in my hand fa tornare alla mente i suoi giorni con i Coral. C’è un’atmo-

sfera attuale e senza tempo in questi brani e sembra che qualcosa di maestoso si stia muovendo a West Kirby. Alla salute, davvero. Alan O’Hare, The Skinny Philadelphia Woodwind Quintet The complete Columbia album collection Philadelphia Woodwind Quintet, con artisti vari Sony Classical ●●●●● Appena finita la registrazione del terzo concerto per piano di Beethoven a Filadelfia, Rudolf Serkin si girò verso le prime parti dei legni dell’orchestra e gli chiese di fare con lui

un album con il quintetto di Mozart. È così che nel 1953 cominciò la vita discografica del Philadelphia Woodwind Quintet. Il pezzo di Mozart diventò il loro emblema, lo incisero anche in stereofonia con Robert Casadesus, una lettura fluida, ma senza le ombre e la nostalgia di Serkin, che faceva regnare uno spirito sempre collegiale. Il quintetto aveva una grande curiosità nel repertorio: Rudolf Firkušný li scelse per quella che sarebbe stata la loro seconda uscita, il concertino del suo maestro Leoš Janáček, e loro gli aggiunsero un disinvolto Mládí. Poi arriva il novecento con Hindemith, Ibert, Nielsen, Milhaud, Toch, Françaix, Jolivet e anche Poulenc, con l’autore al pianoforte nel suo sestetto. Ci sono gli statunitensi (Persichetti, Barber) e l’asprezza di Schönberg, un disco li rese dei beniamini dei musicofili intellettuali di New York. E alla fine arriva anche un album con Ornette Coleman: un mondo nuovo. Jean-Charles Hoffelé, Classica NEWSLETTER Musicale è la newsletter settimanale di Giovanni Ansaldo su cosa succede nel mondo della musica. Esce ogni lunedì. Per riceverla: internazionale.it/newsletter

MARIEKE MACKLON

Kali Uchis Orquídeas Geffen Records ●●●●● Nel 2020, la cantautrice colombiana nata negli Stati Uniti Kali Uchis ha pubblicato Sin miedo (del amor y otros demonios), il suo primo album in lingua spagnola. La sua etichetta, però, era contraria a far uscire un disco in una lingua diversa dall’inglese e si era rifiutata di promuoverlo, così non era entrato in classifica. Uchis si è presa la sua rivincita quando il brano Telepatía è diventato popolare su TikTok e ha raccolto più di un miliardo di riproduzioni sulle piattaforme di streaming. Ai Latin American Music Awards del 2022, la cantautrice aveva detto ai giornalisti di aver terminato due album, uno in inglese e uno in spagnolo. Quello in inglese è Red Moon in Venus uscito nel 2023 debuttando al numero quattro della classifica statunitense. Orquídeas, registrato nello stesso momento, è la sua immagine speculare. Tutti i brani tranne uno sono in spagnolo e riflettono l’amore di Kali Uchis per l’rnb elegantemente funky, il dembow, il bolero, la salsa e il reggaeton. Anche se il suo stile di produzione è sognante come quello di Red Moon, Orquídeas è anche più inquietante, un set notturno per sognatori e ballerini. Le 14 tracce dell’album offrono diverse collaborazioni, che riflettono le sue ambizioni stilistiche. In Orquídeas, Uchis rimane fedele a se stessa, espandendo il suo stile e abbracciando il passato per vivere il presente. È un disco tanto accattivante quanto musicalmente avventuroso. Thom Jurek, AllMusic

VIRGIN RECORDS/UNIVERSAL MUSIC ITALIA

Album

Dellarge Industria nacional del ruido infinito Modern Obscure Music

Bill Ryder-Jones Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Pop All’ombra dell’Olocausto

Masha Gessen erlino non smette mai di ricordarci completato nel 1999. Quando l’ho visitato, in una galquello che è successo. Diversi musei leria al piano terra era esposta un’installazione, Prove sono dedicati al totalitarismo e all’Odello spettacolo degli spettri. È un video ambientato nel locausto. Il memoriale per gli ebrei kibbutz Beeri, la comunità in cui il 7 ottobre Hamas assassinati d’Europa occupa un intero ha ucciso più di novanta persone, quasi un residente isolato. In un certo senso, però, le su dieci, durante l’attacco a Israele che alla fine ha strutture più grandi sono la cosa meno importante. I causato 1.140 vittime. Nel video, gli abitanti di Beeri monumenti commemorativi che ci raggiungono di recitano a turno i versi di una poesia della poeta Anasoppiatto – quello ai libri bruciati, che è letteralmente dad Eldan, parte della comunità: “… dalla palude tra sottoterra, e le migliaia di pietre d’inciampo posate le costole / è affiorata colei che si era immersa in te / e nei marciapiedi per commemorare individui ebrei, tu sei costretta a non gridare / e inseguire le forme sinti, rom, omosessuali, persone con disturbi psichici che fuggono lì fuori”. Il video, realizzato da Nir Evron e altre assassinate dai nazisti – rivelano e Omer Krieger, due artisti israeliani la pervasività dei mali che sono stati Alcuni dei grandi che vivono a Berlino, è stato completato commessi in questo luogo. All’inizio di pensatori ebrei nove anni fa. Comincia con una veduta novembre, mentre stavo camminando sopravvissuti aerea della zona, si vede la Striscia di verso la casa di un amico, mi sono im- hanno cercato di Gaza, poi lentamente si concentra sulle battuta nel pannello che dà informazio- dire al mondo che case del kibbutz, alcune sembrano bunni sul sito del bunker di Hitler. L’avevo il fatto che ker. Non sono sicura di ciò che gli artisti già fatto tante volte. Sembra una bache- l’Olocausto sia e la poeta intendessero comunicare, ma ca di quartiere, ma racconta la storia oggi l’installazione sembra un pianto successo significa degli ultimi giorni del Führer. funebre per Beeri (Eldan, che ha quasi che era e rimane Alla fine degli anni novanta e all’inicento anni, è sopravvissuta all’attacco zio degli anni duemila, quando molti di possibile di Hamas). questi memoriali furono concepiti e inIn fondo al corridoio c’era uno degli stallati, ero spesso a Berlino. Era esaltante vedere la spazi che Daniel Libeskind, l’architetto che ha progetcultura della memoria prendere forma. Ecco un paetato il museo, ha chiamato “vuoti”, fasci d’aria che se, o almeno una città, che stava facendo ciò che la perforano l’edificio, simboli dell’assenza degli ebrei maggior parte delle culture non può fare: guardare ai in Germania per generazioni. Lì c’è Foglie cadute, propri crimini, al proprio io peggiore. Ma, a un certo un’installazione dell’israeliano Menashe Kadishpunto, lo sforzo ha cominciato a sembrare statico, man: più di diecimila lastre di ferro tonde con sopra messo sotto vetro, come se fosse un tentativo non incisi occhi e bocche, come disegni infantili di facce solo di ricordare la storia, ma di ricordare questa stourlanti. Quando ci si cammina sopra fanno un rumore ria particolare, e solo in questo modo. È vero anche in metallico che ricorda quello delle catene o dell’ottusenso fisico. Molti dei memoriali sono in vetro: il ratore di un fucile. L’artista ha dedicato l’opera ai Reichstag, un edificio quasi distrutto durante l’era morti dell’Olocausto e ad altre vittime innocenti della nazista e ricostruito mezzo secolo dopo, ora è sorguerra e della violenza. Non so cosa avrebbe detto montato da una cupola di vetro. Anche il memoriale Kadishman, morto nel 2015, dell’attuale conflitto. dei libri bruciati è sotto vetro. Pareti divisorie e lastre Ma, dopo essere passata dall’inquietante video del trasparenti mettono ordine nella splendida colleziokibbutz Beeri alle facce di ferro che tintinnano, ho ne, un tempo casuale, chiamata “topografia del terpensato alle migliaia di abitanti di Gaza uccisi per rore”. Come mi ha detto Candice Breitz, un’artista rappresaglia agli ebrei uccisi da Hamas. Poi ho pensaebrea sudafricana che vive a Berlino, “le buone into che, se in Germania avessi dichiarato pubblicatenzioni degli anni ottanta sono cambiate, spesso mente il mio pensiero, mi sarei messa nei guai. sono diventate un dogma”. Tra i pochi spazi in cui la rappresentazione della Il 9 novembre, in occasione dell’85o anniversario delmemoria non è fissata in modo permanente ci sono la “notte dei cristalli”, sulla porta di Brandeburgo soun paio di gallerie del museo ebraico, che è stato no state proiettate in bianco e blu una stella di David

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MASHA GESSEN

è una scrittrice e giornalista russostatunitense, di identità non binaria. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è L’uomo senza volto. L’improbabile ascesa di Vladimir Putin (Sellerio 2022). Questo articolo è uscito sul New Yorker con il titolo In the shadow of the Holocaust.

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GABRIELLA GIANDELLI

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Pop e la frase Nie wieder ist jetzt!, “Mai più è adesso!”. Quel giorno il Bundestag, il parlamento federale tedesco, stava esaminando una proposta di legge intitolata “Accettare la responsabilità storica e proteggere la vita ebraica in Germania”, che conteneva più di cinquanta misure per combattere l’antisemitismo nel paese. Alcuni di questi provvedimenti: espellere gli immigrati che commettono crimini antisemiti; intensificare le attività dirette contro il movimento Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds); sostenere gli artisti ebrei “il cui lavoro è fondamentale per la lotta all’antisemitismo”; applicare una particolare definizione di antisemitismo nelle decisioni sui finanziamenti e le scelte politiche; rafforzare la cooperazione tra le forze armate tedesche e quelle israeliane. Il vicecancelliere tedesco, Robert Habeck, dei Verdi, ha detto che i musulmani che vivono in Germania dovrebbero “prendere chiaramente le distanze dall’antisemitismo per non compromettere il loro stesso diritto alla tolleranza”. a Germania ha regolamentato da tempo i modi in cui l’Olocausto è ricordato e discusso. Nel 2008, parlando davanti alla knesset, il parlamento d’Israele, in occasione del sessantesimo anniversario della fondazione dello stato, la cancelliera tedesca Angela Merkel sottolineò la particolare responsabilità della Germania non solo di conservare la memoria dell’Olocausto come atrocità che non ha uguali nella storia, ma anche di garantire la sicurezza di Israele. Era, continuò, una delle priorità tedesche. Da allora sembra che in Germania questo sentimento sia espresso ogni volta che si parla di Israele, di ebrei o di antisemitismo. Allo stesso tempo, si è aperto un dibattito confuso ma stranamente consequenziale su cos’è l’antisemitismo. Nel 2016 l’organizzazione intergovernativa International holocaust remembrance alliance (Ihra) ha adottato questa definizione: “L’antisemitismo è una percezione degli ebrei che può essere espressa come odio verso di loro. Le manifestazioni verbali e fisiche dell’antisemitismo sono dirette contro ebrei o non ebrei e/o le loro proprietà, e contro le istituzioni e le strutture religiose della comunità ebraica”. L’Ihra fa undici esempi, che cominciano con l’ovvio “invocare o giustificare l’uccisione degli ebrei” ma includono anche “affermare che l’esistenza di uno stato di Israele è una forma di razzismo” e “paragonare la politica israeliana contemporanea a quella dei nazisti”. Questa definizione non ha valore giuridico, ma ha avuto un’influenza straordinaria. Venticinque stati dell’Unione europea e il ministero degli esteri degli Stati Uniti l’hanno approvata o adottata. Nel 2019, il presidente statunitense Donald Trump ha firmato una legge che prevedeva il blocco dei finanziamenti federali ai college che non proteggevano gli studenti dall’antisemitismo per come era stato identificato dell’Ihra. Il 5 dicembre di quest’anno Washington ha approvato una risoluzione non vincolante che con-

L Storie vere Rodney Holbrook, un postino in pensione di Builth Wells, un paese del Galles, nel Regno Unito, non riusciva a spiegarsi una cosa: ogni mattina trovava il suo capanno di lavoro perfettamente in ordine rispetto a come l’aveva lasciato la sera prima. Piccole cose come viti, dadi e bulloni erano tutte a posto in una scatola sul suo banco di lavoro. Dopo due mesi l’uomo, 75 anni, ha installato una telecamera per risolvere il mistero. Ha così scoperto che il maniaco dell’ordine è un topo. “Riordina per tutta la notte. Penso che si diverta”. Holbrook ha deciso di non fare niente per liberarsi del roditore “È molto comodo”, ha ammesso. “Lascio in disordine e la mattina dopo è tutto a posto”.

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danna l’antisemitismo come definito dall’Ihra, proposta da due deputati repubblicani ebrei e contrastata da diversi eminenti democratici ebrei. Nel 2020, un gruppo di accademici ha proposto un significato alternativo di antisemitismo, che ha chiamato “dichiarazione di Gerusalemme”. È espresso come una forma di “discriminazione, pregiudizio, ostilità o violenza contro gli ebrei in quanto ebrei (o le istituzioni ebraiche in quanto ebraiche)”, con esempi che aiutano a distinguere le dichiarazioni e le azioni anti-israeliane da quelle antisemite. Ma anche se alcuni stimati studiosi dell’Olocausto hanno partecipato alla sua stesura, la dichiarazione non ha intaccato l’influenza dell’Ihra. Nel 2021 la Commissione europea ha pubblicato un manuale “per l’uso pratico” della definizione dell’Ihra, che raccomanda il suo uso, tra le altre cose, nella formazione delle forze dell’ordine affinché possano riconoscere i crimini d’odio, e nella creazione di ruoli di procuratore, coordinatore o commissario per l’antisemitismo. La Germania lo aveva già fatto. Nel 2018, aveva creato l’Ufficio del commissario del governo federale per la vita ebraica in Germania e la lotta contro l’antisemitismo, una grande organizzazione burocratica che comprendeva commissari a livello statale e locale, alcuni dei quali lavorano nelle procure e nei distretti di polizia. Da allora, la Germania registra un aumento quasi ininterrotto di incidenti antisemiti: più di duemila nel 2019, più di tremila nel 2021. Secondo un gruppo di monitoraggio, nel mese successivo all’attacco di Hamas ci sono stati ben 994 casi. Ma le statistiche non distinguono quello che i tedeschi chiamano antisemitismo legato a Israele, per esempio le critiche alle politiche del governo israeliano, da episodi violenti come il tentativo di attacco armato a una sinagoga, a Halle nel 2019, in cui morirono due passanti; i colpi sparati contro la casa di un ex rabbino, a Essen nel 2022; e le due bottiglie molotov lanciate in una sinagoga di Berlino lo scorso ottobre. In realtà, il numero di azioni violente è rimasto relativamente stabile e dopo l’attacco di Hamas non è aumentato. Oggi in Germania ci sono decine di commissari per l’antisemitismo. Non hanno mansioni specifiche né sono inquadrati giuridicamente, e gran parte del loro lavoro sembra consistere nell’umiliare pubblicamente quelli che considerano antisemiti, spesso perché “negano l’unicità dell’Olocausto” o criticano Israele. Quasi nessuno di questi commissari è ebreo, mentre la percentuale di ebrei tra i loro bersagli è decisamente più alta. Tra questi c’è il sociologo tedesco-israeliano Moshe Zuckermann, che è stato preso di mira per aver sostenuto il movimento Bds, e il fotografo ebreo sudafricano Adam Broomberg. Nel 2019 il Bundestag ha approvato una risoluzione in cui accusa il Bds di essere antisemita, raccomandando di non concedere finanziamenti statali a eventi e istituzioni collegate al movimento. La storia della risoluzione è significativa. Una sua prima versione era stata presentata da Alternative für Deutschland (Afd), il partito etnonazionalista ed euroscettico

Un paio di anni fa, Breitz, che nella sua arte affronta i temi della questione razziale e dell’identità, e Michael Rothberg, che tiene corsi sull’Olocausto all’Università della California a Los Angeles, hanno cercato di organizzare una giornata di studi sulla me-

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di estrema destra allora relativamente nuovo nel parlamento tedesco. I politici tradizionali l’avevano respinta perché proveniva dall’Afd, ma, temendo di essere considerati incapaci di combattere l’antisemitismo, ne avevano subito presentata una simile. La risoluzione era imbattibile perché collegava il Bds alla “fase più terribile della storia tedesca”. Per l’Afd, i cui leader fanno dichiarazioni apertamente antisemite e appoggiano la rinascita del linguaggio nazista, il fantasma dell’antisemitismo è uno strumento perfetto da sfruttare cinicamente sia per entrare nel mainstream politico sia come arma che può essere usata contro gli immigrati musulmani. Il Bds, che s’ispira al movimento di boicottaggio contro l’apartheid sudafricano, cerca di usare la pressione economica per garantire uguali diritti ai palestinesi che vivono in Israele, porre fine all’occupazione e promuovere il ritorno degli esuli palestinesi. Molte persone lo trovano problematico perché non afferma il diritto all’esistenza dello stato israeliano, anzi, alcuni suoi sostenitori auspicano il totale disfacimento del progetto sionista. Tuttavia si potrebbe obiettare che associare all’Olocausto un movimento di boicottaggio non violento, che è stato esplicitamente definito un’alternativa alla lotta armata, è un modo di relativizzare l’Olocausto stesso. Ma, secondo la logica della politica della memoria tedesca, poiché il boicottaggio è rivolto contro gli ebrei – anche se molti dei sostenitori del movimento sono ebrei – il Bds è antisemita. Si potrebbe perfino sostenere che l’intrinseca confusione tra ebrei e stato di Israele è antisemita, e soddisfa la definizione di antisemitismo dell’Ihra. Dato il coinvolgimento dell’Afd e il fatto che la risoluzione viene usata in gran parte contro gli ebrei e i neri, potremmo pensare che questo argomento guadagni terreno. Ma sbaglieremmo. La costituzione tedesca – a differenza di quella statunitense ma come quelle di molti paesi europei – non è interpretata in modo da rappresentare una garanzia assoluta della libertà di parola. Assicura, tuttavia, libertà di espressione non solo nei mezzi d’informazione, ma anche nelle arti e nelle scienze, nella ricerca e nell’insegnamento. Se la risoluzione contro il Bds diventasse legge, probabilmente sarebbe considerata incostituzionale. Ma non è stata sottoposta a questa prova. Uno dei motivi che l’hanno resa particolarmente influente è la nota generosità dello stato tedesco: quasi tutti i musei, le mostre, le conferenze, i festival e altre iniziative culturali ricevono finanziamenti dal governo federale, statale o locale. “È un ambiente maccartista”, dice Candice Breitz . “Ogni volta che vogliamo invitare qualcuno, loro” – qualsiasi agenzia governativa finanzi un evento – “cercano il nome su Google per vedere se è associato al Bds, a Israele o all’apartheid”.

moria tedesca dell’Olocausto intitolato “Dobbiamo parlare”. Dopo mesi di preparativi, i finanziamenti statali per il convegno sono stati ritirati, probabilmente perché il programma includeva una tavola rotonda che collegava Auschwitz al genocidio degli herero e dei nama commesso tra il 1904 e il 1908 dai colonizzatori tedeschi in quella che oggi è la Namibia. “Alcune delle tecniche della Shoah sono state sviluppate allora”, ha detto Breitz. “Ma non ci è permesso parlare allo stesso tempo del colonialismo tedesco e della Shoah, perché è come metterli sullo stesso piano”. L’insistenza sull’unicità dell’Olocausto e la centralità dell’impegno della Germania ad affrontare le proprie responsabilità in quel periodo della sua storia sono due facce della stessa medaglia: considera l’Olocausto un evento che i tedeschi devono sempre ricordare e di cui devono parlare, ma che non devono temere di ripetere, perché è diverso da qualsiasi altra cosa che sia mai accaduta o che mai accadrà. La storica tedesca Stefanie Schüler-Springorum, che dirige il Centro di ricerca sull’antisemitismo di Berlino, sostiene che la Germania unificata ha trasformato la resa dei conti con l’Olocausto nella sua idea nazionale, e di conseguenza “qualsiasi tentativo di far progredire la nostra comprensione dell’evento storico attraverso confronti con altri crimini tedeschi o altri genocidi, può essere, ed è, percepito come un attacco alle fondamenta stesse del nuovo stato”. Forse è questo il significato di “Mai più è adesso”. Alcuni dei grandi pensatori ebrei sopravvissuti all’Olocausto hanno trascorso il resto della loro vita cercando di dire al mondo che quell’orrore, pur essendo stato letale come nessun altro, non doveva essere visto come un’aberrazione. Il fatto che l’OlocauInternazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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sto fosse successo significa che era e rimane possibile. Il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman sosteneva che la natura imponente, sistematica ed efficiente dell’Olocausto era legata alla modernità, anche se non era affatto predeterminata, ed era in linea con altre invenzioni del novecento. Theodor Adorno studiò quello che rende le persone inclini a seguire i leader autoritari e cercò un principio morale che impedisse un’altra Auschwitz. Nel 1948, Hannah Arendt scrisse una lettera aperta che cominciava così: “Tra i fenomeni politici più inquietanti dei nostri tempi c’è l’emergere nell’appena nato stato di Israele del Partito della libertà (Tnuat haherut), una forza politica strettamente affine per organizzazione, metodi, filosofia politica e attrattiva sociale ai partiti nazisti e fascisti”. Appena tre anni dopo l’Olocausto, la filosofa paragonava un partito israeliano al partito nazista, cosa che oggi sarebbe considerata una violazione della definizione di antisemitismo dell’Ihra. Arendt basava il suo paragone su un attacco effettuato dall’Irgun, un predecessore paramilitare del Partito della libertà, contro il villaggio arabo di Deir Yassin, che non era stato coinvolto nella guerra e non era un obiettivo militare. Gli aggressori “uccisero la maggior parte dei suoi abitanti – 240 tra uomini, donne e bambini – e tennero in vita alcuni di loro solo per farli sfilare come prigionieri per le strade di Gerusalemme”. Il motivo della lettera di Arendt era stato una visita programmata negli Stati Uniti del leader del partito, Menachem Begin. Albert Einstein, un altro ebreo tedesco sfuggito ai nazisti, aggiunse la sua firma. Trent’anni dopo, Begin sarebbe diventato primo ministro di Israele. Un altro mezzo secolo dopo, a Berli-

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no, la filosofa Susan Neiman, che dirige un istituto di ricerca intitolato a Einstein, ha partecipato a una conferenza intitolata “Dirottare la memoria: l’Olocausto e la nuova destra” con un intervento che potrebbe causarle dei problemi perché mette in discussione il modo in cui oggi la Germania usa la sua cultura della memoria. Neiman è cittadina israeliana e si occupa di memoria e morale. Uno dei suoi libri si intitola Learning from the germans. Race and the memory of evil (Imparare dai tedeschi. La razza e la memoria del male). Negli ultimi due anni, dice Neiman, la cultura della memoria è “andata in tilt”. La risoluzione tedesca contro il Bds, per esempio, ha avuto un forte effetto sulla scena culturale del paese. La città di Aquisgrana si è ripresa un premio di diecimila euro assegnato all’artista libanese-statunitense Walid Raad. La città di Dortmund e la giuria del premio Nelly Sachs, del valore di 15mila euro, hanno revocato il riconoscimento che avevano dato alla scrittrice britannico-pachistana Kamila Shamsie. Il filosofo politico camerunese Achille Mbembe rischiava di non partecipare a un festival perché per il commissario federale per l’antisemitismo era un sostenitore del Bds e “relativizza l’Olocausto” (Mbembe ha detto di non essere collegato al movimento, poi il festival è stato cancellato a causa del covid-19). Nel 2019 il direttore del Museo ebraico di Berlino, Peter Schäfer, si è dimesso dopo essere stato accusato di appoggiare il Bds. L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva anche chiesto ad Angela Merkel di tagliare i finanziamenti al museo perché la sua mostra su Gerusalemme dedicava troppo spazio ai musulmani della città (la risoluzione contro il Bds è unica per impatto, ma non nei contenuti: nella maggior parte degli Stati Uniti esistono leggi sui libri che equiparano il boicottaggio all’antisemitismo e le autorità negano i finanziamenti statali alle persone e alle istituzioni che lo sostengono). Quando la giornata di studi “Dobbiamo parlare” è stata cancellata, Breitz e Rothberg hanno proposto un convegno intitolato “Abbiamo ancora bisogno di parlare”. L’elenco dei relatori era impeccabile. Un ente governativo li aveva controllati tutti e aveva accettato di finanziare l’iniziativa. Era prevista per l’inizio di dicembre. Poi Hamas ha attaccato Israele. “Sapevamo che da quel momento ogni politico tedesco avrebbe considerato molto rischioso essere collegato a un evento che avesse relatori palestinesi o nominasse la parola apartheid”, dice Breitz. Il 17 ottobre ha saputo che i fondi erano stati ritirati. Nel frattempo, in tutta la Germania la polizia stava reprimendo le manifestazioni che chiedevano il cessate il fuoco a Gaza o esprimevano sostegno ai palestinesi. Invece di un convegno, Breitz e molti altri hanno organizzato una protesta. L’hanno chiamata “Abbiamo ancora ancora ancora ancora bisogno di parlare”. A circa un’ora dall’inizio del raduno, la polizia si è fatta largo tra la folla per confiscare un cartello che diceva “Dal fiume al mare, chiediamo uguaglianza”. La persona che lo aveva portato era un’ebrea israeliana. Da allora, la proposta di “assumersi la responsabi-

lità storica” è ferma al Bundestag. Ma la battaglia contro l’antisemitismo continua. A novembre, l’organizzazione di Documenta, una delle rassegne d’arte contemporanea più importanti del mondo, è piombata nel caos quando il quotidiano Süddeutsche Zeitung ha riesumato una petizione che un membro del comitato artistico, Ranjit Hoskote, aveva firmato nel 2019 per protestare contro un evento in programma su sionismo e Hindutva, un movimento di estrema destra, e la petizione accusava il sionismo di essere “un’ideologia razzista che invoca un apartheid coloniale in cui i non ebrei non hanno pari diritti e, in pratica, si basa sulla pulizia etnica dei palestinesi”. La Süddeutsche Zeitung aveva inserito l’articolo nella sezione Antisemitismo. Hoskote si è dimesso e il resto del comitato lo ha seguito. Una settimana dopo, Breitz ha letto su un giornale che un museo del Saarland aveva cancellato una sua mostra, in programma per il 2024, “in considerazione della copertura mediatica che avrebbero avuto le sue controverse dichiarazioni sulla guerra di aggressione di Hamas contro lo stato di Israele”. novembre ho lasciato Berlino per andare a Kiev, attraversando in treno la Polonia e poi l’Ucraina. Questo articolo è un’occasione per dire alcune cose sul mio rapporto con la storia ebraica di queste terre. Molti ebrei statunitensi vanno in Polonia per visitare quel poco che è rimasto dei vecchi quartieri ebraici, per mangiare cibo cucinato secondo le ricette lasciate da famiglie estinte da tempo e per rivisitare la storia ebraica, i ghetti e i campi di concentramento nazisti. Sono vicina a questa storia. Sono cresciuta nell’Unione Sovietica degli anni settanta, all’ombra onnipresente dell’Olocausto, perché solo una parte della mia famiglia era sopravvissuta e perché la censura sovietica vietava di parlarne in pubblico. Quando, verso i nove anni, venni a sapere che alcuni criminali di guerra nazisti erano ancora a piede libero, smisi di dormire. Immaginavo uno di loro che si arrampicava sul nostro balcone per portarmi via. Durante l’estate, nostra cugina Anna e i suoi figli venivano a trovarci dalla Polonia. Dopo l’incendio del ghetto di Varsavia, i suoi genitori avevano deciso di uccidersi. Il padre si era gettato sotto un treno. La madre si era legata alla vita Anna, che all’epoca aveva tre anni, e si era gettata in un fiume. Erano state tirate fuori dall’acqua da un polacco ed erano sopravvissute alla guerra nascondendosi in campagna. Conoscevo la storia, ma non mi era permesso parlarne. Anna era già adulta quando seppe di essere sopravvissuta all’Olocausto e aspettò molto per dirlo ai suoi figli, che avevano più o meno la mia età. La prima volta che andai in Polonia, negli anni novanta, fu per fare ricerche sul mio bisnonno, che aveva trascorso quasi tre anni nel ghetto di Białystok prima di essere ucciso nel campo di concentramento di Majdanek. In Polonia, la guerra per la memoria dell’Olocausto si è svolta parallelamente a quella tedesca. Le idee

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che i due paesi combattono sono diverse, ma una costante è il coinvolgimento di politici di destra insieme allo stato di Israele. Come in Germania, negli anni novanta e duemila ci furono ambiziose iniziative di commemorazione, a livello nazionale e locale, che rompevano il silenzio degli anni sovietici. I polacchi costruirono musei e monumenti in memoria degli ebrei uccisi nell’Olocausto – che fece metà delle sue vittime nella Polonia occupata dai nazisti – e della cultura ebraica perduta. Poi è arrivato il contraccolpo, che ha coinciso con l’ascesa al potere nel 2015 del partito di destra illiberale Diritto e giustizia. I polacchi ora volevano una versione della storia in cui erano vittime dell’occupazione nazista insieme agli ebrei, che avevano cercato di proteggere dai nazisti. Non era vero: i polacchi che avevano rischiato la vita per salvare gli ebrei dai tedeschi erano molto pochi mentre, al contrario, le comunità o le istituzioni dello stato prima dell’occupazione tedesca che avevano trucidato in massa gli ebrei erano molte. Ma gli storici che hanno approfondito il ruolo dei polacchi nell’Olocausto sono stati attaccati. Lo storico dell’università di Princeton Jan Tomasz Gross, nato in Polonia, è stato interrogato e minacciato di essere processato per aver scritto che i polacchi uccisero più ebrei dei tedeschi. Le autorità polacche lo hanno perseguitato anche dopo che è andato in pensione. Il governo ha rimosso dal suo incarico Dariusz Stola, il direttore del Polin, l’innovativo museo di storia degli ebrei polacchi di Varsavia. Gli storici Jan Grabowski e Barbara Engelking sono finiti in tribunale per aver scritto che il sindaco di un villaggio aveva contribuito all’Olocausto. Quando ho scritto del caso di Grabowski ed Engelking, ho ricevuto alcune delle minacce di morte più spaventose della mia vita (mi hanno indirizzato molte minacce di morte, ma per la maggior parte erano trascurabili). Una, inviata a un’email di lavoro, diceva: “Se continui a scrivere menzogne sulla Polonia e sui polacchi, questi proiettili finiranno nel tuo corpo. Vedi allegato! Cinque per ogni rotula, così non camminerai più. Ma se andrai avanti a diffondere il tuo odio per gli ebrei, ti sparerò i cinque proiettili successivi nella fica. Del terzo passaggio non ti accorgerai. Ma non ti preoccupare, non verrò a trovarti la prossima settimana o tra otto settimane, tornerò quando avrai dimenticato questa email, forse tra cinque anni. Sei nella mia lista…”. L’allegato era l’immagine di due proiettili luccicanti nel palmo di una mano. Il Museo di stato di Auschwitz-Birkenau, diretto da un incaricato del governo, e il Congresso ebraico mondiale hanno criticato il mio articolo su Twitter. Qualche mese dopo, l’invito a parlare in un’università è stato ritirato: l’ateneo aveva detto al mio agente che potevo essere un’antisemita. Durante le guerre polacche per la memoria dell’Olocausto, Israele ha mantenuto relazioni amichevoli con la Polonia. Nel 2018, Netanyahu e il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki hanno rilasciato una dichiarazione congiunta contro “le azioni volte a incolpare la Polonia o la nazione polac-

In Polonia, la guerra per la memoria dell’Olocausto si è svolta parallelamente a quella tedesca. Le idee che i due paesi combattono sono diverse, ma una costante è il coinvolgimento di politici di destra insieme allo stato di Israele

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Pop ca nel suo complesso per le atrocità commesse dai nazisti e dai loro collaboratori di diversi paesi”. Il testo affermava, falsamente, che “le strutture dello stato clandestino sotto il controllo del governo polacco in esilio avevano creato un meccanismo di aiuto e sostegno sistematico al popolo ebraico”. Netanyahu stava costruendo alleanze con i governi illiberali dell’Europa centrale, come quelli di Polonia e Ungheria, anche per impedire che nell’Unione europea si consolidasse un consenso contro l’occupazione israeliana della Palestina. Per riuscirci era disposto a mentire anche sull’Olocausto. gni anno, decine di migliaia di adolescenti israeliani si recano al museo di Auschwitz prima di diplomarsi (anche se nel 2022 i viaggi sono stati annullati per questioni di sicurezza e per la crescente insistenza del governo di Varsavia affinché il coinvolgimento dei polacchi nell’Olocausto fosse cancellato dalla storia). È un viaggio importante, che si fa solo un anno o due prima del servizio di leva. Noam Chayut, uno dei fondatori di Breaking the silence, un’organizzazione israeliana che si batte contro l’occupazione dei territori palestinesi, ha scritto della sua esperienza, fatta alla fine degli anni novanta: “In quel momento, in Polonia, da adolescente ho cominciato a percepire l’appartenenza, l’amore per me stesso, la forza e l’orgoglio, e il desiderio di contribuire, di vivere ed essere forte, così forte che nessuno avrebbe mai cercato di farmi del male”. Chayut ha portato questo sentimento nell’esercito israeliano, che lo aveva inviato nella Cisgiordania occupata. Un giorno stava consegnando alcuni avvisi di confisca dei beni. Lì vicino stava giocando un gruppo di bambini. Chayut aveva fatto quello che secondo lui era un sorriso gentile e per nulla minaccioso a una bambina. Gli altri bambini erano scappati, ma lei era rimasta paralizzata dal terrore, poi era corsa via. In seguito, quando Chayut pubblicò un libro sul cambiamento che quell’incontro aveva provocato in lui, scrisse che non era sicuro del perché fosse stata quella particolare bambina a fargli quell’effetto: “Dopotutto, avevo visto anche un suo coetaneo incatenato in una Jeep e una bimba in una casa in cui avevamo fatto irruzione a tarda notte per portare via sua madre e sua zia. E molti altri, centinaia, che urlavano e piangevano mentre rovistavamo nelle loro stanze e nelle loro cose. E il bambino di Jenin a cui avevamo fatto saltare il muro di casa con una carica esplosiva che aveva fatto un buco a pochi centimetri dalla sua testa. Miracolosamente era rimasto illeso, ma sono sicuro che il suo udito e la sua mente fossero stati gravemente compromessi”. Ma negli occhi di quella bambina, quel giorno, Chayut aveva visto il riflesso di un male annientante che, come gli era stato insegnato, era esistito solo tra il 1933 e il 1945, e solo dove governavano i nazisti. Chayut intitolò il suo libro The girl who stole my Holocaust (La bambina che rubò il mio Olocausto).

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Sia prima sia dopo l’attacco del 7 ottobre, la frase che forse ho sentito più spesso in Ucraina è stata: “Dobbiamo essere come Israele”. Politici, giornalisti, personalità della cultura e cittadini s’identificano con la storia che Israele racconta di sé, quella di una piccola ma potente isola di democrazia che resiste ai nemici che la circondano

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Ho preso il treno dal confine polacco a Kiev. Quasi 34mila ebrei furono fucilati a Babyn Yar, un gigantesco burrone alla periferia della città, in sole 36 ore nel settembre del 1941. Altre decine di migliaia morirono lì prima della fine della guerra, in quello che oggi è noto come l’Olocausto dei proiettili. Molti stati in cui si commisero questi massacri – i paesi baltici, la Bielorussia, l’Ucraina – dopo la seconda guerra mondiale furono colonizzati dall’Unione Sovietica. I dissidenti e gli attivisti ebrei rischiarono la libertà per conservare la memoria di queste tragedie, raccogliere testimonianze e nomi e, dove era possibile, ripulire e proteggere quei luoghi. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, i progetti di commemorazione accompagnarono gli sforzi per aderire all’Unione europea. “Il riconoscimento dell’Olocausto è il nostro biglietto d’ingresso europeo contemporaneo”, scriveva lo storico Tony Judt in Dopoguerra (Mondadori 2007). Nella foresta di Rumbula, alla periferia di Riga, dove nel 1941 furono uccisi 25mila ebrei, nel 2002, due anni prima che la Lettonia entrasse nell’Ue, fu inaugurato un memoriale. Un serio tentativo di commemorare Babyn Yar è stato fatto dopo la rivoluzione del 2014, che ha dato il via all’ambizioso cammino di Kiev verso l’Unione. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, nel febbraio del 2022, erano state completate diverse strutture secondarie ed erano in corso progetti per un complesso museale più grande che, con l’invasione, si sono fermati. Una settimana dopo l’inizio della guerra, un missile russo è caduto nei pressi del complesso, uccidendo almeno quattro persone. In seguito, alcune figure associate al progetto hanno formato una squadra per indagare sui crimini di guerra. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelenskyj, ha intrapreso una seria campagna per ottenere il sostegno israeliano. Nel marzo 2022 ha tenuto un discorso alla knesset in cui non ha sottolineato la propria origine ebraica, ma si è concentrato sull’inestricabile legame storico tra ebrei e ucraini. Ha tracciato parallelismi inequivocabili tra il regime di Putin e il partito nazista. Ha anche affermato che ottant’anni fa gli ucraini salvarono gli ebrei (come nel caso della Polonia, qualsiasi affermazione sulla diffusione di questo tipo di aiuti è falsa). Ma ciò che ha funzionato per il governo di destra della Polonia non ha funzionato per il presidente filoeuropeo dell’Ucraina. Israele non ha dato a Kiev l’aiuto che chiedeva nella sua guerra contro la Russia, un paese che sostiene apertamente Hamas e Hezbollah. Eppure, sia prima sia dopo l’attacco del 7 ottobre, la frase che forse ho sentito più spesso in Ucraina è stata: “Dobbiamo essere come Israele”. Politici, giornalisti, personalità della cultura e cittadini s’identificano con la storia che Israele racconta di sé, quella di una piccola ma potente isola di democrazia che resiste ai nemici che la circondano. Alcuni ucraini di sinistra hanno affermato che il loro paese, che sta combattendo una guerra anticoloniale contro una potenza occupante, dovrebbe identificarsi con la Palestina, non con Israele. Ma sono voci marginali, il più delle volte di giovani ucraini che studiano o hanno studiato

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all’estero. Dopo l’attacco di Hamas, Zelenskyj avrebbe voluto correre in Israele per dimostrare il suo sostegno e l’unità tra Israele e Ucraina. Ma sembra che le autorità israeliane avessero altre idee: la visita non c’è mai stata. Mentre l’Ucraina ha cercato senza successo di convincere Israele a riconoscere che l’invasione russa somiglia all’aggressione genocida della Germania, Mosca ha costruito un universo propagandistico in cui il governo di Zelenskyj, l’esercito ucraino e il popolo ucraino sono rappresentati come nazisti. La seconda guerra mondiale è l’evento centrale del mito storico della Russia. Durante il regno di Vladimir Putin, mentre gli ultimi testimoni della guerra morivano uno dopo l’altro, gli eventi commemorativi si sono trasformati in carnevalate che celebrano il vittimismo. In quella guerra l’Unione Sovietica perse almeno 27 milioni di persone, con un numero sproporzionato di ucraini. L’Unione Sovietica e la Russia combattono conflitti quasi ininterrottamente dal 1945, ma la parola “guerra” è ancora sinonimo di seconda guerra mondiale e la parola “nemico” è usata in modo intercambiabile per “fascista” e “nazista”. Questo ha reso molto più facile per Putin, nel dichiarare una nuova guerra, bollare gli ucraini come nazisti. Netanyahu ha paragonato la strage di Hamas al rave a un Olocausto con i proiettili. Questo paragone, ripreso dai leader mondiali, anche dal presidente statunitense Joe Biden, serve a giustificare il diritto di Israele a infliggere punizioni collettive agli abitanti della Striscia di Gaza. Allo stesso modo, quando Putin definisce il governo ucraino “nazista” o “fascista” intende dire che è così pericoloso che la Russia è giustificata a bombardare a tappeto e assediare le città ucraine, e a uccidere i civili. Tra i due casi, ovviamente, ci sono differenze significative: le affermazioni russe secondo cui l’Ucraina avrebbe attaccato per prima e il governo ucraino sarebbe fascista sono false, mentre Hamas è una potenza tirannica che ha attaccato Israele e ha commesso atrocità che non possiamo ancora capire completamente. Ma queste differenze hanno importanza quando si uccidono dei bambini? Nelle prime settimane dell’invasione russa dell’Ucraina, quando le truppe hanno occupato la periferia occidentale di Kiev, il direttore del Museo della seconda guerra mondiale di Kiev, Yurii Savchuk, viveva nell’edificio e pensava a come modificare la mostra principale. Il giorno dopo che l’esercito ucraino aveva cacciato i russi dalla regione di Kiev, ha incontrato il comandante in capo delle forze armate ucraine Valerii Zaluzhnyi e ha ottenuto il permesso di cominciare a raccogliere testimonianze. Savchuk e il suo staff sono andati a Bucha, Irpin e in altre città che erano appena state “liberate dall’occupazione”, come dicevano gli ucraini, e hanno intervistato le persone che non avevano ancora raccontato le loro storie. “Abbiamo visto il vero volto della guerra, con tutte le sue emozioni”, mi ha confidato Savchuk. “La paura, il terrore erano nell’aria e noi li abbiamo respirati”. Nel maggio 2022, il museo ha aperto una nuova

mostra, intitolata Ucraina – Crocifissione. Comincia con un’esposizione di stivali di soldati russi, che la squadra di Savchuk aveva raccolto. È una strana inversione: sia il Museo di Auschwitz sia il Museo dell’Olocausto di Washington, negli Stati Uniti, espongono centinaia o migliaia di scarpe delle vittime dell’Olocausto, che trasmettono la gravità della tragedia, anche se ne fanno vedere solo una piccola parte. La mostra di Kiev evidenzia la gravità del pericolo. Gli stivali sono disposti sul pavimento a formare una stella a cinque punte, il simbolo dell’Armata Rossa, che in Ucraina ha assunto connotazioni sinistre quanto la svastica. A settembre, Kiev ha rimosso le stelle a cinque punte da un monumento dedicato alla seconda guerra mondiale, in quella che si chiamava piazza della Vittoria e che ora ha cambiato nome perché “vittoria” ricorda la celebrazione russa di quella che ancora oggi è consideratala grande guerra patriottica. La città ha anche cambiato le date sul monumento, da 1941-1945 – gli anni della guerra tra l’Unione Sovietica e la Germania – a 1939-1945. Bisogna correggere la memoria, un monumento alla volta. Nel 1954 un tribunale israeliano discusse un caso di diffamazione che coinvolgeva un ebreo ungherese di nome Israel Kastner. Dieci anni prima, quando la Germania aveva occupato l’Ungheria e si era affrettata a sterminare in massa i suoi ebrei, Kastner, come leader della comunità ebraica, aveva avviato delle trattative con Adolf Eichmann, proponendogli di comprare la vita degli ebrei ungheresi con diecimila camion. Quando quel tentativo era fallito, aveva ottenuto di salvare 1.685 persone portandole via con un treno noleggiato in Svizzera. Altre centinaia di miInternazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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gliaia furono invece caricate sui treni per i campi di sterminio. Un ebreo ungherese sopravvissuto accusò pubblicamente Kastner di aver collaborato con i tedeschi. Kastner gli fece causa per diffamazione ma, di fatto, si ritrovò sotto processo. Il giudice concluse che Kastner aveva “venduto la sua anima al diavolo”. L’accusa contro Kastner si basava sul fatto che non aveva detto agli altri che stavano andando incontro alla morte. I suoi accusatori sostenevano che, se li avesse avvertiti, i deportati si sarebbero ribellati e non sarebbero andati nei campi come pecore al macello. Quel processo è stato visto come l’inizio di uno scontro in cui la destra israeliana sostiene la violenza preventiva e vede la sinistra come volutamente inerme. All’epoca del processo, Kastner era un politico di sinistra, mentre il suo accusatore era un attivista di destra. Sette anni dopo, il giudice che aveva presieduto al processo per diffamazione di Kastner era uno dei tre giudici del processo ad Adolf Eichmann. Lì c’era il diavolo in persona. L’accusa sostenne che Eichmann era solo un esempio dell’eterna minaccia per gli ebrei. Il caso contribuì a consolidare la narrazione secondo cui, per prevenire l’annientamento, gli ebrei dovevano essere pronti a usare la forza in modo preventivo. In riferimento a quel processo, Hannah Arendt dichiarò che non accettava quella teoria. La sua frase “la banalità del male” forse suscitò le prime accuse a una persona ebrea di banalizzare l’Olocausto. Ma non era così. Arendt aveva capito che Eichmann non era un diavolo, e che forse il diavolo non esisteva. Aveva ragionato sul fatto che non esisteva una cosa come il male assoluto, che il male era sempre ordinario anche quando era estremo, qual-

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cosa di “viscerale” e, come avrebbe detto in seguito, “il più basso degli istinti”. Arendt contestava anche l’affermazione, fatta dall’accusa, che gli ebrei erano vittime: per dirla con le sue parole, era “un principio storico che si estende dal faraone ad Aman, vittima di un principio metafisico”. Quell’affermazione, che affonda le sue radici nella leggenda biblica degli Amalek, un popolo del deserto del Negev che più volte combatté gli antichi israeliti, si fonda sull’idea che ogni generazione di ebrei affronta i propri Amalek. L’ho sentita da adolescente; fu la prima lezione sulla Torah a cui partecipai, tenuta da un rabbino che riuniva i bambini di un sobborgo di Roma dove vivevano rifugiati ebrei provenienti dall’Unione Sovietica in attesa dei documenti per entrare negli Stati Uniti, in Canada o in Australia. Secondo questa teoria, come raccontata dal pubblico ministero nel processo Eichmann, l’Olocausto è un evento predeterminato, parte della storia ebraica, e solo di quella. Gli ebrei hanno sempre il timore giustificato dell’annientamento. In effetti, possono sopravvivere solo se agiscono come se l’annientamento fosse imminente. Quando sentii per la prima volta la leggenda di Amalek, mi sembrò sensata. Descriveva la mia conoscenza del mondo, mi aiutava a collegare la mia esperienza di essere presa in giro e picchiata agli ammonimenti della mia bisnonna, secondo la quale usare le espressioni yiddish in pubblico era pericoloso, e alla profonda ingiustizia subita da mio nonno, dal mio bisnonno e da decine di altri parenti uccisi prima che io nascessi. Avevo quattordici anni e mi sentivo sola. Sapevo che io e la mia famiglia eravamo vittime, e la leggenda di Amalek aggiungeva al mio vittimismo un significato e un senso di comunità. Dopo l’attacco di Hamas, Netanyahu ha brandito come un’arma la leggenda di Amalek. Il suo significato, come lo usa lui – che gli ebrei occupano una posizione unica nella storia e hanno il diritto esclusivo a considerarsi vittime – ha rafforzato la burocrazia dell’antisemitismo tedesca e l’empia alleanza tra Israele e l’estrema destra europea. Ma nessuna nazione è sempre vittima o carnefice. Se la pretesa d’impunità di Israele è dovuta in buona parte allo status di vittime perpetue degli ebrei, molti di quelli che criticano Israele cercano di spiegare l’attacco di Hamas come un atto di terrorismo prevedibile in risposta all’oppressione dei palestinesi, mentre agli occhi dei sostenitori di Israele, gli abitanti di Gaza non possono essere vittime perché Hamas ha attaccato Israele per primo. Questa lotta per rivendicare lo status di vittime può andare avanti all’infinito. Da diciassette anni la Striscia di Gaza è un luogo sovrappopolato, impoverito, fortificato, da cui solo una piccola parte della popolazione ha il diritto di andarsene anche solo per un breve periodo di tempo. In altre parole, è un ghetto. Non come il ghetto ebraico di Venezia o di alcune città degli Stati Uniti, ma come il ghetto ebraico in un paese dell’Europa orientale occupato dalla Germania nazista. Nei primi due mesi dall’attacco di Hamas a Israele, tutti gli

abitanti di Gaza hanno subìto l’assalto quasi ininter­ rotto delle forze israeliane. Migliaia di persone sono morte. In media, nella Striscia di Gaza è stato ucciso un bambino ogni dieci minuti. Le bombe israeliane hanno colpito ospedali, reparti di maternità e ambu­ lanze. Otto abitanti su dieci sono ormai senza casa, si spostano da un luogo all’altro senza riuscire a met­ tersi in salvo. L’espressione “prigione a cielo aperto” sembra essere stata coniata nel 2010 da David Cameron, all’epoca primo ministro britannico. Molte organiz­ zazioni per i diritti umani che documentano le con­ dizioni di vita nella Striscia di Gaza l’hanno adottata. Ma, come nei ghetti ebraici dell’Europa occupata, non ci sono guardie carcerarie: Gaza non è sorveglia­ ta dagli occupanti ma da una forza locale. Presumi­ bilmente la parola ghetto potrebbe essere criticata perché paragona la difficile situazione degli abitan­ ti di Gaza assediati a quella degli ebrei ghettizzati. Ma ci darebbe un termine per descrivere ciò che sta accadendo a Gaza adesso. Il ghetto è in fase di de­ molizione. I nazisti sostenevano che i ghetti erano necessari per proteggere gli ariani dalle malattie diffuse dagli ebrei. Israele ha affermato che l’isolamento di Gaza, come il muro della Cisgiordania, è necessario per pro­ teggere gli israeliani dagli attacchi terroristici dei pa­ lestinesi. La motivazione nazista non aveva alcun fondamento nella realtà, mentre quella israeliana si basa su atti di violenza reali e ripetuti. Sono differenze essenziali. Eppure entrambe le affermazioni presup­ pongono che un’autorità occupante possa scegliere di isolare, immiserire e, adesso, mettere in pericolo un’intera popolazione per proteggere la propria. Fin dai primi giorni della fondazione d’Israele, il paragone tra gli sfollati palestinesi e quelli ebrei è sta­ to fatto, ma poi lo si è messo da parte. Nel 1948, l’anno in cui fu creato lo stato, un articolo del giornale israe­ liano Maariv descriveva le terribili condizioni – “Per­ sone anziane così deboli da essere sul punto di mori­ re; un ragazzo con due gambe paralizzate; un altro a cui sono state tagliate le mani” – in cui i palestinesi, per lo più donne e bambini, avevano lasciato il villag­ gio di Tantura dopo che le truppe israeliane lo aveva­ no occupato: “Una donna teneva un bambino in brac­ cio e con l’altro braccio sorreggeva l’anziana madre. Quest’ultima non riusciva a stare al passo, urlava e pregava la figlia di rallentare, ma lei non si fermava. Alla fine l’anziana è crollata a terra e non è riuscita più a muoversi. La figlia si strappava i capelli… per paura di non fare in tempo. E la cosa peggiore era l’associa­ zione con le madri e le nonne ebree che si attardavano sulle strade sotto la minaccia degli assassini”. A quel punto il giornalista si bloccò. “Ovviamente non c’è spazio per un simile paragone”, ha scritto. “Questo destino se lo sono procurati da soli”. Nel 1948, gli ebrei presero le armi per rivendicare la terra che gli era stata offerta dalla decisione delle Nazioni Unite di dividere in due quella che era stata la Palestina controllata dagli inglesi. I palestinesi, ap­ poggiati dagli stati arabi circostanti, non accettarono

Poesia

ÀNGELS GREGORI PARRA

Finzioni

è una poeta e animatrice culturale valenciana nata nel 1985. Autrice di numerose opere, per le quali ha ricevuto diversi premi, scrive in catalano. Questo testo è tratto dalla sua ultima raccolta, Jazz (Edicions Proa 2023). Traduzione di Daniele Comberiati.

Dev’essere stato un bel posto per vivere, la tua infanzia. Spartiti di uccelli fermi sui fili della corrente elettrica e un’orchestra di silenzi. Crescere è spegnere le luci di casa pensando che vedrai nell’oscurità e ostacolarsi. Sospettare che qualcuno abbia spostato i mobili. Ci dev’essere per forza una stazione in questo paesaggio. E mostrare che è da lì che il tuo bisnonno partì per andare in guerra. Un diluvio universale, i tuoi pianti adolescenziali. Hai riconosciuto Dio, fra i bagnanti. Àngels Gregori Parra

la spartizione e la dichiarazione di indipendenza di Israele. L’Egitto, la Siria, l’Iraq, il Libano e la Trans­ giordania invasero il protostato israeliano, dando ini­ zio a quella che Israele ora chiama la guerra d’indi­ pendenza. Centinaia di migliaia di palestinesi fuggi­ rono. Gli altri furono cacciati dai loro villaggi dalle forze israeliane. La maggior parte di loro non è mai potuta tornare. I palestinesi ricordano il 1948 come la Nakba, una parola che significa catastrofe in arabo, così come Shoah significa catastrofe in ebraico. Il fat­ to che il paragone sia inevitabile ha costretto gli israe­ liani ad affermare che, a differenza degli ebrei, i pale­ stinesi si sono procurati la catastrofe da soli. Il giorno in cui sono arrivata a Kiev, qualcuno mi ha dato un grosso libro. Era il primo studio accademi­ co su Stepan Bandera pubblicato in Ucraina. Bandera è un eroe ucraino che combatté contro il regime so­ vietico. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica gli sono state dedicate decine di monumenti. Alla fine della seconda guerra mondiale si ritrovò in Germania, gui­ dò un movimento partigiano dall’esilio e nel 1959 morì avvelenato da un agente del Kgb. Bandera era un fascista convinto, un ideologo che voleva istituire un regime totalitario. Questi fatti sono raccontati in dettaglio nel libro, che ha venduto circa 1.200 copie (molte librerie si sono rifiutate di venderlo). La Russia è felice di sfruttare il culto ucraino di Bandera come prova che l’Ucraina è uno stato nazista. Gli ucraini per lo più reagiscono negando la sua importanza. È sem­ pre così difficile accettare l’idea che qualcuno può essere stato il nemico del tuo nemico e tuttavia non una figura benevola. Una vittima ma anche un carne­ fice. O viceversa. u bt Internazionale 1546 | 19 gennaio 2024

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Scienza di e dieci più piccoli in un’area di trecento chilometri quadrati nella valle dell’Upano, ognuno ricco di strutture abitative e cerimoniali. Le città sono intervallate da terreni agricoli rettangolari e circondate da terrazzamenti coltivati a mais, manioca e patate dolci. Le città erano collegate da strade ampie e dritte, le case e i quartieri di ogni insediamento erano uniti da vie. “Si tratta di vera urbanistica”, dice il coautore Fernando Mejía.

CHIARA DATTOLA

La punta dell’iceberg

ARCHEOLOGIA

Le città ritrovate dell’Amazzonia Lizzie Wade, Science, Stati Uniti Una tecnologia di mappatura con il laser ha rivelato i resti di una vasta rete di insediamenti, confermando che in epoca precolombiana la regione era abitata da civilità avanzate n passato gli archeologi credevano che l’antica foresta pluviale dell’Amazzonia fosse un luogo inospitale, popolato solo da pochi gruppi di cacciatori-raccoglitori. Ma negli ultimi vent’anni il ritrovamento dei resti di enormi terrapieni, piramidi e strade che vanno dalla Bolivia al Brasile ha dimostrato che l’Amazzonia ospitava società complesse ben prima dell’arrivo degli europei. E ora abbiamo le prove che un’altra comunità umana ha lasciato il suo segno nella zona: una fitta rete di città nascoste sotto la foresta della valle dell’Upano, in Ecuador, è stata scoperta grazie a una tecnologia di mappatura con il laser detta lidar. Gli insediamenti risalgono ad almeno 2.500 anni fa, più di mille anni prima di qualsiasi altra società complessa amazzonica nota.

I

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L’archeologo Stéphen Rostain, del Centro nazionale di ricerca scientifica francese, ha cominciato a scavare in quella valle quasi trent’anni fa. Il suo team si è concentrato su due grandi insediamenti, Sangay e Kilamope, trovando montagnole disposte intorno a piazze centrali, vasellame decorato con pittura e incisioni, e grandi brocche con resti di chicha, la tradizionale birra di mais. La datazione al carbonio-14 ha mostrato che i siti dell’Upano furono abitati dal 500 avanti Cristo fino a un periodo compreso tra il 300 e il 600 dopo Cristo. “Sapevo che c’erano molte strutture”, ha raccontato Rostain. “Ma non avevo una panoramica completa”. Le cose sono cambiate nel 2015, quando l’Istituto nazionale per il patrimonio storico dell’Ecuador ha finanziato una mappatura della valle con il lidar: aerei appositamente equipaggiati hanno inviato impulsi laser nella foresta per poi misurarne il segnale di ritorno, che ha rivelato elementi topografici nascosti dagli alberi. I dati hanno consentito a Rostain e ai suoi collaboratori di vedere i collegamenti tra gli insediamenti e molto di più. Il team ha individuato cinque insediamenti gran-

I ricercatori non sanno ancora quante persone vivessero nella valle dell’Upano, ma gli insediamenti erano grandi: il centro di Kilamope, per esempio, è vasto più o meno quanto l’altopiano delle piramidi di Giza in Egitto o il viale principale di Teotihuacán, in Messico. Secondo gli autori le costruzioni nella valle dell’Upano eguagliano le “città giardino” dei maya. E quello che è stato scoperto finora potrebbe essere “solo la punta dell’iceberg”, ha spiegato Mejía. Il reticolo di strade che collega i siti dell’Upano dimostra che erano contemporanei. Sono mille anni più antichi di qualunque altra società amazzonica complessa, compresa quella degli Llanos de Mojos, un antico sistema urbano scoperto di recente in Bolivia. Le città della valle dell’Upano erano più vicine e meglio collegate rispetto a quei siti, ha spiegato Rostain. “Noi diciamo Amazzonia, ma dovremmo parlarne al plurale” per cogliere l’antica eterogeneità della regione, ha aggiunto. I dettagli di ogni cultura, però, devono ancora essere definiti. Gli abitanti della valle dell’Upano e degli Llanos de Mojos erano agricoltori in grado di costruire strade, canali e grandi strutture civili e religiose. Tuttavia “stiamo appena cominciando a capire come funzionavano le città”, quante persone ci vivevano, con chi commerciavano e com’erano governate, ha detto Carla Jaimes Betancourt, che studia gli Llanos de Mojos. Quindi è troppo presto per paragonare le città dell’Upano a società come quelle dei maya e di Teotihuacán, che erano “molto più complesse ed estese”, dice l’archeologo statunitense Thomas Garrison, che non ha preso parte allo studio. Però, aggiunge, “è straordinario che nel ventunesimo secolo si possano ancora fare scoperte simili”. u sdf

PALEONTOLOGIA

Un nuovo test per il cancro

La fine del gigante

L’azienda statunitense Novelna ha sviluppato un nuovo test per la diagnosi precoce di vari tipi di tumore basato sull’analisi del sangue. La sperimentazione su un campione limitato di 440 pazienti con 18 diversi tipi di tumori solidi e 44 volontari sani ha mostrato una elevata specificità e sensibilità diagnostica. Dopo aver misurato nel plasma circa tremila proteine associate ai tumori, i ricercatori hanno selezionato un gruppo di dieci proteine, specifiche per sesso, in grado di segnalare con una precisione del 99 per cento la presenza del tumore, e un gruppo di 150 proteine che permettono di identificare il tessuto di origine nell’80 per cento dei casi. La presenza di piccole quantità di proteine indica malattie precancerose e tumori allo stadio iniziale. Secondo Bmj Oncology questo test è più promettente rispetto ad altre tecnologie in fase sperimentale e potrebbe essere un punto di partenza per lo sviluppo di una nuova generazione di test per la diagnosi precoce del cancro.

Nature, Regno Unito

DAVID CLODE (UNSPLASH)

SALUTE

Nel 1935 l’antropologo Ralph von Koenigswald trovò in una farmacia di Hong Kong un “dente di drago”, e scoprì che apparteneva a una scimmia gigante. In seguito furono rinvenuti altri reperti di questo animale. Il Gigantopithecus blacki è considerato la scimmia più grande mai esistita. Si stima che fosse alto tre metri e pesasse tra i 200 e i 300 chilogrammi. Una ricerca nelle grotte della Cina meridionale ha fatto luce sulle cause della sua estinzione, avvenuta tra 295mila e 215mila anni fa. Il G. blacki era erbivoro, adattato alla vita al suolo. Per circa 2,3 milioni di anni ha vissuto in un ambiente caratterizzato da foreste e zone aperte. Le analisi dei denti mostrano che si nutriva soprattutto di frutta e fibre vegetali, ma probabilmente non è sopravvissuto al cambiamento del suo ambiente. Le ricerche sui pollini mostrano che a partire da 700mila anni fa le differenze tra le stagioni si sono accentuate, mentre le foreste si sono diradate a favore delle savane. Il gigantopiteco non ha più trovato il suo cibo preferito ed è stato costretto a passare a una dieta meno nutriente. Altre specie di scimmie, più piccole, sono invece riuscite ad adattarsi e a sopravvivere. ◆ ALYSSA JANKOWSKI

TECNOLOGIA

Transazioni quantistiche È stato sviluppato in Cina un modello di rete di computer quantistici destinata a svolgere transazioni commerciali. La rete quantistica è leggermente più lenta rispetto a quelle di computer tradizionali, ma è più sicura perché meno vulnerabile agli attacchi degli hacker. Il sistema, composto da un venditore, due acquirenti e due intermediari, ha scambiato un file di circa un milione di bit, riuscendo a completare undici operazioni al secondo. Lo studio è stato pubblicato su Science Advances.

IN BREVE

Biologia Nella baia di Nanwan, a Taiwan, i coralli Fimbriaphyllia ancora (nella foto) cambiano periodicamente sesso: quasi il 70 per cento delle colonie lo fa ogni anno. Questo comportamento, osservato per la prima volta nel mondo animale, non sembra essere influenzato da fattori ambientali né dalle dimensioni della colonia. Secondo lo studio preliminare, pubblicato su bioRxiv, potrebbe essere una strategia per aumentare le probabilità di accoppiamento, dato che i coralli non possono spostarsi per cercare un partner. Salute Un’analisi molecolare ha identificato cinque tipi di malattia di Alzheimer, che corrispondono a sviluppi clinici diversi. Secondo Nature Aging, definire i differenti tipi potrebbe aiutare a trovare nuovi farmaci e sviluppare cure personalizzate. La ricerca ha analizzato il liquido cerebrospinale, che contiene più di mille proteine.

GENETICA

Le origini della sclerosi

ASTRONOMIA

Un mondo al buio per metà È stato individuato un pianeta, Hd 63433 d (il più piccolo nell’immagine), che ha dimensioni paragonabili a quelle della Terra e orbita molto vicino a una stella simile al Sole, ma più giovane. Una metà del pianeta potrebbe essere costantemente esposta alla stella e coperta da lava, mentre l’altra sarebbe sempre nell’oscurità. Secondo uno studio uscito sull’Astronomical Journal il sistema contiene altri due pianeti ed è in una posizione favorevole a ulteriori osservazioni.

Un’analisi del dna di centinaia di persone vissute in Eurasia migliaia di anni fa, pubblicata su Nature, ha permesso di ricostruire l’origine di alcune caratteristiche delle popolazioni europee contemporanee. Il maggiore rischio di sclerosi multipla tra gli abitanti dell’Europa settentrionale, per esempio, può essere ricondotto alle migrazioni dalle steppe dell’Asia occidentale, avvenute circa cinquemila anni fa.

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Il diario della Terra Il nostro clima

ORIS WORM ET AL. (CCBY)

Record confermato

Media annuale della mortalità degli squali (2017-2019) Bassa (meno del 10%) Media Alta (sopra il 10%) Squali Malgrado l’introduzione di norme per la protezione degli squali, questi animali continuano a essere pescati su scala molto ampia. Secondo uno studio pubblicato su Science, il numero di squali morti a causa della pesca è passato da 76 milioni nel 2012 a più di 80 milioni nel 2017. Tra 22 e 28 milioni di esemplari di specie protette sono pescati ogni anno. Le attività sono concentrate lungo la costa atlantica dell’America settentrionale e meridionale, al largo dell’Africa occidentale, nell’oceano Indiano settentrionale e nella zona di mare tra Indonesia, Malaysia, Papua Nuova Guinea e Filippine. In alcuni casi i limiti sulla pesca imposti a livello locale ne hanno ridotto la mortalità.

Capo Verde ha sconfitto la malaria Frane Almeno 36 persone so­ no state uccise da una frana causata dalle forti precipita­ zioni nel nordovest della Co­ lombia. Le vittime erano auto­ mobilisti bloccati su una strada interrotta da un’altra frana. Vulcani Una nuova eruzione si è verificata nella penisola di Reykjanes, nel sudovest dell’I­ slanda, dopo quella che si era conclusa il 21 dicembre. La la­ va ha distrutto alcune case del­ la cittadina di Grindavik. Malaria Secondo l’Organizza­ zione mondiale della sanità a Capo Verde la malaria è stata

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debellata. Nell’arcipelago non si registrano nuovi casi dal 2017. È il 44° paese al mondo a eradicare la malattia e il quarto in Africa, dopo Mauritius, Ma­ rocco e Algeria. Colera Lo Zambia ha avviato un programma di vaccinazio­ ne contro il colera per arginare un’epidemia che da ottobre ha ucciso almeno 370 persone. Alluvioni Almeno dodici per­ sone sono morte nella regione di Rio de Janeiro, in Brasile, a causa delle alluvioni provocate dalle forti piogge.

PIXABAY

Radar

stici (nella foto) sono una mi­ naccia per la biodiversità an­ cora più grave di quanto si pen­ sasse. Tra le loro prede docu­ mentate ci sono più di duemila specie, di cui quasi 350 a ri­ schio e almeno otto già estinte.

Cicloni Il ciclone Belal ha in­ vestito le isole Mauritius e La Réunion, nell’oceano Indiano, uccidendo almeno quattro persone.

Terremoti Un sisma di ma­ gnitudo 6,4 ha colpito il nor­ dest dell’Afghanistan. Non si hanno notizie di vittime. Altre scosse sono state registrate a Tonga e al largo del Perù.

Gatti Secondo uno studio uscito a dicembre su Nature Communications i gatti dome­

NEWSLETTER Pianeta è la newsletter settimanale di Gabriele Crescente con le ultime notizie sulla crisi climatica e sull’ambiente. Per riceverla: internazionale.it/newsletter

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◆ Ora che sono disponibili tut­ ti i dati sulle temperature del 2023 è possibile affermare che l’anno appena trascorso è stato il più caldo mai registrato. È la conlusione del rapporto Glo­ bal climate highlights del ser­ vizio sul cambiamento climati­ co dell’osservatorio europeo Copernicus, secondo cui gli ul­ timi sette mesi del 2023 sono stati tutti i più caldi di sempre. Copernicus ha usato il data­ base era5, che parte dal 1950. Altre serie di dati permettono di risalire fino a metà dell’otto­ cento, rivelando che il 2023 è stato di 1,48 gradi più caldo ri­ spetto al periodo 1850­1900. L’aumento di temperatura ri­ spetto al 2022 è stato “eccezio­ nalmente ampio”, secondo Copernicus. “Un anno così caldo era considerato inevita­ bile prima o poi, a causa dell’a­ zione combinata tra il riscalda­ mento dovuto alle emissioni di gas serra e il ritorno del feno­ meno climatico ricorrente det­ to El Niño”. Ma secondo il rap­ porto “ci sono stati ulteriori fattori imprevisti – alcuni dei quali sono ancora oggetto di indagine – che hanno favorito le temperature globali estreme del 2023”. Tra gli elementi che potrebbero aver contribuito al record ci sono l’aumento del vapore acqueo atmosferico do­ vuto all’eruzione del vulcano sottomarino Hunga Tonga­ Hunga Ha’apai nel gennaio 2022, la riduzione di alcuni in­ quinanti dell’aria dovuti al tra­ sporto marittimo e la fase del ciclo solare. Secondo Coperni­ cus “il 2024 potrebbe essere ancora più caldo del 2023” e superare la soglia degli 1,5 gra­ di in più rispetto al periodo preindustriale.

Il pianeta visto dallo spazio 7.1.2024

Nebbia sul delta del Nilo, in Egitto

Nord 100 km

Mar Mediterraneo

Nebbia

Il Cairo

EARTHOBSERVATORY/NASA

Nilo

Mar Rosso

◆ Nelle immagini satellitari il delta del Nilo di solito sembra un fiore verde che sboccia tra il color ocra del deserto circostante. Ma quando il satellite Terra della Nasa l’ha sorvolato la mattina del 7 gennaio 2024 il delta era coperto da uno strato di nuvole basse, che lo rendevano più simile a un batuffolo di cotone. Il fertile suolo del delta permette di coltivare riso, mais e cotone. Ma in Egitto la terra scarseggia, e con la popolazione in aumento gli agricoltori

devono competere con la crescita dei centri abitati. Nel delta di solito la nebbia si forma in autunno e in inverno. Negli ultimi vent’anni l’aeroporto internazionale di Borg el Arab, vicino ad Alessandria, ha rilevato nebbia in circa il 10 per cento dei giorni nei mesi di novembre, dicembre e gennaio, secondo i dati raccolti dai ricercatori dell’università Al Azhar del Cairo. Normalmente la nebbia invernale si forma la mattina e può durare diverse ore. Di solito questo succede

In autunno e in inverno la regione del delta è spesso coperta da un fitto strato di nebbia. Alcuni ricercatori vorrebbero trasformarla in una risorsa.



quando i venti sono deboli, l’umidità relativa è alta e le temperature sono comprese tra i 10 e i 15 gradi. La raccolta della nebbia non è ancora comune in Egitto, ma alcuni ricercatori hanno sperimentato questa tecnica ritenendo che possa essere utile in una regione povera d’acqua. Il metodo più comune prevede l’uso di una rete a maglie fini sospesa tra due pali, che cattura le gocce di acqua dolce quando la nebbia la attraversa.–Nasa

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Economia e lavoro

PETER BOER (BLOOMBERG/GETTY)

L’acciaieria della Tata a IJmuiden, Paesi Bassi, 15 marzo 2023

PAESI BASSI

La difficile scelta tra ambiente ed economia Diederik Baazil e Cagan Koc, Bloomberg, Stati Uniti Da anni l’acciaieria di IJmuiden è accusata di danneggiare l’ambiente e la salute delle persone. Ma finora il governo olandese ha privilegiato la difesa dei posti di lavoro nne Albers ha vinto tre volte il campionato olandese di surf longboard, ma non può godersi il suo “piccolo paradiso del surf ” a Wijk aan Zee, un centro costiero di duemila abitanti. Qui ci sono le onde migliori dei Paesi Bassi, ma il paesino è alle prese con i gravi problemi sanitari e ambientali causati dall’acciaieria del gruppo indiano Tata. La questione preoccupa da decenni gli abitanti del posto, ma solo a settembre 2023 l’istituto olandese per la salute e l’ambiente (Rivm) ha stabilito per la prima volta un collegamento tra l’impianto e gli alti tassi di cancro ai polmoni e le basse aspettative di vita dell’area. La Tata sostiene che le sue emissioni rientrano nei limiti previsti dalla legge, ma quando il vento soffia da sudest, dove

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si trova l’impianto, Wijk aan Zee si ricopre di una polvere nera e l’aria si riempie dell’odore acre dello zolfo. “Da piccola non ero preoccupata. La Tata era lì e basta”, racconta Albers. “Quando però sono venuta a sapere dei rischi per la salute, mi sono sentita intrappolata a casa mia. Penso ogni giorno di andarmene e ho paura di far nascere dei figli qui”. La fabbrica, che ha aperto nel 1920 e produce fino a ventimila tonnellate di acciaio di alta qualità al giorno per aziende come la Volvo e la Tesla, è uno dei principali datori di lavoro nei Paesi Bassi, con diecimila posti in acciaieria e molti altri nell’indotto. Questo l’ha resa intoccabile per i politici e i sindacati, e ha spinto il governo a essere accomodante. È emerso con chiarezza in un altro rapporto del Rivm, pubblicato ad aprile, in cui si legge che il governo e la Tata hanno dato più valore ai cavilli sui permessi per le emissioni che alla sicurezza della popolazione. L’atteggiamento in fatto di norme ambientali, però, sta cambiando e ora ci si chiede se la Tata terrà in vita la fabbrica anche se serviranno milioni di euro per bonificarla. “In passato, abbiamo dato più

peso agli interessi economici”, ha dichiarato Vivianne Heijnen, viceministra delle infrastrutture. “Ora abbiamo cominciato a dare più importanza ad altri aspetti, come quelli ambientali e sanitari”. Mentre la transizione ecologica costringe le aziende che usano combustibili fossili ad adattarsi a tecnologie più pulite e costose, cercando un equilibrio tra l’ambiente, la salute e i conti economici, presto Wijk aan Zee e altre cittadine vicine come IJmuiden potrebbero trovarsi al centro dell’attenzione. Dirk Weidema, 78 anni, può vedere l’acciaieria dal soggiorno di casa sua a IJmuiden, dove vive con la moglie da cinquant’anni. Ma solo quando è andato in pensione, dieci anni fa, Weidema si è accorto di quello che succedeva di giorno nel distretto industriale. “Vedevo enormi nubi di polvere nera levarsi dall’impianto”, racconta. “Mi chiedevo cosa fosse. Non l’avevo mai vista prima, perché durante la settimana lavoravo sempre e quanto tornavo a casa era buio”. Weidema ha deciso d’indagare. Sospettava che le nuvole nere fossero provocate dal coke, un ingrediente essenziale nella produzione dell’acciaio che si ricava riscaldando il carbone in assenza di aria. Quando il processo non avviene in modo fluido, produce nuvole nere tossiche come quelle dell’impianto della Tata. Weidema ha cominciato a documentare le emissioni della fabbrica e a inviare le prove alle autorità. Da allora l’azienda è stata multata più volte per l’emissione di residui tossici.

Altoforni chiusi Il modo più rapido per neutralizzare i rischi per la salute sarebbe chiudere i due altoforni attivi a IJmuiden. Questo però avrebbe effetti devastanti sull’azienda dal punto di vista finanziario, ha dichiarato Hans van den Berg, l’amministratore delegato della Tata Steel Nederland: secondo lui comprare il coke sul mercato invece di produrlo internamente potrebbe costare fino a 150 milioni di euro all’anno per ogni altoforno, e con la chiusura di un altoforno si perderebbero duecento posti di lavoro. Chiuderli entrambi, ha aggiunto, vorrebbe dire sbarazzarsi di “più della metà dell’azienda”. Negli ultimi anni però la Tata ha cambiato atteggiamento in seguito alle pressioni dell’opinione pubblica. Nel 2020 l’azienda ha annunciato l’intenzione di

MAROCCO

FISCO

Il re investe nelle startup

I vantaggi delle imposte

La holding reale marocchina Al Mada ha annunciato un investimento da capogiro in Africa, scrive Tel Quel. L’obiettivo sono le giovani startup africane. Questo nuovo mercato è diventato prioritario per gli investimenti marocchini nel continente, che sono passati da 366 milioni di dollari nel 2016 a cinque miliardi nel 2022. Il settimanale di Rabat spiega anche che Omar Laalej, ex responsabile del Cathay AfricInvest Innovation, un fondo che vale cento milioni di dollari, farà da tramite tra Al Mada e le startup, sperando così di “aprire la strada a molti altri investitori internazionali in Africa”. NEWSLETTER Economica è la newsletter settimanale a cura di Alessandro Lubello che racconta cosa succede nel mondo dell’economia. Per riceverla: internazionale.it/newsletter

Nanny Cay, Isole Vergini Britanniche

GETTY

diventare del tutto sostenibile, presentando un piano per catturare e immagazzinare l’anidride carbonica sottoterra e adottare poi una strategia per alimentare a idrogeno l’impianto entro il 2030. La Tata stava negoziando con il governo un aiuto finanziario per la sua transizione verde, ma la vittoria di Geert Wilders alle elezioni politiche di novembre potrebbe complicare la situazione. Il leader populista, in trattative per la formazione del nuovo governo, si oppone con forza alle misure per la difesa dell’ambiente. Vuole fermare la riduzione delle emissioni e “gettare nel tritarifiuti” gli accordi sul clima. La situazione è incerta. L’opinione pubblica è contraria all’impianto, ma il governo non è in grado di approvare misure per la sua sostenibilità ambientale: tutto questo potrebbe influenzare le decisioni della Tata sulla sua più grande acciaieria fuori dall’India. “Si chiedono se sono ancora i benvenuti”, dice l’amministratore delegato. Nel frattempo la Tata Steel Nederland ha annunciato il taglio di ottocento posti di lavoro. Di recente in una delle fabbriche ha installato un impianto di depolverazione, con una potenza pari a ventimila aspirapolvere casalinghi, per ridurre le emissioni di polvere, piombo e metalli pesanti. L’azienda ha dichiarato di voler prendere altri provvedimenti per diventare “un’acciaieria più pulita, verde e circolare”. Questi sforzi produrranno risultati in futuro, ma non ridurranno nell’immediato i rischi per la salute. Jeroen Olthof, il governatore della provincia Noord-Holland, è convinto che occorra agire in fretta. La Tata infrange i termini dei suoi permessi a ogni emissione di coke, ha dichiarato. Per questo Olthof vuole capire se sia possibile revocarle la licenza. È impossibile tuttavia slegare il ruolo di salvagente economico, che la Tata riveste per molte persone, dai danni di cui è accusata. Chi ha lavorato o lavora ancora per l’acciaieria ha paura di perdere il posto: i costi legati alla chiusura dell’impianto, si sostiene, non valgono i benefici per l’ambiente e la salute. Un ex dipendente in pensione dice che la chiusura sarebbe disastrosa per l’economia locale e potrebbe costringere molte persone a stabilirsi altrove. Weidema invece non ha mai pensato di andare via. “Vivo in questa casa dal 1971”, dice. “Dopo tutto questo tempo è difficile andarsene”. u gim

L’imposta minima globale, entrata in vigore il 1 gennaio 2024 negli Stati Uniti, nell’Unione europea e in altre grandi economie, farà crescere di un terzo le entrate provenienti dalle multinazionali in paesi come l’Irlanda e il Paesi Bassi, noti per il loro regime fiscale agevolato per le aziende. A questa conclusione, scrive il Financial Times, arriva uno studio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). L’imposta minima globale, un progetto avviato dall’Ocse, prevede un’aliquota minima del 15 per cento sugli utili delle multinazionali che hanno un fatturato di almeno 750 milioni di dollari. u

Micro Stefano Feltri

Il flop di Elon Musk La trasformazione di Twitter in X, voluta da Elon Musk, ha quasi dimezzato i ricavi pubblicitari. Secondo Bloomberg sono passati da 4,5 miliardi di dollari nel 2021 a 2,5 miliardi nel 2023. Con i servizi a pagamento per gli utenti – l’abbonamento mensile da tre dollari – il social network ottiene ricavi annuali per 3,4 miliardi di dollari, la metà di quanto previsto dalla gestione precedente. L’acquisto di Twitter ha dato a Musk ulteriore visibilità

e centralità politica in un anno elettorale importante come il 2024, e forse per lui è stato comunque un buon investimento (anche se 44 miliardi di dollari sono tanti perfino per una persona così ricca). Tuttavia, dal punto di vista imprenditoriale l’operazione sembra un disastro senza ritorno: la scelta di rimuovere filtri e moderazioni e di spingere la dimensione commerciale si è rivelata, come prevedibile, priva di senso economico. La pre-

senza di contenuti problematici da un punto di vista della reputazione allontana gli inserzionisti, mentre le gerarchie di contenuto dettate dall’esigenza di massimizzare i ricavi (più paghi più sei visibile) allontanano gli utenti. Intossicare il dibattito pubblico si è rivelato spesso un buon affare – chiedete a Rupert Murdoch con l’emittente televisiva Fox e i suoi giornali – ma Musk ha esagerato e ne paga il prezzo. u

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Lo shop di Internazionale

shop.internazionale.it

Peanuts, 1960 Charles M. Schulz, Stati Uniti

Buni Ryan Pagelow, Stati Uniti

War and Peas E. Pich e J. Kunz, Germania

Strisce

Mafalda, 1964 Quino, Argentina

PEANUTS ©PEANUTS WORLDWIDE LLC. DIST. DA ANDREWS MCMEEL SYNDICATION. RIPRODUZIONE AUTORIZZATA. TUTTI I DIRITTI RISERVATI

© 2023, SUCESORES DE JOAQUÍN S. LAVADO (QUINO)

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L’oroscopo

Rob Brezsny Tutti attraversiamo fasi che ci sembrano più faticose e pesanti di altre. In quei momenti, i ritmi e le melodie della nostra vita ci appaiono più grigi. La buona notizia è che nel 2024 voi Capricorni incontrerete meno rallentamenti del solito. Vi vedremo spesso al vostro meglio e i doni e le benedizioni che ci offrite fluiranno in abbondanza verso di noi. Quindi non è un caso se nei prossimi mesi ti sentirai eccezionalmente amato. P.s. Il modo migliore per rispondere all’apprezzamento che ricevi è diventare ancora più generoso.

ARIETE

Il chimico dell’Ariete Percy Lavon Julian (1899-1975) è stato un pioniere nella creazione di medicine estratte dalle piante. Ha brevettato più di 130 farmaci e ha gettato le basi per la produzione di cortisone e pillole anticoncezionali. Julian era nero e ha dovuto lottare senza sosta contro il razzismo che incontrava. Lo considero un esponente esemplare della tua tribù, Ariete, perché ha sempre incanalato il suo impulso guerriero verso fini costruttivi. Lasciati ispirare da lui nelle prossime settimane. Non ti limitare ad arrabbiarti. Sfrutta il tuo forte temperamento per collezionare trionfi.

ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI

TORO

L’attore del Toro Pierce Brosnan dice: “Hai problemi con i soldi. Hai problemi senza soldi. Hai problemi in amore. Hai problemi senza amore. La vita è così. Devi andare avanti, divertirti e vivere con stile”. Brosnan intende dire che la difficoltà è un elemento fondamentale nella vita quotidiana, una presenza di cui essere sempre consapevoli. Se pensi che la sua teoria sia esagerata, ho una buona notizia per te: i prossimi mesi potrebbero essere meno faticosi del solito. Davanti a tanta facilità e grazia, spero che riderai e vivrai con stile anche senza essere motivato da una lotta incessante. GEMELLI

L’autore e attivista dei Gemelli William Upski Wimsatt è uno dei miei modelli. In parte perché condivide i miei ideali politici progressisti e s’impegna a convincere i giovani a votare per

candidati che promuovono la giustizia sociale. Inoltre perché aspira ad avere diecimila modelli diversi, non solo famosi, ma tanti geni compassionevoli che cercano di rendere il mondo più simile al paradiso. Le prossime settimane saranno un ottimo momento per cercare nuovi modelli, caro Gemelli. Ti consiglio di guardarti intorno per trovare nuovi mentori, maestri e guide stimolanti. CANCRO

Voglio che tu esaudisca i tuoi desideri. Non credo che i desideri siano lussi privi di spiritualità che ci distolgono dall’illuminazione. Al contrario, credo che siano segnali sacri che ci guidano verso verità più alte. Ti offro quattro suggerimenti per migliorare la tua ricerca nei prossimi mesi. 1) Alcuni dei tuoi desideri potrebbero essere versioni distorte o superficiali di altri più profondi e sacri. Fai del tuo meglio per trovarli. 2) Per aiutarti a esprimere i tuoi desideri, immagina di averli già realizzati. 3) Accetta il fatto che quando raggiungerai ciò che vuoi, la tua vita cambierà in modo imprevedibile. 4) Ricorda che è più probabile che gli altri ti aiutino a realizzare i tuoi desideri se non sarai troppo avido.

tesi, solo mezza verità e, se fosse onesto, dovrebbe riconoscere la sua inadeguatezza”. Forse questo lo sai già, Leone. Ma viviamo in una società piena di gente che apprezza la ragione più dei sentimenti. Quindi è essenziale ricordarti sempre la verità, soprattutto in questo momento. Per prendere decisioni giuste, devi rispettare i tuoi sentimenti quanto la tua ragione. VERGINE

Il poeta Rainer Maria Rilke ha spesso decantato il piacere del sesso. Si rammaricava del fatto che tanti “sprecano questa esperienza usandola come uno stimolante nei momenti di stanchezza della loro vita e come una distrazione, invece che considerarla una strada per raggiungere sensazioni esaltanti”. Al suo meglio, diceva Rilke, il sesso ci dà “la conoscenza del mondo, la pienezza e la gloria di sapere tutto”. È una preghiera sublime, un’opportunità per percepire la sacra comunione a ogni livello. Questa è l’esperienza erotica che ti auguro nelle prossime settimane, Vergine. E credo che avrai più possibilità del solito di viverla. BILANCIA

Anche se hai già un coniuge o un compagno, ti consiglio di prendere in considerazione l’idea di proporre il matrimonio a un’altra persona: te stessa. Sì, cara Bilancia, credo che i prossimi mesi saranno il momento migliore per sposarti con la tua preziosa anima. Se sei abbastanza coraggiosa e folle da compiere questa audace scelta, dedicati a essa con smodato abbandono. Comprati una fede, scrivi le promesse, organizza la cerimonia e vai in luna di miele. Se vuoi trovare ispirazione, leggi il mio articolo “I me wed” su tinyurl.com/selfmarriage.

LEONE

Credo che lo psicologo del Leone Carl Jung (18751961) fosse un genio con una mente superiore. Ecco cosa diceva: “Non dovremmo pretendere di capire il mondo solo con la ragione. Lo comprendiamo anche con i sentimenti. Perciò il giudizio della ragione è, nella migliore delle ipo-

SCORPIONE

Parlare di un problema può essere utile ma nella maggior parte dei casi dovrebbe essere preliminare all’azione concreta, non un sostituto dell’azione stessa. Di tanto in tanto, però, ci sono delle eccezioni. Il semplice dialogo, se fondato sul rispetto reciproco, può

essere sufficiente a superare l’impasse. I prossimi giorni saranno un buon momento per questo, Scorpione. Sono sicuro che tu e i tuoi alleati troverete una via d’uscita dalle difficoltà. SAGITTARIO

Il fumettista del Sagittario Charles M. Schulz (19222000) una volta scrisse: “La mia vita non ha uno scopo, non ha una direzione, non ha un obiettivo, non ha un significato, eppure sono felice. Non capisco. Cosa sto facendo di giusto?”. Sospetto che nel 2024 potresti attraversare una breve fase simile alla sua: sentirti vuoto eppure abbastanza soddisfatto. Ma non durerà. Alla fine cercherai un nuovo scopo. Mentre tenti questa riscoperta, sboccerà un nuovo tipo di felicità. Per ottenere risultati migliori, sii disposto a superare le tue vecchie idee su ciò che ti dà gioia e ti gratifica. ACQUARIO

Nell’autunno del 1903, il New York Times pubblicò un articolo che ridicolizzava i tentativi di realizzare macchine volanti dicendo che una tecnologia così rivoluzionaria era lontana almeno un milione di anni, forse anche dieci. Concludeva affermando che c’erano modi migliori per applicare il nostro ingegno che lavorare a un’invenzione così improbabile. Nove settimane dopo, Orville e Wilbur Wright confutarono quella tesi, realizzando il primo volo con l’aeroplano che avevano costruito. Sospetto che anche tu, Acquario, sia pronto a confutare un’aspettativa o una previsione sui tuoi presunti limiti, dopodiché cerca di non gongolare troppo. PESCI

Il tuo sudore e le tue lacrime sono ricompensati con dolci e applausi. Il tuo diligente lavoro sta portando a grandi risultati che producono sollievo e liberazione. La disciplina che hai imbrigliato con tanta disinvoltura sta generando cambiamenti. Congratulazioni, caro Pesci! Non esitare ad accogliere i nuovi privilegi che ti si presentano. Questi ricchi dividendi te li sei guadagnati.

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internazionale.it/oroscopo

CAPRICORNO

COMPITI A CASA

Concediti sane ossessioni, non pulsioni melodrammatiche o smanie estenuanti.

DILEM, ALGERIA

L’ultima

BÉNÉDICTE, SVIZZERA

Elezioni a Taiwan: cosa farà la Cina? “Prima di tutto identificare questo oggetto”.

CHAPPATTE, SVIZZERA

Trump vince le primarie repubblicane in Iowa.

Francia, intanto a casa Macron. “Gabriel è contento del suo governo?”. “Ah non so. Bisognava chiederglielo?”.

KOREN

URBS, FRANCIA

Il Sudafrica accusa Israele di genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia. “Non permettetegli di commettere genocidio!”. “Non permettetegli di usare quella parola!”.

“Vedrete, questa casa ha un fascino da fiaba”.

Le regole Portare i figli al parco 1 Il parco più attrezzato è quello con un bar per i genitori. 2 Non c’è bisogno di fare lo scivolo insieme a tua figlia. 3 Se vuoi evitare il giudizio degli altri, porta una merenda decente. 4 La svolta è quando i bambini imparano a spingersi da soli in altalena. 5 Quando due bambini si picchiano è brutto, quando lo fanno due genitori è peggio.

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