Il pensiero di María Zambrano 8884202841, 9788884202840

Il volume raccoglie gli atti del Convegno tenutosi a Udine in occasione del centenario della nascita di María Zambrano:

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Italian Pages 208 [198] Year 2006

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Il pensiero di María Zambrano
 8884202841, 9788884202840

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Atti del Convegno Internazionale di Studi “Il pensiero di María Zambrano” nel I centenario della nascita Udine, 5-6 maggio 2004 La presente pubblicazione è stata realizzata con il contributo di Consorzio Universitario del Friuli (CUF) Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR)

Redazione María Dolores Roldán Chacón Grafica di copertina cdm/associati In copertina Francisco Goya, Los fusilamientos, 1808 (olio su tela). Museo del Prado, Madrid.

Università degli studi di Udine

© FORUM 2005 Editrice Universitaria Udinese srl Via Palladio, 8 – 33100 Udine Tel. 0432 26001 / Fax 0432 296756 www.forumeditrice.it

ISBN 88-8420-284-1

IL PENSIERO DI MARÍA ZAMBRANO A CURA DI LAURA SILVESTRI

FORUM

INDICE

LAURA SILVESTRI

Introduzione ELENA LAURENZI Il sapere dell'anima. Maria Zambrano e José Ortega y Gasset

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GIUSEPPE CACCIATORE

Maria Zambrano: la storia come "delirio" e "destino" ELIDE PrTTARELLO

Stile e pensiero in Maria Zambrano. (Note su alcune varianti di Delirio e destino) CHANTAL MAILLARD

La violencia de la palabra. Algunas consideraciones acerca del origen de la poesia y la filosofia FEDERICA CANESTRI

Las Parcas: inedito ritrovato PrNA DE LucA

La pietà di Antigone ANNA PANICALI

L'ombra di Antigone CARMEN REvrLLA

Lugares de la visibilidad en la obra de Maria Zambrano CARLO FERRUCCI

Maria Zambrano: un esistenzialismo estetico

8

lNDlCE

LAURA S!LVESTRI Espaiia, suefìo y verdad

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VrNCEKZO VmELLO Il Sacro e il Nulla. Religione e nichilismo in Maria Zambrano

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Autori

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INTRODUZIONE di Laura Silvestri

Maria Zambrano (Vélez-Malaga 1904- Madrid 1996) è una delle voci più inte­ ressanti e originali del panorama filosofico e letterario spagnolo del Novecento che solo in questi ultimi anni ha avuto la fama che meritava. Le ragioni di que­ sto ritardo sono da cercare nell'apparente difficoltà del suo pensiero, situato a metà strada - come indica il titolo di una delle sue prime opere - tra filosofia e poesia. Per lei il filosofo non è l'autorità che somministra la verità, ma una fi­ gura che prende per mano coloro che partecipano della sua stessa situazione vi­ tale. Ne deriva che molti dei suoi testi si offrano come " guide" - il genere che, arrivato in Spagna dall'Oriente, è costituito più da immagini creative che non da logica argomentativa -, risultando comunicativi ed enigmatici al tempo stes­ so. Non stupisce quindi che la sua sia stata definita una "filosofia visionaria " . L'autrice infatti sembra suggerire più di quanto non dica, conducendo il letto­ re non tanto a condividere un sapere, quanto ad assimilare un 'esperienza di au­ to-conoscenza. Pensare, per Maria Zambrano, significa innanzi tutto " decifrare ciò che si sente " . E lo fa con una scrittura ellittica, spesso bruscamente interrotta, che ob­ bliga a cercare il significato come si fa con la poesia: sovrapponendo e con­ frontando le varie immagini. Il risultato è un linguaggio completamente rinno­ vato in cui ogni parola si libera dall'uso scontato per mostrare il mondo e l'e­ sperienza sotto una luce che, come l'aurora - simbolo ricorrente nella sua ope­ ra -, preannuncia un nuovo tipo di sapere e un modo nuovo di stare al mondo. Sorto dagli impervi meandri del cuore, questo sapere mette in discussione tut­ te le certezze (a cominciare dal predominio della ragione astratta e strumenta­ le) , favorisce l'autonomia, libera dai condizionamenti e permette a ciascuno di comprendere meglio la propria condizione di uomini e donne. È appunto per analizzare la ricchezza del pensiero di Maria Zambrano che in occasione del centenario della sua nascita, specialisti di filosofia e letteratu­ ra, provenienti da varie parti, si sono riuniti al Dipartimento di Lingue e Let­ terature Germaniche e Romanze dell'Università di Udine.

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LAURA SILVESTRI

I punti di vista, diversi e complementari, emersi durante l'incontro hanno mostrato che, seppure complessa e frammentata, l'opera dell'autrice contiene un'estrema coerenza interna. Un'opera, bisogna aggiungere, che pur radicata profondamente nella cultura spagnola, si apre alle istanze più universali. Si è esaminato il rapporto dell'autrice con Ortega y Gasset alla luce delle straordinarie trasformazioni compiute dall'allieva nei confronti delle idee del maestro. Si è parlato del suo esistenzialismo estetico: ovvero del dialogo inin­ terrotto che la sua filosofia intrattiene con l'arte e, in special modo, con la let­ teratura. Si è ricordato il suo impegno etico, sottolineando che di fronte al ma­ le, mostratosi nelle sue forme più crudeli, Maria Zambrano ha sentito l'urgen­ za di ripensare una tradizione che, pur impregnata di "umanesimo" , non ha sa­ puto salvaguardare i valori fondamentali dell'esistenza. Si è insistito su uno dei testi a lei più cari, La tomba di Antigone, la cui protagonista, che rappresenta il risveglio della coscienza alla temporalità, si offre come il modello esemplare di quel pensiero poetante che caratterizza tutta l'opera di Maria Zambrano. Ci si è soffermati anche su Delirio e destino, la sua autobiografia sui generis, per sot­ tolineare come per lei risulti impossibile chiudere la vita in una forma fissa e al­ lo stesso tempo sia necessario trovare in essa delle strutture ricorrenti che la rendano comprensibile. Si è analizzata, inoltre, l'opera inedita Las Parcas per sottolineare ancora una volta l'importanza di tutto quanto sfugge alla pura ra­ zionalità e affermare l'essere umano come enigma da decifrare e insieme come qualcosa da realizzare: né mera natura biologica né semplice autocoscienza, ma essere dotato di anima e quindi con una vocazione estatica. Dove per " estasi " bisogna intendere la necessità di proiettarsi fuori di sé, motivata in ciascuno dalla coscienza tragica della propria finitezza. Si sono sottolineati altresì i mo­ di attraverso i quali l'autrice rende visibili "las entraiias" , vale a dire le zone oscure e segrete dell'esistenza. E si è analizzata pure la sua concezione del sa­ cro, messo in relazione con il Nulla originario, indeterminato e al tempo stesso perfetto. Nel colmare il divario tra pensare e sentire, Maria Zambrano ha offerto l'oc­ casione per riflettere sui problemi fondamentali dell'esistenza, soprattutto per­ ché la sua opera attira continuamente l'attenzione su ciò che è propriamente umano. Vale a dire la "necessaria libertà" che porta ogni individuo all'incontro con se stesso, spronandolo a vivere consapevolmente la vita che gli è stata da­ ta, a sentire la fitta e infinita trama del reale e a rinsaldare i molteplici legami che lo uniscono agli altri e al mondo.

IL SAPERE DELL ANIMA MARfA ZAMBRANO E }OSÉ ORTEGA

y

GASSET

di Elena Laurenzi

Premessa n lavoro storiografico degli ultimi anni ha messo in luce che i contributi delle donne alla filosofia sono molto più numerosi di quanto la critica tradizionale facesse pensare: " se affrontiamo il problema dal punto di vista del concreto co­ stituirsi della tradizione filosofica occidentale - ha scritto Michela Pereira - l'e­ spulsione delle donne dalla discussione filosofica, se pure perseguita con tena­ cia da parte dei filosofi, appare più complessa e meno netta di quanto gli studi teoretici inducano a pensare " 1 • L'invisibilità delle donne nella filosofia è deter­ minata da un aspetto fondamentale della loro emarginazione: la mancanza di trasmissione. Come segnala Fina Birulés, anche quando la parola filosofica del­ le donne è riuscita a oltrepassare il muro dell'esclusione non si è tradotta in me­ moria, non si è articolata in una tradizione: "En este ambito parece que cada nueva autora debe reiniciar el discurso como si no existiera una tradici6n en la cual insertarse, como si estuviera situada en un espacio amundano, ac6smico, sin pasado ni futuro "2• Come è possibile rintracciare una tradizione femminile all'interno di una storia della filosofia che si presenta come un continuum strutturato sulla tra­ smissione maschile, e in cui le donne sono spesso intervenute mimetizzandosi, aderendo a una supposta qualità neutra del pensiero ?3 Fina Birulés propone di affrontare la storia della filosofia delle donne attraverso il "paradigma indizia­ rio " coniato da Carlo Ginzburg: rileggendone i testi con l' attenzione rivolta a

1 M. PEREIRA,

Coscienza femminile e filosofia, in "Segni e Comprensione" , 14 (1991), p. 58. BmULES, Indicios y /ragmentos: historia de la filoso/fa de las mujeres, in RM. RoDRfGUEZ MAG­ DA (a cura di), Mujeres en la historia del pensamiento, Barcelona, Anthropos, 1 997, pp. 1 8- 19. 3 Cfr. F. CoLLIN , La disputa della differenza: la differenza dei sessi e il problema delle donne in fi­ losofia, in G. DuBY e M. PERROT, Storia delle donne in Occzdente, Il Novecento, Laterza, 1996, vol. V, p. 3 06. 2 F.

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ELENA LAURENZI

dettagli, gesti stilistici, questioni apparentemente secondarie, ma utili ad indi­ viduare lo scarto che distingue una pensatrice dalla tendenza filosofica domi­ nante in una scuola o in un sistema. Sotto questo profilo, risulta particolar­ mente utile analizzare il rapporto tra le filosofe e i loro "maestri " in una ottica non assimilatoria, che mostri la prossimità ma anche la distanza. Osservando la cospicua presenza femminile nella scuola fenomenologica di Husserl agli inizi del secolo, per esempio, Angela Ales Bello invita a non pensare questa accetta­ zione del metodo fenomenologico come una pedissequa ripetizione, ma come una scelta che spesso si sviluppa seguendo linee di ricerca, tematiche o ap­ procci originali, in un progressivo - a volte conflittuale - distacco dalla scuola e dal maestro. Seguendo queste indicazioni, questo saggio intende fornire un contributo critico alla lettura del tema del "sapere dell 'anima " attraverso l'esplorazione del contesto filosofico in cui Maria Zambrano si forma - la filosofia spagnola ed eu­ ropea degli anni Venti e Trenta -, e l'approfondimento del suo rapporto con il "maestro " }osé Ortega y Gasset. li tema dell'anima è centrale per comprende­ re i motivi che legavano Maria Zambrano alla scuola orteghiana e al contempo le ragioni filosofiche della sua distanza e dello sviluppo assolutamente origina­ le della sua filosofia.

V incubus dell'anima

Come è noto, il saggio Hacia un saber sobre el alma, dove germina l'idea anco­ ra inespressa della ragione poetica4, segna anche una distanza tra Maria Zam­ brano e Ortega. Come ricorda la stessa Maria Zamb rano in un'intervista a An­ tonio Colinas , fu quel saggio che, addentrandosi in luoghi del pensiero in cui Ortega non volle mai addentrarsi, segnò la fine del prop rio "discepolato tota­ le " . Ortega, da buon maestro, percepì prima dell'allieva la novità dell ' approc­ cio di lei e la distanza che già la separava dalla linea della filosofia che lui inse­ gnava: "estamos todavia aqui y usted ha querido dar el salto al mas alla" fu la ' sua abbiezione:

4 "También no querda , me duele, cuando se olvida que he descubierto o se me ha descubierto tres modos de raz6n: la raz6n cotidiana (y esto esta reconocid o ) , la raz6n mediadora, que apare­ ce en el prologo de El pensamiento vivo de Séneca, y la raz6n poética, que siendo quiza la mas ge­ neradora aparece en un ensayo llamado Hacia un saber sobre el alma [ . ] Ahi esta la raz6n poé­ tica ya , pero yo no me da ba cuenta " . M. ZAMBRANO, A modo de autobiografia, in " Anthropos " , 70-71 (1987), p. 71; trad. di E. Laurenzi in " aut aut", 279 (1997). ..

IL SAPERE DELL'ANIMA. MARiA ZAMBRANO E JOSÉ ORTEGA Y GASSET

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Exactamente. Desde este momento. Y o sali llorando por l a Gran Via, al ver la acogi­ da que encontr6 en Don José lo que yo creia que era la raz6n vital. Y de ahi parten algunos de los malentendidos con Ortega que me estimaba, que me queria. No lo puedo negar. Y yo a él. Pero habia como una imposibilidad [ . . . ] Luego puede decir­ se que no faltaban las coincidencias. Los dos seguimos el rastro de la Aurora, pero cada uno de una aurora distinta (o de la misma aurora, pero vista de otra manera)'.

Non è possibile discutere qui il significato di questa separazione di orizzon­ ti tra la " aurora de la raz6n poética" e la " aurora de la raz6n hist6rica" , tema al quale Ortega lavorava proprio negli anni in cui Maria Zambrano scriveva il suo Hacia un saber sobre el almé. Secondo questa testimonianza di Maria Zambra­ no, comunque, è la sua riflessione sull"' anima" prima che quella sulla storia, a marcare la distanza da Ortega. Eppure, in un importante inedito in cui riper­ corre i momenti salienti e le svolte fondamentali del proprio cammino filosofi­ co, Maria Zambrano afferma che proprio Ortega, con il saggio Vitalidad, alma y espiritu, l'aveva ispirata a una "meditaci6n religiosa sobre el alma " ; ma subi­ to aggiungeva: "mas yo al espfritu nunca he llegado, porque nunca partf del idealismo aleman "7• La annotazione mostra dunque un punto di incontro e una distanza. Se la riflessione sull' anima attinge alla concezione antropologica orte­ ghiana, nella rielaborazione di Maria Zambrano la supremazia dello spirito vie­ ne messa radicalmente in questione. li saggio Vitalidad, alma y espiritu viene pubblicato nel 1 924 , nel periodo in cui Ortega compone i suoi saggi di antropologia filosofica riflettendo, in linea con il fenomenologo tedesco Max Scheler, sulla costituzione psicologica del­ l' essere umano in rapporto alla sua condizione metafisica. Vitalzdad, alma y espiritu risponde al progetto di " dibujar la gran topografia de nuestra intimi­ dad "8 al fine di elaborare una visione organica dell'umano, superando sia la di­ cotomia corpo-mente propria dell'idealismo sia l' approccio "meccanicistico ed atomistico " della teoria freudiana. Per Ortega l'essere umano deve essere inte­ so come una struttura flessibile in cui i contorni tra una dimensione e l'altra, tra facoltà considerate superiori e inferiori, sono mobili e penetrabili cosicché "no

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M. ZAMBRANo, Conversaci6n con Antonio Colinas, in "Los cuademos del Norte", 38 ( 1986) , p. 6. 6 Sulla distanza filosofica tra Maria Zamhrano e lo storicismo di Ortega cfr. E. LAURENZI, La af­ ferenza tra i sessi al cuore della crisi europea, in AA.VV., Actas del Congreso Internacional del cen­ tenario de Maria Zambrano, Fundaci6n Maria Zamhrano, Vélez Malaga, 2005, pp. 28 1 -29 1 . 7 M . ZAMBRANO, Para entender la obra de Maria Zambrano, inedito dell'l l agosto 1987, Funda­ ci6n Maria Zamhrano, Caja 1 3 , n. 442 . 8 J. 0RTEGA Y GASSET, Vitalidad, alma y espiritu, in In., Obras Completas, Madrid, Revista de Occidente, 1 946, Il, p. 453 .

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ELENA LAURENZI

hay modo de determinar donde nuestro cuerpo termina y donde comienza nue­ stra alma": Lo mas sublime de nuestra persona se halla unido estrechamente a ese subsuelo ani­ mal, sin que tenga sentido fijar una linea o frontera que separa lo uno de lo otro. Nuestra persona toda, lo mas noble y altanero, lo mas heroico de ella, asciende de ese fondo oscuro y magnifico, el cual, a su vez, se confunde con el cuerpo9•

All a base della psicologia umana Ortega individua l"' alma corporal" o " al­ ma carnai" o ancora "vitalidad ": una sorta di patrimonio energetico che è " ci­ miento y rafz de nuestra persona " . È in questa parte dell'anima che avvolge il corpo fino a sfumare i propri confini con esso, che Ortega individua "las rafces de nuestro canicter" . Ma, cosa ancor più importante, la stessa coscienza emer­ ge nell"'intracuerpo " , e ha origine in una "inversi6n bacia adentro de la aten­ ci6n " quale si verifica nei casi di malattia, quando "empieza a ser problema lo que en el hombre saludable no lo es nunca; su cuerpo interior" . Richiamando­ si alle teorie biologiche di Uezkhull e di Claude Bernard, Ortega si avvicina dunque a quella che Michel Foucault ha denominato "filosofia dell'errore": una filosofia che concepisce l'attività conoscitiva come un sistema per risolve­ re le tensioni con l'ambiente, la risposta che la vita dà a una possibilità di erro­ re insito nella vita stessa10• "La salute è la vita nel silenzio degli organi " , soste­ neva Claude Bernard; solo dall'ostacolo alla salute, dalla malattia, si sviluppa la coscienza. Ortega scrive, a questo proposito: La percepcion del intracuerpo, motivada por anomalias fisiologicas, ha sido proba­ blemente el pedagogo que ha enseiiado al hombre a revertir la direccion espontanea de su fuerza atencional. Iniciada asi la conversion, educada y afinada, pudo luego pe­ netrar hasta lo psiquico y lo espiritual. No es por azar que casi todos los hombres de intensa y rica vida interior - el mistico, el poeta, el filosofo - son un poco enfermos de su intracuerpo. En éste, como en tantos otros casos, la cultura se ha logrado me­ diante el aprovechamiento de lo que, biologicamente, es patologico y un valor nega­ tivo11.

9 Ibid. 10 M. FoUCAULT, George Canguilhem /iloso/o dell'errore, in "Quaderni Piacentini" , marzo 1995 . 1 1 J. 0RTEGA Y GASSET, Vitalidad, alma y espiritu, cit., p. 458. Questo tema della malattia come

esperienza necessaria per l'emergere dell'attività riflessiva è centrale anche per Maria Zambrano, che proprio nei mesi in cui Ortega componeva il suo saggio ne faceva esperienza a causa della tubercolosi che la costringeva a un anno di assoluto riposo inducendola a una profonda medita­ zione filosofica sulla vita, la morte e la nascita; cfr. M. ZAMBRANO, Delirio y destino, Madrid, Mon­ dadori, 1 989; trad. di S. Marcelli e R. Prezzo, Cortina, Milano, 2000. A partire dagli anni Qua­ ranta, il tema della malattia riappare frequentemente nei suoi testi, intrecciato con la riflessione

IL SAPERE DELL'ANIMA. MARiA ZAMBRANO E JOSÉ ORTEGA Y GASSET

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Nel procedere del testo, però, Ortega ristabilisce una separazione e una ge­ rarchia tra l'ambito dell'anima (composto dalla "vitalità" e dall' " anima " pro­ priamente detta, "la regi6n de los sentimientos y emociones, de los deseos, de los impulsos y apetitos " ) e quello dello spirito. Se l'anima rappresenta "el ci­ miento y la raiz " della persona, lo spirito è " su centro ultimo y superior" , poi­ ché solo allo spirito può attribuirsi l'attività cosciente per antonomasia, quella che si esprime nel pensiero e nella volontà: "ni con el cuerpo, ni con el alma sensu strictu se piensa " 12 . L'anima, con i suoi moti, deve dunque sottomettersi ai superiori dettami del­ lo spirito che governa sulle inclinazioni, sui sentimenti, sui desideri come un "monarca riguroso de un Estado inquieto ": "'Mis' impulsos, inclinaciones, amores, odios, deseos, son mios, pero no son 'yo'. El 'yo' asiste a ellos como espectador, interviene en ellos como jefe de polida, sentencia sobre ellos como juez, los disciplina como capitan " 13• Le metafore utilizzate in questo passo lasciano emergere tutto il terror pa­ nico che il filosofo avverte di fronte alla potenza del sentire: un complesso pre­ potente e pericoloso, da tenere sotto stretto controllo, perché non ostacoli l' at­ tività dello spirito. Terrore che spiega le aporie del testo, quando, contraddi­ cendo in modo quasi speculare le sue stesse premesse, Ortega ristabilisce un rapporto di proporzione inversa tra attività animica e attività dello spirito, af­ fermando che lo sviluppo dello spirito richiede un ottundimento dell'anima, un'aridità interiore: "El hombre muy inteligente suele ser [ . . ] de intimidad su­ mamente seca. Es muy dificil ser a la vez sensible y racional " 14. In questa concezione del rapporto tra anima e spirito è centrale l'assimila­ zione dell'anima al principio femminile e dello spirito al principio maschile che Ortega propone in altri saggi, replicando i termini della Metafisica dei sessi che in quegli stessi anni illustri intellettuali europei come Simmel e Jung andavano sviluppando, e che trovava ampio spazio nelle pagine della sua " Revista de Oc­ cidente " 15 . .

sulla crisi dell'Europa e sull'esilio. Come la malattia, anche l'esilio rappresenta uno scollamento dal mondo comune e la disintegrazione di una forma data per scontata. Ma proprio questa di­ sgregazione apre, d'accordo con Nietzsche, una inedita capacità di visione, "la visi6n prometida al que se qued6 afuera" . Cfr. M. ZAMBRANo, Los bienaventurados, Madrid, 1990, p. 3 3 ; trad. di C. Ferrucci, Milano, Feltrinelli, 1995 . 12 J. OR.TEGA y GASSET, Vitalidad, alma y espiritu, cit., p. 46 1 . B Ibid. , p. 463 . 14 Ibid. , p. 464. 15 Nella decade degli anni Venti la "Revista de Occidente" riprende e riassume i termini della di­ scussione europea, pubblicando due saggi di Simmel, Lo masculino y lo /eminino ( 1 923 ) e Cul­ tura /emenina ( 1 925 ) , il saggio di Jung La mujer en Europa ( 1 929) e contributi di redattori e col-

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ELENA LAURENZI

Elaborando le linee di una filosofia del carattere (la " caratteriologia" ) Orte­ ga riprende la tesi di Simmel circa il " dualismo radicale " tra principio maschi­ le e principio femminile che fonderebbe a livello antologico la differenza di ca­ ratteri e la conseguente necessaria separazione delle sfere di azione tra uomini e donne16• Nelle donne, afferma, "predomina el alma, tras de la cual va el cuer­ po, pero muy raramente interviene el espfritu " 17• La donna vive perciò "embo­ scada en su alma " , soggetta al dominio incontrollato e capriccioso del deside­ rio, simile, in questo, all'adolescente e ai popoli giovani18• La psicologia del rap­ porto spirito-anima serve a Ortega per ratificare la separazione della sfera pub­ blica da quella privata e l'assimilazione delle donne a quest'ultima. Mentre lo spirito vive nel mondo obiettivo della Verità e della Norma, un "orbe universal y transubjetivo " , l'anima è la "morada" dell'individualità, il " recinto privado frente al resto del universo que es, en cierto modo, regi6n de lo publico " . Un centro di attrazione, dotato di tutto l'ambiguo potere "femminile " di seduzio­ ne e perversione: " ciudadela y hogar" , ma al tempo stesso "prisi6n y mazmor­ ra " in cui l'essere umano rischia di restare prigioniero. Toni e argomenti analoghi si trovano nel saggio di Jung Los arquetipos del inconsciente colectivo. Pur riconoscendo che l'anima è origine e fonte della co­ scienza, anche Jung ne sancisce la subordinazione allo spirito che su di essa de­ ve esercitare la propria "patria potestas " 19• Comune ad Ortega e a Simmel è inoltre la connotazione dell'anima con gli attributi topici e ben noti dell"' eter­ no femmineo " : Jung identifica questo " ser femenino magico que llamamos ani­ ma" con le ondine, le sirene, le fate, ma anche con quelle creature capricciose che " seducen a los j6venes y agotan su vi da" ; l' anima è anche quindi "incubus " , "bruja" , "intriga y engaiio " . È vero che Jung riconosce che esiste una sabiduria dell'anima dotata di una propria ragione ( "nuestra mala raz6n mas perso-

laboratori spagnoli, come Gregorio Marafi6n (Notas para la biologia de Don Juan, Sexo y trabajo, Nuevas ideas sobre el problema de la intersexualidad y sobre la cronologia de las sexos), Pérez de Ayala (Sobre las mujeres, el amor y don ]uan) , Ricardo Baeza (Memorias de Jaques Casanova) . Tra il 1 923 e il 1 926, anche Ortega pubblica un numero cospicuo di saggi dedicati al rapporto amo­ roso, raccolti successivamente in Estudios Sobre el Amor, Espasa Calpe, Argentina, 1939 (Ma­ drid, Alianza, 1 980) . 16 G. SIMMEL, Lo masculino y lo /eminino, in "Revista de Occidente" , II (1923 ) . 17 J. 0RTEG A Y GASSET, Vitalzdad, alma y espiritu, cit., p. 473 . 18 Ibid., p. 474 . Per la assimilazione delle donne ai "popoli giovani" in un'ottica svalorizzante che riassume pregiudizi colonialisti e sessisti cfr. anche J. 0RTEG A Y GASSET, Meditaci6n del pueblo jo­ ven, in ID., Meditaci6n del Pueblo ]oven y Otros ensayos sobre América, Madrid, Alianza, 198 1 , pp. 209-233 . 19 C. G. }UNG, Los arquetipos del inconsciente colectivo, in "Revista de Occidente" , 1 5 7 ( 1 936).

IL SAPERE DELL'ANIMA. MARiA ZAMBRANO E JOSÉ ORTEGA Y GASSET

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nal " )20• A uno studio " serio y pesado" , ammette, l' anima manifesta " algo asi co­ mo un designio secreto, que parece nacer de un conocimiento superior de las leyes vitales " . Ma ancora una volta, questa " sabiduria" non ha dignità filosofi­ ca, e anzi appare come pura follia finchè lo spirito non la interpreta, ricondu­ cendola, attraverso la analisi, nelle categorie concettuali: Sabiduria y locura aparecen en el ser silfideo como una y la misma cosa, y lo son mien­ tras esttin en el tinima [ ... ] el anima, y con ella la vida, carecen propriamente de si­ gnificacion, pero poseen un ser interpretable [...] Para darse cuenta de ello hace fal­ ta la razon discriminante del hombre, que todo lo disuelve en juicios antinomicos21•

Rispetto a queste dissertazioni sull'anima, Maria Zambrano sposta decisa­ mente il piano del discorso. n suo saggio non nasce dal bisogno di interpreta­ re l'anima quasi a voleme arginare la potenza, ma da quello di dar voce ai suoi moti e alle sue ragioni. La sua scommessa è la ricerca di un pensiero capace di spingersi nelle dimensioni del sentire a lui sconosciute senza colonizzarle, sen­ za assumerle a una sovrastruttura logica e dicotomica: "pensar es descifrar lo que se siente " .

n sapere dell'anima

Tuttavia, quando Maria Zambrano dichiara di aver scritto Hacia un saber sobre el alma convinta di star "haciendo raz6n vital " , il suo non è un vezzo. Il saggio riflette in modo chiaro il comune punto di partenza da Ortega, e forse proprio per questo colpì la sensibilità del maestro che, pur accettando di pubblicarlo, lo accusò di "falta de objetividad "22 • Fin dalle prime pagine del testo, Maria Zambrano riconosce d i poter "vi­ slumbrar" una inedita conoscenza delle cose dell'anima proprio grazie al nuo­ vo orizzonte filosofico aperto da Ortega, che superando i limiti del razionali­ smo e del vitalismo, permette di accedere a una "idea de la raz6n integra " , "la raz6n de toda la vida del hombre "23• Comune a Ortega è anche la presa di di­ stanza sia dalla psicologia scientifica di matrice positivista sia dalla psicoanalisi freudiana, accusata di replicare il dualismo tra coscienza e "natura" , limitan-

20 Ibid., p. 37. 21 Ibid. , p. 39.

22 M. lAMBRANo, Para entender la obra de Maria Zambrano, cit. 26; trad. diR Prezzo, Milano, Cor­ tina, 1 998.

23 In., Haeia un saber sobre el alma, Madrid, Alianza, 1 987 , p.

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ELENA LAURENZI

dosi ad invertirne la gerarchia. n freudismo appare come una derivazione del naturismo del secolo XIX, da cui eredita, oltre alla visione dualistica, la violen­ za del metodo scientifico esemplificata nella pratica della vivisezione: "la vivi­ secci6n revela daramente la esencia de esos métodos"24. Poiché la trattazione moderna della psiche si svolge interamente all'interno dell'orizzonte dell'umanesimo viziato dal razionalismo, in essa si perde il cen­ tro della persona, e la sfera del sentire, delle emozioni, delle passioni, dei sen­ timenti, relegata alla sfera dell'irrazionale, diventa spettro, " angustioso mundo interior " , " impuro " , "peligroso"25: jCwintos saberes resultado de una vida de brega con las pasiones habran quedado en el silencio por falta de horizontes racionales en que encajarse, por falta de coordena­ das adecuadas a que referirse! Sin este horizonte de un saber radical, el saber acerca de las pasiones: del amor, del odio, quedaba sin apoyo, flotando en un terrible aire de confesi6n o, lo que es peor, de confidencia26•

Sulle orme di Max Scheler, Maria Zambrano rivendica l'esistenza di un "or­ do amoris ": di una "raz6n del coraz6n que la raz6n no conoce todavia" . E af­ ferma che la possibilità di conoscere le "delicate cose dell'anima" passa per una ricerca "umile e ardita a un tempo" , tesa a cogliere le molteplici ragioni che la vita alberga in sé, e comporle in una forma di coscienza profondamente modi­ ficata. È la ricerca di una ragione " mediatrice " , che non si precipita ad inter­ pretare, ma che si ritrae per ricevere, aprendosi all' ascolto27 • Dall'esigenza di un " saber sobre el alma" da cui il saggio prende le mosse, emerge dunque, nel corso della sua composizione, la necessità di un " saber del alma " ; un sa­ pere di cui l'anima sia soggetto e non oggetto: " atrayente seria ir descu­ briendo el alma bajo aquellas formas en que ella sola ha ido a buscar su ex­ presi6n dejando aparte por el momento lo que ha dicho el intelecto acerca del alma que cae bajo él "28.

24 ID., El/reudismo testimonio del hombre actual, in ID., Hacia un saber sobre el alma, cit., p. 1 08. 25 1D., Nostalgia de la Tie"a, in "Anthropos" , suplementos n. 2, marzo-abril l987, p. 53. 26 ID., Hacia un saber sobre el alma, cit., p. 27. n Sulla centralità dell'ascolto nella filosofia di Maria Zambrano si veda Savater che definisce Maria Zambrano "filosofa del oido frente a la filosofia visual, paisajistica, teorética" . F. SAVATER, La voz de Maria Zambrano, in "Papeles de Almagro. El Pensamiento de Maria Zambrano", O ( 1 983 ), p. 1 3 . 28 M. ZAMBRANO, Hacia u n saber sobre e l alma, cit., p . 3 0.

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L a cosa che s i fa persona

Hacia un saber sobre el alma appare quasi un saggio programmatico in cui ven­ gono anticipati i temi che ispireranno il lavoro filosofico successivo. Ma il " sa­ pere dell'anima" resta piuttosto indefinito: come se si affacciasse appena alla mente di Maria Zambrano, che ancora si pensa discepola di Ortega. Racconta Maria Zambrano che solo dopo la frattura segnata dalla Guerra civile, nella so­ litudine dell'esilio, la sua "inesorabile vocazione " le diviene evidente, stringen­ te, e il suo pensiero " si intensifica " manifestando quel "fondo autentico, segre­ to " che non le si era rivelato finché aveva pensato sotto l'egida di una scuola29• Gli scritti degli anni Quaranta e Cinquanta- e in particolare Filoso/fa y Poesia,

Pensamiento y Poesia en la Vida Espaiiola, La visi6n del coraz6n, San Juan de la Cruz: de la "Noche Oscura" a la mds clara mistica definiscono le linee, i carat­ -

teri, i temi del sapere dell'anima, articolandoli nella proposta della filosofia poetica. È interessante notare che lo sviluppo di questo pensiero originale si intrec­ cia a doppio filo con la riflessione sulla differenza tra i sessi che Maria Zam­ brano sviluppa in una serie di saggi dedicati alla " questione femminile " , con­ centrati nella decade del 1 9403°. Intervenendo nel dibattito sulla "differenza tra maschile e femminile " Maria Zambrano lo fa con la chiara consapevolezza che esso si traduce immediatamente nella questione della relazione tra uomini e donne. Al di là delle considerazioni sulla psicologia dei sessi o sulle loro diffe­ renze antologiche, pone esplicitamente il problema della dissimmetria tra i ses­ si nell'esercizio del potere e nell' accesso alla parola. La lucidità con cui la que­ stione si presentava alla sua mente risulta da questo straordinario passo tratto

29 In . , Ortega y Gasset, filoso/o espaiiol, in ID., Espaiia, Sueiio y Verdad, Barcelona, Edhasa, 1965, p. 95; trad. di F. Tentori, Firenze, Vallecchi, 1 964. 30 Nel 1 940 Maria Zambrano tenne, presso l'Università di S. Juan di Puerto Rico, una serie di conferenze dal titolo Las mujeres en la cultura la cui sintesi venne pubblicata nella rivista "Ultra". Seguì a distanza di due anni un nuovo ciclo di conferenze, comprendente El idealismo amoroso y la expresion /emenina, Breve Historia del Amor, Tristdn e Isolda, che le fu richiesto dalla &o­ ciaci6n de Mujeres Graduadas di Puerto Rico. Nel 1945 la rivista " Sur" di Buenos Aires diretta da Victoria Ocampo pubblicò il saggio Eloisa o la existencia de la mujer, e nel l947 l'articolo A proposito de la grande;za y servidumbre de la mujer, un commento critico al saggio omonimo di Gustavo Pittaluga. Un anno dopo apparve il primo testo su Antigone, il Delirio de Antigona. Ap­ partengono agli anni Quaranta anche una parte dei testi dedicati alle figure femminili nell'opera di Benito Pérez Gald6s, Nina e Tristana, che confluirono poi nel volume La Espaiia de Galdos. Per un'analisi di questi testi cfr. E. LAURENZI, Maria Zambrano: una mujer filoso/o, prefazione a M. ZAMBRANO, All'ombra del dio sconosciuto, Milano, Nuova Pratiche, 1997. ,

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da uno dei suoi scritti giovanili, pubblicato dalla rivista "Liberai " nell'ambito di una rubrica che lei aveva voluto intitolare Mujeres: La mujer camina en su evolucion, adquiere personalidad dia por dia; lucha y se es­ fuerza, aborda de frente los problemas, da la cara a la vida. Frente a este cambio fe­ menino, el hombre se aterra y aiiora melancolicamente los tiempos en que ellas no te­ nian mas ideai que atender a sus exigencias exoticas y domésticas. En algunos tipos exaltados el asombro se torna en reaccion aguda de odio y rencor; su dignidad de ga­ llo no puede permitir que la mujer - una mujer - no agote su existencia en la servi­ dumbre de sus deseos. Es la cosa que se nos hace de pronto persona. Esto explica al­ gunos de los crfmenes llamados pasionales, que no el amor. Antes el hombre tenia ce­ los de otro hombre; ahora los va teniendo de ese ideai que la mujer vive a sus espal­ das. Contra esto solo se nos ocurre un remedio: comunidad de ideales, integracion es­ piritual de sus vidas. Es preciso que el hombre se dé cuenta de que a la mujer de hoy no se la puede ya conquistar con la promesa de un porvenir economico y social se­ guro y descansado. La mujer ha descansado durante mucho tiempo, y ahora sale de su sabado, y con plenas energfas, con magnificos anhelos, a construir el mundo. Y es­ ta mujer nueva no reniega ni siente rencor por el hombre, pues que no se siente es­ clavizada a él. Pero si le exige un espfritu digno del suyo; si le pide (en véz del mefis­ tofélico collar) un ideai que dé perspectivas a sus vidas, unidad efectiva a su union. Y ha sido tan rapido el viraje de la mujer en sus exigencias, que el hombre, descentra­ do, inadaptado, no sabe - generalmente - o no quiere colmarlas. Pero al menos que no nos matenP1

A partire dalla consapevolezza espressa in questo testo, gli scritti successivi di Maria Zambrano pongono all'attenzione la questione nodale del riconosci­ mento della individualità femminile e dell'accesso delle donne alla Cultura. Es­ seri senza una lingua - "sonido de una voz sin palabra y sin garganta "32 - invi­ sibili perché senza un luogo, un ruolo, una " sede " nella Cultura e nella Storia, le donne scontano anche una difficoltà di riscatto, perché l'uscita da questo de­ stino di subordinazione e invisibilità le precipita nella negazione della loro fem­ minilità, nella condizione di " seres sin sexo " : il riconoscimento della indi vi­ dualità e della cultura di una donna sembra ancora oggi difficilmente concilia­ bile con il pieno riconoscimento della sua femminilità. Da questa condizione di alienazione, pensa Maria Zambrano, non c'è possibilità di uscita se il cammino della emancipazione non incrocia quello del riscatto di una storia femminile sia

3 1 M.

ZAMBRANo, Mujeres, in "El Liberai" , 25 ottobre 1928, riportato in appendice da J.C. MAR­ Los articulos de Maria Zambrano, in AA.VV., Aire Libre. Actas del li Congreso lnternacional sobre la Vida y la Obra de Maria Zambrano, Vélez-Malaga, Fundaci6n Maria Zambrano, 1998, SET,

p. 493 . 3 2 M. ZAMBRANO, Eloisa o la existencia de la mujer, Horas, 1995 .

in ID., Nacer por si misma,

Madrid, Horas y

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collettiva che individuale, segnata dalla negazione ma ricca di momenti positi­ vi di resistenza, di creatività, di cultura. Di qui l' attenzione rivolta alle figure femminili della tradizione occidentale: Eloisa, Antigone, Diotima, ma anche al­ le serve, le balie, le scrittrici, le poetesse, le filosofe, le profetesse che popolano i suoi scritti. Figure storiche o dell'immaginario, portatrici di cultura anche se spossessate dei mezzi della comunicazione colta. La riflessione di Maria Zambrano sulla differenza tra i sessi si nutre delle teorie di Simmel, J ung, Ortega. Ma le stesse categorie che per quelli servivano a sancire l'inferiorità o l'esclusione delle donne dal campo della produzione cul­ turale, servono a lei per dichiarare la specificità di un sapere femminile al quale in­ tende riconoscere dignità filosofica nella convinzione che esso possa e debba con­ tribuire a segnare un nuovo corso nel cammino filosofico dell'Occidente. Nel ciclo di conferenze dettate a Puerto Rico Las mujeres en la cultura, Maria Zambrano riprende alcune osservazioni di Simmel circa il carattere " sbilancia­ to " del dualismo maschile-femminile, dove, secondo il filosofo tedesco, "el sexo masculino no se limita a ocupar una posici6n superior a lo femenino; con­ viértese ademas en el representante de la humanidad "33• Le categorie con cui si definisce l'umano sono pertanto nelle parole di Simmel, " por igual humanas en su forma y en sus exigencias, pero integralmente masculinas en su aspecto hl­ storico y efectivo " , tanto che risulta possibile sancire l'equazione " objetivo masculino "34• Maria Zambrano smaschera a sua volta la presunta neutralità del­ l'oggettività per mostrarla come una proiezione della virilità che " sobre todo en ciertas épocas y de la manera mas noble no se ha definido como poder sexual sino como justicia y raz6n, es decir como objetividad"35. Ma in Simmel la sur­ rettizia equazione tra oggettività e virilità serve a ribadire l'inadeguadezza del­ la donna a una conoscenza " positiva e pura" fondata sul riconoscimento della " consistenza e la legalità " delle cose, poiché la sua natura animica fa sì che es­ sa viva " en las cosas mismas " , interessandosi solo a " aquello a que se siente uni­ da " . Viceversa, in Maria Zambrano è l'idea stessa di oggettività a essere messa in discussione, dal momento che essa sottende un processo di rimozione del vissuto e del sentire. =

El hombre crea objetivamente, es decir, va mas alLi de la expresion, va mas alla de su proprio particular sentir y por ello se salva, porque en eietto modo se anula a fuerza de violencia, de afi.rmar una forma trascendente. La creaci6n tiene el poder de ab­ sorber el sentimiento de donde parte; como toda fior hace invisible a la raiz. Hasta

33J. SrMMEL, Lo masculino y lo /emenino, cit., p. 22 1 . 43 Ibid., p . 220. 53 M. ZAMBRANO, La mujer en la cultura medieval, in appendice a J.C. MARSET, Los articulos de Maria Zambrano, cit., p. 367.

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tal punto que constituye el modo mas perfecto de liberaci6n y de salida de los con­ flictos interiores. Es lo que hace el hombre: universaliza sus situaciones, las lanza de si mismo haciéndolas impersonales por muy personales que parezcan ser; es lo pro­ prio de lo que se ha nombrado espiritu36•

Nelle donne Maria Zambrano individua non una inadeguatezza, ma una scelta deliberata " de no querer desprenderse de su sentir "37 • E citando Eloisa, sottolinea che la predominanza del genere epistolare tra le donne colte del pas­ sato manifesta una diversa maniera di creare: "una creaci6n incorporada a su propria vida, amasada con sus horas, una creaci6n sin disparidad en que lo crea do no aniquila al sentimiento porque es la vida misma" . Questi scritti zambraniani compromessi con il riscatto delle donne dalla emarginazione culturale e sociale non possono dunque essere relegati all'ambi­ to ristretto della " questione femminile " . Essi esprimono l'impegno ad operare una trasformazione del pensiero, una sfida lanciata sul piano stesso del discor­ so filosofico. Questo non significa che si possa leggere la filosofia zambraniana come una metafisica della femminilità, né che la sua filosofia poetica sia ricon­ ducibile a una presunta qualità femminile del pensiero. Ma dal punto di vista cronologico-biografico, come da quello teorico e concettuale, l'assunzione con­ sapevole della soggettività femminile come fattore caratterizzante nel lavoro in­ tellettuale e la volontà di esplorare le zone del pensiero in cui Ortega non ac­ cetta di spingersi, si sviluppano parallelamente. Mi sembra pertanto legittimo leggere nell'opera di Maria Zambrano una coraggiosa e consapevole volontà di incidere, con la propria scrittura di "mujer-fil6sofo " , nell'impianto maschile della filosofia occidentale.

n realismo poetico

Quando l'obiettività si raggiunge al prezzo della negazione del rapporto vitale con le cose, essa diviene soltanto riflesso dell'io che si vuole svincolato da ogni debito nei confronti di ci6 che lo circonda, libero di espandere la propra vo­ lontà di potenza. Sulla base di queste considerazioni Maria Zambrano mette in luce i conno­ tati anch'essi "virili " dell'idealismo occidentale38, nato dall'innesto tra il razio-

36 Ibzd. 37 Ibid. 38 "En el hombre se da la imaginaci6n como poder, poder que permite que la raz6n como in­

strumento se lance hacia adelante . . . este hombre occidental, idealista, vive de la voluntad, es la

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nalismo greco e il cattolicesimo, ridotto a " furioso, assorbente " per il dio " ter­ ribilmente maschile" del vecchio testamento, " solitario creatore dal nulla" . Se­ guendo il suo esempio, secondo quel meccanismo dell' im ita tio dei che Agosti­ no definiva uno "scimmiottamento" , l'uomo occidentale si è via via avvolto in una " solitudine metafisica " , sviluppandosi nello spirito che è, nella sua essen­ za, "volontà, ansia creatrice" . Ha quindi rinnegato la faccia misericordiosa del dio cristiano, quella che secondo l'interpretazione dell'antica sapienza " africa­ na" di Agostino, insegna la cura dell'anima come via per elevare la vita alla verità39• In contrapposizione con questa linea dominante nella tradizione filosofica occidentale, Maria Zambrano propone il ritorno a un realismo che profila, pri­ ma che come posizione filosofica, come una scelta di vita, " un estilo de ver la vida y en consecuencia de vivirla; una manera de estar plantado en la existen­ cia" , " un modo de conocimiento desligado de la voluntad, desligado de toda violencia mas o menos precursora del apetito de poder " ; "una manera de estar en el mundo admirandose, sin reducirlo a nada"40• Dalla discussione sulle categorie della filosofia, la scrittura di Maria Zam­ brano ci trascina irresistibilmente alla riflessione sulla modalità con cui l'uomo moderno si pone in rapporto con il mondo: "una de las incapacidades del hom­ bre moderno es de haber perdido de vista la unidad ultima del universo, don­ de solo ve cosas inanimadas o materia informe que en gracia de su raz6n llegan a tener un orden y un sentido"41 • Riprendendo la riflessione di Max Scheler sul " puesto del hombre en el co­ smos " , Maria Zambrano ne rifiuta gli aspetti idealistici, ancora legati alla filo­ sofia dello spirito. Per Scheler l'essere umano segna un salto antologico radi­ cale nella catena degli esseri, e l'apparizione dello spirito - che è "libertà, obiet­ tività e coscienza di sé" - è individuabile " en el momento en que el hombre se coloc6 fuera de la naturaleza para hacer de ella objeto de su seiiorio "42• Della

voluntad la que le ha llevado a serlo y por ésto hasta su pensamiento es una actuaci6n, vive ac­ tuando, y la raz6n, el racionalismo no es sino el supuesto de que la realidad, el mundo puede ser modificable, modificable por su acci6n, se entiende. Es un idealismo voluntarista, activista, que sueii.a con someter la realidad entera a su orbita. Es la rafz guerrera de toda la cultura occiden­ tal". lbid., p. 277. 93 M. ZAMBRANO, La Agonia de Europa, Madrid, Mondadori, 1988, p. 32; trad. di C. Mazza, Ve­ nezia, Marsilio, 1999. 40 In., Pensamiento y poesia en la vida espanola, in In., Obras Reunidas, Madrid, Aguilar, 1969, pp. 277-280. 4 1 In., El hombre y lo divino, Madrid, Siruela, 199 1 , p. 18; trad. di G. Ferraro, Roma, Edizioni Lavoro, 2000. 42 M. ScHELER, El Puesto del hombre en el cosmo, Buenos Aires, Losada, 193 8, p. 1 1 1 .

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concezione antropologica scheleriana Ortega riprende da parte sua l'idea che l'uomo sia un animale imperfetto: un essere "non specializzato" , costretto a rapportarsi a una realtà in cui, a differenza dell'animale, "no encaja" e che gli si presenta territorio aperto di possibilità, come " que hacer" . E sviluppa que­ sta idea nell'ambito della sua visione "ludico-eroica"43 della vita umana, intesa come l'impresa avventurosa o " deportiva " della sfida dell'uomo con il mondo, rispetto alla quale la realtà si presenta come " contravoluntad " , cioè come ciò che resiste al progetto umano. Maria Zambrano, viceversa, si rifà ad altri testi del filosofo tedesco, in particolare ai testi postumi Ordo amoris e Muerte y so­ brevivencia, alla cui lettura si ispira Haeia un sa ber sobre el alma44, per acco­ gliere il suo invito a un atto di umiltà della coscienza perché si liberi delle gri­ glie interpretative e dei contenuti preconcetti per arrivare a un " contatto vivi­ do con il mondo" Ma la posizione fenomenologica di Scheler si radicalizza in Maria Zambrano, e da metodo di conoscenza si fa cammino di vita, proposta di rinnovamento del cuore, riconoscimento della condizione creaturale che ci accomuna agli esseri che popolano l'universo, e ci consegna alla convivenza con essi. La radicalità di questa proposta si concentra in due scritti di straordinaria bellezza, dedicati al tema della pietà45 . La pietà restituita al suo significato ori­ ginario di " madre de todos las que hemos llamado sentimientos amorosos " , "matriz originaria d e la vida del sentir"46, viene liberata dalle griglie semantiche che ne confondono il significato, assimilandola di volta in volta alla compas­ sione, alla filantropia, alla tolleranza, "la parola preferita dall 'uomo moderno " . Mas l a piedad no es filantropia, ni la compasi6n por los animales y las plantas . Es al­ go mas: es lo que permite que nos comuniquemos con ellos, en suma, el sentimiento difuso, gigantesco que nos situa entre todos los planos del ser, entre los diferentes se­ res de un modo adecuado. Piedad es saber tratar con lo diferente, con lo que es ra­ dicalmete otro que nosotros47•

43 Su questo aspetto della filosofia di Ortega e la distanza di Maria Zambrano cfr. P. CEREzo GALAN, De la historia tragica a la historia ética, in " Philos6phica Malcitana" , N ( 1 99 1 ) . 44 I l saggio Hacia u n saber sobre el alma è una recensione a i testi d i Max Scheler Orda Amoris e Muerte y Sobrevivencia pubblicati postumi a dieci anni dalla morte del filosofo e tradotti da Xa­

vier Zubiri nel 1 933 per la collezione " Nuevos Hechos, Nuevas Idea s" della Biblioteca de la Re­ vista de Occidente. MAx ScHELER, Muerte y Sobrevivencia, Madrid, Revista de Occidente, 1935 (include Orda Amoris). 45 M. ZAMBRANO, Para una h istoria de la piedad, in " Revista 4ceum " , 17 ( 1 949); tra d. di E. Lau­ renzi in " aut aut " 279 ( 1 997 ) . E Io., El trato con lo divino: la piedad, in Io., El hombre y lo divi­ no, cit . , pp. 179-2 1 4 . 4 6 Io., Para una historia de la piedad, cit., pp. 9 - 1 0 .

4 7 Ibid.

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La pietà è per Maria Zambrano il sentire originario dell'anima, che per la sua condizione di essere in comunicazione con il cosmo e insieme annidata nel­ l'intimità, è capace di albergare il sentimento complesso, multiforme del reale. Collocandosi in un ambito estraneo all'umanesimo moderno, Maria Zambrano recupera la dimensione metafisica dell' anima, " trozo de cosmos en el hombre" . Secondo la tradizione pitagorica cui la sua filosofia si richiama, coniugandola con la visione agostiniana dell ' ho mbre interior come sede della verità48, l'anima rappresenta l'organo del sentire originario e della comunicazione cosmica, il vincolo originario dell'essere umano con la fysis, precedente alla scissione tra essere e vita, io e mondo, coscienza e materia. Nel razionalismo moderno, l'oblio dell'anima e la riduzione dell'umano a "soggetto" (di coscienza, di ragione) ha comportato la perdita delle innumerevoli forme intime in cui l'essere umano entra in rapporto con il reale che si dà in mo­ do previo all'idea. Ne consegue l'immiserimento dell'umano e della realtà stessa: A partir del pensamiento cartesiano la conciencia gan6 en claridad y nitidez y, al en­ sancharse, se apoder6 del hombre todo . Y lo que iba quedandose fuera no eran co­ sas sino nada menos que la realidad, la realidad oscura y multiple . Al reducirse el co­ nocimiento a la raz6n solamente, se redujo también eso tan sagrado que es el contac­ to inicial del hombre con la realidad a un modo unico: el de la conciencia. Quedaba la conciencia en su claridad lunar aislada hasta del proprio cuerpo donde por no se sabe qué azarosa contingencia venia a estar insertada. El hombre se tornab a en sim­ ple soporte del conocimiento racional, pero la realidad en torno se iba estrechando a su comp as; a medida que "el sujeto " se ampliaba, diriase que absorbendo las funcio­ nes que el alma desempeiiab a antes, la realidad se empequeiiecia49•

Per Maria Zambrano il riconoscimento e l'ascolto della propria anima è nel­ l' essere umano la condizione della possibilità di accogliere la diversità e comu­ nicare con essa. La sua filosofia mette in opera un sistema circolatorio, in cui il rapporto con la realtà esterna è tanto più autentico quanto più è accompagna­ to da un addentrarsi del soggetto in sé. Leggiamo in Delirio y Destino: "Pensar no es solo captar los objetos, las realidades que estan frente 'al sujeto' y a di­ stancia. El pensar tiene un movimiento interno que se verifica dentro del pro­ prio sujeto, por asi decir. Si el pensar no barre la casa por dentro, no es pensar"50• il pitagorismo in Maria Zambrano cfr. R. Rrus, Del Pitagorismo y Aristòteles: a hombros de Maria Zambrano, in C. REVILLA (a cura di) , Claves de la raz6n poética, Madrid , Trotta, 1998; J.F. 0RTEGA Ml1Noz, Encuadramiento 6r/ico-pitag6rico de la filosofia zambraniana, in " Philos6phica

48 Per

Malcitana " , N ( 1 99 1 ) , p. 1 97 . 4 9 M. ZAMBRANO, E l hombre y lo divino, cit., p. 180. 50 ID., Delirio y Destino, cit . , p. 82 .

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L'inversione dello sguardo

Rimettere l' anima al centro della conoscenza significa dunque ridiscutere in profondità i parametri moderni su cui l'idea di conoscenza si fonda: non solo la separazione tra soggetto e oggetto, ma la concezione stessa del soggetto e del­ l'oggetto. Si tratta di un approccio diverso alla oggettività delle cose, fondato sull'amore e l'empatia più che sulla distanza: " reconocer alga como objeto es detenerse ante ello; quedar hechizado, prendido; darle crédito. Quedar en cier­ to modo enamorado "5 1 • È dunque l'amore per le cose la condizione imprescindibile della conoscen­ za, che Maria Zambrano contrappone non solo al metodo "desubjetivador" e "descualificador" della scienza moderna, ma a tutto il pensiero occidentale, portatore di uno sguardo che "desatiende las cosas " rendendole mute, passive, indefinitamente disponibili alla manipolazione e al dominio dell'uomo: "Las cosas no aparecerian como tales 'cosas ' si al nombrarlas y referirnos a ellas esperaramos de ellas una respuesta . . . si el ser o aparecer como 'cosas' no fuera el resultado de una condena que las vuelve disponibles para que nuestra men­ te las utilice "52• Riconoscere dignità, "personeria" 53, alle cose è la premessa della conoscen­ za. Non ci si innamora infatti di una " cosa" , ma solo di un altro essere che ri­ conosciamo dotato di una ragione propria, di una voce, ma soprattutto di uno "sguardo" : un essere che ci guarda, che pu6 giudicarci . Il tema dell'inversione dello sguardo, che appare nel saggio San Juan de la Cruz, de la "Noche Oscura" a la mds clara mistica può esemplificare questo pro­ cesso di profonda revisione dei canoni conoscitivi. Maria Zambrano denunciava che, affermandosi come criterio pressochè unico di conoscenza, lo sguardo ha sostituito, nella tradizione occidentale do­ minante, altre forme - più "promiscue" - di approssimazione alla cose. Poiché lo sguardo stabilisce una distanza incolmabile, una separazione, tra chi guarda e il mondo. Ai margini di quella tradizione, la mistica juanina propone una for­ ma più intima di contatto alla realtà . Nasce infatti dalla "voracidad " dell'altro, dalla sete ardente di " alcanzar presencia y figura" . È questa voracità che spin­ ge a fare il vuoto in sé perché l'altro possa dimorarvi. Il cammino mistico di Juan de la Cruz non presenta i tratti ascetici del "nadismo" ; il suo invito " en-

51 ID . , La vida en crisis, in ID., Hacia un saber sobre el alma, cit . , p . 97 . 52 ID . , La respuesta de la filosofia, in "Anthropos " , 70-7 1 ( 1 987 ) , p. 1 16. 53 TI termine è di Francisco Romero, un argentino, " divulgatore " della filosofia della persona di

matrice scheleriana molto letto nei circoli orteghiani. F RoMERO, Filosofia de la persona, Buenos Aires, Losada, 1944, p. 22 .

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tremos mas adentro en la espesura" illumina un percorso che si addentra nella realtà, nelle sue parti più oscure e dense, e che trova sbocco nella poesia "en donde se encuentran en entera presencia todas las cosas" 54 • L'aspetto che Maria Zambrano risalta della " clara mistica" d i Juan d e la Cruz è la " perfecta unidad de amor y conocimiento" , che vede espressa in que­ sti versi della Canci6n entre el alma y el esposo: " Oh cristalina fuente - si en esos tus semblantes plateados - formases de repente - los ojos deseados - que ten­ go en mis entrafias dibujados" 55 • La presenza concreta e sfuggente dell'oggetto - " semblantes plateados" - è inafferrabile per il concetto . E infatti, a differenza che nella conoscenza intel­ lettuale, qui l'immagine dell'oggetto non si imprime nella mente, bensì nelle vi­ scere, organi della conoscenza poetica ("la poesia [ ] ha sido siempre cosa de la carne, de la interioridad de la carne: de las entrafias" )56• Ma l'immagine più folgorante è quella degli occhi dell'amato che ci guardano dalla nostra stessa in­ timità. Dell"' oggetto " si imprimono nell 'intimità di chi veramente e poetica­ mente conosce, gli occhi, "lo mas espiritual y lo mas personal" l'organo, per ' eccellenza, del soggetto: " es el cumplimiento de la objetividad. La interioridad mas obscura ya no existe sino como el lugar donde queda dibujado por su mi­ rada - por su luz - el objeto " 57 • . . .

54 M . ZAMBRANO, San Juan de la Cru:z: de la "Noche Oscura» a la mtis clara mistica, in Io., Sende­ ros, Barcelona, Anthropos, 1 986, p. 192. 55 J. DE LA CRUZ, Cantico Espiritual, in Io . , Obra Completa, Madrid, Alianza, 199 1 , p. 6 1 . 5 6 M . ZAMBRANO, Filosofia y Poesia, in Io. , Obras Reunidas, cit . , p . 1 93 ; trad. d i L . Sessa, intro­ duzione di P. de Luca , Bologna, Pendragon , 1 998.

57 Io., San Juan de la Cru:z: de la "Noche Oscura» a la mtis clara mistica, cit., p . 194.

MARfA ZAMBRANO: LA STORIA COME " DELIRIO " E " DESTINO " di Giuseppe Cacciatore

Una questione preliminare da porre è se si possa parlare della storia come pro­ blema filosofico nel complesso delle riflessioni teoriche della filosofa spagnola. Si potrebbe subito dire che la domanda è mal posta, se solo si muove dal dato del tutto evidente che Zambrano è indubbiamente da collocare in quell'ampia costellazione di filosofi che hanno saputo radicalmente pensare la crisi del mondo contemporaneo: una crisi pensata e vissuta, giacché il pensiero e la pa­ rola della filosofa nascono, da un lato, nel fuoco terribile della tragedia spa­ gnola degli anni Trenta e nel più generale sconvolgimento dell'Europa e si mi­ surano, dall'altro, con la dissoluzione dei modelli di razionalità e l' agonia dei grandi paradigmi ideologici e filosofici, proponendone una analisi che condu­ ce alla delineazione di un percorso personale di grande autonomia speculativa1. Il problema della storia e del tempo storico, dunque, non si origina da una in­ tenzionalità, per così dire, classica, cioè ispirata a modelli sia pur critici di filo­ sofia della storia. Proprio perché Zambrano percepisce la radicalità della crisi di ogni " ismo " tramandatoci dalla tradizione ottocentesca, il suo volgersi e ri­ volgersi alla storia non implica la riproposizione di modelli deduttivi o di stra­ tegie esplicative2. 1 Su questo confronto filosofico della Zambrano con la crisi intellettuale, morale e politica del­ l'Occidente cfr. A. BUNDGÀRD, Mtis alla de la filosofia. Sobre el pensamiento filos6/zco-mistico de Maria Zambrano, Madrid, Trotta, 2000, pp. 25 e ss. 2 Giustamente si è sostenuto che Zambrano ha costantemente avvertito, in tutto il percorso del­ la sua opera, la presenza, nella storia, di forze per lungo tempo nascoste, sopite, sotterranee, re­ state nel limbo oscuro del sub-umano e del sub-sociale. Ma essa ha anche, nietzscheanamente per così dire, guardato sempre alle potenzialità di queste forze e agli sforzi che l'umanità consape­ vole ha sempre compiuto per trovare un tranquillo alveo entro cui incanalare il turbinio delle ac­ que impetuose. Cfr. C. REVILLA, Indicios zambranianos para una "Historia de las entraiias de la Hi­ storia", in " Aurora" , Papeles del " Seminario Maria Zambrano" , l (s.d. ), p. 6. La studiosa del­ l'Università di Barcellona fa un pregnante riferimento ad alcuni significativi testi di Zambrano. In Horizonte del liberalismo, ad esempio, si legge: "Ed è proprio allora quando il mondo è in cri­ si e l'orizzonte che l'intelligenza esplora appare oscurato da imminenti pericoli [si ricordi che il

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Se è individuabile, come io credo, un nucleo di pensiero attorno al quale si organizzano le argomentazioni filosofiche zambraniane sulla storia, esso non appare scindibile dalla figura teorica del realismo. La storia come dimensione (o una delle dimensioni) della vitalità e la stessa narrazione dei fatti (e special­ mente di quei fatti che rendono protagonista l'anima individuale, il "sapere del­ l'anima" ) , non sono assolutamente da intendere nel senso della piatta registra­ zione della realtà. La storia resta indubbiamente, quando si fa racconto e rico­ struzione degli eventi, una " forma di conoscenza " , ma nel suo nascere e costi­ tuirsi come disposizione intellettuale o conoscitiva e, talvolta, psicologica, si mostra come "forma di vita " , come atteggiamento dell'anima verso le cose, dunque come una vera e propria fenomenologia del reale che oltrepassa i con­ fini prestabiliti della razionalità3 • Non si può, dunque, ragionare sulla visione che ha Zambrano della storia se non si scorge ciò che si pone a monte di essa e che costituisce, a mio avviso, l'elemento di maggiore sua originalità speculati­ va: l'idea di ragione poetica e il complesso reticolo di questioni connesse al rap­ porto tra filosofia e poesia4 • A voler semplificare un discorso ben più articola­ to, per Zambrano il mondo della vita, come quello del pensiero, è costante­ mente attraversato da una originaria opposizione, costitutivamente sempre aperta ed irriducibile ad ogni mediazione: la filosofia come luogo privilegiato della certezza e dell'atteggiamento affermativo verso la realtà, da un lato, la poe­ sia come fenomenologia privilegiata dell'insicurezza e del relativo, dall'altro . La metafora del corpo e delle sue polimorfe strategie per sottrarsi al possesso del­ la razionalità trasparente ripropone, nel percorso intellettuale della pensatrice spagnola, l'inaggirabile problema del dualismo, assunto, però, nella sua positi­ vità di nesso dialettico del reciproco, necessario, riconoscimento e non nella ne­ gatività di una sua astratta risoluzione sostanzialistica, tanto di tipo razionali­ stico, quanto di tipo naturalistico . In tutte le pagine e i passaggi in cui Zam­ brano ha posto al centro il cruciale tema del rapporto tra filosofia e poesia, il punto costante di distin zione/opposizione è rinvenibile significativamente nel

saggio è del 1 93 0 ] ; quando la ragione sterile si ritira, rinsecchita dalla lotta senza risultato, e la sensibilità spezzata raccoglie solo il frammento, il dettaglio, che ci resta solo una via di speranza: il sentimento, l' amore, che, ripetendo il miracolo, torni a creare il mondo " (cito dall'ed. it . Oriz­ zonte del liberalismo, a cura di D. Cessi Montalto, Milano, Selene, 200 1 , pp. 1 22 - 123 ) . Ma sul contraddittorio aspetto, a un tempo tragico-catastrofico e creativo-libera torio della storia, cfr. an­ che L. BoELLA, Maria Zambrano. Dalla storia tragica alla storia etica, Milano, 200 1 , in particolare p p . 81 e ss. 3Cfr. M. ZAMIIRANO, Pensamiento y poesia en la vida espaiiola, Madrid, Endymion, 1 996, pp. 35 e ss. 4 Rielaboro e riprendo su questo punto specifico alcuni materiali presentati in un mio saggio Ma­ ria Zambrano: Ragione poetica e storia, in " Rocinante" , Studi di filosofia in lingua spagnola, l, 2 005, pp. 1 07 - 126.

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diverso modo di atteggiarsi che le due modalità dell'essere hanno nei confron­ ti della temporalità (e dunque anche dell'esperienza storica) . Mentre la filoso­ fia, affidandosi alla potenza rappresentativa e immaginativa del pensiero, si esercita in un continuo sforzo di dominio sul corporeo-sensibile, privandolo però della sua temporalità determinata (la genesi reale delle cose) , e trasferen­ dolo in un tempo di eterni e di assoluti, la poesia cerca di restare legata alla con­ cretezza delle cose, al segno che esse lasciano nel corpo, alle tracce che esse spargono sull'accidentato percorso del darsi alla luce di ogni manifestazione dell'essere, di ogni dono dell'essere, anche il più insignificante. In Poesia e filo­ sofia, Zambrano descrive mirabilmente questi due diversi approcci alla vita e al tempo, l'inestinguibile ricerca teoretica del filosofo che pensa di poter sopra­ vanzare il tempo perché non si accontenta dell'essere immediato delle cose, fi­ no a preformarle e a ripensarle, e la paziente disponibilità del poeta ad attenersi al mondo, a sperimentare, sempre di nuovo, la scoperta delle sue origini, in una ricerca che è ansia di attesa, ma anche amore di orizzonti incogniti, è fuga e ri­ cerca, spavento e bisogno5 . li fatto che Zambrano critichi un particolare paradigma filosofico, quello che potremmo generalmente definire come pensiero unico e monistico dell'es­ sere, non significa tuttavia rinunciare alla possibilità di tracciare un percorso al­ ternativo che, utilizzando proprio l'originaria capacità del sapere poetico di mantenersi legato alla dimensione corporeo-sensibile della vita, si mostra in grado di elaborare i principi teorici di una nuova filosofia, innanzitutto con­ nessa intimamente alle cosé. Non so quanto consapevolmente, ma in queste

5 Cfr. M. ZAMBRANO, Filosofia y poesia ( 1 939), Madrid 1993 ; Poesia e filosofia, trad. di L. Sessa, a

cura e con una introduzione di P. De Luca, Bologna, Pendragon, 1 998, p. 1 10.

6 Su questo motivo zambraniano dell'amare le cose cfr. P. DE LucA, Giustizia caritativa e pietà, in

" Filosofia dell'arte" , 2 (2002), in particolare cfr. pp. 63 e ss. Giustamente De Luca osserva come il passaggio dalla giustizia caritativa alla pietà avvenga grazie al senso che si dà all'amore per le

cose che è essenzialmente saperle vedere e vivere nella loro eccentricità rispetto a se stesse. Qui la poesia è in grado di compiere il gesto politico contro la giustizia, dal momento che le cose ama­ te "sono salvate dall'ingiustizia della fissità" . " La riflessione sulla qualità dell'amore dei poeti, sul modo a loro proprio di sentire-incontrare ogni creatura, assume così per Maria Zambrano un preciso segno politico. E la meditazione sul che cosa della poesia diviene meditazione su una ma­ niera del convenire non più nel segno della giustizia, bensì di quella che nel tempo verrà defini­ ta pietà" . Della De Luca vedi ora il notevole volume Il logos sensibile di Maria Zambrano, Sove­ ria Mannelli, Rubettino, 2004. Non credo sia solo per mera assonanza tematica il fatto che l'a­ more zambraniano per le cose possa richiamare alla memoria un analogo passaggio crociano dai Frammenti di etica. D'altronde - come si dirà e vedrà più avanti - la filosofa spagnola non era certo ignara della filosofia di Croce. È ben vero che il ragionamento crociano è da inquadrare nelle fondanti premesse della circolarità delle forme dello spirito (e, dunque, in un progetto teo­ rico tendenzialmente monistico) e, tuttavia, colpisce l'osservazione del filosofo italiano, tesa alla individuazione di un momento creativo-naturale dello spirito che dà luogo alle "condizioni del-

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posizioni è possibile risentire l'eco vichiana7 di una ragione poetica che, pro­ grammaticamente, mette in gioco un reticolo plurale di saperi e di significati e ciò, oggettivamente, rappresenta la messa in discussione di una visione metafi­ sica unitaria della filosofia e consente l'accesso a una dimensione in cui non val­ ga più il tradizionale schema cartesiano della clarté. Come è ben noto ai lettori della Zambrano, qui si affaccia una delle più ef­ ficaci figure metaforiche della sua filosofia: il mondo che si percepisce e si ca­ pisce non certo nell'abbagliante chiarore del pensiero puro, ma paradossal­ mente nel " chiaroscuro " del bosco, nell'alternarsi di macchie di luce e di om­ bre che punteggiano i cammini del pensiero quando la luce dell'aurora filtra nel profondo del bosco. È questo andare a testoni, questo continuo trascorrere da una presunta chiarezza che sembra finalmente illuminare il cammino spedito del viandante all'improvviso rallentare del passo causato dal buio, ciò che raf­ figura in modo esemplare lo stato costitutivo di discontinuità della parola e del logos, ma anche dell'agire stesso, caratterizzato da un aderire incerto e non rassi­ curante al tempo frammentato, al tempo non lineare che lascia residui di irrisolta intemporalità, tracce e scintille di fuochi di cui non si conosce l'origine, di incen­ di di cui non si scorge la fonté. Colui che si addentra nel folto della foresta lo fa senza una mappa precisa con cui orientarsi, può al più servirsi solo di una labile serie di tracce, di orme impresse sul terreno da ciò che è già passato e che si agla vita, non come cose distinte dalla vita stessa" . Ogni atto della vita, scrive Croce, "è insieme condizione di nuova vita " . L'amore delle cose, nella prospettiva della filosofia crociana dello spi­ rito, è, come il dolore, connaturato al continuo movimento e automovimento della vita. Anche se Croce resta convinto, alla fine, della necessità di dominare e di piegare alla ragione filosofica le forme pratiche dell'individualità, non può però non riconoscere che le "grandi cose al mondo non sono state compiute dai 'saggi' e dai 'filosofi', da coloro che riescono abilmente a solcare il mare della vita senza troppe tempeste, ma dagli animi appassionati ed energici, che sfidano le tempeste" . Cfr. B . CROCE, I.:amore per le rose, in ID. , Etica e politica, Bari, Laterza, 1967, pp. 17-20. 7 Analizzando le principali linee lungo le quali si definisce l'idea zambraniana di ragione poetica, il Villalobos ha indicato in Vico un possibile modello teorico di sapere non rigidamente costret­ to entro gli angusti schemi del razionalismo moderno. n sapere "frammentario" che si contrap­ pone al sapere "universale e assoluto" non rinuncia all'esigenza della sistemazione (che non è si­ stema chiuso e definitivo, sistema razionale come in Cartesio e Kant) e del metodo. L'idea di poe­ ma (nel senso ampio del termine) non è antirazionalista, ma radicale messa in discussione di una visione integrale e riduzionistica della ragione. "Un aspetto, questo, che lega la nostra filosofa al­ la stessa, sia pur talvolta non ben compresa, attitudine contro-razionalista (ragione razionalista assoluta) del napoletano Vico, il cui anticartesianesimo si espresse tanto sul piano metafisico (De Antiquissima italorum sapientia, 17 10) quanto su quello del rinnovamento metodologico (De no­ stri temporis studiorum ratione, 1708) " . Cfr. J. VILLALOBOS, La raz6n poética en Zambrano como raz6n radica/, in "Cuademos sobre Vico" , 9-10 ( 1 998), p. 274. 8 La figura metaforica della scintilla e della sua traccia richiama un noto passaggio dell'argo­ mentazione di Bloch; cfr. E. BLOCH, Erbscha/t dieser Zeit, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1962, p 22 .

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gira nel bosco senza che s i possa sapere e vedere il luogo esatto della sua dimora e il momento della sua riapparizione. Sono queste le principali movenze teoriche che caratterizzano la "ragione poetica"9 zambraniana, una ragione apparentemen­ te umile e discreta, non appesantita dall'orgoglio del possesso della verità assolu­ ta e, tuttavia, ben consapevole del faticoso percorso che intende affrontare: ripen­ sare radicalmente i principi ispiratori del razionalismo occidentale, porre a se stes­ sa l'obiettivo di oltrepassare, al tempo stesso, l'idealismo e il materialismo, e così costruire e ricostruire incessantemente il " sapere dell'anima" . Diventa adesso, almeno io credo, maggiormente perspicuo il tracciato teo­ rico lungo il quale si dispone l'idea di storia per Zambrano. li primo passo è certamente la convinzione che l'esperienza storica non è esauribile nella rigida separazione /distinzione tra il fatto nella sua materialità ed "evenemenzialità" e la conoscenza di esso, cosicché la storia (la vita storica) non può limitarsi alla pur inevitabile procedura descrittiva di ciò che è stato e non è neanche riduci­ bile a riflessione metodologica, quand' anche importante ed utile alla formazio­ ne ed informazione delle società e delle comunità. Per non parlare, poi, di quel­ la Storia con la iniziale maiuscola che si illuda di costruire metafisiche costru­ zioni filosofiche della storia assolute e totalizzanti10• Zambrano sembra voler tornare alla classica distinzione tra la historia come originario darsi della vita umana, non ancora mediata dalle strutture logico-conoscitive del pensiero e della rappresentazione (e dunque proprio per questo legata, si potrebbe dire

9 Sulla ragione poetica di Zambrano sono da consultare gli studi di C. FERRUCCI, Maria Zambra­ no e la ragione poetica, in "Tempo presente" , 123 - 124 ( 1991 ) ; Le ragioni dell'altro: arte e filosofia in Maria Zambrano, Bari, Dedalo, 1995 . Ma cfr. anche J.F. 0RTEGA MUNOZ, Introducci6n al pen­ samiento de Maria Zambrano, México, FCE, 1994, pp. 27 e ss. e 52 e ss. Un importante contri­ buto su questo tema cruciale della riflessione zambraniana ha dato P. DE LucA, Introduzione, in M. ZAMBRANO, Poesia e filosofia, cit. , pp. 7-26. È recente il libro di A. SAVIGNANO, Maria Zam­ brano. La ragione poetica, Genova-Milano, Marietti, 2004 . Qui l'autorevole studioso della filoso­ fia spagnola contemporanea, oltre a ricostruire con puntualità l'itinerario giovanile della filoso­ fa, contrassegnato anche ma non esclusivamente, da un forte impegno etico-politico, mette a fuo­ co, rilevandone la perspicuità e originalità, il concetto di ragione poetica, legandolo, forse un po' troppo unilateralmente, alla riflessione sulla mistica e all'idea di "sogno creatore" . Egli privile­ gia, così, la dimensione del sogno rispetto a quella della storia e del "destino" . La stessa linea in­ terpretativa è riscontrabile nella ponderosa monografia di A. BVNDGÀRD, Mds al!d de la filosofia, cit., che è indubbiamente uno degli studi più completi e apprezzabili sulla filosofia spagnola, ma che tende, tuttavia, a introdurre un elemento, a mio avviso, di troppo forte discontinuità tra la fase, per così dire, storico-culturale (appartenente al momento cruciale della crisi europea e del­ l'esilio) e quella mistico-filosofica che si concentra in un pensiero che pone al centro la scrittura come " spazio di rivelazione dell'essere" . 10 Su questo particolare profilo teoretico dell'idea zambraniana della storia cfr. V. VmELLO, Per una introduzione al pensiero di Maria Zambrano: il Sacro e la storia, in M. ZAMBRANO, I:uomo e il divino, Roma, Edizioni Lavoro, 200 1 , pp. IX e ss., XXXII e ss.

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ancora vichianamente, alla primordiale esperienza del sacro e dell'origine del timore e del pudore) e la Historia rerum gestarum, quella storia, cioè, che solo in seconda istanza ritorna all'uomo sotto forma di cronache, di narrazioni, di procedure interpretative. E così, dinanzi a fenomeni dal senso più profondo, passiamo alla larga, confinandoli in un nome, considerandoli come un fatto e, tutt'al più, cercandone la spiegazione in cause che la nostra mente attuale valuta come le uniche reali, le uniche capaci di pro­ durre cambiamenti: cause economiche o specificamente storiche. Ma prima di tutto dovremmo domandarci: che cosa è " storico" ? Ed è proprio questo che oggi ci do­ mandiamo con più apprensione rispetto ad ogni altro quesito. Cos'è lo storico? Co­ s'è ciò che attraverso la storia si fa e si disfa, si desta e si assopisce, appare per spari­ re? È sempre altro o sempre lo stesso al di sotto di ogni avvenimento 1 1 •

Si potrebbe non infondatamente sostenere che quello della Zambrano sia uno storicismo non trionfalistico, non risolutivo e conclusivo, uno storicismo, per così dire, delle tracce e dei residui, delle scintille e delle eccedenze12, uno storicismo delle individualità e non delle strutture. E questo perché il nucleo vero della storia si sottrae alla ricerca dell'uomo proprio quando sembra esser­ si pienamente disvelato, proprio quando sembra essere stata esaurita la scan­ sione dei fatti, quando la catena delle cause e degli effetti sembra aver spiegato ogni evento, aver frugato ogni angolo recondito. È la "faccia nascosta" che in­ vece resta lì, insondabile e amorfa, occultata dalle rovine del passato, visibile, appunto, solo per le eccedenze che lascia trasparire e per cogliere le quali non servono solo la trasparenza della spiegazione causale, la ricostruzione scientifi­ ca e filologica, la obiettività della stessa narrazione storica. Ad esse (e molto spesso apparendo prima di esse) si affiancano modalità più libere, meno vin­ colate agli schemi della scienza e del pensiero razionale, che sono quelle della poesia, della trasfigurazione mitica del senso della storia affidata alla parola poetica. n riferimento allo storicismo critico (alla sua dimensione individuali­ stica ed esistenziale) non è poi tanto campato in aria, se si riflette al fatto che è la stessa Zambrano a richiamare uno dei filosofi che stanno all'origine del ri-

1 1 Cfr. M. ZAMBRANO, El hombre y lo divino, México 1973 ; Madrid 1991 e 1999; trad. di G. Fer­ raro (di cui vedi la postfazione, La concezione dell'aurora. Sul percorso mistico di Maria Zambra­ no) ; introduzione cit. di V. VITIELLO, I.: uomo e il divino, cit., p. 10. 12 Faccio qui riferimento ai numerosi contributi che alla definizione e costruzione di uno storici­ smo critico-problematico, ad uno storicismo delle concrete individualità, hanno dato nel corso de­ gli ultimi decenni gli studi di Pietro Piovani e di Fulvio Tessitore (e, in qualche misura, io stes­ so) . In particolare, sul concetto di eccedenza cfr. G. CANTILLO , L'eccedenza del passato. Per uno storicismo esistenziale, Napoli, Morano, 1993 .

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pensamento in chiave critica e vitalistica (nel senso originario che è stato dato al concetto di Erlebnis) della storicità. È, infatti, il Dilthey della teoria del Na­ cherleben che viene utilizzato dalla filosofa spagnola per sostenere come sia profondamente errata ogni visione della storia che voglia fermarsi alla mera ri­ costruzione del p assato ed ignorarne le eccedenze, ciò che resta inspiegabile e irriducibile agli schemi del pensiero o alle certezze delle ideologie. La storia, quella propriamente storica e quella personale, quella di ogni uomo, non può essere, né è mai stata, il racconto degli avvenimenti in quel fluire del tempo che porta via ogni cosa. Ciò che rende una vita unica è in verità qualcosa che le sta già e ancora accadendo, e da cui dipendono i diversi avvenimenti, anche quelli che sem­ brano dovuti al caso13.

Paradossalmente ciò che sembra a prima vista una demolizione senza scam­ po della storia come procedura conoscitiva del mondo umano e delle sue realtà storico-materiali (specialmente quando l'elemento, per così dire procedurale, sembra fagocitare i problemi della concettualizzazione della coscienza storica e dello stesso tempo storico) finisce col rivelarsi, ad una più attenta considera­ zione, come una possibilità di riabilitazione della stessa conoscenza storica. Quel che sembra mera tecnica di rappresentazione sintetica degli eventi riac­ quista senso, nella misura in cui la storia, insieme al necessario lavoro di rico­ struzione storiografica, mette in essere la possibilità di sempre nuove e creati­ ve costruzioni. La storia, solo in tal modo, può aiutare l'uomo a recuperare il senso filosofico per eccellenza della vita, che ha sì bisogno di storia, ma solo nella misura in cui dall'evento si è capaci di estrarre il significato, di " trasfor­ mare l'avvenimento in libertà " . E così, l a conoscenza storica, nascendo poeticamente dallo stesso soggetto che l a pro­ cura, sarà riassorbita da lui, sarà il recupero del suo passato, qualcosa come l'atte­ nuazione di un errore - l'errore che deriva dal credere nel tempo successivo. Poiché il tempo reale della vita non è quello che affon da nella sabbia delle clessidre, né quel­ lo che sbiadisce nella memoria, ma quello che contiene il tesoro: le radici della nostra vita attuale14•

Ad un'altra intrigante figura metaforica - quella delle rovine15 - fa ricorso la evocativa scrittura zambraniana per esplicitare, proprio per via paradossale, il

IJ Cfr. M. ZAMBRANO, I: uomo e il divino, cit., p. 225 . 1 4 Ibid. , p. 226. 1 5 Sulla " rovina" come metafora, al tempo stesso, della presenza e dell'assenza in cui si manifesta il tempo storico cfr. S. TARANTINO, Ciudad hist6rica y ciudad del alma, in "Aurora" , 2 ( 1 999), pp.

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significato radicalmente originario che per essa ha la storia16, intesa, ancora una volta, al di là e al di sopra del mero evento, nella corposa materialità di ciò che, nella traccia seguita dall'uomo cacciatore, nell'orma impressa da ciò che al fat­ to sopravvive. Si spiega, allora, il non retorico e soltanto letterario elogio delle rovine, della " cosa più viva della storia" , di ciò che riesce a costituirsi come pos­ sibile elemento di relazione tra l'esperienza vissuta e l'oggettività della storia. Attraverso le rovine si apre dinanzi a noi la prospettiva dd tempo, di un tempo con­ creto, vissuto, che si prolunga fino a noi e prosegue ancora. La vita delle rovine è in­ definita e più di ogni altro spettacolo desta nell'animo di chi le contempla l'impres­ sione di un infinito che si sviluppa nel tempo; tempo che è il trascorrere di una tra­ gedia che si fa da sola. Tempo di un passato che continua ad esserlo, che si attualiz­ za come passato e mostra, nel contempo, un futuro che non è mai stato; che trascen­ de lo ieri nel quale è andato a finire, e può essere percepito solo facendoci patire17•

n "bisogno" di storia, il riconoscimento della sua utilità, si potrebbe dire in senso nietzscheano, non può essere appagato dal mero restauro filologico del­ le rovine, né può essere delegato ad una filosofia sovratemporale della storia che s'illuda di inserire ogni fatto del passato nella lineare progressione del tem­ po. L'uomo, piuttosto, ha bisogno della storia per " vedersi e essere visto " , giac­ ché l'uomo " senza sapersi visto, o sognarsi tale, non inizia neanche a vedere. Né a rivelare sé, se stesso nella notte dei tempi" 18• Alla luce di queste premesse anche lo stesso concetto di coscienza storica è de­ stinato a trasfigurarsi completamente rispetto alle sue più classiche formulazioni, tanto di natura idealistico-trascendentale, quanto di natura empirico-descrittiva. Fino a ora infatti la coscienza suole scivolare su un tempo piano, che appiattisce gli eventi e misconosce le molteplicità che il tempo dispiega nella vita umana. Mentre è necessario che lasci intatto il seme di vita che, visibile o nascosto, germina sempre; che rispetti ciò che è nascosto e non pretenda di imporre la chiarezza - la razionali­ stica clarté - che occulta tante luminose realtà19•

31 e ss. "L'assenza ha maggiore intensità e forza della presenza, perché dalla rovina deriva un ele­ mento sconosciuto, che resta occulto e muto per la presenza. Questa manifestazione di assenza pura, cioè di qualcosa che non è stato mai presente, ha in sé qualcosa di divino. Le rovine si mo­ strano nel trionfo della vita vegetale sull'edificio. L'edificio è il trionfo dell'uomo sulla natura, co­ sì come lo è la storia. Le rovine propongono la signoria della natura sopra le costruzioni umane" . 16 Anche su questo punto rinvio a ciò che ho già scritto in Maria Zambrano: Ragione poetica e sto­ ria, cit. 17 M. ZAMBRANO, I:uomo e il divino, cit., p. 229. 18 Cfr. ID., La experiencia de la historia. Después de entonces ( 1977), trad. it. in "aut aut", 279 ( 1 997 ), p. 14. 19 Ibid. , pp. 16- 17. Cfr. su questo punto J.F. 0RTEGA Mt1Noz, Maria Zambrano. La Humanizaci6n de la sociedad, antologia di testi di M. Zambrano, Andalucfa, Fundaci6n Maria Zambrano-UGT,

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Solo una tale coscienza della storia può essere in grado di smascherare le il­ lusioni e le false rappresentazioni della " storia apocrifa" , di quella storia che fi­ nisce col non appartenere più all'uomo e alla sua libertà, e che pensa di aver esaurito il suo compito riducendosi a mera fase preparatoria della grande dia­ lettica dell'essere, o della struttura senza tempo e senza soggetto di ciò che dal di fuori incombe sul destino dell'individuo. La coscienza storico-vitale è l'uni­ ca che autenticamente riesce ad attingere il senso dell'esperienza integrale e compiuta, di un'esperienza che è, insieme, della vita e della storia, che è, insie­ me, azione e conoscenza, visione e distinzione. Si può dire, allora, che la storia vera, la sola autentica storia possibile è la storia "vissuta" , la storia che si rivela nel senso, in una esperienza del senso come unità di pensiero e di azione. La centralità che Zambrano affida alla coscienza storica - che resta per lei la fondamentale " caratteristica dell'uomo dei nostri giorni " - non è dunque da intendere come acritico privilegiare una antologia della storicità come mero so­ stitutivo di una antologia della ragion pura. In questo senso mi sembra signifi­ cativo che il primo capitolo di Persona y Democracia rechi come titolo Perples­ sità difronte alla storia20• Ma su questo punto tornerò in seguito. Mi sembra im­ portante, però, ai fini della comprensione della teoria zambraniana della storia, osservare come questa teoria nasca e si sperimenti anche alla luce della analisi critica di uno degli esiti maggiormente caratterizzanti la storia moderna del­ l'Europa, la democrazia. Specificamente dedicata al tema della democrazia è la quarta parte del libro. Qui si analizza e si chiarisce conclusivamente il senso della relazione tra persona e democrazia, giacché la società democratica si ca­ ratterizza non solo e non tanto perché consente alla persona di essere, ma so­ prattutto perché essa stessa non può realizzarsi se non a partire dalla persona. La preferenza accordata da Zambrano all'idea di persona, più che a quella di individuo si basa su un ragionamento coerentemente filosofico e non su un pre­ supposto etico-religioso. La persona, infatti, rispetto all'individuo consente di

200 1 , pp. 65 ss. Ortega Muiioz mette in relazione la riflessione zambraniana sulla coscienza sto­ rica con il carattere gerundio/e del tempo teorizzato da Zubiri, alla visione, cioè, di una realtà " que no es, sino que va siendo" , una realtà che non è fatta una volta per tutte, ma che va conti­ nuamente facendosi. "Per questo Maria Zambrano ci dice che l'uomo è un essere che continua­ mente albeggia o, come afferma in maniera espressiva, l'uomo è un'alba non rare/atta [mi pare di poter rendere così il termine cuajada] " . E, tuttavia, l'interprete spagnolo della Zambrano oppor­ tunamente osserva come questa dimensione originaria dell'essere storico dell 'uomo non possa pensarsi senza il riferimento alla sua declinazione sociale e collettiva. I riferimenti testuali di Or­ tega Muiioz sono tratti per lo più da M. ZAMBRANo, Persona y Democracia ( 1 958), Siruela, Ma­ drid, 1 996; Persona e democrazia. La storia sacrì/icale, trad. di C. Marseguerra, Milano, Bruno Mondadori, 2000, su cui, più avanti, ci soffermeremo a lungo. 2° Cfr. M. ZAMBRANO, Persona e democrazia, cit., pp. 7 e ss.

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andare al di là della situazione oppositiva tra individualità e socialità e si collo­ ca ad un livello più alto rispetto alla mera differenza. Quanto sia strettamente connesso il concetto di democrazia a quello di storicità, è confermato dall' av­ vertimento zambraniano a non considerare i significati tradizionali della demo­ crazia in una rigida ed eterna certezza semantica. Le parole che spesso sono sta­ te associate alla democrazia (popolo, individuo, libertà) sono, al tempo stesso, da considerare nei limiti della loro storica determinatezza, ma anche nella loro validità universale, legata non certo ad una presunta genesi trascendente e atemporale, ma all'aperto ed irrealizzato futuro in esse contenuto. " Bisognerà allora lasciare che da esse cada, come la pelle di un serpente, il significato che avevano un giorno, perché venga allo scoperto il significato a cui miravano"21 • Persona è, per Zambrano, tra le parole maggiormente cariche di futuro, è quel­ la che più di ogni altra appare in grado di integrare la democrazia con nuovi si­ gnificati e nuovi contenuti politici. Essere persona è proprio di ogni uomo ben prima della sua inclusione in una classe, e oggi è questa la cosa più decisiva e per noi rilevante; anche del fatto che il governo sia nelle mani del popolo o che si governi per il popolo; anche del fatto, potremmo dire, che non esistano classi sociali, se mai questo potrà accadere un giorno. E se un giorno scomparissero veramente le classi sociali, questo potrebbe accadere solo se l'uomo fosse finalmente riuscito a vivere in nome del suo essere interamente persona; solo se quella realtà della persona umana avesse, diciamo così, invaso tutta l'area del­ la realtà umana22•

Insomma, conclude Zambrano, la società può e deve, per questa via, diven­ tare lo " spazio ideale " della persona umana, non il suo "luogo di tortura" . Non si tratta, dunque, di un personalismo astratto, di sapore più o meno moralisti­ co, ma di una opzione dialetticamente complessa, giacché non tende a separa­ re il fondamento della persona dalla storicità del popolo, che viene qui consi­ derato come la concreta realtà dell'umano, come una vera e propria sostanza radicalmente vivente e di nuovo sempre trasformantesi, come il "substratum di ogni storia" . Mi soffermo volutamente a lungo su queste pagine zambraniane perché credo che in esse si confermi in modo evidente un modello fenomeno­ logico che riesce a tenere insieme coerentemente la premessa filosofico-specu­ lativa e la costante attenzione alla storia. Tale procedimento appare ancora più chiaramente nelle pagine in cui la filosofa analizza il concetto di popolo che si caratterizza per una sua costitutiva ambivalenza: da un lato la sua forza quasi divina e illimitata quando si oppone, fino alla consapevolezza dell'estremo sa21 Ibid. , p. 159. 22

Ibid. , p. 160.

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crifico, al nemico oppressore (il popolo della Bastiglia o il popolo spagnolo che insorge in armi contro Napoleone, sono gli esempi addotti); dall'altro la sua de­ bolezza quando si arrende agli idoli della demagogia e dell'ideologia. Resta da chiedersi perché mai ai momenti di esaltazione e di estasi quasi sempre succe­ dano le fasi della decadenza e della resa. Si tratta solo di una naturale disposi­ zione della condizione umana? Può darsi, osserva Zambrano. Ma, in realtà, ciò che entra in gioco è una sorta di oblio della temporalità (ancora a dimostrazio­ ne di come sia rilevante nella riflessione della Zambrano il problema del tem­ po e della sua multiversa storicità) . Ciò che trasforma il popolo generoso ed esaltato della Bastiglia in massa amorfa che si genuflette alla Dea Ragione e agli altari della ghigliottina è la dimenticanza del tempo, del suo corso incessante. " Dimentichiamo ogni relatività, ogni diminuzione e diversità, sono momenti che definiamo spontaneamente divini, perché vissuti come eterni, o meglio so­ vratemporali, sono istanti assoluti"23 . Perciò vi è sempre bisogno di un conti­ nuo processo di reintegrazione nel tempo e nel suo corso storico, in un tempo, per così dire, bipolare, in una esperienza duale, giacché alla pienezza dell' atto liberatorio il popolo deve affiancare la faticosa riconquista del quotidiano. Vi sono due sempre, osserva la Zambrano, che continuamente si confrontano e si scontrano: li 'sempre' della vita quotidiana, quello del tempo che corre, in cui esiste passato, presente e un avvenire che bisogna preparare; il tempo della preoccupazione e dell'angoscia, del lavoro; il tempo che ci sfugge e che dob­ biamo guadagnarci; e la lotta" . Senza questa consapevolezza della temporalità, della impossibilità di restare in eterno nell'attimo dell'estasi e dell'esaltazione rivoluzionaria, si finisce con il dare alimento alla sfiducia e alla rassegnazione del popolo. Con una serie di passaggi, che riecheggiano analoghe considera­ zioni di Ernst Bloch, la Zambrano avverte che anche quando sembra realizzar­ si la speranza, proprio allora può avvenire che essa venga tradita dalla dema­ gogia e dall'ideologia24• "li peggiore dei delitti sarebbe speculare sulla fame e "

2' Ibid. ,

p. 165 . Sulla speranza nell'opera della Zambrano s i tornerà anche più avanti. Qui mi pare importante sottolineare come la riflessione teoretica sulla fenomenologia dell a speranza compaia significati­ vamente in uno dei testi più caratterizzanti sul terreno etico e politico. Mi riferisco al terzo capi­ tolo (La speranza europea) de La agonia de Europa, un testo non a caso pubblicato nel 1945 . Ciò che, in termini generali, può essere definito come "spirito" altro non è, per Zambrano, che la sempre rinn ovata capacità che solo l'essere umano ha di riconcepirsi (nel senso letterale del ri­ nascere). "Ogni cultura viene a essere conseguenza del bisogno che abbiamo di rinascere di nuo­ vo. E così la speranza è il fondo ultimo della vita umana, ciò che reclama ed esige la nuova na­ scita, il suo strumento, il suo veicolo. Perciò l'essere umano non riposa; perché tutte le volte che in successive culture è rinato, non ha potuto raggiungere la nascita definitiva, poiché in nessuna di esse ha trovato, né forse può trovare, quell'essere intero e compiuto che va cercando" (cfr. M. ZAMBRANO, La agonia de Europa, Vélez-M:ilaga, Fundaci6n Maria Zambrano 1988; trad. di C. 24

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sulla speranza di un popolo. L'azione peggiore, e anche la più pericolosa, per­ ché la fame e la speranza sono i motori più attivi della vita umana "25• Per questo, allora, le pagine che la Zambrano dedica alla critica della de­ magogia ( "La demagogia è l'adulazione del popolo. E, come ogni adulazione, incita a rimanere dove ci si trova, a fissarsi nella propria situazione, nella situa­ zione del passato. Perché ogni trasformazione richiede uno sforzo, l' adulazio­ ne, dando per definitiva la situazione attuale, suggerisce a un popolo o a una determinata persona che non è necessario fare alcuno sforzo. Si tratta unica­ mente di ottenere soddisfazioni. E, nel caso del popolo, di riscuotere un debi­ to secolare " )26 sono necessariamente propedeutiche alla fissazione dei principi fondamentali della democrazia, una democrazia, però, che assolutamente non sia dominio di una classe sulle altre, né sia prevaricatrice della libertà dell'indi­ viduo (ed è per questi motivi che parti dell'analisi zambraniana vengono dedi-

Razza, presentazione di M. Garda-Baro, Venezia, Marsilio, 1999, pp. 7 1 -72 ) . La cultura europea, più delle altre ad avviso di Zambrano, ha coltivato coerentemente questa speranza del rinascere, e di un rinascere legato alla terra piuttosto che alle immagini di un altro mondo. Per la filosofa spagnola l'uomo nuovo che sempre rinasce sin dagli albori della cultura europea è rappresentato da Agostino, dalla doppia via - come mostrano esemplarmente le Confessioni - "di una conver­ sione personale che al tempo stesso è storica" . Nell'uomo agostiniano infatti alla conversione del­ la coscienza si affianca quella storica, consentendo, in tal modo, una risposta alla crisi del mon­ do antico, che muore, appunto, per rinascere nella moderna forma europea. "Quest'uomo nuo­ vo è l'uomo interiore: 'ritorna in te stesso; all'interno dell'uomo abita la verità' . L'uomo europeo è nato con queste parole. La verità è dentro di lui; si accorge per la prima volta della sua inte­ riorità e perciò può riposare in essa; perciò è indipendente, e qualcosa di più che indipendente: libero" (ibid. , p. 84) . Ma in Europa, si potrebbe dire, vi è un surplus di storia (senza che questo mostri in Zambrano un voler accedere a forme di improponibile eurocentrismo o di primato oc­ cidentalistico) che deriva proprio dalla conquistata consapevolezza post-agostiniana del conflit­ to in cui nasce e rinasce l'uomo europeo, tra quello che è quello che aspira ad essere. "Ma dalla sua interiorità inesauribile, dalla sua speranza di resurrezione qui sulla terra, è germogliata l'esi­ genza rivoluzionaria di un mondo, di una città ideale sempre là all'orizzonte. È la sua ansia sto­ rica, il voler sostantivare i suoi sogni, il credere in essi in qualche modo. Per questa ragione la storia è più storia in Europa che altrove, per questa importanza definitiva dell'orizzonte, per la credenza nei propri sogni che corrisponde all'aspirazione di uscire da sé. Un'aspirazione di usci­ re da sé che è tanto più forte quanta più chiara consapevolezza si ha dell'interiorità. L'uomo in­ teriore che non cammina verso la santità, cammina verso la storia, vuole uscire da sé per realiz­ zarsi qui sulla terra, ma al tempo stesso sa, ha saputo fino a poco fa, che una simile cosa non sa­ rebbe in nessun modo realizzabile" (ibid. , pp. 89-90) . Per questo Zambrano può alla fine parla­ re di un "fondo essenzialmente utopico della storia europea" , una storia mossa da sogni e deliri, da cui sempre scaturisce la storia effettiva. Sulla presenza di Agostino in Zambrano dr. M.T. Russo, Maria Zambrano, intérprete de San Agustin , in " Aurora" , 3 (200 1 ) , pp. 68-74. Nello stes­ so fascicolo cfr. S. TARANTINO, La con/esi6n como tiempo del ser en Maria Zambrano y San Agu­ stin, pp. 75 -81. 25 Cfr. M. ZAMBRANo, Persona e democrazia, cit., p. 168. 26 Ibid. , p 170.

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cate al concetto di massa, con espliciti riferimenti al libro orteghiano del 1 927 su La ribellione delle masse) . Quel che qui, tuttavia, interessa segnalare è la co­ stante preoccupazione zambraniana di relazionare l'idea di democrazia alla di­ mensione temporale di concrete fenomenologie storiche. Ad esempio le " de­ viazioni" demagogiche e ideologiche riscontrabili nei comportamenti della massa sono colte da Zambrano in una intelligente analisi del linguaggio del po­ polo comparato a quello della massa. La complessa alternanza che si può nota­ re, nel linguaggio popolare, tra immediatezza espressiva e suggestioni allusive, tra norma e fantasia, in quello della massa scompare a favore di un uso piatto e ripetitivo di termini. Nello schematico linguaggio della massa, la prima cosa a scomparire è il tempo, as­ sieme alla persona a cui si parla. Passato, presente e futuro si stratificano, diventano cose. È un linguaggio di " sì" o di "no", assoluti; non c'è uscita, e perciò neanche spa­ zio per il dialogo27•

Ma, tornando, alla delineazione dell'idea di democrazia, è proprio la consa­ pevolezza della sua storicità e del suo continuo confronto con il tempo, che consente a Zambrano di pensare, insieme, la dimensione ottimale di essa e il suo storico permanere nei limiti della possibilità e della realizzabilità. " Se la de­ mocrazia è questa società che abbiamo cercato di delineare, la società umaniz­ zata, come l'abbiamo definita, la società in cui non solo è possibile, ma ad di­ rittura necessario essere persona, la società a immagine e somiglianza della per­ sona, allora bisogna convenire che si trova ancora in uno stadio nascente " . Quale che possa essere il livello d i crisi e di catastrofica decadenza a cui sem­ bra essere giunta la civiltà occidentale, questo non ci autorizza ad esprimere un giudizio di assoluta negatività, perché "non può essere giunto alla decadenza quello che non si è neppure realizzato " . Non è questo il luogo per analizzare nel dettaglio l a filosofia politica d i Zam­ brano e, in particolare, le pagine che essa dedica al ruolo delle minoranze e al­ la genesi dei totalitarismi nella storia della democrazia europea tra i due gran­ di conflitti mondiali28• Quel che tuttavia importa qui segnalare - in coerenza ad una ricerca sul significato della storicità nella filosofia zambraniana è che la forma storica della democrazia novecentesca, pur sottoposta alle aggressioni dei regimi totalitari, delle demagogie e delle ideologie, pur mantenendosi in una continua oscillazione tra chiusura e apertura, crisi e rigenerazione, resta reale proprio perché non può essere distrutta, giacché riappare sempre di nuo­ vo dopo ogni tentativo di cancellazione. Ricorrendo ad una delle sue abituali -

27 Ibid. , p. 177. 28 Ibid. , pp . 1 8 1

e ss.

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metafore, Zambrano scrive che la democrazia resta in bilico tra il paradiso e l'inferno che in suo nome gli uomini costruiscono sulla terra. Solo ricorrendo al purgatorio della ragione e del metodo si può immaginare la democrazia co­ me un non assoluto, come un varco che apre l'orizzonte e non lo chiude, come " quella relatività della ragione vera che sa muoversi nel Tempo. O meglio, nei Tempi "29• Per concludere questo fin troppo lungo excursus sull'idea zambraniana del­ la democrazia, vorrei insistere sulla sua filosoficità, sul fatto cioè che essa, pur nascendo sul terreno di una vissuta esperienza storico-personale (la crisi euro­ pea, la guerra civile, i totalitarismi, l'esilio, la ricostruzione dell'Europa demo­ cratica) si pone essenzialmente sul terreno della riflessione teorica e gnoseolo­ gica (allo stesso modo, cioè, come cerco di mostrare in queste pagine, in cui si definisce l'idea di storia) . Infatti, lo " stile di vita democratico " si caratterizza in­ nanzitutto come dissoluzione di ogni assolutismo, cioè liberazione da ogni in­ catenamento della persona nella fissità di situazioni date. Ora tutto ciò appar­ tiene certamente alla capacità di agire e reagire, alla constatazione cioè che non basta immaginare le cose per farle diventare reali, ma è necessario realizzarle, e, tuttavia, il dato fondativo e costitutivo resta il pensiero. Ma che tipo di pen­ siero? Qui Zambrano sembra anticipare con grande lucidità le analisi critiche contemporanee del cosiddetto pensiero unico, giacché per lei " pensare signifi­ ca introdurre la diversità, significa farla scendere da quel cielo sovratemporale in cui appare tutto ciò che è unico , nella vita che è molteplicità, relatività " . n problema, dunque, torna ad essere quello della storicità e del cambiamento, della consapevolezza, cioè, che mai nessun evento, preso nella sua isolata asso­ lutezza, può fermare la storia e, dunque , la vita stessa dell'uomo. Mi pare, così, di poter tornare a sostenere che l'impronta essenziale della fi­ losofia zambraniana resti dualistica, proprio perché fortemente critica di ogni monistico riduzionismo . La filosofa spagnola, ancora una volta, a mio parere, appare vicina a quella tradizione critica e non assoluta dello storicismo (con Vi­ co alle origini) che ha teorizzato l'inaggirabile e inconchiudibile dialettica tra universalità e particolarità, eternità e storicità, forme e vita. Per questo Zam­ brano parla esplicitamente di una " doppia fedeltà" : all' assoluto e, al contempo, alla relatività, a ciò che viviamo e sperimentiamo nel tempo della storia e a ciò che immaginiamo e pensiamo fuori del tempo. L'unico vero possibile punto di raccordo tra queste due fedeltà è rappresentato, per Zambrano, dall' etica , da ciò che maggiormente è in grado di rappresentare l'essenza della persona uma­ na, da ciò, in definitiva, che si deve volere in modo assoluto senza uscire dalla temporalità, anzi attraversandone consapevolmente e criticamente tutte le mol29

Ibid. , p . 1 9 1 .

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teplici relatività. Così la condizione di possibilità della realizzazione della per­ sona resta legata alla capacità di stare dentro le molteplici dimensioni del tem­ po, negandosi alla fissità di un unico pensiero o di un'unica immagine del mon­ do. Lo stare della persona nel tempo, dunque, significa anzitutto la coscienza del legame sociale che viene dal passato, ma anche l'individuazione dei percor­ si che spingono verso il futuro . E, tuttavia, è nel presente che maggiormente si può cogliere l'esperienza della molteplicità, la contemporaneità del mio pre­ sente e di quello degli altri, nella società, nei gruppi, nelle classi. È in questo modo di vivere il presente che emerge l'essenza della democrazia. L'inclusione del sociale nella vita morale della persona richiede una grande mobilità attraverso il presente, come se il presente - il presente inteso in tutta la sua mobilità - fosse passato e futuro da percorrere, da organizzare in una specie di armonia dei tempi. La democrazia è il regime dell'unità della molteplicità, e pertanto il riconosci­ mento di tutte le diversità, di tutte le situazioni più differenti. L'assolutismo, e anche i suoi resti operanti nel seno di un regime democratico, tiene conto soltanto di una si­ tuazione determinata. Se in effetti le cose stessero così, se di fatto esistesse solo un 'u­ nica situazione nel momento presente, sarebbe possibile il genere di unità che l'asso­ lutismo, dichiarato o meno, propone. Ma una società è un insieme di situ azioni di­ verse: perdere di vista anche una sola delle più decisive significa la catastrofe o la pa­ ralisP0.

Guai a considerare , allora, i regimi politici e le istituzioni come una struttu­ ra data una volte per tutte, capace in ogni momento della sua esistenza, di ga­ rantire ordine e tranquillità. Paradossalmente ciò che impedisce alla democra­ zia di manifestarsi e realizzarsi nella sua completa espansività è il principio di realtà, è il convincimento che la storia possa essere tutta racchiusa nella mate­ rialità delle cose. La democrazia deve diffidare della realtà, nel senso che deve continuamente cercarla e scoprirla e mai ritenerla come definitivamente data in sé . "In ogni assolutismo del pensiero e in ogni dispotismo cova la paura della realtà umana e anche della realtà in sé, prima che umana. Si teme la pluralità, la molteplicità, il cambiamento [ . . . ] Se infatti si crede che la realtà sia immobi­ le, si tende a rimanere immobili"3 1 . La vitalità e la dinamicità storica della for­ ma democratica restano dunque legate più che all'ordine seriale di un presup­ posto modello evolutivo, all 'ordine di una composizione che nella ricerca del­ l'insieme sappia mantenere le differenze. Per questo, osserva Zambrano, l'or­ dine che si addice alla democrazia è piuttosto quello musicale e non quello del­ la costruzione architettonica .

3 o Ibid. , p p . 1 93 - 1 94 .

3 1 Ibid. , p . 195 .

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La storia ha inizio quando si erige una costruzione e [ . . . ] sinora l'immagine della vita storica corrisponde a qualcosa che viene edificato . La trasformazione che deve avve­ nire farà si che fmalmente un giorno o l'altro l'immagine della vita storica, dell' atti­ vità storica, proverrà forse dalla musica, da quest'ordine che sa mettere in armonia le differenze32•

Forse proprio a causa di questo vitale carattere di mobilità e costitutiva in­ stabilità dell'ordine democratico (il quale è tale solo nella misura in cui esige la partecipazione di tutti) la democrazia è stata quasi sempre identificata - da par­ te di conservatori e paladini degli assolutismi - con il disordine. La riflessione filosofica si intreccia con l' acuta percezione storica (vissuta sulla propria pelle, nel caso di Maria Zambrano) delle vicende contemporanee che hanno trava­ gliato i difficili percorsi della democrazia. E ci sono ancora persone che arrivano a giustificare e a ringraziare il cielo per i mi­ lioni di morti che ci sono voluti per liberare un paese dal " disordine" di una demo­ crazia che non era costata nessuna vita umana per instaurarsi e che non aveva dovu­ to emettere nessuna sentenza di morte per mantenersi al potere . TI problema è sem­ plicemente che, rifiutandosi di partecipare al suo ordine, confondono quell'ordine vi­ vente e fluido con il caos, come qualcuno che non possa seguire il fluire di una me­ lodia o la complessità del contrappunto; come qualcuno che voglia trovare l'ordine e l'armonia nel suono continuo di una nota. È dell'immobilismo che ci dobbiamo libe­ rare noi occidentalP3•

Insomma, il " disordinato" ordine democratico è ciò che, filosoficamente e storicamente, corrisponde alla vera possibilità di manifestazione della realtà umana, la partecipazione ad esso di ogni persona, nel nome di una idea di uguaglianza che si deve coltivare innanzitutto a partire dalle persone in sé e non da ciò che qualitativamente o quantitativamente le caratterizza, una eguaglian­ za che non è uniformità, ma "presupposto che permette di accettare le diffe­ renze, la ricca complessità umana e non solo quella del presente, ma anche quella dell'avvenire . È la fede nell'imprevedibile" 34• Si può essere persona solo nella misura in cui non si è costretti ad esserlo, non si considera la realtà come una struttura statica, ma come un dato reale perché vitale. E, tuttavia, scrive Zambrano nella pagina conclusiva di Persona y Democracia, vi è un modo ulteriore di essere persona, un modo "tragico" che è quello dell'affermarsi come "personaggio" , perché al di sotto di esso la perso­ na lotta per liberarsi e "si precipita nella tragedia" . 32 Ibid. , p . 1 96. 33 Ibid. , pp. 1 96 - 1 97 . 3 4 Ibid. , p . 1 97 .

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Se l'uomo occidentale getterà la sua maschera e rinuncerà a essere personaggio nella storia, sarà finalmente disponibile a scegliersi come persona. Ma non è possibile sce­ gliere se stessi come persona, senza fare contemporaneamente la stessa scelta anche per gli altri. E gli altri sono tutti gli uomini. E con questo il cammino non finisce, an­ zi siamo solo all'inizio35•

Per questo Zambrano, pur ritenendo come un dato non più occultabile e di­ scutibile l'esito della storia e della cultura contemporanea verso la democrazia (sia pur sempre esposto al rischio dei totalitarismi e dei fondamentalismi) , enuncia uno dei più originali tratti della sua personale riflessione filosofica sul­ la storia, la percezione, cioè, della sua dimensione sacrificale. La cosiddetta ' crisi d 'Occidente' non esiste quasi più. Non c'è crisi, ma un senso di ab­ bandono più forte che mai. Oscure divinità hanno preso il posto della luminosa chia­ rezza, quella che si manifestava offrendo la storia, il mondo, come il compimento, il ter­ mine della storia sacrificale36• Oggi non si vede più il sacrificio: la storia si è tramutata in un luogo indifferente in cui qualsiasi avvenimento può presentarsi con la stessa validità e gli stessi diritti di un Dio assoluto che non consente la più lieve obiezione37 •

Si profila qui, a mio avviso, uno dei passaggi dell'opera zambraniana dove diventa maggiormente visibile la pregnanza che , ai fini della comprensione del­ l' esperienza storico-vitale, assume il rapporto dialettico (sempre aperto e mai riducibile ad astratto sistema di nessi concettuali) tra storia come destino e ne­ cessità e storia come delirio e sogno creatore. L'immagine prometeica dell'agi­ re umano nella storia non è fondata su una tautologica e passiva presa d'atto della costruibilità pragmatica dei rapporti tra l'uomo e il milieu storico . Ciò che deve porsi sempre prima di questa passiva aderenza agli eventi è la possibilità della scelta, è la consapevolezza responsabile che si manifesta, 12 er così dire, co­ me la sottotraccia di ogni storia della prima persona singolare. E per questo che l'uomo è sempre chiamato a decidere se disporsi attivamente o passivamente 35 Ibid., p. 198. 36 La stessa Aurora - si ricordi che l'Aurora è la metafora-chiave della filosofia zambraniana sembra essersi originata da un antico sacrificio, quasi come l'estremo residuo del "delirio sacri­ ficale " . Le vestigia di questo delirio fanno trasparire le forme della ragione . " E la Ragione, tutto fuorché dea , è tuttavia divina, fino a rendersi invisibile, fino a cessare di esistere, convertita in or­ bita che non cattura, che sostiene senza darlo a intendere, che quasi impercettibilmente si insi­ nua e si ritira, penetrando, inavvertita, ovunque. Cosa che fino a oggi non ha potuto fare che ra­ ramente, e senza mai ricevere, quando lo ha fatto, una accoglienza entusiasta. Poiché la Ragione non essendo dea, non è invulnerabile né insensibile all'umano. E l'umano, più che gli dèi, esige il sacrificio " . Cfr. M. ZAMBRANO, De la Aurora , Madrid, Turner, 1986; trad. e cura di E. Lauren­ zi, Genova, Marietti, 2000 , p. 1 6. 37 ID . , Persona e democrazia, cit. , p. 2. Si ricordi che mentre il libro è per la prima volta apparso a Porto Rico nel 1 958, il Prologo da cui è tratta la citazione è datato 1987 .

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nei confronti della storia , se abbandonarsi al destino e subime gli eventi sin quasi ad identificarsi con essi, oppure riscattarsi e ribellarsi in qualsiasi istante, in particolare in quello segnato dal sogno creatore, ma anche in quello della sensazione immediata di vita offerta dal più insignificante brandello di esisten­ za, dalla piega più minuta della natura, da ogni atto di amore e di amicizia. Im­ provvisamente, senza che niente lasci presagire il risveglio, l'uomo è in grado di riacquistare la pienezza della sua coscienza, in ogni sua gradazione, in ogni sua relazione (sia essa con un fiore o un 'immagine di vita quotidiana38, con un ver­ so o una canzone, con un quadro o con una rivoluzione) . Soltanto così può ten­ tare di evitare che la storia continui a comportarsi come "un'antica Divinità che esige un sacrificio senza fine "39• Credo, allora, che si riesca a capire che cosa voglia intendere Zambrano con l'espressione "storia vera " , dove la formulazione veritativa non ha nulla delle an­ tiche pretese della filosofia della storia, delle storie a disegno, sia esso tracciato da un'entità sovrastorica e sovratemporale o sia esso immaginato e rappresentato nel finalismo del pensiero o della struttura senza soggetto. La storia vera è molto semplicemente quella non data ab aeterno o subita, è quella storia, invece, che na­ sce "soltanto dalla coscienza, attraverso la perplessità e la confusione" . Come abbiamo visto trasparire dalle pagine d i Persona y Democracia, il di­ scorso zambraniano sulla storia quasi mai è separabile da una visione della tem­ poralità che si manifesta, anzitutto, nella complessa fenomenologia della per­ sona, che resta, può restare tale, solo nel fatto della convivenza e nella possibi­ lità sempre rinnovantesi della comunicazione. Cosicché, il tempo storico del presente non si appiattisce nell'evento dato, proprio perché la socialità della persona ha le sue radici nel passato ed è in grado di immaginare tutta la gam­ ma delle relazioni con il futuro. Per questo, la filosofa spagnola può sostenere con forza che noi "sentiamo la storia attraverso questo tempo di convivenza con la nostra società, dentro la quale siamo e ci muoviamo, e i cui cambiamen­ ti decidono la nostra vita "40• n riconoscimento del fatto che "l'uomo è sempre stato un essere storico "41 non è, dunque, da intendere nel senso di una statica pre-condizione antologica, la storicità dell 'individuo, anzi, si manifesta al suo massimo grado, quando reagisce alla sua stessa passività, quando si ribella

38 Esemplari, da questo punto di vista, sono le pagine di Delirio y destino dove la filosofa descri­

ve simpateticamente (oscilla ndo tra comprensione fenomenologica e analisi sociologico-cultura­ le) i luoghi della sua infanzia, il giardino della casa dove restò segregata a causa della malattia, gli ambienti universitari madrileni, le strade e le piazze della capitale spagnola. 39 M. ZAMBRANO, Persona e democrazia, cit . , p . 9 . 40 Ibid. , p . 1 7 . 4 1 Ibid. , p . 7 .

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all"' esser mosso da qualcosa al di fuori di sé" . Questo spiega ancora una volta anche il senso - prima filosofico che politico-ideologico - del ricercato nesso tra persona e democrazia42, giacché è solo grazie alla piena e libera espansione della coscienza storica che diventa plausibile l'idea di una società che sia fina­ lizzata alla realizzazione della piena dignità della persona, una società libera dal dato necessitante di una vittima da sacrificare a qualsiasi idolo (sia esso religio­ so o mondano )43 . La soglia della storia davanti alla quale l'uomo ha dovuto tante volte retrocedere è questa: che là dove ci raggruppiamo - e non possiamo farne a meno - smetta di esi­ stere un idolo e una vittima; che la società in tutte le sue forme perda la su a costitu ­ zione idolatrica; che riusciamo un giorno ad amare, a credere e a obbedire senza bi­ sogno di idolatria; che la società smetta di reggersi sulle leggi del sacrificio, o meglio su un sacrificio senza legge44•

Diventa allora inestricabile il rapporto tra l'uomo e la storia, ma non nel sen­ so di un annullamento del singolo in una impersonale e universale sostanza che sta e prima e dopo, in una placenta che avvolge da ogni parte l'individuo e dal­ la quale esso fuoriesce venendo alla luce una volta per tutte. L'uomo, piuttosto, nasce sempre di nuovo dalla storia, dalle infinite storie, si può dire che nasce con la storia e con il suo inarrestabile movimento, con il passato che vive nei suoi antenati, con il presente che si fa nella consapevolezza del Sé e del suo far­ si, con il futuro che si prefigura nell'evento preparatorio del "sogno creatore"45 • Nell'immagine poetico-tragica della Sfinge, evocata d a Zambrano, s i cela l'uo-

42 J.F. 0RTEGA MuNOZ, Introducci6n al pensamiento de Maria Zambrano, ci t., parla di una " com­ plementarietà di persona e società " . Ma essa va intesa, ancora una volta, più sul piano filosofico­ esistenziale che su quello politico-sociologico. Non a caso lo studioso della Zambrano fa giusta­ mente riferimento alla originaria presenza, nella vita dell'uomo, delle due " divinità imparentate " - l'individuo e la società - di cui parla Ortega in ,; Qué es filosofia ? TI problema, per Zambrano, è quello di evitare gli opposti eccessi di una idea di individualismo negatore dell'esperienza so­ ciale e comunitaria e di una idea di società come luogo assorbente di ogni individualità. In ve­ rità, come scrive Zambrano, " solo dopo aver riconosciuto l'origine comune di società e indivi­ duo, ossia il fatto che si siano generati a vicenda, possiamo dare una collocazione all'antagoni­ smo, a volte tragico e sempre drammatico, tra l'individuo e la società" (ibid. , p. 1 3 0 ) . Insomma, il "pessimismo circa la condizione umana " e !"' ottimismo utopico" alla ricerca di una società ideale che sia adeguata alla vita dell'uomo, dimenticano entrambi la " verità della condizione umana, e cioè che l'uomo è una creatura in continua gestazione " (ibid. , p. 13 1 ) . 4 3 Coglie bene questo stretto rapporto tra la struttura tragica e sacrificale della storia e l a demo­ crazia come reale prospettiva di fuoriuscita dal fatale conflitto tra idolo e vittima, F. MARoNE, Narrare la differenza. Generz� saperi e processiformativi nel Novecento, Milano 2003 , pp. 259 e ss. 44 M. ZAMBRANO, Persona e democrazia, cit. , p . 44 . 45 Qui faccio ovviamente riferimento a El sueiio creador ( 1 965 ) , Madrid 1 998; cfr. la trad. di C . Ferrucci, Roma 2003 . In questo testo Zambrano costruisce una interessante forma di relazione

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mo che geme, atterrito dal pericolo che incombe sul primo istante, quello del­ la perplessità che "precede la coscienza e la obbliga a prendere corpo" , della paura di trovarsi soli dinanzi a se stessi e al proprio passato. Ma succede che nella figura dell'uomo nascosta nell a Sfinge c'è, ebbene sì, un condan­ nato, e c'è anche uno sconosciuto: il condannato è colui che ha sofferto così tanto a lun­ go; lo sconosciuto è colui che reclama un'esistenza, è il futuro. E l'unico rimedio a tutte le condanne e gli errori dd passato è il futuro, se si fa in modo che questo futuro non sia una ripetizione, una replica dd passato, se si fa in modo che sia futuro davvero46•

Questa immagine mobile e indefinita della storia, di una storia che si decli­ na al futuro pur senza cedere a illusorie prospettive finalistiche, è proprio tut­ to il contrario di una storicità pensata come un inarrestabile cammino in linea retta. Pur essendo consapevole della complessa struttura del tempo storico e della necessità di studiarla nella sua genesi e nelle sue molteplici forme, Zam­ brano, proprio perché muove dalla immediata percezione di qualcosa che, co­ me la vita, non resta mai uguale a se stessa, si affida all'immagine del labirinto, non della scacchiera che attende le mosse geometriche della mano invisibile della ragione, ma del labirinto della speranza umana. Tutto ciò che abbiamo detto finora in queste pagine punta infatti in una direzione: in­ dica che la storia, tutta quanta, potrebbe intitolarsi Storia di una speranza in cerca del suo argomento. E sarebbe un titolo adatto per tutta la durata della storia; se nel fon­ do della vita umana non esistesse, inesauribile e avida, inesorabile come la vita stes­ sa, la speranza, non avremmo la storia e l'uomo non si sarebbe proposto di essere umano. Se lo è dovuto proporre e dobbiamo continuare a farlo anche noi. La spe­ ranza non si limita a esserci e basta, ha le sue eclissi, le sue cadute, le sue esaltazioni, la sua momentanea estinzione e la sua resurrezione47• tra l' atemporalità del sogno (il tempo sospeso, infatti, ci viene restituito al momento della veglia) , e il tempo della coscienza. "La persona dispone del tempo che la coscienza l e offre: il tempo li­ neare, coordinata alla quale qualsiasi evento può essere riferito . TI che non vuol dire, però, che nella veglia si sia costantemente soggetti a tale genere di tempo, che non lo si possa anche ab­ bandonare per cadere nell'atemporalità tipica del sogno " (ibid. , p. 2 7 ) . Proprio questa massima disponibilità del tempo da parte della persona, le consente di dominare, fino a sottrarsene, la ne­ cessità dell'evento. La figura teorica dell' ensimismamiento (lo stare in se stessi) prefigura proprio il continuo trapasso dalla storia lineare del tempo della veglia alla storia lenta e senza tempo del sogno. Ancora una volta il problema filosofico di fondo della Zambrano si rivela essere la co­ struibilità della relazione tra tempo mobile della storicità e eternità immobile dell a coscienza. "La persona si costruisce nel tempo. Si realizza , nel tempo. La temporalità non è decadenza, ma mez­ zo di realizzazione. La vita umana è precisamente l'intersecarsi della persona, in ciò che essa ha di immobile, col tempo " (ibid. , p. 28). 46 M . ZAMBRANO, Persona e democrazia, cit . , p . 1 0 . 4 7 Ibid. , p p . 3 4 - 3 5 . Anche s u questa visione della speranza, come sull'idea d i multiversità tempo­ rale, si potrebbe scorgere più di un motivo di consonanza con analoghe riflessioni di Bloch.

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Vi è un testo paradigmatico della Zambrano che, forse più di ogni altro, ri­ vela la costitutiva ambiguità della storia : la storia vissuta, da un lato, la storia realmente vissuta nella prima persona (che non può escludere da sé i deliri, i sogni, neanche la stessa aspirazione alla finalità che caratterizza alcuni momen" Sperare - scrive Zambrano più avanti - è una forma di trascendere, un continuo partire in cer­ ca di qualcosa. È, in un certo senso, un vuoto che deve riempirsi, uno spostamento che richiede una direzione. l: uomo è perciò la creatura che si costituisce in vista di una finalità. Grazie a que­ sta finalità, lo sperare può concretizzarsi in speranza e questa speranza può anche arrivare a vo­ ler essere volontà. È in questo momento del p rocesso che si corre il rischio della divinizzazione, una delle forme in cui l'uomo sogna se stesso. E poiché sognare se stessi è inevitabile, la vedia­ mo apparire come una vera e propria soglia tragica da evitare. Ma quando non la si è evitata, bi­ sogna tornare indietro e disfare l'errore fino a poterla attraversare" (ibid., p . 84 ) . La Bundgard sottolinea come la filosofia zambraniana della crisi (crisi storica e teoric a , ma anche crisi vissuta nell'esperienza personale) si converta in una " filosofia de la esperanza " , che pur fondandosi sul nesso essere-nulla, non sfocia in forme esasperate di esistenzialismo nichilistico . Anche se appa­ re evidente il debito di Zambrano verso l' esperienza del " futurizzarsi" delineata da Ortega, tut­ tavia in lei è meno evidente la dimensione razionale di questa tendenza umana alla speranza . Nel­ la pensatrice spagnola prevarrebbe - e su questo punto la interpretazione della Bundgard slitta eccessivamente verso una lettura spiritualista che mette in ombra l' aspetto storico ed etico-poli­ tico - il senso della speranza come anelito alla trascendenza dell'essere, un anelito che significa anche - e questa sottolinea tura mi p are invece condivisibile - un aderire ad una visione più am­ pia del reale, fatto non solo di ragione e azione, ma anche di credenze, di fedi religiose, di miti e di riti. " La speranza è la forza o impulso che fa sì che l'uomo si separi dalla storia ed esca da es­ sa. Tuttavia, si tratta di una forza creatrice e divina grazie alla quale il nostro 'essere infinito' tra ­ scende ogni oggettività ( realtà), per realizzarsi in un processo interminabile" (cfr. A. BUNDGÀRD, Mds alld de la filosofia , cit. , p. 3 9 ) . In effetti, ciò che sta all'inizio non è tanto questo divino im­ pulso alla trascendenza, quanto, piuttosto, l'originaria situazione di conflitto agonistico tra ade­ sione alla realtà e speranza, tra vita e sogno. n testo di riferimento su cui si appoggia l'analisi del­ la studiosa danese è il saggio sulle radici della speranza che è incluso in M. ZAI>fBRANO, Los bie­ naventurados, Madrid, Siruela , 1 990, pp. 101 e ss. In generale, l' analisi che Bundgard fa dell'idea di speranza in Zambrano risente di un generale approccio ermeneutico che tende a sottolineare una forte discontinuità tra una fase etico-politica ( radicalmente segnata dunque da un carattere storico della speranza come antidoto alla cultura e all'ideologia della crisi dell'Europa e della Spagna) e una fase mistico-metafisica in cui la speranza si trasfigura in una forma trascendente l'angustia del nulla e si presenta come modalità dinamica di essere a partire dall'esperienza ori­ ginaria del sacro . Anche Boella discute il tema della speranza in Zambrano, rilevandone la diffe­ renza rispetto all'impostazione orteghiana e sottolineandone il carattere di creatività, di aderen­ za e al tempo stesso di autonomia nei confronti della realtà. La speranza - il testo esemplare su cui Boella fonda la sua lettura è La tomba di Antigone - non è da intendere come un mero per­ seguimento di un fine e, meno che mai, come una ricerca di assoluti. Essa, piuttosto, assume la sua vera essenza nel sogno e nella capacità che esso ha di tracciare una traccia di luce nel cam­ mino dell'uomo. " Occorre imparare a sognare, non per costruire mondi migliori e più belli di quello reale, ma per imparare a vivere l'assoluto nelle sue molteplici e differenziate forme stori­ che e concrete. n sogno di Maria Zambrano è un sogno 'creatore' [. . ] ossia è energia di visione che nutre e alimenta un 'azione reale. Non a caso Antigone replica a Creante, che la invita a usci­ re dalla tomba , che lo avrebbe seguito se egli fosse venuto a proporle un sogno, una visione, un ideale ( di legge, di politic a ) e non un'immagine compiuta, un progetto da realizzare (nel presen.

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ti della veglia)48 e la storia pensata, che non è certo solo quella ridotta negli schemi della rappresentazione concettuale ( quand 'anche questa si presenti nel­ le necessarie forme della sintesi, dell' analogia, della comparazione, della stessa narrazione) , ma innanzitutto quella che si sforza di cogliere l'essere dell'uomo nel suo venire alla nascita, nel suo esporsi alla contingenza e alla situazione vi­ vente. Mi riferisco a Delirio y destino. In ogni biografia significativa si possono scorgere - senza cadere nel gros­ solano gioco del rispecchiamento schematico di una storia personale nel milieu storico-culturale e sociale - segni ed eventi che, in forme molteplici, diventano interpretabili e, fors'anche, persino visibili più di quanto non lo siano nella lo­ ro immediatezza, alla luce dei pensieri e delle intuizioni che si manifestano nel­ l'opera. Anche la vita, per così dire esteriore, di Maria Zambrano non sfugge a questa possibile relazione . In Delirio y destino si intrecciano frammenti di scrit­ tura autobiografica (l'infanzia, la formazione, l'amore per la filosofia, i luoghi della sua vita, la guerra civile, l'impegno politico, l'esilio) e pagine di alta con­ centrazione filosofico-teoretica49• Forse in nessun altro pensatore contempora­ neo la scrittura autobiografica ha assunto un valore così esemplare, al tempo stesso etico (il racconto di sé che si identifica non solo con la vita dei sentimenti e delle passioni ma con la vita delle opere e delle azioni) e teoretico (è nella nar­ razione di sé stessi che può compiersi la più radicale esperienza del pensare; nella scrittura autobiografica è possibile cogliere la forma più autentica di quel

te o nel futuro non importa. Un vero sogno, infatti, viene alimentato e curato, perché sopravvi­ va: è questa la sua forza storica " (cfr. BoELLA, op. cit. , p. 3 7 ) . Scrive condivisibili osservazioni sul­ la filosofia zambraniana della speranza R. XIRAu, Maria Zambrano. Camino a la esperanza, in AA.VV. , Homenaje a Maria Zambrano. Estudios y Correspondencia , México, El Colegio de Méxi­ co, 1 998, pp. 8 1 -89. Anche Xirau individua una fonte privilegiata di Zambrano nella distinzione orteghiana tra ideas y creencias (senza peraltro trascurare, giustamente, l'influsso di autori come Gabriel Marcel e Pedro Lafn Entralgo) , ma la filosofa ha contribuito "a scoprire qualcosa di più vivo e di fondamentale che le credenze e le idee . Scoprì, radice della vita umana, la speranza e, con essa, la di-speranza, senza però smettere di sperare e di darsi speranza " . Xirau, tuttavia, cur­ va troppo la sua interpretazione della speranza zamb raniana in una chiave religiosa ed agostini­ nana. 48 Su ciò cfr. M. ZAMBRANO, Il sogno creatore, cit. , pp. 2 6-27 : "Anche nella veglia [ . . . ] può capita­ re che la finalità ci sia suggerita, venga risvegliata. La finalità si risveglia, ed effettivamente, quan­ do essa giunge così, di un vero e proprio risveglio si tratta : da uno stato di abulia o di abbando­ no al fluire della vita, dal quale ci destiamo quando ci accade qualcosa che ci fa sentire che non possiamo non agire. Questo, peraltro, può verificarsi in due modi: o nell a coscienza, nel caso in cui vediamo che ciò è morahnente opportuno o dovuto, oppure perché sentiamo che si tratta di qualcosa che arriva diretto a noi, che è lì unicamente per noi, che è un appello di ciò che si è chia­ mato ' destino"' . 49 Cfr. Io . , Delirio y destino, a cura di R. Martfnez e J. Moreno Sanz, Vélez-Malaga, Fundaci6n Maria Zambrano, 1998; ora in ed . it. Delirio e destino, a cura di R. Prezzo, Milano, Cortina, 2000.

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pensiero che consente di penetrare a fondo la stessa esperienza della vita)50• Ciò che viene in primo piano è la continua incessante reciproca trasposizione tra la prima e la terza persona (dall'Adsum che fa da titolo al primo capitolo a quell"' aveva voluto morire" che apre la narrazione autobiografica) . È quel dop­ pio movimento - di cui a ragione parla la Prezzo51 - che si instaura nella co­ municazione tra memoria e coscienza, tra la ricchezza dell'esperienza vissuta (la vz'v encia) che si deposita magmaticamente e caoticamente nella memoria, che è intessuta di sogni e deliri, e l'ordine della coscienza che deve però sempre ri5° Condivido su questi punti quanto ha osservato R. PREZZO, Solo un 'autobiografia, in M. ZAM­ BRANO, Delirio e destino, cit . , pp. X e ss. Sulla scrittura autobiografica di Zambrano e, in parti­ colare, su Delirio y destino, cfr. R. CoRRAL, Delirio y destino: notas sobre la escritura autobiografi­ ca de Maria Zambrano, in AA.VV., Homenaje a Maria Zambrano, cit . , pp. 49-59. La Corra! so­ stiene, e non a torto, che il " vincolo radicale con la Spagna " , alla memoria del vissuto personale nella tragedia della �uerra civile e dell'esilio, costituisce il tratto ricorrente del pensiero e dell'o­ pera di Zambrano. E in Delirio y destino che s'intrecciano profondamente il significato e la fun­ zione della memoria e della confessione (si ricordi, peraltro, che l' analisi della confessione come genere letterario e modello filosofico costituisce uno dei percorsi privilegiati della ricerca zam­ braniana: cfr. M. ZAMBRANO, La confesi6n: género literario [ 1 943 ] , Madrid, Siruela, 1 995 ) , il nes­ so tra la storia personale e la storia collettiva. "Ciò che interessa a Zambrano è la ricostruzione di quell'incrocio vitale in cui tempo interiore e tempo storico si uniscono in un medesimo rina­ scere. Una rammemorazione in cui non vi è nostalgia [ . . ]. Ciò che la memoria attualizza e riscatta in Delirio y destino non sono solo i fatti o gli eventi, ma il senso, la 'parola di verità' che può trar­ si d a quella esperienza storica, la 'speranza' anche che è sopravvissuta alla distruzione alla trage­ dia " (R. CoRRAL, op. cit. , p. 5 9 ) . Tuttavia, si segnala giustamente come, pur sullo sfondo della scrittura autobiografica, ciò che caratterizza Delirio y destino è la concezione non lineare del tem­ po, la visione di tempi molteplici che attraversano la vita personale e quella storica dell'indivi­ duo. Su questo punto cfr. le osservazioni di M.L. MAILLARD , El tiempo de la confesi6n en Maria Zambrano, in AA.VV. , Escritura autobiografica, Madrid 1993 , pp. 2 80-2 87 . Cfr. , altresì, A. AMORòS, Mismidad y ajenitud en "Delirio y destino" de Maria Zambrano, in " lnsula " , 509 ( 1 989 ) , p p . 1 3 e ss. Ancora l a Corra!, opportunamente, insiste sulla necessità d i non separare, alla luce proprio dell'analisi di Delirio y destino, la confessione dalla memoria (o, come analogamente so­ stiene Mailla rd, il "tempo confessionale dal tempo storico " ) . Corra!, tuttavia, appare più pro­ pensa, io penso giustamente, a parlare di confluenza dei due tempi nel racconto autobiografico zambraniano e non di tempi distinti quasi sovrapposti. Sui generi letterari in Zambrano cfr. A. .

BuNDGÀRD, Los géneros literarios y la "escritura del centro" como transgénero en la obra de Maria Zambrano, in " Au rora " , 3 (200 1 ) , pp. 43 -5 1 . Qui si sottolineano, opportunamente, affinità e dif­ ferenze tra la teoria dei generi esposta da Ortega specialmente nelle Meditaciones del Quijote, e

quella elaborata da Zambrano. Mentre nel primo si presta maggiore attenzione ai livelli lingui­ stici, artistici e stilistici, cioè essenzialmente morfologici, nella seconda emerge ancora una volta la questione " antologic a " , nel senso della definizione dei generi come "forme della coscienza " che, in ogni epoca storica, corrispondono a determinati livelli di conoscenza e di cultura. Quel­ la di Zambrano sarebbe, in effetti, una teoria " transegeneric a " , volta a individua re essenzial­ mente una " escritura del centro" , un genere letterario specifico per una nuova filosofia, speri­ mentale e creativa, " concepita come spazio di rivelazione del sacro " (ibid. , p. 44) . Cfr. poi L. LLE­ VADOT, La confesi6n, género literario: la escritura y la vida, in "Aurora " , 3 (2 00 1 ) , pp. 60-67 . 51 Cfr. R. PREZZO, op. cit. , p. XlV.

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tornare alla memoria se non vuole restare ossificata e immobile nell'idolatria del passato. Non è un caso, allora, che il ragionamento zambraniano sulla co­ scienza storica sia strettamente legato al discorso sul ruolo delle immagini, del­ le icone, delle forme di rappresentazione della tradizione . Nel racconto di una mattinata trascorsa al Prad o, al "tempio della tradizione" , e poi proseguita in una passeggiata per le vie di Madrid 52, traboccanti di vita e di umanità, la filo­ sofa coglie quasi un avvertimento che emerge dalla combinazione dei due even­ ti: "Fate attenzione con le immagini - vorrebbe dire la giovane Maria ai suoi amici universitari con i quali scopre e riscopre le vie e i luoghi della città -, con le icone del passato, possono stregarci o ammazzarci; la loro essenza intangibi­ le deve essere trasfusa, restituita alla vita attraverso di noi, non viceversa " . È certo un modo esemplare questo della Zambrano di riflettere con grande acu­ tezza sul problema cruciale dei nessi tra le forme e la vita, proprio a partire da un approccio autenticamente fenomenologico alla situazione contingente. "Ogni icona chiede di essere liberata, ogni forma è un carcere, però è anche il solo modo in cui, nel mondo in cui viviamo, un'essenza si conserva senza di­ sperdersi"53 . È questo il modo vero di guardare alle immagini54 , ricondurle al­ la nostra vita, vivificarle senza smarrirne l'essenza. D'altronde, osserva la filo­ sofa, la forma dell'immagine è uno dei modi attraverso i quali il passato si pre­ senta e si manifesta alla coscienza. Ma questa presenza e questa manifestazione non possono essere imprigionate né nella pienezza del presente senza memo­ ria, né in un mero esser-passato che si mostri come un dato separato dal vivere qui e ora. n passato racchiuso nell'immagine, ma anche nelle forme concettua­ li, deve tornare alla vita e può farlo in una sola maniera: entrando in quella di­ mensione in cui si realizza la comunicazione tra coscienza e anima. "La co­ scienza non resta sola nel suo bisogno di concettualizzare e di rimandare al pas­ sato. È infatti la coscienza che manda la realtà al passato, che è un modo di mandarla all'inferno, di liberarsene . Mentre l'anima - essenzialmente memoria - la conserva"55. Quando la coscienza si mostra impermeabile o indifferente ri­ spetto al carico di immagini conservate nella memoria, allora, dice Zambrano,

52 Su Madrid, sul suo significato emblematico nella biografia di Zambrano, ma anche nella sua " filosofia della città " (di cui si dirà più avanti), cfr. A. BuNDGÀRD, La ciudad de la espera y de la esperanza, in "Auror a " , 2 ( 1 999) , pp. 1 5 e ss . 53 Per questa e la precedente citazione cfr. M. ZAMBRANO, Delirio e destino, cit. , pp . 1 69- 170. 54 Sull'importanza che ha la riflessione sulla pittura nella riflessione della Zambrano, cfr. il nu­ mero monografico di "Aurora " , 5 (2003 ) , intitolato La ley de la presencia y la figura, con saggi ed articoli, tra gli altri, di Revilla , Morey, Rius Gatell, Prezzo, ecc. Ma ora cfr. anche il libro di P. DE LuCA, Il logos sensibile di Maria Zambrano, cit . , la cui seconda parte è dedicata proprio a : " Lin­ guaggi della pietà: poesia e pittura " . 55 Ibid. , p . 172.

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si ha sterilità, incapacità di creare specialmente ciò che appare come il prius in­ dispensabile: uno " spazio di convivenza " . La memoria è storia "solo se arriva alla coscienza, se la coscienza torna a farsene carico. Perché ci sia storia, anche nella vita di ciascuno, nella vita individuale, è necessario un doppio movimen­ to . La coscienza che respinge verso il passato ciò che ci succede deve tornare a prenderlo, a riscattarlo, a [ . . . ] redimerlo. La storia è una specie di assunzione, alla luce del presente, di ciò che è stato condannato al passato - e tutto quello che succede [pasa] lo è "56• Questo modo d'essere della coscienza deve valere ancor più dinanzi a quelle immagini che si solidificano nella tradizione . È pro­ prio l'incapacità a redimere il passato ciò che costituisce l'essenza della tradi­ zione, il modo di un popolo di ancorarsi ad una tradizione proprio perché es­ so finisce con il vivere la storia "nella forma del presente e della favola " . Se in­ vece si vive e si pensa nell'equilibrio comunicativo tra memoria e coscienza, al­ lora "la tradizione è il passato e come tale si presenta; si trova di fronte a essa, non in essa"57• Ma la coscienza, questa coscienza della memoria storica, non na­ sce mai da una situazione di irrelata originarietà, perché vive fin dall'inizio in una situazione conflittuale, di differenza tra piani vitali e piani temporali di­ versi, che sono i piani e i tempi della convivenza. " Chi già fa parte pienamente della vita della città, che è la vita della coscienza, del tempo della coscienza, si scontra con le immagini della tradizione "58. 5 6 Ibid. 57 Ibid., p . 173 . 58 Ibid. , p. 174. Un nLUnero di " Aurora " , 2 ( 1 999 ) , è interamente dedicato al tema della città nel­ la filosofa spagnola. Secondo Revilla , capire il ruolo e il significato che la città ha nell'opera zam­ b raniana significa coglierne uno dei tratti fondamentali. Muovendo da uno splendido testo de­ dicato a Segovia (cfr. M. ZAMBRANO, Un fugar de la palabra: Segovia, in ID. , Espaiia, sueiio y ver­ dad, Barcelona, Edhasa, 2002 , p p . 23 7-2 66 ) , la Revilla osserva come la città costituisca lo spazio storico, culturale, antropologico ed etico che, per Zambrano maggiormente esprime la metafora della persona, il modo d'essere della persona nella vita storica . (cfr. C. REVILLA, La ciudad, espejo de la historia en el pensamiento de Maria Zambrano, in " Aurora " , 2 , ( 1 999 ) , p . 6). Nella forma dell'utopia , la città si palesa come il luogo privilegiato in cui si accumulano i nostri sogni e i no­ stri desideri, ma, nella forma della sua storica concretezza, essa è il luogo dell' abitare, dell' ordi­ ne costruttivo, ma anche del disordine e della decadenza . In una serie di testi maturi di ZAMBRA­ NO (Roma, ciudad abierta y secreta; Las visceras de la ciudad, entrambi del 1 985 ) , si insiste sull'a­ spetto, al tempo stesso, aperto e labirintico della città mediterranea, sulla tragica compresenza di vita e di morte, di amore e sacrificio (in queste pagine il sacrificio è rappresentato da Giordano Bruno) . "Ai tempi di Giordano B runo, nel Rinascimento, il mondo si presentò alla vista come unità e manifestazione di un animale, di un'anima che ha corpo, di un corpo che sostiene l' ani­ ma. Ma corpo e anima sono uniti e a volte in dissenso . Perché? Perché hanno i visceri, le visce­ re. Le viscere di una città possono essere offese dall'uomo che non sente il mondo come un ani­ male vivente e che, calpestando la Terra, crede di poter posare il piede ovunque, senza sapere che, percorrendola, potrebbe farla tremare e sprofondare" (i testi sono ora raccolti in M. ZAM­ BRANO, Las palabras del regreso, introduzione di M. G6mez Blesa, Velez-Malaga, Amarù , 1 995;

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Tutto ciò testimonia ancora una volta che la vivencia non è mai qualcosa di isolato e solipsistico . Essa è sempre costitutivamente convivencia. E il vivere co­ me convivere'59, prima di essere idea filosofica, nasce, per Zambrano, nel fuoco di una esperienza di vita, dal desiderio di esser parte di uno di quei momenti Le parole del ritorno, trad. e cura di E. Laurenzi, Troina, Città Aperta, 2 003 ; per la citazione cfr. p . 12 1 ) . Sul testo de Las visceras de la ciudad cfr. R. Rrus GATELL, De la ciudad y sus visceras, cit . , p p . 47 e s . Ma l a città, come giustamente sottolinea REvn.LA (op. cit. , p . 8 ) , è " territorio c h e oc­ cupiamo e riordiniamo per rendere possibile una vita propriamente umana, è, innanzitutto, sce­ nario della storia " . Così, ciò che denota l' essenza storica delle città sono la lingua e le rovine, l'in­ treccio tra l'ascolto della parola e la contemplazione del passato. " La fondazione della città, in realtà, corrisponde all'essenza umana, posto che ogni uomo ha necessità di 'farsi la sua propria casa' [. . ] . Per questo le città reali hanno bisogno sempre di una qualche sotta di patto e, in que­ sta necessità, si assestano. Ma non basta. Sul suolo di questa frontiera che gli uomini costruisco­ no si proiettano anche i suoi sogni, nell'orizzonte della speranza . Le città sono, dunque, lo sce­ nario del gioco tra necessità e desideri, il quale in buona misura definisce la nostra esistenza " (ibzd., p. 1 1 ) . Del nesso tra città e speranza parla anche A. BUNDGÀRD, La ciudad de la espera y de la esperanza, cit . , pp. 1 3 - 1 8 . Giustamente la studiosa danese amplia la sua indagine al concetto di cittadinanza (e dunque ad una dimensione etica e politica) e, tuttavia, alla luce di un modulo in­ terpretativo generale che caratterizza la sua complessiva lettura di Zambrano, essa insiste molto su una visione ideale e "transistorica" della città che, specialmente dopo l'esilio, individua il suo fon­ damento nelle "vittù teologali della fede, la speranza e la carità" e, dunque, in una dimensione che va al di là del tempo e di ogni utopia razionale di carattere storico. Comunque Bundgard parla di una relazione dialettica, in Zambrano, tra la città come spazio urbano in cui si esplica il tempo sto­ rico, la città come ambito di convivenza, la città ideale e simbolica, infine, come spazio perduto e vuoto e " oggetto della speranza come categoria vitale e come virtù teolo gale " . Questa dialettica è visibile in special modo nelle pagine che, in Delirio y destino, vengono dedicate a Madrid, incrocio tra tempo storico della Spagna e tempo non cronologico della vita personale, in un processo che va dal reale allo spirituale, dallo storico al mistico. Una diversa accentuazione, invece, dà all'idea di città in Zambrano - nel senso di luogo paradigmatico di coniugazione tra bisogni individuali e ne­ cessità collettive e di spazio di massima esplicazione del carattere sociale dell'essere umano - C. DANF5, La ciudad: paradigma de libertad, in "Aurora " , 2 ( 1999) pp. 19 e ss. 59 Di una " etica de la convivencia" parla A. BuNDGÀRD (Mtis alla de la filoso/fa, cit. , pp. 3 12 e ss.) a proposito della interpretazione zambraniana del Chisciotte. L'incontro col grande romanzo di Cervantes costituisce per la filosofa - nel pieno del dramma della guerra civile - una esperienza intellettuale e, al tempo stesso, politica . Ciò che è possibile rinvenire nella figura del Chisciotte era ciò di cui aveva bisogno il popolo spagnolo: "un'etica della convivenza, basata su un umani­ smo caritativo, sul trato fraterna/, sulla solidarietà e sulla fiducia, che sono, fra gli altri, i valori che si percepiscono nella relazione tra il cavaliere e il suo scudi ero " . Ancora una volta, però, la Bundgard accentua troppo, a mio avviso, la frattura tra il prima e il dopo l' esilio, cosicché dopo il 1939 la riflessione sul grande romanzo di Cervantes sarebbe condizionata dal passaggio da un'analisi etico-politica alla progressiva scomparsa di elementi ideologici. "Il punto centrale sarà, allora, [ . . . ] la teoria della ' conoscenza poetica' della cultura spagnola in connessione con una teo­ ria della realtà (metafisica) e della verità (teoria della conoscenza) " . Di grande utilità ed interes­ se, tuttavia, sono le analisi della studiosa danese sulle pagine che Zambrano dedica alla critica delle maggiori interpretazioni spagnole (Unamuno e Ortega) del Chisciotte (ibid., pp. 3 13 e ss . ) . È ben noto che sulla ambiguità del Chisciotte, come paradigma e metafora dell' umano, l a Zam­ brano ha scritto in tre saggi (La ambiguedad de Cervantes, La ambiguedad de Don Quijote, Lo que .

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storici segnati dal risveglio60• " Questo era, doveva essere il nuovo: ansia di con­ \'.Ìvenza profonda, di integrazione, di ordine; assunzione di responsabilità di fronte alle 'circostanze' : la Spagna, 'nostro tempo', nostro dovere; da conosce­ re, da assolvere" 6 1 . Ciò che spinge, ciò che \'.Ìene al centro, prima dell'evento le sucedi6 a Cervantes: Dulcinea) raccolti in M. ZAMBRANO, Espaiia, sueiio y verdad, cit . , pp. 1 7 64 . M a ampi riferimenti a l genere romanzo e in particolare a l Chisciotte s i trovano anche in M . ZAMBRANO, La Espaiia de Gald6s, Madrid, Endymion, 1 989. S i può, comunque, essere general­ mente d'accordo con Bundgard quando scrive che " dall'inquietudine metafisica di don Chi­ sciatte, dall'oscillazione del personaggio tra sogno e buon senso, Zambrano fa derivare i fonda­ menti della sua antologia, fondamenti che, tuttavia, attribuisce a Cervantes stesso" (A. BuNDGÀRD, Mds alld de la filosofia, cit . , p . 327 ) . 60 In Delirio y destino, Zambrano racconta la riunione del 24 giugno 1 928 durante la quale si die­ de vita alla Liga de Educaci6n social e alla serie di iniziative legate alle Misiones pedag6gicas a cui la giovane studiosa di filosofia parteciperà attivamente. Narrando di un incontro con Manuel Azaiia (futuro presidente della II Repubblica ) e in risposta alla sua domanda " che cos'è che vo­ lete? " , Zambrano risponde con gli altri "Questo deve deciderlo la Spagna, noi vogliamo solo che si risvegli e, una volta risvegliata, che torni in vita perché ormai ha smesso di essere morta" (ibid. , p. 43 ) . 61 Per questa e la successiva citazione cfr. ibid. , cit. , p . 47. Si può dire che Delirio e destino sia an­ che ed essenzialmente l'intreccio tra la storia faticosa del proprio nascere, della ricerca del sé nel­ la "fo rma dell'identità vivente" e il voler darsi alla situazione, al " combattere fuori" , al donarsi agli altri. " Non riusciva a trovare una soluzione. Comprese che la vita, la sua, doveva essere en­ trambe le cose: andare tra l'una e l'altra; un farsi mentre si accostava al farsi degli altri; al farsi di quello che non era, né mai avrebbe potuto essere, per lei, 'l' altro' , bensì la sua ' circostanza' irri­ nunciabile in via di trasformazione: la Spagna " (ibid. , p. 98) . Su Zambrano e l"' enigma storico della Spagna " , cfr. A. BuNDGÀRD, Mds alld de la filosofia, cit . , pp. 1 3 8 e ss. Qui non vi è lo spazio per una indagine particolareggiata sulle riflessioni zambraniane sulla Spagna . Ciò che, però, im­ porta sottolineare è, ancora una volta, il significativo intreccio tra la dimensione filosofica (il con­ cetto di speranza e il senso della storia tra sacrificio e redenzione) e quella propriamente storica . Si spiega, allora, come tra le fonti privilegiate della Zambrano v i siano, d a u n lato, l a ricerca sul­ l'essenza originaria della Spagna di Sanchez Albornoz (del quale è naturalmente da ricordare il classico Espaiia, un enigma hist6rico [ 1 956] , Barcelona 1 983 ) e le tesi orteghiane sul rapporto tra idee e credenze, dall'altro. La traccia seguita da Zambrano, osserva non infondatamente Bundgilrd con riferimento innanzitutto a Pensamiento y poesia en la vida espaiiola [ 1 93 9] , (Ma­ drid, Endymion , 1987 ) , non è più o solo quella indicata dalla critica della ragione storica orte­ ghiana, bensì quella che inizia a profilarsi come la " nuova scienza " della ragione poetica. Ciò che, però, non condivido della lettura della Bundgiìrd è, ancora una volta, l'eccessiva insistenza su una prospettiva unilaterale (l' approccio zambraniano alla storia di Spagna sarebbe astorico, essen­ zialista, narrativo, intuitivo , e non etico-politico o ideologico e, neanche, storico-filosofico), men­ tre, a mio avviso, l'originalità della posizione di Zambrano sta proprio nel continuo sforzo di non tenere fuori dalla pur prevalente chiave poetico-filosofica la dimensione storica. Se così non fos­ se si capirebbe poco di una interpretazione della storia spagnola che pone al centro uno (non l'u­ nico) dei suoi tratti caratteristici: l'attitudine poetica e mistico-religiosa dell'antica tradizione ispanica. Quanto siano, d'altronde, compenetrati i due piani lo si può capire guardando alla struttura di un altro importante libro di Zambrano (la cui prima edizione risale al 1937 ) : Los in­ telectuales en el drama de Espaiia. Qui si intrecciano pagine di grande intelligenza critica sulle ori­ gini del fascismo europeo (sul piano culturale come su quello economico-sociale) , sulla panico-

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storico della rivoluzione, prima della violenza trasformatrice, è un "impeto di vivere" , di vivere "con i più grandi, con i pari, con gli analfabeti, con i conta-

larità del fascismo spagnolo, pagine di intensa passione intellettuale sul ruolo degli intellettuali nella guerra di Spagna, ma anche pagine sulla tradizione filosofica spagnola (Seneca , il peculiare " materialismo spagnolo " , la fùosofia delle cose), su Nietzsche, su Machado, su Unamuno e Ma­ chado " precursori" di Heidegger (cito l'edizione ampliata del libro: M. ZAMBRANO, Los intelec­ tuales en el drama de Espaiia y escritos de la gue"a civil, introduzione di ] . Moreno Sanz, Madrid, Editoria! Trotta , 1 998). D'altra parte, anche nel saggio del 1 977 che fa da presentazione alle pa­ gine scritte durante la guerra civile (La experiencia de la bistorta Después de entonces, ibid., pp. 77 e ss. ; trad. cit . , in " aut aut " , 279 ( 1997 ) , pp. 1 4 e ss. ) , alle riflessioni teoretiche sul nesso tra esperienza storica e coscienza, sulla storia " apocrifa " e sulla storia vissuta, si affiancano, senza che ciò appaia come una contraddizione, commosse parole di ricordo sull' entonces insieme a riflessio­ ni critiche su ciò che per decenni ha significato il "mito " della guerra di Spagna. Zambrano è con­ sapevole che l'" allora " si presentava forse più nella forma della passione bruciante, dell'aurora che squarciava le tenebre, che in quella della razionalità politica calcolante e ideologica. Era il risorge­ re della Spagna "bambina " , della Niiia, quella stessa che compare ne Las Meninas di Velazquez ( " il più trasparente quadro di storia che sia stato scritto " ). "Quella bambina che non arriva ad afferra­ re la rosa che le porge la sua enigmatica tata. Circondata da mostri dell'inconscio mentre, nel chia­ rore del fondo, consegna il proprio sguardo al maestro che lancia un'occhiata andandosene. E, nel­ lo specchio sul fondo, le figure quasi spente dei re, come se da un passato remoto guardassero tut­ to quasi senza vedere niente. E chi guarda la bambina? Tutto sembra stare lì e muoversi in funzio­ ne di lei, pallido centro indifeso. Alba incipiente trattenuta in un tempo rappreso, essa offre uni­ camente la propria presenza , che solo il fluire del tempo potrebbe vivificare" (ibid., pp. 78-79; trad. cit., pp. 1 5 - 16). La storia di Spagna si identifica con quella bambina; essa viene all a luce come l'au­ rora che ha però bisogno di essere ancora sorretta nella luce del giorno e che, invece, viene soffo­ cata nel sangue. E benché sepolta, essa riappare viva " come un germe " . " Una ragione germinante, germinativa, nel nascosto della storia, nel suo centro vivo. Intanto, infaticabile, la morte era all'o­ pera. Senza però che sopraggiungesse l'oblio" (ibid. , p. 79; trad. cit., p. 16). Ma non basta il ricor­ do, non basta la ricerca delle tracce del mito. Affinché il momento dell'ora acquisisca veramente la sua storicità vi è bisogno dell'esperienza, di quella esperienza che germoglia dalla coscienza storica dei piani molteplici del tempo, e non da un preordinato disegno unilineare di un progresso o di una rivoluzione solo e sempre ann unciati, che finiscono per occultare ogni promessa e ogni speranza. " Solo l'esperienza storica può evitare il persistere di questo decretato occultamento. I.:esperienza che, quando smitizza, lo fa solo per estrarre dal mito il suo senso. E mitica è stata la guerra di Spa­ gna . Uno dei pochi miti di questa epoca che non riusciamo a superare, e che non fluirà fino a quan­ do la sua verità non si renderà visibile " (zbid., p. 8 1 ; trad. cit., p. 1 7 ) . Una lettura diversa offre, in­ vece, R CoRRAL (op. cit. , pp. 49 e ss.) che trova più di una connessione tra la posizione espressa nel 1 93 7 nel saggio sugli intellettuali nel dramma spagnolo (la necessità per lo spagnolo di recuperare la sua vera storia contro le falsificazioni) e il prologo scritto nel 1977 dove non solo si reitera l'im­ pegno etico e politico a mantenere viva la memoria di quell'allora decisivo per la Spagna, ma si for­ mula il compito fùosofico e concettuale di fondazione di una storia " vera " da recuperare al di sot­ to di quella apocrifa. "Memoria e confessione, due termini molto prossimi nel dire di Maria Zam­ brano, configurano zone della sua scrittura in permanente ricerca della verità, verità storica e ve­ rità individuale, in cerca anche della necessaria continuità della vita che dopo la guerra e dopo l'esilio si prospettò per tutti gli esiliati. È questo doppio processo o, meglio, l'intreccio tra la sto­ ria personale e quella propriamente storica e collettiva, ciò che costituisce il gesto fondativo di Delirio y destino, il nocciolo della sua confessione" (ibid. , p. 53 ) .

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dini, con gli operai. 'Vivere è convivere"' . L'esperienza bruciante dell'istanté2, la percezione del momento aurorale è un atto di liberazione dalla storia, dalla storia predefinita e già iscritta in un destino deciso da altri; è un atto di libera­ zione "dalla successione temporale" è un modo di "spogliarsi del passato e re­ stare innocenti" . Uscire da sé, vivere fuori di sé, correndo all'incontro di qualcosa capace di colmare una volta per tutte il vuoto, di porre fine all' anelito e al tormento della speranza che non trova il su o oggetto o che le viene posto lontanissimo . " Qui e ora " sembrava es­ sere la consegna comune dei giovani, per la quale si intendevano al di là di qualsiasi ed eventuale credo politico , al di là delle frontiere. Alla conquista del tempo perdu ­ to, dell'istanté3 •

È un anelito alla vitalità, alla vita vera, per la quale la giovane donna (che si ridesta dai sogni e dal torpore allucinato della malattia) è disposta a rinunciare persino alla filosofia e ad ogni progetto, pur di restare abbarbicata alla radice 62 È indubbiamente significativo che alcune delle riflessioni più teoreticamente meditate sull'istan­ te vengano affidate alle pagine di Delirio y destino. Proprio perché è necessario liberarsi dalla tiran­ nia del tempo lineare, l'istante assume la forma dell"'unità nel tempo disperso, la trasparenza del tempo " (ibid. , pp. 1 17 e ss . ) . Teresa d' Avila costituisce l'esempio più evidente di una capacità di vi­ vere l'istante nell'estasi senza fuoriuscire dal tempo storico del suo agire, riuscendo a stare nel tem­ po del mondo e nel tempo della meditazione. Anche Zambrano racconta del suo tentativo di fuggi­ re dal tempo dell'umano, di svincolarsi dal tempo in successione, di restare vincolata all'esperienza della solitudine, di percepire l'istante nel quale sembra schiudersi, al di là di ogni dubbio, il segreto dell'essere, quel " centro dell'essere" in cui niente scorre. " Ma, poi, bisogna far ritorno a ciò che è nato, e ormai è separato, e allora verrà la convivenza che è adattamento alle e nelle circostanze, col­ laborazione ormai col tempo del 'fuori' , e allora [. . . ] ecco il giudizio, il dubbio, l'incertezza, fino al 'Non serviam' " (ibid. , p. 12 1 ) . La fenomenologia del rinascere, rinascere alla crucialità del qui e ora, alle circostanze che si scelgono e non si subiscono, si connette ad un'idea della vita come quotidia­ no e faticoso confronto con il tempo. "Vivere è una fatica che, in alcuni momenti, appare impossi­ bile da compiere; la fatica di percorrere la lunga processione degli istanti, di opporre resistenza al tempo; resistere al tempo è la prima azione che l'essere vivi richiede; è sapere, poi, che il 'qui' è mol­ to concreto, molto definito e non lo si conosce" (ibid., p. 28). 63 Ibid. , p . 123 . Credo che qui si possa agevolmente scorgere una traccia evidente della teoria orte­ ghiana della generazione. " Nulla accomuna tanto come l'appartenere alla stessa generazione; si trat­ ta di una misura nel tempo, un tempo in certo modo esterno, circostanziale, uno degli involucri tem­ porali e, d'altra parte, quasi il suo contrario: il tempo domestico, intimo, familiare, nella continuità del rifugio comune, nella vita nella stessa tana, dove la .memoria dei .morti, persino di quegli scono­ sciuti, dei trapassati, è altrettanto reale della presenza dei vivi, il tempo immemorabile, che sfiora l'a­ temporalità, quello del sentire la presenza di un antenato comune che fu ed è ancora qui, e che non ci permette di troncare del tutto, né nascere del tutto alla solitudine dell'individuo. L'antenato che promette che non moriremo soli" (ibid. ) . Sul concetto di generazione in Ortega, mi permetto di rin­ viare a G. CACCIATORE, Ortega y Gasset e Dilthey che sta in ID . , Storicismo problematico e metodo cri­ tico, Napoli, Guida, 1 993 , pp. 289-3 18; in particolare rinvio alla indicazione dei testi orteghiani e del­ la letteratura critica di cui dò conto nella nota 2 1 pp . 297-298.

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"dell'essere ' qui "' . La guarigione dalla lunga malattia è trasparente metafora del "nascere per se stessa" , un ri-nascere che accompagna il risveglio della Spa­ gna, così come l'allucinazione provocata dalla malattia richiama il sogno della Spagna. Qui, forse più che altrove, diventa chiaro il significato del nesso tra de­ lirio e destino, tra esperienza della vita personale e condivisione di una storicità che attraversa un popolo e una collettività, il battito del proprio polso, almeno in una circostanza determinata, ha battuto all'unisono con quello della Spagna. Finalmente le diventa chiara quella frase letta nelle orteghiane Meditazioni del Chisciotte: "io sono io e le mie circostanze " : la radicalità della decisione di stare nelle circostanze, ma non per adagiarvisi o per esserne condizionata, per­ ché essere nelle circostanze significa percepire la molteplicità dei tempi64, ac­ cettarne la "confusione, con la determinazione di chiarirli" , con la consap evo­ lezza di compiere anche un atto morale di lealtà verso la verità della vita. E, an­ cora una volta, la "pienezza dell'aurora "65 che colma il suo tempo presente. "La vita come apertura verso un orizzonte non tracciato da alcun geometra umano, la vita misteriosa e chiara, figlia del numero di una matematica infinita, come la realtà, che non avrebbe potuto amare se non fosse infinita"66• Si chiarisce, allora, fino in fondo, l'apparente contrasto tra l'esperienza ori­ ginaria dell' adsum e la storia, tra la decisione di essere e la volontà di continuare a esseré7• n contrasto si scioglie quando si raggiunge la consapevolezza che 64 Sulla molteplicità dei tempi cfr. M. ZAMBRANo, ibzd. , p. 1 15 . Non è senza significato che, nel racconto autobiografico, la sensazione della multiversità dei tempi si mostri nel netto contrasto con la fuoriuscita dalla solitudine della malattia. Essa sentiva dentro di sé " un intrico di tempi, co­ me una rete formata da molti fili in cui le toccava entrare" . Proprio al pericoloso limite del desna­ cer si colloca un rinascere fatto di tempi diversi. È interessante osservare come, a testimonianza del­ la peculiarità filosofica della scrittura autobiografica zambraniana, queste pagine di vita personale si intreccino con non infondate osservazioni critiche sulla concezione del tempo in Bergson (ibid. , pp. 1 17 e s.). Ha ragione, comunque, R. CoRRAL (op. cit., p. 55 ) quando osserva come la teoria del­ la molteplicità dei tempi risponde coerentemente ad una visione non lineare ed antievolutiva del tempo, una visione lontanissima dal " t empo catena e condanna [cadena y condena] " (ibzd. ). 6 5 Sull'alba e sul rinascere alla storia cfr. ibid. , p. 63 . Zambrano narra l e ore trascorse nella sua stanza , durante la malattia, della difficoltà, talvolta, a distinguere la veglia dal sogno, dell' abitu­ dine allora p resa di svegliarsi all' alb a , di cogliere l' istante in cui la luce sembra benedire i propri sogni. " Svegliarsi è rinascere ogni giorno. E la luce già ci attende. È già lì, iniziata , la storia che ci tocca proseguire. Svegliarsi è entrare in un sogno già in movimento, p rovenire dal deserto puro dell'oblio ed entrare, per prima cosa, nel nostro corpo, ricordarlo senza rancore, entrare ad abi­ tarlo e a recuperare la nostra anima con la sua memoria, la nostra vita con le sue occupazioni. Entrare come in un bozzolo tessuto da innumerevoli affaccendati b ruchi; riprendere la nostra freddezza nel bozzolo fabbricato instancabilmente dal b ruco-uomo, facitore di sogni che si rea­ lizzano, costruttore di storia" (corsivo mio) . 66 Per questa e le precedenti citazioni cfr. ibid. , pp. 144 - 145. 67 Ancora sul significato dell'Adsum come movimento della continua rinascita di se stessi e, in­ sieme, della Spagna, cfr. R. CoRRAL, op. cit. , pp. 57 e ss.

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l'essere qui e ora può coincidere con uno di quei momenti di risveglio della sto­ ria ricondotti alla coscienza. Per Zambrano era la storia della Spagna "che si svegliava proprio in quell'ora, che si metteva in movimento, col cuore e l'ani­ mo pieno di speranza; e si proiettava, enigmatica, sul cielo implacabilmente az­ zurro di Madrid , 1929. Sì, tutta la vita e anche la Storia, sembrava attenderla . Aveva tempo, le avrebbero dato tempo per tutto : sì, sono qui [ ] Si era decisa a nascere, ma avrebbe dovuto continuare a nascere"68• Non è possibile - scrive più avanti la Zambrano - ritirarsi dalla storia, dalla storia intesa ovviamente co­ me vita attiva - e non è possibile proprio perché quando si esiste e si decide di esistere, si contraggono degli obblighi. . . .

È impossibile negare la propria esistenza, perché non

si può sparire come un 'ombra e bisogna perpetrare il crimine senza posa. E il più grande crimine che l'uomo può commettere è fare il vuoto, rinnovando il "no " , seminando il "no" nell' anima in mo­ do che nasca e rinasca tutte le volte che sia necessario69•

Perciò quell'aggettivo "vera " che Zambrano aggiunge alla storia non ha al­ cun valore prescrittivo, né logico né etico, ma eminentemente filosofico, iscri­ vibile cioè in una visione critica della storicità, una visione che non rinuncia al­ la concretezza della determinazione empirica e temporale e che Zambrano de­ finisce icasticamente come storia "perplessa" , giacché sa esporsi sempre al ri­ schio della decadenza, sa vivere consapevolmente il tramonto, sapendo però che è sempre possibile risvegliarsi nelle infinite albe della storia umana. Ricor­ rendo al ricco scrigno del suo vocabolario metaforico, Zambrano definisce la storia come una " aurora ripetuta" , come un incipit che lascia la sua traccia an­ che nel pieno meriggio, a testimoniare il suo ineludibile legame con il futuro. È ben vero che la storia è sempre e costantemente sostanziata dalla crisi e, in­ nanzitutto, da quella crisi originaria che è data dal conflitto tra l'alba e la mor­ te. Ma per Zambrano è indubbiamente l 'alba a rivelarsi nella storia, come qual­ cosa di più forte rispetto alla morte: è l"' alba della condizione umana " , quella che annuncia ogni volta la nascita di un giorno nuovo e che è destinata sempre a riapparire dopo ogni tramonto. S e si pensa che l'uomo sia apparso già con tutta la sua umanità pienamente realizza­ ta, la storia sarebbe inspiegabile [ ] La storia non avrebbe senso se non fosse la rive...

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Ibid. , pp . 27-28. il sogno della Spagna finisce impercettibihnente con il coincidere con il suo stesso sogno. "A poco a poco col sogno della Spagna entrò in lei e cominciò a vivere da sola quel sogno. E anche il sogno del mondo, dell'Europa, che sembrava trovarsi nella sua stessa situazio­ ne, senza obblighi, senza impegni, senza circostanze coattive, nell'ampiezza della scelta; con tut­ ta la vita [ . . ] Niente, si potrebbe dire, la costringeva a un'Europa della pace" (ibzd. , p . 29 ) . 69 Ibid. , pp. 1 3 7 - 1 3 8 . .

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!azione progressiva dell'uomo. Se l'uomo non fosse un essere nascosto che deve rive­

larsi a poco a poco70•

li concetto di persona umana elaborato dalla Zambrano non

è assimilabile

ad alcuna forma di personalismo religioso (anche se le pagine di Mounier non erano certe sconosciute alla filosofa) o, all'opposto, di personalismo umanisti­ co e pragmatico-sociale. Esso non tende neanche a giustificare una sorta di pro­ cesso dialettico di scambio reciproco tra persona-storia-società, sta piuttosto a simbolizzare una eccedenza di umano che è destinata a trascendere continua­ mente l'orizzonte della temporalità71 e della storicità. " Paradossalmente - afferma Zambrano - esiste la storia, con i suoi inces­ santi mutamenti, perché l'uomo, suo protagonista, è qualcosa che non si esau­ risce nella storia, perché in qualche dimensione del suo essere la oltrepassa. E per questo la determina"72 • È in questo senso che va allora intesa la filosofia zambraniana della vita, come qualcosa che la trascende e ne costituisce l'ineli­ minabile eccedenza . La vita non è il mero vissuto, passiva aderenza al fatto sto­ rico che si dà (o si illude di darsi) prima e fuori dell'individuo. Essa è vivencia, esperienza vissuta delle plurali articolazioni del Sé (in una accezione non lon­ tana dal diltheyano Erlebnis)l3 , di una ragione vitale che non crea gerarchie tra il suo originario manifestarsi poetico - che è anche ed innanzitutto capacità di vivere con il proprio corpo, il proprio istinto, il proprio immedesimarsi nella

70 M. ZAMBRANO, Persona e democrazia, cit . , p. 29 (corsivo mio ) . 71 "Solo la persona umana p u ò 'unire' il tempo. Per fare ciò prima l o separa, l o struttura sotto

forma di passato, isola il presente e rimane come vuota, disponibile a fare entrare il futuro " (ibid. , p. 1 5 3 ) . Ma la trascendenza della temporalità è resa possibile anche grazie al ruolo - che Zam­ brano richiama esplicitamente - della conoscenza storica. Essa è la " capacità di vivere [ . . . ] in sen­ so inverso, di percorrere i fatti dell a vita in senso inverso, per rendere più trasparente possibile il passato " . Proprio grazie a tale forma di conoscenza "la persona ascende a un piano temporale superiore perché aumenta la sua unità: unifica in un certo senso il tempo, che è eterogeneità, di­ versità che fluisce, suddivisione. TI tempo, che è frattura dell'essere" (ibid. , p. 1 5 4 ) . La storicità del tempo sta tutta in questa sua capacità, a un tempo, di nascondere e rivelare, di occultare e scoprire . " Se il tempo - scrive Zambrano - non fosse rivelatore non ci sarebbe storia Ufll ana " (cfr. M. ZAMBRANO, Le parole del ritorno, cit. , p . 1 96 ) . 72 Io . , Persona e democrazia, cit . , p . 13 3 . 73 S u questo punto specifico cfr. le condivisibili osservazioni di E . LAURENZI, Maria Zambrano fi­ loso/a dell'aurora, in M. ZAMBRANO, Dell'aurora, cit . , p . 1 5 5 . Riferendosi all'introduzione del 1 977 a Los intelectuales en el drama de Espaiia, Laurenzi spiega come l'esperienza della storia per la fi­ losofa spagnola consista proprio in una ricerca di autenticità che non è più o solo quella della certezza documentaria, ma quella dell'incompiutezza, della ricerca di un passato che può riscat­ tare la sua deformazione restituendosi a ciò che stava per essere. "Come se la verità della storia, la 'storia autentica' che soggiace a quella ' apparente', consistesse proprio in quello 'stare per es­ sere', in quella tensione del presente verso l'inedito, in una promessa " (ibid. , p . 1 5 8 ) .

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natura e nelle sue cose apparentemente più umili e insignificanti - e il suo soli­ dificarsi negli infiniti cristalli del prisma del mondo storico concreto degli uo­ mini, delle società, dei popoli e delle nazioni. E, tuttavia, prima della storia e prima del nascere dell'anima per il mondo e nel mondo, l'uomo ha bisogno di una rivelazione, ha bisogno di percepire la "vita prima del tempo"74 . Ma si sba­ glierebbe a interpretare la filosofia dell'aurora soltanto come la rivelazione del­ l'inizio prima e fuori del tempo, perché la rivelazione che si dà all'individuo, proprio perché si dissolve nella relatività dell'umano, nell'arabesco apparire dei raggi solari, ha bisogno di farsi esperienza, di storicizzarsi. Si tratta di quella "esperienza compiuta " che è, al tempo stesso, esperienza della vita e della sto­ ria, azione e insieme conoscenza, senza avere timore di annullare in essa la sto­ ria apocrifa, la storia imprigionata nelle sue maschere75 • È la rivelazione che si dà "nella parola, attraverso la parola " , nella ricerca ogni volta rinnovata del senso che riesce a colmare il "vuoto della possibilità che si estende illimitata­ mente" . "L'argomento della storia vissuta si manifesta da sé, pieno di senso. E la rivelazione del senso è ciò che propriamente bisogna chiamare esperienza"76• Perciò la vz'v encia è l'unico modo di esperienza in grado di coniugare pensiero e azione77, "passione attiva e patire silenzioso " . "Può esserci esperienza solo di una storia che fin dalla sua origine ha avuto senso, quella storia autentica - fi-

74 " l sensi umani si affinano verso l'Aurora annunciata dall' alba , si schiudono ritraendosi come l'alba si ritrae, cedendo il passo a quella apparizione che non può attendere oltre [ . . . ] Un prelu­ dio, un affacciarsi lieve, un quasi nulla . Stava per iniziare, iniziava già. E non dice nulla, neanche in quel momento, ancora libero dal tempo, in cui chi la percepisce e l'accoglie gode della libertà vivente. P rima che il tempo cominci a correre - poiché si dà per scontato che solo correndo il tempo si manifesti e si faccia sentire -; prima che il tempo la arresti. In modo paradossale, e per­ sino anacronistico, il tempo ha infatti inizio con una pausa, con un vuoto, con un arresto. Si ma­ nifesta immobilizzando, come succede ogni volta che, in un modo o nell'altro [ . . . ] il tempo si so­ vrappone alla vita e la vince. E se la vita deve proseguire, in questo ordine planetario, appare co­ me una totalità, l'assoluto di qualcosa di impenetrabile e sconosciuto da cui il tempo inizia a flui­ re: quel tempo che fugge, il fiume del tempo " (ibid. , p. 1 4 ) . 7 5 Cfr. M. ZAMBRANO, L a experiencia de la historia (Después de entonces) , cit., p . 85 ; trad. cit . , p. 22. 7 6 Ibid. , p . 87 ; trad. cit. , p . 2 3 . 7 7 È indubbiamente interessante ricordare che questo tema della relazione tra pensiero e azione viene posto al centro dell'interpretazione che della filosofia di Croce ha dato la Zambrano . " Se tenessimo in considerazione, o aLneno non perdessimo di vista, il fatto che il pensiero è azione, alcuni enigmi della storia umana potrebbero essere forse chiariti, e ciò che in essa non si presen­ ta come enigma diverrebbe visibile in forma più accessibile e assimilabile. Poiché la vita umana è tale che anche la visione intellettuale le serve da alimento" . Il testo su Croce fu pubblicato in spagnolo (Algunas re/lexiones sobre la figura de Benedetto Croce) nella "Rivista di studi crociani" , 4 ( 1 967 ) , IV, pp . 440-449; s i p u ò ora leggere nell'ed. it . ( m a senza i titoli dei paragrafi) de La s pa­ labras del regreso, cit . pp. 1 85 - 197. La citazione è a p. 188.

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GIUSEPPE CACCIATORE

nora, è vero, sempre interrotta - in cui si manifestano la figura e il volto del­ l'uomo vero, che riapparirà sempre, perché è invincibile l'uomo vero, latente in ogni uomo"78• È questa possibilità del riapparire, del rinascere, dello sporgersi della " presenza rivelatrice dell'essere umano " , che contraddistingue l' epocalità di alcuni momenti storici, quei momenti in cui - e Zambrano ha nel cuore e nel­ la mente il ridestarsi alla storia della Spagna e delle generazioni che lo hanno drammaticamente vissuto - " ogni generazione che si risveglia si sente protago­ nista della storia " . Sono le generazioni che "si destano in quella che sembrava già la soglia della storia vera" e, per questo, si sentono capaci di assumere su di sé il dolore e il dramma delle generazioni che furono preda della persecuzione dell' apocrifo. Anche per questo sono pronte a " riscattare il momento storico che non è ancora completamente entrato nel passato . A farsi recipiente del suo trascendere e a vedere se stessi riflessi in questo ora, in questo specchio che re­ stituisce loro il volto e la figura incompleta, tremante come l'alba, dell'uomo vero . Questo essere che in innocenza si risveglia nel mezzo della storia; la storia

che senza di lui non sarebbe mai universale e nemmeno visibile"79•

78 La experiencia de la historia, cit . , p . 87 ; trad. cit . , p . 23 . 79 Ibid. , p. 87 ; trad. cit. , p. 24. TI corsivo è mio.

STILE E PENSIERO IN MAR1A ZAMBRANO . (NOTE SU ALCUNE VARIANTI DI "DELIRIO E DESTINO " ) di Elide Pittarello

l . Introduzione

Fra la composizione e la stampa di Delirio Destino passarono circa trentacin­ que anni, dal l 953 al l 988. Quando pubblicò a Madrid questa sua opera, scrit­ ta a L'Avana, Maria Zambrano disse di aver apportato piccole correzioni, ag­ giornando più che altro i tempi verbali. In realtà omise anche dei passaggi, so­ prattutto quelli più polemici nei confronti della monarchia. La seconda edizio­ ne, del 1 998, ripristinò integralmente il testo originale1 . In precedenza di Deli­ rio y destino si conoscevano solo pochi capitoli, sparsi come saggi autonomi in varie riviste internazionali degli anni Cinquanta2• N el 1 98 1 , anno in cui le fu concesso il premio Principe de Asturias, l'autrice ne recuperò due e li riunì in un libriccino intitolato Dos escritos autobiogrd/icos (El nacimientoY. Dopo tan­ ti anni di esilio e mentre ancora viveva a Ginevra, offriva al suo paese una ori­ ginale immagine di sé che disattende le promesse del titolo. È noto quanto un'opera come Delirio e destino sia inclassificabile secondo i nostri generi letterari. Non è una autobiografia e nemmeno un romanzo o un saggio, pur partecipando di tutte e tre queste pratiche discorsive. Altrettanto singolare risulta, perciò, Dos escritos autobiogrd/icos che, deviando da ogni ca­ none noto, struttura la narrazione prima secondo lo spazio, che si formerebbe per effetto della separazione o perdita originaria dell'essere, e poi secondo il tempo, che media la necessità di stare e durare nella discontinuità4. La storia personale di Maria Zambrano, invece che essere progressiva, risulta allora dua1 Cfr. J. MoRENO SANz, "Nota aclaratoria" , in M. ZAMBRANo, Delirio y destino. Las veinte aiios de una espaiiola, Edici6n completa y revisada por R. Bianco Martinez y J. Moreno Sanz, Madrid, Editorial Centro de estudios Ram6n Areces, 1 998, p. 1 3 . 2 Cfr. ibid. , nota 3 . 3 M. ZAMBRANO, Dos escritos autobiogrd/icos (El nacimiento), Madrid, Entrega d e l a Ventura, 1 98 1 . 4 Cfr. Io. , Notas de u n método, Madrid, Mondadori, 1989, p. 3 5 .

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ELIDE PITTARELLO

le: il suo vissuto, unico e intrasferibile per natura, è ripartito fra le due catego­ rie basilari della filosofia occidentale, legate da una mutua relazione ontologi­ ca. Costretta all 'immobilità da una grave forma di tubercolosi, che la colpì nel 1 929, l'autrice attribuisce in questo modo un valore di universalità alla propria situazione individuale e temporanea. Non importa che la malattia affligga l'a­ nima o il corpo, per lei comunque non separabili. La sua affezione è omologata a qualunque stato di crisi che, prima o poi, fa di ogni vivente un paziente, isolato ed escluso. Ciò spiega perché le circostanze di quella patologia, cui si fa cenno vaga­ mente in Delirio y Destino, siano del tutto omesse in Dos escritos autobiogrci/icos, testo in cui Maria Zambrano censura ancora più del solito ciò che considera indi­ viduale e dunque privato. Dal suo punto di vista, una capillare concatenazione di dati è più una zavorra che un patrimonio, se ignora - come non potrebbe essere altrimenti - la parte inconsapevole dell'esistenza che nessuna biografia è in grado di registrare. Ma c'è rimedio se ci si accosta all'inespresso secondo i principi della "raz6n poética" , procedimento che induce ad esprimersi con reticenza e per im­ magini, in un infmito rimbalzo fra sentire e capire. Non solo dicendo di meno si significa di più, ma si dà anche corpo alle zone d'ombra dell'esistenza, dato che l'immagine - afferma altrove Maria Zambrano - è la "primera forma en que la rea­ lidad - ambigua, escondida, inagotable - se hace presente" 5 • Si produce così una lingua filosofica visionaria e sensuale, aperta al logos sommerso che, per defini­ zione, le strutture concettuali non sono in grado di accogliere6• In questa prospettiva, le numerose varianti del lessico, della sintassi e della punteggiatura che Dos escritos autobiogrci/icos presenta rispetto alla stesura di De­ lirio e Destino, offre l'opportunità di verificare come l'autrice leghi costantemente l'elaborazione del suo pensiero alla forma della comunicazione. Scrivere altrimen­ ti il già scritto presuppone in lei cercare fusioni sempre più avanzate tra forme di­ scorsive considerate incompatibili. Come l'artista, saggia possibilità non esperite del linguaggio. E, a differenza del filosofo, evita i gerghi condivisibili ma settoria­ li. La sua è una terza via che sfugge alle retoriche prevalse nel nostro tempo. Alla maniera di Aristotele, usa ogni mezzo espressivo utile al suo scopo.

2. Adsum

Il capitolo che inaugura Dos escritos autobiogrd/icos è uguale a quello di Delirio y destino, di cui conserva circa la prima metà. Il titolo, invariato in entrambe le El hombre y lo divino, Madrid, FCE, 1 993 , p. 60. 6 Cfr. C. REVILLA , Las imtigenes en la "vida del alma». Algunos simbolos de la palabra, en "Auro­ ra " , 4 (2002 ) , p. 8 e passim. Sull'irrun agine come fondamento di una lingua oracolare, cfr. inoltre W. ToMMASI, Pensar por imdgenes: Simone Weil y Maria Zambrano, ibid., pp. 78-79.

5 Io. ,

STILE E PENSIERO IN MARIA ZAMBRANO

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versioni, è espresso in latino, riunendo in un solo verbo gli aspetti che la bifor­ cazione castigliana fra ser y estar ha separato. "Adsum " (cioè "sono qui " , " ci sono " , "eccomi " ecc.) rinvia a una presenza puntuale dell'essere-nel-mondo: circostanza unica, non passibile di astrazioni. Qualcuno, che si suppone sia l'autrice, avverte di aver luogo e di esistere, vale a dire di esser- ci . E lo dice in prima persona. Eppure non inizia a raccontare la storia della sua vita. Pas­ sando immediatamente al pronome di terza persona (o la non persona se­ condo Benveniste) , affronta per prima cosa il tema della morte simbolica che si esperisce da vivi e più di una volta per effetto di perdite e fallimenti (o ma­ lattie) . Il sottotitolo di Dos escritos autobiogrd/icos deve essere subito rise­ mantizzato: (El nacimiento) riguarda solo la condizione necessaria al pensa­ re, poiché non ci sarebbe conoscenza senza una qualche forma di morte pre­ via7 . Tornata alla vita, la creatura si trova in una quiete desertica, stagliata contro un orizzonte vuoto, nello stato di indigenza di chiunque venga al mondo , nascendo e rinascendo. A partire da tale scenario metafisica , aned­ doti spazialmente precisi - che pure non mancano - rivestono sempre il du­ plice senso della testimonianza e della parabola, perché in questa scrittura i segni non cessano di farsi simboli . 2. 1 . La nuova versione appare ritoccata fin dalle prime righe. Vediamone l'in­

cipit:

Delirio y destino

Dos escritos autobiogrtificos

Habia querido morir, no al modo en que se quiere cuando se esta lejos de la muerte, sino yendo bacia ella. No la habia Ilamado, simplemente debi6 de ponerse en marcha, elegir el camino que a ella lleva o quiza equivocarse; quiza fue una trampa o un espejismo; un error. Y el error se paga con la muerte; por eso es inexorable morir para todos. También porque nunca se ha estado vivo del todo, y porque no es posible estarlo enteramente; cuando alguien aprisionado y avido que va en nosotros sale a la luz, no encuentra casi nunca aquello que lo hizo salir. (p. 23 )

Habia querido morir, no al modo en que se quiere cuando se esta lejos de la muerte, sino yendo hacia ella. No la habia Ilamado, simplemente debi6 de ponerse en marcha por el camino que a ella lleva o quiza equivocarse; quiza fue que cayo en una trampa o que sefio de un espejismo; un error. Y el error se paga con la muerte. Por eso es inexorable morir para todos. También porque nunca se ha estado vivo del todo ni sea posible estarlo. Cuando el alguien aprisionado y avido que va en nosotros sale a la luz, no encuentra aquello que lo hizo salir. (p. 6)

7 Cfr. M. ZAMBRANO, Cartas de La Pièce (Correspondencia con Agustin Andreu), (ed. de A. An­ dreu), Valencia, Pre-Textos y Universidad Politécnica de Valencia, 2002 , p. 124. .

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ELIDE PITTARELLO

n libro si apre con il tema della morte simbolica che non si sceglie ma si ac­ cetta. L'eliminazione del verbo "elegir'' dalla seconda frase sembra avere infat­ ti il senso di un contenimento della volontà di potenza. D'altra parte, l' aggiun­ ta di due verbi al passato remoto ( '' quiza fue que cayo en una tramp a o que se fio de un espejismo" ) mostra in modo più dinamico quanto il soggetto che speri­ menta una pulsione di morte ( " Habia querido morir" ) possa mancare la meta che si era prefisso. Le sue incerte valutazioni retrospettive sono espresse ora da azioni, che trasformano il dubitare in un fare. Non si giunge però a nessuna so­ luzione. In questa atmosfera enigmatica, consona sia al verdetto che alla profe­ zia, anche la sostituzione di un punto e virgola con un punto ( " Y el error se pa­ ga con la muerte. Por eso es inexorable morir para todos " ) contribuisce a ren­ dere il discorso più sentenzioso. Basta una pausa più lunga per valorizzare il si­ lenzio come forma di attesa e di ascolto. Sopprimere invece una congiunzione causale seguita da negazione ( " y por­ que no es posible " ) , mettendovi al posto suo un'altra congiunzione ( " ni sea po­ sible " ) che coordina la polarità negativa già espressa nella prima proposizione, è un altro modo di ridurre le spiegazioni, dato che Maria Zambrano esplora più di quanto non definisca. Cambiare poi un presente indicativo ( " es " ) con il con­ giuntivo corrispondente ( "sea" ) è un passo in più sulla via dell'incertezza, cor­ roborata pure dall'eliminazione di un avverbio di modo ( " enteramente" ) che contraddiceva sia la rappresentazione del brumoso confine fra la vita e la mor­ te, che la pretesa di dominare ciò che non si è esperito. L'asserzione che figura in entrambe le versioni ( " nunca se ha estado vivo del todo " ) , portatrice di un valore di verità solo per la forma in cui è espressa, è ora allacciata a un'ipotesi ( " ni sea posible estarlo " ) , invece che a un'asserzione ulteriore ( ''no es posible estarlo enteramente" ) , ora eliminata. n messaggio risulta così più sfumato. Nel suo intento di essere più persuasiva che autoritaria, Maria Zambrano cerca altri aggiustamenti retorici nella punteggiatura. Ancora un punto, messo al posto di un punto e virgola, sottolinea l'importanza del momento con una più marcata rottura logica dell'enunciato. L'ultima frase ( " Cuando . . . " ) , resa autonoma sintatticamente, mima così l'effetto di una massima, intesa come pro­ posizione evidente. In realtà essa ha uno strano contenuto paradossale, che l'in­ troduzione di una piccola particella del discorso accentua. Si tratta di un arti­ colo determinativo che trasforma il pronome indefinito " alguien " nella forma sostantivata " el alguien " . Con questa forzatura della norma grammaticale l'au­ trice delimita - ma non identifica - la parte in ombra di ogni vivente. È l'altro da sé, denominato altrove " el hermano invisibile" che oppone resistenza; l'irri­ ducibile che è " réplica y espejo de nuestro enigma"8• In deroga all'astrazione 8 ID., El hombre y lo divino, cit., p. 182.

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unificatrice del concetto e alla corrispondenza pattuita fra segni e referenti, l'e­ nigma combina l'impossibile9. Così Maria Zambrano fa affiorare la verità er­ metica alla superficie antinomica del linguaggio. L'applicazione della " raz6n poética " è più che mai evidente ovunque si trovi una contraddizione. Anche in questo passo, racchiusa sia nel soggetto ( " el alguien " ) che nei predicati verba­ li, dove compare il duplice movimento che congiunge l'attività alla passività. Da un lato c'è lo slancio del progetto: " el alguien aprisionado y avido que va en nosotros sale a la luz" ; dall'altro, la stasi del disinganno: " no encuentra aquello que lo hizo salir" . A quest'ultimo enunciato è stata tolta la locuzione avverbia­ le " casi nun ca " , rendendo così più netta la frizione fra dentro e fuori, corpo e mondo, desiderio e frustrazione. Queste e molte altre sono le costellazioni di senso che discendono dal lessema "luz " , una delle immagini antologiche più care a Maria Zambrano. 2 . 2 . L'intero testo di

Dos escritos autobiogrd/icos, pur nella sua brevità, richie­ derebbe analisi forse interminabili. Le parti che qui si mettono a confronto non sono che incursioni sintomatiche nell'officina della scrittrice. Vediamo dunque, in un altro frammento, quanto la qualità del suo pensiero e la modalità del suo discorso siano articolazioni di una sola esperienza: Delirio y destino

Dos escritos autobiogrtificos

c:Nacer es un sacrificio a la luz? Y por eso Edipo se arranc6 los ojos por haber vuelto al lugar del nacimiento, en vez de seguir naciendo, aceptando el sacrificio de sentirse cada vez mas hundido entre las

c:Nacer es un sacrificio a la luz? Y por eso Edipo se arranco los ojos por haber vuelto al lugar del nacimiento, en vez de seguir naciendo, aceptando el sacrificio de sentirse cada vez mas lejos de la tiniebla materna! y mas hundido en las propias tinieblas. Y cada vez que se nace o renace, y aun en el ir naciendo de cada dia, hay que aceptar esa herida en el ser, esa escisi6n entre el que mira, que puede identificarse con lo mirado - y asi va naciendo - y el otro, el que siente a oscuras y en silencio, entre la noche del sentido, condenado a no nacer ahora, a no nacer todavia. Y hay que aprender a soportarlo. Después de haberlo

tinieblas, a medida que se ve mas y con mayor claridad .

Y cada vez que se nace o renace, y alin en el ir naciendo de cada dia, h ay que aceptar esa herida en el ser, esta escisi6n entre el que mira, que puede identificarse con lo mirado - y asi lo anhela - y el otro; el que siente a oscuras y en silencio , entre la noche del sentido donde ningiin sentido Deva ningiin mensaje. Y hay que aprender a soportarlo. (p. 26)

padecido mucho comienza a nacer la esperanza de q ue el condenado por la luz también nazca en otra luz. De que nazca una luz que lo nazca. (pp. 9- 10)

9 Cfr. J.M. CuESTA ABAD, "Retorica del enigma" , Fierro Editores, 1999, p. 44.

in Io., Poema y enigma,

Madrid, Huerga y

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Fare sacrifici significa negoziare uno spazio vitale con la divinità, di cui si sollecitano risposte che hanno il carattere della rivelazione istantanea10• Refrat­ taria al giudizio, Maria Zambrano introduce in forma interrogativa l' argomen­ tazione della nascita come sacrificio alla luce, che è una sua figura del divino. Quindi apporta cambiamenti testuali che rinforzano la relazione fra corpo e mente, carne e spirito. ll sintagma "hundido entre las tinieblas " , riferito a Edi­ po che avrebbe dovuto accettare di nascere (e morire) ripetutamente, viene so­ stituito da una sofisticata biforcazione. Troviamo prima il sintagma " cada vez mas lejos de la tiniebla materna/" ' che introduce una localizzazione specifica, " carnale e sessuata, del sentire originario. 1 1 Il secondo sintagma y mas hundido en las propias tinieblas " si riferisce a una conquista del mondo fatta " alla cie­ ca " se realizzata con il solo uso della ragione. Conforta questa interpretazione il fatto che sia stato eliminato il sintagma "a medida que se ve mas y con mayor claridad " . Come una novella Sfinge, così Maria Zambrano rimpiazza un para­ dosso con un enigma, forma che per lei rappresenta la natura umana: malgra­ do aspiri a essere "uno " , l'uomo è " enigmatico " , prigioniero di un'inestricabi­ le molteplicità che lo fa soffrire12• Edipo, che scopre il proprio destino fra scon­ volgenti colpi di scena, ne è allora la più tragica incarnazione. Prosegue, con ritocchi minimi, l'argomentazione relativa alla lotta per l'esi­ stenza. Eliminando un accento, l' avverbio di tempo "a6n " è trasformato nella congiunzione concessiva "aun " , che rende così eventuale - invece che certa e frequente - la rinascita. Metaforizzata dall'immagine della " herida del ser" , es­ sa è rappresentata anche come "escisi6n " fra la parte conscia del vivente, che acquista la facoltà di vedere ed essere visto mentre nasce o viene alla luce, e la sua parte inconscia, che resta immersa nel buio del sentire privo di parola e dunque di senso. È una condizione comune al genere umano che l' autrice sot­ tolinea anche cambiando un deittico. Ora mette in evidenza la " escisi6n " con il dimostrativo "esa" al posto di " esta " , smorzando ancora di più il proprio coinvolgimento. Ciò che invece diventa più personale è il suo pensiero, come mostra la so­ stituzione del sintagma "lo anhela" con il sintagma "va naciendo " , che presen­ ta uno slittamento semantico. A un verbo tipico di Ortega y Gasset ( " anhelar" ) succede infatti un verbo tipico d i Maria Zambrano, legato ai paradigmi seman­ tici del vedere/desiderare/ capire. Vi si somma, inoltre, una dinamica parados­ sale, data dalla diversa forma del verbo: questo gerundio perifrastico, messo al

10 11

Cfr. In. , El hombre y lo divino, cit., pp. 3 8-39. L'equivalente è la metafora delle "entrafias" . Cfr. ibid. , p . 177.

12 Ibid. , p . 47.

STILE E PENSIERO IN MARIA ZAMBRANO

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posto del presente indicativo, attribuisce continuità e sviluppo all'atto della na­ scita che, insieme alla morte, è invece istantaneo. Anche così l'idea dell'esi­ stenza come transito infinito trova una rappresentazione più adeguata. È lo stesso criterio che informa la sostituzione del sintagma " donde ningun senti do lleva ningun mensaje " , ancora legato a un linguaggio concettuale, con il sintagma di matrice ormai inconfondibile "condenado a no nacer ahora, a no nacer todavia" . L'esclusione dal linguaggio, visto come una nascita rinviata a tempo indefinito, è un castigo che l'iterazione anaforica riempie di pathos. Sia­ mo di fronte all'immagine metaforica della passività che caratterizza ogni fase del divenire e richiede sempre un addestramento arrendevole ( " Y hay que aprender a sopportar! o " ) . Solo un 'esistenza che si dispieghi anche come re­ sistenza può far sorgere la speranza che muove all' azione o trascendenza. È una scelta comunque gravosa e imprevedibile che Maria Zambrano esprime con un enigma inedito, usando l'immagine della luce secondo accezioni con­ traddittorie, come mostra la frase aggiunta: "Después de haberlo padecido

mucho comienza a nacer la esperanza de que el condenado por la luz también nazca en otra luz" . La sinapsi fra l'una e l' altra nascita e fra l'una e l'altra luce racchiude possibilità paradossali . Ma è proprio questo l'effetto ricercato da una p arola che non vuole catechizzare, bensì suggerire con emozione. For­ zando la doxa culturale e linguistica, il topico del rapporto nascita/luce vie­ ne ribaltato, come sottolinea anche l'aporia conclusiva. Di nuovo l'ideale si fa carnale. Accanto alla luce atemporale della coscienza sorge una luce defi­ nita altrove "vivente " : quella scaturita dall'agonia tra la vita e la morte e che con il tempo si consuma13 . L' ultima frase, ellittica, è un auspicio in cui la lu­ ce dovrebbe prima materializzarsi e poi partorire: "De que nazca una luz que lo nazca " . Un verbo intransivo per eccellenza cambia la sua funzione e diventa causa di vita. Secondo una metamorfosi misteriosa, il momento fi­ nale di un processo generativo dovrebbe coincidere con l'inizio di un altro. È questo il climax di un crescendo di amplificazioni tipico del discorso eli­ coidale di Maria Zambrano, che ben conosceva gli effetti delle riprese anafo­ riche, di volta in volta arricchite da accezioni inattese. Eppure dovremmo sa­ perlo che non c'è scoperta senza stupore. 2 . 3 . Dopo queste premesse, il tema del terzo frammento risulta già familiare. Si

tratta della rinascita dell'autrice, che presenta altri affinamenti di stile.

B Cfr. ibid. , p. 17 6.

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ELIDE PITTARELLO

Delirio y destino

Dos escritos autobiogrtificos

Y ah ora, al no ha ber podido morir, sentia que tenia que nacer por si misma. Del primer nacimiento nadie recuerda nada. N o hay conciencia que recoja ese temblor del ser arrojado afuera, expuesto repenti­ namente a la intemperie, sin asidero. La conciencia, ésta que ahora envolvia su so­ ledad debi6 de empezar a formarse en­ tonces, en ese instante terrible en que hu­ bo que abrir los ojos y respirar. j Qué di­ ferencia pudo medir ella y todos , entre el abrigo de la verdad materna!, donde ningun esfuerzo era necesario ni posible y eso que adviene de pronto: imagenes quietas, fijas sobre un negro vado; lo pu­ ramente irreconocible. Un impetu , una avidez. Vivir es anhelar y bajo el anhelar la avidez, el apetito desde lo mas adentro , el hambre originaria. Hambre de todo, hambre indiferenciada. (p. 25 )

Y ahora ella, al no haber podido morir sentia que tenia que nacer por si misma. Del primer nacimiento nadie recuerda nada. No hay conciencia que recoj a ese temblor del ser arrojado afuera, expuesto repentinamente a la intemperie, sin aside­ ro. La conciencia, ésta que ahora envolvia su soledad debi6 empezar a formarse en­ tonces , en ese instante terrible en que hu­ bo que abrir los ojos y respirar. j Qué di­ ferencia pudo medir ella y todos los naci­ dos, entre el abrigo de la caverna mater­ na!, donde ningun esfuerzo era necesario ni posible y eso que adviene de pronto: imagenes quietas, fijas sobre un negro vado, lo puramente irreconocible. Y el despertar. un impetu del mirar, y sur­ ge enseguida la avidez, el apetito desde lo mas bondo, el hambre originaria. Hambre de todo, hambre indiferenciada. (pp. 8-9)

"

"

Con l'aggiunta del pronome ella , Maria Zambrano rafforza la sua presen­ za di creatura che sperimenta la fatica di ricominciare a vivere e generarsi da sé, con il corpo che sente e la coscienza che sistema. Analoga funzione ha, a pro­ posito del venire al mondo, l' aggiunta di " todos los nacidos " , la collettività dei viventi che condivide la sua condizione. Si dà così più enfasi a un punto cru­ ciale dell'enunciato. Di particolare rilevanza, in tale senso, appare anche la so­ " stituzione di "verdad materna! " con caverna materna!" . Eliminata l'astrazione della categoria a favore della metafora che rappresenta il grembo femminile, Maria Zambrano sostituisce alla nota immagine platonica una scandalosa im­ magine di segno opposto14• La possibilità della conoscenza è così ascritta al ma­ terno, inteso come facoltà femminile di generare, con tutto quel che ne conse­ gue sul piano fisico e metafisica.

14 L'immagine della caverna come grembo buio e fecondo è abituale. Si veda per esempio questa riflessione su Edipo: " 'la caverna' platonica no puede ser un simbolo mas fiel del lugar del hom­ bre que alin no ha podido nacer. Y el que dentro de ella se agita y sufre, es porque se halla al borde del nacimiento" , Io. , El sueiio creador, Madrid, Tumer, 1986, pp. 79-80.

STILE E PENSIERO IN MARiA ZA!'vffiRANO

71

Costituiscono, infine, una maggiore precisione lessicale le varianti relative al tema della rinascita. All'affermazione perentoria della prima stesura ( "vivir es anhelar" ) succede una rappresentazione più elaborata. l lessemi della frase el­ littica iniziale, "impetu" e " avidez" vengono separati e posposti, legandoli a nuovi verbi. In primo piano compare ora l'atto del risveglio, attraverso l'infini­ to sostantivato del verbo che ne racchiude virtualmente tutte le attualizzazioni ( " Y el despertar:" ) . La congiunzione " Y' , posta all'inizio di frase e di paragrafo, coordina un antecedente implicito e rinsalda con la sua posizione strategica un'idea di esistenza priva di soluzioni di continuità. D'altro canto, l'aggiunta dei due punti dopo " despertar:" segnala come questo divenire inarrestabile non possa che aprirsi a conseguenze ulteriori. Risvegliarsi comporterà esercitare " con foga lo sguardo ( " un impetu DEL MIRAR ) , espresso di nuovo da un infinito sostantivato. L'atto di delimitare con gli occhi il proprio spazio e di desiderare immediatamente di possederlo è ancora destrutturato. Queste frasi ellittiche sono infatti aperte a possibilità non declinate. Ma, subito dopo, l'evento si con­ cretizza, coordinato ai suoi labili antecedenti da una congiunzione, un verbo " coniugato al presente indicativo e un avverbio che esprimono istantaneità: y surge enseguida la avidez " . Il lessema che appariva in origine sciolto da relazio­ ni sintattiche precise è ora il soggetto dell'unica frase dotata di predicato ver­ bale. Preceduta da "impetu " e seguita da " apetito" y "hambre originaria" , emerge ora la " avidez" come il fulcro della pulsione proiettata verso tutto ciò che non si ha e non si è. È la metafora dell'esistenza che si articola come man­ canza o mendicità15• Interessante, infine, appare la sostituzione di " adentro " con "bondo" , av­ verbio che non si limita a indicare una direzione generica all'interno di un luo­ go chiuso e nascosto alla vista, ma evoca lo spazio più lontano dalla superficie e anche il più vasto e smisurato16• Rispetto alla soglia o ferita che ogni nascita e rinascita comportano, Maria Zambrano rappresenta anche così - come luogo sotterraneo e abissale - l'origine in conoscibile della vita. 2 . 4 . A conclusione delle analisi sintomatiche del primo capitolo, vediamo ora

un ricordo della primissima infanzia cui si lega la comparsa della coscienza. È un testo in cui abbondano più i tagli che i ripensamenti.

15 Cfr. ID. , El hombre y lo divino, cit . , p. 158. 1 6 In Io., Las bienaventurados, Madrid, Siruela, 1 990, p . 9 1 , leggiamo che " dentro " è da inten­ dersi come alga que esta tras de lo que a primera vista se manifiesta " . "

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ELIDE PITTARELLO

Delirio y destino

Dos escritos autobiogrdficos

Estaba viva abora, comprendida. . . tenia

Y ahora, mientras el padre venia hacia ella, subia un recuerdo desde esa oscura resistencia, desde ese no; un recuerdo que era como un si que se insinuaba.

que resc atar todo lo que no babia sabido bacer suyo , su alimento. Y meterse den­ tro, dentro del suefio que la babia en­ gendrado. Su p adre la miraba en silen­ cio, es que él s abia, lo sabia todo, como s iempre. Le vi o como de nifia en aquellas imagenes que su memoria babia guar­ dado, puro misterio, se acordaba de cuando aun no podia saber lo que es esto de ser padre. Y era "aquél" que la ll ama­

ba y la bacia despertar de sus embebeci­ mientos que debian de ser continuos, pues todos los instantes que recordaba eran asi; ella mirando algo en el cielo, especie de signos negros - las golondri­ nas -, " jmira las golondrinas ! " le dijo Él - en real idad ella no miraba golondrinas -, ni siquiera miraba, pues estab a pegada a ellas, ni cerc a ni lejos, solo se estaban quietas, fijas como ella estaba fij a y la voz del pad re y su presenc ia la bacian moverse por dentro, dejar de estar quie­ ta, pegada a aquella imagen, escrita en el cielo. Y aquel otro momento bajo la obli­

cua luz de la tarde, en lo que debia de ser

el patio de su casa nata) de Vélez-Malaga, mirando la rama combada muy por end­ ma, con un limon que Él le corto y le puso en la mano de donde escapo rodando ... aquello no era mirada, sino estar pegada, prendida, como si fuese apenas distinta de lo mirado. Y el padre la llamaba, la despe­ gaba de aquello y bacia sentir que era di­ stinta, la extrafieza de ser algo. y no solo su voz y su palabra que no siempre en­ tendia, sino él, su rostro desde tan alto mirandola, aquello que era terrible, que la iba a bacer temblar ya le enviaba la sonri­ s a, la mirada que antes que los brazos la levantaba del suelo.

El sudo que era su sitio, lo que est ab a pa­ ra ella, y para el gato, por donde an daba

Se veia de muy nifza en el sudo que era su sitio, lo qu e estaba para ella, y para el ga-

STILE E PENSIERO IN MARiA ZA!'vffiRANO

sin acabar de erguirse, donde siempre volvia a caer. Y él la alzaba, la levantaba en alto y se encontraba al lado de su ca­ beza, que se atrevia a tocar y a fuerza de ser levantada y puesta a la altura de su frente y de atreverse a tocarla, debi6 de ir aprendiendo qué era Eso; Padre. Y en aquellos viajes del sudo a tan alto, debi6 de aprender también la distancia, y el estar a­ rriba, ver el sudo desde arriba, mirar desde lo alto bacia la cabeza de su padre, las co­ sas, las ramas, las paredes se movian, iban cambiando, y eso, atender a lo que cambia, ver el cambio y ver mientras nos movemos, es el comienzo del mirar de verdad, del mi­ rar que es vida. (pp . 32-3 3 )

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to, por donde andaba sin acabar d e erguir­ se, donde siempre volvia a caer. Y él la al­ zaba, la levantaba en alto y se encontraba al lado de su cabeza, que se atrevia a tocar y a fu erza de ser levantada y puesta a la altura de su frente y de atreverse a tocarla, debi6 de ir aprendiendo qué era eso: Padre. Y en aquellos viajes desde el sudo hasta t an alto, debi6 de aprender también la distancia, y el estar arriba, ver el sudo desde arriba, mi­ rar desde lo alto, sobre la cabeza de su pa­ dre, las cosas, las paredes que se movian, iban cambiando, y atender a lo que cam­ bia; ver el cambio y ver mientras nos mo­ vemos es el comienzo del mirar de verdad, del mirar que es vida. (p . 17)

Rispetto alla versione originale, il passo appare privo di una dolcissima parte autobiografica, che era parte integrante dell'argomentazione filosofica17• Essa ri­ guardava il momento in cui la protagonista ha accesso ai nomi e alle cose della natale Andalusia: elementi che possono identificarla in modo inequivocabile e in­ desiderato. La scoperta della differenza fra sé e l'altro da sé è affidata perciò a una sola scena, introdotta da una nuova frase che associa la comparsa immateriale del ricordo alla comparsa fisica di una persona: " Yahora, mientras elpadre venia ha­ eia eOa, subia un recuerdo desde esa oscura resistencia, desde ese no,· un recuerdo que era como un si que se insinua ba" . È interessante notare come Maria Zambrano,

costretta all'immobilità dalla malattia, si ponga al centro di un doppio movimen­ to: quello esterno e orizzontale del padre che si avvicina al suo letto; quello in­ terno e verticale del ricordo che sale a fatica dal suo inconscio. Così introduce l'e­ vento della trascendenza, letteralmente intesa come un andare oltre. L'evocazione di un breve e remoto episodio familiare restituisce la visione, metafora dell'intelligenza, alle fonti di un diverso cammino figurale. Lasciare all'improvviso il pavimento, che condivide animalescamente con il gatto, costi­ tuisce infatti per la piccola Maria, ancora incapace di camminare, un allarga­ mento del proprio orizzonte, vale a dire una più ampia presa visiva sullo spa17 Per un'analisi di tutta questa parte, cfr. E . PITTARELLO, "Lo sguardo di Maria Zambrano (No­ te su Delirio y Destino) " , in T. AcosTINI, A. CHEMELLO, I. CROTTI, L. RicALDONE, R. RicoRDA (a cura di) , Lo spazio della scrittura. Letterature Comparate al femminile, N Convegno della Società delle Letterate, Venezia , Fondazione Giorgio Cini, 3 1 gennaio- l febbraio 2002 , Padova, TI Poli­ grafo, 2004 , pp. 2 3 -4 1 .

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ELIDE PITTARELLO

zio esterno che mette in moto la formazione della sua coscienza . Presa in brac­ cio ripetutamente, la bambina viene staccata dal suo habitat e da se stessa, por­ tata dal basso verso l'alto e viceversa, alla conquista di altezze che non perdo­ no mai il rapporto con la terra, punto di riferimento irrinunciabile per ogni for­ ma di comparazione e conoscenza. Tale superamento di sé è dovuto all'inter­ vento del padre, la cui guida è indispensabile a strappare la figlia all'immobi­ lità, stato che è figura dell'ignoranza18• La solidarietà dinamica fra l'uno, l'altra e il mondo avviene in circostanze allo stesso tempo comuni ed eccezionali. n gesto, tanto amoroso quanto ovvio nella sua felice banalità, rinvia simbolica­ mente anche alla mitologica apparizione di una Minerva del nostro tempo. Qui è allora in gioco la vita della mente, che si forma non nel grembo, ma nella te­ sta. Ed è appunto questa la ricorrente fantasia somatica della Maria Zambrano pensatrice: mescolando il principio femminile e maschile, immagina di essere stata generata nella parte superiore del corpo del padre che, per nostra tradi­ zione, è il topico di ogni eccellenza spirituale. Ne fa cenno nel frammento espun­ to della prima versione ("Y meterse dentro, dentro del sueiio que la habia en­ gendrado. Su padre la miraba en silencio, es que él sabia, lo sabia todo, como siempre " ) e lo ribadisce in maniera esplicita subito dopo questa scena, quando ormai dà per acquisita l'interpretazione traslata dell'aneddoto e dice in entrambe le versioni: "a mitad del viaje encontr6 la frente guardadora del secreto, la frente cuyo suefio la habia engendrado, su origen del que habia huido"19• È da segnalare poi un cambio di preposizioni. La polarità degli andirivieni iniziatici della bambina è ora sottolineata dalle preposizioni "desde" e "hasta", che sostituiscono rispettivamente " de" e " a " , con i l risultato d i circoscrivere meglio il suo movimento, di cui viene fissato il punto di partenza e il punto di arrivo. La piccola protagonista, inoltre, non guarda più verso la testa di suo pa­ dre ('' hacia" ) , ma al di sopra di essa ("sobre" ) , conquistando così al proprio sguardo un altro pezzetto di mondo. La soppressione del lessema "ramas" è coerente con la soppressione dell' aneddoto del limone, mentre la soppressione del dimostrativo neutro " eso" elimina l'anafora che spezzava il fluire dell'azione in corso. In tal senso sono anche da interpretare gli aggiustamenti della punteg­ giatura. Infine, l'aggiunta di una congiunzione relativa che introduce una subor­ dinata ( ''las paredes que se movian" ) , mette meglio a fuoco l'immagine parados­ sale di una esteriorità che, essendo fissa e inanimata per natura, comincia invece a rispondere e interagire. Un altro piccolo accorgimento stilistico per esprime­ re con più efficacia lo scambio fenomenologico fra il vivente e il mondo. 18 È condizione comune a tutti gli esseri umani. Cfr. M. ZAMBRANO,

De la aurora, Mad ri d, Edi­

ciones Turner, 1986, p. 2 5 . 1 9 Io . , Delirio y destino, cit. , p . 33 e Io . , Dos escritos autobiogrd/icos, cit . , p. 17 .

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Nel 1 975, molti anni dopo la prima redazione di questo testo, ricordando quanto la figura del padre fosse stata fondamentale per i suoi studi filosofici, Maria Zambrano così scriveva all'amico Agustin Andreu: "No te di a ver, aun­ que lo queria, una foto en que mi Padre me tiene levantada en sus brazos a la altura de su frente cuando tenia seis meses. Y de ahi Ara y yo no hemos queri­ do bajar"20• Anche questa era una applicazione della "raz6n poética " . Una vec­ chia foto, incontestabile e istantanea certificazione di una realtà lontanissima, poteva diventare l'immagine emblematica e stabile di tutta una vita .

3. "La multiplicidad de los tiempos"

Dopo aver parlato dello spazio nei modi che sono stati delineati, nel secondo e ultimo capitolo di Dos escritos autobiogrdficos Maria Zambrano parla della pro­ pria vita (e della condizione umana) dal punto di vista del tempo. Fin dal tito­ lo appare chiaro che questa dimensione idealistica del divenire, tanto familiare quanto fittizia, viene restituita a tutta la sua problematicità . Anche in questo ca­ so l' autrice percorre a ritroso il cammino della tradizione occidentale, facendo più che mai del pensare un " descifrar lo que se si ente en el 'sentir originario»'21 . L a coscienza come struttura privilegiata del sapere è di nuovo sotto processo . 3. 1 . l ripensamenti relativi a questo capitolo sono numerosi. Per ragioni di spa­

zio, limitiamo l'analisi all'incipit:

Delirio y destino

Dos escritos autobiogrdficos

Al iniciarse de nuevo en la vid a, en el

Al iniciarse de nuevo en la vida, caida de los limbos de las nieves del Guadarrama en el jardin de la quinta madrilena, se

j ardin de la quinta , caida del limbo de las

nieves del Guadarrama, del silencio de la soledad, s inti6 confusamente y enredados entre si varios "tiempos" , como una

red de diversas mallas donde tenia que entrar. Llegaba a la vida de nuevo y asi descubria, redescubria, esos tiempos di-

versos que la evoluc i6n lenta desde la infan eia a la "edad de la raz6n" la habia i do envolviendo, como el capullo a la larva.

20

sentia entrar en reldmpagos de claridad abiertos en la confosion de varios tiempos, como una red de multiples mallas . Sorprendia por momentos esos tiempos diversos que desde la infancia la habian id o envolviendo como el capullo a la larva, y la larva - se daba ahora cuenta - los torna por suyos; por su propio ser. Y como habia

ID . , Cartas de la pièce (Correspondencia con Agustin Andreu), cit . , p. 2 06. ibzd. , p. 1 83 .

21 Cfr.

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ELIDE PITTARELLO

Como habia estado cerca de desnacer, sentia al ren acer las diversas vestiduras

temporales. Estaba " aqui " , en este tiem­ po, é en cmintos? Y eso le producia con­ fusion y vacilaba; a veces no sabia en qué tiempo meterse o en qué tiempo estaba metida.

Y algunas maiianas, al despertar, cara a la luz del dia, se habia sentido como una paloma que regresa y ha de entrar en su casilla, pero een cual ? ePor qué capitulo de su vida? Tenia que acordarse de lo que la estaba pasando ahora y no era fa­ cii porque propiamente . . . no la estaba pasando nada; solo habia vuelto a la vida. Y como volvia sin proyecto ni personali­ dad, rechazando la imagen que se trans­ forma en mascara, como queria seguir asi, tal como se vio que no era, sentia muy agu damente estas vestiduras del tiempo, estas capas de ser que los diver­ sos tiempos nos echan encima y el tiem­ po casillero, el sucesivo . ( p . 12 1 )

andado al borde del desnacer, se le revela­ ban, al renacer, las diversas vestiduras temporales queforman la trama de la vida humana. Estaba " aqui" en este tiempo . . . éen cuantos? y eso le daba confusion y una perplejidad desconocida; a veces se sentia envuelta en esos tiempos, como una muerta en su mortaja, o yacer bajo ellos, co­ mo en su tumba. Y la acometia esta congoja.· �acaso no podemos yacer en el tiempo, si a él nos acomodamos? Por eso es mejor que haya varios, para no caer definitivamente en ninguno. Y otras veces, por la mafiana, al despertar, se habia sentido como una paloma que re­ gresara de lejos y no supiera bien en qué ca­ silla del palomar meterse, en qué capitulo de su vida. Y tenia qu e recordar qué le

estaba pasan do ahora y no era fiicil, por­ que propiamente no le pasaba nada; solo habia vuelto a la vida. Y como habla vuel­ to sin proyecto ni programa alguno, des­ pojada de su vieja imagen y como queria seguir fie! a aquello que era, tal como se vio, al modo de una larva, sentia muy agu­ damente la opresion de estas vestiduras de tiempo; estas capas de "ser" que los mul­ tiples tiempos nos echan encima y bajo e­ /las, semiasflxiado, su tenue ser apenas nacido. (p. 20)

n mutato ordine del discorso mette maggiormente in risalto la fine della convalescenza della protagonista, data dall'immagine della caduta. È un di­ stacco assoggettato alla legge di gravità, poiché per Maria Zambrano venire o tornare al mondo significa avere corpo e avere peso22, secondo una concezione pitagorica e neoplatonica che attraversa, con adattamenti fenomenologici per­ sonali, tutta la sua opera. Qui sono connotate in tal senso le montagne della Sierra del Guadarrama, che costituiscono il punto di partenza fisicamente e spiritualmente elevato. Le rappresenta la metonimia delle nevi, che attiva an­ che le aree semantiche del /bianco/ e del /freddo/ come stadi che precedono 22 Cfr. Io. ,

Los sueiios y el tiempo, Madrid, Siruela, 1 992 , pp. 3 1 , 66 e 70.

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una delle molte rinascite proprie del vivente. Sentite come un locus medius fra il cielo e la terra, queste montagne sono designate ora come " limbos'' , in sosti­ tuzione dello stesso lessema al singolare. Sfumata così la sua valenza puramen­ te teologica, questa immagine introduce più efficacemente la topologia dell 'in­ determinatezza. Private anche dell'apposizione "del silencio de la soledad" , "las nieves del Guadarrama" diventano non-luoghi. Il punto d'arrivo è invece un luogo coltivato e dunque inserito nella cultura e nella storia, che l'aggiunta di un toponimo contribuisce a definire con ulte­ riore precisione ( " en el jardin de la quinta madrileiia" ) . È un territorio fonda­ mentale per l'autrice, perché a Madrid aveva appreso da Ortega quel "logos del Manzanares " che l'avrebbe poi indotta a concepire la sua " raz6n poética"23 . Entrare in un nuovo spazio significa dunque entrare in un nuovo tempo o, me­ glio, in "varios tiempos " . Da notare che quest'ultimo lessema ha intanto per­ duto le virgolette: diventa così normale trovarsi davanti a un numero impreci­ so di possibilità quando si comincia a vivere o a rivivere. Anche questo avveni­ mento è narrato con una nuova strategia . La rappresentazione del ritorno alla vita come ingresso nella molteplicità temporale è affidato a una perifrasi ver­ bale ( ''se sentfa entrar" ) che ricongiunge il soggetto all' oggetto nella forma ri­ flessiva del verbo di percezione . Inoltre, compone in una sequenza unica le azioni precedentemente divise del percepire ( " sintio " ) e dell'entrare ( ''tenia que entrar" ) . L'autrice evidenzia in tal modo la consapevolezza sensoriale di quell'inizio. Anni dopo l' avrebbe cristallizzata linguisticamente nel "saberse" o "serse presente " , dato che per lei non c'era forma d 'essere che potesse pre­ scindere dalla percezione24. Un 'altra novità è data dalla sostituzione del passato remoto con l'imperfet­ to. Rispetto al tempo puntuale che racchiudeva in sé il principio e la fine del­ l' avvenimento ( " sintio" ) , ora il tempo verbale della durata ("se sentfa" ) non so­ lo fa diventare abituale l'atto percettivo, ma gli toglie anche la possibilità di una conclusione, poiché è visto all'interno del suo accadere25 • Inoltre ne rallenta lo svolgimento26, coadiuvato in questo effetto retorico dalla presenza di un' allit-

2 l Cfr. ID . , 24 Cfr. ID . ,

De la aurora, Madrid, Turner, 1986, pp . 122- 123 . Las sueiios y el tiempo, cit . , p. 67 .

25 Osserva A. CARRAS co GUTIÉRREZ, " El tiempo verbal y la sintaxis oracional. La consecutio tem­ porum>>, in I. BosQUE y V. DEMONTE (eds . ) , Gramdtica descriptiva de la lengua espaiiola, Madrid, Espasa C alpe, 1999 , II, p. 3 07 5 : " El aspecto Imperfectivo no nos permite contemplar los limites del evento; en consecuencia, hemos de considerar los acontecimientos denotados por los verbos como vistos desde dentro, como abiertos o no acotados " . 26 A proposito del finale di un racconto di Unamuno, dice H . Weinrich, cui si devono queste ri­ flessioni sui tempi verbali, che " el imperfecto frena la historia " , H. WEINRICH, Estructura y /un­ ci6n de las tiempos en el lenguaje, Madrid, Gredos, 1 974 , p . 2 3 2 .

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terazione. Grazie alla nuova forma riflessiva del verbo, il fonema sibilante e continuo [s] e il fonema vocalico [e] costituiscono una duplice sequenza, se­ guita dal fonema nasale e continuo [n] che ne prolunga l'impatto sonoro ( " [SE SEN] tia " ) . La rappresentazione s i arricchisce poi d i u n metaforico complemento di luogo che riporta la "multiplicidad de los tiempos " nell'ambito della physis me­ diatrice. Invece che assumerne direttamente la percezione oggettiva ( " sintio [ . . . ] 'varios tiempos "' ) , la protagonista precisa ora il contesto dell'atto senso­ dale che consuma solo in se stessa. Infatti "se sentla entrar en reldmpagos de claridad'' , fenomeni che a loro volta appaiono "abiertos en la confusion de varios tiempos " . Con questa articolazione si sostituisce la modalità espressa in precedenza soltanto dall 'avverbio "confusamente" . Maria Zambrano, cui non basta qui la generica mistica della luce, introduce dunque un topos mitologico che rinvia al soprannaturale. Epifanie istantanee dell'energia ultraterrena, questi suoi " reldmpagos de claridad'' squarciano le opache nubi tempestose della figura teologica del cielo27 • Metafore della rivela­ zione, sono luci definite altrove ribelli, quasi scappate di mano al creatore28 • Rileviamo infine un'ultima correzione che armonizza tutti i cambiamenti. n ritorno alla vita della creatura è rappresentato dall'immagine delle "mallas " , tessuto che metaforizza il tempo come un'estensione indefinita e imprevedibi­ le di forme solidali e bucate . Non più genericamente "diversas " , ossia irriduci­ bili all'identità, ora sono " mtUtiples'' , ossia contrapposte all'Uno in virtù di un'imprecisata consistenza numerica (e dunque di una soggiacente benché ignota forma d'ordine) che comprende anche ciò che il vivente non registra. È una relatività di matrice pitagorica che mantiene la protagonista appena rinata sulla soglia dell'incertezza antologica. Se decidere è definire e definire è fare storia29, questi scenari dinamici e disordinati ben raffigurano la condizione di chi non ha ancora passato né futuro. L'eliminazione dell' anafora "Llegaba a la vida de nuevo " , che nella prima versione riprendeva il sintagma inaugurale "Al iniciarse de nuevo en la vida " , è da interpretare nella prospettiva di questa temporalità ancora priva di una di­ rezione. Lo conferma pure la sostituzione dei verbi iterati " descubria, redescu­ bria" con l'unico verbo " Sorprendla" , messo nella posizione strategica di inizio

2 7 Cfr. M. ZAMBRANO, De la aurora, cit., p. 54 . 2 8 Leggiamo: " Don celeste; celeste siempre, llegue de donde llegue. Y, entonces, si llega oblicua­

mente desde la oscuridad zigzagueante, parece rebelarse; la rebeli6n de la luz �seni posible, se habnl ya dado alguna vez? �se dio acaso a poco de ser 'creada', se escap6 de las manos del crea­ dar, de su frente quiza llevandose consigo, arrastrada, la palabra ? " , ibid. , p . 5 1 . 2 9 Cfr. Io. , El hombre y lo divino, cit. , p . 1 07 .

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di frase e di paragrafo. Viene di nuovo privilegiata una maggiore presa percet­ tiva. Invece di fare apparire "esos tiempos" attraverso la rimozione ripetuta di ciò che li copre o nasconde, il soggetto entra con essi in una stretta e immedia­ ta relazione tattile. Sorprendere implica l'atto di prehendere, ovvero di afferra­ re, cogliere, impossessarsi e dunque essere vivi. Questo effetto non program­ mabile della pulsione - che appunto si produce adesso "por momentos'' - è un esempio dell'azione del tempo che appare alla coscienza sotto forma di " dis­ continuidad , corte, sincopa"30• Eliminato anche lo sviluppo graduale ( " la evo­ lucion lenta " ) che vede l'età adulta -convenzionalmente definita '"edad de la razon , pure soppressa - come uno stadio progressivo rispetto ali 'infanzia, la forma del discorso così sfrondata esprime una sostanza più ermetica. Causa di­ retta della trasformazione sono " esos tiempos diversos " cui ora si deve il rive­ stimento progressivo ( "la habian ido envolviendo " ) di colei che in precedenza li metteva a nudo, cioè che li " descubria, redescubria " : l'azione si è rovesciata, come pure il ruolo sintattico fra soggetto e oggetto. Permane invece inalterata la comparazione " como el capullo a la larva " , che rinvia a forme di vita in via di sviluppo, care a Maria Zamb rano come tutto ciò che deve compiersi. Sia il contenitore ( " capullo " ) che il contenuto ('' larva" ) sono metaforiche forme po­ tenziali del soggetto non ancora divenuto un "Yo " . Anche in epoche successi­ ve l'autrice rappresenterà ogni fase di crescita come un'operazione di copertu­ ra o rivestimento3 1• La physis continua a offrirle figure simboliche efficaci, in special modo quelle provenienti dalla sfera animale, che per lei incarnano il sentire originario, anteriore al logos32 • Nella nuova versione l'aggiunta di un 'a­ " nafora intensifica il pathos dell'immagine con cui la narratrice si designa: y la larva - se daba ahora cuenta - los torna por suyos; por su propio ser" . Ora dupli­ cata, la creatura non umana introduce una fugace storicizzazione di sé, attra­ verso lo iato impreciso fra il tempo della storia e il tempo del racconto. Il pri­ mo riguarda i momenti in cui riconosce come propri "esos tiempos diversos " che l'hanno avvolta fin da piccola; l'esperienza ( " los torna por suyos" ) è rievoca­ ta dal verbo al presente indicativo, e dunque con una emozione tutta persona­ le. Il secondo, che nell'ordine della frase compare per primo, riguarda invece l'esercizio della coscienza che nel frattempo si è sviluppata e permette di ricor­ dare; grazie al tempo imperfetto del verbo, la riflessione ( "se daba ahora cuen,,

3° Cfr. ID. , Los sueiios y el tiempo, cit . , p. 3 5 . 3 1 Mferma per esempio ID. , Notas de u n método, cit . , p . 6 1 : "Parece una necesidad del sujeto el encubrirse. ( De donde le viene al sujeto esta necesidad, la necesidad de representarse o encu­ brirse, de fabricarse una mascara ? (De donde procede esta especie de desdoblamiento, sino de alga inserto en el sujeto mismo y a lo que podemos llamar el Yo? " . 32 Ibid. , p . 3 3 .

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ta" ) , appare all'interno di una durata senza principio né fine espliciti, benché la presenza del deittico ( " ahora") riveli che il soggetto si sta comunque segna­ lando. Poi il testo diventa più concreto. Al sintagma " Como habia estado cerca de desnacer" succede il sintagma " Y como habia andado al borde del desnacer" . L' aporia della regressione alla non-vita è espressa da un movimento, anziché d a uno stato, e s i tratta d i u n movimento lineare e orizzontale . Nella topologia am­ bivalente del bordo o limite - figura che, per Maria Zambrano, separa e al tem­ po stesso congiunge l"' abisso " e la " continuità "33 - si delinea il sentiero acci­ dentale che rappresenta il destino34 • L' esperienza della malattia, che avrebbe potuto avere esiti mortali, viene vista come il percorso a filo di un precipizio. Ancora una volta l'essere si dà sullo sfondo del suo negativo. Con un 'ulteriore inversione sintattica fra soggetto e oggetto, si modifica quindi l'atto percettivo del tempo che copre o riveste : la protagonista assume­ va su di sé il processo ( " sentia al renacer las diversas vestiduras temporales " ) d i cui ora diventa destinataria ("se le revelaban, al renacer, las diversas vestidu­ ras temporales " ) . Così lo stile si adegua a quella concezione della passività che rappresenta la condizione previa all'esperienza35 • A proposito di queste "vesti­ duras " si aggiunge inoltre che ''forman la trama de la vida humana". Il mo­ mento è solenne, poiché la metafora che sottrae alla vista (ovvero alla coscien­ za) il corpo vivente designa paramenti sacerdotali. Ma non dimentichiamo che la trama, intesa come argomento o intreccio di un testo che narra il divenire di una creatura, discende etimologicamente da textum o tessuto. L' azione del tem­ po e il farsi della biografia risultano allora implicate anche da quest'altra rela­ zione metonimica. Ma nulla, salvo la ri-nascita, è ancora accaduto e il soggetto esprime l'ori­ gine del suo divenire tutto da decidere con una localizzazione, che è la dimen­ sione immediatamente percepibile della sua esistenza. L' " adsum " che dà il ti­ tolo al primo capitolo di Dos escritos autobiogrd/icos ricompare di nuovo, ben­ ché tradotto in castigliano e all'imperfetto: la presenza di chi narra è ormai un fatto acquisito ( "Estaba 'aquf " ) , ma immesso in una durata che non si è con­ clusa. In entrambe le versioni l'avverbio circostanziale " aqui" , enfatizzato nel­ la sua unicità dalle virgolette, polarizza l'inizio del tempo in un punto impreci­ sato dello spazio. È il riferimento da cui si dipartono le possibilità di esistere, designato metaforicamente con gli unici mezzi linguistici che corrispondono al­ l'esperienza della protagonista. In quanto ha cominciato ad essere nel suo spa33 Cfr. Io. , De la aurora, cit . , p. 22 . 34 Cfr. Io . , Notas de un método, cit . , p. 30. 35 Cfr. ibid. , p . 1 7 .

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zio, essa rimane o sta anche nel suo tempo, circostanza che designa prima con il complemento "en este tiempo" e subito dopo divide nell 'incognita numeri­ camente indefinita " . . . �en cw1ntos ? " . La forma interrogativa e i puntini so­ spensivi che, in sostituzione della virgola, separano i due complementi rinvia­ no allo stato d'attesa del soggetto. Designato con il pronome neutro " es o" , nel­ la nuova versione il fenomeno disorienta la protagonista non più come proces­ so meccanico ( "eso le producia confusi6n " ) , bensì come effetto generico ( "es o le daba confusi6n" ) . Quest'ultimo verbo regge anche il nuovo sinonimo " una perplejidad desconocida" , messo al posto di "vacilaba" . Per esprimere mimeti­ camente la crisi della creatura che non sa come procedere, Maria Zambrano so­ stituisce la dinamica del verbo con la sostanza del nome. In bilico fra una per­ cezione dominante e una categorizzazione insufficiente, il soggetto è inteso sempre più nel senso etimologico di subjectum: non dunque soggetto-di, ma soggetto-a, ossia qualcuno che è sottoposto, sottomesso, soggiogato. Tale pas­ sività si traduce stilisticamente anche nella sostituzione del sintagma "no sabia en qué tiempo meterse o en qué tiempo estaba metida" con il sintagma di va­ lenza opposta "se sentia envuelta en esos tiempos, como una muerta en su mortaja" . In questo nuovo scenario, che allude all'apatia come pratica virtuosa, la prota­ gonista si ripiega sul proprio corpo attraverso la forma riflessiva del verbo di percezione. Tolta di mezzo la foga della propria ignoranza, ora si rappresenta nell' atto di subire con remissione. Rinnova inoltre la metonimia temporale del­ la stoffa attraverso l'immagine della " mortaja" , inserita nel complemento di luogo che segue la comparazione "como una muerta" . Ma l'isotopia della fine si allarga ancora. L'altra comparazione, " como en su tumba" , ribadisce il destino mortale del vivente , qui rappresentato da tempi molteplici che opprimono la protagonista fino al punto da farle assumere la posizione del cadavere già se­ polto. Questo paradosso prepara la menzione del sentimento d'angoscia che, secondo l'esistenzialismo, accompagna la necessità della scelta. Di nuovo lo sti­ le si adegua. Soggetto dell'enunciato è ora il termine astratto che esprime spe­ cificamente la minaccia di un futuro senza garanzie (" Y la acometia esta con­ goja" ) . n verbo rinvia a un'aggressione vera e propria, di cui la protagonista di­ venta oggetto, malgrado resista a eclissarsi del tutto dietro le forme impersona­ li del discorso, come testimonia l'uso di possessivi ("su mortaja", "su tumba" ) e di deittici ( " esos tiempos", "esta congoja"). Tali esempi di soggettività rivelano co­ me la storicizzazione di sé sia sempre intrisa di pathos . E ciò malgrado l'uso del pronome "yo" sia stato rigorosamente espunto dal discorso. La sequenza fina­ le di questa variante conferma che Maria Zambrano preferisce piuttosto com­ prendere se stessa nella collettività del pronome di prima persona "nosotros" . Dicendo "dacaso no podemos yacer en el tiempo, si a él nos acomodamos?" assimila infatti la propria condizione individuale a quella di tutti gli umani. L'idea,

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che ha la struttura di una domanda retorica, costituisce solo formalmente un'a­ pertura interlocutoria . La incalza subito dopo l'asserzione che conclude un punto cruciale della tesi sviluppata nel capitolo. Essere sottoposti alla molte­ plicità dei tempi comporta l'assunzione della libertà non solo come come con­ danna, ma anche come privilegio: "Por eso es mejor que haya varios, para no caer definitivamente en ninguno" . Esistere significa lottare e soccombere e con­ quistare con esiti imprevedibili, dato che non c'è destino o divenire tracciato in anticipo. Così si lega il patire all'agire. È questa la premessa della sequenza successiva , in cui la protagonista, im­ mobilizzata prima in uno spazio basso, chiuso e buio, si muove ora in uno spa­ zio alto, aperto e illuminato. Gli snodi semantici dati dal suo risveglio mattuti­ no e dell' apparizione della colomba subiscono modifiche interessanti. La quan­ tificazione indefinita del momento iniziale del giorno ( " Y algunas mafianas " ) si sdoppia, mutando la natura della discontinuità introdotta dalla pluralità. Di­ cendo "Y otras veces, por la maiiana" , l'autrice da un lato itera l'evento con un quantificatore indefinito ( " otras" ) che esprime correlazione con la situazione precedente; dall'altro attribuisce al mattino una temporalità approssimativa, grazie all'uso della preposizione "por" . Secondo Platone "otro" introduceva il quinto dei "generi sommi" che conciliava dialetticamente gli opposti stati del­ l'essere36. Così è anche per Maria Zambrano. Dopo l'inerzia notturna della lar­ va, arriva l'energia mattutina della colomba : circostanze che, nella versione ri­ toccata, si implicano maggiormente. Eliminato quindi il particolare somatico del viso ( '' cara a la luz del dia" ) , che è il luogo dell'identità per antonomasia, l'autorappresentazione si sposta sulla sola figura della colomba, che si libra nell 'alto di un cielo inondato dalla prima luce del giorno. Anche quest 'altra comparazione con un animale è una concentrazione paradigmatica di simboli. Anni dopo l'autrice avrebbe infatti definito la colomba come la figura " mas adecuada a mi alma femenina, mas adecuada a la imagen de la libertad y del amor, mas adecuada inclusive a la ter­ cera persona de la Santa Trinidad "37• Semp re intenta a sfumare la forza illocu­ toria del proprio messaggio al fine di incrementare quell'ambiguità che rap­ presenta il reale inesauribil�8, nella nuova versione Maria Zambrano rappre­ senta quest'altro tipo di ritorno alla vita come una modalità irreale, solo imma­ ginata. È l'effetto che ottiene con un semplice cambio di tempi verbali, pas­ sando dal presente indicativo ( '' como una paloma que regresa y ha de entrar

; 6 Cfr. PLATONE, Il so/ista, 252 -257 .

37 M. ZAMBRANO, " El sa ber de experiencia (Notas inconexas ) " , in Io. , Las palabras del regreso, Sa­ lamanca, Amar6 Ediciones, 1 995 , p . 1 7 . ;s Cfr. Io. , Notas de u n método, cit . , p. 1 03 .

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en su casilla, pero �en cu:il? " ) all'imperfetto congiuntivo ('' como una paloma que regresara de lejos y no supiera bien en qué casill a delpalomar meterse" ) . La locuzione avverbiale "de lejos" aggiunge all'azione del ritorno una polarità spa­ ziale che la rende più ardua. Le due interrogative della prima versione assu­ mono invece la forma della domanda indiretta, stemperando così le aspettative di una risposta . Il soggetto che era sicuro di sé ( " [como una paloma que] ha de entrar en su casilla " ), si dibatte ora nel dubbio ( " [como una paloma que] no supiera bien en qué casilla del palomar meterse" ) . Appare invece più dettaglia­ to il contesto. Il lessema "casilla " , cui segue adesso la specificazione "del palo­ mar" , contestualizza l'habitat della colomba, che diventa allora presenza meno evanescente o più terrestre. Il generico verbo di moto " entrar" è sostituito dal più aggressivo " meterse" . Viene così evidenziata la coscienza del divenire come inquadramento forzato. La reitera l'altra metafora della biografia, cioè quel "capitulo de su vida" presente in entrambe le versioni, salvo il cambio della preposizione che ne corregge la spazialità. In questo secondo complemento di luogo, la preposizione "por", che indica transito, sostituisce la preposizione " en " , più generica e statica. Si profila dunque una rappresentazione ordinata, non a caso geometrica, del computo del tempo nel vivente. Tale è la metafora di uno spazio chiuso come "casilla" , che deriva da casa; oppure di uno spazio suddiviso come " capitulo" , che deriva da capitum, nell' accezione di estremità, origine, inizio. Sono entrambe figure mediatrici fra l'emozione che travolge e il logos che argina: immagini, ovvero forme di memoria dell 'anima39, che inte­ grano i concetti, prodotti dalla ragione, nell'avventura mai scontata di inter­ pretare e abitare il mondo. La sequenza successiva mette ulteriormente in luce il rapporto ineludibile e imprevedibile fra il sentire e l'agire. l ritocchi riguardano qui soprattutto sino­ nimi e tempi verbali, oltre che una congiunzione copulativa ( " Y'' ) , aggiunta in posizione iniziale assoluta. Resta così collegato, anche nella scrittura, lo scena­ rio futuro dell'azione a quello presente della sensazione, dato che ogni abboz­ zo di progettualità necessita l'organizzazione consapevole e duratura dell' espe­ rienza. È dunque chiamata in causa la facoltà mnemonica, espressa ora dal ver­ bo transitivo ( " Y tenia que recorddr qué le estaba pasando " ) , grazie al quale la protagonista stringe direttamente i vincoli con il propio oggetto cognitivo, a differenza del sinonimo precedente ( " Tenia que acordarse de lo que la estaba pasando" ) , che vi doveva interporre invece una preposizione e una congiun­ zione ( " de que " ) . In questo stesso sintagma viene invece corretto il laismo, ab­ bandonando l'accusativo ('' la" ) a favore del dativo ( ''le") : un altro modo per rendere obliqua la presenza della protagonista. Infine, anche la forma dell'im39 Ibid. , p. 86.

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perfetto semplice "no le pasaba nada" semplifica la rappresentazione, che era invece valorizzata come processo in corso di svolgimento dalla precedente pe­ rifrasi del gerundio ( '' no la estaba pasando nada " ) , oltre che da puntini so­ spensivi, pure eliminati. Ora l'autrice preferisce regolare altrimenti la visibilità sintattica dell 'evento che inaugura il suo divenire. Lo distacca dal fondale im­ precisato dell'imperfetto semplice ( ''volvia " ) e, attraverso l'uso dell 'imperfetto composto ( " habla vuelto" ) , lo fissa nella sua compiutezza retrospettiva. Diven­ ta dunque un punto di riferimento. Lo propone quindi di nuovo con la ripre­ sa anaforica inserita nella subordinata causale che apre la sequenza conclusiva di questo frammento ("Y como habla vuelto"), ottenendo il risultato di tenere l'evento strategicamente in sospeso fra il prima e il dopo, fra cause lasciate nel vago ed effetti non ancora anticipati. La concatenazione autobiografica è rin­ viata ancora una volta. Non a caso Maria Zambrano rivede con cura la propria immagine di soggetto privo degli strumenti di previsione che dovrebbero ren­ deme efficace il reinserimento nel mondo. In entrambe le versioni afferma di tornare "sin proyecto" , e poi sostituisce l'assenza di "personalidad " , che im­ plica una definizione stabile del proprio modo d'essere, con l'assenza di "pro­ grama alguno" , ovvero di ogni possibile intenzione: anche nella negazione mo­ stra di preferire perciò il futuro al passato, ciò che non è ancora a ciò che è già accaduto e prescelto . Elimina poi " mascara" , per lei sinonimo di "personali­ dad" , operando nel contempo un rovesciamento di ruoli sintattici già collau­ dato. Si tratta della comparsa cruciale della prop ria immagine. Invece di re­ spingere quella sgradita, ( "rechazando la imagen que se transforma en masca­ ra" ) , Maria Zambrano risulta ora priva di quella che possedeva in precedenza ("despojada de su vieja imagen " ) . Come indica la forma aggettivale del partici­ pio passato che si riferisce alla sua persona, affronta un 'altra prova di passività, in cui la parte perduta di sé ha la sola qualifica di essere inattuale. Essa è sem­ plicemente " vieja" , già stata. Ogni altro elemento di identificazione è taciuto. Segue invece una proposizione coordinata che esplicita meglio quella costrut­ tiva indigenza che l'autrice aveva definito altrove come " el no-ser que afecta y muerde el ser; el no-ser dotado de actividad "40• Al sintagma della prima ver­ sione " queria seguir asi, tal como se vi o que no era" , succede adesso il sintag­ ma " queria seguir fie! a lo que era, tal como se vi o, al modo de una larva'' . La carenza o incompiutezza che promuove l'azione è dunque raffigurata come il positivo del soggetto, il suo lato manifesto specificato dalla comparazione con l'immagine ormai familiare della larva. Viene infine ripresa, in entrambi i testi, la rappresentazione del sentire ori­ ginario che precede la coscienza . La seconda versione, tuttavia, amplia l' espe4° Io. , El hombre y lo divino, cit., p . 1 83 .

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rienza percettiva con l' aggiunta di un nuovo lessema che intensifica la rappre­ sentazione degli effetti del tempo . Dice Maria Zambrano: "sentia muy aguda­ mente la opresion de estas vestiduras de tiempo " . Come il sudario e la tomba, il tempo - categoria resa ora più inafferrabile dall'eliminazione dell'articolo de­ terminativo - opprime con " estas vestiduras " , dette anche " estas capas de 'ser"' . Presente in entrambe le versioni, l'ultimo sinonimo rimanda sia agli stra­ ti sovrapposti di una materia e che alle cappe o mantelli. Accezione, quest'ulti­ ma, che amplia l'isotopia della stoffa, insieme a "mallas " , " mortaja" , " vestiduras e trama " . Restano ancora pochi dettagli. Le virgolette che ora evidenziano " 'ser"' ri­ chiamano una concezione antologica sempre meno allineata con l'ortodossia idealista. Per quanto si riferisce al tempo che diventa " tiempos " , la sostituzio­ ne dell'aggettivo " diversos " con " multiples" è in linea con la rappresentazione della relatività già introdotta all'inizio del capitolo . Maria Zambrano la lascia aperta, cancellando " el tiempo casillero, el sucesivo " che - associato per lei al­ la coscienza4 1 - dovette sembrarle estraneo a questa primissima fase della vita. Al suo posto viene potenziata la fragilità di colei che subisce gli effetti della molteplicità dei tempi. Accanto al pronome di prima persona plurale con cui estende a tutti i viventi la fatica o il peso di vivere ( "estas capas de 'ser' que los multiples tiempos nos echan encima " ) , aggiunge una particolarità che è soltan­ " to sua: y semimfixiado, su tenue ser apenas nacido" . La presenza di due deittici ( " estas vestiduras " , "estas capas de 'ser"' ) e di un possessivo ( ''su tenue ser") fanno affiorare la soggettività di chi narra il sentire con molti silenzi . La coor­ dinata finale, ellittica, apre mimeticamente il discorso all'indeterminatezza. È anch 'essa una figura del limite, rafforzata sul piano semantico dall'aggettivo "semiasfixiado" , riferito a "su tenue ser apenas nacido " , cioè ancora in bilico fra la morte e la vita. Respirare, sia pure a metà, è per la creatura umana percepi­ re il ritmo "instante a instante junto con el martillo del coraz6n . . . "42 • Con que­ sta immagine Maria Zambrano introduce la misura carnale del divenire. Una temporalità non accolta dai calendari. ,

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4. Conclusioni

Prendere in esame queste varianti d' autore è stato constatare soprattutto quan­ ta parte del testo sfugga all'analisi. Lo smarrimento che ne deriva è forse la le­ zione più efficace di Maria Zambrano, per la quale non poter contare su rispo41 Cfr. ID . , Las sueiios y el tiempo, cit . , p . 60; fu., Notas de un método, cit., p . 2 5 . 42 fu . , E l hombre y lo divino, cit . , p . 80.

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ste certe era l'occasione buona per fare domande nuove. Anche dai pochi esem­ pi commentati appare evidente come in Dos escritos autobiogrd/icos l' ambito ra­ zionale venga continuamente ridimensionato sia sul piano filosofico che stili­ stico, sempre funzionali l'uno all'altro. Abbiamo così occasione di verificare fi­ no a che punto l'autrice sperimenti su di sé quella " raz6n poética" che è cifra del suo pensiero. Solo restituendo i significati stabili dei segni ai sensi latenti dei simboli, la parola - divenuta ibrida - può infatti sperare di accedere a quan­ to la doxa scarta o nemmeno contempla. La verità, sempre istantanea e parzia­ le, si palesa con un metodo che scardina concetti, cerca doppiezze, mischia campi cognitivi. Imperniato in gran parte sulle immagini che ricongiungono il sentire del corpo al sapere della mente, esso produce il linguaggio adatto a tra­ scendere "las aporias de la Raz6n y las paradojas de la Vida "43 • Maria Zambrano fa dunque filosofia con i mezzi della letteratura o viceversa : le priorità sono tutt' altro che chiare e i risultati sempre provvisori. Disse altrove a questo pro­ posito : "Lo escrito, escrito esta. Mas no todo ello indeleblemente. Se borran los escritos por si mismos , o por obra de las circunstancias "44• Considerando quanto sia stata travagliata la sua vita, è naturale che abbia sentito la necessità di variare la stesura dell'inedito Delirio e destino, quando ebbe occasione di pubblicarne delle parti, sia in riviste che in Dos escritos au­ tobiogrdficos. Stupisce, tuttavia, il fatto che non abbia tenuto conto di quei ri­ pensamenti quando finalmente potè dare alle stampe per intero Delirio y desti­ no. Le ipotesi potrebbero essere tante. In mancanza di dati, resta però il fatto che per chi - come lei - ha combattuto con lucida passione le lusinghe della coerenza, la riflessione che si emenda senza posa non deve necessariamente fa­ re sistema. Queste varianti sono piccole tracce di un vissuto che si esplicita so­ lo in parte e non può confluire in una trama ordinata . Nel 1 9 87 , a ottantré an­ ni, Maria Zambrano continua a dichiararsi incapace di fare "eso que se llama una autobiografla"45 • Dal suo punto di vista, tale narrazione è impossibile per­ ché dovrebbe includere "los momentos y las épocas enteras de oscuridad en que uno no esta presente a si mismo"46 • Se " tener historia es ya saber, saber que proviene de una certidumbre"47, la rappresentazione della sua vita non può che essere intermittente, costituita da " todo aquello que he dado y también lo que he querido dar y no he podido. Una autobiografia al par positiva y negativa"48•

43 Io . , Cartas de la pièce . . . , cit., p . 1 97 . 44 Io . , Claros del bosque, Barcelona , Seix Barrai, 1 993 , p . 9 1 . 45 Io . , A modo de autobiografia, in "Anthropos" , 70-7 1 ( 1987 ) , p . 69. 46 Ibid. 47 Io . , El hombre y lo divino, cit., p . 105 . 4B Io . , A modo de autobiografia, cit . , p . 7 1 .

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Tale è senza dubbio Dos escritos autobiogrd/icos (El nacimiento): un'espe­ rienza del limite realizzata grazie alla scrittura, che enuncia il segreto inaccessi­ bile alla voce49• Anziché una forma di aggettivazione, la scrittura è per Maria Zambrano la ricerca rituale di verità che si possono esprimere ma non spiega­ re . Come confermano le varianti che abbiamo considerato, la sua è una pratica che non ambisce a perfezionare nulla . Alla maniera dei poeti, scava vuoti e fa accadere silenzi per dare all'Altro, l'ignoto che anche a nostra insaputa ci for­ ma, un modo di rivelarsi.

49 Io. , " Por qué se escribe" , in Io. , Rada un saber sobre el alma, Madrid, Alianza Editoria!, 2 00 1 , p p . 3 5-44 . S u questo tema cfr. C. REVILLA,

Sulla necessità dello scrivere. I.:alchimia del pensiero di Maria Zambran " , in C . ZAMBONI, Maria Zambrano. In fedeltà alla parola vivente (a cura di) , Fi­ renze, Alinea, 2 002, pp. 67 -85 .

LA VIOLENCIA DE LA PALABRA. ALGUNAS CONSIDERACIONES ACERCA DEL ORIGEN DE LA POESIA Y LA FILOSOFIA di Chantal Maillard Si situamos en Grecia los inicios de lo que en Occidente se llamo filosofia, habre­ mos de considerar que poesia y filosofia corresponden a dos actitudes bien dis­ tintas. La historia de la filosofia es la de un tipo de conocimiento, el epistémico (el mismo que se transformaria luego en lo que hoy conocemos por ciencia), que pre­ tendia ordenar el caos procunindoles a las cosas cajones y estantes en los que jun­ tarlas para poderlas controlar. Éstos son los conceptos. Asi debieron entenderlo los escépticos cuando nombraron a esas abstracciones a partir de un verbo (kata­ lambanein ) que significa "aprehender" , al igual que el verbo latino del que derivo la palabra concepto (cum-capio). El orden siempre es reductor; se "reduce al or­ den " , se simplifica lo complejo. De lo que se trataba era de reducir la multiplici­ dad de las cosas. Para ello, se elaboraron entes ficticios, golems que le deben su ser al nombre que se les otorga. Pero los entes abstractos estan vados si no se pre­ dica de ellos alguna particularidad. Un perro no es ningtin perro si no es de algtin color, con algtin tipo de pelaje, si anda o duerme en algtin lugar, etc. Sin sus "ac­ cidentes" no hay perro. Porque lo que existe no son los conceptos; lo que existe son los individuos. Y los individuos no "son " sino que estan-siendo: lo que hace que un perro pueda designarse, en primer lugar, como un perro es su estar-perre­ ando. En gerundio, el sustantivo se verbaliza, es decir, adopta una movilidad que el nombre no le permite y que se adapta mejor a la naturaleza de un ser viviente. Pues bien, el ser viviente de las cosas es precisamente lo que le repugna al filosofo. Le repugna y le aterra. Es capaz de ponerles mayliscula y convertir en estatuas de sal metafisica a la lmprecision, la lnestabilidad, la Variabilidad, el Cambio o la lmpermanencia cuando se las encuentra designando la naturaleza del universo. Convertida en principio universal, la lmpermanencia se vuelve, por arte de magia, lo mas permanente. ( Ésta es la perversa conversion monoteista de las ultimidades ) . El poeta, en cambio, n o comulga con las abstracciones. Y s i l o hace suele ser mal poeta. Aquel que para transmitir algo necesite acudir a recursos retoricos tan evidentes como el de las palabras Ultimas (la Muerte, Dios, el Amor, etc. )

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es porque no es capaz de hacerlo de otre modo. Un recurso facil, palabras gran­ dilocuentes que le abren, al oyente-lector, un territorio demasiado amplio en el que todo y nada es posible. Expresar una experiencia, lograr que el lector-oyen­ te llegue a experimentar algo similar a lo que vivencio quien la describe, ése es el arte de la poesia. Y esto se logra mejor cuanto mas particular sea la situacion que se relate. El lector-oyente recibira el impacto por resonancia. A ese impac­ to es a lo que se hace referencia cuando se habla de "verdad " de la poesia. Tal "verdad " es mas directa que aquella que pasa por el puente de las abstraccio­ nes. La abstraccion es, en realidad, un rodeo innecesario mediante el que se pretende verificar el ser de las cosas. Pasar por la idea supone la sospecha tan­ to de la insuficiencia de las facultades perceptivas como de lo que las cosas son en su puro aparecer. Su aparecer no basta para que sean "verdaderas " porque la verdad se define como identidad y en el "cosear" de las cosas no hay identi­ dad sino vibracion, ininterrumpida vibracion. En el vibrar se situa el poeta. En el vibrar con las cosas que, mas que ser, es­ tan-siendo. Vibrando las prolonga el poeta en la palabra que las dice, que las dice-siendo. En la resonancia de la palabra poética que asimila el ritmo de lo que sucede. Asi transmite la impresion el poeta, tal cual se da, para que pueda ser reconocida, en el ritmo. Porque el ritmo no es el compas , sino la forma de ser de las cosas en su aparecer. Y, en ese reconocimiento, el piacer tiene lugar. El piacer que la auténtica poe­ sia procura al oyente-lector es el del reconocimiento. Y, en el reconocimiento, la constatacion, tacita, apenas consciente, de que somos mas, de que somos mu­ chos, de que no estamos tan solos, pues otre ha sido capaz de mostrarnos algo que hemos conocido, algo que nos es propio y comun a un tiempo; nos lo ha m estrado porque él también lo ha sentido, porque "él también " . Y asi podemos entender con Zambrano que el arte es capaz de lograr esa unidad que el filosofo procura alcanzar remontando la cadena conceptual bas­ ta el Uno-Solo, una unidad en la que no puede, de ninguna manera, recono­ cerse, pues alli donde la conciencia es unica, no hay conocimiento posible.

La admiracion y la nausea. Algunas consideraciones psicologicas acerca del origen de la filosofia

En el inicio de Filosofia y poesia, Zambrano planteaba la existencia de un con­ flicto (que ella misma padeda) entre ambas formas de la palabra. Una dicoto­ mia entre dos tipos no solo de expresion sino de saberes , deda, dos formas en si mismas insuficientes de conocimiento1 • 1 "La poesia es encuentro, don, hallazgo por l a gracia, respuesta, aunque se presente como pre-

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Segun Zambrano, l a escision entre ambas formas de saber tuvo lugar en Grecia, en el momento en que Platon condenara a la poesia con el consiguien­ te triunfo del pensamiento filosofico: Desde que el pensamiento filosofico consumo su torna de poder, la poesia se quedo a vivir en los arrabales, arisca y desgarrada, diciendo a voz en grito todas las verda­ des inconvenientes, perennemente en rebeldia2•

Nostalgia, por parte de Zambrano, nostalgia de un saber anterior, y cierta perplejidad y desasosiego que la llevan a indagar el origen de ambas formas de la palabra. Recuerda que Aristoteles sostuvo (Metafisica) que el pensamiento filosofico nacio de la admiraci6n y descarta la idea por dos razones: si asi fuera, arguye, no se explica ni que se sistematizara tan pronto, ni que una de sus mayores vir­ tudes haya sido la abstraccion. Entiende que la admiracion , en si misma, no ne­ cesita ni del sistema ni de la abstraccion. La mirada admirativa tiende a quedar prendida en aquello que admira y es infinita y avida. Avida de presencia. Recurre entonces a Platon, al mito de la caverna, y constata que la admira­ cion en la que se origina la filosofia esta preiiada de violencia. Admiracion y violencia juntos, como fuerzas contrarias que no se destruyen, nos ha­ cen ver ese primer momento del pensar filosofico, en el que encontramos ya una dua­ lidad, y en ella tal vez el conflicto originario de la filosofia: el ser primeramente pas­ mo extatico ante las cosas - reales, vivientes, plenas - y el hacerse violencia en segui­ da para librarse de su presencia y de los que ellas indican3•

Lo que las cosas indican. Lo que su presencia indica. �Qué es aquello que tanto teme el hombre teorico? O, tal vez haya que preguntar mejor � qué es aquello ante lo cual un hombre se convierte en teorico? Preguntar por el inicio de la teoria o, mas bien, por la intromision de la theoria (el mirar del especta­ dor, el theoros) en el campo de la palabra. Es a p artir de Platon cuando la pa­ labra theoria (contemplacion de un espectador) empieza a utilizarse en figura­ do y la reflexion, a entenderse como contemplacion del espiritu. Un objeto de estudio o de reflexion seria, a partir de entonces, algo que se tiene ante los ojos, algo que puede ser contemplado: un theorema. Pero � qué es lo que tiene ante los ojos? Las cosas . No las cosas vivas, no: las cosas vivientes, las cosas viviengunta, la filosofia es busqueda, requerimiento guiado por un método, aunque ofrezca y alin sea ella misma una respuesta" . M. ZAMBRANO, Filoso/fa y poesia, en ID. , Obras reunidas, Madrid, Aguilar, 1 97 1 , p. 1 16. 2 Ibid. 3 Ibid. , p. 1 1 9. La cursiva es mia.

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do. Un gerundio es algo mas terrorifico que un verbo conjugado en cualquiera de los tiempos que requieren personas. No es lo mismo decir que algo "vive" que decir que algo "esta viviendo " . Al hombre teorico los gerundios le intran­ quilizan. Todo su afan es detener las cosas, apresarlas. (Recordemos el poema de Goethe: la libélula que revolotea, ora azul, ora verde, en la luz . . . si pudiera apresarla, dice, ver sus colores . . . y cuando lo logra, cuando la tiene al fin en la mano . . . no es mas que un triste azul oscuro) . Apre­ sarlas para poderlas "captar" en el concepto [cum-capio] . .. ) Recordemos la nausea de Sartre. Aquello ante lo que Zambrano entiende que el poeta experimentaria asombro, pasmo extatico, a Sartre le produce p avo r. Eran las seis de la tarde. Sartre estaba en un parque contemplando la raiz de un castano cuando, de repente, se dio cuenta de que aquella rafz "existia " , que, mas alla de sus caracteristicas empfricas, existia. Y esa existencia hada que co­ brase una dimensi6n espantosa. Sartre habla de "éxtasis horrible " , de "fasci­ naci6n" , de "goce atroz " e, incluso, de aniquilaci6n personal, pues lo que con­ templaba era el desbordamiento de la cosas, el aniquilamiento de los limites en los que estan normalmente contenidas y la nada en la que, perdidos los limites, ese desbordamiento nos precipita. "Yo hubiera deseado que (las cosas) existie­ ran con menos fuerza, de una manera mas seca, mas abstracta, con mas mode­ raci6n " , pero no, no habia vuelta atras. Eran las seis de la tarde: un tiempo concreto, en un lugar muy concreto, una rafz concreta. Una rafz que, de repente, no es algo conocido sino algo que des­ borda los limites de la " rafz " , algo que existe. Entonces adviene el vértigo. Aquella rafz estaba siendo-rafz. Su presencia no era la del concepto. La rafz es­ taba siendo rafz mucho mas alla, con mucha mas plenitud en su singularidad que pudiese serle en el concepto o en la palabra que la nombra porque, en la singularidad de su ser-siendo, cualquier cosa es infinita. Esa infinitud, la men­ te no puede abarcarla, pero puede ocurrir que la conciencia se asome a ella y, entonces, adviene el vértigo, y la nausea. La nausea como respuesta somatica del vértigo de la raz6n . Nausea ante el desbordamiento de lo viviente cuando pierden las cosas los limites de los nombres que las distinguen. Vértigo ante esa existencia que en todas las cosas, siempre, es la misma y que, por ello, remite a la nada. Vértigo, pues, ante la n ada. La nada de ser, de ser algo, pues bien es cierto que el ser ha de decirse, siempre, de alguna manera. Y cuando las cosas se desbordan de sus limites, esa nada invade también al que los contempla. El mismo desbordamiento, entonces, y el mismo malestar ante uno mismo como existente. Y también el vértigo. La existencia, mi exis­ tencia: yo desbordandome de mi. El mi invadido, ocupado por eso que late en todo, que me deja sin control, sin limites propios. Yo ante mi nada, perdién.

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dome . . . La nausea sartriana es un movimiento de rechazo de la pro pia pérdida, un acta de supervivencia de la individualidad. El horror ante la plenitud cles­ bordante de la vida es un intento desesperado de afianzamiento por parte del yo que se siente a punto de perder pie. Permitanme ver, en esa nausea sartriana, el terror del hombre teorico cuan­ do se asoma al abismo de lo singular, aquella particularidad de las cosas en la que el poeta adivina una amplitud inabarcable, imposible de nombrar. Esa vi­ bracion que, por resonancia, remite a la pulsion del universo. Volvamos, ahora, a la violencia de la palabra filosofica. La violencia puede entenderse como resultado del horror que producen las cosas en su pura pre­ sencia, en su estar ahi. Las cosas son demasiado intensas. Es preciso dismi­ nuirlas, convertirlas en objetos (un objeto, por definicion, lo es siempre para un sujeto) . Confinar a las cosas en los limites de su ser-objeto mantiene a salvo la individualidad de quienes se resisten a disolverse como ellas, con ellas, de quie­ nes no se quieren sentir viviendo, como ellas, en gerundio. Y es que las " cosas " no tienen limites . Los objetos si. Y, sin limites, las co­ sas son terribles. Su intensidad es terrible. Y, sin concepto, un objeto es una co­ sa. Y las cosas son particulares. Un individuo, sin concepto, es terrible porque es infinito. Un hombre muerto es terrible; es infinito. "La muerte" no lo es. Podemos hablar de la muerte; no podemos hablar de un hombre muerto, de ese muerto que tenemos ante los ojos, que muere o que ha muerto, ante nosotros, que aca­ ba de "morir " . No cabe. No es posible. El problema es que lo particular no puede conocerse, pues , para conocer es preciso poder reconocer, y no es posible reconocer alga en su pura presencia porque en el instante de la presencia, ese alga es mas, mucho mas que las lineas que hayamos podido trazar de una impresion a otra para su reconocimiento. En la pura presencia, cualquier cosa es absolutamente irreconocible. Es in­ finita.

Salvarse de las apariencias

Asi que, volviendo a la pregunta anterior: � qué es lo que, en la inmediatez de las cosas aterra tanto? � Qué quiere salvar el filosofo o de qué quiere salvarse? �Qué significa salvarse de las apariencias? El filosofo no quiere salvarse de las apariencias sino de la presencia intensa de lo que en ellas late. Las apariencias son controlables, son los elementos a partir de lo que formamos conceptos . Lo que no es controlable es la dimension infinita de las cosas. Una dimension que compartimos todos: "Las apariencias

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se destruyen unas a otras, estan en perpetua contienda y quien vive en ellas, pe­ rece "4. El filosofo es un ser en perpetua busqueda de permanencia, un ser que se de­ fiende de todo lo contingente, un ser bajo cuyo rigor se oculta una enorme vulne­ rabilidad. Mas que nadie, al filosofo le corresponde la imagen de ese soberano im­ placable que Zambrano describia en El sueiio creador, situado en el centro de una ciudad sitiada, rodeado de murallas defensivas, atento a que ninguna brecha se abriera en las murallas, a que nada del exterior penetrata en la plaza fuerte. Nada que pusiera en peligro la precaria estabilidad de su ciudad interior. La meta del filosofo es, pues, reducir las cosas a apariencias y éstas a con­ cepto, un viaje en el que, generalmente, las cosas perecen mientras los concep­ tos van cobrando entidad . En ellos terminamos viviendo. Entendemos, por ejemplo, que lo real es "la muerte" , no el hombre que muere, y recurrimos al léxico ultimo para comprender el mundo en el que estamos.

La violencia del principio

En el principio era eljaos, (Hesiodo) . Eljaos: la boca abietta del abismo. La oscu­ ridad inicial en la que nada se distingue porque nada hay aun. El jaos, abismo pre­ iiado de posibilidad, como la "hembra misteriosa" del Tao. El ;(ws, unidad indi­ ferenciada, aliento que habria de condensarse en el germen: logos, la palabra no pronunciada del inicio. En el principio era, antes del principio, el ;aos. Pues el inicio del tiempo, de todos los tiempos hubo de ser el instante, aun no instante o instante apenas, en que el Verbo violento la unidad del ;a os La primera violencia debio ser aquella modulacion del Verbo que instauro las di­ ferencias. Y es que, salvo en "infinitivo " (en el infinito - sin limites - del su­ puesto comienzo) , el Verbo, cualquier verbo, es siempre violencia. En el principio, pues, también en el principio fue la violencia. El estallido de la fuerza concentrada en un punto (logos, bindu), la ruptura de la (también supuesta) unidad. .

�Puede decirse que el filosofo fuese aquel que, desde el vértigo que le produce la vision del jaos, trataria de consolidar la violencia primera? �Puede decirse que el poeta fuese aquel que, procuraria restituir para todos la unidad del comienzo? �Puede decirse que el filosofo articula por miedo y que el poeta desarticula por nostalgia? . . . Seria demasiado facil.

4 Ibid. , p. 123 .

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La cepa y el cetro. Algunas consideraciones politicas acerca del origen de la poesia

Volvamos nuevamente a la violencia, a esa violencia con la que Platon desterro a los poetas. Al momento en que irrumpe, en Grecia, el pensamiento discursi­ vo y se erige el filosofo en consejero del gobierno. El momento en que Plat6n le usurpa el puesto a Homero. Es ésta una parte de la historia que Zambrano no tiene en cuenta. Ya sea porque no le conviene a su discurso, ya sea por otras razones, el caso es que lo obvia. Si revisaramos los textos platonicos para ver qué tipo de poesia es en reali­ dad aquella a la que Plat6n dieta sentencia, nos encontrariamos con que no es precisamente la del poeta inspirado (al que Zambrano torna por modelo) , la del entusiasmado o poseido por el dios (en-the6s) . A ese tipo de poesia, Plat6n la consideraba (Phedro) una locura (mania) divina similar a la oracular (mantike) o la del enamorado. A la que dieta sentencia, es a la poesia imitativa y, concre­ tamente, a aquella poesia épica cuyo maximo representante era Homero. En re­ alidad, a quien Platon quiere desterrar es al propio Homero que en nada se pa­ recia a un mistico. � Qué se entiende por poesia imitativa? �Qué es lo que imitaba? No se tra­ taba de imitar las apariencias, como suele entenderse, sino los sentimientos. La poesia imitativa retrataba las pasiones o sus manifestaciones (el llanto, etc.) con lo que, segun Platon, las alentaba, contribuyendo a la desestabilizacion del in­ dividuo y, en consecuencia, de la sociedad . Indudablemente, se gobierna con mayor facilidad a un pueblo sensato y calmado. Y de eso se trataba para Pla­ t6n, de gobernar. Lo que le importaba era el orden. Lo que le importaba era la educacion de los ciudadanos. De eso se trata . Y quién educaba al pueblo, en­ tonces, era el poeta. Originalmente, el cantar no era ningun oraculo, sino un forj ador de histo­ rias, mitos que pudiesen memorizarse facilmente y transmitirse. El poeta dota­ ba a un pueblo de una historia (un origen comun, un destino comun) , le pro­ curaba una entidad. De este modo, unido por una memoria colectiva, ese pue­ blo podia subsistir. Comunidad: comtin-identidad . Podemos imaginar, pues, un comienzo muy distinto, en Grecia, al ideado por Zambrano, un comienzo en el que el poeta tuviese una funcion politica y que ésta llegase a ser un tanto molesta para quien, como Plat6n, tuv:iese la pre­ tensi6n de gobernar con las artes dialécticas. Puede que en aquel momento en­ tendiese el filosofo que no le competia ya al poeta fundar la identidad del pue­ blo, sino al filosofo; que no era ya el mito lo que habia de unificarlo sino la ra­ zon politica, pues no se trataba ya de unificar un mismo pueblo (unidad de ce­ pa) , sino diversas razas bajo un mismo cetro (unidad de cetro) . Se iniciaba la

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era de los consejeros politicos y de los filosofos del Estado; éstos reemplazarian a los cantores . La unidad social se conseguia a través de la educacion. Y esto es lo que pa­ sa de estar en manos del poeta a estar en manos del filosofo. La critica feroz que le dirige Platon a Homero en la Republica da cuenta de la envergadura que tenia, para él, esta cuestion. Tradicionalmente, en efecto, el mito, la historia que narra los origenes se tomaba como modelo para explicar las relaciones del mundo. Los hechos se explicaban por lo que habia ocurrido en el inicio, no en razon de su causalidad, sino por analogia . Ello no es privativa de los griegos. "En el principio ocurrio tal y cual . . . por eso ahora tal y tal. . . " El referente mi­ tico esta ahi siempre para dar razon de todo. Nada queda desprovisto de sen­ tido. Hay un referente para cada situacion. El procedimiento del mito - y de la poesia en generai - es analogico . La educacion tiene lugar por medio del rela­ to ejemplar, una educacion sentimental a la vez que moral puesto que el relato tiene como fin provocar emociones como la admiracion, la aversion, etc. Des­ de muy antigua, la distincion entre el bien y el mal fue fruto del repudio o la admiracion provocados por la representacion de acciones ejemplares . El pro­ pio Homero dice, en la Odisea, que los cantos épicos se proponian mantener la memoria de los hechos gloriosos de los hombres y de los dioses. La épica era la base de la educacion en Grecia, una educacion que se basaba en la analogia, en la imitacion. Si el procedimiento del mito es analogico (horizontal) , el de la filosofia , en cambio, es deductivo (vertical) . Y éste es el cambio que Platon pretendio pro­ tagonizar; una revolucion de las formas cognoscitivas, un cambio drastico que habia de iniciarse en el ambito de la educacion . Para lograr su proposito, empezo por poner en tela de juicio las palab ras de Homero. Mas aun, le tacho de mentiroso. El creador de mitos fue acusado de fraude. La consideracion de la poesia como arte del engafio no era un invento de Platon. Ya Gorgias habia exculpado a Helena de Troya por haber sido se­ ducida por las palabras de Paris . Pero esta capacidad de seduccion no era lo que mas le molestaba al filosofo, lo que le molestaba era que dicha capacidad estaba al servicio de la representacion de acciones que reblandecen el animo. Al contemplar desgracias ajenas, pensaba Platon, la parte mejor de nosotros (habla de los varones) afloja la vigilancia de la parte llorona. Si mantiene el es­ tado de compasion, la aplicara también a si mismo y no soportara sus propias penalidades . Conviene reprimir, pues, la parte del alma que quiete llorar, deda en el Libro III de la Rsp., y ésa es, precisamente, la que los poetas colman de gozo. La poesia imitativa riega todas aquellas cosas que convendria dej ar secas (Rsp . 606 d ) . S e trataba de formar identidades, individuos iguales a si mismos, facilmen-

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te gobernables . La calma era, para ello, él unico estado de animo deseable. Y un poema que contara la calma seria evidentemente bien corto, pues son nece­ sarias las variaciones para que algo pueda ser representable. Tener en cuenta las razones politicas de la violencia modifica sensiblemen­ te, como vemos, el panorama del discurso. Entre filosofia y poesia no media tanto dos estados de animo (la admiracion embelesada del poeta y la admira­ cion distanciada del filosofo) como dos maneras de construir la identidad de un pueblo. Dos maneras que se han sucedido en la historia de Occidente, aunque de ahi no convenga deducirse que deban de sucederse inev:itablemente. Hay culturas que no han necesitado el paso por la metafisica; sus origenes miticos han bastado para mantener su cohesion sin impedir por ello su desarrollo. (El J apon es un buen ejemplo de ello : un pueblo que ha sabido permanecer en el estado poético, una cultura que, a diferencias de las monotefstas , no ha necesi­ tado de un referente ultimo y unico, metafisica o religioso, para sustentar su identidad y su orden social. ) Probemos, pues, a entender l a poesia en s u origen como estrategia mnemo­ técnica al servicio de la identidad de un pueblo (al servicio, por tanto, de su su­ pervivencia) . La constatacion de la funcion social de la poesia, en sus inicios, nos llevaria a preguntarnos por la gratuidad de la apreciacion que esta en el punto de partida de las reflexiones zambranianas . La admiracion a la que hace referencia habria de situarse mas tarde, en épocas en las que el ocio permitiese el ejercicio de la palabra como divertimento y el cultivo del gusto. Pues, eietta­ mente, cuando los pueblos hubieron reemplazado sus mitos por su Historia verdadera, cuando el relato dejo paso a la metafisica como asentamiento del sentido que procura la identidad, entonces , la poética ya no fue necesaria. No obstante, el pueblo siguio cantando. Podria decirse que a lo largo de la historia de Occidente, llego un momen­ to en el que la actividad poética paso de ser instrumento polftico a ser (una vez inutilizada para estos menesteres) una actividad placentera. Podriamos pensar en el ars poetica como una degeneracion . Padria hablarse de una " estetizacion de la mnemotecnica" . El caso es que Platon considero que habia llegado el momento en que la identidad fuese resultado de un ejercicio racional, "polltico" al fin y al cabo. Un ejercicio que, de dialéctico, pasarfa pronto a metafisico (un término que alin no se habia inventado en su tiempo) por la necesidad de aportar un nuevo punto de apoyo solido a los orfgenes mftico ahora desconsiderados . La funcion del aparato metafisico fue la de convertir la verosimilitud del mi­ to en verdad . No voy a entrar en consideraciones acerca de la pertinencia de otorgarle a la razon la capacidad de construir verdades . . . nos bifurcariamos de­ masiado. Tan solo apuntaré que el paso de la verosimilitud a la veracidad su-

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pone una transici6n importante: el paso de lo artistico (la construcci6n del mi­ to por el poietés) a lo metafisica (la construcci6n de la Historia) . Al pueblo tradicional no le importaba la veracidad . Bastaba la verosimilitud para que el sentido fuese dado. La verosimilitud es un concepto estético. Ata­ iie a la necesidad de convencer a los oyentes. Un relato ha de ser verosimil pa­ ra ser convincente. Y lo es si la logica del argumento es adecuada. La obra ve­ rosimil deja espacio para que la imaginaci6n del oyente actue . Y actua en pre­ sente, por lo que la historia contada nunca es ajena a quienes la reciben . La ve­ rosimilitud es un espacio, una distancia que el oyente o el espectador franquea activamente (asi ha de ser la poesia) . Cuando el oyente-espectador participa, la narraci6n cobra vida en él, va siendo suyo el relato al tiempo que va siéndolo para los demas oyentes . En compaiiia. Compartiendo. La Historia, en cambio, al ser verdadera (tiene que serlo, por definici6n) , es plana. Se ofrece sin espacio . La imaginaci6n no tiene lugar. No ha de tenerlo. Lo que cuenta ha de ser crefdo y proviene de fuera. Como imposici6n . Lo que se propone como verdad no invita a la participaci6n (nada hay que construir) , exige el asentimiento. Por otra parte, el aparato metafisica inutiliza la versificaci6n : el razona­ miento ( que también puede repetirse) reemplaza la narraci6n . La analogia so­ nora (el metro) es sustituido por el encadenamiento deductivo.

En el principio era el Hambre

Hemos conversado durante siglos en los diversos ambitos de la metafisica. Ahora, después de haber tornado conciencia de que la Historia no es ni tiene por qué ser la historia verdadera y que las metafisicas no pasan de ser ejercicio de lenguaje, ahora, después del desencanto y de la hibridaci6n de los géneros, puede que la poesia, algun tipo de poesia vuelva a sernos necesaria Pero, ( qué tipo de poesia?, y (para qué? Respondamos a la segundo en primer lugar: para volver a entraiiamos . Por­ que la metafisica no nos ha simplificado la vida ni nos la ha hecho mas lleva­ dera. Porque nuestra identidad de pueblo se ha desintegrado en pequeiias cap­ sulas (unifamiliares, individuales) y seguimos anhelando una unidad mayor. Y, sobre todo, porque ahora, para la conciencia posmodema, la existencia misma es la que se ha vuelto extraiia y es probable que echemos en falta un nuevo en­ traiiamiento. " Hay alga en la v:ida humana" , escribi6 Zamb rano5, "insoborna-

5 M. ZAMBRANO, El hombre y lo divino, México, FCE, p . 1 97 .

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ble ante cualquier ensueno de la razon: ese fondo Ultimo del humano vivir que se llaman las entranas y que son la sede del padecer" . Y también : Seria imposible que no veamos en la poesia una integridad mas lograda que en la Me­ tafisica; imposible que no veamos en ella el camino de la restauraci6n de una perdi­ da unidad. lmposible también que no la situemos como la forma de la comunidad6 •

La poesia de la que necesita la conciencia posmoderna no es la épica de Ho­ mero ( � o tal vez s1? ) ni la versificacion ingeniosa palaciega de épocas decaden­ tes. Pero tampoco es la poesia metafisica, aquella de la que Aristoteles dijera que es mas filosofica que la Historia porque la Historia atiende a hechos indi­ viduales mientras que la poesia atiende a lo universal. Conviene tener cuidado, ante frases como ésta, de Zambrano: "La poesia, se sumerge bajo el tiempo, desprendiéndose de los acontecimientos, en busca de lo primario y originai, de lo indiferenciado7 " . El poeta que se desprende de los acontecimientos es ya un metaflsico , y el poeta mistico es un metaflsico que se ignora. El poeta mistico se desentraiia y se proyecta en el nombre que le da al Origen. Y si de lo que tenemos necesi­ dad, hoy en dia, es de un nuevo entraiiamiento, el poeta que requerimos no ha­ bra de evadirse de lo concreto. Bien al contrario, en lo singular es donde cap­ tara, como el autor de haikus, lo esencial: no lo universal, la idea vaciada de ac­ cidentes, sino la radical infinitud de lo que cada cosa es en s1 misma. Ah!, en lo concreto, es donde captara el ritmo, la vibracion de un ente, su sonoridad, su peculiar forma de vibrar. El nuevo entraiiamiento del que hablo es algo en realidad muy viejo; tiene que ver con la capacidad de empada (o de proyeccion) del ser humano, algo de lo que la palabra poética ha dado cuenta desde muy antiguo. Cabe volver a mencionar, con respecto a ello, la manera en que Valmiki, el autor del Rama­ yana, narra el origen de la poesia sanscrita: en la primera parte de la epopeya (Ramayana, I, 2 , 18) cuenta el autor que, yendo por la orilla de un rio, vio a una pareja de garzas apareandose en la rama de un arbol. De repente, el macho cayo traspasado por la flecha de un cazador y la hembra emitio un grito terrible. Aquel grito penetro en el corazon del poeta, quién dice haber experimentado el mismo dolor, la misma desesperacion que aquel que provocata, en el ave, aquel grito desolado. Hasta tal punto se hallo Valmiki lleno de compasion, ex­ plica, que el grito estallo en sus labios en forma de poema. El desbordamiento

6 In . , Filosofia y poesia, cit . , p. 196. 7 Ibid. , p . 197 .

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emocional habia hallado su camino en la expresion poética. Por ello, explica, a esta palabra-verso nacida de la pena (soka ), se le llamo verso (sloka) . El grito s e resolvio en palabra. Hallo l a manera d e traducirse en lamento. Como las ondas que una piedra hace al caer en un estanque, asi la voz del ave, por resonancia, alcanzo al poeta que, a su manera, musicalmente, la expreso. Vocalizo la emocion. La modulo: propago la v:ibracion . Algunas teoria indias entienden que el universo se creo por resonancia. La gran exhalacion del comienzo se prolongo en las consonantes. El ser: la ener­ gia neutra que significandose: modulandose en los signos (en las letras, en su sonoridad) se diversifica. Que algo sea significa que ha cobrado tonalidad (val­ ga entenderse como musica y como color) . Vibramos en un tono: somos de "al­ guna manera" , en algun modo. " En el principio (En a rjé) era el Verbo (logos) " . Zamb rano entendia que en esas palabras se aunan la razon griega y la cristiana. Pero no solo éstas, también la india. Porque el Verbo (término éste, Verbum, con el que se tradujo la pala­ bra griega logos cuando éste se identifico con el principio creador del cristia­ nismo) es la palabra que puede ser conjugada. El logos-verbo es posibilidad de ser, antes de las diferencias . Condensacion del sonido, inaudible antes de su ex­ pansion. En un principio fue el verbo, y el verbo se conjugo, y se propago. Los siglos de la siglos fueron la propagacion del primer sonido. El primer sonido fue un acto : el de respirar. Un respirar sin nadie que respirata. Un acto sin sujeto. Un aliento sonoro. Y el verbo se hizo carne: materia. Se hizo audible. Se "materializo " . El mun­ do: sonoridad vibrante. La materia: densidad del sonido: velocidad vibratoria. En un principio fue el verbo y el verbo poetizo: la matriz del mundo es el hueco donde impacta el primer sonido y se gesta el primer poema : la primera construccion (poiesis), la primera articulacion . Si . . . puede que esto sea muy bonito. Pero no nos sirve. Ya no nos sirve por­ que sigue siendo metafisica y porque, ahora, las palabras son multitud . Los ecos estan distorsionados. Los sonidos, como las emociones, se degradan imi­ tandose unas a otras . El kitsch reina por doquier de tal modo que ya nos es di­ ficil saber qué, de lo que sentimos y pensamos, qué es genuino o impostado, qué hemos aprendido y repetido, qué es emocion y qué lenguaje. Tal vez sea preciso callar. No afiadir mas palabras a las ya expandidas . O, tal vez, urdir otro inicio. Digamos, por ejemplo: En un principio fue el Hambre. Y el Hambre creo a los seres para poder saciarse . Y el Hambre era la muerte, para los seres. Inventaron remedios, buscaron curarse, pero el Hambre dijo odiaos y luchad unos contra otros , para poder saciarse. Y el

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Hambre introdujo el hambre e n los seres , y los seres se mataban entre si, por causa del hambre. Y el hambre era la muerte, para los seres.

No parece que quepa, hoy en dia, otra poesia que la que diga el hambre. Y el terror. La desolaci6n y la extraiieza. Que lo diga para que nos reconozcamos en ello. En comunidad. Con las cosas . En las cosas . Cosas, también, nosotros . La identidad colgandonos del hombro como una chaqueta rafda. Luego, como un personaje de Beckett, atender al balbuceo, como mucho. Sobre todo, atender al silencio, ése silencio: la callada inocencia recobrada, antes del logos, el no saber cargado de compasi6n por los seres que viven con su hambre.

LAS PARCAS: INEDITO RITROVATO di Federica Canestri

Una cultura depende de la calidad de sus dioses M. Zambrano

Las Parcas è un testo inedito conservato presso la Fondazione " Maria Zambra­ no " di Vélez Malaga. Le numerose correzioni - di pugno e dattiloscritte - ap­ portate dall'autrice rivelano una stesura in più fasi che rende difficile la lettura sia per la grafia, talvolta non facilmente comprensibile, sia per il tratto, note­ volmente sbiadito. Queste modifiche hanno richiesto particolare attenzione, in merito a scelte e intrepretazioni che si sono rese necessarie per giungere alla versione definitiva del testo spagnolo. Zambrano scrive Las Parcas tra il 1 949 e il 1 950. Questa data, anche se orientativa, può essere considerata certa, dal momento che l'archivio della Fon­ dazione è stato visionato personalmente dalla filosofa. Evidenti similitudini con altre opere coeve confermano l'esattezza della collocazione temporale all'inter­ no della produzione zambraniana. Si tratta di un delirio in cui si incontrano im­ portanti riflessioni sul sacro, sulla Giustizia e sul destino. Zambrano, a partire dalla metà degli anni Quaranta, utilizza questo tipo di scrittura come metodo di conoscenza visionaria. n delirio - che acquisterà un'importanza sempre maggiore nella sua produzione - si collega a forti solle­ citazioni affettive, come afferma Mareno Sanz: género especffico de Zambrano: los "delirios ", que habia iniciado con los de Antigo­ na [ . ] y de los que de [Delirio y destino] son estrictos correlatos en su afan de revi­ vir figuras o momentos claves de la historia, como arquetipos simbolicos de lo que hay que hacer pasar - dandoles tiempo, reavivandoles - para que, quiza asi, la histo­ ria acabe de consumar su sacrificio, su tragedia' . ..

1 J. MaRENO SANz, Nota aclaratoria, in M. ZAMBRANO, Delirio y destino, Las veinte aiios de una

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n tema principale del testo riguarda il rapporto tra giustizia e destino.

Destino qui inteso sia nel senso classico di Fato e necessità, sia in quello esi­ stenziale di destinazione ovvero percorso che giunge al compimento più au­ tentico, quello che restituisce valore alla vita. Zambrano riflette sulla relazione che s'instaura tra loro, ma i parametri di questa domanda sono da intendersi nel senso più semplice e universale rispetto all'esperienza di ciascuno di noi. L'esito di una vicenda esistenziale soggiace solo a una cieca fatalità o ri­ sponde a un qualche criterio di equità? Lo svolgersi e il compimento della vita individuale sono davvero equi e me­ ritati? Esiste un'istanza superiore che assicuri questo equilibrio ? Nel testo, questa superiore entità, viene rappresentata dalle Parche, tradi­ zionali dee del Destino che divengono qui anche ministre di una giustizia ca­ pace di temperare l'attività del Fato. Esse garantiscono un'equa proporzione tra colpa e pena, tra premio e merito. È il concetto classico di giustizia retribu­ tiva, ovvero di giustizia come oggetto di scambio che deriva dall'equilibrato giudizio operato da una corte di arbitri all'interno di un regolare processo. Es­ so fonda la polis greca e trova la sua più alta rappresentazione nella trilogia eschilea dell'Orestiade e in particolare nelle Eumenidi. Queste, nella rappre­ sentazione mitologica, pongono fine alla catena di eccessi dell'antica legge tri­ bale, basata sulla vendetta, mediante l'equilibrio di una transazione. È a questo tipo di giustizia che le Parche fanno ricorso nel tessere il destino individuale. A questa visione classico-pagana, Zambrano contrappone l'idea dell'amore come sacrificio che prende su di sé il carico di dolore del mondo. Un elemento di ec­ cesso, più vicino al pulsare autentico della vita e della verità, spezza l' arida leg­ ge dell'equivalenza, l'astratto equilibrio del calcolo razionale. Questo sacrificio, nel testo, è simbolizzato dal calice che allude alla Giustizia come passione e condivisione del dolore universale e non puro computo astratto. L'inedito si apre con la descrizione delle Parche, il cui "principal oficio " è "tramare " pro­ cessi. Vi è un gioco sottile che rimanda all'iconologia originaria di filatrici e tes­ sitrici. Dee fin troppo umane, le Parche sono intrappolate nell'essenza divina senza cessare di essere donne e madri. Generano, infatti, ma solo aborti mo­ struosi. Tentano di essere pietose, di non applicare le pene, ma non possono esimersi e condannano gli esseri umani al loro Destino poiché "nacer es tener que afrontar el juicio, afrontarlo ya "2• Riporto, di seguito, alcuni brani de Las Parcas, nella mia traduzione: espaiiola, ed. completa a cura di R Bianco Martinez e J. Moreno Sanz, Madrid, Editoria! Centro de Estudios Ram6n Areces, 1998, p. 18. 2 M. ZAMBRANO, Las Parcas, inedito, p. 5.

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Erano tre, continuano ad essere tre; esse, le Parche. A volte non sono cattive, hanno la loro bontà, l'intenzione di essere buone, esse, le Parche, le incatenate, le prigionie­ re della fatalità, le sue funzionarie; quelle che governano la sorte secondo il fato. Mai furono amate, mai [ . . . ] Sono amiche dell'essenziale, benché in sé manchino di fonda­ mento, e hanno diritto a tutto, esigono tutto, l'amore che non provano, l'amicizia che scivola via, la grazia che trasformano in rigidità, l'ispirazione che imprigionano, poi­ ché sono maestre nell'imprigionare, esse le Parche, sono tre, continuano a essere tre e sempre lo saranno. Le Parche. [ . . . ] loro, le Parche non hanno parola, ma appena voce, appena espressione, anche se quando sono sole e nessuno le vede hanno le loro dispute e si sfogano con danze di insulti, con cerimonie d'improperi, d'ingiurie, ma soprattutto, soprattutto innalzan­ do processi. Li sanno tramare, è la loro principale occupazione, non per decidere il destino, poichè in verità non è stato loro comandato, ma per sentirsi padrone di que­ sto, padrone di qualcosa. [ ... ] Certo, passione non hanno poiché passione significa anche soffrire, sopportare, lasciare che il dolore penetri nel midollo, sfaldi le ossa, ferisca il centro dell'anima. . . M a no, non bevono d a alcun calice, perché non è giusto, loro l e Parche li rovesciano tutti, tutti quei calici che la misericordia ha donato loro, li versano tramutandoli in pesi, sugli altri, su tutti gli altri, sui loro sudditi. [ ... ] Le Parche concepiscono, sì, e siccome non sono state fecondate nemmeno nei so­ gni, concepiscono . . . illusioni malinconiche, chimere che si dissolvono, aborti; parto­ riscono aborti. [ ... ] Si condannano al vuoto del tempo numerato, regolato dalla Giustizia, poiché so­ lo del numero si fidano, e per questo misurano come un orologio, contano, contano, le povere parche ! [ . . . ] Non le si percepisce fino al giorno in cui l'arazzo della vita si è consumato sino a vedersi il rovescio, quando una vita, una Storia, a forza di passare tante e tante volte davanti al loro tribunale, diviene visibile fin nelle viscere spolpate, ripulite dalle Par­ che. [ ... ] E si comprende che sono loro ad aver spinto il suicida nelle gallerie senza uscita; loro ad aver saldato le porte, fino a far credere che non ci fossero; che sono loro a mandare quella debolezza, quella sfiducia nel certo: [ . . . ] loro che inventano verdetti che nessuno emise, loro che ordinano in nome di una Legge non formulata, loro che fanno leggere la condanna per un delitto mai commesso, dettata da un tribunale ine­ sistente, loro che terrorizzano con l'imm agine di una Giustizia che non è di Dio né degli uomini. E nulla si potrebbe dire di loro, se si limitassero a star sedute al loro da­ zio, illando la loro rocca, annodando e tagliando i fili con le dita aguzze. [ ... ] Allora ci farebbero nascere o ci aiuterebbero a farlo, e quello sarebbe il loro con­ cepire: perché nascere significa affrontare il giudizio, affrontarlo ora [ ... ] Se non esa­ gerassero, se non si facessero vedere quando torturano le colombe fino a soffocarle. Oh Amore che permetti di essere strangolato !

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Sotto molti aspetti Las Parcas si avvicina a Delirio y destino, a Hacia un sa­ ber sobre el alma, ma anche a La tumba de Antigona, il cui nucleo originario ri­ sale al Delirio de Antigona, scritto nel 1 947 e pubblicato in "Origenes " l' anno seguente. In questi anni, Zambrano porta avanti una profonda riflessione sul sacro che prenderà forma in El hombre y lo divino del 1 955 - e sulla figura del poe­ ta. Medita sulla sacralità perduta, negata dagli orrori della guerra e dalla con­ seguente devastazione esistenziale. Non solo il conflitto mondiale ma l' evolu­ zione stessa del XX secolo, con le sue profonde crisi e contraddizioni, ha spin­ to un'intera generazione di intellettuali a interrogarsi sul senso e il valore del sa­ cro. Sia la letteratura che la filosofia sembrano tornare agli archetipi, per recu­ perare l'equilibrio compromesso dagli eventi. Poesia e sacralità affondano le radici nella filosofia classica e rappresentano due matrici strettamente correlate tra loro. Platone afferma che il poeta è " co­ sa leggera, alata e sacra"3 poiché espressione del dio che accoglie dentro di sé e del quale diviene oracolo. Anche il poeta esprime la "Giustizia caritativa" tanto diversa da quella del filosofo e che Zambrano svilupperà nel concetto di " pietà" : Ser piadoso, santo, depende también de un saber adecuado, como qualquier otra vir­ tud. [ . . . ] " piedad es el saber tratar adecuadamente con lo otro" [ ... ] Porque tratar con lo otro es simplemente tratar con la realidad4•

li primo gennaio del 1 949, Maria Zambrano, accompagnata dalla sorella Araceli, parte per Città del Messico ma, appena pochi mesi dopo, tornerà a La Habana. Sono gli anni che la vedono al centro della vita culturale cubana: Cin­ tio Vitier, J osé Lezama Lima, Eliseo Diego e tutti i giovani poeti e intellettuali si riuniscono intorno a lei. La sua situazione economica è così precaria che, per partecipare a un pre­ mio letterario, scriverà in poche settimane Delirio y destino. Sono molte le as­ sonanze e le similitudini tra i deliri contenuti in quest'opera e Las Parcas. I deliri non rappresentano, in Zambrano, un semplice e isolato momento di rottura; sono il frutto di una riflessione nata in un preciso momento storico e biografico - la morte della madre a Parigi che rende ancora più acuto il dolore dell'esilio - divengono, perciò, un canale espressivo privilegiato, capace di creare uno stile di scrittura e un metodo di pensare-sentire propri della sua

3 PLATONE, Ione, in In . , Dialoghi platonici, Torino, Utet, 1995 , l, p. 136. 4 M. ZAMBRANO, El hombre y lo divino, Madrid, FCE, 1 993 , pp. 202-207.

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opera. In un susseguirsi di spostamenti e sradicamenti che si svolgono sulla sce­ na del conflitto mondiale, Zambrano esprime con questo mezzo il suo sentire spezzato, l'angoscia esistenziale, la paura di essere umano che impara la morte e in questo lutto perde il linguaggio. È qualcosa di straordinario che travalica le comuni vie del narrare e del ragionare e richiede una parola affine al codice dell'anima. L'etimologia stessa di " delirio " indica una natura ribelle, dal mo­ mento che " delirare" ha come primo significato "uscire dal solco " (composto parasintetico, d'origine indoeuropea, di "lira" : solco, con il prefisso de- ) , non­ ché " farneticare "5 . Delirare è oltrepassare il confine, ovvero l'ultima fenditura tracciata dal vomere. Esso difende dal caos della palude o dalla con-fusione con l'estraneo; ecco perché delirare significa uscire dal seminato o, meglio, oltre­ passare il solco sacro che cinge la città: " Delira el que esta afuera"6. Delirio, dunque, come scrittura dell'esilio. Zambrano riflette sulla cacciata del poeta dalla polis e sottolinea la profon­ da ingiustizia che risiede in quest' azione, senza tralasciare la perdita e il danno che questo atto di ostracismo causa alla società. È evidente il riferimento auto­ biografico all'esilio, allo sradicamento, non solo dalla patria reale, ma anche da quella ideale. li poeta è il figlio che guarda alle origini, dice Zambrano7 e, in questo, non può che sentirsi tradita da una cattiva madre, la Spagna, per la qua­ le ha lottato e perso. Questo personalissimo modo di pensare-sentire non è altro che la forma in­ dividuale di un archetipo: Sin e l despertar d e l a conciencia n o hay delirio. [ . . ] El delirar e s l a acci6n salvadora [ .. ] . Delirar es una extraii a liberaci6n; la liberaci6n del sujeto que acepta la vida [ . . . ] . Y la vida se le restituye en el delirio. [ . . . ] Pues que sin esperanza no hay delirio8. .

.

5 M. CoRTELAZZO e P. ZoLLI, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Bologna, Zanichelli, 2000. 6 M. ZAMBRANO, Delirio, esperanza y raz6n, in ID., La Cuba secreta y otros ensayos, Madrid, Endy­

mion, 1996, p. 166. 7 "El poeta antes que nada y ante todo, es hijo. [. . ] es el hijo amante, el amante que une en su ilimitado amor el amor filial con el enamoramiento. Filial, porque se dirige hacia sus orfgenes, porque todo lo espera de ellos y por nada estii dispuesto a desprenderse de lo que le engendra­ ra. Y enamorado, porque estii absorto en ello con las mismas exigencias, las mismas locuras y de­ svarfos del amor de los amantes. Baudelaire miirtir de la poesia; j qué claramente lo muestra! Amor a los orfgenes y descuido de sf. j C6mo va a cuidarse, si todo lo espera ! Y lo que espera ju­ stamente es no tener, sino recibir. " ID., Filosofia y poesia, Madrid, FCE, 1993 , p. 106. 8 ID. , Delirio, esperanza y raz6n, cit. , pp. 165 -1 67. .

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Come nel delirio propriamente detto, Zambrano tende a riprodurre un'al­ terazione del linguaggio, una sorta di atemporalità, che si riflette nei cambi re­ pentini dei tempi verbali e nell'incalzante fluire di proposizioni brevi e spezza­ te. Sembra vaticinare, diviene oracolo, medium, poiché questa è una forma di oralità fissata dalla scrittura, che non perde l'immediatezza e la potenza defla­ grante dell'urlo. Anche negli altri deliri, forme della necessità d 'esprimere l'inesprimibile, si riconosce la stessa ispirazione. Ecco cosa scrive Maria Zambrano a Rosa Cha­ cel a proposito di Delirio y destino: La segunda [parte del libro] , son Delirios, algo que me encontré escribiendo en Pa­ ris a ratos cuando el " daimon" me tomaba después de la muerte de mi madre. Si, de­ lirios, lo que nos han dejado. Delirios [ . . . ] : la verdad en su esqueleto. Y los esquele­ tos obligados a vivir deliran9•

Las Parcas presenta profonde convergenze con altri deliri scritti da Zam­ brano: oltre a similitudini di stile si trovano anche macroscopiche citazioni. n finale del testo, ad esempio, con l'Amore che viene strangolato e le co­ lombe torturate, è molto vicino al Delirio de la Paloma: �Habra perdon para el que estrangula una paloma? Amor. Paloma crucificada. [ . . . ] Pedirte perdon, paloma, basta el polvo, basta deshacerme [ . . . ) 1°.

Anche ne La !oca, come ne La del dulce nombre, si trovano efficaci immagi­ ni della colomba ma anche rimandi al parto, al tribunale, al Giudizio, alla fila­ tura. Ne La reina si incontra un'interessantissima citazione sul numero, mentre El cdliz è denso di immagini che si riferiscono al motivo del calice11 : [ . . . ] este "caliz " [ . . . ] Nadie lo quiere beber y entonces se derrama y viene la confu­ sion: no sé si es el mio; el mio, mi caliz. �Pero tengo yo algUn caliz, mio para mi, de mi? �No sera uno, uno para todos, del que me cae una sola gota, una gota solo que no pasa, una gota de eternidad? 1 2

Las Parcas, rappresenta una riflessione sulle dinamiche tra Destino, giustizia giusta e giustizia inumana, e la figura una e trina delle Parche racchiude l'es-

9 Lettera di Maria Zambrano a Rosa Chacel del 3 1 agosto 1 953 , ora in A. RooR1GUEZ- FICHER, Car­ tas a Rosa Chacel, Madrid, Catedra, 1992, p. 45. 10 M. ZAMBRANO, Delirio y destino, cit., pp. 268-269. 1 1 Questi temi sono oggetto di una ricerca inedita di prossima pubblicazione. 12 M. ZAMBRANO, Delirio y destino, cit., pp. 3 05-306.

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senza di questa trilogia. Esse sono uno strumento del Destino ingovernabile. Tentano - senza riuscirei - di divenire espressione della "pietà " , ovvero mani­ festazione di quella " giustizia caritativa" che contraddistingue le anime nobili, quali il poeta. Anche loro devono obbedire e sottostare alla giustizia di neces­ sità e scambio, quella che strangola la " colomb a " , ovvero, la vita, l'ispirazione e l'Amore. All'idea razionale e insieme filantropica - ma intrinsecamente astratta - di giustizia, Zambrano contrappone l'idea di Amore, introdotto dai simboli del calice, del sacrificio e, soprattutto, da quello della colomba. Questo complesso di rappresentazioni, rimanda al concetto fondamentale di Pietà. La colomba rappresenta l'amore divenuto forza spirituale, così potente da spingere il senti­ re oltre l'idea di scambio razionale, verso la Pietà intesa come "la matrice ori­ ginaria della vita del sentire " 13 . Zambrano contrappone la Pietà alla Giustizia e agli altri saperi " chiari e di­ stinti " , incapaci di sondare gli abissi del mistero, del non detto, dell'inesprimi­ bile, unici "luoghi " dove è possibile rintracciare il senso di una vita e di un de­ stino. Le Parche sono il simbolo di una giustizia necessaria ma spietata che può so­ lo essere violenta e ingiusta: Por encima del ser y del no ser, persigue la infinitud de cada cosa, su derecho a ser mas alla de sus actuales limites. "Me pareda que cada ser tenia derecho a otras vi­ das " . Porque cada ser lleva como posibilidad una diversidad infinita con respecto a la cual, lo que ahora es, es unicamente porque ha vencido de momento. Significa una injusticia. La realidad es demasiado inagotable para que esté sometida a la justicia, justicia que no es sino violencia 1 4•

Ma nelle Parche umane, troppo umane, si agita anche altro, ovvero la Giu­ stizia " caritativa " . Si annida nei loro momenti di disattenzione, quando voglio­ no essere buone e lasciano, benché non potrebbero, fiorire una "bella Storia" 15 o l"'ispirazione" 16, nell 'amaro convincimento che queste siano cose caduche, votate al fallimento. E se ciò non accade, ecco che accorrono rapide a tagliare quei fili che la vita raramente offre. Nel telaio delle Parche si snoda l'eterna bat­ taglia tra una giustizia inferiore e ingiusta e una superiore e irraggiungibile. Le Parche divengono figure tragiche, limite tra l'umano e il divino e, proprio per

n

ID., Per una storia della pietà, in " aut aut", 279 ( 1997 ) , p. 66.

1 4 ID. , Filosofia y poesia, cit., p. 1 15 . l versi citati appartengono a A. Rimbaud, Una stagione al­

l'inferno. 1 5 ID., Le Parche, nella mia traduzione italiana, inedita. 16 lbid.

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questo, possono entrare nella rappresentazione scenica, malgrado le tragedie abbiano solo protagonisti mortali. Vi è una denuncia esplicita: la Giustizia pura non esiste e, all'interno di que­ sto concetto, si cela un'ipocrisia innominabile, ma a questo connaturata. Le Parche hanno votato la loro intera esistenza ad istituire processi ma, in realtà, questo non può essere altro che un gioco, una messinscena che serve ad ingan­ nare e allontanare il senso vero della vita. Le tre dee non possono essere altro che "le incatenate " 17, "le prigioniere della fatalità" 18, poiché il Fato non ri­ sponde alla Giustizia, in quanto superiore ad essa.

17 18

Ibid. Ibid.

LA PIETÀ DI ANTIGONE di Pina de Luca

La lingua spuria

Pensare - essere filosofa - è per Maria Zambrano creazione di uno stile. E stile è azzardo che frantuma la parola filosofica, la lascia aperta ed esposta all'infe­ zione del suo altro: il patire, l'immaginazione, il sentire. In ciò la parola filoso­ fica riacquista la sua potenza poietica ed è questa potenza compressa che la Zam­ brano mirerà a liberare nei luoghi cruciali della tradizione occidentale. Sarà co­ sì che riattraversando l'Antzgone sofoclea ella ne tasterà le pieghe, i bordi, i si­ lenzi, affonderà nei suoi interstizi osando pensare il suo oltre inespresso. Un ol­ tre che la Zambrano accoglie e fa maturare fino a dargli la compiutezza di ope­ ra. E nuova opera è La tomba di Antzgone, nuova perché autonomamente tale e perché nuovo è il modo di farvi interferire filosofia, teatro, poesia. Di questi non vi è fusione o con-fusione, piuttosto ciascun linguaggio è sottoposto ad una ten­ sione che spingendolo all'estremo di sé lo porta a toccare ogni altro linguaggio in una reciproca attrazione e contagio. Riflettere su La tomba di Antzgone è perciò muoversi dentro un complicato intreccio di piani: la lettura della tragedia sofoclea volta a spiarne i vuoti, gli in­ gorghi, le ombre e il prendere forma di ciò come opera e opera autonoma All'i­ nizio vuoti, ingorghi, ombre altro non sono che silenzio, ma poi accade che "il silenzio arrivi ad acquistare consistenza, quasi sostanza" I , ad essere una "voce" più possente di qualsiasi voce. Se l'ascolto di tale voce e lungo e difficile eser­ cizio, ripetere ciò che si è udito è per Maria Zambrano iniziare a parlare una lingua sconosciuta: non solo di filosofo, non solo di poeta, non solo di dram­ maturgo, ma di tutti senza esserlo di nessuno in particolare. Quella che ella par­ lerà sarà così una lingua spuria, infiltrata, priva di appartenenza e perciò aper­ ta alla forza vivificante di ciascun linguaggio. Man mano che questa lingua si af1 M . ZAMBRANO, La tomba di Antigone, trad. e introduzione di C. Ferrucci, con un saggio di R. Prezzo, Milano, La Tartaruga, 1 995 , p. 49.

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ferma ciò che del gesto di Antigone rimaneva indeterminato, non compiuto, prende forma e si distende in un sapere capace di progettare nuove, impreve­ dibili sin/onie'l del mondo.

A Tebe

Edipo ora sa ed è terribile, insostenibile sapere, il suo: "sono nato da chi non mi doveva generare, mi sono congiunto con chi dovevo fuggire, ho ucciso chi non dovevo uccidere "3. Anche Giocasta sa, sa che il suo è corpo maledetto do­ ve si " confusero a lungo generatore e generato"4 poiché chi gli fu figlio gli fu anche sposo e il medesimo seme in lei rigermogliò portando in luce "un grumo incestuoso di padri fratelli, figli e spose e madri e quando di più turpe esiste al mondo "5• Ed è così che Edipo, colui che era re per aver sconfitto con il suo sa­ pere di uomo il mostro che affliggeva Tebe, si scopre partecipe del monstruoso da lui stesso vinto. ll suo corpo, proprio come quello, della Sfingé, è corpo spu­ rio, misto ed eccedente, indifferenziato e multiplo . Corpo prima dei corpi: un unicum in cui tutto si confonde e si mischia, dove il sangue mantiene la forza cupa della notte che nessun uomo può abitare. Sarà questa forza a lacerare la

2 Un edificio - spiega la Zambrano in Persona e democrazia - " è qualcosa che resta lì una volta per tutte [. .. ] finché dura . Invece la sinfonia dobbiamo ascoltarla, riprodurla ogni volta; dobbia­ mo in un certo senso rifarla, o contribuire alla sua realizzazione; è un 'unità, un ordine che viene a crearsi davanti a noi e dentro di noi. Esige la nostra partecipazione . Dobbiamo entrare a farvi parte per poterlo cogliere appieno " . Ecco perché "proverrà forse dalla musica [ . ] l' ordine che sa mettere in armonia le differenze " (In., Persona e democrazia, trad. di C. Marseguerra, Milano, B runo Mondatori, 2 000, p . 196). 3 SoFOCLE, Edipo re, vv. 1 84 - 1 85 (ed. it. a cura di F. Ferrari, Milano, Rizzoli, 2001 ) . Ciò che la tra­ gedia mostra per la Zambrano è la non nascita di Edipo . Nascere, ella spiega, significa "dover at­ traversare un involucro, che contiene il soggetto, dentro al quale egli non può rimanere e non già a rischio della propria vita, ma del proprio essere. Significa dover abbandonare un luogo dove l'essere giace ripiegato su se stesso, immerso nell'oscurità. Nascere, nel senso originale e in tutti gli altri sensi possibili, è l'andare a costituirsi dell'autonomia del proprio " (M. ZAMBRANO, Il so­ gno creatore, tra d . di V. Martinetti, Milano, Bruno Mondadori, 2002 , p. 99) . È questo che a Edi­ po non riesce e a mostrarsi in lui sarà " l'inibizione di un movimento essenziale o esistenziale o essenzial-esistenziale" , un nascere "senza compiere il movimento proprio del nascere, senza es­ sere nato davvero " (ibid. , pp. 1 0 1 - 1 02 ) . Ed è così che Edipo assumerà su di sé la tragedia " di do­ ver essere re, con tutto quanto simboleggia, senza essere nato del tutto come uomo; di dover es­ sere saggio immerso nella cecità; di dover scoprire la natura delle cose, senza nemmeno cono­ scere se stesso" (ibid. , p. 1 06) . 4 SoFOCLE, Edipo re, vv. 1 2 1 5 - 1 2 16. 5 Ibid. , vv. 1409- 1 4 1 0 . 6 La Sfinge, è osservato dalla Zambrano, "è l'immagine dello stesso Edipo che in essa s i ricono­ sce " (M. ZAMBRANO, Il sogno creatore, cit . , p. 1 02 ) . ..

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"bella forma" - la regalità - di Edipo e a rendere monstruosa la consaguineità. Come sarà la violenza del pulsare di tale a porre fuori dalla legge e dalla giusti­ zia facendo divenire apolitico il corpo regale di Edipo. L'accecamento e l'esilio sono il riconoscimento di ciò, riconoscimento di una difformità irrimediabile, più forte di qualsiasi ineguaglianza . Quella che Edipo porta impressa nel cor­ po è una smisuratezza che lo sfigura7 e ne cancella l'individualità - il suo corpo impuro e plurale è insostenibile segno caotico nell'ordinato kosmos della polis - cancellando la stessa possibilità di aver dimora poiché vi è dimora solo nel po­ litico connettersi delle parti e se ogni parte è solo quella parte e non trasbor­ dante ed innaturale di più. Ma può essere l'esilio quella sospensione in cui lentamente il monstrusoso della nascita trapassa in ricca pluralità e il sangue grumoso dei consanguinei ap­ prende la fluida libertà dello scorrere? E può essere ancora l'esilio lo spazio in cui è possibile esperire il multiplo e l'impuro di Edipo8 in gesti che non siano né vincolo né ripudio?

. . . ancora a

Tebe

Eteocle e Polinice, i figli di Edipo, si sono dati reciprocamente la morte nel ri­ vendicare, entrambi, il diritto di regnare su Tebe. In ciò l'uno è onorato dalla città come eroe, l'altro condannato come nemico . Creante ha infatti stabilito di "dare all'uno onorata sepoltura e di lasciare l'altro indegnamente insepolto. Eteocle, ritenendo giusto di trattarlo secondo le norme rituali, lo ha fatto sep­ pellire, perché avesse onore fra i morti sotterranei; ma il cadavere del misero Polinice ha ordinato che nessun cittadino lo seppellisca e lo pianga, bensì che sia lasciato illacrimato, insel? olto, tesoro agognato per soddisfare la fame degli uccelli all'erta nel cielo" 9 • E negando a Polinice il diritto alla sepoltura che Creante ne sancisce lo statuto di nemico - statuto gravato dall'essere qui il ne-

7 Fa osservare Vernant che "in una società del faccia a faccia, in una cultura della vergogna e del­ l' onore [ . .. ] l' esistenza di ognuno è posta incessantemente sotto lo sguardo degli altri. L'immagi­ ne di sé si costruisce nell'occhio di chi ci sta di fronte, nello specchio che questo ci presenta . Non esiste coscienza della propria identità senza questo altro che ci riflette e si contrappone a noi, fronteggiandoci" (J. P. VERNANT, I:individuo, la morte, l'amore, ed. it . a cura di G. Guidozzi, Mi­ lano, Cortina, 2000, p. 10). B Nel farsi guida di suo padre, Antigone inaugura quella cura che è responsabilità dell'altro cor­ po perché altro. E in Edipo a Colono tale cura diviene sostegno al peregrinare di Edipo : " passo il tuo passo accorda, appoggia il tuo corpo sfinito dagli anni sul mio braccio amico " (SOFOCLE, Edipo a Colono, vv. 195- 1 97 ) . 9 SoFOCLE, Antigone, vv. 22-28.

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mico echthros10, colui che pur appartenendo alla città ne è minaccia - e quindi la legittimità di annientarlo . Perché questo avvenga non basta provocame la morte, ma è necessario privarlo della "bella morte " 1 1 • Ciò significa rifiutare al cadavere quelle pratiche che, impedendone il degrado, ne conservano intatti gli aspetti di " giovinezza e beltà virili che rappresentano, in pratica, i segni visibi­ li della gloria " 12• Nel cancellarsi di tali segni si cancella la stessa figura umana del morto13 che, ridotto a materia informe, ritorna all'originaria condizione caotica da cui si era emancipato assumendo determinatezza di figura . Negare a Polinice la sepoltura vuol dire perciò negame radicalmente l'esistenza: mai egli è divenuto persona perché mai è stato. Ma in questo caso la condanna si risol­ ve in una sorta di etemizzazione della nascita sancendo l'impossibilità di Poli­ nice di sottrarsi a quel che già era: monstruoso corpo pre-storico che tutto in sé comprendeva in caotica contiguità. In tal modo egli apparterrà per sempre al­ la sua nascita della quale la morte sarà infinita ripetizione e inesauribile con­ ferma. Ecco allora che il rifiuto di Antigone di obbedire agli ordini di Creonte si fa più intrigato e meno sicura la sua finalità. La questione è infatti se nella ferma decisione di dare sepoltura al fratello vi è solo adesione alla legge dell' oikos op­ pure, nel rivendicarla, ella fa avanzare qualcos'altro, qualcosa che imprime nuovo tono alla sua passione. È pur vero che nello svolgersi della tragedia conti­ nuo è il richiamarsi di Antigone alla forza dei legami familiari, all'obbligo di ono­ radi - "non è vergogna onorare i consanguinei" 14 - fino a porsi fuori dalla legge15, 1 0 Adriana Cavarero si sofferma sulla differenza esistente nel mondo greco fra echthros e pole­ mios. Mentre il primo termine rimanda " alla lotta intestina fra uomini della stessa stirpe e della stessa famiglia " , l'altro " indica la guerra contro estranei e stranieri" (A. CAVARERO, Corpo in figu­ re, Milano, Feltinelli, 1 995, p. 5 3 ) . 1 1 Cfr. La bella morte e il cadavere profanato, cit. 12 Ibid. , p. 63 . 13 Ibid. , p. 68. il corpo lasciato insepolto è preda non soltanto della violenza della natura, ma an­

che degli animali: " ormai divenuto, nel ventre degli animali che l'hanno divorato, carne e sangue di bestie selvagge, in lui non c' è più la minima apparenza, la minima traccia di umanit à : non è ri­ gorosamente più una persona " (ibid. , p. 69) . A proposito dei rituali della morte nel mondo gre­ co si veda ancora di Vernant i capitoli dedicati a La figura dei morti compresi in Figure, idolz; ma­ schere, trad. di A. Zangara, Milano, il Saggiatore, 200 1 . 14 SoFOCLE, Antigone, v. 509. 15 I.: a gire di Antigone "assume un senso culturale di portata epocale. Esso opera una disgiunzio­ ne fra l'universo religioso di Zeus e Dike e quello giuridico-politico di polis e nomos. Tale gesto è infatti la messa in crisi di una tradizione che ' andava da Esiodo ad Eschilo, attraverso Solone"' . Rispetto a quest'ultimo l'elemento di novità introdotto da Antigone è che " la scrittura della leg­ ge non è la trascrizione di un ordine divino, bensì la separazione irrevocabile fra la dimensione politica e quella sacra " . D'ora in poi la legge dovrà " assumersi il rischio della secolarizzazione, la rinuncia ad una qualsiasi garanzia nell'ordine divino del mondo " (M. VEGETTI, I:etica degli anti­ chi, Roma-Bari, Laterza, 2002 , p . 5 6 ) .

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fino ad osare "l'impossibile " 16• Il punto, però, è che ad essere rivendicati da Antigone sono i legami e non l'uno fusionale che riconsegna al mostruoso della nascita. I legami sono tali nella scelta che li afferma e sempre di nuovo li ri-vuo­ le anche a rischio della morte e il rischio che Antigone affronta è proprio quel­ lo dei legami, ossia il come del nesso con l'altro corpo. Non è perciò il suo im­ mediatamente un gesto contro la polis, piuttosto è rivendicare, volendone rima­ nere all'interno, la legittimità del proprio sentire-patire, è l'azzardo di darvi vo­ ce nell'ordinato kosmos della polis. La colpa di Antigone è dysboulia poiché è " dissennatezza" mescolare quel che il logos rigidamente divide17: kosmos e kaos, ordine e disordine, logos e pathos. Ciò che è inaudito del suo agire è il voler tran­ sitare dall'una all 'altra dimensione producendo fra queste interferenze, contat­ tP8. Per due volte Antigone attraversa i confini stabiliti della polis per recarsi nell'incontrollato aperto e qui dare sepoltura a Polinice, ma sempre il suo è un andare e tornare, non un rimanere. Mai Antigone sceglie definitivamente l'e­ sterno né, insieme a questo, la con-fusione dell'unico corpo da cui proviene. El­ la, piuttosto, l'attraversa in un movimento che azzarda la fluidità contro regole e principi che distinguono, separano, classificano: "il nemico - dice Creante non è mai un amico, neppure da morto " 19• Quest'umano ragionare di Creon­ te20 è ciò che l'agire di Antigone pone radicalmente in discussione: si è fratelli benché nemici, si è nella polis benché si esperisca il suo /uorz21• La "dissenna­ tezza" di Antigone è agire il fuon·, il diverso non nella contrapposizione, ma nel­ la coappartenenza. Ed è così che ella attraversa lo scatenarsi potente della phy­ sis, l'aorgico dilagare dell"' aereo flagello"22, così come attraversa la propria ani-

1 6 Commenta il Corifeo: " Sei giunta, o figlia, al limite estremo dell' audacia e hai cozzato nel tro­ no alto di Dike" (SOFOCLE, Antigone, vv. 854-855 ) . All'azzardo di Antigone si contrappone il rea­ lismo di Ismene: " Obbedirà a chi detiene il potere . Agire al di là dei propri limiti è assolutamente insensato" , mai, infatti, " si dovrebbe tentare l'impossibile" (ibid. , vv. 62 -63 e v. 93 ) . 1 7 L.impossibile gesto di Antigone, nota Cacciaci, è quello di spalancare "l' abisso di Ade " nello spazio stesso della polis, di mostrarlo in questa " sempre aperto e inesauribile " (M. CACCIARI , An­ tigone, in ID. , L'Arcipelago, Milano, Adelphi, 1 997 , p . 5 1 ) . 1 8 Nella lettura della Zambrano Antigone appare come una tessitrice, vale a dire come colei che " unisce i fili della vita e della morte, quelli della colpa e dell'ignota giustizia " (M. ZAMBRANO, Il sogno creatore, cit. , p. 1 07 ) . 1 9 SoFOCLE, Antigone, v. 524 . 20 " Fra i suoi molti privilegi il potere possiede anche quello di fare e dire ciò che vuole"; ibid. , v. 5 03 . 21 ll comportamento di Antigone può essere ascritto a quello che nel genere tragico Loraux ha definito antipolitico, termine che designa non soltanto "l' altro dalla politica, ma anche un politi­ co altro " , quest'ultimo si riferisce a " qualunque comportamento che respinga il modo in cui di solito funziona la città " ; cfr. N. LoRAUX, La voce addolorata, trad. di M. Guerra, Torino, Einau­ di, 2 00 1 , pp. 40 e 4 7 . 22 Cfr. vv. 4 13 -4 1 8 .

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malità e di "uccello desolato" sarà il suo gemere alla vista del corpo straziato di Polinice. Di questo corpo Antigone non teme l'infezione, ma ne ha cura e il suo è li­ bero atto di chi ama23 l'altro corpo perché altro. Certo, corpo di fratello dove però fratello è corpo in sé, distinto e plurale nelle sue più determinazioni. L'im­ possibile novità di Antigone - tale è il senso della lettura della Zambrano - è coltivare il comune non perpetrando la monstruosità dell'unico corpo, bensì ce­ lebrando nel rito della sepoltura ciò che di ogni corpo è irripetibile singolarità: la figura24 • Cura non è allora conservare intatto il corpo iniziale, ma praticare l'unito come il separato, la vicinanza come tutela della singolarità. Un simile operare si inscrive in un difficile movimento di soglia perché i suoi atti, nel rompere il circolo perfetto della potenza matema25, a questa rischiano conti­ nuamente di riconsegnare. E però solo stando nel rischio del più remoto, solo invocando la legge degli dei contro quella degli uomini, che si dà possibilità per Antigone di agire, anziché subire, il segno "monstruoso" inscritto nel suo e nel­ l' altrui corpo. Si tratta allora di sottrarre - e sottrarre non è dimenticanza o ri­ mozione - l 'intero ceppo familiare all'opacità amorfa dell'unico corpo26 ap23 Antigone si vuole chiamata all'amore: " io sono fatta per condividere l' amore, non l'odio " . Creonte volgerà tale disposizione in scelta definitiva per il regno dei morti: "se vuoi amare, scen­ di sotto terra e ama i morti" (ihid. , vv. 52 6-52 8 ) . 2 4 S e già ai genitori Antigone ha tributato gli onori funebri - " quan do moriste con l e mie mani vi lavai e vi adornai, e sulla vostra tomba versai libami" - e se "giusto fu l'onore " reso a Polinice, "in ossequio a quali principi - ella si chiede - ragiono così? (SOFOCLE, Antigone, vv. 902 904 ) . La sua risposta sarà: "Se avessi perduto il marito, avrei potuto trovarne un altro e avere da lui un altro fi­ glio, se mi fosse morto il figlio; ma ora che mia madre e mio padre giacciono sotto terra, non potrò più avere un altro fratello " (ihid. , vv. 908-9 12 ) . La cura per il corpo di Polinice è cura per ciò che è in sé irripetibile, così come è irripetibile il tipo di relazione che con questo si intrattiene. 25 Per la Cavarero quella che viene rappresentata nell'Antigone è " una comunità di sangue di so­ stanza pre-egoiga, e cioè una storia di carne narrata per materna generazione nella quale la sin­ golarità si fonda ed affonda " . Le relazioni familiari si misurano così sulla "potenza generatrice del corpo materno " tracciando " un orizzonte assoluto e in sé perfettamente con chiuso " (op. cit. , p p . 3 7 -3 8 ) . Da ciò discende la lettura che la Cavarero dà della necessità di preservare il cadave­ re di Polinice dallo scempio del tempo e soprattutto degli animali. La morte, infatti "lavorando al disfacimento delle riconoscibili sembianze, è l'antagonista di un calco materno che non sop­ porta di vedere siffatto lento sfigurarsi" (ihid., p . 40) . La tesi che qui si sostiene si distacca dalla lettura della Cavarero nel ritenere, invece, il gesto di Antigone rottura di simile logica . Tale ge­ sto, infatti, tutelando di Polinice la figura e quindi la singolarità, ne vuole impedire il riassorbi­ mento nell' unicum del corpo materno . 26 Antigone è colei che " salva tutta la sua stirpe dalla remota colpa ancestrale che veniva trasci­ nandosi come un incubo dell'essere " . n suo agire dipana "l'ingarbugliato filo della sua anomala nascita " , perciò Antigone potrebbe essere rappresentata "mentre regge un filo fra le mani; come un ragno tessitore lo estrae dalle proprie viscere, che cessano così di essere labirintiche" (M. ZAMBRANO, Il sogno creatore, cit . , p . 1 07 ) . Ciò fa di Antigone il "mediatore" e nel sacrificio che al mediatore è proprio " bisogna attraversare uno spazio deserto, una terra di nessuno, campo di -

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prendendo a sentire di ciascun corpo la vivezza di parte. Da qui l' azzardo di Antigone, il suo " tentare l'impossibile" rivendicando insieme la consaguineità e l'essere singolo, la forza della fratellanza e la determinatezza della .figura. Ma per affermare l'impossibile è necessario assumersi fino in fondo il peso del sangue indurito e, reggendone il peso, lavorare a scioglierne gli ingorghi di modo che questo apprenda a fluire leggero nella libera creatività dei legami e non a fissarsi nella torbida immobilità dei vincoli. L'iniziale richiamo di Anti­ gone alla " comune " appartenenza - la tragedia si apre con il difficilmente tra­ ducibile "o koinon autadelfon Ismenes Kara" - ha subito mostrato quest'ultima come vischiosa immobilità che tutto in sé riassorbe in vortici distruttivi. A ciò Antigone non si oppone, ma nell'assumerne la logica vi immette fluidità27. Una simile fluidità - quel che rende " empia"28 Antigone - è la pietà, praticarla, co­ me Maria Zambrano sa29, è partecipare dell'altro corpo esperendone insieme la distanza e la differenza, è patirne l'infezione senza con esso confondersi. Per­ ciò alla richiesta di Ismene di condividerne il destino di morte Antigone ri­ sponderà: " tu non hai partecipato, e io no ti ho presa con me [ . . ] . Ades e i mor­ ti sanno chi agì. Io non amo chi ama a parole [ . . ] . Non ti appropriare di ciò che non hai neppure sfiorato "30• Se non vi è materiale implicarsi nella diversità, se non vi è contagio di corpi che si sanno differenti, non vi è dunque pietà poi­ ché la pietà non è - come invece lo è la compassione - emozionata condivisio­ ne del medesimo sentire, bensì il resistersi di due estraneità che resistendosi re­ ciprocamente lasciano la traccia di sé sull' altro. L'uomo, recita il Coro, è deinoteron, che Heidegger ha inteso come inquie­ tante, spaesante ( Un-heimliche) . E inquietante e spaesante è l'agire di Antigone nel suo connettere quel che si esclude, nel suo rendere sconosciuto e insidioso .

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battaglia abbandonato dove nessuno osa mettere piede, bisogna trasgredire una legge dell' ampia giustizia " (ibid. , p. 108). 27 L' agire di Antigone trova la sua cifra esemplare nell'acqua - "offrì al morto una triplice liba­ gione" -, ella stessa per la Zambrano è fonte " poiché da lei si sparge la vita senza disperdersi, in forma trascendente. La vita che dà non a un essere umano determinato, ma alla coscienza di tut­ ti gli uomini. Vita incontaminata che vivifica, libera, salva " (ibtd. , p . 108) . 28 "E a chi domanderò aiuto, se per la mia pietà mi sono guadagnata il nome di empia? " ed an­ cora : " Guardate, o principi tebani, quale soppruso, e da quali uomini, subisco, io, dei vostri re ultima figlia, solo perché onorai la pietà " (SOFOCLE, Antigone, v. 920 e vv. 93 8-940) . 2 9 Ne ];uomo e il divino Zambrano mostra come la tragedia sia "linguaggio della pietà " e questa è saper trattare con " ciò che paralizza gli uomini nella paura. Occorre dapprima fissarlo e scon­ giurarlo, in seguito ridurlo. E questa riduzione è già conoscenza " . La quale è " reintegrazione di qualunque destino, di qualsiasi colpa anche, per quanto mostruosa sia, nella condizione umana " (M. ZAMBRANO, ];uomo e il divino, trad. di G. Ferraro, introduzione di V. Vitiello, Roma , Edi­ zioni Lavoro, 200 1 , pp. 2 02-203 ) . 3 0 SoFOCLE, Antigone, vv. 53 8-546.

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quello che è noto e acquisito. A causa di ciò ella rimarrà "senza città né sito" , "senza istituzioni né frontiere " , " senza casa e senza leggi"3 1 fino a che - estre­ mo paradosso - " ancora viva" sarà condotta " alle caverne dei morti "32 e qui so­ sterà né viva né morta. Ma è prop rio questa impossibile sospensione a fare di Antigone colei che può " fondare" . E il suo sarà un fondare che muove dal nul­ la del sepolcro e come questo è atopia e inappartenenza.

Nascere alla creatura

È nel sepolcro che si è custodito, lentamente maturando, l'oltre inespresso del­ l'Antigone sofoclea. Far sì che esso si dischiuda, diventi quella parola che per Sofocle ancora non poteva essere pronunciata, è l'obbligo filosofico a cui Maria Zambrano si vuole chiamata. Un obbligo che ella assume incominciando a parla­ re, come gli hanno insegnato i poeti, "dagli orizzonti sui quali l'altro è crollato"33 • È da lì che ella parla e quel che fin ora non era stato possibile a dirsi, per suo tramite si fa p arola. La voce che faticosamente risuona è quella di Antigo­ ne giacché essa "non poteva morire in nessun modo. A meno che non si inten­ da quel genere di morte che è transito [ . . . ] e la cui immagine più fedele è quel­ la dell'addormentarsi"34 • n sonno è " oblio" , " assenza" , è la piccola morte nella quale Antigone entra " sprofondando nelle sue proprie viscere"35, esperendo come già le era accaduto facendosi "uccello desolato" - l'aorgico di sé. In que­ sto sonno Antigone deve sostare un " tempo indefinito" , tutto il tempo neces­ sario a consumare sia la propria morte che la propria "vita non vissuta" e so­ prattutto a consumare " la vicenda della famiglia e della città"36• n tempo del consumo, però, è anche quello della "germinazione"37 nel quale a poco a poco, quasi impercettibilmente, si riprende a nascere. Ed è nascita in cui ciò che mai è stato prende forma e quel che pareva essere " più in là" , pareva essere un in­ definito oltre, sommessamente, incomincia a dare segni di sé. Beati - Beata lo è Antigone nella sua "seconda nascita" - chiamerà Maria Zambrano coloro nei

3 1 M. HEmEGGER, Introduzione alla metafisica, trad. di G. Masi, presentazione di G. Vattimo, Mi­ lano, Mursia , 1 982 . 32 SoFOCLE, Antigone, vv. 9 17 - 9 1 8 . 3 3 A. RlMBAUD, Lettera del veggente, in ID. , Opere, a cura d i D . Grange Fiori, Milano, Mondado­ ri, 200 1 , p. 454. 34 M . ZAMBRANO, La tomba di Antigone, cit . , p . 60 . 35 Ibid. , p. 5 9 . 3 6 Ibid. , p . 47 . 37 Ibid. , p. 6 1 .

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quali l'oltre matura passando attraverso " silenzi impenetrabili, malattia, aliena­ zione" , "morti apparenti "38, per "luoghi reali" e modi della coscienza. Si giun­ ge, infatti, a essere Beati " solo in uno stato di totale carenza o di continua se­ te"39, e quelle che così si conquistano non sono "virtù eroiche"40, ma " sempli­ cità, purezza, nitidezza" . Si conquista, cioè, la perfetta " condizione di creatu­ re " , " figure, parole del primo Poema, memoria desta del Fiat lux"41• Il dopo la stirpe a cui Antigone appartiene è la nuova stirpe delle " creature verginali" il cui essere verginale non è incontaminata purezza, ma la nudità fra­ stagliata e mossa di ciò che semplicemente è. A questa creaturalità Antigone na­ sce come ad una essenzialità prosciugata - la blancura dei santi di Zurbaran - e al tempo stesso ariosa e plurale. In essa il monstruoso dell'origine non è un pas­ sato interamente trascorso, né la facile emancipazione dal pre- storico, ma la di­ venuta vivezza del molteplice . È tale vivezza a donare levità alle più determina­ zioni di Antigone, ella può essere allora sorella, figlia, madre, sposa, amica esperendo ciascuna determinazione in una pienezza senza contrapposizione42• In ciò la semplicità della creatura Antigone si rivela modo della coscienza e non ingenua vaghezza del pre-logico. La semplicità è infatti spazio - spazio pu­ ro e non da colonizzare - e nell'esserlo sottrae la coscienza al suo impulso a cir­ coscrivere e definire dilatandola in un movimento incontrollato che ne vanifica ogni pretesa di onnipotenza. È questa una coscienza che rimane aperta alla pressione delle zone oscure, dei " qualcosa" che, impenetrabili, si sottraggono. Tale pressione è contiguità, ricerca di un contatto che non sia svelamento, ma costante pratica di infiltrazione. Anche la luce che illumina la coscienza della creatura non sarà una luce decisa, assoluta, piuttosto essa, come lo è l'aurora, è quieto sciabordare, tremolio. Quello che Antigone nascendo invocherà sarà al­ lora il " chiarore senza lucentezza "43 e non la luce piena del Sole: "il Sole non lascia vedere, soffoca il chiarore" e appanna il minimo, l'in essenziale, come il di più, l'eccedente. Perciò ella chiederà di essere liberata dal Sole: " questo raggio di sole che scivola dentro come una serpe, questa luce che mi cerca, sarà la mia

3 8 Ibid. , p. 63 . 39 M. ZAMBRANO, I Beati, tra d . di C. Ferrucci, Milano, Feltrinelli, 1 992 , p p . 66-67 . 4 0 Ibid., p. 67 . 4 1 M. ZAMBRANO, La tomba di Antigone, cit . , p. 63 . 42 Il nascere di Antigone alla pluralità pacificata delle sue più determinazioni rimanda all' Agathe de I.: uomo senza qualità. Anch'ella " ondeggia " "tra la sorella e la donna , la straniera e l' amica sen­ za esattamente essere nulla di tutto ciò" (R MusrL, L'uomo senza qualità, a cura di A. Frisé, Ei­ naudi, Torino 1 996, I, p. 850 ) . 4 3 M. ZAMBRANO, La tomba di Antigone, cit., p . 78. Sul problema della luce s i veda J . A . MESA ToRÉ, Antigona, el camino hacia la luz, in Maria Zambrano 1 904- 1 99 1 , Diputaci6n Provincia! de Malaga 2 000.

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peggior tortura. Non potermi liberare di te nemmeno qui o luce del Sole, del Sole della Terra "44 • Se il Sole è "Sole dei vivi" non potrà venire da lui la parola - quella parola capace di penetrare "là dove nessuna parola è mai giunta"45 - che Antigone at­ tende, ma dalla luce senza "lucentezza " : "La tua parola, luce, senza che io la comprenda, dammela, luce che non mi lasci. La parola nata in te, e non quel Sole"46• Una volta sfiorata da una simile parola la creatura Antigone parla ed il suo è balbettio47 poiché tale è "il segno della creatura" . Non è però il balbetta­ re difficoltà o " insufficienza della parola" piuttosto "qualcosa che dice tutto per l'immensità dell'amore e del timore, per la prossimità alla presenza anche solo intravista"48• Una prossimità che esige cautela ed è così che la lingua ap­ prende ad esitare, a rallentare la parola. E la parola stessa si fa paziente, si in­ terrompe e si riprende, conosce vuoti e pause, ma è così - nell'ingorgo, nell'in­ ciampo - che " la prossimità alla presenza" materialmente accede alla parola e vi si di-segna senza tradursi. Sarà questo un "parlare senza senso, in lingua sco­ nosciuta o in nessuna lingua, per parlare la lingua della speranza [ . . . ] Della spe­ ranza, che si rivela necessaria, poiché l'uomo che torna dalle tenebre non sa più nulla"49• E più nulla sa la creatura Antigone, ma il suo non sapere è "fame d'es­ sere" che " chiede conoscenza"50•

Nell'esilio del sepolcro

Balbetta la creatura Antigone e balbettando l'inaudito tra della sua condizione - tra la vita e la morte, tra i vivi e i morti - si de-scrive nella parola. E questa si estenua fino ad accogliere quel movimento che da sempre è stato il movimen­ to di Antigone. Già da bambina il suo gioco era calpestare la linea: " nel gioco io ero quella che calpestava più volte la riga [ . . . ] facendo sempre avanti e in-

44 Ihid. , p. 69. 45 Ihid. , p . 7 0 . 46 Ihid. 47 È stato fatto osservare da Adriana Cavarero che nella Zambrano " porre al centro la vocalità come qualcosa di singolare, sganci la vocalità dalla categoria moderna di individuo, ossia del­ l'ente fittizio, disincarnato e seriale, replica del medesimo" (A. CAVARERO, Risonanze, in C. ZAM ­ BONI (a cura di), Maria Zamhran o, in fedeltà alla parola vivente, Firenze, Alinea , 2002 , p. 47 ) . Ciò consente inoltre alla Zambrano di tornare alla "fonte sonora e liquida di un senso che precede ed eccede la logica del concetto " (ihid. , p. 5 5 ) . 48 M. ZAMBRANO, Dell'aurora, trad. e a cura di E. Laurenzi, Genova, Marietti, 2000, p. 9 1 . 49 Io., lA religione poetica di Unamuno, in lo. , Spagna: pensiero, poesia e una città, trad. d i F. Ten­ tori, Firenze, Vallecchi, 1964 , p. 86. 5 0 Ihid.

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dietro" senza mai sostare o là o qua: "io sono passata sulla riga e l'ho oltrepas­ sata, l'ho di nuovo passata e ripassata, andando e venendo dalla terra proibi­ ta"5 1 . È stata questa la terribile colpa di Antigone, la colpa che ella ha perpe­ trato continuando nel suo impossibile andirivieni, mai scegliendo la sicurezza del dentro e neppure l'abbandono alla caotica confusione del fuori, ma volen­ do il dentro-fuori, volendo il tra. Se la pena inflittale da Creante ne ripete la colpa - colpa è per la legge del­ la polis il tra , la "seconda nascita" di Antigone è creazione del mai stato del tra. Ed è così che il sepolcro da luogo di impedimento e negazione trapassa in quella sospensione che solo all'esilio è propria. L'esilio, infatti, è spazio bianco dove nulla è, dove si è " smesso di essere tutto " per "mantenersi nel punto pri­ vo di qualsiasi appoggio"52. Perciò in esso tutto può ancora essere, bisogna però farlo essere. Questo accade se si abita l'esilio senza volgerlo in nuova pa­ tria, se si rinuncia alla determinatezza del luogo per accedere al difficile di più dell 'atopia e si fa essere dimora l'inappartenenza e l'improprio . L'esilio è quindi "l'atmosfera" , "l'aura" nella quale la creatura si muove. Da esiliata la creatura conosce il dono che l'esilio fa a chi a esso si concede senza riserve: il "risveglio senza immagini" , " senza immagine di se stesso" e " senza al­ cuna immagine della realtà"53 . È questa la perfetta passività per la quale si è tra­ sportati per un istante - e solo nell'istante - "sulle sponde della fonte della vi­ ta"54 . È un attimo che trascorre " inafferrabile" , senza che lo si possa neppure decifrare " perché non c'è stata conoscenza" , nemmeno una semplice registra­ zione55. Qualcosa però rimane: è il segno dell'essere stati guardati - l' amore ci preesiste e " ci guarda" -, del c'è che amorosamente vi è diretto verso di noi an­ cor prima che noi provassimo per esso meraviglia, ancor prima che mostrassi­ mo stupore per il suo semplice esserci. L'esilio nella sua radicalità - radicale è l'esilio di Antigone - è anzitutto questo sguardo che imprimendosi in noi deci­ de del nostro guardare e lo fa essere un guardare amorosamente. Laddove amo-

5 1 M. ZAMERANO, La tomba di Antigone, cit . , p . 76. Su questo tema si veda di R. PREZZO, Imma­ gini del sottosuolo. I.:Antigone di Maria Zambrano, in M. INVERSI (a cura di) , Antigone e il sapere femminile dell'anima, Roma, Edizioni Lavoro, 1 999. 52 M. ZAMBRANO, I Beati, cit . , p . 3 6 5 l ID . , Chiari del bosco, trad. d i C. Ferrucci, Milano, Feltrinelli, 1 99 1 , p . 23 . 54 Ibid. Scrive la Zambrano: " Svegliarsi nascendo o svegliarsi esistendo è l'alternativa che si offre inizialmente all'essere umano . Colui che sceglie - si tratta di " scelta " e non di " caso" - di sve­ gliarsi nascendo è aperto ad un " sentire" diffuso e pervasivo: " tutto lo tocca, in tale stato; un tut­ to che, se lo si lascia, si andrà dispiegando. E allora egli, colui che nasce a ogni risveglio, emer­ gerebbe, per lievemente che fosse, in una specie di ascensione che non lo svelle da questo suo p rimo suolo natale, in questo luogo originario che pare sia come un' acqua in cui l' essere germi­ na e che non si può chiamare natura, ma forse semplicemente luogo di vita" (ibid., pp. 25-2 6 ) . 5 5 Ibid. , p . 2 3 .

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rosamente è segno che si incide lieve e tenace sull'altro senza che ve ne sia pos­ sesso e senza che con esso ci si confonda. Questo sguardo amoroso è modo del­ l'aver cura di ciò che è, cura della sua libertà e quindi del suo poter essere pos­ sibile. Da esiliata Antigone fa proprio simile sguardo ed è così che la pietà, che era stata di lei " dissennatezza " e colpa, nasce a se stessa e diviene modo di esperire del­ l' altro l'alterità, di sentirla56 tale alterità sapendo con questa trattare'57 e comunica­ re. E trattare e comunicare sono modo di piegarsi del cum: è sentirsi con le cose sentendone al tempo stesso l'eterogeneità, è "coscienza della solitudine e insieme della partecipazione, della relazione"58• Non è perciò la pietà annichilimento o in­ debolimento delle differenze, ma loro fluidità, loro indecidibile movimentd9• Es5 6 Il sentire, scrive Zambrano in Per una storia della pietà, " ci costituisce più di qualsiasi altra del­ le funzioni psichiche; potremmo dire che le altre le possediamo, mentre il sentire lo siamo. Per questo il sentire è sempre stato un segno supremo di veridicità, di verità viva : la fonte ultima di legittimità di quanto l'uomo dice, fa , pensa " (M. ZAMBRANO, Per una storia della pietà, in " aut aut " , 279 [ 1 997] , p. 64 ) . n sentire è in tal senso l'originario impattare di io e mondo, è esperien­ za radicale di questo. Va qui sottolineato come la riflessione della Zambrano rimandi a quella svi­ luppata sul tema da Machado, il quale in una nota del 1 924 , "Revisione dei luoghi comuni in uso " , faceva osservare come i sensi non siano " organi selettivi" : "la parola scelta o selezione è im­ p ropria e ci porta gravi errori. La selezione suppone coscienza di ciò che si prende e di ciò che si lascia . I miei occhi non scelgono le vibrazioni eteree che vanno dal rosso al violetto, ma sono le uniche che percepisco. Esse quindi non sono scelte, ma imposte. [ . . . ] I nostri occhi reagisco­ no dinanzi a vibrazioni etere e di determinata frequenza : dinanzi a queste, e non ad altre. Ne ri­ sultano i colori dell'iridi nel campo della nostra visione: tutte le altre visioni dell'etere delle qua­ li non abbiamo percezione non sono neppur lontanamente il residuo della nostra selezione. Nul­ la abbiamo scelto" (A. MAcHADO, Opere, trad. di O. Macrì e E. Terni Aragone, Roma, Lerici, 1 968, pp. 129- 1 3 0 ) . 5 7 La pietà è p e r l a Zambrano "il sentimento o r iginario " , " la patria d i tutti gli altri " . Essa è "il sentimento diffuso, gigantesco che ci situa in modo adeguato tra tutti i piani dell' essere, tra gli esseri più diversi. Pietà è saper trattare con il diverso, con quello che è radicalmente altro da noi" (M. ZAMBRANO, Per una storia della pietà, cit., p. 67) . In ciò la pietà è l'esatto contrario dell'invi­ dia, la quale è " a vi dità dell'altro " , è mantenersi con questo in uno stato di con-fusione. n termi­ ne invidere " già nella sua composizione, dichiara il dentro che c'è in quel guardare l' altro . Guar­ dare e vedere un altro non fuori, non lì dove l' altro sta realmente, ma in un dentro abissale, un dentro allucinato " . Vi è perciò una stretta relazione fra invidia e incesto tragico: " forma di pa­ rentela tragica nella quale l'uno non può separarsi dall'altro, in cui, chiamato a essere uno, non trova la sua unicità e si accorge di vivere nell' altro " (Io., /.}uomo e il divino, cit . , p. 259). 5 8 Io. , Per una storia della pietà, cit . , p . 68. 59 In tal senso la pietà è critica radicale dell'idea moderna di coscienza così come questa si è an­ data configurando a partire da Descartes: " luo g o in cui l'uomo si liberava da quel mondo infer­ nale e sotterraneo, simbolizzato nella metafora delle viscere " . La coscienza sarà spazio inaccessi­ bile " per tutto ciò che non fosse umano, dove ogni cosa non interamente umana era sottomessa all'umano, oppu re eliminata senza lasciare traccia, La coscienza, nella sua impassibilità, agisce con la silenziosa energia di ciò che non lascia spazio a niente di estraneo . La coscienza non tol­ lera l' estraneità" ( Io . , /.}uomo e il divino, cit., p. 147 ) .

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sa è " questo sentire quando è sentito da un soggetto, cioè da qualcuno che non sente semplicemente la realtà in modo diffuso e omogeneo, ma la " specie o i generi"60. Ossia, è il sentire di qualcuno che nella sua concreta, materiale de­ terminatezza sente la concreta, materiale determinatezza di altri qualcuno/qual­ cosa e ne diviene partecipe nell'esperire di questo la durezza, l'urto , la ferita. Non è dunque la pietà una forma di benevolenza, né è generosa attenzione o diffusa tenerezza. Così come non è compassione - Antigone non è Ismené1 o rispetto62 e neppure è tolleranza poiché il tollerare sempre tiene fermo l'altro in un'infanzia senza svolgimento . È piuttosto proprio alla pietà ciò di cui per Hegel "l'amore si sdegna" : il permanere di "ciò che è ancora separato, di ciò che è una proprietà " , " l'opposizione che [ ] resiste o che resta addirittura sal­ da"63 . Pudore chiamerà Hegel questo doloroso trattenersi delle parti e se esso subentra " con il ricordo del corpo, con la presenza personale, col sentire l'in­ dividualità "64, vi è allora anche un pudore della pietà che mai dimentica il cor­ po, la presenza p ersonale, l'individualità. Solamente che la pietà fa del non di­ menticare un modo di entrare in contatto e del permanere delle distinzioni un transito e uno scambio. Ciò significa che la pietà, nell'assumere come irrevoca­ bile l'intransitività delle singole parti, ne pensa insieme il movimento, la comu­ nicazione, il nesso . E lo pensa non solo fra diversi le cui identità, per quanto in opposizione, sono comunque riconoscibili, ma anche fra quel che non ha "chia­ rezza e distinzione" perché la pietà è anche saper trattare con il mistero che "è dentro e in ognuno di noi e, al tempo stesso, ci circonda e ci avvolge " , in cui "viviamo e ci muoviamo"65 . Agli albori del mondo il sacrificio66 era stata l a maniera d i comunicare - un comunicare che sanciva e non risolveva la reciproca estraneità - di uomini e dei. Ed ancora dopo l'uomo medievale aveva saputo trattare con " angeli" , " mo­ stri " , " chimere" e "Dio stesso" di loro avendo segno attraverso i prodigi e i mi. . .

60 ID. , Per una storia della pietà, cit . , p. 68 . 61 A proposito della figura della sorella si veda C. FUENTES, La hermana de Antigona, " D iario 1 6 " , 7 febbraio 1 99 1 . 62 li rispetto è per l a Zambrano simile alla rassegnazione, entrambi infatti sono " atteggiamenti di­ fensivi, nient' altro che forme di resistenza, mai forme di creazione, di vera attività trasformatri­ ce " (M. ZAMBRANO, I:uomo e il divino, cit . , p. 2 06) . 63 G.W.F. HEGEL, L'amore, appendice a Scn'tti teologici giovanili, pp . 530-53 1 . Scrive Hegel: "il sepa rabile, finché prima dell'unificazione completa è ancora qualcosa di proprio, crea difficoltà agli amanti; vi è una specie di contrasto fra la completa dedizione, l'unico annullamento possi­ bile, l' annullamento dell'opposto nell'unificazione, e l'autonomia ancora sussistente : la p rima si sente impedita dalla seconda " (ibid. , p. 530) . 64

Ibid.

65 M. ZMIBRANO, Per una storia della pietà, cit . , p . 69. 66 Cfr. ID . , L'uomo e il divino, cit. In particolare si veda il cap. Della nascita degli dei.

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racoli. Ma anche allora agire pietoso era reciproco parteciparsi, cioè attraversare l'estraneità dell'altro !asciandosene a prop ria volta attraversare. Non solo: era custodire la ferita67 dell'altro avendo cura che il proprio ferire fosse sull'altro segno privo di dominio. Perciò nella pietà il cum non rimane tratto asettico e neutralizzato, ma reciproco contagio, reciproca infezione di cui ciascuna parte reca la traccia. Non vi può essere perciò agire pietoso se non nel rischio di esse­ re macchiati68• E la macchia è segno pervicace che il tempo rende anonimo - non più di qualcuno o di qualcosa - e che come tale mai smette di agire e di conti­ nuare a trasformare .

D sogno di Diotima di Mantinea

Diotima di Mantinea - come Antigone nata a ciò che era rimasto di lei incom­ piuto e silente per troppa evidenzé9 - racconta un sogno: una piccola serpe le si era avvicinata e lei, per timore, l' aveva scacciata. Ma poi un uomo la colpì ta­ gliandola in due e la piccola serpe, ferita e mutilata, prese a tremare " come qualcuno che è rimasto nudo all'improvviso"70 • Fu così che Diotima le disse: "anima del serpente, che sei triste senza il tuo corpo, vieni con me, che ti por-

67 Il senso del ferz're va qui inteso alla maniera in cui l'ha inteso Zamboni: "non in rapporto ad un atto violento subito, ma ad una situazione che rimane sempre viva, anche contro la nostra vo­ lontà, e che non riusciamo a richiudere dimenticandoci di essa. Che non possiamo superare " (C. ZAMBONI, Sentimenti assoluti e pensiero aperto all'infinito, in " Trame" , 5 [2003 ] , p. 54 ) . 68 In tal senso la pietà rompe ciò che Esposito intende per regime immunitario dei singoli come della comunità. �immunitas è infatti: " qualcosa che interrompe il circuito sociale della donazio­ ne reciproca cui rimanda invece il significato più originario e impegnativo della communitas. Se i membri della comunità sono vincolati dal dovere della restituzione del munus che li definisce in quanto tali, è immune colui che, sciogliendosene, si mette fuori di essa " . Non solo l'immuni­ las, mostra Esposito, sottrae allo scambio, ma, ripetendo il paradigma medico, protegge da ciò che si vuole combattere e respingere inglobandolo e così neutralizzandolo: "il meccanismo del­ l'immunità presuppone la presenza del male che deve contrastare " riproducendolo " in forma controllata" : " attraverso la protezione immunitaria la vita combatte ciò che nega, ma secondo una strategia che non è quella della contrapposizione frontale, bensì dell'aggiramento e della neutralizzazione. TI male va contrastato - non tenendolo lontano dai propri confini. Al contrario includendolo all'interno di essi. La figura dialettica che così si delinea è quella di un'inclusione escludente o di un'esclusione mediante inclusione " (R. EsPOSITO, Immunitas, Torino, Einaudi, 2 002 , pp. 9 - 1 0 ) . 69 " Ci sono alcuni esseri che vogliono dire ciò che hanno taciuto i n vita, e altri bramano arden­ temente di rammentare quello che è rimasto coperto dalla luce della loro memorabile rivelazio­ ne, b ramano di parlare dalla loro penombra " (M. ZAMBRANO, Diotima di Mantinea, in In. , La tomba di Antigone, cit. , p 1 3 5 ) . 70 Ibid. , p . 14 1 .

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terò nella mia anima "71• Subito, però, l'assalì il timore: ne avrebbe mai retto il peso per quanto " debole e piccola" fosse la serpe e soprattutto avrebbe potu­ to il veleno della serpe renderla " di quando in quando cattiva " ?72 La pietà fu tuttavia più forte e Diotima prese con sé la serpe e la tenne " accanto alle altre anime"73 • Poi quasi se ne dimenticò e quando le accadeva di ripensare alla piccola ser­ pe spiava i propri movimenti e pensieri. Non notò mai "nulla di strano" , nulla, cioè, che fosse riconducibile alla serpe: non una movenza, non l'aroma del ve­ leno, non una traccia di vita animale. Fu, però, allora che Diotima iniziò a ve­ dere "in modo diverso " . Un albero, ad esempio, che sempre era stato lì, co­ minciò ad apparirle diverso: "sembrava che fino a quel momento non ne aves­ si visto che la sagoma. Non che per questo fosse più reale, era semplicemente vero. Era il solo e unico albero, era per davvero e stava qui"74• Certo, ora Diotima non vedeva da serpente e niente vi era in lei che a que­ sto rimandasse. Ma nel momento in cui l'aveva accolto la sua anima era dive­ nuta più ampia, più sottile, più penetrante. Era un'anima ricca - ricca anche del serpente senza che del serpente vi fosse più traccia di presenza - e perciò ca­ pace di vedere veramente l'albero.

Nel segno dell'acqua

È quella di Antigone una " pietà- amore-ragione" , una pietà nata al logos, ma non piegata alla sua legge. Una pietà capace da dentro di contraddire e distur­ bare il logos, di farvi agire "presentimento " e "intuizione " . L'antico gioco del passare-ripassare la linea è ora giocato nel cuore stesso del logos dalla tessitrice75 Antigone. È il gioco della pietà, la quale, sempre ri-facendolo il gioco, tratta con quel che si sottrae o è ostile, con quel che è "sottile " , " occulto " , "indistin­ to " , come tratta con il mistero, con le viscere, con il sacro . In tale andirivieni si scioglie la forza immobilizzante dell'unico sangue e di-

71 Ibid. 72 Ibid. 73 Ibid. 74 Ibid. , p . 142 . 75 Tessitrice è chiamata Antigone dall'Arpia : " Tessitrice, tu, col tuo andirivieni da una terra al­ l'altra . Col tuo antirivieni dai vivi ai morti. Da quella Legge dell'Amore che tu sola conosci a quella del Terrore " (M. ZAMBRANO, La tomba di Antigone, cit. , p. 95 ) . Se il tessere di Antigone è il connettere ciò che si oppone !asciandolo nel suo discordare, il tessere dell'Arpia è quello del ragno - " ragno del cervello " , " tessitrice di ragioni" la definisce Antigone - che tutto compone e comprende all'interno della tela che va tessendo.

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legua quel genere di amore76 che da questo nasce e della sua oscurità si ali­ menta. In loro luogo si instaura una fluidità nuova che toglie rigidità alla po­ sizioni e inventa nuovi gesti, gesti capaci dell'accogliere che sa lasciare anda­ re, del divergere che all' altro non si nega, né lo nega. L'esilio del sepolcro è per Antigone anche nascere a questi gesti: legami non più nel vincolo del san­ gue, ma nella libertà dell' acqua. Una simile libertà è sa persi figura sapendo l'altro figura e ji'g ure sono quelle che Antigone ora incontra: il padre Edipo, Giocasta, Ismene, i fratelli Polinice e Eteode, Creonte e ancora l'Arpia e la nutrice Anna77 . Sarà quest'ultima a rammentare ad Antigone la sua appartenenza all'acqua: "era come se all'acqua tu appartenessi, non alla terra"78. È Anna - la madre da venire - a educare Antigone a una natura d 'acqua come ad un 'oltranza che è il distillarsi stesso dell'umano nel dopo della creatura. Anna è niente: "una di quelle persone delle quali nessuno sa niente, delle quali nessuno può dare o avere notizie, [ . . . ] nemmeno quando mi avevano davanti agli occhi mi vedeva­ no"79. Un niente che non è però residuo indivenuto del sacro, piuttosto levità raggiunta fino all 'essenzialità della pura sonorità: " Quando parlavo o cantic­ chiavo un po', allora sì, mi ascoltavano"80 e quello che diceva era solo quello che era da dire. La parola di Anna è la parola perfettamente comunicante perché prosciugata di mondo e solo di sé risuonante. La parola di chi può essere "vi­ va o morta" perché oltre ogni appartenenza e disponibile alla loro indifferen­ za. Perciò Anna è creatura d'acqua e dall' acqua ricava il poter trascorrere fra più dimensione senza in nessuna fissarsi. Ed è questa leggerezza nel segno dell'ac­ qua che ella rammenta ad Antigone e Antigone ricorda: "io restavo come una libellula sopra una foglia o sotto la foglia, verde come lei e senza peso, vicino all'acqua sull'orlo del ruscello "81 • Il dono che Ann a le reca nel sepolcro non po-

76 L'amore, come l'invidia , è "l' avidità dell' altro " , un avidità che porta a trasformare l'altro in uno: "l'amore vede l'altro come uno " (ID . , I:uomo e il divino, cit . , p. 2 59) . Nel dialogo con Ar­ pia questa ricorderà ad Antigone che non l'amore l'ha mossa bensì la pietà. Dissociare amore e pietà è ciò che si p ropone la " ragionante" Arpia, il tentativo di Antigone è invece far sì che amo­ re e pietà siano " una cosa sola " e nel divenirlo l' altro sia mantenuto nel suo essere altro. 77 Quella di Antigone è per la Zambrano una " coscienza nata" la cui luce non solo rivela , ma " si­ tua tutti i personaggi che circondano il dramma conosciuto, e, nel suo seguito, ancora incom­ piuto" Ed è così che " colei che era stata giudicata, giudica senza emettere giudizio alcuno. È un centro vivente e, a differenza della coscienza esclusivamente morale, non ha bisogno di discer­ nere, né di valutare. Da questo centro e alla sua luce, ogni personaggio o persona compare al p ro­ prio posto, nella dimensione temporale che gli spetta " ( ID . , Il sogno creatore, cit . , p. 1 1 3 ) . 78 In. , La tomba di Antigone, cit., p . 85 . 79 Ibid. 80

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Ibid. Ibid. , p. 86.

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trà allora che essere acqua, di questa Antigone ha bisogno per lavare la sua "pelle di terrore" e poi, a sua volta, poter lavare: " ora ho il bisogno di lavare io "82. Anzitutto il sangue che il "monstruoso" della storia familiare - ma anche di tutta la storia - ha indurito fino a farlo essere sangue-pietra e il "sangue, co­ sì, porta sangue, chiama sangue, perché ha sete, il sangue morto ha sete, e poi arrivano le condanne, più morti, sempre di più, una sfilata senza fine "83 • Perciò è necessario gettarvi sopra molta acqua - l'acqua di cui solo l'esilio dispone - e lasciare che il sangue dorma nella terra finché da questa ri-nasca nella fluidità dell'acqua. E come l 'acqua prenda a sgorgare "in una sorgente, in una fonte" a cui anche gli uccelli bevono non più in "monstruosa" confusione, ma nel tran­ sitare pietoso a un'animalità che ci appartiene e a cui apparteniamo . Non si tratta con ciò di negare o sublimare il sangue, piuttosto di farlo nascere all'in­ consistenza densa dell 'acqua liberandolo dalle scorie del sacro e dal peso delle v:iscere84 • Ed è per questo sangue divenuto fluido che il "monstruoso" dell' uni­ co corpo trapassa nel corpo multiplo: il corpo la cui molteplicità è saputa dalla coscienza e agita nella storia. "Tu sei la mia ragione " , " tu sei la mia parola" , "tu sei lo specchio nel quale un uomo può guardarsi" 85 dirà Edipo ad Antigone. Ed è guardandosi in e at­ traverso Antigone che Edipo sa della falsità del suo movimento: "ho voluto in­ nalzarmi, salire, inerpicarmi come l'edera. Una radice che si inerpica, ecco ciò che sono stato "86• L'espandersi della radice, il suo crescere senza dar luogo a na­ scita, è mostruosità che mai accede alla forma, che mai trapassa nella persona e mai esperisce storicamente la pluralità del proprio corpo. Perciò quella di Edi­ po è stata una nascita priva di nascita: "Terra, Madre, che fai di me, dell'uomo? Quando lo lasci uscire, dovrebbe essere all'aria; è invece no, nello stesso mo­ mento in cui lo spingi fuori lo trattieni, tu, la sua caverna, in cui viveva senza vedere, avvolto nelle sue viscere, le sue radici, nell 'oscurità del paradiso primi­ tivo, la tua nebbia"87 . Di questa, come di ogni altra nascita mai stata o incomB2 Ibid. , p. 89. 83 Ibid. , p. 7 7 . 84 L' acqua, come Antigone ricorda, ha " una radice oscura" (ibid., p. 7 0 ) , tale oscurità è quella del­ le viscere stesse: " Viscere, ha la terra , in cui la luce è custodita scintillante, indelebile. La luce for­ mata di acqua e di fuoco, di aria e di sale " (M. ZAMBRANO, I Beati, cit . , p . 20). Lo stesso pianto di Antigone - lo rammenta Diotima di Mantinea - è acqua che " s gorga da una ferita che nessu­ no scopre, sulla quale nessuno si china se non per bere; la vita stessa nella sua presenza primige­ nia. L' acqu a " (ID . , Diotima, cit . , p . 1 45 ) . 85 ID . , La tomba di Antigone, cit . , p . 82 . 86 Ibid. , p. 80. Afferma la Zambrano a questo proposito: "il suo impeto era simile a quello del­ l' edera, come lui figlia di Dioniso, che cresce verso l' alto sfuggendo alla sua condizione stri­ sciante, alla sua debolezza essenziale " (ID . , I.:uomo e il divino, cit. , pp. 142 - 14 3 ) . 87 ID . , La tomba di Antigone, cit . , p . 83 .

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piuta, Antigone - ella stessa nata - si fa tramite: " Come potrò farcela? Come potrò, io, farli nascere tutti? E tuttavia, sì, io . . . io, sì, sono pronta. Per mio tra­ mite, sì. Attraverso di me"88• Ma farsi tramite di nascita è anche testimoniare di nascite che non accado­ no, nascite impedite dai grovigli del sacro, trattenute dalla forza risucchiante di questo. Ed ancora è custodirne la latenza accettando di farsi segno di quel che non è pronto a nascere. Non pronta a nascere è la madre e di questo non an­ cora Antigone si fa custode. L'Ombra ambigua della madre si depone in lei e lei, rinunciando al proprio sogno di figlio che sempre vuole "la purezza della madre " , se ne lascia attraversare: "L'ombra di mia madre è entrata dentro di me e io, vergine, ho provato il peso di essere madre"89• In ciò la Madre diventa an­ che figlia e la figlia è purificata dall'impuro della Madre90• "L'Amore e la Pietà" divengono così " una cosa sola " e "l'oscuro mistero" della madre, anziché vin­ to, è pietosamente amato. Amarlo pietosamente significa qui poterlo lavare e la­ vare non è catarsi né redenzione, piuttosto è saper trattare con il negativo agen­ done la forza di opposizione senza ridurla ma togliendole violenza e distrutti­ vità. Quel che fin ora era negatività chiusa in se stessa si libera al suo possibile e possibile non è auspicio o speranza del placarsi o trasformarsi dell' opposizio­ ne, piuttosto è saperne l'indecidibile essere in movimento. Un in movimento che a sua volta chiede movimento, vale a dire continuo riformularsi delle posi­ zioni, continui spostamenti e dislocazioni che rendono necessari nuovi gesti, nuovi modi di costruire nessi, di stringere nodi. A una consistenza multipla dei corpi, a un'intimità che non redime l'estra­ neo, né unifica il separato, chiama, dunque, la pietà. Lungo tale via, percor­ rendola senza temerne la fatica e l'azzardo, si giunge ad essere fratelli fuori dal­ la stirpe, fuori dall'uno del sangue. Ma sapersi fratelli è chiamarsi al "gioco to­ tale" , il quale è il gioco che pone termine " al processo tragico" e "apre il cam­ mino alla libertà "91• Perché ciò accada è necessario che nessuno ne sia escluso ed è così che la pietà di Antigone sarà rivolta alla docile fissità di Ismene, si farà partecipe del corpo impuro della madre, come di quello indefinito del padre. Accoglierà il divergere di Creante, e l' aspirazione all'unione di Emone. E non sarà soltanto cura del corpo sconfitto di Polinice, ma egualmente saprà volger­ si a quello ricoperto di onori Eteocle. Se allora la pietà è gioco di tutti e dove il tutto di ognuno sempre vi entra, quella che essa mira a edificare non è, come

88 Ihid. , p. 84 . 89 Ihid. , p. 93 . 90 " E ora, ora non so quello che mi attende. Purificata dall'ombra di mia Madre, attraversata den­ tro di me, rimango ancora qui" (ibid. ) . 9 1 Cfr. In. , I.:uomo e il divino, cit.

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vorrebbe Polinice, la "terra nuova, libera da maledizioni "92. La terra dove non vi sono più "né figli, né padri" , dove "l' amore non è accerchiato dalla morte" e "vanno i già nati, quanti si sono salvati dalla nascita e dalla morte" . In simile terra si penserà "senza avere coscienza, senza passare da una cosa all'altra, da un pensiero all'altro" . Tutto vi trascorrerà "in un cuore senza tenebre "93 e sen­ za tenebre e senza luce sarà la " chiarezza" che la dominerà. Sarebbe però que­ sta una terra assoluta perché priva di conflitti e di contraddizioni e nell'esserlo essa altro non sarebbe che la ripetizione rovesciata della Notte iniziale: conti­ nuum che ignora le singolarità per affermare la con-fusione del tutto. Ma pro­ prio di ciò la pietà è critica radicale: essa è il sentire del discontinuo, è scontro, ferita e relazione di parti fra loro sconnesse e fra loro non naturalmente in rap­ porto94. Per essa non si smette di essere figli e padri per essere solo fratelli e so­ lo alcuni dei fratelli, come vorrebbe Polinice. Il veramente nuovo della terra, che per la pietà si afferma, non è il neutro né di figlio né di padre, ma il corpo multiplo, ossia il corpo che continuamente nasce al suo possibile di figlio, di pa­ dre, di fratello, di amante, di madre e finanche di nemico. Simile corpo sa in­ l'in-contro mantiene in sé il contro , quello di contrare ogni altro corpo Creante come quello di Eteocle e alla domanda di quest'ultimo: "non sono vo­ stro fratello anch'io ? " risponde sì. Non dire sì, non saper comprendere l'im­ puro del nemico e dell'altro fratello, rifiutare il loro contagio e il loro contro, si­ gnifica cedere all'utopia della purezza assoluta dove il "gioco totale" si capo­ volge in totalità senza gioco . Se la pietà non sceglie ed esclude, mai, però, rischia l'accettazione indiffe­ rente dell'esistente. Quella a cui Antigone inizia è "pietà di pietra" , dura ed esi­ gente, non solo offre ma anche chiede, non solo accetta, ma anche vuole dare. Ricorda Antigone che da quando, esuli, lei ed Edipo giungevano in una nuova città, benché generosa fosse l'accoglienza che vi ricevevano, erano sempre "ospiti, invitati " . Non però quello che veramente erano: "mendichi, naufraghi che la tempesta getta su una spiaggia come un relitto"95 . E allora, per non ve­ derne la miseria, accadeva che li coprissero di "generosità" , invece loro avreb­ bero voluto donarla quella miseria, avrebbero voluto donare il loro essere stra­ nieri, la loro debolezza, la loro erranza, avrebbero voluto donare "il peso del cielo" e l' assenza della terra e donarli come un " tesoro" che modifica chi lo ri­ ceve ma anche chi lo offre. -

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92 ID . , La tomba di Antigone, cit . , p. 1 05 . 9l Ibid. , p. 108. 94 n corrispettivo politico della pietà è perciò la democrazia in quanto " regime dell'unità della molteplicità, e pertanto del riconoscimento di tutte le diversità, di tutte le situazioni più diffe­ renti" (lo., Persona e democrazia, cit . , p. 1 9 5 ) . 95 ID . , La tomba di Antigone, cit . , p . 1 1 9.

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Vi sarà mai una terra nel segno della pietà? Per farsene costruttori bisogna prima di tutto aver appreso ad essere esiliati e, come Antigone, esperire quel tra che non consente dimora, che non consente desiderio o nostalgia della pa­ tria. E qui non consentire è molto di più della rinuncia: è non volere per volere "il deserto nell'anima, nella mente negli stessi sensi, aguzzando l'udito per evi­ tare i miraggi e ascoltare le voci " . Si impara così a "essere mosso dalla luce " , a riconoscere "le presenze senza figura e senza inganno , la convenzione delle im­ magini e le parole che danno freddo"96• Si impara a "non farsi sfuggire nulla" come se si fosse "una sentinella sull'estremo confine della terra conosciuta"97 •

96 Io. , I Beati, cit . , p. 42 . 97 Io. , La tomba di Antigone, cit., p. 1 2 1 .

L'OMBRA DI ANTIGONE di Anna Panica/i

Ho intitolato L'ombra di Antigone la mia lettura scenica del testo teatrale di Maria Zambrano1 perché la figlia di Edipo, non avendo mai avuto la possibilità di rivelarsi, ovvero, non avendo mai vissuto la sua vita, appartiene al "regno dell'ombra " , come dice la filosofa spagnola nel Delirio del l 947 : Le fu sottratto il suo tempo tra i vivi per lasciarglielo - ironia della condanna - tra le ombre. Dall'istante in cui decise di rendere gli onori funebri al cadavere di suo fra­ tello il suo essere di fanciulla appartenne al regno dell' ombra2•

L'Antigone zambraniana non è un corpo ma un'ombra, pallida, esangue; è una vita senza vita che incontriamo sottoterra, là dove Sofocle l'ha lasciata. Al­ lo stesso modo sono ombre i personaggi che vede: la nutrice, la sorella Ismene, la madre, il promesso sposo, i fratelli, Edipo e Creante che alla fine le appare per invitarla a risalire e a collaborare con la legge; con la sua legge. Zambrano, dice Rosella Prezzo, volge lo sguardo più che all'eroina "fissata nella luce del suo gesto, che tiene testa a Creante [ . . . ] , all'ombra di Antigone"3 . Ma cosa sono le ombre? Ce lo suggeriscono le pagine intitolate I miti e i fan­ tasmi. Le ombre sono apparenze spettrali, fantasmi, immagini che improvvisa­ mente riaffiorano senza essere cercate. In modo incontrollato. Sono prodotte tuttavia dalla realtà; da una realtà ossessiva che perseguita e ferisce e si ripre­ sentano, "a distanza di tempo e come senza origine "4. Antigone è un'ombra perché è condannata a "vivere da morta" , a non essere. Difatti è situata sulla soglia, fra i vivi e i morti, fra la terra e la tomba di roccia: 1 M. ZMIBRANO, La tomba di Antigone, trad. di C. Ferrucd, Milano, La Tartaruga, 200 1 . 2 ID., Delirio di Antigone. All'ombra del dio sconosciuto. Antigone, Eloisa, Diotima, trad. e cura di E. Laurenzi, Milano, Nuova Pratiche, 1997 . 3 R. PREzzo, La scrittura del pensiero in Maria Zambrano, in M. ZAMBRANO, La tomba di Antigo­ ne, cit. , p. 20. Corsivo nel testo. 4 M. ZMIBRANO, Luoghi della pittura, a cura diR Prezzo, Milano, Medusa, 2002 , p. 53 .

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ANNA PANICALI

nel luogo dove solo i morti entrano, nell'oscurità sacra di un sepolcro a riparo dagli sguardi degli uomini, nascosta alla luce, portò a compimento il proprio destino, nel quale non c'era posto per la vita. Ma neanche per la morte, perché questo genere di cose, questi sacri disegni, devono compiersi in un regno che non appartiene né alla vita né alla morte: il regno, il luogo dei sacrifici, di fronte al quale i mortali sono co­ stretti a coprirsi il volto per non vederè.

Ha sofferto una storia sanguinosa, non ha vissuto una vita individuale, sua propria, né può morire ('' Solo vivendo si può morire" ) . Non ha mai pensato a se stessa né si è mai vista. Si vede per la prima volta quando entra nella tomba: vede se stessa e il suo passato in forma di apparizioni fantasmatiche. Nella mia lettura scenica è come se dalla nebbia dell' oblio emergessero immagini e figu­ re che Antigone porta dentro di sé e si proiettassero al di fuori, su di un palco­ scenico. D'altro canto, lo afferma Zambrano stessa, il teatro è " arte che fa ve­ dere" . E in ciò assomiglia a Pasolini che in Affabulazione fa dire all'Ombra di Sofocle: "L'uomo si è accorto della realtà l solo quando l'ha rappresentata. l E niente meglio del teatro ha mai potuto rappresentarla" 6• Più che ricordi, quelle di Antigone sono visioni che scenicamente danno luogo a tanti quadri, staccati l'uno dall'altro e preceduti da una frase significa­ tiva: Io non mi ricordo di nulla, non ne ho bisogno, perché tutto, quello che ho vissuto e anche quello che avrei potuto vivere, tutta la mia vita, è presente dinanzi ai miei occhF .

Sono visioni originate dal movimento retrospettivo, di chi guarda all'indie­ tro, "volgendo lo sguardo alle spalle"8; visioni di una memoria trafitta e per­ corsa da lampi che vanno verso il passato, ma al tempo stesso guardano all' av­ venire: fantasmi, ombre del passato o del futuro (basti, come esempio, l'utopia della città dei fratelli; un'utopia non idilliaca, cui Zambrano pensava da tempo, giacché nei Quaderni del caffè Greco9, tradotti da Carlo Ferrucci e datati 195 8, parlava di Antigone come l a tragedia della guerra civile, ovvero di una frater­ nità che ha all'interno di sé anche il nemico) . Maria Zambrano nel Delirio di Antigone c i dice che la fanciulla non riuscì a

5 Io. , Delirio di Antigone, cit. 6 P.P. PASOUNI, Affabulazione, in Io. , Teatro, a cura di W. Siti e S. De Laude , Milano, Mondado­ ri, 200 1 , p. 520. 7 M . ZAMBRANO, La tomba di Antigone, cit . , p . 1 0 5 . 8 Io. , Il metodo in filosofia o le tre /orme della visione ( 1 972 ) , i n " aut-aut " , 2 7 9 ( 1997 ) , p . 7 1 .

9 Cfr. Io., Questioni di vita e di morte, in "La Repubblica " , 2 0 aprile 2004 , p . 42.

L'OMBRA DI ANTIGONE

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scoprirsi; a volgere lo sguardo su di sé; a capire se stessa: " ebbe appena il tem­ po di sapere di esistere, di vedersi e di essere vista. Simbolo perfetto della ver­ ginità che non si è neanche accorta di sé " 10. Sia in vita, in quanto vergine, sia in morte, è stata condannata a non gene­ rare nulla: neppure la parola. Può solo delirare, abbandonarsi al grido, urlare con tutta la voce che ha in corpo la sua ribellione contro il potere e, insieme, il suo dolore esistenziale; estrinsecare le sue passioni che, pur contrastando, con­ vivono nel suo cuore: dovette lasciare che erompesse in lei, con la stessa purezza del grido contro Creonte, l'urlo della sua vita non vissuta; l'urlo del suo amore di donna che viveva, larvato, ad­ dormentato nel suo petto 1 1 •

Dirà nel Sogno della sorella: "lo però sono qui che deliro, ho voce, ho vo­ ce . . . " 12. Perché il delirio è soprattutto oralità; voce che chiede di essere ascol­ tata. La parola nascerà solo alla fine, dopo che è stata ripercorsa l'intera vita. E sarà la luce dell'Aurora che, emergendo dall'oscurità, consentirà ad Antigone, diventata cieca alla terra, di svegliarsi alla coscienza: " di andare a costituirsi nel­ l' autonomia del proprio essere " 13 ; di disporsi a nascere e continuare a nascere interminabilmente. Lei stessa, d'altro canto, "è la primavera della coscienza umana, la purezza della coscienza, e per questo risorgerà ancora e ancora dal suo sepolcro per rischiarare il mondo" 14• li testo teatrale di Maria Zambrano è a mio avviso un'interrogazione sul pas­ sato. Osservato con lo sguardo di chi è sul crinale tra la vita e la morte, si illu­ mina e torna a essere vivo: viene rivissuto e riscattato. Era racchiuso come in un antro; ora si libera convertendosi in immagini che si rappresentano sulla sce­ na: "l'uomo è un essere nascosto in se stesso, e perciò votato e obbligato a es­ sere se stesso " 15 • La " caverna" platonica non è forse un simbolo del luogo in cui gli uomini soffrono perché non hanno ancora avuto la possibilità di nascere? E la stessa " cavità " dove sono radicate immagini " dense di rappresa forza " , per dirla con Mario Luzi, non è forse la memoria abbagliata dalla luce del Sole (il concetto, l'astrazione filosofica) e dell'Aurora (la poesia e l'esperienza vitale) ?

1 0 In ., Delirio di Antigone, cit. 1 1 Ihid. 12 lbid. , p. 78. 1 3 1D., Il sogno creatore, a cura di C. Marseguerra, Milano, Bruno Mondadori, 2002, p. 99. 14 In ., Delirio di Antigone, cit. 1 5 In ., Chiari del bosco, trad. di C. Ferrucci, Milano, Bruno Mondadori, 2004, p. 30.

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ANNA PANICALI

Allo stesso modo, la tomba di Antigone non è che "la nostra coscienza ottene­ brata" . La figlia di Edipo continua a gemere e a delirare e non possiamo non sentirla, essendo sepolta dentro di noi, "in ciascuno di noi " . Lo diceva Zam­ brano già nel Delirio del 1 947 , che ho tenuto presente nell'interpretare l'opera teatrale ultima. È vero: con Antigone è la vita stessa che è rimasta sepolta. Tut­ tavia, " ciò che è stato relegato nella più profonda oscurità o condannato all'o­ blio non sparisce" 16: si risveglia, risorge, così come dal silenzio torna lentamen­ te a germinare la parola.

16 R. PREzzo, La scrittura del pensiero, cit., p. 18.

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L'ombra di Antigone Riduzione teatrale con voci fuori campo17

CoRO: "Fermo decreto è dunque ch'essa muoia? " . (Sofocle) Niente può cambiare. "Tu, Antigone, sepolta viva, non morirai, ma andrai avanti così, né nella vi­ ta né nella morte, né nella vita né nella morte . . . " . (Sofocle) CREONTE: "La condurrò per via deserta, intatta d 'orme umane, a una fossa nel­ la roccia e ne farò il sepolcro di lei viva " . ( Sofocle) ANTIGONE: Sono qui, fratello. Non mi aspettavi ? Per incentrarti devo conti­ nuare a scendere. Qui siamo ancora sopra la terra. E questo raggio di sole che scivola dentro come una serpe, questa luce che mi cerca, sarà la mia peggior tortura. Non potermi liberare di te nemmeno qui, oh luce, luce del Sole, del So­ le della Terra. Non esiste, un Sole dei morti? Devi perseguitarmi tu fino a qui, Sole della Terra, devo saperlo da te se è notte, se è giorno; se il Sole è lì che irrompe, sog­ giogando l'Aurora, o se sta finalmente sprofondando nel mare, devo continua­ re a saperlo . . . sempre. A questo non avevo pensato. E finché vedrò te, luce del Sole, continuerò a vedere anche me e saprò che io, Antigone, mi trovo ancora qui, come mi trovo, e mi ci trovo ancora sola, sì, sola nel silenzio, nella tenebra, ancora perseguitata da questo Sole dei vivi che non si decide a !asciarmi. Sola e perseguitata da te, luce dei vivi, luce dei miei stessi occhi che non altri che te e me staranno vedendo. E cos'è che mi dici, tu, luce del Sole? Sì, ora lo so, a ogni spuntar del gior­ no mi facevo incontro a te, luce pura del mattino, che diventavi rosa, rossa, a volte: eri l'Aurora. lo aspettavo da te la parola e tu mi davi soltanto il Sole, gior­ no dopo giorno, il Sole. Non sono mai arrivata a udirti; mai, da quel silenzio così bianco del tuo essere, ho visto nascere la parola. Non per dare questa ti in­ cendiavi, ti incendiavi solo per il Sole . . . solo per il Sole ti incendiavi, solo il So­ le mi davi. E ora, vieni a dirmi qualcosa, luce del Sole? Potessi io finalmente udirti, po­ tessi tu dirmi quella parola, una sola, che arrivasse dritta fino in fondo al mio cuore, là dove, ora lo so, nessuna parola è mai giunta, né quella del mio giudi-

17 Le voci fuori campo che spezzano il testo e fungono da richiami sono di Sofocle, di Mario Lu­ zi e della Zambrano stessa.

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ce, né quella di mia sorella, né quella dell'amore; dove nessuna parola è entra­ ta, né pianto, né gemito; dove non sono arrivati nemmeno i lamenti del fratel­ lo implorante la sepoltura, né alcuna voce di creatura vivente: né il muggito del toro, né il canto dell'allodola, né il possente sussurro del mare vi sono mai giun­ ti, né niente della vita. La tua parola, luce, senza che io la comprenda, damme­ la, luce che non mi lasci. La parola nata in te, e non quel Sole. Adesso, però, che riapro gli occhi che avevo chiuso per invocarti, Aurora, tu non ci sei più; e tu nemmeno, serpe del Sole calante. Mi odi, luce cangiante, mi hai udito e sei fuggita? Sei, tu, così? Così sei tu ? Adesso sì, nella tenebra completa e senza più ombra, almeno. È in alto, però, sopra la terra, e non dentro di essa, che io mi trovo; io credevo che sarei entrata nel popolo dei morti, mia patria, invece no, sto fuori, di fuori. Non nel cuore della notte, in atto di sentire i battiti del cuore dell'eterna madre terra. Lì berrei dell'acqua, dalla radice oscura dell'acqua. Invece no: la gola secca, il cuo­ re vuoto come un'anfora di sete, sto qui nella tenebra. Perché ora conosco la mia condanna: " Tu, Antigone, sepolta viva, non mo­ rirai, ma andrai avanti così, né nella vita né nella morte, né nella vita né nella morte . . . . "

Io non mi ricordo di nulla, non ne ho bisogno, perché tutto, quello che si dice tutto, quello che ho vissuto e anche quello che avrei potuto vivere, tutta la mia vita, è presente dinanzi ai miei occhi.

ANTIGONE e ANNA, la nutrice ANTIGONE: Anna, da dove vieni? Dimmi, dimmelo, da dove vieni. Ti ho persa di vista, allora. Da quella volta, non ti ho più veduta. E dato che nessuno non mi ha più detto nulla di te, non sapevo se . . . ANNA: lo, bambina, tu lo sai, sono una d i quelle persone delle quali nessuno sa niente, delle quali nessuno può avere o dare alcuna notizia. Io non sono mai an­ data da nessuna parte: non sono né uscita, né entrata, e sono stati pochi colo­ ro che mi hanno visto. Nemmeno quando mi avevano davanti agli occhi, mi ve­ devano. Anche da ragazzina ero così, non so se per colpa mia. Dal momento che ero sicura di non essere vista, perché farmi notare? Quando parlavo o can­ ticchiavo un po', allora sì, mi ascoltavano. Mi ascoltavano e quando cantavo un po' più forte e di seguito, senza rendermene conto, e quando parlavo più a lun­ go, facevano perfino capannello intorno a me. Io dicevo quello che dovevo di-

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re, senza indugiare più del necessario . Dammi retta, non ti preoccupare per me, se sono viva o morta. Ti sono stata sempre accanto, senza che tu mi vedessi e senza poter far nulla quando vedevo che non avevi riposo. Quando vedevo che non riposavi mai - tu, perché io non ho di che riposarmi, né dove, né potrò far­ lo fintanto che tu, Bambina, non ti riposi di tutte le tue fatiche. E non ti acca­ drà tanto spesso, di riposarti; perché ti aspetta qualcos' altro, qualcos' altro mi­ gliore del riposo. ANTIGONE: Che mi dici, Anna? Tu, che mi distraevi sempre. Ascoltandoti, le ore mi volavano, il sonno mi andava via, quando tu quello che volevi era addor­ mentarmi. Ma il sonno mi andava via e io restavo . . . vicino all'acqua sull'orlo del ruscello o della brocca. ANNA: Sì, bambina, stavi sempre appiccicata all'acqua e poi con la brocchetta, sempre alle prese con l'acqua come se all' acqua tu appartenessi, non alla terra; all'acqua, all'aria. Poi non ti si vedeva più; sparivi. ANTIGONE: Anna, Anna, sei sempre la stessa. ANNA: Ma certo che sono sempre, sempre uguale. Perché non sono mai stata nessuno, nulla. ANTIGONE: Anna, tu sei l'unico essere, stavo per dire l'unica dea, che ho cono­ sciuto. ANNA: Come puoi dire questo? Sei tu che io ho sempre visto così, alle prese con gli dei, è per questo che te ne andavi all'acqua, che te ne volevi andare via da qui, via da dove stiamo tutti noi mortali. Ed è questo pensiero che ti ha sempre impedito di riposare. Questo pensiero ti ha fatto penare più di tutto ciò che ti accadeva, di quello che ti accade. ANTIGONE: Ma a me, allora, cos'è che mi accadeva? ANNA: Allora, allora nulla. Sei così anche tu, siamo tutte e due di quelle perso­ ne alle quali non succede mai niente, niente di più di quello che sta succeden­ do agli altri: liberi come l'acqua, incatenati dall'amore e dalla pena di vederli soffrire e sbagliare, un giorno dopo l'altro. E questo è tutto ciò che è successo a noi due: di stare a vedere ciò che sta succedendo, ciò che succederà, senza po­ terei far niente. " Traversato il tempo, forata l'intricata siepe, si acquista, noi vecchi, una certa antiveggenza e più ancora questa nuova sensitività di sismografo che non possiamo comunicare, che nessuno vuol ricevere e forse non può " . (M. Luzi)

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ANTIGONE: Te ne sei andata, Anna, te ne sei andata già? Ah, sì: mi hai detto, o

è come se mi avessi detto, che mi aspettavi accanto alla fonte.

lo non mi ricordo di nulla, non ne ho bisogno, perché tutto, quello che si dice tutto, quello che ho vissuto e anche quello che avrei potuto vivere, tutta la mia vita, è presente dinanzi ai miei occhi. I FRATELU ANTIGONE: La verità, la verità da sola a sola. Ancora. Se volevate vivere davve­

ro, bisognava lasciare un istante, fosse pure uno solo, alla verità, alla verità del­ la vita, un poco di tempo. PoUNICE: La vita non lo lascia, questo tempo. Dovevamo . . . ANTIGONE: Sì, dovevate morire e ammazzarvi. I mortali devono ammazzare,

pensano che se non ammazzano non sono uomini. Li iniziano così, prima con gli animali e con il tempo e con quel granello di purezza che si portano dentro, e poi con altri uomini. Nemici, patrie, pretesti, non mancano mai. Credono che ammazzando diventeranno i Signori della Morte. Il Re non è tale se non ha ammazzato, se non ammazza, se non continua ad ammazzare. E poi il giudice che non ammazza . . . no, lui no, lui ordina di ammazzare, perché sta già nel regno della ragione pura, la legge. E non basta. Tocca ammazzarsi per il potere, per l'amore. Tocca ammazzarsi tra fratelli, per amore, per il bene di tutti. Per tutto. Tocca ammazzare, ammaz­ zarsi, in se stessi e negli altri. Suicidarsi negli altri e in se stessi con la speranza di essere perdonati per un così grande delitto, per avere sparso tanta morte. Per questo c'è tempo, tutto il tempo che serve. Per vivere no, non c'è tempo. PoLINICE: Sorella, sorella mia, mia unica sorella, perché ci hai abbandonato? Perché non ci hai distrutto in tempo, tu che sapevi, tu che vedevi, tu, figlia del Tempo, sorella da prima, da sempre sorella, sorella . . . Credo a quello che dici, a tutto, credo in te, in te. Comprenderti, non so, no; qui, nel cuore, sì ti comprendo, però non distinguo bene. Le tue parole, la tua presenza, la tua voce, mi abbagliano. ETEOCLE e PoLINICE: Antigone, tutto viene da Edipo, da nostro Padre. No­

stro Padre . . . ci ha maledetto, ricordatene. Maledetti d al Padre. Un padre che si è sbagliato, che è stato tanto cieco . Avrebbe potuto essere in un altro mo­ do: non essersi sbagliato tanto , non essere caduto tanto, non essere stato tan­ to cieco.

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ANTIGONE: E se non si fosse sbagliato, se non fosse stato cieco, noi non sarem­ mo figli di sua madre. Non saremmo. Volete il potere, il trono che vi veniva da lui, da lei, quello sì lo avete voluto; il potere sì, l'essere invece lo rinnegate. PoLINICE: L'essere, era maledetto . ANTIGONE: E il potere non lo era, non lo è? POLINICE: n potere non può non esserci, per Eteocle. E questo potere sembra­ va spettargli di fatto e di diritto. E io? Vedi, Antigone, lo vedi? Sin dal princi­ pio, mi ha tolto quello che è mio. Il potere era tutto per lui. ANTIGONE: Basta.

Ora a lui, come a te, come a me, non è più permesso nulla. Ormai non dob­ biamo fare altro che stare a guardare, a guardarci, a guardare ogni cosa. PoLINICE: Eppure bisogna fare qualcosa. Dobbiamo fare qualcosa per uscire di

qui. Uscire, uscire di qui . . . io però ero venuto per entrarci, e per non andar­ mene se non portandomela via con me, questa sorella mia. Senza di lei non pos­ so andarmene; è solo per portarmela via, che sono venuto. Sono venuto per portarla via da questa terra maledetta, per questo ho combattuto, e ciò vale an­ cora di più ora che sono morto. Vengo a cercarti, sono venuto a cercarti, Antigone, sorella, per andarmene con te in una terra nuova, libera da maledizioni; in una terra profumata come te, per ricominciare di nuovo a vivere. Magari ci fossimo andati quando erava­ mo entrambi ancora bambini, quando ancora non era successo nulla; prima che fossero cadute su di noi la cecità di nostro padre e la pazzia di nostra madre. Lei, da quand'è che era pazza? E lui, già prima di accecarsi, era sordo. n padre sordo, la madre impazzita che parlava da sola per le gallerie, per i cortili, in ogni angolo, delirando. [ . . . ] E protestava senza aver sacrificato agli Dei del cielo, e senza aver nem­ meno invocato gli Dei del sangue [ . . . ] . ANTIGONE: Fare sacrifici non era più possibile. Gli Dei, in certi casi, non si ac­

contentano dei sacrifici. Nell' ora della verità, quando la verità deve risplende­ re, i sacrifici non b astano. PoLINICE: La verità . . .

L a verità non è una Dea. ANTIGONE: La verità è quella cosa che gli dei ci gettano quando ci abbandona­ no. È il dono del loro abbandono. PoLINICE: Sorella, perché non ce ne siamo andati, noi due? A Eteocle lo lascia­

vamo con il potere, con cui né tu né io abbiamo niente a che vedere. Perché niente ha a che vedere, l' ordine che dice lui, con l'ordine vero. Si tratta soltan-

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to di non far emergere certe verità. E all'altra, a lsmene, le sarebbe rimasto l'a­ more, l'amore di donna. E tu e io, sorella e fratello per sempre. ANTIGONE: Polinice, fratello, sei stato tu ad andartene, a !asciarmi sola; sola, sì. POLINICE: Perché tu non volevi lasciar soli loro. Ti ho rispettato. Come lui, il

tuo fidanzato; nemmeno lui ti ha portato via con sé. Non ti sei sposata . . . ANTIGONE: Sì, io dovevo restare. Dovevo restare per sapere. ETEOCLE

(voce fuori campo) : Lei doveva restare per sapere. Era tutto quello che

desiderava: sapere. ANTIGONE: Che intendi, tu, per sapere? Dici sapere come se fosse possibile non

sapere. lo non ho scelto, sappiatelo: non ho scelto. Dici "sapere" come se non costasse nulla; ma quel sapere che io ho cercato, si paga. Ogni goccia di quella luce - di questa, che adesso venite, ormai morti, a bere - costa sangue. Anche a me me lo hanno tolto, il sangue; il mio, di san­ gue, è stato sacrificato anche più del vostro: a questo poco di sapere, a questo filo di luce. PoLINICE: lo, Antigone, io non ti ho detto niente di questo. Tu rispondi sem­

pre a lui; a me, non hai risposto. lo volevo, avevo voluto, tirarti fuori di lì per andarcene in un'altra terra: una terra vergine in cui fondare, tu e io, la città nuova. Non mi rispondi, sorella. Adesso sono tornato a cercarti. Adesso, non ti ci vorrà più molto per uscire di qui . Perché qui non puoi restare . Questa non è la tua casa, è soltanto la tomba nella quale ti hanno gettata viva . E viva qui non puoi restare: verrai, ormai libera - guardami, guardami -, in questa vita in cui già mi trovo io . E ora, sì, ora noi fonderemo , in una terra che nessuno ha mai visto, la città dei fratelli, la città nuova, in cui non ci saranno né figli né padri.

Io non mi ricordo di nulla, non ne ho bisogno, perché tutto, quello che si dice tutto, quello che ho vissuto e anche quello che avrei potuto vivere, tutta la mia vita, è presente dinanzi ai miei occhi.

SOGNO DELLA SORELLA ANTIGONE: Non stavi né qui né lì, lsmene, sorella mia. Stavi con me. Ed era

questa tomba; anzi, no, non era più una tomba. Stavamo, sì, appartate, ma po-

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tevamo uscire, [ . . . ] , e un grande chiarore si riversava dentro, e una luce bianca fuori, che non era veramente un fuori ma un luogo aperto che seguiva. Qui, da questa parte (indica una p arte ) , un corridoio stretto, e là, in fondo, una scaletta. Alcuni uomini, non so chi, passavano di lì, ma senza entrare, perché sape­ vano che qui, unite e appartate, c 'eravamo noi, vestite tutte e due di bianco. C'era successo qualcosa. Eravamo come consegnate, come se avessimo ricono­ sciuto tutto, un tutto che ci veniva chiesto di riconoscere; ma qualcosa di più ce lo avevamo messo per conto nostro, qualcosa che nessuno sapeva: il nostro segreto. Perché, sorella, noi abbiamo il nostro segreto, lo abbiamo sempre avuto. Da bambine, quando giocavamo, e quando litigavamo - " non voglio più giocare con te" - questo segreto era sottinteso. Il nostro segreto. Lo sapevano tutti, che ce l'avevamo. Noi però non vi fa­ cevamo mai allusione. E nemmeno ora, io saprei dirtelo. Non è cosa da dirsi, ecco. Era da giocarsi, da giocare, il nostro gioco interminabile. In seguito era da farsi, da fare quello che io ho fatto da sola: accompagnare nostro padre, e poi andare a lavare il nostro esecrato fratello. Quando tu non sei venuta. E poi, sì, ora mi ricordo: tu hai voluto morire con me. lo, però, non te l'ho permesso. E lui, l'uomo del potere, quello che coman­ dava - è ancora lì che dà ordini? - quello che comandava solo per condannare è sembrato obbedire alla mia volontà - poiché in qualcosa doveva pur obbedi­ re lui a me - "E non ti condanno a morte, voglio dire: ti condanno a vivere sen­ za di me" - egli condanna sempre . Eppure no, lsmene, no, sorella. Tu non avevi l'obbligo di venire con me a lavare il nostro fratello senza onore, perché, vedi, ormai è chiaro, quella che la­ va sono 10. Questo doveva far parte del segreto senza che noi lo sapessimo. Perché un vero segreto è un segreto che vale per tutti, e più che mai per co­ loro che unisce. No, noi lo sapevamo e non lo sapevamo , il nostro segreto, lo sentivamo, il segreto di noi sole solette. Un segreto nostro, di sorelle sole. So­ relle sempre, lsmene, ora lo vedi. lo sono andata, tu no. Questo però faceva parte del gioco, ti ricordi? Nel gioco io ero quella che calpestava la riga più vol­ te e per questo, solo per questo, perdevo sempre. In tutto il resto ero brava, ma la riga la calpestavo sempre, facendo sempre avanti e indietro. Anna, la nostra Anna, me lo diceva: " Bambina, bambina, non fare tanto avanti e indietro, che non sta bene " . lo sono passata sulla riga e l'ho oltrepassata, l 'ho di nuovo pas­ sata e ripassata, andando e venendo dalla terra proibita . " Nell'azione varcare i propri limiti è follia " . (Sofocle)

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Ascolta, sorella, tu che ti trovi in alto sulla terra, ascoltami: me lo dirai, quando la peluria della primavera nascerà sopra questa tomba? Dimmi: quan­ do nascerà qualcosa, dimmi, me lo verrai a dire? Io mi trovo qui, nelle viscere di pietra, ora lo so, condannata a che da me non nasca nulla. Vergine, mi por­ tarono non dentro la terra, ma tra le pietre, perché, come da me viva, così non nasca nulla nemmeno da me morta. Io però sono qui che deliro, ho voce, ho voce . . . È aprile, continua a essere aprile, il toro celeste avanza nel cielo e manda la pioggia. La terra è tutta impregnata, l' odore di terra bagnata arriva fin qui. Adesso il Sole non splende più, e comincia a essere chiaro, tanto chiaro. Che chiarore senza lucentezza, meglio così, il Sole non lascia vedere, soffo­ ca il chiarore. Adesso, è come se cominciassi a vedere, si sta facendo tutto così chiaro . E adesso che si sta facendo chiaro, tu vai pure via. Io mi stenderò qui come se fossi già morta, per vedere, a vedere . . . C'è una stella, qui? Semb rava, e invece no. È il Sole della notte, quello che non mi lasciava, che ritorna? Quello che mi teneva sveglia colla speranza dell'arrivo di qualcuno - di qualcuno, di lui - facendomi nello stesso tempo sentire, sapere, che non sareb­ be arrivato mai. Questa luce, però, risplende: c'è una vita, qui dentro, una vita più forte del­ la mia. Un dio, sei un dio ? Ti aspettavo. Come ti azzardi, però? Non hai sangue, già lo vedo . Anche così, tuttavia, nemmeno tu sarai puro. Perché, guardami, san­ gue a me me ne resta poco, ormai, sono sempre stata pallida; e tu non l'hai mai avuto. Sei forse puro per questo? La mia storia, lei sì che è sanguinosa. Tutta, tutta la storia è fatta col sangue, tutta la storia è di sangue, e le lacrime non si vedono. Il pianto è come l'acqua, lava e non lascia tracce. E il tempo, conta forse qualcosa? Non sto forse io qui senza più tempo, e quasi senza sangue, eppure in virtù di una storia, irretita in una storia? Il tempo può esaurirsi, e il sangue non scorrere più, se però sangue c'è stato ed è scorso la storia continua a trattenere il tempo, ad aggrovigliarlo, a condannarlo. A condannarlo. Per questo non muoio, non posso morire, fin­ ché non mi si dia la ragione di questo sangue e la storia non esca di scena, la­ sciando vivere la vita. Solo vivendo si può morire.

Io non mi ricordo di nulla, non ne ho bisogno, perché tutto, quello che si dice tutto, quello che ho vissuto e anche quello che avrei potuto vivere, tutta la mia vita, è presente dinanzi ai miei occhi.

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CREONTE ANTIGONE: Anche tu . . . non puoi fare a meno nemmeno tu, di venire in questa

tomba? CREONTE: Non aver paura, Antigone. Non vedi la porta aperta? ANTIGONE: Lo sarà per te. lo, per quella porta, non ci passerò più.

CREONTE: Corri troppo, come sempre: prima rispetto alla mia giustizia, ora al­ la mia clemenza. Vengo a tirarti fuori da questa tomba. La morte di mio figlio, di te non meno precipitoso, mi ha impedito di tirarti fuori di qui in tempo per­ ché poteste celebrare le vostre nozze . lo volevo solo darti una lezione ! ANTIGONE: Ah . . . non era la legge, che io scendessi qui per struggermi, sola con me stessa, come un rettile tra le pietre? ANTIGONE: Ecco che ricominci, Antigone, facendomi dimenticare quello che venivo a dirti. Sì, mi esce di mente. Però la mia decisione è la mia decisione, e io la mantengo a dispetto delle tue parole. La porta è lì, guardala, aperta. An­ diamo, Antigone. Precedimi. Sali davanti a me, sali tu, per prima. ANTIGONE: Salita, lo sono già, anche se tu mi trovi qui, così di sotto. Siamo sem­ pre stati, tutti noi, sotto di te. Perché tu sei di quelli che per stare in alto devo­ no gettare gli altri quanto più sotto è possibile, anche sotto terra, nel caso che si ribellino. Accontentati di questo, Creante . Che altro vuoi?

CREONTE: Voglio . . . ora non lo so più, quello che voglio. Quello che non voglio, è udirti: tu devi andar via. ANTIGONE: Ma è appunto quello che sto già facendo.

CREONTE: lo dico via di qui: di sopra, di sopra. ANTIGONE: Di sopra, di sopra . . . lo sai tu dov'è, questo sopra?

CREONTE: Nella terra dei vivi; e, con me, alla sommità, al potere. Dato che io, com'è giusto, devo continuare a regnare. ANTIGONE: A questo tuo regno, io non appartengo più.

CREONTE: A un altro, allora, se non vuoi restare nel mio. ANTIGONE: Ci sto già entrando, in un altro regno . Sono già in cammino, sono

già oltre il punto da cui a un'anima umana è consentito tornare. CREONTE: Non ti ostinare, Antigone. Forse credi che sia trascorso molto tem­ po; invece no. Guarda, non lo vedi? Il Sole non è ancora tramontato, sta lì co­ me ieri quando sei scesa. Il Sole non ti è mancato che un solo giorno, per un solo giorno hai cessato di vederlo. Un giorno. Andiamo, Antigone: di sopra, di sopra.

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ANTIGONE: No . CREONTE: E che dirò a tua sorella, che ti aspetta? ANTIGONE: Dille, se te ne ricordi bene, dille - non cambiare le mie parole -, che viva per me, che viva quello che a me è stato negato: che sia sposa, madre, amo­ re. Che invecchi dolcemente, che muoia quando giunga la sua ora. Che mi sen­ ta arrivare con la violetta immortale, ogni mese di aprile, quando tutte e due siamo nate. CREONTE: E come potrò, io, dirle tutto questo? Queste sono cose tue. ANTIGONE: E come potrei dire cose non mie a mia sorella, all'unica parte di me che lascio in questa vita? Ma non c'è bisogno che tu gliele dica: io so che sarà così. CREONTE: E a quelli che ti piangono, che gli dirò? Penseranno che non ho man­ tenuto la mia parola. Ma no, ormai l'hanno visto. Penseranno che non vuoi tor­ nare con loro. ANTIGONE: Ahi, Creante, di che cosa vai a preoccuparti adesso. La smetteran­ no, di piangermi, e poi è un bene, che mi piangano per un po' ; questo li laverà. "Non mi avrai, Creante, né domata, né persuasa. Ti sguscerò tra le ombre dei pensieri, troverai la spada dei miei implacabili argomenti confitta nel midollo delle tue risoluzioni, sarò entrata dentro il tuo recinto . Mi avrai come una lima di dubbio e di rimorso nel sonno e in ogni gesto di arbitrio e di potere. Mai ti libererai di me" . (M. Luzi) ANTIGONE: Avrebbe potuto chiudere la porta, sapendo, come sa, che non toc­ ca a me né chiuderla né aprirla: quella porta della mia condanna rimarrà co­ me l'hanno lasciata. Poiché non è la condanna, è la legge che la genera, ciò che la mia anima ri­ fiuta. Ma vedo che comincio a parlare della mia anima. E lui, è chiaro, lui veniva per avere la mia collaborazione, e perché io sia sua complice sottraendomi alla condanna e aiutandolo, così, è chiaro, a passare so-

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pra la legge senza cambiarla perché la sventura e l'ignominia sono cadute su di lui. Ed egli spera ancora, senza saperlo, che se io esco di qui ancora viva suo fi­ glio, suo figlio resusciterà. Ma non si resuscitano così i morti. Veniva a farmi risalire. Sì . Per quella scala. E io, se non so cosa sarà di me, sono però ben certa che non è quella la scala della mia risalita e che nessuno, nessuno di coloro che sono là sopra, o di coloro che sono passati di qui, sma­ niosi di continuare a vivere, possono resuscitarmi [ . . . ] o condurmi verso que­ st' altra luce che non ho mai visto ma che sento sempre più via via che divento c1eca. Oh Sole, sei ancora qui, come un rimprovero, come un rimorso che si tra­ scina, come un'insidia. So già che ti vedo per l'ultima volta, sole della Terra, e che nel momento in cui te ne andrai i miei occhi, questi della terra, cesseranno di vedere, perché non si sono aperti da soli, li hai aperti tu, come una ferita . Questa ferita della luce sul volto dei mortali. S o che quando t e n e andrai tu, Sole, queste piaghe si chiuderanno . E io resterò qui, come una lampada che si accende nell'oscurità.

LUGARES DE LA VISIBILIDAD EN LA OBRA DE MAR1A ZAMBRANO di Carmen Revilla

Ya que el bosque, dicho sea de paso, se configura mas que por los sende­ ros que se pierden, por los claros que en su espesura se abren, aljibes de claridad y de silencio. Templos. Cuando el hombre quiera saber de estos claros en lugar de seguir el imperativo de recorrer sus senderos, la historia, el pensamiento comenzara a desenmaraiiarse. Los claros que se abren en

el bosque, gotas La

tumba de Antigona

La expresion que da titulo a estas paginas asocia el ideai de la vision, que define el filosofar, al lugar. Maria Zambrano, antes que buscar, y aunque tam­ bién los busca, invita a reconocer lugares de visibilidad, a detenerse en ellos, con el fin de que el pensamiento comience asi a " desenmaraiiarse" ; con ello asume una peculiaridad personal que le es caracteristica - su capacidad para percibirlos - como condicion de su irrenunciable vocacion filosofica, vocacion de ver, orientada a un proyecto de realizacion del ser humano que se cumpliria en la expresion, pero ha de habérselas con el fondo oscuro, dificilmente acce­ sible al conocer, en el que esta inmerso y le constituye. Su atencion a estos lu­ gares, pues, dice mucho sobre su forma de filosofar y proporciona una indica­ cion que nos permite acompafiar su trayecto, seguirla en la formulacion de su propuesta: la necesidad de abrir la razon a fin de que pueda acoger y dar for­ ma a lo sagrado, principio originario que desencadena la fuerza de lo particu­ lar, cuya experiencia la razon occidental ha ido dejando en la sombra. Con el titulo Raiz y horizonte de la raz6n poética presentaba, hace unos afios, una primera aproximacion a la obra de Maria Zambrano, en la que intentaba poner de relieve como el establecimiento de un horizonte universal, adecuado al saber filosOfico, nace, no de la abstraccion, sino de la capacidad de asumir la concrecion de la realidad y de la presencia del filosofo, esto es, de la raiz mis­ ma del pensar. A mi modo de ver, la cuestion relativa al marco en el que se des­ pliega la racionalidad propuesta y puesta en juego por la autora constituye una

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perspectiva de investigacion sobre su obra que sigue ofreciendo posibilidades nuevas de interpretacion; posibilidades que, por una parte, surgen de mi expe­ riencia particular de lectura, pero, por otra, considero que mantienen fidelidad a un aspecto fundamental del filosofar zambraniano: el canicter biografico y personalmente comprometido de esta obra, al que su autora se referia al hablar de sus escritos como fragmentos de una imposible autobiografia. En este sentido, una primera matizacion a tener en cuenta la proporciona el modo en el que lo biografico aparece tratado en su obra. Es cierto que el pen­ sar que su escritura recoge no solo se ofrece con la distension, dispersa antes de ser narrada, caracteristica de la biografia, sino también y sobre todo con una marcada preocupacion por encontrar un modo concreto de insercion en lo real, que le permite partir de si misma, haciendo de todo aquello que media su relacion con el mun do ocasion de recomponer " ese misterioso nex o que une nuestro ser con la realidad, algo tan profundo y fundamental, que es nuestro intimo sustento" 1 ; pero también lo es que el modo en el que estos elementos biograficos se engarzan no tiene la forma de la "historia " , en senti do h abituai, no son relato de acontecimientos o narracion de hechos que, como ella misma indica, " dejan en la oscuridad" la " trama, el caiiamazo " en que se apoyan, in­ duciéndola a apelar, por tanto, a la poesia, " prehistoria" de la historia, o a la novela, que acoge la "vida anonima que no llegaba a la categoria de historica"2• Lo que su filosofar tiene de biografico es ante todo descenso a esos "luga­ res mas secretos del ser, basta eso que con tanta belleza se denomina 'entra­ iias' ", lugares en los que el primer problema que encuentra es de visibilidad, porque " las entraiias son lo menos visible, no solo por no serlo, sino por resis­ tirse a ello "3 . Y como "las entraiias son la sede de los sentimientos " , nos dice a continuacion, en la medida en que el pensar se hace cargo de ese nivel de rea­ lidad, integrando la particularidad de la experiencia para llevarla a unidad de sentido, su escritura aparecera caracterizada, como también se vera, por un sin­ gular acento en la discontinuidad y en todo cuanto en el sentir se nos da como algo a descifrar. Esta doble y complementaria tarea de la razon, que se dirige a llevar a cum­ plimiento a través de la palabra el proyecto de revelacion del ser humano, asu­ miendo su necesidad de expresarse, hace frente a lo que considera "una de las mayores desdichas y penurias de nuestro tiempo " : " el hermetismo de la vida profunda, de la vida verdadera del sentir que ha ido a esconderse en lugares ca­ da vez menos accesibles "4, lugares en los que es insuficiente el saber que defi1 M. ZAMBRANO, La vida en crisis, en fu., Hacia un saber sobre el alma, Madrid, Alianza, 2000, p. 104. 2 lD., Para una historia de la piedad, Malaga, Torre de las palomas, 1989, pp. 9-10. 3 Ibid. , pp. 10- 1 1 . 4 Ibid.

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ne, porque esta vida no esta constituida por "objetos ideales " , sino por su mas intimo discurrir, necesitado de "la palabra que la adare, la palabra que la po­ tencie, que la eleve y que dedare al par su fracaso " , una palabra, sin embargo, " perdida" , " que se escapa" y " se disipa " , palabra " que no llega a formularse porque lo humano no esta acabado, esta empezando " y necesita un " espejo" en el que vers�. Maria Zambrano no deja de insistir en la necesidad de ver para salir del " hermetismo de la vida profunda" . La visi6n es el modo de conocimiento que corresponde a nuestra propia realidad: "La visi6n es una forma de conoci­ miento en que lo humano, inaccesible, se manifiesta mas adecuadamente, y que mas que conocimiento objetivo es expresi6n. Por ello, podriamos sorprender en la 'visi6n' el caracter peculiar del conocimiento que el hombre alcanza a te­ ner de su propia realidad : una especie de revelaci6n que padece al mismo tiem­ po que realiza"6, y es, por tanto, " conocimiento poético en su raiz " , pero tam­ bién disciplinado y metodico. Como se recordara, la autora sefiala tres formas de visi6n que acompafian el movimiento del pensar como un " discurrir " , " ir y venir" libre como " agua de una fuente que por fin abre su propio cauce"7, que rescata, justamente a través de la visi6n, lo que "yace en el lecho oscuro del olvido " permitiendo el acceso al " medio de visibilidad " de la " criatura hombre"8 que encuentra asi su forma de expresi6n. En esta tarea es imprescindible la labor de la memoria, "nodriza, madre del pensamiento " y " sierva que en su pasividad , yendo y viniendo, sos­ tiene y sustenta el pensar " , porque " si se la deja servir, desciende hasta los 'in­ feros' del alma, de la psique, hasta la zona psico-fisica " , alli donde el " discurrir del pensamiento racional, mas bien racionalista, o racionalizante " no accede. Zambrano propone restituir a la memoria su "funci6n originaria rescatadora" de una suerte de temporalidad cuyo "irnpetu " vital y originario quedaria cons­ trefiido por la acci6n de la conciencia a la que remite " cada vez con mayor fu­ ria el hombre occidental " , imponiendo "la ley del tiempo de la conciencia - pa­ sado, presente, pervenir -, tiempo sucesivo "9. La acci6n de la memoria que da lugar al pensar creador propicia tres formas de visi6n que " requieren cada una de ellas una luz adecuada, inconfundible " 10,

5 M. ZAMBRANO, A modo de autobiografia, en "Anthropos ", 70-7 1 ( 1 987) , p. 69. 6 In. , Las ruinas, en In. , El hombre y lo divino, Madrid, FCE, 1 993 , p. 246. 7 In. , Del método en filoso/fa o de las tres /ormas de visi6n, en "Rio Piedras" , l ( 1 972), también en "Anthropos " , Suplementos, 2 ( 1 987 ) , p. 120. 8 Ibid. , p. 124. 9 Ihid. , p. 12 1 . IO Ihid.

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dice aludiendo, de hecho, a las dos primeras. "La primera forma de vision se da al mirar hacia atnis, volviendo la vista hacia ello" , buscando " algo perdido e irrenunciable" en ese " avanzar a ciegas " en que consiste el vivir, algo que "ne­ cesita ser mirado nuevamente " para hacer diafano su mismo origen, puesto que, en caso contrario, " el sujeto queda entonces suspendido sobre el proceso de su vida, sumido en una daridad equivalente a la inicial ceguera y que en mo­ do alguno la deshace " 1 1 . Se abre asi el espacio que el sujeto necesita para " aparecer, acabar d e apa­ recer en su medio adecuado" y tiene lugar entonces , liberando el pasado origi­ nario que la conciencia aplana, el "verse" que constituye la segunda forma de vision. El "proceso del recordar" , también ahora "movido por el ansia de ver " , es " adentramiento en y d e l o vivido " que ofrece un "medio nuevo donde aca­ bar de nacer " todo "lo que se dejo escapar en lo fugitivo del tiempo " , " gracias a una condensacion del tiempo" que le proporcionani una " forma " 12. La mira­ da rescata el " origen - semiperdido siempre " y cuanto " gime triturado, bajo el tiempo de la 'razon"' , creando un "medio transparente" a través de una accion nueva: " Ya no se trata de ir y venir ' discurriendo'. Se trata ahora de dar vueltas - quizas a fuerza de insistencia y de velocidad - de un mirar circular o que tien­ da a serio " , sufriendo "la atraccion del centro. Un centro que ni siquiera se ha­ ce patente como término de la atencion, ni menos todavia de la intencion. Pues que se trata de un centro errabundo que con su atraccion mueve la mirada y lo por ella arrastrado circularmente, mas sin establecer orbita alguna " ' dibujando "un laberinto en embrion " 13 . L a condensacion del tiempo, que hace d e l as impresiones fugitivas una imagen, se opera bajo esta atraccion del centro, y "solo desde el centro o desde la inten­ cion de ir hacia él, se rescata" , afirma. Se forma asi, por condensacion, una ima­ geo: "La imagen conseguida por condensacion tiene la virtud de custodiar el sen­ tir y aun los sentimientos, pues que en realidad, se forma sobre ese nucleo [ . . ] Mas la imagen cargada de sentir, de sentimiento, irradia o absorbe. Y si irradia, ilumi­ na. De la diafanidad se pasa asi a la iluminacion de aquello rescatado, convertido por condensacion en imagen"14; la imagen, pues, como centro luminoso, posibili­ ta una tercera forma de vision y hace de la memoria " arte y sabiduria del tiempo" que nos permite "tratar con el tiempo, transitar por el tiempo" de modo que lo vi­ vido no obstaculice al ser humano ese "ir con todos sus sentires intactos al medio de la visibilidad donde puedan manifestarse" 15 y, en definitiva, ser. .

11 12 13 14 15

Ibid. Ibzd. , Ibid. , Ibzd. , Ibid. ,

p. 122. p . 123 . p. 122. p . 124.

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La luz que posibilita la vision y la revelacion de lo humano no es, como Je­ sus Mareno ha indicado, "lisa como espada, sino curvatura de luz y tiempo, un descender y curvarse en todo recoveco oscuro" 16, y permite transitar desde la oscuridad padecida en las entrafias a la luz del pensamiento. Es éste el transito que opera la " razon poética" cuando, rescatando el logos sumergido que discu­ rre por las entrafias, recaba del " fondo creador de la memoria" el principio que hace de ella una razon germinante. En el trayecto de la razon poética aparece, por tanto, un doble horizonte: "Pues que el hombre se encuentra entre dos horizontes : el que envuelve y de­ termina a las cosas de que se ve rodeado: las cosas compafieras y extrafias, las cosas a cuyo encuentro salimos desde el suefio primero , a las que salimos sa­ biendo. Y ese otro horizonte que se queda detras del olvido, que se queda, él, en el ohrido, y del que el filosofo quiere desprenderse cuando marcha a la con­ quista de su ser" 17• Hay lugares, sin embargo, en los que, a pesar de la volun­ tad del filosofo, los dos horizontes se encuentran; en ellos algo oscuro, origina­ rio y esencial al mundo en el que nos movemos se nos da a ver y son, en con­ secuencia, lugares de la memoria y de la experiencia; son también, porque en ellos se forma la imagen que hace concebir, lugares de la palabra, en los que la historia personal padria acceder al nivei de lo transmisible y comunicable. El filosofar zambraniano, con lo que tiene de incuestionable refundacion de la filosofla misma, busca fundir ambos horizontes incorporando a su ambito de visibilidad la parte en sombra, olvidada, a través de la palabra que nombra la imagen, condensacion del tiempo vivido, que ilumina e irradia, una palabra "perdida" y "escondida " , mediadora al partir de lo que se padece, que sera transformadora también, y poética, cuyo medio lo proporciona el silencio: La palabra escondida, a solas celada en el silencio, puede surgir sosteniendo sin d ar­ lo a entender un largo discurso, un poema y aun un filosofico texto, anonimamente, orientando el sentido, transformando el encadenamiento logico en cadencia; abrien­ do espacios de silencios incalmables, reveladores [ ] Engendradora de musicalidad y de abismos de silencio , la palabra que no es concepto porque es ella la que hace concebir, la fuente del concebir18• ...

El discurso de la autora aparece sostenido, ciertamente, por esta palabra perdida y escondida que lo dota de la cadencia musical cuyas "notas" ella mis-

16 J. MaRENO SANZ, La semtintica de la luz, en C . REVILLA (ed . ) , Claves de la raz6n poética, Madrid, Trotta, 1 998, p. 3 8. 1 7 M. ZAMBRANo, Poesia, en In., Andaluda, sueiio y realidad, Granada, EAUSA, 1 984 , pp . 188- 1 89 . 18 lD . , Claros del bosque, Barcelona, Seix Barral, 1 993 , p . 99.

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ma proporciona, introduciendo un lenguaje inédito en la tradicion filosOfica y un método propio : Cuando de pensamiento se trata, ellas , las palabras h acedoras de orden y de verdad, pueden estar ahi, casi a la vista [ ] Y hay que enmudecer entonces [ ] Y volver el pensamiento a aquellos lugares donde ellas, estas razones de verdad, entraron para quedarse en 'orden y conexion' sin apenas decir p alabra, borrando el usual decir, res­ catando a la verda d de la muchedumbre de las razones19• ...

...

En el horizonte de silencio de la razon poética la palabra que permite el transitar de la razon es "metafora esencial" , palabra imprescindible para la ac­ cion del pensamiento que arraiga en la vida posibilitando su trascendencia, pa­ labra que realiza el saber tratar con lo otro, que es la piedad : Ninguna accion verdadera trascendente se cumple solo en uno de esos mundos o pla­ nos donde en verdad la vida hum ana se da. Y de ahi ha de venir la necesidad de la metafora esencial. Si la piedra es solo esta piedra que veo, si mi ver no la mira trans­ poniéndola en algo que esta bajo ella, en algo que la soporta y la aprirne, en algo que imprevisiblemente, en un movimiento ascensional, la hace templo , copa del cielo, el hombre y aun quiza todo lo viviente, se queda sin lugar0•

La " metafora esencial" zambraniana, porque es mas imagen simbolica que metafora en sentido riguroso, no admite ser tratada por las habituales "meta­ forologias " , empeiiadas en reconducir la palabra al ambito conceptual, me­ diante un procedimiento esquematico y simplificador que pierde la experien­ cia originaria, al fijar lo que es acontecer olvidando las diferencias cualitativas de una realidad heterogénea y plural; menos aun autorizan su interpretacion como procedimiento literario, controlado por la conciencia de estilo del autor. Rosella Prezzo, alertando respecto a las lecturas esteticistas, con frecuencia empobrecedoras, de la autora, proporciona indicaciones muy valiosas en tomo a esta particularidad de su discurso, al destacar como su indudable caracter li­ minar es justamente condicion de posibilidad para la realizacion de un pensa­ miento esencial y rigurosamente metodico y transformador. Se trata de un icono2 1 en el que Maria Zambrano ha quedado aprisionada y que, en parte, depende de una expresion acuiiada y utilizada por ella misma, la de 'razon po­ ética' , que ha llevado con demasiada frecu encia a leer sus textos a p artir de esta 'eti-

19 Ibid. , p. 83 . 2 0 M . ZAMBRANO, De la Aurora, Madrid, Turner, 1986, p. 5 0 . 2 1 Se refiere a la reiterada formula: "Maria Zambrano , seiiora de la palabra mas que amiga del concepto " , tomada de las paginas culturales de un conocido diario .

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queta' que se le ha sobrepuesto , tendiendo a colocar su obra - que justamente en su incolocabilidad indisciplinada muestra toda su riqueza y originalidad - en un vago e indistinto, aunque sugerente y seductor, ambito de lo 'poético' o de lo 'artistico' . Es­ to ha impedido captar toda su importancia y radicalidad respecto a la misma tradi­ ci6n filosofica, con que, por otra p arte, Maria Zambrano mantiene un continuo y es­ trecho dialogo; pero ha impedido también ver basta qué punto esta misma 'raz6n po­ ética' es a la vez una 'raz6n practica'22•

Partiendo de aqu!, defendera que "precisamente en su fidelidad a pensar no el ser, sino el ser humano en su intrincada condici6n viviente, cuyo nacimiento complica de por s! tanto el ser como la vida, Maria Zambrano es una pensado­ ra de extremado rigar y precisi6n" , que pone en juego "un pensamiento visual y musical, rico en imagenes, metaforas , s!mbolos (que a veces corre también el cles­ go de un eietto hermetismo) , en el que el concepto pierde su privilegio y la di­ mensi6n no logica del significado pone en correlaci6n la experiencia del pensar y la del vivir"23 , a través de procedimientos en los que la expresi6n no es casual. Los "pasos " del "método" que Zambrano describe en Claros del bosque ­ "Hay que dormirse arriba en la luz. Hay que estar despierto abajo en la oscu­ ridad intraterrestre, intracorporal de los diversos cuerpos que el hombre te­ rrestre habita: el de la tierra, el del universo, el suyo propio "24 - confirman la voluntad de ver que allenta en la forma de racionalidad de esta filosofa "del o!­ do " , segtin su propio testimonio25, que, a su vez, se realiza en un ascenso a la 22 R PREZZO, Meta/ore alla lettera, en C. ZAMBoNI (ed.), Maria Zambrano, in fedeltà alla parola vi­ vente, Firenze, Alinea, 2002 , p . 35 : " Si tratta di un 'icona in cui Maria Zambrano - 'Maria Zam­ b rano, signora della parola più che amica del concetto' è rimasta imprigionata e che, in parte, di­ pende da un'espressione da lei stessa coniata e usata, cioè quella di 'ragione poetica', che ha por­ tato troppo spesso a leggere i suoi testi a partire da questa 'etichetta' che vi è stata sovrapposta, tendendo a collocare la sua opera - che proprio nella sua incollocabilità indisciplinata mostra tut­ ta la sua ricchezza e originalità - in un vago e indistinto, per quanto suggestivo e seducente, am­ bito del ' poetico' o dell" artistico'. Ciò ha impedito di coglierne tutta l'importanza e la radicalità rispetto alla stessa tradizione filosofica, con la quale per altro Maria Zambrano mantiene un con­ tinuo e serrato dialogo; ma anche di vedere quanto questa stessa ' ragion poetica' sia contempo­ raneamente una ' ragione pratica ' " . 23 Ibid. , p . 3 6 : "Proprio in questa sua fedeltà a pensare non l' essere, m a l'essere umano nella sua intricata condizione vivente, il cui venire al mondo complica di per sè sia l'essere che la vita, Ma­ ria Zambrano. È una pensatrice di estremo rigore e precisione" , che mette in gioco " un pensie­ ro visivo e musicale, ricco di immagini, metafore, simboli (che corre, a volte, anche il rischio di un certo ermetismo) , dove il concetto perde il suo privilegio, e la dimensione non logica del sig­ nificato correla l' esperienza del pensare a quella del vivere, di cui è necessariamente e impres­ cindibilmente parte " . 24 M. ZAMBRANO, Claros del bosque, cit . , p. 3 9 . 25 " Ya sabes q u e y o soy del oido " , recuerda que l e deda "tajante " Fernando Savater e n el escri­ to La voz de Maria Zambrano, en el volumen colectivo Papeles de A/magro. El pensamiento de Ma­ ria Zambrano, Madrid, Zero, 1 983 .

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luz, que solo esencialmente puede considerarse metaforico. El ambito de visi­ bilidad de la razon poética, su horizonte, se abre desde un fondo de oscuridad en el que, despiertos, alcanzamos la posibilidad de discernir.

Lugares de visibilidad

La particularidad del lenguaje zambraniano tiene su origen, en mi opinion, en esta necesidad de v:isibilidad que el fondo " sagrado" de lo real impone al dis­ currir de la razon, porque es a esta necesidad a la que responden justamente las "metaforas esenciales " . Por ello, su preocupacion y cuidado del lenguaje apa­ rece como tarea tan estrechamente ligada a la de la filosofia misma, que, como se sabe, define en términos de " transformacion de lo sagrado en lo divino, es decir, de lo entraiiable, oscuro, apegado, perennemente oscuro, pero que aspi­ ra a ser salvado en la luz y como luz, he creido siempre en la luz del pensa­ miento mas que en ninguna otra luz"26; y como el pensamiento consiste, a su vez, en " descifrar lo que se siente" , la funcion del filosofar esta comprometida en una labor de " desciframiento " que exige la atencion a la palabra. En este sentido, presentaba Chiara Zamboni su reflexion sobre el mundo de imagenes que recoge el lenguaje zambraniano recordando que lo sagrado es para ella participaci6n en la vida en su inmediatez y, por tanto, impli­ caci6n mimética en algo que atrae y, al mismo tiempo, es hermético, esto es , sin pa­ lab ra. Hacer Hlosoffa ha sido p ara ella buscar la palabra que revela y comunica lo sa­ grado sin traicionarlo, dejandolo como misterio, a través de la articulaci6n de la pa­ lab ra, que revela en un movimiento infinito, cuya posibilidad viene proporcionada por lo divino que es asi condìci6n para una continua y fluida metamorfosis27 •

La actividad filosOfica que, en Zambrano, se realiza, como indica Rosella Prezzo en el texto citado, en un "gesto de humildad " que consiste en "bajar la mirada" , para atender incluso a lo insignificante, y en "bajar el tono de las pa­ labras demasiado llenas de si mismas"28, es " trabajo artesanal" con las palabras

26 M . ZAMBRANO, A modo de autobiografia, cit., p . 72. 2 7 C. ZAMBONI, Fascino del sacro e mondo immaginale, en ID. (ed . ) , Maria Zambrano, cit. , p . 87 : " il sacro è per lei la partecipazione alla vita nella sua immediatezza, e dunque il coinvolgimento mimetico in qualche cosa di attraente, allo stesso tempo ermetico, cioè senza parola . Fare filoso­ fia è stato per lei cercare la parola che rivela e comunica il sacro, senza tradirlo, ma !asciandolo come mistero, attraverso l'articolazione della parola , che rivela in un movimento infinito, la cui possibilità verrebe data dal divino, che è condizione per una continua e fluida metamorfosi" . 28 R PREZZO, Meta/ore alla lettera, cit . , p. 36, habla de una "lezione di umiltà " que consiste en " abbassare lo sguardo " y " abbassare il tono delle parole troppo piene di sé" .

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que intenta mantenerse "fiel a la singularidad de la cosa"29, a la espera de la imagen " que hace concebir" , como describe en Claros del bosque, ese libro, nos dice, escrito con aparente despreocupaci6n e inspiraci6n, pero "al par, muy pensado"30• En esta obra imprescindible encuentra su expresi6n la raz6n poé­ tica e invita a acompafiar su "gesto" descubriendo cuanto encierra de adentra­ miento y atenci6n, porque " el pensamiento que se da a luz ha de ser concebi­ do y eso es doloroso y algo mas, algo inenarrable: desgarramiento, entrega, os­ cura gestaci6n, luz que se enciende en la oscuridad basta que la claridad del Verbo aparece como una aurora consurgens"3 1, dira, segun el inestimable testi­ monio de Agustin Andreu. La "luz que se enciende en la oscuridad " preside el movimiento del pensar y orienta su trayecto. No deja de ser sintomatico que, respecto al dtulo de esta obra, dudase basta su feliz formulaci6n : " Tiene que ser algo del bosque [ . .] Pe­ ro, voces, no pueden ser"32• El oir constituye el "suefio del filosofo" del que despierta a través del "mirar" que lo sustituye33 y en el que cumple su vocaci6n de transparencia y revelaci6n, visi6n que se padece en la medida en que se re­ aliza. Maria Zambrano encuentra medios de visibilidad privilegiados a los que presta singular atenci6n, "espejos " en los que, al verse en su expresi6n, la vida se abre paso, se da como "trascendencia" . La novela, por ejemplo, sera para ella espejo necesario del misterio que entrafia la "vida doméstica" que "sostie­ ne y que corre subterr:inea bajo la hist6rica" : "Es, ha sido y sigue siendo nece­ saria la novela, porque tal misterio necesita un espejo para reflejarse, una visi6n para aclararse"34, afirma al asomarse a la obra de Gald6s . También lo sera la ciudad que, cuando lo es de verdad, "no es solo historia, sino lugar de algo que la engendra " , " algo inmaterial que se corporeiza"35 en ella y la convierte en "un espejo donde la historia se mira no solo en lo que fue, sino mas todavia, en lo que estuvo a punto de ser"36, dira justamente de Segovia; en este espejo que la ciudad es se dibuja la imagen clara y sutil de una "historia a punto de lograrse" y posibilita su desarrollo al permitimos " sondearla bacia abajo y bacia arriba"37, .

2 9 C. ZAMBONI, Fascino del sacro e mondo immaginale, cit . , p. 102. 30 M. ZAMBRANO, A modo de autobiografia, cit . , p . 7 1 . 3 1 In. , Cartas de La Pièce (Correspondenda con Agustin Andreu), Valencia , Pre-textos y Universi­ dad Politécnica de Valencia, 2002 , p. 3 7 . 32 In . , A modo de autobiografia, cit . , p . 7 1 . 33 In . , Andalucia, sueiio y realzdad, cit . , p . 179. 34 In., La mujer en la Espaiia de Gald6s, en ID., Espaiia, sueiio y verdad, Madrid, Siruela, 1 994, p. 59. 35 ID . , Un fugar de la palabra: Segovia, ibid. , pp . 1 64 - 1 65 . 3 6 Ibid. , p . 169. 37 Ibid. , p . 170.

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alli donde "la luz de cada dia " y "el abrirse de la palabra " parece nacer de su fondo de fracaso y de silencio, de los "inferos " que la sustentan y la habitan . También seria un " lugar privilegiado" de visibilidad la pintura cuya "virtud " consiste en " dejar que eietta zona de la realidad aun no vista, se dé a ver"38 • Podria hacerse toda una tipologia de estos espacios que abarcaria desde las situaciones vitales cuya experiencia viene a ser condici6n de existencia y del pensar - la crisis , el exilio - basta esos lugares sagrados que guardan la huella de una liberaci6n operada en ellos y que a través de la visi6n se actualiza . Es la propia autora, como se recordara, quien reconoce su singular "sensi­ bilidad " para lo sagrado, para "lo entrafiable, oscuro, apegado" , que "esta ads­ crito a un lugar, esta mudo, hace sefias, atrae, se puede uno quedar pegado " : "Nunca h e podido pasar, o rara vez m e h a sucedido, por un lugar que haya si­ do sacro, aunque en él no haya resto alguno que lo manifieste, sin comenzar a temblar"39• Y remite su descubrimiento de lo sagrado a la lectura de R. Otto que conect6 a su propia experiencia: "A mi esto me recordaba, cuando lo lei, vividamente a lo que me sucedia cuando de nifia me llevaban de paseo por un eietto lugar de la ciudad de Segovia por donde corre y, entre unas pefias altas, se hunde el cauce del rio que sera el Edesma [ . . . ] Yo me escapaba y tenia que ir hacia esas pefias, y en esas pefias habia siempre, aunque fuera tiempo de se­ quia, una gota de agua. Esto era ya el comienzo de la transformaci6n de lo sim­ plemente o complejamente sacro, en algo transparente, en algo ya divino " , co­ menta haciendo suyo el elemento agua que discurre, pasa, purifica y lava, que solo inunda "cuando se empantana "40• También en este aspecto, sustantivo y originario en su filosofar, la vida del pensar se funde con su misma biografia y la compromete . Por eso quisiera se­ fialar, a modo de indicaci6n simplemente, la importancia de algunos lugares de visibilidad, que remiten a experiencias biograficamente localizables y aparecen en su obra como espacios de expresi6n de lo humano. Uno de los lugares de visibilidad paradigmaticos san, sin duda, los "daros del bosque" , lugares de lo imprevisible, en cuya daridad "inmediata" y "vi­ \r:iente" apenas es posible demorarse, aunque inviten a ello, porque acogen las senales leves de un imperativo " entremos mas adentro en la espesura" . Lo que en ellos, en primer lugar, se nos da a ver es que el medio del que estas senales nos llegan, " de donde nos llaman mandandonos ir" , san " las altas cavernas del sentido"41. Es ésta una llamada que se oye, sin saber "de donde procede" , con3 8 M . ZAMBRANO, Algunos lugares de la pintura, Madrid, Espasa- Calpe, 1 99 1 , p. 236. 39 ID . , A modo de autobiografia, cit. , p . 72 . 4o Ibid. , pp. 7 1 -72 . 41 M. ZAMBRANO, Entremos mtis adentro en la espesura, en " Claros del bos qu e. Revista de pensa­ miento y poesia " , l ( 1 985 ) , p. 9 .

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duciendo a quien la percibe "cada vez mas dentro de su propia tiniebla" , don­ de se queda " sin voluntad propia, sin intento ni intencion alguna " , "tocada por la eternidad" y " atada " aun al tiempo sucesivo, aunque no "sumergida" en él42, donde este estado de "pasividad " y "abandono" , " como si no hubiera nacido del todo " , preludia la posibilidad de " renacer sin morir" en virtud, nos dice, del amor que evitaria que el ingreso " en la espesura total" fuese un mero des­ nacer43 . El uso del lenguaje mistico, explicitamente de San Juan de la Cruz, es ya in­ dicio de la posicion limite en la que el filosofar zambraniano acaba por situar sus escritos. En la intimidad oscura y profunda solo hay "veredas, filamentos de luz trazando imprevistas, instantaneas senales en la sombra, imprevisibles relampagos"44; como indica Cacciari, "en el ' claro' la luz es opaca; el acento no cae sobre la luminosidad , claritas, sino sobre la debilidad de la luz. La luz no lle­ ga nunca a ' des-velar' el 'claro' . Podriamos decir que el 'claro' es el lugar de la sombra, antes que de la luz; o, mejor, que la luz del 'claro' es la propia de la sombra"45 . Zambrano accede a este lugar en un momento de maxima intensidad bio­ grafica y teorica. La nota que redacta para la presentacion de Claros del bosque, donde "nada es de extranar que la razon discursiva apenas aparezca" , subraya lo que esta obra tiene de "ofrenda " , accion en la que se cumple la revelacion de lo humano en su "vida verdadera, sorprendida tan solo en algunos claros que se abren en la espesura inicial entre cielo y tierra" , en cuyo "remoto horizonte" "cielo y tierra, ser y vida, vida y muerte se anegan " . " Hay que dormirse arriba en la luz " , senala el método descrito por la autora, y " estar despierto abajo en la oscuridad " , alla donde " en los inferos el corazon vela, se desvela"46, en un " ir mas alla de si mismo " en el que el ser humano "es al par sujeto activo y pasivo" como "ser que padece su propia trascendencia y busca sin tenerla la identi­ dad "47. La visibilidad que en los claros se encuentra viene precedida por un proce­ so de adentramiento al que Zambrano presta especial atencion a través del sue­ no: "Entrar en el sueno es entrar bajo el sueno o mas bien, por el sueno, en un lugar subterraneo, en una gruta"48, escribe. Y no es de extraii.ar tampoco que a

42 Ibid. , p. 10. 43 Ibid. , p . 1 1 . 44 M . CACCIAR!, Para una investigaci6n sobre la relaci6n entre Zambrano y Heidegger, en "Archi­ p iélago . Cuadernos de critica de la cultura " , 59 (2003 ) , p. 5 1 . 45 Ibid. , p . 48. 4 6 M. ZAMBRANO, Claros del bosque, cit . , p. 39. 47 In. , A modo de autobiografia, cit . , p . 73 . 48 fu . , El sueito creador, Madrid, Turner, 1 986, p. 3 5 .

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CARMEN REVILLA

este tema, que proporciona un insustituible espacio de visi6n al horizonte de su pensamiento, dedicase tantos de sus inéditos, porque, como dira a Agustfn An­ dreu, " del sueiio no se puede uno desarraigar, mas el ir despertando sin rom­ perlo es lo que vale la pena"49• Por ello se ha seiialado como peculiaridad caracterfstica de su pensamiento el hecho de que el ascender bacia la luz coincide siempre con un bundirse en la oscura y palpitante intimidad del ser, el subir corresponde a un abismarse, a un descender bacia las en­ traiias, a un adentrarse en la cavidad del coraz6n . Estos ultimos son lugares de gesta­ ci6n y de renacimiento: el de Zambrano se presenta aqui como un pensamiento fe­ menino y materno, qu e concibe la salida bacia la luz como un bundirse en las cavi­ dades del ser, que, en analogia con el seno materno, ofrecen un espacio de acogida y una posibilìdad de regeneraci6n�0•

Con estas palabras Wanda Tornassi traza, sintéticamente, el recorrido de la raz6n zambraniana, el movimiento en espirai de descenso al centro desde el que ascender al instante de creaci6n, que hace de la raz6n que se dirige al " sen­ tir originario" una raz6n fecundante y poética. A esta luz discontinua y fragil, "la vida, mirada simplemente, se compone"5 1 , recuerda Agustfn Andreu que solfa decir; figuras y temas, personajes y cosas, imagenes y experiencias , van trabando su presencia y dejando emerger el "or­ den y conexi6n" segun el cual "la vida se derrama" desde su "rafz oscura" ba­ j o la forma de "la esperanza creadora "52. Su escritura va dando cauce a la ca­ pacidad de percibir e integrar, abriendo la posibilidad de futuro que configura la trama de la vida. Sus escritos nos permiten acompaiiarla, en expresi6n de Jesus Moreno, en la busqueda de " ambitos de visi6n y escucha" , asistiendo al reconocimiento de esa " caracterfstica tensi6n entre la pura luminosidad y las zonas de sombra y de vida desprendida del logos que la filosofia deja tras sf y en abandono, por que­ dar lejos de su zona restringida de visi6n "53 . Posiblemente ah ora no sea sino el momento de destacar entre sus textos, alguno de los que describen singulares y concretos ambitos de silencio, en los que el tiempo se remansa, acordandose al presente y posibilitando la expresi6n del desequilibrio entre la implicaci6n

49 In . , Cartas de La Pièce, cit., p. 29. 5 0 W. ToMASSI, I filoso/i e le donne, Mantova , Tre lune, 200 1 , p . 246. 5 1 A. ANDREU, Preliminare:; a M. ZAMBRANO, Cartas de La Pièce, cit. , p . 19. 52 M . ZAMBRANO, Los bienaventurados, Madrid, Siruela, 1990 , pp. 1 7 y 1 12 . 53 Nota preliminar d e J esus Mareno Sanz a M . ZAMBRANO, Las sueiios y el tiempo, Madrid, Siruela, 1 998, p. 9.

LVGARES DE LA VISffiiLIDAD EN LA OBRA DE MARiA ZAMBRANO

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historica y la inmersion en la constitutiva temporalidad personal, nucleo de la esencia tragica de la historia. Entre estos ambitos podrian sefialarse, para atender a lo que en ellos se re­ vela, las catacumbas - lugares de la memoria, donde la vida oculta y subterra­ nea desvela su aliento por descifrar54 - y las ruinas - " traza de algo humano vencido y luego vencedor del paso del tiempo"55 , que guarda "la realidad pe­ renne de lo frustrado; la victoria del fracaso"56, y son, por ello, lugar de la es­ peranza57 . Ambos lugares exigen disposicion a recibir y decision de adentrarse; sobre ambos habia escrito en Cuba, asomandose desde ellos a la dramatica situacion de Europa; en Roma, etapa decisiva en la articulaci6n de la experiencia de la autora con la incorporacion de referencias teoricas que, desde entonces, mar­ caran su desarrollo intelectual, vuelve a estos lugares en los que percibe como el presente ofrece las condiciones en las que la vision de la historia libera, con­ duciendo el pensar a la orbita - " forma perfecta de la libertad " 58 - que le es propia.

54 Vid . M. ZAMBRANO, Epoche di catacombe, en "L' approdo letterario" , 12 ( 1960) (versi6n en castellano en "Aurora " , 4 [2002 ] , pp. 12 1 - 123 ) . 55 ID . , Las ruinas, en ID . , El hombre y lo divino, cit. , p . 253 . 5 6 Ibid. , p. 254 . 57 Aspecto con el que Zambrano da titulo a su articulo Una metti/ora de la esperanza: las ruinas publicado en " Y,ceum " , La Habana, 1 949, recogido en La Cuba secreta y otros en sayos , Madrid, Endymion, 1 996. 58 M. ZAMBRANO, Epoche di catacombe, cit . , p. 102.

MAR1A ZAMBRANO : U N ESISTENZIALISMO ESTETICO di Carlo Ferrucci

Apparentemente disomogenea, la visione di Maria Zambrano, figura tra le più originali e creative del pensiero del Novecento, si presenta invece a ben guar­ dare - ho cercato di mostrarlo più esaurientemente di quanto potrò fare qui nel mio libro Le ragioni dell'altro. Arte e filosofia in Maria Zambrano, unico studio d'insieme pubblicato a tutt'oggi in Italia su questa pensatrice1 - come una for­ ma al contrario sostanzialmente organica di esistenzialismo estetico. l diversi aspetti e momenti di questa visione, infatti, ruotano intorno a due convinzioni, a due affermazioni di principio, fondanti e ricorrenti fino al postumo Las sueiios y el tiempo, che proprio di esistenzialismo estetico ci consentono di par­ lare. La prima di queste affermazioni, è che la condizione umana è caratteriz­ zata essenzialmente dal " sentire originario " , ossia dall'inaugurale e sempre ri­ nascente percezione della nostra creaturale, insormontabile fragilità e incom­ piutezza - una percezione che nella sua fondamentalità può ricordare, da un la­ to, la " comprensione emotivamente situata" come chiave di volta della cono­ scenza di cui ci ha parlato quell'Heidegger del quale la Zambrano scrive nei Beati essere "il più famoso dei filosofi di questo secolo" , grazie al quale la filo­ sofia ha compreso quanto sia importante per lei dialogare con la poesia2; dal­ l' altro, il forte, anch'esso fondante senso della vita riconoscibile, oltre e forse più che nella visione di filosofi in senso più stretto pure alla Zambrano assai vi­ cini come Nietzsche, Dilthey, Bergson, Simmel o Jung, al centro del pensiero poetante e del pensiero teatrale di due dei più acuti artisti-pensatori della mo­ dernità, a lei tutt'altro che sconosciuti: Giacomo Leopardi e Luigi Pirandello. La seconda affermazione di principio, il secondo pilastro della riflessione di Maria Zambrano che, in stretta complementarità col primo, legittima il mio de-

1 C. FERRUCCI, Le ragioni dell'altro. Arte e filosofia in Maria Zambrano, Bari, Dedalo, 1995 . 2 M. ZAMBRANO, Los bienaventurados, Madrid, Siruela, 1990, p. 5 1 ; trad. e postfazione di C. Fer­ rucci, Milano, Feltrinelli, 1992 , p. 53 .

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CARLO FERRUCCI

finire questa riflessione un esistenzialismo estetico, è invece la sua convinzione che il compito primario del pensiero non consiste, come troppo spesso si è ri­ tenuto, nell'erigere sopra e contro questa nostra insuperabile creaturalità un muro di impassibili e a volte altezzose astrazioni, ma nel rivelame le manifesta­ zioni e i linguaggi con un massimo di attenzione, di sensibilità , di aderenza , di­ rei, alle sue pieghe e alle sue movenze più nascoste. Di qui, da entrambe cioè queste convinzioni fondamentali, discende l'inin­ terrotto dialogo della Zambrano con l'arte, da sempre in prima linea a suo giu­ dizio nel dar voce e figura sia a quel determinante - non episodico, non banal­ mente "sentimentale" - identificarsi dell'essere col sentire, sia al suo articolar­ si in forme sempre nuove e variamente coinvolgenti; e l'intrecciarsi di tale inin­ terrotto dialogo con l'arte con penetranti riflessioni sugli inizi e il compito del­ la filosofia, sulla storia, sulla religione, sul sacro. Ma di qui, anche, e insepara­ bilmente, il ricorso della nostra pensatrice, un ricorso sempre più marcato via via che il ripercorrimento critico della storia del pensiero gliene confermava la necessità, a una simbologia del mondo e dell 'uomo, dei suoi visceri e del suo sangue - delle sue " entrafias " , per dirla con una delle parole chiave del lessico zambraniano - affidata a un linguaggio lirico-evocativo concitato e febbrile, in­ sieme coinvolgente e spiazzante, speculativamente impuro, come sempre coin­ volgente, a corto di fiato e speculativamente spiazzata e spiazzante, le risulta es­ sere quella nostra creaturalità di fondo. Questo linguaggio vibratile, stratificato, creativamente integrale, viene chia­ mato da Maria Zambrano " ragione poetica, dalla profonda radice d'amore"\ ma anche " ragione materna" o "vivificante" o ancora, nelle sue pagine su Pla­ tone e sullo stoicismo, con aggettivi che continuano a insistere sul carattere in­ sieme materico, chiaroscurale, e creaturale di una simile visione, logos "sotter­ raneo" e " embrionario " ; e poi infine, nel più tardo De la aurora ( 1 986) , logos o piuttosto, con riassuntivo riferimento al suo stesso percorso, "senda" , sentiero, "orfico-pitagorico "4; mentre nel di poco successivo Notas de un método ( 1 989) leggeremo che esso è un sentire la vita "non soltanto col pensiero, ma anche con la respirazione, col corpo"5• Ma la definizione forse più calzante, anche se in questo caso indiretta, della ragione poetica, o almeno quella che più mi fa sentire come anche nostro, anche alla portata dei nostri discorsi e percorsi, que­ sto filo conduttore dell'intero cammino della Zambrano - il suo rappresentare

3 In. , La guerra de A. Machado, in "Rora de Espaiia" , XII ( 1 93 7 ) , ora in ID. , Los intelectuales en el drama de Espaiia y escritos de la guerra civil, Madrid, Editoria! Trotta, 1998, p. 1 7 7 . 4 In. , De la aurora, Madrid, Turner, 1 986, p . 123; trad. e postfazione di E . Lau renzi, Genova, Ma­ detti, 2000, p. 145. 5 In. , Notas de un método, Mad rid, Mondadori, 1 989, p . 130.

MARiA ZAMBRANO: UN ESISTENZIALISMO ESTETICO

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quindi per noi una " guida " nel senso a lei molto caro di testo che suggerisce, pronuncia e annuncia, più di quanto non enunci, perché chiede che le sue ve­ rità finiscano di formarsi e di chiarirsi in stretta interazione con l'interiorità del singolo lettore - la troviamo a mio avviso verso la fine dei Beati, l'ultimo testo da lei pubblicato prima di morire. "li sentire e il capire " , vi leggiamo, non possono riunirsi se non, come tutto ciò che vive o è sul punto di farlo, per mez­ zo di una sorta di simbiosi. Simbiosi, danza in un inizio e durante un tempo in cui quelli che stanno per riunirsi occupano l'uno il posto dell'altro. Cambiamenti di po­ sto, intreccio in base a un ritmo. n sentire risveglia, ravviva, ed è fuoco rianimato dal capire; il sentire, che fa da guida vegliando da solo in lunghe notti oscure, è in segui­ to sostenuto, custodito. La Bilancia, come simbolo, si forma così6•

Confesso però che mi piace molto, sempre in riferimento al genere di intel­ ligenza che la Zambrano prima teorizza e poi e sempre più intensamente anche pratica nelle sue opere, l'aggettivo " materna" . Mi sembra che, nella sua sem­ plicità, esso esprima come meglio non si potrebbe quella simbiosi tra il Filosofo come Padre e il Poeta come Figlio - "li Poeta, prima di tutto e soprattutto, è Figlio "7, leggiamo in Filosofia e poesia - che è uno dei punti di forza della vi­ sione zambraniana. Chi infatti se non la madre fa sì, dando la vita al primo, che figlio e padre entrino, nativamente, in sim-biosi, con-vivano - non per forza pa­ cificamente, anzi - su questa terra? L' atto di nascita di questa riflessione simbioticamente senziente, di questa visione dissodante-fecondante, un atto di nascita peraltro preceduto, incubato, direi, nel periodo immediatamente precedente, da una serie di prese di posi­ zione sulla necessità che il pensiero europeo impari a fare un " nuovo uso [ . . ] più complesso e delicato " 8 dell'intelligenza, è una recensione del 1 937 a un'o­ pera di Antonio Machado, nella quale la Zambrano fa sua l'idea di quest' altro grande andaluso che la poesia è lo spazio per eccellenza del difforme, il disso­ nante, il contraddittorio, l"' eterogeneo "9: di quei frammenti di senso e di realtà, di esperienza, in altre parole, che pur gravitando anch'essi sul nostro orizzonte sensibile e mentale e pur venendo da noi awertiti come altrettanto se non più autenticamente nostri del mondo univoco, compiuto, chiaro e distinto, messo a punto dalla ragione discorsiva, rifugge dal sottomettersi senz'altro, ossia sen.

6 ID., Los bienaventurados, cit., p. 90; trad. cit., p. 94. 7 ID., Filosofia y poesia, México-Madrid-Buenos Aires, FCE, 1987, p. 1 06; trad. di L. Sessa, in­

troduzione di P. De Luca, Bologna, Edizioni Pendragon, 1998, p. 109. 8 Io., La re/orma del entendimiento, in "Atenea", 140 ( 1937), poi in Io., Los intelectuales, cit., p. 138. 9 ID., La guerra de A. Machado, cit., p. 177.

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za combattere, diciamo, senza far valere le proprie, insieme più opache e più vi­ tali ragioni, alla presa del principio di identità e del sapere definitorio. Dove ciò che risalta - proprio come nelle pagine dei due artisti-pensatori Leopardi e Pi­ randello ma anche dei due padri dell'esistenzialismo moderno, Kierkegaard e Nietzsche, entrambi molto presenti alla Zambrano - è che l'enfasi, il pathos, con cui la nostra pensatrice argomenta sin da ora le sue tesi, non solo non va a scapito a ben guardare della lucidità dell'esposizione, ma garantisce al contra­ rio proprio lei la piena comprensione di movenze primarie, aurorali e fondanti, della realtà insieme fisica e mentale della persona, che coessenzialmente richie­ dono di venire, appunto, integralmente esperite, rivissute, patite. L'estetica che qui si delinea si tinge così di etica, attraverso un' apertura teoretica ed espressi­ va che sin dall'inizio ci tiene a presentarsi come un atto di giustizia nei con­ fronti di quanto, fuori o dentro di noi, non riuscirebbe altrimenti ad affiorare nel campo del visibile e del dicibile. Sotto questo profilo, dà da pensare anche un' altra affermazione di quest' ar­ ticolo del 1 93 7 , un' affermazione che si colloca in qualche modo proprio all'in­ crocio fra piano estetico, piano etico e piano conoscitivo, e che viene ripresa quasi alla lettera nel saggio di due anni dopo San ]uan de la Cruz (de la noche obscura a la mds clara mistica): la speciale attenzione, fatta di uno speciale sguar­ do e di uno speciale ascolto, rivolta dalla ragione poetica alla parte ancora in ombra del vivere, aggiunge la Zambrano, realizza, in contrasto con l'oggettività più appariscente ma anche più " vuota" prodotta dalla ragione scientifica, "l' og­ gettività nella sua più alta forma" . Dove " più alta" sta, mi sembra, ma è l'ope­ ra zambraniana nella sua interezza a mostrarcelo, per più complessa e comple­ ta, più integrale, più comprensiva della multiplanarità della condizione umana. Già in questa stessa ottica, in un articolo dello stesso 1 93 7, La re/orma del entendimiento, la Zambrano aveva messo in evidenza come la ragione classica nel suo punto di massimo sviluppo, la filosofia di Hegel, si sia rivelata incapa­ ce di dar conto in modo soddisfacente dei moventi e dei momenti insieme più segreti e più pregnanti delle vicende umane. Di qui, ella osservava, la necessità di elaborare una visione più esauriente della "vita umana nella sua totale intre­ grità " ; una visione capace di ridimensionare la presunzione di autosufficienza, la " superbia" 10, del razionalismo, senza però cadere nell'estremo opposto di un culto incondizionato dell'irrazionale e dell'ineffabile. Successivamente, l'attenzione della Zambrano si sposta sul significato della ragione poetica come possibile chiave di lettura, da un lato, della tradizione fi­ losofica occidentale, dall' altro della storia del pensiero e della letteratura spa-

10 1D., La re/orma . . . , cit., pp. 137-8.

MARiA ZAMBRANO: UN ESISTENZIALISMO ESTETICO

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gnola. Nascono, così, Filoso/fa y poesia e Pensamiento y poesia en la vida espaiio­ la, entrambi del 1 93 9 . n primo è un'appassionata indagine, insieme lucida e ispirata, sulle ragioni e le forme del problematico rapporto da sempre esistente tra filosofia e poesia, caratterizzate rispettivamente dalla ricerca di un sapere univoco e certo e dal tenace attaccamento alle effimere manifestazioni della realtà sensibile. n loro tradizionale contrasto si spiega secondo la Zambrano col fatto che la filosofia, come si può arguire mettendo insieme il mito della caverna di Platone e una fa­ mosa pagina della Metafisica di Aristotele, nasce da uno strappo troppo brusco, dal violento e quasi esorcistico sottrarsi di alcuni soggetti - interpreti però di una parte di ciascuno di noi - alla loro iniziale ammirazione per lo stupefacen­ te ma inaffidabile mondo dell'immediatezza; mentre la poesia si colloca da su­ bito all'estremo opposto, è abbandono e fedeltà di altri - interpreti però a loro volta di una parte di tutti noi - a quel seducente richiamo, e riscatto, risarci­ mento, quasi, di quell'intensità e carnalità del sentire-sapere che l'ascesi filoso­ fica invece rinnega. Entrambe, tanto la poesia quanto la filosofia, sono poi ri­ maste sostanzialmente coerenti con la loro origine, hanno continuato a soddi­ sfare gli stessi bisogni, (quasi) altrettanto primari; riconciliarle, pertanto, ossia fecondarle l'una con l'altra, come la Zambrano dichiara già qui di voler fare, si­ gnificherà da una parte eliminare dalla pur legittima aspirazione filosofica al­ l'unità e alla chiarezza la violenza che ne ha viziato a suo giudizio la storia, dal­ l' altra sottolineare ed esaltare la componente etica e conoscitiva rinvenibile nel discorso poetico: tanto l'attenzione, la dedizione, la " giustizia caritativa " , quin­ di, che spinge quest'ultimo a mettere in forma l'informe, a dar voce e profilo a ciò che resterebbe altrimenti indicibile e invisibile, quanto la forza unificante dei suoi ritmi e l'incisività e memorabilità delle sue rappresentazioni e costru­ zioni, delle sue "figure innamoranti " 1 1 . "La poesia " , scrive tra l'altro Maria Zambrano verso l a fine d i questo testo con una definizione insieme così bella, così suggestiva e così precisa, così pen­ sata, dell'arte della parola, da rendermene obbligata la citazione, è ametodica, perché vuole tutto allo stesso tempo. E perché non può, nemmeno per un momento, staccarsi dalle cose per immergersi nel fondamento - in questo si dif­ ferenzia dall'atteggiamento religioso. E perché non può, nemmeno per un istante, staccarsi dall'origine, per cogliere meglio le cose - nel che si distingue dalla filosofia. Vuole tutte e due le cose insieme. Non le distingue, così come non può distinguere tra l'essere e l'apparenza. Non distingue perché non decide, perché non si decide a

11 ID., Filosofia . . . , cit. , pp. 22, 89 e passim (trad. pp. 3 7 , 95

e

passim).

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CARLO FERRUCCI

scegliere, a scindere, nulla: né le apparenze dall'essere, né le cose che sono dalle ori­ gini, né il suo proprio essere dal luogo da cui scaturisce 1 2•

La stessa aspirazione a mettere a fuoco quel sentire-sapere della soglia, quel sentire-pensare dell'interezza, della riconciliazione e fecondazione reciproca dei contrari, che Maria Zambrano ha battezzato due anni prima " ragione poe­ tica" , ispira anche il secondo testo importante del 1 93 9 , Pensamiento y poesia

en la vida espaiiola. Al contrario dei saperi improntati a quel razionalismo sistematico europeo per il quale conoscere significa smaterializzare i fenomeni onde sottometterli a schemi concettuali, argomenta qui la Zambrano, la cultura sia filosofica - da Seneca a Unamuno e Ortega y Gasset - sia letteraria della Spagna, appare ca­ ratterizzata da un realismo o materialismo che si manifesta come irresistibile " attaccamento [apegamiento] " alle cose, al mondo sensibile, alla "mutevole molteplicità" del reale "in tutta la sua pienezza " . Di qui un tragicismo, una "malinconia " , dovuta alla conseguente concezione della vita come successione di istanti irrimediabilmente fluenti verso la loro fine - " Son le nostre vite i fiu­ mi l che vanno a dare nel mare/che è il morire" , scriveva nel Quattrocento }or­ ge Manrique - e tale da dar luogo nel corso della storia a due atteggiamenti op­ posti: da un lato, all'abbandono all' attimo fuggente, spasmodicamente goduto - vedi don Juan Tenorio e i picari -; dall' altro, alla sovrumana aspirazione ad abbracciare tutti quegli infiniti momenti in una totalità che insieme li conserva e li trascende - ed è stato il caso dei mistici. In mezzo tra i primi e i secondi, os­ serva Zambrano, è però poi intervenuta, a sancire la specificità della cultura spagnola, anche una terza figura, quella appunto del poeta, che partecipa di en­ trambe le istanze in quanto "non vuole rinunciare né a uno solo degli istanti che passano, né alla totalità di essi" , ossia né "vuole fare a meno di sgranarli, di gu­ starli, uno per uno, né smette di provare l'anelito amoroso che chiede eter­ nità " 13 . Ed è in questa sua qualità di figura-ponte, potremmo dire, che punta a conciliare l'attaccamento alla concretezza del tempo nel suo trascorrere sensi­ bile con l'aspirazione a un possesso totale di esso, che non più quel poeta spa­ gnolo, Manrique o Machado, ma il poeta spagnolo in quanto tale risulta ora agli occhi della Zambrano il rappresentante esemplare di quel sentire-sapere dell'interezza o della soglia che è la ragione, o, come ella la ribattezza qui, " co­ noscenza " poetica. Di una forma di comprensione, cioè, ella spiega,

12 Ibid., p. 1 13 (trad. - qui parzialmente modificata - pp. 1 15 -6).

13 Io., Pensamiento y poesia en la vida espanola, Madrid, Endymion, 1987 , p. 47.

MARiA ZAMBRANO: UN ESISTENZIALISMO ESTETICO

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in cui né si scinde la realtà, né si scinde l'uomo, né si scinde - in élites e massa - la società [. ] Lo sforzo attraverso cui si raggiunge la conoscenza poetica, è uno sforzo cui si fa incontro, a metà del suo cammino, una presenza sconosciuta, a metà del cam­ mino perché chi a tale presenza anela non si è mai trovato in solitudine, in quella so­ litudine angosciata in cui versa chi ha avuto l'ambizione di separarsi dalla realtà. A costui, difficilmente la realtà tornerà a offrirglisi. Mentre a chi ha preferito la povertà della comprensione, a chi ha rinunciato a ogni vanità e non si è superbamente osti­ nato a giungere a possedere con la forza ciò che è inesauribile, a costui la realtà si fa incontro, e la sua verità non sarà mai verità conquistata, verità carpita, violata; non sarà alèzeia, ma rivelazione elargita e gratuita, ragione poetica14• ..

Oltre che in Pensamiento y poesia en la vida espaiiola, la verifica di queste posizioni alla luce della tradizione letteraria della sua terra viene compiuta dal­ la Zambrano, sempre nel 1 93 9, nel saggio già ricordato su San Juan de la Cruz, pubblicato in italiano in appendice alla Confessione come genere letterario, do­ ve ella mostra come i versi di questo grande mistico siano il frutto di una vo­ glia, di una "fame " , di esistere, e di far esistere la presenza amata dell'altro, tal­ mente forte da poter essere placata solo dalle inesauribili figure della poesia. L'ascesi, la rinuncia alla vita immediata, alla soddisfazione diretta della carne, è qui la premessa della creazione di una realtà seconda, in cui la pienezza del sog­ getto - coscienza formante alimentata e guidata dalla volontà amorosa di pre­ sentificazione dell'assente - si sposa con la pienezza dell'oggetto, col suo usci­ re dall'indistinzione per prendere luce e corpo esperibile in uno spazio, " zona intermedia tra la vita e la morte " 15, sottratto sia alla consunzione del possesso che al buio della distanza e dell'oblio. Una poesia così intesa - pensiamo, di nuovo, alla figura anche in questo esemplare del nostro Leopardi, all'incisività creativo-ricostruttiva generata dal suo ripetuto, proverbiale morire e rinascere a se stesso; ma anche alla poesia a sua volta insieme così cantata e così consa­ pevole, così pensata, di Rilke, Lorca, o dello stesso Machado - è per la Zam­ brano sempre anche una mistica, seppure lucida, articolata, " chiara" o " della creazione " , appunto, come ella chiama quella di San Giovanni della Croce per distinguerla dalla mistica nichilistica di Miguel de Molinos; e " perfetta oggetti­ vità" 16, come perfettamente oggettivo è a suo giudizio l' amore che non ingoia il proprio oggetto come fa il desiderio lasciato a se stesso, ma al contrario lo sal­ vaguarda mettendolo in forma, " disegnandolo" , nell'interiorità di chi ama; e in-

14 Ibid., p. 53 . 15 1D., La confessione come genere letterario, trad. di E. Nobili, introduzione di C. Ferrucci, Mila­ no, Mondadori, 1 997 , pp. 1 16-8. 1 6 Ibid., p. 120.

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terezza della persona, in quanto coesistenza, anzi, coappartenenza, per quanto laboriosa e sofferta, di ordine e di delirio, di disciplina e di libertà, di control­ lo e di abbandono, di distanza e di partecipazione, di conoscenza e di passio­ ne. E così, scrive in conclusione la Zambrano, l'unità "sognata", sì, certo, an­ che dal filosofo, dal filosofo puro, diciamo, ma appunto solo sognata in quan­ to inficiata all'origine da una disgregante volontà di dominio, " si avvera nella poesia. La poesia è tutto; il pensiero scinde la persona, mentre il poeta è sem­ pre uno. Di qui l'indicibile angustia e anche la forza, la legittimità della poe­ sia " 17 (corsivi nel testo originale) . Ancora più di vent'anni dopo, del resto, in un notevole saggio sulla Spagna e la sua pittura scritto nel 1 960 a Roma, la Zambrano porterà proprio la poesia di San Giovanni della Croce a riprova dell'infondatezza del luogo comune se­ condo cui "l'intensità della vita spirituale annulla quella corporea, annulla e di­ strugge i sensi [ . . ] Se è certamente vero " , ella puntualizzerà in quelle pagine, .

che l'ascetica ortodossa prescrive una rinuncia e persino un annichilimento dei sensi, il risultato ci dice però che quest'annichilimento è piuttosto una trasformazione. I sensi vengono sì distrutti, ma solo nella loro forma normale, per poi essere ricondot­ ti - attraverso non sappiamo quale recondito cammino - a una superiore acutezza e a un'unione tra di loro e tra di loro e l'intelligenza, che produce una percezione più intensa e totale, un'abbracciare la realtà e penetrarla 1 8•

Se per definire il pensiero di Maria Zambrano si può legittimamente parla­ re di esistenzialismo estetico, tuttavia, è anche perché senso e storia di quella nuova forma di intelligenza insieme speculativa ed espressiva, abbracciante-pe­ netrante, che è la ragione poetica, non vengono esemplificati nella sua visione solo dalla poesia in senso stretto: alla messa a punto del metodo di ascolto, di aderenza intrinseca, alle pieghe e alle piaghe del vivere umano, di cui la ragio­ ne poetica è portatrice, danno al contrario un contributo essenziale anche i lin­ guaggi, le forme, del romanzo, della tragedia, della pittura, della musica. Musica e poesia, intanto, sono gemelle, scrive Zambrano nel saggio già ri­ cordato La Spagna e la sua pittura, nel senso di essere entrambe sia celesti che infernali in quanto, doni caduti dal cielo tramite un eroe disceso da Apollo, Or­ feo, che è però anche un essere infernale, esse affiorano nello stesso tempo " dall'inferno della nostra anima" , dunque provengono, così prosegue la Zam­ brano,

17

Ibid., p. 123 . ID. , "Espana y su pintura" , in ID., Algunos lugares de la pintura, Madrid, Espasa-Calpe, 1989, p. 90 (trad. di C. Ferrucci in ID. (a cura di), Estetiche dell'esistenza, Roma, Lithos, 1998, p. 220). 18

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da qud luogo intimo e segreto, inaccessibile, nd quale inferno e paradiso si confon­ dono perché in esso risiede il ricordo, il paradiso che permane e che, coll'illuminare il tempo reale della nostra vita e la sua ultima angoscia, produce l'infemo19•

In un senso lontano solo apparentemente da questo, la musica ispirerà poi sin dal titolo uno degli ultimi testi della Zambrano, il già ricordato Notas de un método, di cui ella dice nelle righe iniziali, poco prima di domandarsi se non sarà il musicista piuttosto che il filosofo "il protagonista della cultura d'Occi­ dente" , essere composto appunto non di annotazioni ma di "note in senso mu­ sicale" , momenti di una "melodia" intesa come costruzione non forzata né for­ zante, diciamo, di un'andatura conoscitiva il più possibile con-sonante con le vibrazioni più profonde della vita; come una forma di riflessione, dunque, ella aggiunge, "imprevedibile" e " creativa"20, ossia non meno intuitiva che argo­ mentata, non meno accompagnante che analitica, non meno rivelatrice che esplicativa, non meno illuminante che chiarificatrice. Ma già negli anni qua­ ranta, in quelle stesse pagine su Seneca che abbiamo visto svolgere un ruolo de­ cisivo nella messa a fuoco della vocazione "materna" della ragione poetica, la Zambrano aveva evocato la musica quando aveva ricordato essere la saggezza dello stoico un"' armonia interiore " attraverso cui egli percepisce !"' armonia del mondo " . Ciò che fa di un saggio un saggio, ella soprattutto aggiungeva in quell'occasione, è una questione di orecchio, una qualità musicale [ . . . ] un'attività di percezione inces­ sante [ . . . ] un continuo accordo. È, insomma, un'arte. La morale si è risolta in esteti­ ca e, come ogni estetica, ha qualcosa di incomunicabile [ ... ] Vivere e morire con mi­ sura è la suprema, unica legge; legge musicale, più che razionale2 1•

" Con misura" , vale a dire, una volta di più, con sapiente, esemplare equili­ brio tra istanze a un tempo contrapposte e complementari, un equilibrio capa­ ce di dosare al meglio la "bilancia" che soppesa da un lato autoconoscenza ed autoespressione e dall'altro intelligenza del difforme, il distante, l' " eteroge­ neo " ; da un lato la vulnerabile opacità della materia, in primis di quella mate­ ria per eccellenza che è la nostra fisicità, la nostra carne, dall'altro la dura lu­ centezza delle costruzioni della mente. Toccherà poi a Persona y democrdcia, pubblicato in Portorico nel 1 95 8 ma il cui testo ci informa essere stati luogo e data della sua conclusione "Roma 23 lu-

19 Ibid., p. 72 (trad. p. 2 1 0). ID., Notas, cit., p. 12. 21 ID., Elpensamiento vivo de Séneca, Madrid, Cii.tedra, 1 987 , pp. 45 e 47; trad. modificata di A. Tonelli, Milano, Bruno Mondadori, 1998, pp. 44 e 46. 20

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qui parzialmente

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glio 1 956 " , fare del richiamo alla musica uno dei perni dell'analisi filosofico-po­ litica di grande rilievo che la Zambrano sviluppa in tale opera e che manifesta anche per questo un'indubbia consonanza, è di nuovo il caso di dire, col resto del suo pensiero. Qui, infatti, ella osserva tra l'altro che l'assetto, l'ordine, di una società democratica, è più simile all'ordine musicale che all'ordine archi­ tettonico in quanto si tratta di un ordine non rigido, immobile, definitivo, ma "vivente" , " fluido" , che " armonizza le differenze" - " Unisce la musica i con­ trari, o è già lì che respira prima che compaiano? " , leggeremo vent'anni dopo in Chiari del bosco - ; per cui chi si oppone ad esso, all'ordine democratico, ma­ gari accusandolo, come accade il più delle volte, di non essere in realtà che di­ sordine, confusione e caos, si comporta, conclude Zambrano, " come qualcuno il cui udito non fosse in grado di seguire il fluire di una melodia o la comples­ sità del contrappunto: qualcuno che volesse trovare l'ordine e l'armonia nel suono continuo di una nota"22• Dà da pensare, infine, l'affermazione, che mi astengo dal commentare per­ ché di una densità autoilluminantesi - potrei al massimo sottolinearne la qua­ lità di ennesima manifestazione di unità dei contrari - che ne Il sogno creatore ( 1 965 ) Zambrano fa seguire alla sua definizione della musica come arte del mo­ vimento per eccellenza: "la musica" , ella scrive, "è il sogno organizzato, il so­ gno che, senza cessare di esserlo, è passato per il tempo e ha imparato dal tem­ po, ha messo a /rutto il tempo "23 (corsivi nel testo originale) . Passando all'arte del romanzo - e il modello, qui addirittura l'archetipo, è di nuovo un capolavoro spagnolo, il Don Chisciotte, al quale la Zambrano de­ dica tra l'altro il saggio Ambigiiedad de Cervantes ( 1 947) -, per la pensatrice an­ dalusa esso mostra meglio di qualsiasi altro genere artistico dei nostri tempi il conflitto tipicamente moderno tra coscienza e pietà, tra la riduzione cartesiana dell'essere dell 'uomo a pensiero puro e il bisogno dell'uomo concretamente esistente, dell'uomo-creatura, di immaginarsi, inventarsi, sognarsi. Da un lato, prendendo le difese di quest'ultimo, dell'uomo- creatura, del sognatore che convive in ognuno di noi col ragionatore, ma senza dimenticare quest'ultimo, e puntando così, a differenza del pensiero puro, ad abbracciare l'interezza del vi­ vere, il romanzo ha aperto la strada secondo la Zambrano a quelle filosofie - la teoria della ragione vitale o storica o "narrativa" del suo maestro Ortega y Gas­ set, il personalismo e, appunto, l'esistenzialismo - che più si sono sforzate di mantenere aperti gli orizzonti della mente in un momento in cui questa sem-

22 ID . , Persona y democrdcia. La bistorta sacrzfical, Barcellona, Anthropos, 1 988, p p . 1 62 - 1 64 ; tra d . d i C . Marseguerra, Milano, Paravia - Bruno Mondadori, 2000, p p . 196- 1 97 . 23 Io., El sueiio creador, Madrid, Turner, 1 986, p . 18; trad. e introduzione di C . Ferrucci, Roma, Lithos, 2 003 , p . 2 3 .

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brava chiudersi alle istanze e alle suggestioni dell'immaginario . Frutto dell'in­ contro-scontro tra fame, "apetito " , di essere, e desiderio di conoscenza, scrive la Zambrano nel saggio del 1 947 , la grande narrativa europea si affianca a quei saperi nel tentativo di raggiungere, nuovo esempio di convergenza dei contrari o supposti tali, quel " punto di coincidenza di Filosofia e Poesia" nel quale "il tempo creatore in cui nasce il sogno della persona si aprirà il passo nella chia­ rezza della coscienza "24. Raccogliendo, così, ed è insieme il secondo aspetto si­ gnificativo della teoria zambraniana del romanzo e un'ulteriore riprova dell'or­ ganicità della sua visione complessiva, l'eredità della grande tragedia greca, che coincidendo con la nascita della coscienza europea ha rappresentato anche il momento aurorale del suo conflitto con le pulsioni e le concezioni che fuorie­ scono dai percorsi del pensiero ufficiale, dal mondo della luce piena, dall'ordi­ ne costituito della città e della mente . Tematica, quest'ultima, alla quale la Zam­ brano ha dedicato, oltre ad alcuni saggi raccolti ne /_;uomo e il divino ( 1 955 ) e Il sogno creatore, la sua ispirata riscrittura-correzione dell'Antigone di Sofocle, quella Tomba di Antigone ( 1 967) che rappresenta a mio parere una vera e pro­ pria opera-ponte, e non solo evidentemente in senso cronologico, tra la fase dell'indagine prevalentemente storico-speculativa sulla ragione poetica e la fa­ se del pieno dispiegarsi di questa, del suo prodursi indisgiungibilmente teoreti­ co e stilistico, espressivo - insomma e del tutto conseguentemente: razionai­ poetico - nei testi chiave dell'ultimo periodo: Chiari del bosco ( 1 97 7 ) , Dell'au­ rora ( 1 986), Notas de un método, I beati, fino al postumo Los sueiios y el tiem­ po ( 1 992 ). Sulla tragedia classica in versi, la Zambrano ha scritto, ne I; uomo e il divino ( 1 95 5 ) , che essa rappresenta ai suoi occhi l'espressione più compiuta e matura sia dei rituali e delle formule ritmiche delle antiche liturgie, sia dei giochi ver­ bali dell'infanzia e della sapienza popolare in rima; e mi semb ra si possa dire che sia già questa superiore capacità del linguaggio tragico di ampliare la con­ cezione umana del tempo " alterandone" , diciamo, il normale decorso lineare nelle cadenze della versificazione, a far sì che la Zambrano ritenga questo lin­ guaggio in più sensi così magistrale come una prima forma emblematica di ri­ velazione-comprensione dell'inquietante per eccellenza, del massimamente inatteso, dell'eterogeneo nel senso appunto di altro in quanto altro, di altro " re­ sistente"25 . Da quelle antiche forme di manipolazione del linguaggio, in ogni caso, la tragedia si distingue a suo giudizio non solo, naturalmente, per il suo

24 ID. , La ambigiiedad de Cervantes, in ID. , Espaiìa, sueiìo y verdad, Barcelona, Edhasa, 1 982 , p. 3 2 .

2 5 ID. , ,! Qué e s la piedad?, in ID. , El hombre y lo divino, México, FCE, 1 986, p . 2 07 e passim; trad. di G. Ferraro, introduzione di V. Vitiello, Roma, Edizioni Lavoro, 2 00 1 , p . 188 e passim.

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superiore magistero formale, ma anche per il fatto che le forme di alterità "re­ sistente" , particolarmente marcata, con cui essa si misura, corrispondono da subito agli aspetti più radicali, imprevedibili e dolorosi, dunque meno accetta­ bili, del vivere: alle sue " situazioni estreme" , nei confronti delle quali la rap­ presentazione tragica funge da rito purificatore volto a esorcizzare il male met­ tendone in luce cause ed effetti su una scena che è, e insieme non è, la stessa della vita. Mettendo in luce, cioè, del male compiuto o subito dai personaggi della vicenda rappresentata, il suo essere e insieme il suo non essere anche il no­ stro, di noi spettatori, che comprendendoli e/o commiserandoli ci mettiamo sempre in qualche modo "nei loro panni" , vediamo sempre in qualche misura in loro dei nostri "simili " , degli " altri noi " : "È questo " , scrive tra l'altro al ri­ guardo la Zambrano, che la tragedia, rito della vita greca, faceva sentire nello stesso tempo, in un istante, ai tanti spettatori convenuti: messa in scena della pietà nella sua arte di trattare "l'al­ tro " , di trattare noi stessi quando ci facciamo altri o quando non abbiamo ancora ces­ sato di esserlo26•

Da un lato, scopriamo che esercitando questa sua funzione insieme rivela­ trice e lenitrice di mali e colpe che sono di pochi ma potrebbero essere di tut­ ti, l'autore tragico non fa per la Zambrano che esemplificare il ruolo svolto dal­ l'artista tout court. Come mostra meglio di altri quel Picasso che ha portato al­ lo scoperto nientemeno che "le viscere della pittura" , ella scrive in alcune pa­ gine sul grande malagueii.o scritte negli stessi anni de I; uomo e il divino, è ogni artista infatti a essere a suo giudizio "interprete prima di tutto delle tenebre, del lato oscuro della vita" , cui la sua opera cerca di strappare " qualcosa del loro se­ greto, delle loro forme appena delineate, che a volte sono di mostri" ; perché "una delle funzioni dell'arte, è di redimere mostri"27 • Dall'altro, l'esperienza del tragico resta però in ogni caso per la Zambrano il momento inaugurale di una ragione poetica o sentire-sapere della soglia in cui il soggetto si fa multiplo, plu­ rale, mantenendosi nello stesso tempo come uno; diviene un altro, gli altri, pur restando se stesso. In ciò, l'arte tragica corrisponde per la nostra pensatrice a un modello di ricongiunzione dei contrari, qui un massimo di ludicità e un mas­ simo di serietà, nella forma di un'azione vissuta come non reale, un " gioco" , che però s i fa più che reale, " totale "28, nella misura in cui, proprio come in un

2 6 Io., La tragedia, o/icio de la piedad, in Io. , El hombre, cit . , p. 224 ; trad. cit. - qui parzialmente modificata -, p. 2 05 .

2 7 Io. , Amor y muerte en los dibujos de Picasso, in Io. , Algunos lugares, cit . pp. 1 64 - 1 66. 2 8 Io. , La tragedia, o/icio de la piedad, in Io., El hombre, cit . , p . 224; trad. cit. p. 205 .

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gioco infantile vecchio come il mondo, ogni partecipante finisce col prendere su di sé la penitenza, col pagare il "pegno" , di riconoscere nel proprio essere la fragilità, le tensioni e le contraddizioni - in una parola, l'umanità - di tutti. In tale riconoscimento, e nella rinuncia al sogno di autonomia e unità dell'io che esso comporta, consiste secondo la Zambrano l' atto di nascita della coscienza individuale come coscienza dell' altro in quanto altro, dell'altro " resistente" , tornerei a dire, distinta dalla coscienza dell'identico perseguita, fondata e rap­ presentata dalla filosofia; un atto di nascita che più che con qualsiasi altra sto­ ria tragica, la Zambrano identifica con la vicenda di Antigone. Sulla quale, do­ po averle dedicato alcune pagine negli anni quaranta, ella ritorna, nella stessa ottica ma in termini più ampi, qualche tempo dopo ]}uomo e il divino, nei ca­ pitoli centrali de Il sogno creatore, per poi pubblicare nel 1 967 - a definitiva te­ stimonianza, come ho già avuto modo di dire, del grande significato rivestito sia per i contenuti che per lo stile del suo pensiero dalla figura della figlia di Edipo - quella riscrittura-correzione dell'Anttg on e di Sofocle che è La tomba

di Antigone. Riscrittura-correzione perché, come apprendiamo già dal lungo prologo di questa sorta di oratorio tragico in prosa, la Zambrano a differenza di Sofocle non fa morire Antigone, ritenendo di recuperare così la natura " trascendente" del genere tragico, il suo non poter non delineare, cioè, a suo avviso, un oriz­ zonte più aperto e illuminante - più corrispondente, potremmo forse dire, al genere filosofico-letterario così tipicamente zambraniano della "guida" - di quello di cui la storia raccontata appare inizialmente prigioniera. Sepolta viva, sì, dunque, come in Sofocle, sospesa tra la superficie della terra e le sue profon­ dità, ma non suicida come il suo archetipo greco, non sbilanciata nemmeno al­ la fine verso l'oltretomba, l'Antigone zambraniana assurge a figura esemplare ­ a macrosimbolo, a simbolo con la esse maiuscola, in qualche modo - di equili­ brio e di mediazione tra i due contrari per eccellenza della vita e della morte. Da qui, da questa sua posizione di mediatrice assoluta - di "tessitrice" , di "spo­ la" , scrive con felice figuralità Maria Zambrano - tra le due opposte sponde dell'essere e del non essere, trae spunto, alimento e forza l'alternarsi di mono­ loghi e di dialoghi con cui, nei dodici capitoli che formano il testo, Antigone ri­ vive e ripensa il suo rapporto con gli altri personaggi della sua storia. I quali, pur senza perdere del tutto la loro primitiva identità, finiscono in tal modo per diventare meno sconosciuti e diversi, meno " altri" ; finiscono per diventare, cioè, per usare la parola che maggiormente ricorre in quest'opera davvero no­ tevole e che senz'altro ne riassume meglio il senso, più "fratelli" . In una con questo, tuttavia, La tomba di Antigone è anche il luogo del più nitido affermarsi di quella nuova forma di luce o di visibilità che Maria Zam­ brano ha ripetutamente affermato essere il più sentito e significativo dei tra-

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guardi del suo pensiero. Si tratta di una luminosità insieme soffusa e penetran­ te, che vediamo emanare sempre più limpidamente dall 'interno del cuore di Antigone, dalla sua attenzione a tutto l "' altro " - quanto mai " resistente" , quan­ to mai angosciosamente "eterogeneo" - da cui la sua storia è gravata, e che tan­ to più si accende e si espande quanto più fitti e pesanti sono i nodi di opacità, le ombre, che la assediano e le si fanno incontro. È investendo, ammorbidendo e sciogliendo questi nodi con la forza della sua mitezza, che questa luce fa ma­ turare quel sogno di radicale trasformazione della condizione umana che è per la Zambrano "correttrice " di Sofocle la "Legge Nuova" della fratemità29• Dei testi dell'ultimo periodo - e con questo concludo -, tutti in vario modo importanti e della maggior parte dei quali ho avuto modo di segnalare via via almeno un tema o spunto di rilievo, Chiari del bosco è insieme alla Tomba di An­ tigone e a Dell'aurora quello che meglio esprime lo speciale rapporto che lega l'esistenzialismo estetico di Maria Zambrano al tema per lei così fondamentale della luce e, insieme a questo e inseparabilmente da esso, alla sua concezione del tragico. Come il motivo della pietà, infatti, del riconoscimento del diverso, dell'eterogeneo, del dissonante, appare comune al linguaggio della poesia, al mondo del romanzo e all'universo tragico, così, ella aveva precedentemente argomentato nel saggio La Spagna e la sua pittura, quest'ultimo è accostabile al genere di pittura più rapp resentativo dell' anima spagnola - Goya e Zur­ banin, soprattutto - per il tipo di luce che rischiara entrambi : non la luce so­ lare, omogenea e incontrastata della cima dell'Olimpo, della coscienza e del­ la ragion pura, ma la luce sotterranea, incerta e disuguale, da "lampada ad olio" , che si sprigiona a fatica dal cuore dell'uomo e che sembra fare tutt 'u­ no con la materia sulla quale si posa. E questa luce, ecco, è agli occhi della Zambrano, dalla prima all'ultima delle sue pagine, la stessa luce sfrangiata, ba­ luginante, insieme trattenuta e riverberata, quasi, dall'ombra che la avvolge, che guida non la sola Antigone, ma ogni creatura umana, attraverso i chiari del bosco dell'esistenza.

2 9 lD. , La tumba de Antfgona, México, Siglo XXI , 1967 , poi in In . , Senderos, Barcellona, Anthro­ pos, 1 986, p. 2 04 ; trad . e introduzione di C. Ferrucci, con un saggio di R. Prezzo, Milano, La Tartaruga , 1 995 .

ESPANA) SUENO Y VERDAD di Laura Silvestri

Apparso nel 1 965 , Espaiia, sueiio y verdad è la continuazione di Pensamiento y poesia en la vida espaiiola, la raccolta di conferenze pronunciate da Maria Zambrano in Messico nei primi anni dell'esilio. E di fatto, i due libri concen­ trano le sue idee su ciò che costituisce l'essenza del pensiero spagnolo. Quel­ l' essenza, bisogna aggiungere, che l' autrice si sente in dovere di indagare pro­ prio nel momento in cui è costretta ad assistere alla tragedia della guerra ci­ vile. Per questo, nell'introduzione alla prima ristampa di Pensamiento y poe­ sia del 1 986, dice: He de confesar que hasta julio de 1936, en que Espaiia se lanza a la hoguera en que todavia arde con fuego recondito, no me habia hecho cuestion de la trayectoria del pensamiento en Espaiia . Absorbida enteramente en temas universales, resbalada so­ bre mi atenci6n, eludiendo muchas veces la naciente extraii eza que me producian las peculiaridades extremas del pensar espaiiol, es decir, de la funcion real y efectiva del pensamiento en la vida espaiiola. Son abundantes los topicos que circulan acerca de ella, pues la situacion de Espaiia en el concierto de la cultura es tan singular, que ne­ cesitaba de una explicacion y, no obteniéndola, ha engendrado topicos a grand. De ellos nos hemos nutrido1 •

Se la guerra civile aveva portato allo scoperto "las entraiias mismas de la vi­ da"2, spazzando via i vecchi luoghi comuni e spostando il soggetto dal suo nor­ male luogo di osservazione, l'esilio fa risorgere sentimenti mai provati prima e parole finora prive di significato: Y asi, eso que se llama patria y que antes los espaii oles, al menos, no nos atreviamos a nombrar, ha cobrado en su agonia todo su terrible, tir:inico poder. lmposible libe-

1 M. ZAMBRANO, Proposito, in Io., Pensamiento y poesia en la vida espaiiola, Madrid, Endymion, 1 996, p. 7 . 2 Ibrd.

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rarse de su imperio; imposible, porque tampoco queremos libramos, sino entregar­ nos, como todo amor ansia, mas y mas3•

Maria Zambrano è convinta che l'esilio sia una forma particolare di espatrio in quanto l'esiliato, sebbene oppresso dal sentimento di abbandono con l'insicurez­ za che ne deriva, non smette mai di avere una terra, un paese che lo chiama e a cui deve rispondere4• Così, per sopperire alla mancanza, tende naturalmente a rico­ struire ciò che non ha più e lasciare che la mente vada " donde el amor la lleva"5• La rinascita - quella seconda nascita che, derivando dalla propria decisione, porta alla "vida misteriosa y dara "6, alla vita vera del sentire, attorno alla qua­ le si svolge tutta la ricerca di Maria Zambrano - comincia dunque da qui: dal­ l' amore per la patria lontana che, spingendola a parlare del suo paese, le fa tro­ vare nella peculiarità ispanica le radici del suo stesso pensiero. Nel momento in cui le potenti costruzioni del razionalismo europeo mo­ strano tutta la loro fragilità e inadeguatezza, il pensiero spagnolo le si rivela nel­ la sua radicale diversità, offrendosi come un esempio da seguire. Per spiegare questa specificità l'autrice ricorda che la filosofia nasce dall'ammirazione e dal­ la violenza e aggiunge: La primera nos mantiene apegados a las cosas, a las criaturas, sin podemos desprender de ellas, en un éxtasis en que la vida, queda suspensa y encantada. De ella sola no podria derivar algo tan activo como el pensamiento inquisidor, como el pensamiento desvela­ dor. Hace falta que intervenga alguien mas: la violencia, para que surja algo que se atte­ va a " rasgar el velo" en que aparecen encubiertas las cosas. (.Y de donde nace esa vio­ lencia? c:Qué quiere decir esa violencia? Lo hemos dicho: quiere. La violencia quiere, mientras la admiracion no quiere nada. A ésta le es ajeno perfectamente el querer; le es ajeno y basta enemigo todo lo que no sea proseguir su inextinguible pasmo extatico. Y, sin embargo, la violencia viene a romperla, y rompiéndola en vez de destruirla hace na­ cer algo nuevo, un hijo de ambas: el pensamiento, el incansable pensamiento filosofi.co7•

3 Ibid. , pp. 7-8. 4 "Comienza la iniciaci6n al exilio cuando comienza el abandono, el sentirse abandonado; lo que al refugiado no le sucede ni al desterrado tampoco. El refugiado se ve acogido mas o menos amo­ rosamente en un lugar donde se le hace hueco, que se le ofrece y aun concede y, en el mas hi­ riente de los casos, donde se tolera [. .. ] Y en el destierro se siente sin tierra, la suya, y sin otra ajena que pueda sustituirla. Patria, casa, tierra no son exactamente lo mismo. Recintos diferen­ tes o modos diferentes en que el lugar inicial perdido se configura y presenta. El encontrarse en el destierro no hace sentir el exilio, sino ante todo la expulsi6n. Y luego, luego, la insalvable di­ stancia y la incierta presencia fisica del pafs perdido. Y aqui empieza el exilio, el sentirse ya al borde del exilio" ; M. lAMBRANo, Los bienaventurados, Madrid, Siruela, 1 990, p. 3 1 . 5 1D. , Proposito, cit., p . 8. 6 ID., Delirio y destino. (Veinte aiios de una espaiiola), Madrid, Mondadori, 1989. 7 ID. , Pensamiento y Poesia en la vida espaiiola, in ID. , Pensamiento y poesia en la vida espaiiola, cit., pp. 26-27.

ESPANA, SUENO Y VERDAD

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Poiché in Spagna la necessità insopprimibile di sapere, propria di qualsiasi persona e di qualsiasi paese, non si esprime attraverso grandi sistemi filosofici, l'autrice deduce che qui il pensiero si nutra solo di ammirazione che, essendo la coscienza della straordinarietà di ciò che ci circonda, spinge al dubbio e alla ricerca costanti. Ciò significa che in Spagna la verità non viene cercata nella ra­ gione astratta - che violenta la realtà riducendola a categorie e definizioni -, ma nella realtà stessa. n risultato pertanto non è mai una verità conquistata con la forza (attraverso cioè le procedure di selezione ed esclusione grazie alle quali la ragione astratta impone le sue regole) , bensì è " revelaci6n graciosa y gratuita, raz6n poética "8. Dall'attaccamento all'infinita varietà del reale derivano la libertà, l'apertura, la frammentazione, la mobilità e l'asistematicità del pensiero spagnolo. Non per nulla esso trova la sua massima espressione in quel famoso realismo che non so­ lo permea tutta l'arte e il folklore di quel paese, ma, osserva l'autrice, segna an­ che "el hablar y el callar de nuestro pueblo en su maravillosa cultura analfabe­ ta, moldea nuestros pueblos, y marca con una huella tan fuerte como dificil de descifrar los resortes mas intimos del movimiento y de la quietud espaiioles"9. Grazie al realismo in Spagna tutto cambia di segno: la mistica che in Ger­ mania era rivolta essenzialmente a cercare la protezione di un Dio imperscru­ tabile, una volta trapiantata qui, si confonde con "la idolatrada realidad de este mundo " 10; il panteismo rinascimentale in Spagna si trasforma in "naturaleza escueta" 1 1 e lo stesso avviene per le teorie krausiste, divenute un movimento in cui "persistia vigoroso, virginal, intacto, un entendimiento y un coraz6n re­ fractario a la abstracci6n y el analisis" 12• Per non parlare poi del neokantismo importato da Ortega y Gasset che in mano sua si trasformerà a tal punto da di­ ventare "raz6n vital " , la ragione che afferma la vita come realtà fondamentale ineludibile13. In Spagna anche il materialismo perde il suo significato tradizionale per di­ ventare una vera e propria metafisica: la consacrazione della materia, la sua esaltazione e apoteosil4. E a riprova di questo culto b asta osservare i quadri di Velazquez o el Greco in cui la materia è trattata come energia creatrice: "mate­ ria que se reparte en todo y todo lo identifica, que todo lo funde y trasfunde, B

Ibid. , p. 50. 9 M . ZAMBRANO, El realismo espaiiol, in ID., Pensamiento y poesia en la vida espaiiola, cit , p. 3 3 . IO Ibid. ' p. 36. 1 1 M . ZAMBRANO, Materialismo espaiiol, in ID. , Pensamiento y poesia en la vida espaiiola, cit., p. 4 1 . 12 In. , El realismo espaiiol, cit., p . 38. n Ibid. Si veda anche M . ZAMBRANO, Ortega y Gasset, /il6so/o espaiiol, in ID., Espaiia, sueiio y ver­ dad, Barcelona, Edhasa, 2002 , pp. 1 13 - 156. 14 In. , Materialismo espaiiol, cit., p. 3 9. .

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que es el vehiculo y la uni6n: la comuni6n asequible y concentrada por la cual todo va a todo " 15 • Prima d i essere una tecnica descrittiva o un espediente retorico, il realismo spagnolo è "un estilo de vida y, en consecuencia, de vivirla, una manera de estar plantado en la existencia" 16. Non stupisce dunque che gli spagnoli sentano con tanta intensità l'irreversibilità del tempo. Immersi come sono nella realtà, percepiscono il divenire, sentendo come nessun altro l'incombenza della morte. Per questo non hanno creato nessun ti­ po di pensiero che in sostanza non fosse una profonda riflessione su di essa: mentre altrove Cartesio costruiva il suo Discorso sul metodo e Leibniz e Newton gettavano le basi per una nuova fisica matematica, essi non smettono di pensa­ re alla morte. Da qui deriva che il sentimento della malinconia sia così radicato e diffuso in Spagna. Si tratta però di una malinconia che non ha niente a che ve­ dere col languore romantico o con l'angustia. Non è l'abulia del comportamen­ to né tantomeno l'inibizione del pensiero. Non è accompagnata dalla perdita dell'attenzione e della progettualità, non rende povera l'immaginazione e diffi ­ coltosa l'associazione di idee. Al contrario. In Spagna la malinconia è il modo di confrontarsi col fluire della vita: è la coscienza della precarietà dell'esistenza umana e al contempo la volontà di dare un senso a questa fugacità. Per questo la malinconia non è mai disgiunta dalla speranza. Entrambe "son la forma de la temporalidad envolvente " 17, il modo in cui la vita va oltre a ciò che la mortifica. C'è un solo caso, osserva Maria Zambrano, in cui la malinconia non si ac­ compagna alla speranza ed è quello di Azorin che, attraverso la rappresenta­ zione di un passato ormai irraggiungibile e un presente inafferrabile, ha creato l'immagine di una Spagna rassegnata e ripiegata su stessa. Ciò che appare con insistenza nella sua opera è la misura del tempo che passa. E nello scorrere del tempo va scomparendo la Spagna e, con la Spagna, il soggetto che la contem­ pla, perché solo l'azione può fermare la successione: la decisione dell'individuo di affermarsi in qualche modo nella realtà che lo circonda. Ma in Azorin non c'è azione, né decisione. Non c'è progetto, speranza o desiderio. In una paro­ la: non c'è volontà (non a caso, ricorda l' autrice, il suo primo romanzo, intito­ lato appunto La voluntad, è rivolto a cancellare ogni sua traccia) . Al suo posto c'è la " sensibilidad " che, intesa come "lo que nos pone en contacto con todo ilimitadamente " , può essere chiamata anche "enamoramiento" 1 8 • Ciò significa che egli rimedia alla melanconia (al sentimento irrimediabile della perdita) con

1 5 Ibid. 16 Ibid. , p. 32. 1 7 Ibid. , p . 93 . 1 8 M . ZAMBRANo, Una mistica de Espaiia, in ID., Pensamiento y poesia en la vida espaiiola, cit., p. 107 .

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l'osservazione minuziosa di ogni dettaglio, grazie alla quale recupera il senso originario delle cose, del paesaggio, della gente, della realtà immediata che è poi quella che apre alla realtà universale, Con lui nasce così una vera e prop ria "mistica de Espaiia" 19, che trova i suoi antecedenti nella mistica orientale: quel­ la che spinge verso l'oggetto d' amore senza volerlo possedere: con distacco e disincanto e allo stesso tempo senza dolore e senza rimpianti. La sensibilità di Azorin, sottolinea Maria Zambrano, come del resto quella della sua generazione20, è la conseguenza di un particolare momento storico : quello cioè in cui la Spagna si congeda definitivamente dalle suo aspirazioni im­ periali per entrare finalmente nella "normalità" . Non più imprese eroiche (non a caso il motto della generazione del 98 era " chiudiamo con sette giri di chiave il sepolcro del Cid " ) , non più sogni di grandezza impossibili, ma una vita as­ sennata e tranquilla, finalmente a misura d'uomo. Tuttavia, per non essere banale, per essere degna di essere vissuta, questa vi­ ta ha bisogno di guardarsi e interrogarsi. Così fa Unamuno che non cessa di cercare, sempre inquieto e insoddisfatto. Così fa Ortega y Gasset che persegue il bene della Spagna quasi con amore filiale. E così fa Azorin la cui risposta è una Spagna fantasmatica e quieta. Una Spagna semplice, non delirante, non mostruosa, non tragica. Una Spagna "al fin habitable"21 . Quello che per Ganivet, e ancor prima per Larra, era stato "mal de Espaiia" (un male così estremo e radicale da portarli al suicidio) , con lui si trasforma in "amor por Espaiia" . Un amore tanto grande da riuscire a realizzare l'impossibi­ le. Si direbbe infatti che, seppure priva di speranza (o magari proprio per que­ sto), la sua "irremediable melancolia "22 contenga in sé il germe di una trasforma­ zione. Di fatto, Azorin potrebbe essere considerato come il precursore di quella "nueva historia " , che nata dalla " reconciliaci6n con el pasado"23 , dovrebbe por­ tare a quel sapere conciliatore in grado di unire poesia, storia e filosofia24• Per lui, il commiato definitivo da ciò che è stato libera il tempo dal mecca­ nismo cronologico e da tutte le connessioni logiche, attraverso la quale la ra­ gione astratta ha strutturato il mondo e l'esperienza, e riattualizza un altro tem­ po che permette di tornare all'origine, esporsi al possibile e consegnarsi al di­ venire. È nell'essere per la morte, infatti, che Azorin trova un nuovo senso da

1 9 Ibid. 20 Quella sensibilità cioè che lo stesso Azorin aveva definito "hiperestesia " , ossia " un aguza­ miento doloroso de la sensibilidad " ; A. AzORfN, Las con/esiones de un pequeiio filoso/o, Madrid, Espasa Calpe, 1 99 1 , p. 45 . 2 1 M. ZMIBRANO, Una mistica de Espaiia, cit . , p. 1 07 . 22 Ibid. , p. 106. 2' M. LAAIBRANO, El peso del pasado, in ID. , Pensamiento y poesia en la vida espaiiola, cit., p . 22. 24 Cfr. ID. , Soberbia de la raz6n, in ID. , Pensamiento y poesia en la vida espaiiola, cit . , p. 2 1 .

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d are alla vita25• Questo perché nel cerchio della finitudine la morte è al limite della vita, un quasi fuori da essa che costringe per contraccolpo ad afferrarle entrambe - la morte e la vita - e a pensarle insieme26• Da una tale prospettiva tutto viene visto sotto un'altra luce: il passato non si esaurisce per il solo fatto di essere trascorso, ma si offre ad essere riassunto e rilanciato secondo un nuovo tipo di speranza: quella che Maria Zambrano chia­ ma "conciencia y memoria: continuidad "27 • Ossia: poesia. Se per lei Azorin è un poeta è perché il mondo che costruisce non è un da­ to oggettivo, ma una costruzione della memoria. O meglio: del ricordo che è anche un ri-accordo perché unisce ciò che la logica disgiuntiva ha separato. Intimamente legato al desengaiio, al profondo malessere che sorge quando ci si rende conto del divario esistente tra una certa opinione (sul mondo e su stessi) , Azorfn rappresenta un realismo che non è certo la rappresentazione na­ turalistica del reale, ma riguarda piuttosto la conformità tra il reale e la sua rap­ presentazione. Non bisogna dimenticare infatti che a partire da Las con/esiones de un pequeiio filoso/o egli lascia definitivamente il suo nome civile, J osé Marti­ nez Ruiz, per prendere quello di un suo personaggio: Antonio Azorfn, appun­ to. E con questa scelta decide di abbandonarsi completamente alla rappresen­ tazione artistica, come unica ancora di salvezza. Al polo opposto del realismo di Azorfn c'è il realismo, inteso come "predomi­ nio de lo espontaneo, de lo inmediato"28, il cui miglior rappresentante per l'autrice è il condannato che, nel quadro di Goya - Fusilamientos de la Moncloa -, va in­ contro al suo destino con un tale impeto che sembra quasi vincere la morte. Egli è el hombre integro, en carne y hueso, en alma y espfritu [ . . ] el hombre entero, verda­ dero Es la imagen de un hornbre que a nada ha renunciado, que de nada se ha des­ prendido. Es corno una piedra recién salida de la creaci6n. Es el hombre escapado, mas que salido de las rnanos del creador. Escapado. Su soledad no admite tutela, ni puede confundirse con el desamparo; en su soledad lo lleva todo consigo rnisrno, y parece ahora un hombre de otra especie por la cual la humillaci6n no hubiera jamas, pasado su lengua hablada. Tan virginal e integro es, que ni ante el terror de la muer­ te inrnediata muestra un solo rastro de experiencia. Esta rebosando vi da y es corno si nunca hubiera vivido, pues la vida ha sido tan inmediatamente consurnida que nin­ guna huella ha dejado, ningun residuo rnuerto. Ni experiencia, ni memoria. Si esca­ para eso del mortai peligro, todo volveria a cogerlo inocente, todo volveria a sor.

25 Ho trattato questo aspetto in Per una ridefinizione della generazione del '98, in AA.VV. , Fine secolo e scrittura: dal Medioevo ai giorni nostri, Atti del XVITI Convegno AISPI (Siena, 5-7 mar­ zo 1998), Roma, Bulzoni, 1 999, pp. 245-270 . 26 Si veda in proposito V. ]ANKELEVITCH, Pensare la morte?, Milano, Raffaello Cortina, 1 995 . 2 7 M. ZAMBRANo, La poesia, in Io. , Pensamiento y poesia en la vida espaiiola, cit . , p. 109. 28 Io . , El realismo espaiiol, cit . , p . 3 3 .

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prenderlo : nada hay lo suficiente fuerte que modifique s u contextura intima. Sabe ya todo lo que puede saber y ninguna ciencia puede modificarle. Esta hecho una vez pa­ ra siempre29•

Essere completamente naturale, questo personaggio vive fuori della storia e rappresenta la perfetta identità tra uomo e mondo. La sua integrità fa parte del­ l'unità della natura, in cui tutto si muove in un mutuo gioco di scambi e in cui tut­ to è in ogni istante nuovo. In questo senso allora può essere paragonato all'idiota, El nz'iio de Vallecas di Velazquez, il cui sapere "parece estar a punto de revelarse. Mas se queda en la linea de flotaci6n, en la raya imperceptible de la aurora"30• Per essere l'ingrediente fondamentale e variabile di ogni aspetto della vita e della cultura, il realismo spagnolo non può essere teorizzato, né analizzato . Se si vuole scoprirlo bisogna accontentarsi di evocarlo, affidandosi alla letteratura, o meglio alle sue forme " sacramentali" : il romanzo e la poesia. Questo perché novela y poesia funcionan, sin duda, como formas de conocimiento en las que se en­ cuentra el pensamiento disuelto, disperso, por las que corre el saber sobre los temas esenciales y ultimos sin revestirse de autoridad alguna, sin dogmatizarse, tan libre que puede parecer extraviado31 •

Per Maria Zambrano, la differenza tra i due generi consiste nel fatto che mentre la poesia parla di un mondo distinto, quello perduto degli dei del qua­ le il soggetto conserva ancora il sogno, il romanzo "nos mantiene siempre en este mundo, tanto que puede confundirse en nuestra memoria con personajes y escenas que hemos realmente visto y viv:ido" 32• n che significa che il roman­ ziere prende il mondo così com'è, accettando la sconfitta che ogni condizione umana presuppone. Questo genere infatti "no se pregunta, ni torna determina­ ciones, sino que se abraza al fracaso, se hunde en él y hasta se identifica en él"33 • Accettare la verità della realtà dove tutto è unito e niente è escluso questo è dunque il pensiero che vige in Spagna e che costituisce anche la filosofia di Maria Zambrano. Un pensiero poetante grazie al quale il soggetto non si separa mai dal mondo e da ciò che è specificamente umand4• Di qui che fare filosofia per gli spa­ gnoli significhi sopportare serenamente (e magari con un po' di umorismo) i tra29 Ibid. , pp. 34-35 . 30 M. ZAMBRANO, Un capitulo de la palabra: "El idiota", in ID. , Espaiia, sueiio y verdad, cit . , p. 223 . 31 ID . , Pensamiento y poesia en la vida espaiiola, cit . , p. 2 8 . 3 2 ID. , L a ambigiiedad de Cervantes, in ID., Espaiia, sueiio y verdad, cit . , p . 22. S i veda anche C . D E L A CRUZ AYUso, Ideas sobre la nove/a e n e l pensamiento de Maria Zambrano, in "Aurora . Papeles del ' Seminario Maria Zambrano"' , 3 (200 1 ) , pp. 52-59. 33 M. ZAMBRANO, Crisis del racionalismo europeo, in ID. , Pensamiento y poesia cit . , p . 1 7 . 3 4 Ibid. , p . 50.

en la vida espaiiola,

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vagli della vita. Non è quindi un sapere, ma una forma di agire. O meglio una con­ dotta che mostra un sapere: quello che consiste "en ver las cara y cruz de los acon­ tecimientos, en ver la vida como un tapiz al cual hay que dar la vuelta"35 . Valga l'esempio di Seneca, l'antico filosofo nato a C6rdoba, che Maria Zam­ brano definisce "un curandero"36 in quanto ha trasformato il logos platonico-ari­ stotelico in uno strumento di guarigione. n suo "logos consolador, nada impo­ nente, casi humilde, a la medida del hombre"37 era diretto infatti a sopportare i ro­ vesci dell'esistenza e accettare l'inevitabile fine. Per lui, "el hombre desampara­ do"38 viene prima di tutto. E in questo suo atteggiamento, dice Maria Zambrano, mostra la stessa comprensione della madre che vede nel figlio, per quanto ricco e fortunato, ciò che a una madre non può sfuggire: la sua solitudine radicale. Per Seneca, l'individuo, solo di fronte ai mali dell'esistenza e di fronte alla morte, non ha altro rimedio che essere responsabile dei propri atti e accettare con serenità ciò che non può evitare. Ragion per cui, aggiunge l'autrice, le do­ ti maschili per eccellenza - fermezza d'animo e senso di responsabilità - ven­ gono inculcate da lui "maternalmente"39. Del resto, osserva Maria Zambrano Constituira la nota mas verdadera del entendimiento espaiiol esta maternidad video­ te de la debilidad del hombre, esta inteligencia misericordiosa, incapaz de despegar­ se de la necesidad inmediata y humilde de cada dia, apegada a lo menesteroso y qu e para funcionar, para inspirarse, diriamos que le precisa sentir una urgencia en torno suyo; sentir que la han de menester4°.

Non stupisce quindi che trovi questo stesso atteggiamento materno tanto nel romanzo di Unamuno, San Manuel Bueno Mdrtir, in cui un parroco senza fede finge di credere per amore dei suoi parrocchiani, quanto in quello di Gald6s, Misericordia, in cui Benigna chiede l'elemosina per mantenere la sua arrogante e ingrata padrona4 1 • Anche questi personaggi sono guaritori della de­ solazione che ripetono, all'interno dell'apparente ortodossia cattolica, l'inse­ gnamento di Seneca: prima della fede viene la carità, prima della conoscenza la consolazione, prima della giustizia la pietà.

35 M. ZAMBRANO, i Qué es filosofia para el pueblo? Idea popular del sabio, in ID. , Pensamiento y poesia en la vida espaiiola, cit. , p. 56. 36 Io . , Estoicismo espaiiol culto, in ID. , Pensamiento y poesia en la vida espaiiola, cit . , p . 65 . 37 Ibid. 38 Ibid. , p . 66. 39 Ibid. 40 Ibid. , pp. 65 -66. 41 Cfr. ibid. , p. 67 ; M. ZAMBRANO, La novela de Gald6s, in Io. , Pensamiento y poesia en la vtda espaiiola, cit . , p . 104, e Io . , La mujer en la Espaiia de Gald6s, in In. , Espaiia, sueiio y verdad, cit . , p p . 1 03 - 1 09 .

IL SACRO RELIGIONE

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IL NULLA.

NICHILISMO IN MARtA ZAMBRANO di Vincenzo Vitiello

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1st es moglich ! Stern der Sterne, Driick' ieh wieder dieh ans Herz ! Ach ! was ist die Nacht der Ferne Fiir ein Abgrund, fii r ein Schmerz ! Ja, du bist es ! meiner Freuden Sii.Ber, liber Widerpart; Eingedenk vergangner Leiden, Schaudr'ich vor den Gegenwart. Als die Wdt im tiefsten Grunde Lag an Gottes ew' ger Brust, Ordnet' er die erste Stunde Mit erhabner Schopfungslust, Un d er sprach das Wort: " Es werde! " Da erklang ein schmerzlich Ach ! Als das All mit Machtgebarde In die Wuklichkeiten brach. Auf tat sieh das Licht ! Sieh trennt Scheu sich Finsterni.B von ihm, Und sogleich die Elemente Scheidend auseinander fliehn. Rasch, im wilden, wiisten Traiimen Jedes nach der Weite rang, Starr, in ungeme.Bnen Raumen, Ohne Sehnsucht, ohne Klang. Stumm war alles, stili und ode, Einsam Gott zum erstenmal ! Da erschuf er Morgenrote, Die erbarmte sich der Qual; Sie entwickelte dem Triiben

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Ein erklingend Farbenspiel, Und n un konnte wieder lieben Was erst auseinander fiel. Und mit eiligem Bestreben Sucht sich, was sich angehort, Und zu ungeme.Bnem Lehen 1st Gefii hl und Blick gekehrt. Sey's Ergreifen, sei es Raffen, Wenn es nur sich faBt und halt ! Allah brauch nicht mehr zu schaffen, Wir erschaffen seine Welt . So, mit morgenroten Fliigeln, Rili es mich an deinen Mun d, Und die Nacht mit tausend Siegeln Kraftig sternenhell den Bun d . Beyde sind wir auf der Erde Musterhaft in Freud und Quaal, Und ein zweytes Wort: Es werde ! Trennt uns nicht zum zweytenmaJI.

Non so quale frequentazione la Zambrano abbia avuto con la poesia di Goethe, non credo, tuttavia, che, coltissima com'era, ignorasse questi versi, tra i più belli e i più profondi del West-ostlicher Divan . Alita in essi un respiro co­ smico che unisce Dio all'uomo e l'uomo a Dio sin dalla nascita della solitudine 1 "È possibile, stella delle stelle l ch'io ti stringa di nuovo al cuore ! l Ah ! La notte della lonta­ nanza l quale abisso, quale dolore. l Sì, sei tu, delle mie gioie l dolce, amata compagna; l me­ more di trascorse pene, l tremo davanti al presente. Il Quando il mondo nell'imo fondo l giaceva dell'eterno seno di Dio, l Egli comandò la prima ora l col sublime piacere di creare, l e disse la pa­ rola 'sia ! ' l Risuonò un dolente ah ! l quando il Tutto, con la forza d'un gesto, l eruppe in forme reali. Il E fu la luce ! Si separò l da quella , timorosa la tenebra, l e d'un subito gli elementi l divi­ dendosi l'uno dall'altro fuggirono. l Rapido, in selvaggi scatenati sogni l ognuno cercò la lonta­ nanza, l rigido, in smisurati spazi, l senza brama, senza suono. Il Muto era tutto, silente e deserto, l e Dio, solo, per la prima volta ! l Allo ra creò Aurora, l che ebbe pena della sofferenza; l ella tras­ se dal torbido l un sonante giuoco di colori l e ora poteva di nuovo amare l ciò che p rima s'era di­ viso. Il E con impeto veloce l si cerca ciò che si appa rtiene, l e alla vita infinita l è volto il senti­ mento e lo sguardo: l si afferri, si ghermisca, l purché ci si prenda e ci si tenga ! l All a h non ha più bisogno di creare, l siamo noi a creare il suo mondo. Il Così, con ali d'aurora, l fui sospinto alla tua bocca, l e la notte con mille sigilli, l lucente di stelle, rinsalda il vincolo. l Entrambi siamo sul­ la terra l esempio di gioia e pena, l e una seconda parola 'sia ! ' l non ci separerà una seconda vol­ ta " . Wieder/inden, dal Libro di Suleika del West-ostlicher Divan, in W GoETIIE , Tutte le poesie, Mi­ lano, Mondadori, 1 997, vol. III, pp. 280-283 ; cfr. anche vol. I, t. II, p p . 994-997 . 2 Respiro cosmico che Benedetto Croce, per i limiti intrinseci alla sua teoria estetica , fondata sul­ la " distinzione " dell'arte dalla filosofia, non seppe avvertire ed apprezzare, ridusse, infatti, que­ sta poesia, peraltro l'unica del Divan da lui commentata, ad una semplice canzone d'amore: cfr.

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di Dio2. Morgenrote, Aurora, è il nome che lega, che unifica, che rende cosmo il chaos, non l'iniziale, l'ancor chiuso abisso di Dio, ma il " disordine" che vie­ ne dopo il " Fiat " . Come che sia, chi prova interesse per le relazioni inintenzio­ nali, naturali, maturate nell'ombra dell'inconscio, piuttosto che per quelle de­ rivanti da scelte culturali, nate nella chiara luce della coscienza storica, non po­ trà, nel leggere le pagine di Maria Zambrano sul Sacro, non avvertire in esse il medesimo sentire religioso che caratterizza questa poesia di Goethe: il sentire proprio di una religio che trascende il divino. E se Goethe nomina Allah, nella sua ambizione di celebrare, nella poesia del Divan , insieme il Dio d'Oriente e il Dio d'Occidente3, laddove l'orizzonte spirituale della Zambrano non supera l'arcata che congiunge Atene a Gerusalemme - i suoi occasionali riferimenti al­ l'India e alla Cina non sono che dotte citazioni -, va detto, tuttavia, che l'Islam di Goethe è tutto permeato di cultura greca, ed il più lontano Oriente da lui fantasticato è interamente plasmato dal pensiero neo-platonico4. Neo-platoni­ co, nell'ispirazione di fondo, il pagano, " terrestre " Goethe - il " suo " Spinoza docet5 -, neoplatonica Maria Zambrano, filosofa amante dei poeti e sovrattutto dei tragici. E solo muovendo da questa comune radice, potremo comprendere i diversi esiti dei loro Denkwege.

B. CROCE, Goethe, Il, Bari, Laterza, 1946, pp. 8 1 -86. D'altronde anche l'interpretazione crocia­ na del Faust è, a dir poco, riduttiva. In merito rinvio a V VITIELLO, Goethe interprete della mo­ dernità, in " aut aut " , 3 0 1 -3 02 (200 1 ) , pp. 14 1 -163 , spec. p. 145, nota 12. 3 Cfr. W. GoETIIE , Talismane, in Libro del cantore del West-ostlicher, in Divan, in fu., Tutte le poe­ sie, cit., vol. III , pp. 16- 17. 4 Basti quest'unica citazione, che chiaramente rinvia a PLOTINO (Enneadi, l, 6, 9, 3 0-32 ) e a PLA­ TONE (Repubblica, VI, 508b 3 , e 509a 1 ) : " Se l'occhio non fosse solare, l come potremmo vede­ re la luce? l Se non vivesse in noi la forza propria di Dio, l come potrebbe estasiarci il divino? " ; w. GoETIIE , La teoria dei colori, trad. it. a cura di R. Troncon, Milano, n Saggiatore, 198 1 , p. 14. 5 Proprio in considerazione del rapporto che legava Goethe a Spinoza, Mann contestava il "pa­ ganesimo" goethiano: " Certo, qualora si prenda come condizione fondamentale del cristianesi­ mo la separazione netta fra Dio e Natura, Spinoza fu pagano, e così Goethe. Ma con Dio e la Na­ tura il pensiero non ha esaurito tutta la realtà del mondo: di essa fanno parte anche l'uomo, l'e­ lemento umano, e il concetto che Spinoza ha dell 'umanità è cristiano in quanto definisce il fe­ nomeno umano come il divenir cosciente nell'uomo del Dio-Natura, come un liberarsi dalla ce­ cità cupa, insomma come un affrancarsi dalla natura, cioè come spirito" (T. MANN, Goethe e Tol­ stoy, in lo. , Nobiltà dello spirito e altri saggi, a cura di A. Landolfi, Milano, Mondadori, 1997, p. 100) . Stupisce questa interpretazione tutta "hegeliana" del cristianesimo come conciliazione tra spirito e natura, dettata da un autore tanto distante da Hegel, e, s'aggiunga, dettata in anni, tra il 192 1 ed il 1925 , che coincidono con l'ultima stesura dello Zauberberg, il romanzo della radica­ le impossibilità di ogni Versohnung. E lo stupore non può non crescere leggendo nei Tagebiicher 1 91 8-2 1 di Mann, sotto la data del 27 giugno 192 1 , all'epoca, cioè, del primo progetto della con­ ferenza che diverrà in seguito un ampio ed impegnativo saggio critico, questa affermazione: "In questo modo la conferenza sarà un puro e assoluto pendant del romanzo" (Nobiltà dello spirito, cit., p. 1634).

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Prendiamo quindi i versi di Goethe, con cui si è esordito, come filo con­ duttore di questa nostra riflessione sul pensiero della Zambrano, che è insieme più e meno di un'analisi storiografica. Più libera, perché meno legata al dato fi­ lologico, meno " esatta " , per la stessa ragione. Ma sono il medesimo esattezza e verità? Come chiedersi se l'essere dell'uomo si esaurisca nella sua cultura, nel­ la sua storia. 2. Quando il mondo giaceva nel profondissimo grembo dell'eterno Dio, quan­

do ancora stava raccolto nell'indistinto Uno, era il Chaos6• Non il disordine, il Chaos. n disordine implica molteplicità e discontinuità, implica il vuoto. E il grembo di Dio non era vuoto, anzi colmo, di tutto pieno, ma non di " cose " . Era Uno. Era e luce e tenebra, e cielo e terra, e sole e luna, ma luce come tenebra, cielo come terra, luna come sole: tutto in tutto. L'inizio non fu Non-essere, Nul­ la. Se non lo si nomina Essere, è perché Uno è oltre, è prima. Essere, Hestìa, la dimora degli enti, il riparo e la custodia di tutte le cose, e prim' ancora delle co­ se, degli dèi, non è l'origine. È già l'originato. Prima è l'Uno, il Tutto in tutto raccolto7• A questo Tutto, in sé raccolto ed uno, Maria Zambrano mira. Tenta l'im­ possibile impresa di spingere lo sguardo nel profondo abisso di Dio. Sa che questo abisso in Dio è prima di Dio. Lei lo nomina sacro, il Sacro. È la Notte dell'indistinzione. Non ci sono cose - o, per dirla alla maniera di Hegel, le co­ se sono, ma non esistono, non ancora sono entrate nell'esistenza8• Essere è es­ senza, essenza attuale, presente, reale, ma all'inizio fu solo essenza, "passato" mai stato presente, eterno passato dell'Uno(-che-è-)Uno. In esso non c'erano cose, né, precisa la Zambrano, immagini. Nulla si vedeva. Eppure si era visti. Non uno ma infiniti occhi guardavano l'uomo. Questa la prima esperienza del Sacro: la presenza inesorabile di uno sguardo, non "fonte di luce" , ma di " om­ bra " : un delirio di persecuzione. Insieme la radice della speranza: "La speran­ za è imprigionata nel terrore; l' angoscia di sentirsi osservati implica il desiderio di esserlo e tutta la speranza che si desta, che accorre davanti a questa presen­ za che si manifesta occultandosi"9• n tentativo della Zambrano di penetrare nel tie/sten Grund di Dio, nel Sa6 Sul significato di Chaos e sul suo rapporto col Sacro in Holderlin cfr. M. IIEIDEGGER, Erliite­ rungen zu Holderlins Dichtung, IV ed., Frankfurt/M., Klostermann, 197 1 , pp. 62-63 . 7 Cfr. PLOTINO, Enneadi, V, 5, 5, e VI, 9, 1 -3 . 8 "Die Sache ist, ehe sie existiert; un d zwar ist sie erstens al s Wesen oder als Unbedingtes; zwei­ tens hat sie Dasein oder ist bestimmt" : G.WF. HEGEL, Wissenscha/t der Logik, in Io., Werke in zwanzig Biinden, 5-6, Frankfurt!M, Suhrkamp, 1969, II, p. 122. 9 M. ZAMBRANo, El hombre y lo divino (d'ora in avanti indicato con HD) , II ed., Madrid, FCE, 1993 , p. 3 1 ; trad. di G. Ferraro, introduzione di V. Vitiello, Roma, Edizioni Lavoro, 200 1 , p. 27.

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ero, sembra destinato al fallimento. Come parlare dell'uomo, dire che è guar­ dato, osservato, scrutato da mille occhi? Sarà pure onniveggente lo sguardo da­ gli infiniti occhi, ma cosa mai potrà vedere nell'essenza che è " prima " dell'esi­ stenza, là, dove non v'è immagine, e figura, e singolo e definito essente? E po­ teva mai esserci l'uomo? Nel Chaos, là dove non c'è figura, immagine, esisten­ za singola - c'era l'uomo? Una sin troppo palese " contraddizione " . Certo, una sin troppo palese contraddizione. Non un fallimento, però; giusto il contrario. Tentiamo di comprendere " perché " questa contraddizione. 3. La Zambrano non si ferma a criticare e correggere, a integrare la concezione tradizionale - nel Novecento rappresentata da filologi, storici e filosofi della re­ ligione, etnologi, quali Émile Benveniste, Mircea Eliade, Roger Caillois10, per dire solo dei maggiori -, che interpreta la divisione " sacro l profano " come il darsi originario del Sacro. Come si è detto la sua analisi si spinge più addietro nel tempo, o meglio del tempo. In tie/sten Grund, quando non il profano, ma l'uomo, e prima ancora dell'uomo, il divino non era ancora nato (cfr. HD, p . 28; i t . 24 ) . Maria Zambrano non critica o confuta - non è nel suo stile, narrati­ vo. La via, che lei autonomamente si costruisce, procede direttamente dalla fonte: interroga i Greci, i poeti tragici, anzitutto, ed i filosofi. Non si ferma a di­ re com'è giunta alla fonte, né quelli che l'hanno aiutata nel suo autonomo cam­ mino. Ciò che precede la ricerca, e quanto in essa vi è di soggettivo e persona­ le, va messo da parte, obliato; e quanto agli incontri avvenuti durante il cam­ mino della ricerca o non c'è necessità alcuna di citarli, tanto sono evidenti, o la loro influenza è sfuggita anche a lei. Superfluo ribadire quanto poc' anzi s'è det­ to sul tipo di relazioni che noi si predilige, se non per sottolineare che il lavoro dell'interprete che mira ad entrare nella zona d'ombra dell' animo, se è più ar­ duo ed incerto, più rischioso, è però anche più attraente. Certo, per chi ama l'avventura. L'avventura del pensiero. Ma si incontrano pensatori se non si cor­ rono i rischi del pensare? 4. Stanco di anni e di affanni, consapevole ormai che le sue azioni delittuose, l'uccisione del padre, l'incesto, furono patite più che agite, divenuto hier6s ed eusebés, sacro e pio, n6mo kathar6s, puro dinanzi alla legge, prossimo alla ca-

10

Cfr. E. BENVENISTE, Il vocabolario delle istituzioni indo-europee, trad. a cura di M. Liborio, Ei­ naudi, Torino, 1 976, vol. m, pp. 4 19-459; R. CAILLOIS, L'uomo e il Sacro, trad. a cura di U.M. Oli­ vieri, Bollati Boringhieri, Torino, 200 1 ; M. ELIADE, Le sacré et le profane, Paris, Gallimard, 1965 . Rudolf Otto ha insistito, invece, sull'opposizione irrazionale/razionale: cfr. R. Orro, Il Sacro. I.:ir­ razionale sull'idea del divino e la sua relazione al razionale, trad. a cura di E. Bonaiuti, Milano, Feltrinelli, 1 966.

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tarsi finale, Edipo giunge, guidato e sorretto dalla figlia, a Colono. Entra, in­ consapevole, nel recito sacro dedicato a Poseidone e Prometeo1 1 • La tradizio­ nale separazione del " sacro " dal " profano " è testimoniata sin da Sofocle, dun­ que. Ma è la divisione quale si presenta all'uomo, all'uomo storico. È il Sacro visto dall'uomo, il Sacro poi che gli dèi sono sorti, poi che la Notte dell'Uno è stata - per usare l'immagine di Goethe - rischiarata da Morgenrote, Aurora. Questo conferma Euripide nelle Baccanti, l'ultima sua opera, per la quale Nietzsche mostrò più imbarazzo che comprensione12• Sulla scena è un dio, un dio non riconosciuto, anzi respinto dalla coscienza logica, diurna, solare del­ l'uomo, di Pentèo che rifiuta il mistero della Notte13 . Euripide parla della na­ scita del culto di Dioniso, in anni in cui già da tempo quel culto si era afferma­ to. È il modo per parlare dell'origine del religioso in età storica. La tragedia inizia con il dio sulla scena. Dioniso vede la tomba della madre folgorata accanto alle macerie della reggia, ancora fumanti del fuoco di Zeus; e loda Cadmo che ha chiuso il luogo in un recinto inaccessibile, sacro alla figlia, Semele14• La recinzione del sacro è opera degli uomini, di quei pii che custodi­ scono la memoria di un conflitto antico di dèi, più antico degli uomini. Testi­ monia, quindi, della fine del Sacro, avvenuta quando Dio ha eruttato, dal suo grembo eterno, il Tutto, che, non più raccolto nel suo profondissimo fondo, si è disperso. Quando la tenebra si ritrasse dalla luce, e gli elementi fuggirono, tutti, l'uno lontano dall' altro. E Dio rimase per la prima volta solo. La solitudi­ ne di Dio non è quella che segue alla compagnia con altri. È la solitudine di chi, da sempre, dall'eternità, pieno di tutto e non bisognoso di nulla, è ora svuota­ to, privo della luce e della tenebra, dello spazio e del tempo, del Cielo e della Terra, che prima aveva in sé, indistinti sì, ma in sé. La recinzione umana che Dioniso loda corrisponde alla solitudine del Dio-Uno svuotato di sé. Del Dio­ Nulla. Dioniso viene a Tebe per consolidare la memoria che il Logos di Pentèo vuole sradicare. Dioniso, il dio del vino che dà ai mortali il sollievo dell'oblio, giunge a Tebe per restituire con la violenza dell'insania e del furore bacchico la memoria del Sacro, che ora, nel tempo storico, può vivere solo nella memoria e per la memoria. " Contraddizione. Suprema contraddizione ! " - grida la logi­ ca dell'uomo storico. E giustamente, dal suo punto di vista - che non è però quello degli dèi, e tanto meno del Sacro. Come osserva Maria Zambrano:

11 Cfr. SoFOCLE, Edipo a Colono, vv 53 -63 . 12 Cfr. F. NIETZSCHE, Die Gehurt der Tragoedie, in ID., Werke, I, Kritische Studienaugabe, a cura .

di G. Colli e M. Montinari, dtv/de Gruyter, Miinchen!Berlin-New York, 1988, § 12. 1 3 EURIPIDE, Baccanti, vv 469-5 18. 14 Ibid. , vv. 1 0- 1 1 . .

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La supremazia degli dèi sull'uomo, specie la loro natura divina, consiste nello stare più in là del principio di contraddizione. Ciò vale per ogni dio, altrimenti non c'è di­ vinità possibile. n divino sta al di là, mentre il sacro sta al di qua di quel principio che costituisce, al contrario, la prigione dell'umano. "Sacro " e divino stanno al di fuori del principio di contraddizione; il sacro perché non contiene alcuna unità, il divino perché contiene un'unità che l'oltrepassa. La prima maniera di oltrepassarlo, senza giungere ancora all'essere, è quella degli dèi greci, intermedi tra il sacro - privo di unità - e il divino, nello spiegamento della metamorfosi. (HD, pp. 47-48; it. 42-43 ) .

La contraddizione del divino e del sacro, del sacro e del divino, è quella che la Zambrano affronta per "narrare" del Sacro e degli dèi, e di Dio. E non può farlo se non sottraendosi alla prigione umana, troppo umana della logica. Sto dicendo non meno che questo: la contraddizione in cui si muove la Zambrano quando racconta la Notte del Sacro, ove non v'è distinzione alcuna: luce che sia solo luce, tenebra che sia solo tenebra, (essendo Uno dneu schématos15, senza immagine, e senza " cose " , senza esistenza e singolarità) , ma dove tuttavia è pre­ sente l'uomo - visto, osservato, scrutato: esistenza prima dell'esistenza, imma­ gine prima dell'immagine ! -; questa contraddizione non è né umana, né divi­ na, né sacra. Abita l'dtopon metaxy, l'atop i co frammezzo, in cui avviene la ge­ nerazione degli dèi. Vive nell'istante, nell' exaiphnes, del "fiat " : la prima ora die erste Stunde - della creazione, quando il tempo ancora non era. 5. La nascita di Nous non è meno ambigua dell'esplosione del Sacro. Nel rac­ conto di Platino Nous è detto dio secondo, theòs deuteros. Ma come può esse­ re secondo, se tra Hén e Nous, Uno e Intelletto, s'interpone il movimento del­ la generazione? Perché non sia " terzo" è necessario concepire Hén come asso­ lutamente immobile, e pertanto la sua generazione - la sua améchanos dynamis eis tò ghennan, la sua infaticabile potenza di generare16 - come un'irradiazione che non scalfisce la sua perfetta immobilità ed immobile perfezione, e Nous co­ me questa medesima irradiazione17 • Col risultato, però, di togliere, per un ver­ so, sostanza ed autonomia a Nous, e, per l'altro, di porre nel cuore stesso del­ l'Uno(-che-è-) Uno la Diade. Platino parla senza imbarazzo alcuno delle due enérgheiai che caratterizzano tò Hén, se fa l'esempio del fuoco e del duplice ca­ lore che lo caratterizza, quello che resta in sé e l'altro che s'espande nel mondo e riscalda le cose, la pietra e l'uomo, la temperata primavera e l'infuocata esta­ te . . . ; senza il primo calore, aggiunge, non potrebbe esservi il secondo18•

15 Cfr. PLATONE, Parmenide, 137d. 16 PLaTINO, Enneadi, V, 3 , 16 2-5 . 17 Cfr. ibid. , V, l , 6. 1 8 lbid.

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li Due nell'Uno - già da sempre, o solo perché nella prospettiva di Nous non è dato intendere Hén che in tal modo, come due e non come uno? In termini più adeguati al racconto della Zambrano: del Sacro può parlarsi solo quando non c'è più ; quando c'era, prima del tempo, prima d'ogni prima, non c'era il linguaggio, il quale sorge insieme con la nascita delle cose singole, del mondo in quanto totalità di enti. Pertanto anche dell'istante in cui muore il Sacro e nascono gli dèi, di quell'exaiphnes, che, per essere " tra" l' eterno ed il tempo, non è né nell'uno né nell' altro, possiamo parlare solo nel tempo. Anche dire "prima" del tempo, è collocare come l'eterno del Sacro, così la fine del tem­ po, nel tempo . Ma il tempo, nel quale soltanto ci è dato parlare dell'istante, è proprio ciò che dall'istante va cancellato, non cadendo esso in nessun tem­ po (en chrono oudeni) 19: l'istante è " un tempo in cui il tempo si è annullato, in cui si è annullato il suo trascorrere, il suo passo e che pertanto possiamo misurare solo esternamente e quando è già trascorso attraverso la sua assen­ za" (HD, p. 40; it. 35 ) . L a contraddizione, l a sin troppo palese contraddizione della Zambrano, che parla del delirio dell'uomo per la persecuzione del Sacro ben si spiega. È una necessità del pensiero, che distingue e divide, parlare dell'Indiviso e Indistinto, dell'a6rzston, distinguendo e definendo, circoscrivendo; parlare dell' ap lousta ton, del semplicissimo, in termini plurali, composti, molteplici. E solo tenendo desta la coscienza della contraddizione è possibile parlare del Sacro, solo cioè nella consapevolezza che la distinzione "sacro l profano " non è originaria, ma derivata. ­

6. Tener desta la consapevolezza della differenza tra il Sacro in sé ed il Sacro

"oggetto " del pensiero umano implica l'uso di un particolare linguaggio . Non si può parlare di ciò che si sottrae ad ogni argomentazione, di ciò che nell' ar­ gomentazione si presenta soltanto come una contraddizione "vitanda " , col lin­ guaggio argomentativo dell'epistème. Con quale allora? Col linguaggio narrati­ vo, ma di una narrazione, che non racconta fatti, ma miti. Non fatti storici, ché la storia non è ancor nata, bensì eventi "possibili " , evitando di dare a questa pa­ rola - possibile, possibilità - il significato usuale ricavato da "reale " , "realtà"20•

1 9 Cfr. PLAToNE, Parmenide, 156e. Cfr. altresì la riflessione di S. Kierkegaard sull' exaiphnes in Il concetto dell'angoscia, trad. di C. Fabro, Firenze, Sansoni, 1953 , pp. 101- 1 15, ma spec. la nota 2 alle pp. 102- 105. 2 0 Significato peraltro dominante nella storia dell'Occidente, da ARisTOTELE (Metaphysica, IX, 8, 1049b- 1 05 1 a) a HEGEL ( Wissenscha/t der Logik, cit., II, pp. 202-2 17), a BERGSON (La pensée et le mouvant, ill : Le possible et le réèl, in In . , Oeuvres, IV ed., Paris, PUF, 1984, pp. 133 1 - 1345); se ne sottrae solo lo HElDEGGER di Essere e tempo (Tiibingen, Niemeyer, 1977 1 4, p. 3 8) .

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Non bisogna far torto alla Zambrano ritenendo ingenuo, e cioè " acritico " , il suo narrare. Il suo linguaggio testimonia, al contrario, una profonda coscien­ za critica. E non solo delle contraddizioni che sono nel contenuto dei nostri di­ scorsi, sì anche della contraddizione performativa, in cui noi stessi stiamo sci­ volando, di spiegare argomentativamente ciò che è al di là dell' argomentazio­ ne. La Zambrano evita entrambe, "narrando" . È la ragione che si fa narrazio­ ne, quando sa di non poter più, argomentare; che mostra, quando sa di non po­ ter più di-mostrare. È in questa ottica che vanno lette le pagine sul conflitto tra Zeus e Prome­ teo, che è ben anteriore alla storia umana. Giobbe poteva dolersi davanti a Dio, perché consapevole di sé, dei suoi diritti umani, di ciò che gli era stato pro­ messo, in quanto uomo giusto, da Dio. La storia umana non era ancora iniziata quando Prometeo realizzò la sua impresa, che in realtà appartiene a una lotta anteriore, la lotta tra gli dèi e i semidei. In effetti non c'è paragone, perché la possibilità della vita umana sulla terra, secondo il mito greco, le teogonie orfiche e la teogonia di Esiodo, derivò da una lotta tra " quelli " , i più che umani. (HD, pp. 37-38; it. 3 3 ) .

In questa mito-logia, non manca la descrizione della sofferenza di Zeus, il goethiano " schmerzlich Ach ! " : Era Zeus che doveva apprendere soffrendo, in modo da lasciare spazio alla vita uma­ na, che è figlia di una sofferenza divina, di un abbattimento dell'orgoglio e di una in­ crinatura nella divina impassibilità. (HD, p. 38; it. 3 3 ) .

Dalla sofferenza di Zeus, la libertà degli uomini, meglio: la possibilità di questa libertà. Dove Goethe vedeva soltanto moltiplicazione e disgregazione, il disordinato allontanarsi degli elementi tra loro, Maria Zambrano scorge il po­ sitivo sorgere del mondo. Vi è una differenza di tempi - di tempi divini e co­ smici - tra i due. Per la Zambrano Morgenrote, l'ultima creatura del Dio goethiano, è all'opera sin dall'inizio, e se il suo nome non è Aurora, ma Apol­ lo, non fa gran differenza. Apollo, per la Zambrano, è sì il dio della luce, ma non in quanto ne è signore, ché la luce è di tutti gli dèi greci, piuttosto è il dio che meglio la rappresenta, in quanto la sua physis è principalmente luce. Prin­ cipalmente, non esclusivamente. La contraddizione che appartiene a tutti gli dèi, al divino come tale come segno della loro oltre-umanità, non può non es­ sere anche di Apollo, che è detto infatti il Lossia, l'Obliquo21. Ma è proprio questa molteplicità, che contraddistingue non solo l'Olimpo greco, sì anche ciascuno degli dèi, che apre lo spazio della libertà dell'uomo. 21

Cfr., ad esempio, SoFOCLE, Edipo

re, v.

4 1 0.

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7. L'avvento degli dèi è l'avvento del vuoto: all'eruzione della pienezza del Sa­ cro - l'imo fondo dell'eterno grembo di Dio - consegue la nascita dello spazio. La "logica" a questo punto si interroga se lo spazio vuoto, libero, resta in Dio, ovvero è fuori di Dio: un Aperto che è oltre Dio. Ed ha anche ragione a così in­ terrogarsi, anzi di più: è necessitata a farlo. Solo che, nel farlo, dimentica il mi­ stero che avvolge la sua nascita; dimentica che a questa domanda non si dà ri­ sposta. L'uomo recinge il Sacro a difesa della sua libertà, e così operano gli dèi che sono "immagini " del Sacro, figure emerse dalla sua es-plosione. Gli dèi li­ mitano Zeus. Ma Zeus resta il più potente, e non perché ha il tuono e il fulmi­ ne, e fa tremare la terra e l'Olimpo; non perché Signore del Giorno e della Not­ te, della Luce e della Tenebra; ma perché, sovrattutto perché, è e non è un dio: è oltre ed altro. Oltre anche la potenza del più potente. Un frammento di Era­ clito recita: "Hèn tò sophòn mounon léghesthai ouk ethélei kaì ethélei Zenòs 6noma " (Uno, il solo sapiente, non vuole e vuole esser chiamato col nome di Zeus)22 - e deve pur significare qualcosa che il "non vuole" preceda il "vuole " ! Forse der tie/ste Grund del Sacro resta pieno pur dopo lo svuotamento, forse la kenosi divina non riguarda tutto Dio. Forse, peut-etre: il dominio del possibile non consente risposta. Obbliga, per contro, a restare nell'indecisione, nell' in firmitas del non-sapere. La recinzione del Sacro, la difesa del limite del non sapere, è salvaguardia dello spazio della libertà. Alla fine bisogna riconoscere che la distinzione del sa­ cro dal profano, recinge non il Sacro, ma il profano, non lo spazio pieno del Sa­ cro - e come potrebbe farlo l'uomo? con quali forze? -, bensì lo spazio vuoto della libertà. Che resta sempre sospesa alla "pienezza " del Sacro. Al sovrastan­ te mistero del Sacro. n mistero della nascita degli dèi si fa più fitto. Gli dèi nascono molti e discreti, differenti. Sono immagini a difesa dello spazio libero dell'uomo. Ma patiscono della spoliazione del sacro, di cui sono come frammenti. Dioniso osserva compiaciuto la tomba della madre folgorata e le macerie fumanti del palazzo regio. C'è della verità nella poesia di Goethe anche là dove parla della fuga degli elementi al deflagrare del Sacro, ovvero: al­ l'eruzione del Tutto dall'insondabile fondo del petto di Dio. Ma è una verità ro­ vesciata. Non è la fuga degli elementi, ma il loro tornare assieme, il pericolo. Non la pluralità degli dèi è la vera minaccia, ma la volontà di unità che li do­ mina. Non la dispersione, bensì l'unione. O, per essere completi, la dispersio­ ne nei limiti in cui accende la volontà di riunificazione, perché questa volontà si manifesta come volontà di potenza, come dominio di un dio sugli altri. ­

22 Dmr.s-KRANz,

Fr. , p. 32.

Die Fragmente der Vorsokratiker, B.de 3, Berlin, de Gruyter, 197 1 , Herakleitos

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La Zambrano ricorda Ortega y Gasset. Cita una sua lezione mai pubblicata, nella quale il suo Maestro sosteneva che gli dèi greci non avevano essere23 . Da questa mancanza sorse il bisogno di tornare all'unità. Voce alta di questa unità, il poema di Parmenide. La più alta e la più rigorosa, sino alla rigidità, al rigore della morte24. Il difetto dell'esito era nell'origine. Infatti, a quale unità miraro­ no i Greci, gli dèi ed i sophoi, ed in seguito non meno i filosofi? L'unità della luce, meglio dell'apparire, della forma, " dell'idea"25 • La mancanza d'essere, il vuoto, la loro "libertà" , si direbbe forse meglio: la loro " spazialità " , li portò a concepire l'unità come forma, come trasparenza pura. Portarono nell'unità la medesima carenza d'essere da cui intendevano trovar riparo. Ma leggiamo un passo della Zambrano, che tutto questo dice in modo conciso ed efficace, sor­ prendendoci, altresì, con una inattesa apertura al problema " Cristianesimo " , che approfondirà in seguito, in altri studi: La vocazione decisiva - se non l'unica - della Grecia, è quella della diafanità, che tro­ viamo manifesta nel carattere dei suoi dèi, nei quali la forma minaccia una certa dis­ soluzione. Onde non possiamo evitare di avvertire in loro una specie di vuoto, non solo a partire dal nostro cristianesimo, ma anche dagli dèi delle religioni orientali. Tuttavia, senza ricorrere a contrasti, la loro sola presenza lascia intendere il predomi­ nio della forma; la trasparenza che vince il mistero. (HD, p. 55, it. 49; corsivo mio).

La trasparenza che vince il mistero: qui l'origine del nichilismo. Del nichili­ smo della verità, della hybris umana, troppo umana dell' alétheia . È la presun­ zione, e la pretesa dell'uomo che il Sacro gli si manifesti, che il Pieno si dia a lui nelle forme " discrete " , discontinue, in cui può accoglierlo. È la pretesa e la presunzione di affermare che "la forza dello spirito è tanto grande quanto la sua espressione, la sua profondità profonda tanto quanto lo spirito nella sua esposizione osa diffondersi e perdersi "26• È la hybris di sottomettere il Sacro al divino, il possibile alla sua immagine. La hybris che nasce dalla dimenticanza del Sacro. Dalla dimenticanza del pericolo che il Pieno del Sacro rappresenta per lo spazio degli enti, per il vuoto del molteplice. Quando l'essente si sente al sicuro, allora il pericolo è maggiore. Nichilismo è questo: non l'inquietudine 2l Cfr. HD, p. 60 nota l ; it. p. 54 nota 2 . 24 Non è difficile scorgere i n queste pagine della Zambrano, e specie in quelle sul rapporto Era­ clito-Parmenide, un'influenza nietzschiana: cfr. F. NIETZSCHE, Die Philosophie im tragischen

Zeitalter der Griechen, in Werke, cit., l, e cfr. spec. § § 9- 1 3 . 25 Anche qui citare Nietzsche è d'obbligo, in particolare l a conclusione della Geburt der Trago­ die, cit., da cui stralcio quest'unica proposizione: " quanto dovette soffrire questo popolo per po· ter diventare così bello ! " . 26 G.W.F. HEGEL, Phiinomenologie des Geistes, a cura diJ. Hoffmeister, Meiner, Hamburg, 1952 6 , Vorrede, p. 15.

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del mistero che ti sorpassa e ti interroga, ti mette in questione e ti fa tremare, ma la certezza del sapere che chiude al dubbio e all'interrogazione, la presun­ zione del sapere che non sopporta il limite, che non sa "patire" l dgn oia del li­ mite. E per superare il limite, per soddisfare la sua volontà di sapere, il pensie­ ro si rinserra nelle sue "forme " , e nega nell'immagine la vita: la vita stessa del­ l'immagine. Nega nel fenomeno anche l'essere del fenomeno. Nega, infine, l'es­ se del cogito nel sum: il pensiero interpretante nell'interpretazione che esso dà di sé. '

8. " Ogni vita è un segreto"

(HD, p . 55; it. 49) . Alla diafanità degli dèi greci la Zambrano non oppone la Notte oscura del Sacro; oppone la vita. L'esistenza: l'ek-sistere della vita individua non risolvibile in forma pura, perché ha in sé la memoria non intellettuale, non puramente psicologica, non intenzionale, ma inconscia, naturale, anche corporea, animale, dell'origine. Nella pesantezza del corpo è il segno perdurante, la traccia incancellabile della pienezza del Sacro. Non a caso è in certe forme di malattia - "la lebbra, l'epilessia ed altre ancora" - che il peso dell'inconscia radice si fa sentire con maggiore gravezza. Esse se­ gnano nel corpo lo stigma del Sacro. Sono morbi sacri, che isolano chi ne è af­ fetto dalla comunità. L'isolamento dal comune testimonia di un legame che tra­ scende l'umano. Ma non verso l'alto, bensì verso il b asso. Il morbo sacro è l'e­ spressione di un sapere pre-umano, che è propriamente desiderio di distruzio­ ne, annientamento. Distruzione, annientamento dell'esistenza, della singolarità dell'esistenza. Distruzione come auto-distruzione. Viene spontaneo a questo punto citare Freud e il Todestrieb, l'impulso a tornare all'equilibrio perfetto dell'inorganico27, che attraversa da parte a parte la vita, lo squilibrio dell'ek-si­ stere, e, cioè, di una pro-venienza che resta sempre in bilico, in incerto equili­ brio. Il riferimento è giusto, ma non giova insistervi, per non perdere quello che è più caratteristico dell'analisi della Zambrano: l' attenzione sempre desta al la­ to " morale " del problema. Che non è affatto opposto a quello naturale e cor­ poreo, inconscio e pre-umano. Anzi proprio nel tenere uniti i due lati del pro­ blema è la nota più rilevante di queste analisi, nelle quali la vita morale è iscrit­ ta totalmente nella natura. Per certi aspetti continua la vita del corpo. Questo si mostra, in particolare, nell'analisi dell'invidia definita anch'essa "malattia sa­ cra"28. In che senso malattia? E com'è possibile accostarla alla lebbra e all'epi­ lessia?

n S. FREUD, Al di là del principio di piacere, trad. di A.M. Marietti e R. Colomi, in ID., Opere, 9, pp. 193 -249. 28 Dell 'invidia e dell'angoscia " male sacro come l'invidia, ma ancora precedente" : HD, p. 208; trad. p. 190.

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"La maniera più benevola di indicare l'invidia sarebbe avidità dell'altro"

(HD, p . 2 8 1 ; it. 25 7 ) . Una passione, dunque, come l'amore, o meglio : un tor­ mento. Che peraltro s 'alimenta di sé. Ma mentre l'amore tende all'unità di sé, del sé, con l'altro, l 'invidia mantiene l'altro nella sua alterità. Ma dove lo man­ tiene? La Zambrano rileva l'invidere che caratterizza l'invidia: "l'invidioso che sembra vivere fuor di sé, è un individuo immerso nel proprio intimo" (HD, p. 2 83 ; it. 259 ) , tutto vedendo dentro di sé. Profonda ambiguità delle manifesta­ zioni del Sacro nell'esistenza ! Infatti, se l'amore tende ad annullare nell'unità l'alterità dell'amato, e l'invidia, per contro, a mantenere la loro differenza, tut­ tavia la tensione all'unità dell 'amore presuppone il riconoscimento dell' altro fuori di sé e del sé, in uno spazio suo proprio, lo sguardo dell'invidioso, inve­ ce, non scorge alcuno spazio esterno. L'altro dell'invidia, nella sua alterità, è " dentro " l'invidioso, sì da minacciarne l' ek- sistenza : il sé dell'invidioso è solo l"' ombra dell'altro" . Nell 'invidia, dunque, si cela un desiderio di annullamen­ to di sé, del sé, un impulso all'autodistruzione . "L'invidia - scrive Maria Zam­ brano - sta sulla strada della 'solitudine' , ma non la raggiunge; se ne fosse ca­ pace, 'cesserebbe"' (HD, p. 289; it. 264 ) . L a solitudine, d i cui parla l a Zambra­ no, è l'atto di nascita dell' ek-sistenza singola, separata, cioè, dalla comunità na­ turale, epifenomeno dell'Uno, del Sacro che è una propaggine del pieno del Sa­ cro. " Don Miguel de Unamuno ha affermato che 'l'invidia' è una forma di pa­ rentela. Forse l'invidia costituiva la forma sacra di parentela, quando gli esseri non erano ancora definiti, e di conseguenza l'esser dell'uno era intrecciato a quello dell'altro " (HD, p . 2 06; it . 1 88) . L'amore invece presuppone la solitudine, ama soltanto chi ha conosciuto la solitudine. L'esempio più alto è la Passione divina: Gesù sta solo davanti al suo destino; in completa solitudine davanti ad esso. Un an­ gelo gli porge il calice del suo inalienabile patire. [ ] L'angelo appare sempre a quel­ li che conseguono la solitu dine; è l'immagine sacra della solitudine ! (HD, p. 2 9 1 ; it. 266) . ...

Immagine sacra . Salvezza e pericolo insieme dell'amore. Holderlin aveva cantato: "Wo aber Gefahr ist, wachst l das Rettende auch"29, Possiamo, dob­ biamo, dire il contrario : "Wo aber das Rettende ist, wachst l die Gefahr auch" . n pericolo che minaccia l'amore è l'unità, che, ove perfetta, distruggerebbe l'i­ dentità degli amanti nel loro esser-uno. Anche l' amore, quindi, è passione sa­ cra, ed anche malattia - malattia che consuma e distrugge come ogni morbo se non ha in sé il correttivo della pietà. vv. 3 -4, in Io. , Samtliche Werke und Brie/e, 2 B.de, V ed. , Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft , 1 989, l, p. 379.

2 9 F. HòLDERLIN, Patmos,

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9. Pietà: per definirla la Zambrano interpella anzitutto la filosofia. Nell' Euti­

/rone, ricorda, la pietà è "la virtù che permette di trattare gli dèi nel modo do­ vuto" (HD, p. 202 ; it . 1 84 ) , ha, quindi, a che fare col giusto e l'ingiusto. Que­ sta definizione, dice, lascia insoddisfatti. Riflettiamo un istante: quando parliamo di pietà, ci riferiamo sempre al rapporto con qualcosa o qualcuno che non sta sul nostro stesso piano vitale; un dio, un animale, una pianta, un essere umano infermo o deforme, qualcosa di invisibile o innominato, qualcosa che è e non è. Vale a dire, una realtà appartenente ad una regione o piano dell'essere diverso da quello in cui siamo noi esseri umani, oppure una realtà che con­ fina o sta oltre i confini dell'essere. (HD, p. 203 ; it. 1 85 ) .

Nel parlare "dell'altro " , con cui l a pietà c i mette in rapporto, l a Zambrano elenca gli essenti secondo un ordine che va dall'alto al basso: dio, animale, pianta, infermo, deforme, invisibile, innominato, per concludere con qualcosa che sta oltre i confini dell'essere. Cos 'è mai, cosa mai può essere l'altro con cui la pietà ci mette in rapporto, o direttamente o attraverso quegli essenti che so­ no segnati con maggiore evidenza dal suo stigma, se non il Sacro? Che è certo oltre l'essere, un " oltre " che è il fondo del nostro essere, come dell'essere di tut­ te le cose, singole, distinte, discrete. n Sacro, il Tutto raccolto nell'eterno petto di Dio che è prima della solitudine di Dio e della singolarità delle cose tutte. n Sacro, passato mai p assato, passato intemporale, accompagna l'universo mon­ do dei molti essenti - uomini e cose - come il fondo nascosto da cui sono emer­ si, ma a cui possono tornare, implodendo. n Sacro, il pieno del Sacro, con cui confina l'essere, è il ni-ente dell'ente, il non-ente nell'ente, il Nulla originario: non meno, ma più dell'essere, se non conosce spazio, intervallo, discontinuità. Il totalmente perfetto, il compiuto, che non conosce negazione, perché non co­ nosce determinazione. La pietà, in quanto "modo di trattare adeguatamente l' altro" , è l'esatto op­ posto dell'invidia, perché non si fa catturare dall' altro che internamente assor­ be l'anima dell'invidioso mutandolo in "ombra dell'altro" , ma proietta l'altro "fuori di sé " , tutela lo spazio della propria singolarità, e se si approssima all'al­ tro e se ne prende cura, lo fa "dall'esterno " . Ed è, essa, la pietà, nel contempo il correttivo dell'amore, perché non subordina la relazione all' altro all'unità. Se si difende dal fondo del Sacro, non si protegge meno dall'identità dell'essere, specie quando questa identità ha assunto il volto del Dio s p ecchio di se stesso, specchio di specchi, immagine perfetta, apparenza pura. E di questo lato del problema che ora dobbiamo occuparci. 10. Maria Zambrano non ripete, non può ripetere con Goethe: "Allah non ha più bisogno di creare, l siamo noi a creare il suo mondo" , perché Aurora, che

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con la sua luce iniziale unisce gli elementi dispersi, non è mai al sicuro dalla po­ tenza del tie/ster Grund di Dio. E se è pur sempre Dio che ha creato Mor­ genrote, allora la potenza che minaccia il Dio dell'Aurora, non è fuori di Dio, ma in Dio . Ancora Goethe, ma ora contra Goethe: "Nemo contra Deum nisi Deus ipse"30• No, non è dato all'uomo, neppure quando ama, creare al posto di Dio ! 1 1 . Quando Socrate si interroga sulla pietà "Parmenide ha già vinto"

(HD, p.

203 ; it. 1 85 ) . E ha già vinto non soltanto perché prima nella sophia, poi nella philo-sophia, si è imposta l'identità, l'idea, la forma, l'essere che resta uno an­ che se léghetai pollakos31, ma perché, sovrattutto perché la pietà da passione che possiede l'uomo s'è mutata in virtù umana, in virtù che è in potere del­ l'uomo. In questo atteggiamento di Socrate - dichiarato e teorizzato, nel Crito­ ne specialmente, là dove, prima di figurarsi d'essere dinanzi alla maestà dei No­ mai della Città, il filosofo anticipa che a nessun logos (discorso, ragionamento) presterà ascolto, se non a quello che a lui che ragiona (mai loghizoméno) appa­ rirà migliore (béltistos phainetai)32 -, in questo atteggiamento del filosofo i con­ temporanei videro l'empietà della filosofia. E la Zambrano in parte concorda : lei che pur nella cruente forme dei riti sacrificali arcaici sapeva scorgere una profonda pietas religiosa33 , non poteva certo apprezzare la hybris umana, trop­ po umana, di considerarsi centro dell'universo. Perciò alla filosofia che cerca e domanda, e trova, alla filosofia che si pretende responsabile, perché autonoma, da nulla derivando se non da se medesima, antepone l'arte che si sa ispirata da altro, dall'Altro, e irresponsabile, ché trova senza cercare34. Ma il pensiero della Zambrano è troppo complesso per fermarsi al giudizio di empietà della filosofia. Sa bene che anche la filosofia, come dice il suo stes­ so nome, è passione, ed è la passione più forte, quella dell'amore. Solo che, co­ me e più dell'amore, la filosofia si volge all'alto e non al basso, e per l'alto di­ mentica il fondo . Ma non è stato sempre così. li pensiero pre-platonico, la sophia, quindi, seppe scandagliare il fondo oscuro del Sacro, che nominò dpei­ ron, il senza limite, non solo perché nulla lo circoscriveva dall'esterno, ma an­ che, e sovrattutto, perché al suo interno era senza de-terminazioni, quindi sen-

30 J.W. GoETHE, Dichtung und Wahrheit, B . de 2, Basel, Birkhiiuser, 1 944 , II, P. IV, p. 205 . 31 ARisTOTELE, Metaphysica, N, 2 , 1 003 a 33 . 32 PLATONE, Critone, 46b. n

Cfr. in particolare, HD, le pp. 3 8-43 (it. 3 3 -38) su "Il sacrificio " , e pp . 2 08-2 1 0 (trad. pp . 1 901 9 1 ) su " La prima forma della pietà " . 34 Cfr. M . ZAMBRANO, Filosofia y poesia ( 1 939), in ID., Obras reunidas, Madrid, Aguilar, 197 1 , pp. 1 1 3 -2 1 7; Filosofia e poesia, trad. di L. Sessa , introduzione di P. De Luca, Bologna, Pendragon, 1998.

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za negazioni. Negazione e determinazione vengono dopo, e con esse l'ingiustizia (adikia) che ciascun ente compie nei confronti d'ogni altro35 • A diretto contatto con la tragedia la sophia seppe fare passi indietro rispetto al sapere della poesia che aveva dato immagine al sacro, de-terminandolo, dandogli forma e figura. La sophia si spogliò di ogni sapere, si addentrò nell' dgnoia, scoprì l' dpeiron: "la rive­ lazione del Sacro " . La poesia, per raccontare le storie degli dèi e delle loro meta­ morfosi, nello sforzo, cioè, di tradurre il Sacro nelle immagini del divino, "tra­ scurò l'oscuro fondo originario: il vero Sacro" (HD, p. 73 ; it . 65 ) . M a l'impegno d i Anassimandro andò presto dimenticato, prima Parmenide, poi la filosofia, abbandonarono il Sacro per le sue immagini: l'identità, gli eide, la sostanza, Dio n6esis noéseos, enérgheia teléia . . . L a filosofia manifesta il carattere profondo dell'anima greca, il suo pessimi­ smo, la mancanza d ' amore per la vita. Il "pagano" Goethe che canta l'amore tra le creature e, nella certezza di questo amore, afferma che non ci sarà un se­ condo " Fiat " a separare gli amanti, il pagano Goethe, il suo rapporto con la Natura e la vita, è romantico non greco . E la Zambrano critica l'interpretazio­ ne romantica della Grecia "felice "36• TI greco ha avuto sete di ragione, p er il suo disgusto per la vita. In nessun luogo del­ la sua poesia possiamo trovare un inno di ringraziamento per l'esser nato; e i canti della vita sono funerari. TI culto di Dioniso, dio della vita, non è un culto allegro, ma terribile, e lo stesso dio acquista ben presto un aspetto di dio degli inferP7•

La ragione greca, e così l'istinto greco per la Bellezza, per le forme ideali, è una fuga dal Sacro, così il suo politeismo ed antropocentrismo. Fuga nichilisti­ ca, come testimonia il verso di Bacchilide: "thnatoisi mè phjnai phériston " meglio per gli uomini non nascere38 •

-

12 . "Ogni vita è un segreto" , questo segreto è "il mondo sacro non ancora ri­ velato, il mondo della sofferenza umana in tutto il suo mistero e il suo enigma "

35 Cfr. DrELs-KRANz, Die Fragmente der Vorsokratiker, cit . , Anaximandros Fr. l . Sull'interpreta­ zione dell ' adikia resta fondamentale il saggio di HEI:DEGGER, Der Spruch des Anaximander, in lo . , Holzwege, Klostermann, Frankfurt/M. 1 972, pp . 296-343 ; ma cfr. anche la critica di ] . DERRIDA in lo. , Spectres de Marx, Paris, Galilée, 1993; trad. it. di G . Chiurazzi, Spettri di Marx, Milano, Cortina, 1994 , p p . 34-4 1 . 3 6 " Seliges Griechenland ! d u Haus der Himmelschen alle" - cantava Holderlin in Brot und Wein (Sà'mtliche Werke und Brie/e, cit . , I, p . 3 1 1 ) , e gli faceva eco Hegel, che pur opponeva: " Die Vernunft muf!, aus diesem Gliicke heraustreten " (Phanomenologie des Geistes, cit., p . 262 ) . 37 M. lAMBRANo, I.:agonia dell'Europa, trad. di C. Razza, Marsilio, Venezia 1999, pp . 76-77 . 38 BACCHll.ID E, Epinicio, V, v. 1 60, in lo . , Dithyrambes, Epinicies, Fragments, Paris, Les Belles Lettres, 1 993 .

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(HD, p. 63 ; it. 5 6 ) . Questo mistero e questo enigma il cristianesimo non l'ha re­ spinto, al contrario ha cercato di portarlo tutto alla luce della coscienza . Maria Zambrano ha come suo riferimento privilegiato Agostino, il Padre della Chie­ sa che lei annovera tra i padri dell'Europa. L'Agostino delle Con/essiones, anzi­ tutto, il santo filosofo che porta tutt 'intera la sua esistenza - le passioni, le "vi­ scere" , non meno che l'anima - dinanzi a Dio. Confessando il suo amore per Dio egli non dimentica l'amore carnale: "la grazia di un corpo " , "il fascino del mondo" , "la candida luce degli occhi" , "la melodia dei canti " , "il profumo dei fiori o di balsami e aromi" , e perfino "la manna e il miele degli abbracci e dei desideri carnali " . E, se l'amore per Dio è più alto e nobile, più grande e certo, saecurus, tuttavia è a quell'altro amore, inferiore e passeggero, legato, se giun­ ge a compararli, pur nella differenza: "Eppure amo una sorta di luce, una sor­ ta di voce e di profumo e di cibo e una sorta di abbraccio, quando amo il mio Dio "39• Ma, rileva la Zambrano, l'itinerario delle Con/essiones ha una mèta ben precisa: il conseguimento di una totale trasparenza . [Agostino] rese il suo cuore trasparente, per consentire che il nuovo Dio si riflettes­ se in esso . E così quando fmiamo di leggere quelle confessioni abbiamo l'evidenza che qu alcosa di nuovo è già presente e formato: l'Europa sotto il suo Dio. (I! agonia dell'Europa , cit. , p. 56) .

Quella medesima ragione che spingeva a scrutare nel sottosuolo dell'esi­ stenza, per portare a coscienza tutto il mondo delle passioni, gioca ora il ruolo negativo di stimolo alla violenza. Già, perché ora il mondo - anche il mondo delle passioni e degli istinti - non è messo da parte come apparenza ed illusio­ ne, ombra della realtà ideale, ma è ben reale, concreto, pur esso creatura di Dio . Vale la pena lottare per esso ! li Dio che salva i fenomeni è il Dio che "dal nulla estrae il mondo, la splendida realtà che è l'azione più grande di tutte, l'a­ zione più attiva, azione assoluta. E la creatura umana è fatta a sua immagine e somiglianza" La conclusione è amara : " Presto comincerà quella frenesia della creazione che si chiama Europa" (ibid.) . Si potrà anche opporre alla Zambrano che l'Agostino delle Con/essiones se ha come mèta la trasparenza, se è certo di conseguirla, ma solo alla fine dei tem­ pi, resta tuttavia coscientemente sospeso tra l'eternità del Vero e il tempo del mondo: " Hic esse va leo nec volo, illic volo nec valeo, utrubique miser"40; non si potrà contestarle, però, che il cristianesimo europeo è caratterizzato più dal­ l' onnipotenza di Dio che non dalla misericordia. E se non le Con/essiones, cer-

39 AGOSTINO, Con/essiones, X, 6.8.

40 Ibid. , X, 40 .65 .

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to il De Civitate Dei ha contribuito notevolmente all'affermazione del Dio Om­ nipotente y Hacedor. Tanto meno le si potrà contestare la "frenesia della creazio­ ne" che ha dominato la cristianità europea. Di qui la sua domanda radicale: se "ciò che l'Europa ha realizzato non è stato il Cristianesimo, bensì, tutt'al più, una sua versione del Cristianesimo" , sarà possibile "un'altra, che sia anch'essa euro­ pea e, soprattutto, che sia Cristianesimo? " ("Uagonia del Cristianesimo, cit., p. 69) . Due Europe, quindi, l'una dominata dalla " frenesia" della creazione, ed un'altra . . . Quale altra? L'Europa che vive nella divaricazione delle due Città, la Città di Dio e la Città dell'uomo, l'Europa che non soggiace alla "barbarie mo­ nista" , ma pur nel fallimento delle sue utopie e dei suoi ideali, resta fedele al senso dell'oltre, e dell'altro. L'Europa che sa "vivir en el fracaso" (ibid. , p. 94 ) . Due Europe, che s i alimentano entrambe a d un'unica fonte, Agostino. In chi conosce la finezza ermeneutica della Zambrano che non si ferma mai a consi­ derare un aspetto della realtà e del pensiero senza insieme mostrarne l'altro, di­ verso e talora opposto, ciò non desta meraviglia . Merita piuttosto attenzione il fatto che nel rigetto della barbarie monista opera quel medesimo pensiero che sin dall'inizio ci siamo sforzati di esibire come centrale nella meditazione della Zambrano: il pensiero che senza rapporto all' alterità l'ek-sistenza si appiattisce e muore. Ma l'alterità si presenta come origine o provenienza e come fine, di­ struzione e/o morte . Doppiezza del Medesimo. 13. Dell'origine si è detto; dobbiamo ora dire della fine. Non dell'uomo, degli dèi, meglio: del divino. Fine che è duplice, essendo distruzione o morte . È di­ struzione quella che è intrinseca alla vita stessa del divino, e che Hegel, trat­ tando dell'arte classica, ha descritto come lotta tra gli dèi nuovi e gli antichi, ed è la fine di una immagine del divino coeva al sorgere di altra più completa e complessa, più adeguata ai nuovi bisogni, materiali e spirituali, dell'uomo. Questa distruzione, fine e nascita di nuovi dèi, si svolge tutta nella trasparenza delle immagini, nell'Olimpo delle idee. È morte invece, quella fine del divino che è la ricaduta dell'immagine divina nelle "viscere" del Sacro, dell'Olimpo tutto nel profondissimo abisso del grembo eterno di Dio . Ciò che per Goethe era impossibile - lo sprofondare dell'universo nel fondo del Sacro - è vicenda eter­ na per la Zambrano: [ ... ] l'annientamento del divino, l' azione del distruggere il divino si compie soltanto nell' abisso del Dio sconosciuto, attentando a quanto di non rivelato, di non scoperto c'è sotto l'idea di Dio . (HD, p. 1 3 8 ; it. 124 ) .

È l'eterno ritorno del Sacro e dal Sacro. Già, perché l'immersione del divi­ no nel Sacro, prepara la riemersione del divino dal Sacro:

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[ . .. ] le tenebre rimangono; è il nulla, l'uguaglianza nella negazione, che ci accoglie co­ me una madre che ci farà nascere di nuovo. Un'oscurità che p alpita e dalla quale bi­ sogna inesorabilmente rinascere ci riceve; tenebre che ci consegnano nuovamente al­ la lu ce. (HD, pp. 1 5 1 - 152 ; it. 1 3 6) .

Infiniti richiami, impliciti e d espliciti, intenzionali e non, consapevoli e non, in queste pagine dense di pensiero e ricche di memoria poetica: da Eraclito41 a Holderlin42, a Nietzsche43 ; difficile, se non impossibile seguirli tutti. Ma è ad un altro autore che qui vorrei far riferimento, a un filosofo italiano, certo non igno­ to alla Zambrano che ha vissuto a lungo in Italia: Vico. E lo cito perché in que­ ste pagine de J;hombre y lo divino il ciclo teogonico dell'emergere del divino dal Sacro, per poi di nuovo sprofondare in esso, per quindi d-emergere a nuo­ va vita, ricorda da vicino la \r:ichiana storia dei corsi e ricorsi, anche perché nel ciclo teogonico è totalmente coinvolta l'azione umana, la storia dell'uomo44 • n tempo stesso nasce ed è salvato con la nascita e la morte del dio. Infatti quan­ do non c'è più rapporto al Sacro, quando l'origine è obliata e le immagini de­ gli dèi si sono pietrificate, il tempo si annulla nel puro passare, nella mera ri­ petizione dell'identico. È il nichilismo della secolarizzazione, dell'antropocen­ trismo, dell'umanes:imo storicista. Là, dove tutto è storia, muore il tempo. "La minaccia del nulla (= del nihil negativum) consiste nell'assorbire il tempo, ri­ durlo a semplice passare che passa" (HD, p. 1 83 ; it . 1 65 ) . E col tempo la storia stessa, la vera storia, la storia vera, che non è costituita di fatti, ma di eventi. n fatto è qualcosa di stabile anche quando viene considerato ancora in compi­ mento, e cioè aperto al futuro, perché il suo presente, ed ancor più il suo pas­ sato, sono assicurati contro il nulla /actum in/ectum fieri nequit , sono cioè necessari; l'evento invece resta sempre possibile, il presente come il passato. E la sua possibilità è radicale, tocca le radici del suo essere sempre in bilico tra possibile e reale. Perciò il vero tempo, il tempo vero, lo si conosce soltanto dal­ la fine. Dall' éschaton . L'ultimo tempo del tempo. L'ultimo tempo esperito nel tempo. Il tempo delle rovine. La Zambrano più che teorizzarlo, lo rappresenta . Qui si mostra la necessità della "scrittura" filosofico-immaginativa di Maria Zambrano, la perfetta con-

-

4 1 Cfr. DIELS-KRANz, Die Fragmente der Vorsokratzker, cit. , Herakleitos Frr. 90 e 1 03 . 42 Cfr. F. HbLDERLIN, Grund zum Empedokles, in Siimtliche Werke und Brie/e, cit . , II , pp . 1 13 - 127 , e Das Werden im Vergehen, l, pp. 900-905 . 4l Cfr. F. N IETZSCHE , Also sprach Zarathustra, Werke, cit . , Von der Erlosung, pp. 177- 1 82 , Vom Ge­ sicht und Riithsel, pp. 1 97 -202 . 44 Cfr. la " dipintura allegorica " che Vico volle sul frontespizio della Scienza Nuova, seconda ( 1 73 0) e terza ( 1744 ) , in G. Vrco, Principj di Scienza nuova (ed. 1744 ) , ID. Opere, l, e d . it . a cura di A. Battistini, Milano, Mondadori, 1 999, e i capoversi 1 -42 che ne danno la " spiegazione" .

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gruità del suo "narrare" pensante a ciò che va detto. Sul margine estremo del­ la ragione il l6gos da solo non è più sufficiente a dire die Sache selbst, tò prdg­ ma, la " cosa del pensiero" . È indispensabile unire logos e mythos, è necessario mytholégein : anche questo è un tratto che avvicina la ftlosofa spagnola a Vico. Ma leggiamo. La Zambrano sta descrivendo un tempio greco: Ogni rovina emana qu alcosa di divino, qualcosa di divino che scaturisce dalle stesse viscere della vita umana; qu alcosa che nasce dalla stessa vita dell'uomo qu ando si svi­ luppa in tutta la sua pienezz a senza presentarsi come un regalo concesso dall'alto; qualcosa che è stato ottenuto per aver spinto la speranza al suo limite estremo, sop­ portandone il fallimento e perfmo la morte: quel qualcosa che resta del tutto che p as­ sa. l Non c'è rovina senza vita vegetale; senza edera, muschio o erba che spunta dal­ le fessure della pietra e si confonde con la lucertola, come un delirio della vita che na­ sce dalla morte. La rovina nitidamente conservata, isolata dalla vita, acquista un ca­ rattere mostruoso; ha perso ogni significato e mostra soltanto l'incuria o qu alcosa di peggio; sembra essere il residuo di un crimine; nel concretarsi della rovina, si con­ creta l'autore al quale si cerca un nome: " questo lo fece. . . ". Soltanto l'abbandono e la vita vegetale, che nasce insieme dalla pietra e dalla terra circostante e l'abbraccia, in­ vitandola ad abb andonare ogni sforzo, ad affondare, fanno sì che la rovina sia quello che deve essere: un luogo sacro. (HD, p. 254; it . 23 1-232 ) .

Chiaro che l' éschaton , l'ultimo del tempo, non è solo alla fine del tempo: in certo senso è sin da prima, è l'apriori del tempo se è per esso che il tempo, il tempo vero, diviene comprensibile. Comprensibile e insieme "salvato" . E sal­ vato non solo dal nullificante appiattimento del mero "passare che passa" , sal­ vato anche - e sovrattutto - dal suo totale annientamento. La rovina come mo­ stra che il carattere essenziale del tempo è la mortalità: il tempo, luogo della morte di tutte le cose, muore esso medesimo - così ne rivela la perenne rina­ scita. Perciò la rovina è "un luogo sacro dove il tempo trascorre con un altro ritmo rispetto a quello che vige più in là , dove si agita l'attualità. La presenza della morte-vita lo definisce interamente: i pini, i cip ressi, qualsiasi cespuglio acquistano il carattere di simboli di una vita pura, nata dalla nuda forza tra­ sformatrice della morte " . Così le rovine vengono a d essere l'ultima, compiuta immagine del sogno che anima nel profondo la vita umana, di ogni uomo: che alla fine del suo p atire qu alcosa di suo tornerà alla terra per continuare indefinitamente il ciclo vitale e che qualcosa scam­ perà liberandosi ma permanendo, poiché tale è la condizione del divino. (HD, p. 255 ; it. 232-233 ).

14 . L'intensa, intima religiosità della Zambrano non è meno "pagana" di quel­ la di Goethe. Ma più " greca " , meno moderna. È la religione della Terra, non della Natura. Non ha " riletto " Plotino attraverso Spinoza, ha tentato, anzi, un

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passo indietro: da Platino ai tragici. Non è un caso se da filosofa si è cimenta­ ta nella scrittura di un 'opera tragica che si richiama direttamente a Sofocle: La tumba de Antigona45 • "Ha tentato" - si è detto - un passo indietro, che non le è riuscito . Perché in nessun luogo dei tragici v'è la speranza di un ritorno alla vita. l tragici si fermarono dinanzi al mistero del Dio, ad un tempo dein6tatos ed epi6tatos: il più tremendo ed il più mite46• Molte le forme del divino, e molte cose inattese compiono gli dèi; quelle in cui si credeva non si realizzano mentre d ' altre, in cui non si credeva, cerca la via il dio47 •

45 I ed. , México, Siglo XX, 1967 , rist . in M. ZAMBRANO, Senderos, B arcelona , Anthropos, 1 986. 46 EURIPIDE, Baccanti, v . 861 . 47 Ibid. , vv. 1 3 88 - 13 9 1 : " pollaì morphaì ton daimonion, l pollà d'aélptos krainousi theoi: l kaì tà dokethent' ouk etelésthe, l ton d' adokéton p6ron eùre the6s " .

AuToRI

GIUSEPPE CACCIATORE, insegna Storia della filosofia alla Facoltà di Lettere dell'Univer­

sità Orientale di Napoli.

È Direttore del Centro Studi Vichiani.

Su Maria Zambrano ha

scritto un articolo Maria Zambrano: Ragione poetica e storia (2005 ) . FEDERICA CANESTRI, s i è laureata all'Università d i Siena con una tesi s u Maria Zambra­ no. Ha avuto due borse di studio dalla Fundaci6n Maria Zambrano di Vélez-Malaga, grazie alle quali ha scoperto l'opera inedita Las Parcas.

PlNA DE LucA, insegna Estetica alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Sa­ lerno. Ha curato l'edizione italiana di Filosofia e poesia ( 1 998) di Maria Zambrano, ha scritto numerosi saggi sull'autrice, tra cui Giustizia caritativa e pietà in Maria Zambra­ no (2002) e ha pubblicato Il logos sensibile di Maria Zambrano (2004 ) . CARLo FERRUCCI, insegna Storia dell'Estetica alla Facoltà d i Lettere dell'Università Tor Vergata di Roma. Della Zambrano ha tradotto Chiari del bosco ( 1 99 1 ) , I beati ( 1 992 ) , La tomba di Antigone ( 1 995 ) , Il sogno creatore (2000 ) . H a pubblicato inoltre L e ragio­ ni dell'altro. Arte e filosofia in Maria Zambrano ( 1 995 ) e attualmente ha in preparazio­ ne Poesia e conoscenza.

ELENA LAURENZI, ha tradotto All'ombra del dio sconosciuto. Antigone, Eloisa, Diotima ( 1 997 ) , Dell'aurora (2000), Le parole del ritorno ( 1995 ) , All'ombra del dio sconosciuto ( 1 997 ). Ha inoltre curato il volume Maria Zambrano. Nacer por si misma ( 1995 ) . CHANTAL MAILLARD, filosofa e poetessa, h a scritto uno dei libri fondamentali per acco­

starsi al pensiero di Maria Zambrano, La creaci6n por la metti/ora ( 1 984) .

ANNA PANICALI, insegna Letteratura Italiana contemporanea presso l a Facoltà di Lin­ gue dell'Università di Udine. Si è occupata, tra l'altro, di teatro (L'avventura del sipa­ rio, 1 987) e della poesia di Mario Luzi ( 1987 ) .

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AUTORI

ELIDE PITTARELLO, insegna Letteratura Spagnola alla Facoltà di Lingue dell'Università Ca' Foscari di Venezia. I suoi interessi si rivolgono in special modo al linguaggio poe­ tico, al genere autobiografico e al romanzo contemporaneo. Sull'autrice ha pubblicato

Lo sguardo di Maria Zambrano (2004 ) .

CARMEN REVILLA, insegna Estetica all'Università d i Barcellona. S i è occupata d i Simon Weil (Desci/rar el silencio del mundo, 1 995 ) e su Maria Zambrano ha scritto Claves de la raz6n poética ( 1 998) , De la raz6n vita! a la raz6n poética. El logos de las cosas ( 1999 ) . Dirige l a rivista "Aurora. Papeles del Seminario Maria Zambrano " .

LAURA SILVESTRI, insegna Letteratura Spagnola presso l a Facoltà d i Lingue dell'Univer­ sità di Udine. Tra i suoi campi di ricerca figurano la generazione del '98 e la questione del gender, con un particolare riguardo al rapporto madre-figlia.

VINCENZO VmELLO, insegna Filosofia teoretica alla Facoltà di Lettere dell'Università di Salerno . Di Maria Zambrano ha curato l'edizione italiana de "Uuomo e il divino (Mila­ no, Edizioni Lavoro, 2 00 1 ) .