Il Dio del silenzio : permanenze della tradizione esoterica egizia a Napoli 9788895063706, 8895063708


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Il Dio del silenzio : permanenze della tradizione esoterica egizia a Napoli
 9788895063706, 8895063708

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IL DIO DEL SILENZIO Permanenze della tradizione esoterica egizia a Napoli

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Tutti i diritti riservati © 2017 Stamperia del Valentino via Raffaele Tarantino, 4 - 80128 Napoli Tel. e Fax 0815787569 www.stamperiadelvalentino.it ISBN 978-88-95063-70-6

INTRODUZIONE I Napoletani ben conoscono la statua del Nilo (Tavola 1a) che si erge nel centro storico, presso la piazza San Domenico, evocando il ricordo della comunità di mercanti e artigiani Egiziani che anticamente risiedeva lì, nell’area circostante l’attuale Via Nilo. La presenza di questa colonia di “Alessandrini”, ha certamente influenzato, con i suoi culti ed i suoi Misteri, la cultura della nostra città, aggiungendo una nota di colore egiziano alle sue tradizioni greco-romane. La statua del Dio-Fiume, che i Napoletani hanno affettuosamente chiamata il “Corpo di Napoli”, testimonia dunque, con la sua presenza, il permanere di questa “anima” egiziana che in qualche modo è entrata a far parte del patrimonio genetico della città.

Numerosi elementi ci inducono tuttavia a pensare che

non

si tratti

solo del ricordo di una remota presenza, ma che si possa essere sviluppata a Napoli una tradizione esoterica effettivamente collegata ai Misteri egiziani, coltivata in segreto e trasmessa nel corso dei secoli. Naturalmente, per carattere occulto che una simile scuola iniziatica avrebbe dovuto necessariamente avere, è molto difficile, se non impossibile, che si possa affermare la sua esistenza con un soddisfacente margine di certezza. Per individuare le tracce di una tradizione “egiziana” che riteniamo possa essere esistita, faremo quindi riferimento a delle testimonianze artistiche e letterarie, alle idee espresse da alcuni pensatori ed eruditi, alla formazione di alcune associazioni ed alla loro

il

ispirazione esoterica, ma anche a leggende e tradizioni popolari che potranno fornirci delle indicazioni in merito a tale possibilità. Tra le testimonianze visive riconducibili a tale tradizione, una immagine ci è subito apparsa particolarmente significativa, quella di Arpocrate (Tavola 1b), il dio egizio, simbolo del silenzio al quale erano tenuti gli iniziati, dal momento che la presenza di questa immagine può costituire un’allusione all’esistenza di un insegnamento occulto su cui è opportuno tacere o al quale si può alludere solo sotto il velo di un linguaggio simbolico. Che si tratti di una scultura, di un dipinto o dell’illustrazione inserita in un testo, la figura di Arpocrate che porta il dito alle labbra, può essere infatti considerata un segnale inequivo-

cabile rivolto a chi, conoscendo il linguaggio dei simboli, sia in grado di riconoscere la presenza di un insegnamento iniziatico tradizionale. Pur nella loro diversità, le Scuole iniziatiche, delineando una particolare via per giungere alla conoscenza ed alla realizzazione spirituale, presentano dei tratti comuni: in primo luogo, il riferimento all’autorità di una Tradizione, intesa come la fonte di una conoscenza rivelata direttamente dalla divinità o comunque derivante da un’esperienza metafisica; quindi la loro “legittimità”, conferita dalla continuità della trasmissione della dottrina o dalla prodigiosa scoperta di un elemento, un documento, una testimonianza o un messaggio grazie al quale ricostituire una “catena spezzata”; infine, il carattere iniziatico e graduale dell’insegnamento, al quale hanno accesso solo coloro che sono stati “iniziati” mediante particolari riti, e ai quali vengono riconosciute le necessarie attitudini. A questi elementi va aggiunto l’uso di un linguaggio simbolico che può essere compreso dai soli iniziati e l’impegno a conservare il segreto su quanto si è appreso. Quest'ultimo aspetto riveste una particolare importanza ai fini della nostra ricerca, in quanto il riferimento al Silenzio e alla necessità di conservare il Segreto costituisce l’evidente allusione alla presenza di un insegnamento esoterico e faremo quindi riferimento alle immagini di Arpocrate presenti sia a Napoli che in altri luoghi, in cui appare molto verosimile che sia esistita una conoscenza la quale, affondando le sue radici nei Misteri egiziani, sia in qualche modo sopravvissuta al tramonto del Paganesimo, per poi rifiorire nelle Accademie rinascimentali, nel movimento rosacrociano e, infine, nei Riti massonici di ispirazione egiziana. Va comunque precisato che, quando parliamo di “Tradizione egiziana”, anche se faremo riferimento all’antico Egitto dei Faraoni, ci riferiamo soprattutto agli insegnamenti e tradizioni che ci sono giunti dall’Egitto dell’età alessandrina, come risultato di quel sincretismo magico-religioso e filosofico determinato dall’incontro delle tradizioni sapienziali egiziane con la cultura greca, la sua mitologia, i suoi Misteri e la sua filosofia. Alessandria, capitale dell’Egitto tolemaico e poi, dopo la conquista romana, di una ricca e fiorente provincia, oltre che un importantissimo porto e centro di intensi scambi commerciali fra il Mediterraneo e l’Oriente, è stata infatti il maggiore centro cultu-

6

rale dell’antichità, famosa per la sua Biblioteca e le sue Scuole, grazie anche alla convivenza, non sempre facile, di tre importanti comunità, l’egiziana, la greca e l’ebraica, e anche all’apporto di culture del vicino Oriente. (Tavola 1c) L'incontro di tradizioni e culture diverse ha infatti determinato, in particolar modo nell’ambiente alessandrino, dei nuovi orientamenti nella speculazione filosofico-teologica, che hanno portato alla formulazione di nuove dottrine e alla creazione di diverse scuole iniziatiche: ed è in queste dottrine e scuole che potremo trovare le radici dei successivi sviluppi delle principali correnti esoteriche dei nostri tempi.

Capitolo I L’ANTICA TRADIZIONE EGIZIA 1

REGNI DIVINI

La storia dell’antico Egitto inizia quando Menes, sovrano dell’Alto Egitto, unifica i due Regni dell’Alto e del Basso Egitto, il primo dei quali si estendeva nella parte meridionale e più montuosa del Paese, mentre il secondo comprendeva la parte bassa e pianeggiante fino al Delta. Il sacerdote Manetone ci ha tramandato l’elenco delle 26 Dinastie di Faraoni che si sono succedute a partire da Menes!. Tuttavia, malgrado le testimonianze giunte fino a noi, le origini della civiltà egiziana rimangono avvolte nel mistero e la stessa datazione del regno di Menes non è stata stabilita con certezza, anche se la maggior parte degli egittologi contemporanei la colloca verso il 3200 a.C.?. Resta comunque il fatto che, fin dalle prime dinastie, la civiltà egiziana appare già perfettamente evoluta, il che dovrebbe indurre a riconsiderare il problema delle sue origini’.

Manetone, sacerdote egiziano del Ill secolo a.C., basandosi sui documenti e le cronologie custodite nei templi, scrisse una storia dell’Egitto di cui restano solo alcune citazioni riportate in testi successivi. Una lista di Re, simile a quelle che dovette consultare Manetone, è il Papiro di Torino, noto anche come Papiro dei Re o Canone Regio (redatto durante la XIX Dinastia, nel XIII secolo a.C. e conservato nel Museo Egizio di Torino), in cui è riportata la lista dei Faraoni che regnarono fino al Nuovo Regno (cfr. F. Bottigliengo, Il «Papiro dei Re» di Torino: una storia degli studi e nuovi orizzonti di ricerca, in L’Egitto tra storia e letteratura, Torino 2010). Anche Erodoto (Storie II, 100) parla di un Libro redatto dai sacerdoti, nel quale erano elencati 330 Re che regnarono dopo Menes. 1

La datazione del 3200 a.C., sostenuta dall’egittologia ufficiale, si basa principalmente su E. Drioton, J. Vandier (L’Egypte, Paris 1962). Un egittologo meno “ortodosso”, A. Pochan (L'enigma della Grande Piramide, ed. MEB, Torino 1974) nega la validità di questa “cronologia corta” e propone invece, sulla base di una diversa interpretazione del sistema calendariale egizio, un “computo lungo” che consentirebbe di far risalire la morte di Menes al 5557 a.C. 2

Significative, in tal senso, le scoperte archeologiche fatte nel 1954 nella necropoli di Saggara, risalenti alle prime tre Dinastie, în base alle quali si evince che sia l’organizzazione sociale, che le forme cultuali e le arti, nonché la scrittura geroglifica erano in vigore fin dall’inizio dell’epoca

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e

Dinastica (cfr. RA. Schwaller de Lubicz, Le Roi de la Théocratte pharaonique, ed. Flammarion, Paris 1961, p. 150 ss.; L. Lamy, Misteriegizi, ed. Fabbri, Milano 1982, p. 66-67).

Gli Egiziani facevano infatti risalire le origini della loro civiltà a tempi ben più remoti che non il terzo o quarto millennio prima dell’èra volgare, e nel mondo classico era opinione diffusa che le concezioni relative agli Dei avessero avuto origine in Egitto in tempi molto antichi; in Egitto erano state fatte inoltre le prime osservazioni astronomiche ed era stato elaborato il calendario basato sulla divisione dell’anno in dodici mesi, e sempre in Egitto erano conservate le conoscenze più antiche e segrete‘. Secondo quanto racconta Platone nel Timeo’, un vecchio sacerdote di Sais aveva rivelato a Solone che la sua città era stata fondata ben ottomila anni prima; ma che anche Atene era in realtà molto più antica di quanto pensassero i Greci, essendo stata fondata mille anni prima di Sais; mentre però i Greci non sapevano più nulla del loro passato, gli Egiziani avevano conservato la memoria degli avvenimenti che risalivano alle epoche più remote: «Fin dai tempi antichi si trova tutto registrato e conservato qui nei templi»; il Sacerdote aveva quindi descritta l’antica civiltà ateniese, raccontando della sua guerra contro Atlantide e del terribile cataclisma che avrebbe provocata la scomparsa della leggendaria isola. Erodoto racconta di aver appreso dai sacerdoti del Tempio di Ammone a Tebe‘, che Menes fu il primo “uomo” a regnare sull’Egitto, ma che prima di lui il Paese era stato governato dagli Dei, che avevano vissuto sulla terra insieme agli uomini, e l’ultimo dei quali era stato Horus, figlio di Osiride; anche Diodoro Siculo riferisce che, secondo la tradizione sacerdotale, l’Egitto fu governato inizialmente da Dei ed Eroi per un periodo di quasi 18.000 anni e che l’ultimo Re divino fu Horus, figlio di Iside, mentre il primo Re “umano” fu Menes”. Il Papiro di ‘Torino conferma, nella sostanza, le versioni tramandate da Erodoto e Diodoro, ponendo prima di Menes dieci Nether o Dei e nove Dinastie divine o semi-divine, l’ultima delle quali sarebbe stata quella degli Shemsu-Hor, i «Compagni di Horus» che avrebbero regnato per 13.420 anni, mentre la durata dei Regni precedenti sarebbe 4

Cfr. Diodoro Siculo, Bibliotheca bistorica, I, 9; Erodoto IL, 4.

Platone, Timeo 23. 6 Erodoto IL, 144. Precedentemente (1, 3) Erodoto aveva detto che, dopo essere stato a colloquio con i Sacerdoti di Tebe, per ottenere una conferma dei loro racconti si era recato anche presso quelli di Tebe e di Heliopolis che erano «i più sapienti fra 5

gli Egiziani».

Diodoro Siculo I, 44-45. In base al testo di Diodoro, i Regni divini avrebbero avuto termine circa 5.000 anni prima della CLXXX Olimpiade (56 a.C.), epoca in cui lui aveva visitato l’Egitto.

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10

stata di 23.200 anni. I dati tramandati da Manetone, pur non essendo uguali, sono tuttavia abbastanza simili, ed in base ad essi i Re divini avrebbero regnato per 15.150 anni, mentre altri 9.777 anni sarebbero intercorsi fino a Menes, per cui gli anni che precedono il periodo storico ammonterebbero a un totale di 24.927 anni. Una cronologia che comunque, risalendo tanto indietro nel tempo, ci riporta inevitabilmente al di là di ogni periodo “storico”. Secondo quanto riferisce Erodoto, i Sacerdoti di Tebe avevano sottolineata differenza fra il periodo delle Dinastie “umane”, duesplicitamente rante il quale «non c’era stato nessun dio in forma umana», e il periodo precedente, durante il quale l’Egitto era stato dominato dagli Dei?. Per quanto riguarda i Regni divini, Erodoto riferisce che tre serie di Dei si sarebbero succedute nel tempo: la prima serie, di cui faceva parte Pan (identificato in genere col dio egiziano Min), era composta di otto divinità; successivamente questi otto Dei divennero dodici, e infine da questi dodici Dei era nata una terza serie di Dei, fra i quali Osiride, identificato con Dioniso, che avrebbe regnato circa 15.000 anni prima'’. Diodoro Siculo fa risalire il primo Regno divino, quello di Helios, a circa 23.000 anni prima della spedizione di Alessandro Magno in Asia, ed enumera gli altri Re divini fra cui Osiride-Dioniso, che avrebbe regnato, insieme ad Iside, intorno al 10.000 a.C. (secondo altri verso il 23000) e cui si attribuisce una leggendaria spedizione finalizzata alla diffusione della civiltà in tutto l’Ecumene, e infine Horus, identificato con Apollo!!, Dobbiamo ora chiederci cosa rappresentassero, in realtà, questi leggendari Re divini, e se il riferimento ad essi debba intendersi in

la

Schwaller de Lubicz (op. cit. p. 117 -120), sommando gli anni indicati dal Papiro di Torino, indica un totale di ben 36. 620 anni prima di Menes. La lista dei dieci Neter (Ptah, Ra, Shu, Geb, Osiride, Seth, Horus, Thot, Maat, Horus, indicati come Re dell’Alto e Basso Egitto) è riportata da Boris de Rachewiltz (1 egizi, ed. TEA, Milano 1995). 8

ti

Erodoto, Il 142-144. Erodoto (II 43-46 e 144-145). Per quanto riguarda il Dio Pan, Erodoto (Il 46) dice che gli Egiziani lo descrivono, allo stesso modo dei Greci, con volto di capra e zampe di montone e fa riferimento al culto del capro di Mendes, per cui sembra collegarlo più a Khnum, antica divinità criocefala di Mendes, che non a Min. Per quanto concerne invece il passaggio dagli otto ai dodici Dei, si potrebbe ipotizzare il passaggio da una struttura calendariale più arcaica a quella della divisione dell’anno in dodici mesi.

9

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11 Diodoro I, 13-28. Per quanto riguarda le indicazioni cronologiche, capitoli 13, 23, 24, 6.

11

si

vedano

i

senso storicistico o simbolico. Diodoro Siculo, mostrando di condividere la teoria evemerica!?, sostiene che, secondo gli Egiziani, questi Re divini e altre divinità del loro Pantheon, erano stati un tempo dei mortali, che furono divinizzati e ottennero l’immortalità per la loro sagacia e per i buoni servizi resi all’umanità”. In tal senso, Osiride sarebbe stato «il primo ad allontanare l’uomo dal cannibalismo» e ad indurlo a cambiare le sue abitudini alimentari, insegnandogli a coltivare le piante, mentre era stata la sua sposa Iside a “scoprire” i frutti della terra, fra cui il frumento e l’orzo, e fu anche la prima a «stabilire le leggi», in modo che i rapporti interpersonali fossero regolati secondo giustizia e si ponessero dei freni alla violenza ed alla tracotanza!!. Grazie ad Hermes (Thot), scriba sacerdotale di Osiride, il linguaggio umano fu articolato per la prima volta, e i vari oggetti ricevettero un nome che permettesse di identificarli; fu Hermes, inoltre, ad inventare l’alfabeto, a stabilire le norme del culto e ad osservare l’ordine delle stelle e l’armonia dei suoni musicali”. I Sacerdoti tebani sembrano essere stati di diverso avviso rispetto all’interpretazione evemerica data da Diodoro: infatti, parlando con Erodoto, avevano fatto una distinzione netta ed esplicita fra i Re divini e i successivi sovrani umani, sottolineando in tal modo il carattere sovrumano attribuito ai primi regnanti dell’Egitto. Anche Plutarco nega recisamente il punto di vista evemerico, scagliandosi anzi contro le «imposture di Evemero», e suggerisce che le vicende narrate su Tifone (Seth), Osiride e Iside non si riferiscano a degli Dei o a uomini, ma piuttosto a dei «grandi Demoni», creature intermedie fra gli Dei e gli 12 Evemero (ca. 340 e il 260 a.C) era stato il maggior sostenitore della teoria, che da lui fu detta “evemerismo”, secondo la quale gli Dei non erano stati altro che uomini particolarmente coraggiosi, famosi o potenti divinizzati dopo la morte (cfr. Cicerone, De natura Deorum 1, 119).

Diodoro I, 13. Diodoro I, 13-15: Osiride-Dioniso fu inoltre colui che escogitò il metodo per coltivare la vite ed ottenere il vino, e che diffuse la sua scoperta nel mondo (sul Regno di Osiride, si veda anche Plutarco, De Iside et Osiride, 13). A Iside (Diodoro I, 25) è attribuita la scoperta di molte cose utili, ed in particolare quella del “farmaco dell’immortalità” grazie al quale aveva sottratto alla morte il figlio Horus, annegato dai Titani; divenuta essa stessa immortale, ed essendo particolarmente versata nella scienza medica, la Dea ha continuato a prodigarsi per il benessere degli uomini, dando loro aiuto nel sonno, guarendo le malattie più gravi e ridando la vista ai ciechi. 15 Diodoro (I, 16) riferisce anche che Hermes creò la lira a tre corde (fondata su tre toni, alto, medio e basso, in rapporto alle tre stagioni, Estate, Primavera, Inverno) ed insegnò ai Greci il modo di esprimere i loro pensieri (Hermeneia). 13

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12

Uomini, dotate di una potenza superiore a quella umana, ma dalla natura meno pura rispetto a quella degli Dei; Iside e Osiride sarebbero stati in origine dei «Demoni buoni», poi trasformati in Dei grazie alla loro virtù‘, In effetti, sia che si tratti di uomini divinizzati o che ci si riferisca alla presenza o all’influsso di esseri soprannaturali, la tradizione relativa ai leggendari Regni divini rientra comunque perfettamente nello schema mitico relativo agli Dei ed agli Eroi civilizzatori, dal cui benefico intervento la maggior parte dei popoli della Terra fa derivare le vita civile, nonché gli insegnamenti relativi alla coltiprime forme vazione della terra o all’uso delle tecniche e delle arti. Il leggendario viaggio di Osiride-Dioniso può simboleggiare, in tal senso, la diffusione di una forma di civiltà nel mondo antico, ma la sua uccisione a opera di Seth-Tifone, fa pensare al successivo prevalere di forze tenebrose e distruttive; se Seth rappresenta, come ricordava Plutarco, il mare (o la siccità delle regioni desertiche), possiamo pensare che il racconto mitico celi, fra l’altro, il ricordo di una catastrofe, forse il Diluvio, che, a detta di Platone, sommerse Atlantide e pose fine anche ad un’altra grande civiltà presente nel Mediterraneo, alla cui guida, contro gli invasori atlantidei, si erano posti gli antichi Ateniesi, «la razza umana più bella e migliore» che era vissuta in quest'epoca remota!’. La successiva vittoria di Horus su Seth'!®, ovvero, come spiega Plutarco, la vittoria del Nilo sul mare (o sull’aridità) segna la fine dell’età “antica” e l’inizio dell’epoca “storica”. Il carattere di “antichità” che era generalmente riconosciuto alla civiltà egiziana, deriva dal fatto che fra le Dinastie divine e quelle “umane” non sembra esistere una vera e propria soluzione di continuità, per cui dal tempo mitico

di

16 Plutarco, De Iside et Osiride 25-27. Plutarco paragona quindi le vicende mitologiche ai Misteri, intendendo che esse celano un senso occulto sul quale è necessario mantenere un rigoroso riserbo come su quanto “rimane nascosto all’interno dei riti

misterici”.

17 Platone, Timeo 23. Riteniamo che non a caso Plutarco (De Iside et Osiride, 13) abbia specificato che i congiurati complici di Seth erano 72, volendo in tal modo evidenziare la valenza cosmica dell’episodio. 18 Horus era considerato il Re del Basso Egitto, ovvero delle regioni settentrionali, mentre a Seth era attribuito il dominio dell’Alto Egitto, o delle regioni desertiche meridionali. Ricordiamo anche che la leggenda fa nascere Horus, figlio di Iside e Osiride, nelle paludi del Delta; inoltre, l’interpretazione simbolica di Horus come «Sole nascente» fa anche pensare all’inizio di una nuova epoca, dopo che Osiride è diventato il Signore del Regno dei Morti, nell’Occidente (cfr. Plutarco, De Iside et Osiride 11 e 38).

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quello storico senza che per questo la memoria dei “tempi antichi” sia andata persa. Probabilmente, la ragione di ciò potrebbe trovarsi in quanto riferisce Diodoro!’, secondo il quale, essendo scomparsa la maggior parte degli esseri umani nel Diluvio verificatosi ai tempi di Deucalione, gli abitanti dell’Egitto meridionale si sarebbero salvati grazie ad una particolare situazione geografica e climatica, per cui la civiltà egiziana storica altro non sarebbe se non la prosecuzione di questa civiltà “pre-diluviana” sopravvissuta alla catastrofe. si passa a

LA RELIGIONE DEGLI EGIZIANI Erodoto, descrivendo i costumi degli Egiziani’, sottolinea che essi sono «straordinariamente religiosi, assai più di tutti gli altri uomini», ma spiega anche che non tutti venerano gli stessi Dei, all’infuori di Iside ed Osiride, il cui culto è invece diffuso in tutto il Paese. Le varie Provincie (Nomi) e le città più importanti hanno infatti delle divinità proprie e praticano diversi culti e feste religiose; inoltre, nei maggiori centri sacerdotali (Heliopolis, Menfi, Tebe, Hermopolis) sono stati elaborati dei sistemi teologici diversi, ognuno dei quali ha una sua propria teogonia, e tende ad esaltare il ruolo e l’importanza di particolari divinità. La grande quantità di Dei, le loro forme animalesche’! o comunque strane, e soprattutto l’esistenza di culti e tradizioni diverse, posso-

19 Diodoro I, 10. In seguito (V, 57) Diodoro racconta che col Diluvio, oltre a perire la maggior parte degli uomini, furono distrutti tutti i loro scritti, per cui gli Egiziani, unici sopravvissuti, rimasero anche gli unici detentori della conoscenza.

20 Erodoto

IL, 37 e 42.

21 Il problema dell’aspetto zoomorfo attribuito a diverse divinità, non ha mancato di suscitare interesse e, forse, una certa perplessità anche presso gli antichi Greci: Plutarco (De Iside et Osiride, 72), ricordando la credenza che gli Dei avessero assunto forme animali per sfuggire a Tifone, la definisce «una cosa che supera ogni limite di ciurmeria favolistica», e ritiene altrettanto incredibile la credenza che le anime dei morti si reincarnino in animali; passa quindi ad esporre delle spiegazioni di tipo “politico”, secondo le quali ogni animale era stato adottato come una specie di simbolo totemico dalle varie stirpi o dai singoli reparti dell’esercito. Erodoto invece, nel descrivere i vari culti dedicati agli animali sacri, si limita a dire (Il, 65): «se io volessi dire le ragioni per cui sono considerati sacri, verrei a parlare di cose divine, che io evito sopra ogni cosa di esporre». Diodoro (I, 86-87) riferisce tre interpretazioni: la prima, secondo la quale gli Dei assunsero forme animali per sfuggire alla violenza

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no indurre a credere che la religione egiziana fosse politeista e dedita a culti bizzarri e superstiziosi, ma in realtà l’idea di una Divinità unica e suprema è presente nella cultura religiosa egiziana fin dalle origini” e il mondo degli Dei, pur nella sua varietà e complessità, presenta una singolare armonia in cui ogni Nether (termine con cui gli Egiziani indicavano gli esseri soprannaturali), traendo origine dalla Divinità suprema, incarna un particolare aspetto della realtà materiale o metafisica e risponde ad una determinata funzione. Un altro punto importante, che gli storici antichi non hanno mancato di evidenziare, è la convinzione che la cultura religiosa egiziana fosse di antichissima origine e precedesse di molto quella degli altri popoli: dall’Egitto, quindi, le concezioni religiose, e con esse la sapienza, sarebbero state trasmesse ai Greci e ad altri popoli, per cui buona parte delle divinità, dei miti, dei Misteri e delle conoscenze del mondo antico sarebbero in realtà di provenienza egiziana. Erodoto afferma, a tal proposito, che l’indovino Melampo, avendo appresi i riti egiziani relativi a Dioniso e ad altri Dei, li introdusse in Grecia; inoltre sempre dall’Egitto sarebbero derivati i nomi di quasi tutti gli Dei greci (e, ovviamente, le caratteristiche attribuite ad ognuno di loro), ad eccezione di Poseidone (che proverrebbe dalla Libia) e di pochi altri di origine pelasgica”. E Diodoro, dopo aver detto che l’Egitto «è il paese dove la mitologia colloca l’origine degli Dei», e nel quale sono state effettuate le più antiche osservazioni astronomiche, parla di una leggendaria colonizzazione egiziana dell’Ecumene, e della

i simboli animali fossero degli stendardi dell’esercito, e quale alcuni animali erano stati considerati sacri per la loro utilità. 22 Boris de Rachewiltz (] nniti egizi, ed. TEA, Milano 1995, p. 130), citando Drioton, ricorda che i testi più antichi pervenutici parlano di un Nether-Uat, un «Dio Uno» autogeneratosi e creatore dell’Universo. 23 Erodoto, Il, 49-52. Per quanto riguarda Melampo, ricordiamo che era ritenuto di origine egiziana, e che la sua collocazione cronologica era nella quarta generazione dopo Elleno, figlio di Deucalione. Erodoto stabilisce in più occasioni (IL, 41-46, 59, 123, 144-146) delle precise corrispondenze fra le divinità egizie e quelle greche. Dagli Egiziani i Greci avrebbero inoltre tratto diverse cerimonie sacre, come la Corsa delle Lucerne celebrata in onore di Atena (II, 58 e 62); parimenti di provenienza egiziana sarebbero stati l’oracolo di Dodona (II, 54-57), i Misteri dionisiaci, quelli Eleusini e le Tesmoforie (IT, 171). Per quanto riguarda invece l’origine “libica” di Poseidone, non si può non pensare al racconto platonico dal quale risulta che Poseidone era la principale divinità atlantidea.

degli uomini; la seconda che

la terza,

secondo

la

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fondamentale influenza esercitata dalla cultura egiziana sui mitografi, sapienti ed i legislatori greci?*. Appare dunque evidente che l’Egitto era considerato il cuore del mondo antico, il centro propulsore di ogni forma di religione e di conoscenza: stabilendo dei precisi collegamenti fra le divinità greche e quelle egiziane ed evidenziando come gli insegnamenti dei sacerdoti egiziani avessero ispirato o comunque avessero esercitato un significativo influsso sullo sviluppo delle conoscenze filosofiche e scientifiche, nonché sull’attività dei legislatori, degli storici e dei sapienti greci, ribadivano l’idea che l’Egitto fosse la culla della civiltà, e allo stesso tempo legittimavano le loro credenze e consuetudini, facendone risalire le origini ad una civiltà prestigiosa che affondava le sue radici in un passato remoto e leggendario. E questo profondo fascino esercitato dall’Egitto è sopravvissuto alla fine della sua civiltà e, dopo aver influenzato in modo significativo la cultura del mondo antico, ha continuato ad ispirare la cultura “esoterica” del mondo medievale e di quello rinascimentale; e anche nei tempi moderni, nell’epoca del “rigore scientifico”, i Misteri egiziani continuano ad essere tali, ed è sempre in essi che anche noi possiamo cercare le radici della nostra cultura e la prima sorgente delle nostre tradizioni simboliche e misteriche. Esaminiamo ora brevemente le principali dottrine teologiche e cosmogoniche elaborate in alcuni dei maggiori santuari dell’antico Egitto. Fin dall’epoca delle prime Dinastie, Heliopolis, sede del culto solare di Ra, fu un Centro sacro della massima importani za, e suoi Sacerdoti erano ritenuti «i più sapienti degli Egiziani»””. Il culto di Ra, espressione di una visione aristocratica, assunse, nel regno Antico, un’importanza crescente, per cui il Faraone prese il titolo di i

Diodoro I, 9 e 50: in particolare, i Tebani affermavano di essere gli uomini più antichi e i primi ad aver scoperto l’astrologia e la filosofia. Per quanto riguarda la diffusione della civiltà egiziana, Diodoro (1, 28) riferisce la tradizione secondo la quale Danao, fondatore di Argo, la prima città della Grecia, ed Eretteo, Re di Atene, erano di origine egiziana, e i miti tramandano che di origine egizia era anche Cadmo, fondatore della Tebe greca, mentre Erodoto (IL, 104) ritiene che i Colchi discendano da antichi coloni egiziani. Per quanto invece concerne l’influsso della cultura egiziana vengono ricordati (Diodoro I, 69, 96, 98), oltre ai famosi soggiorni in Egitto del legislatore Solone e del filosofo Pitagora, anche l’influsso esercitato dalle tradizioni egiziane su Omero, Orfeo, Democrito di Abdera, Eudosso e altri.

24

25

Erodoto

IL, 3.

16

«Figlio di Ra» e a partire dalla V Dinastia il dio eliopolitano fu riconosciuto come divinità suprema in tutto l’Egitto. Associato a Horus come Ra-Harakhte, «Signore dei due orizzonti», era rappresentato dal simbolo del disco solare alato. Identificato con Atum, altra divinità eliopolitana, nel Nuovo Regno Ra divenne Amon-Ra, in seguito alla cui culto si era affermato durante il fusione col dio tebano Amon, Regno Medio con lo spostamento della capitale a Tebe. Ra era raffigurato con la testa di falco (come Horus) sormontata da un disco solare, e gli Egiziani immaginavano che per il suo viaggio celeste, si servisse di due Barche, la prima per compiere il tragitto diurno, e la seconda per il viaggio notturno, che si svolgeva nel Regno dei Morti, dove Ra penetrava dopo il tramonto del Sole a Occidente, recando la sua Luce nelle tenebre sotterranee”.

il

Per quanto riguarda le concezioni teogoniche, il clero eliopolitano aveva elaborata una teoria particolarmente interessante, che rappresenta una delle più antiche visioni cosmogoniche: si tratta della dottrina dell’Enneade, in cui il ruolo di Divinità suprema non è però attribuito a Ra, bensì ad Atum, Dio locale che ha finito con l’essere identificato con lo stesso Ra, nel duplice aspetto di Atum-Ra e Ra-Atum. Da Atum traggono origine quattro coppie di Dei: Shu (l’Aria) e Tefnut (l’Umidità), Geb e Nut (la Terra e il Cielo, rappresentato dal corpo della dea cosparso di stelle), Osiride e Iside, Seth e Nephtis; queste quattro coppie, che costituiscono le personificazioni dei primi e supremi principi, compongono, insieme ad Atum, la Grande Enneade (Pesedjet, il «Gruppo dei Nove») in cui il numero Nove, pari a tre volte Tre, rappresenta l’insieme di tutte le Potenze primordiali che si manifestano nella Creazione”. La formula del triplice aspetto di Ra ricorre spesso, per esempio nel Papiro n. 1993 di Torino (cfr. G. Hart, Miti egizi, Mondadori 1994, p. 84; B. de Rachewiltz, I miti egizi, ed. cit. p. 45, 107 e 163; Lamy, Misteri egizi, ed. cit. p. 11).

26

Cfr. Lucie Lamy, Misteri egizi, ed. Fabbri, Milano 1982, p. 8-9; B. de Rachewiltz, miti egizi, ed. cit. p. 45; M. Lurker, Gétter und Symbole der alten Agypter, ed. Ba-

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stei-Liubbe 1992, p. 56.

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A Menfi, uno dei Centri sacri più antichi dell’E-

gitto, il dio principale era Ptah, considerato il più antico degli Dei, inventore delle Arti e patrono degli artigiani, che i Greci identificarono con Efesto, fabbro divino, e che gli Egiziani raffiguravano come vasaio, intento a modellare un vaso al tornio, o come una mummia avvolta in bende. Menfi era inoltre la sede del culto del Dio-Toro Apis, definito Figlio o Anima di Ptah°%; simbolo della potenza generatrice e in tal senso collegato alla benefica e feconda azione del Nilo, Apis fu anche associato ad Osiride e ad Atum, e fu personificato in epoca tolemaica col nome Serapis (Osiris-Apis). La cosmogonia di Hermopolis parte dalla descrizione del Nun, il Chaos primordiale”, una specie di palude ribollente nella quale viene concepita l’Ogdoade, un insieme di entità primordiali costituito da quattro coppie di Rospi e Serpenti. Hermoplis era inoltre il più importante centro del culto di Thot, dio della Sapienza e scriba divino, corrispondente al greco Hermes”, al quale veniva attribuita l’invenzione dei numeri, dell’abaco, della geometria, dell’astronomia, del gioco delle pietruzze e dei dadi, ma soprattutto delle lettere, mezzo fondamentale per la conservazione e la trasmissione della conoscenza; gli Egiziani raffiguravano Thot per lo più con la testa di Ibis e munito dell’occorrente per scrivere, oppure in forma di Babbuino; nel Regno dei Morti gli attribuivano il compito di accompagnare e proteggere il defunto, e di assistere alla «Pesatura delle Anime» annotandone l’esito su una tavoletta.

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28 Sul culto di Apis, si veda Erodoto III, 27-29. 29 Il Nun è stato anche personificato come divinità antropomorfa (eventualmente con testa di rospo), detta “L'Antico” o il “Padre degli Dei”. 30 Capitale del XV Nomo dell’Alto Egitto, Khemnu (“Otto Città”), che prima si chiamava Unt, “Città della Lepre”, fu detta dai Greci Hermopolis in seguito all’identificazione di Thot con Hermes, anch’egli ritenuto inventore della scrittura e dio-simbolo della conoscenza (cfr. Platone, Fedro LIX). Altro importante centro del culto di Thot era Hermopolis Parva, capitale del XV Nomo del Basso Egitto, i cui sacerdoti consideravano Thot come il creatore dell’universo.

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Tebe, che gli Egiziani chiamavano Uast’!, era un piccolo centro del Medio Egitto, la cui importanza iniziò a crescere dopo la fine del Regno Antico fino a che divenne, con la XI Dinastia, la nuova capitale dell’Egitto. Grazie alla sua centralità politica, la classe sacerdotale tebana assunse un ruolo preminente sia durante il Medio Regno che nel Nuovo, promuovendo il culto di Amon fino a farne, nel Nuovo Regno, la principale divinità egiziana’, assimilandolo all’antico dio solare Ra nella forma di Amon-Ra. I Sacerdoti tebani cercarono di unificare diversi miti cosmogonici, intorcui vari no alla figura centrale di Amon, i ricondotti caratteri aspetti vengono e le funzioni di diverse divinità, che diventavano tutte, in tal modo, manifestazioni di un unico principio: in tal senso, Amon sintetizzava in sé tutto il processo creativo dell’Ogdoade e, analogamente, gli Dei

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dell’Enneade eliopolitana erano concepiti come sue proiezioni. Amon-Ra viene in genere rappresentato in forma umana, per lo più in trono (in quanto Re degli Dei), con una tiara ornata da due alte piume e l’Ankh, il Segno della Vita. Ma l’immagine più tipica è quella che lo mostra criocefalo, cioè con la testa d’Ariete dalle corna auree e ritorte, evidenziando tanto la sua potenza fecondante, quanto la sua natura solare. In questa sua forma Amon-Ra compie il suo viaggio notturno sulla Barca solare, attraversando il Duat, il Regno dei Morti, che viene illuminato e vivificato dal suo passaggio: allo stesso modo in cui il Sole, scomparendo ad Occidente, compie il suo viaggio nelle tenebre notturne per far riapparire la sua luce all’alba di un nuovo giorno, così Amon, l’invisibile principio della Luce assicura la rigenerazione dell’uomo e il suo riemergere dalle tenebre della morte. Possiamo notare che, pur nella loro diversità, queste dottrine presentano dei caratteri comuni particolarmente significativi in quanto stabiliscono una costante relazione fra la natura celeste degli Dei e la Tebe è il nome greco della città che Omero (Iliade TX) definì “Tebe dalle cento porte”, riferendosi alla sua grandezza e magnificenza. 32 Nel Nuovo Regno il Gran Sacerdote di Amon era diventato il personaggio più potente dopo il Faraone, ed è soprattutto contro il predominio della classe sacerdotale tebana che si indirizzava la riforma “monoteistica” di Akhenaton (Amenhotep IV). 31

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loro presenza nell’Oltretomba: sia Ra che Amon-Ra, divinità solari, compiono il loro viaggio notturno nel Regno dei Morti, in cui Thot svolge un ruolo importante come scriba e accompagnatore dei defunti, mentre il dio creatore Ptah, nel suo aspetto di mummia, ne fa inequivocabilmente parte, così come vedremo il ruolo attribuito ad il Osiride che, da divinità solare, diventa il Signore dell’Oltretomba Giudice dei Morti.

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I MISTERI DI ISIDE E OSIRIDE Iside e Osiride sono le figure centrali del più popolare fra i culti dell’antico Egitto, che era praticato da tutti gli Egiziani, laddove le altre divinità erano per lo più venerate solo in alcuni luoghi: si trattava di una vera e propria religione a sfondo misterico che si era affermata alla fine del Regno Antico, con il suo carattere popolare, opponendo alle concezioni aristocratiche di un Oltretomba astrale e riservato a pochi eletti, le sue più “democratiche” visioni relative alla possibilità, aperta a tutti, di sopravvivere dopo la morte. I riti e le cerimonie della religione osiridea avevano un carattere popolare, ma la conoscenza dei suoi Misteri era riservata agli iniziati, e questi erano vincolati da un severo impegno al segreto”, A partire dall’età ellenistica, i Misteri di Iside e Osiride ebbero un’ampia diffusione anche fuori dall’Egitto; in particolar modo il culto di Iside, che divenne straordinariamente popolare in tutte le provincie dell’Impero romano, come testimonia la presenza dei numerosi Isei consacrati alla Dea’. Per quanto riguarda la natura di questi Mi33 Cfr. Erodoto II, 42: «Infatti non tutti gli Egiziani venerano gli stessi Dei, all’infuori di Iside e Osiride, che dicono corrispondere a Dioniso; questi li venerano tutti ugualmente». Il carattere occulto degli insegnamenti connessi ai culti praticati in onore di Iside e Osiride è più volte attestato da Erodoto che, pur affermando conoscerli, sottolinea che non è lecito fornire spiegazioni in merito, evitando anche di nominare il Dio protagonista tali Misteri (II, 47, 48, 61, 86, 132, 170, 171). Analogamente si esprime Apuleio (Metamorfosi 23) rispetto all’iniziazione isiaca: «Io parlerei, se fosse lecito parlare, e tu sapresti, se fosse lecito udirlo».

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34 I Misteri di Iside, più ampiamente diffusi, costituivano i cosiddetti Piccoli Misteri, mentre quelli di Osiride, riservati a una cerchia più ristretta di iniziati, erano considerati i Grandi Misteri. Alcune scene relative a tali rituali misterici si possono osservare nei rilievi del Tempio di Osiride a File, un’isoletta consacrata al Dio, alla quale era sacrilegio avvicinarsi, e sulla quale solo una volta all’anno si recavano i sacerdoti per compiervi dei sacrifici funerari.

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steri, l’impegno al segreto che vincolava gli iniziati, non ha consentito che giungessero fino a noi delle descrizioni esaurienti. Tuttavia non mancano le informazioni, come quelle che possiamo desumere da Apuleio, il quale, pur esprimendosi con la dovuta riservatezza, rivela alcuni aspetti salienti di tali Misteri, raccontando dell’iniziazione di Lucio, il protagonista delle Metamorfosi al termine delle sue disavventure in forma di asino”. Lucio viene iniziato ai Misteri di Iside dopo aver abbandonato l’aspetto asinino ed aver riacquistato quello umano; ma già precedentemente la Dea gli aveva mostrato la sua benevolenza, apparendogli in riva al mare, e dandogli le istruzioni necessarie per poter riassumere la forma umana. Il Sacerdote di Iside gli spiega infatti che la divinità suole scegliere coloro che, varcato il termine della vita umana, si trovano sulla soglia ove finisce la luce, sempre che possano degnamente accogliere in sé i solenni segreti della religione (1agna religionis silentia): costoro li fa, in un certo modo, rinascere, e li pone sulla via di una nuova vita. Comincia quindi un periodo di purificazione, durante il quale l’iniziando adempie con precisione e puntualità ai doveri religiosi e alle pratiche del culto, astenendosi dai cibi profani e non consentiti, e alla fine è la stessa Dea a rivelare in sogno, sia al Sacerdote, che a Lucio, che il giorno tanto atteso è giunto. Dopo aver celebrato il rito dell’apertura della porta del Tempio e aver compiuto il sacrificio mattutino, il Sacerdote ne trae fuori dalla cella più segreta dei libri dai titoli scritti in caratteri ignoti: «Alcuni d’essi riportavano formule abbreviate di prescrizioni liturgiche, espresse mediante figure di animali d’ogni sorta; in altri la lettura del testo era vietata alla curiosità dei profani per il fatto che le lettere presentavano dei tratti nodosi o rotondi come una ruota o avviluppati come viticci». Su questi libri il Sacerdote legge le istruzioni per procedere all’iniziazione. Dopo il lavacro rituale, il Sacerdote purifica l’iniziando aspergendolo con acqua benedetta e lo conduce nel Tempio, dove fa inginocchiare ai piedi della statua della Dea, e gli impartisce in segreto «delle istruzioni che sorpassano le possibilità dell’umano

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linguaggio».

35 Apuleio, Metamorfosi XI, 3-6 e 21-30 (cfr. ed. BUR 1992, p. 679-701).

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Passano altri dieci giorni dedicati alla purificazione, e finalmente arriva il giorno fissato per la «divina promessa»: la prima fase della cerimonia si svolge verso sera in pubblico, e da ogni parte giungono persone recando doni all’iniziando, secondo l’antica usanza dei Misteri. Allontanati i profani, l’iniziando viene ricoperto con una veste di lino nuova e il Sacerdote lo conduce nella parte più interna del Tempio, dove ha luogo la parte segreta dell’iniziazione: «Giunsi al limite della morte, posai il piede sulla soglia di Proserpina; al ritorno fui trasportato attraverso tutti gli Elementi del Cosmo; in piena notte vidi il sole irraggiare la sua luce splendente; mi presentai al cospetto degli Dei sotterranei e celesti, e da vicino li adorai». Al mattino il solenne Mistero è compiuto; l’iniziato esce dal Tempio indossando le dodici stole di consacrazione, e vien fatto salire su una tribuna di legno posta al centro del Santuario, di fronte alla statua di Iside; vengono quindi aperte le cortine, e il pubblico può ammirare l’iniziato «ornato come se fosse il Sole», ricoperto da una veste di bisso dipinta a vivaci colori, e da una lunga clamide decorata con immagini di draghi indiani e grifoni iperborei (l’abito olimpico) con la testa cinta da una corona di palma dalle foglie lucenti come raggi solari, e una torcia fiammeggiante nella destra. Finita la cerimonia, giorno della “nascita” dell’iniziato in seno alla religione, termina con un magnifico banchetto. Il terzo giorno trascorre infine nel definitivo compimento della consacrazione, conformemente alle norme rituali. Dopo un anno, racconta sempre Apuleio, Lucio si rende conto di essere stato iniziato solo ai Misteri di Iside, ma non a quelli di Osiride: anche se le due religioni sono strettamente unite, vi è tuttavia una differenza essenziale nel modo dell’iniziazione, ed ora il dio lo vuole anche al suo servizio. Di nuovo la volontà divina si rivela in sogno sia a Lucio che ad un Sacerdote, e di nuovo Lucio affronta i preparativi all’iniziazione, malgrado le sue difficoltà economiche: «Per dieci giorni mi astenni di nuovo dai cibi che avessero vita, e mi rasai il capo. Di notte accolsi in me la luce che emana dai Misteri del Dio supremo». Il romanzo termina raccontando come Lucio si dedichi con assiduità al culto, entrando a far parte del Collegio dei Pastofori, e ottenendo contemporaneamente da Osiride successo e fortuna. Le conoscenze che venivano trasmesse durante l’iniziazione ai Misteri, e alle quali fa riferimento Apuleio, fornivano certo la chiave di lettura e la spiegazione del significato occulto di quanto veniva mostrato, in forma rituale e simbolica, in occasione delle cerimonie pubbliche. Ma l’iniziazione contemplava anche un’effettiva esperienza di

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morte e rinascita, che poteva aver luogo assistendo o partecipando ad uno psicodramma, o vivendo addirittura un’esperienza estatica, le cui modalità dovevano essere ispirate e collegate alle situazioni descritte nel mito di Osiride: Plutarco fornisce di questo una versione sintetica, ma abbastanza dettagliata che, pur essendo tarda, era certamente desunta da fonti antiche”, Secondo la versione plutarchea, Osiride è nato da Crono e Rea (Geb, dio della Terra e Nut, Dea del Cielo) malgrado l’interdizione del Sole (Ra), a causa della quale essi non avrebbero potuto generare *, in alcun mese e in alcun anno: per rendere possibile la nascita di Osiride e di altre Hermes (Thot) divinità, aggiunge i cinque giorni intercalari quattro all’anno di 360 giorni, dopo aver ottenuto dalla Luna, vincendola al gioco, la settantesima parte di ogni lunazione. Dopo Osiride, il secondo giorno, nasce Arueris (Horus il Vecchio, identificato con Apollo), e il terzo giorno Tifone (Seth) che esce con violenza, squarciando il fianco della madre; il quarto giorno nasce Iside, sorella e sposa di Osiride, e il quinto Nephti, che diventa la sposa di Seth, e che Plutarco identifica con Afrodite o con la Vittoria. Il racconto prosegue quindi descrivendo il regno di Osiride e il suo ruolo di civilizzatore, e Plutarco racconta come Osiride, identificato con Dioniso, usando la persuasione, il canto e la musica, indusse gli Egiziani a mutare il loro modo di vivere, e insegnò loro a coltivare i campi, a osservare le leggi e a onorare gli Dei. Tifone, invidioso del fratello, ordisce una congiura contro di lui con l’aiuto di 72 complici e di Aso, regina dell’Etiopia: prese le misure del corpo di Osiride, fa costruire una bellissima arca delle stesse dimensioni; quindi, durante un banchetto, invita tutti i presenti a sdraiarvisi dentro, dicendo che l’avrebbe donata a colui che vi fosse entrato esattamente; quando Osiride entra nell’arca, Tifone, aiutato dai congiurati, chiude il coperchio, lo salda con dei chiodi e vi versa sopra del piombo fuso. L’arca viene quindi buttata nel Nilo, la cui corrente la trascina al mare attraverso la bocca Tanitica: e ciò avvenne il diciassettesimo giorno del mese di Athyr, quando il sole attraversa il segno dello Scorpione, nel ventottesimo anno del regno di Osiride.

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Plutarco, De Iside et Osiride 12-19 (ed. Adelphi, Milano 1985, p. 68-76).

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Iside, avvertita dell’accaduto dai Pani e dai Satiri della regione del Chemmis, si taglia una treccia e indossate le vesti di lutto, inizia la sua disperata ricerca dell’arca col corpo dello sposo, ricerca in cui viene aiutata da Anubi, il dio dalla testa di sciacallo o cane, generato da Osiride, che si era unito a Nephtis, credendola Iside. La Dea viene infine a sapere che l’arca è approdata presso la costa di Byblos dove un’erica l’ha circondata, crescendo a dismisura”; il re di Byblos, Malcandros, stupefatto per la prodigiosa crescita della pianta, l’aveva fatta tagliare e l’aveva utilizzata come colonna per sostenere il tetto della sua casa. Iside, recatasi a Byblos, diventa la nutrice del piccolo figlio del re: la Dea nutre quindi il fanciullo dandogli da succhiare la punta del suo dito, e lo pone sul fuoco «per bruciare la parte mortale del suo corpo». Quindi, trasformatasi in rondine, Iside vola, gemendo, intorno alla colonna; la regina (chiamata Astarte, Saosis, Nemanus o Athenais) assiste alla scena, ma, vedendo il figlio fra le fiamme, getta un grido, «privandolo, così dell’immortalità». Iside si manifesta allora nel suo aspetto di Dea, e chiede la colonna del tetto, la toglie dalla sua posizione ed l’arca dal tronco che le era cresciuto "| estrae intorno (al tempo di Plutarco, nel tempio di Iside a Byblos, si venerava ancora questo mitico tronco). Il dolore di Iside è terribile, e il mito narra che i suoi gridi provocarono la morte del più piccolo dei figli del re. Dopo aver caricato l’arca su una nave, la Dea parte, recando con sé il figlio maggiore del Re; giunta in un luogo isolato, apre l’arca e abbraccia, piangendo, il corpo dello sposo ma, accortasi che il fanciullo aveva osservato la scena, gli rivolge uno sguardo irato e terribile, facendolo morire per lo spavento. Iside si reca quindi a Buto, nella zona centro-occidentale del Delta, dove raggiunge il figlio Horus (Horus il Giovane che va distinto da Horus il Vecchio), e nasconde l’arca in un luogo appartato. Seth, però, andando a caccia’® in una notte di plenilunio, la trova per caso, quindi |

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37 Da notare il particolare che Iside viene a sapere attraverso quale bocca del fiume è passata l’arca grazie alle rivelazioni di alcuni bambini, per cui, dice Plutarco, gli Egiziani attribuivano ai fanciulli un potere profetico e cercavano di prevedere il futuro in base alle parole che essi dicevano mentre giocavano in un luogo sacro (op. cit. 14).

38 Altrove (354 a, cap. 8) Plutarco dice che Tifone, quando scoprì il corpo di Osiride, stava inseguendo un maiale, e che per questo motivo gli Egiziani consideravano impuro questo animale

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fa in 14 pezzi il corpo di Osiride e li disperde. Per la seconda volta, Iside intraprende la ricerca del corpo dello sposo, navigando lungo il Nilo su una zattera di papiro. Per ogni pezzo ritrovato, la Dea erige una tomba, il che spiega la presenza di diversi monumenti sepolcrali di Osiride in varie città dell’Egitto’”’. Solo il fallo non viene ritrovato perché è stato divorato da tre pesci (il lepidoto, il fagro e l’ossirinco, che gli Egiziani aborrivano): al suo posto Iside ne realizza uno finto, rendendolo sacro, «e ancor oggi gli Egiziani gli dedicano molte feste». Segue quindi la narrazione della lunga lotta fra Horus e Seth, nel corso della quale Horus sconfigge ripetutamente l’avversario. Osiride, che nel frattempo è divenuto il Re dell’Oltretomba, ne esce per preparare il figlio alla battaglia, e il mito si conclude sottolineando come la sua condizione di defunto non gli impedisca neanche di generare: «Iside si unì ad Osiride anche dopo la sua morte, e partorì un figlio prematuro e rachitico negli arti inferiori, Arpocrate». Il mito, spiega Plutarco, «altro non è se non il riflesso di una realtà trascendente, che obbliga la nostra intelligenza a rivolgerci verso altri oggetti». E il mito di Osiride, nella complessità dei suoi motivi (dovuta anche all’apporto di più versioni) presenta diverse chiavi di lettura, a seconda che lo si voglia riferire ad eventi storici, a situazioni naturali o astrali, o alla dimensione metafisica e al destino dell’uomo dopo la morte. I vari motivi leggendari, peraltro riecheggiati nei Misteri dionisiaci ed eleusini (che del resto, secondo l’opinione degli Antichi, derivavano dalla tradizione egiziana) si prestano dunque a molteplici interpretazioni simboliche, cui accenneremo brevemente in rapporto alle diverse spiegazioni fornite sul significato simbolico dei suoi protagonisti.

39 Plutarco (cap. 20-21) segnala alcune di queste città, come Diochite (non identificata), Abido (a Nord di Tebe, sede di un’importante necropoli) in cui era conservata la testa del Dio, Memphis, dove si riteneva che l’anima di Osiride si incarnasse nel Toro Apis, l’isoletta di File, dove si trovava una gamba del Dio, Busiride (“Casa di Osiride”), dove era la sua colonna vertebrale (il Pilastro Djed), Tafosiride (“Tomba di Osiride”) e Mende, dove si diceva che fosse il suo fallo. In genere questi Sepolcri di Osiride sorgevano su un’isoletta (in riferimento alla Collina primordiale) e su di essi era piantato un albero, come simbolo di rigenerazione.

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GLI DEI EGIZI E I LORO SIGNIFICATI SIMBOLICI Iniziamo dalla Triade divina costituita da Osiride, Iside e dal loro figlio Horus (Tavola 2a) Il nome di Osiride viene fatto derivare da Os (molto) e Iri (occhio), per cui significherebbe «Dai molti occhi»*°, e il suo segno geroglifico è composto da un occhio ed uno scettro. Per la sua natura benefica, era detto anche Unefer (da cui Onofrio), l’Essere Buono, Completo o Rigenerato. In quanto Signore della vegetazione e Re dell’Egitto, la sua figura sembra derivare da Anzti, una divinità predinastica (forse un eroe divinizzato), del quale avrebbe assunto gli attributi*!, I principali centri del culto osirideo furono Abydos e Busiris. Osiride era raffigurato come una Mummia con la Corona Atef dell’Alto Egitto, ornata da due piume, e con due scettri (pastorale e flagello), per lo più nella sua funzione di Re del regno sotterraneo e Giudice dei morti (Tavola 2b); il colore del volto è nero (a indicare la morte o il carattere sotterraneo e occulto della sua Luce) o verde (simbolo di rinascita vegetale e, quindi, di resurrezione); talvolta le raffigurazioni di Osiride sono itifalliche, esprimendo in modo ancor più evidente il concetto di fecondità e potere vitale. In quanto Re divino della mitica età predinastica, Osiride appare come un Dio-Eroe civilizzatore e viene assimilato a Dioniso. Come divinità della Natura, Osiride rappresenta l’umidità ed è identificato con il Nilo“, mentre come simbolo di ciò che risorge dopo la morte, Osiride era considerato anche patrono della vegetazione. In quanto connesso alla fecondità dell’elemento umido, Osiride viene anche associato alla Luna, cui alludono i 28 anni della sua vita o del suo regno, o le 14 parti in cui viene smembrato il suo corpo (i giorni dal plenilunio al novilunio) ed è anche collegato alla crescita del Nilo, la cui altezza 40 Plutarco, op. cit. cap. 10 (ed. cit. p. 66). 41 Cfr. B. de Rachewiltz, 1 riti egizi, ed. TEA 1995, p. 31. L’insegna del IX Nomo (a Nord di Heliopolis) mostra Anzti, Signore di Busiris, che si erge sul simbolo dei Nomi (un rettangolo diviso in 14 parti), con la testa ornata da due piume, reggendo i due simboli del potere regale, il flagello e il pastorale. 42 Plutarco, op. cit. 32, 34, 36,39.

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28 cubiti, mentre quella media era di 14. Si riteneva inoltre che concepimento del Toro Apis (l’immagine corporea dell’anima di Osiride) avvenisse quando un raggio di luce lunare andava a colpire una vacca in calore e la fecondava. Comune era anche l’identificazione di Osiride con il Sole, e di Iside con la Luna. Osiride era infatti considerato il Sole notturno (mentre Horus era il sole nascente), la cui scomparsa al di sotto dell’orizzonte occidentale era messa in relazione con la vita del dio nell’Oltretomba: dopo essere stato ucciso da Seth, continua infatti a vivere come Signore del Regno dei Morti e la sua vicenda esprime la credenza in una prosecuzione della vita dopo la morte. Infine, per quanto riguarda il suo carattere astrale, Osiride è stato collegato alla costellazione di Orione”. Sorella e sposa di Osiride, Iside ne rappresenta la controparte femminile ed è, in assoluto, uno dei più completi simboli del principio femminile: Sposa e Madre, Natura e Terra feconda che raccoglie nel suo seno i germi vitali dell’intero universo, «nutrice e grembo che tutto riceve... materia e luogo in cui generare»*!. Il suo carattere di Grande Dea universale è sottolineato da Apuleio in termini oltremodo suggestivi‘: «Io sono la genitrice dell’Universo, la sovrana di tutti gli elementi, l’origine prima dei secoli, la regina delle ombre, la prima dei celesti... indivisibile è la mia divina essenza, ma nel mondo io sono venerata ovunque sotto molteplici forme, con riti diversi, sotto differenti nomi... ma gli Egiziani cui l’antico sapere conferisce potenza, mi onorano con riti che appartengono a me sola, e mi chiamano col mio vero nome, Iside Regina». Gli Egiziani raffiguravano Iside con un Trono sulla testa (Seggio, Sede degli Dei), in piedi o seduta in trono, spesso mentre allatta il piccolo Horus. Nelle mani regge l’Ankb (il segno della Vita) e talvolta un Sistro. Nel Nuovo Regno venne assimilata ad Hathor («Dimora di massima raggiungeva

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43 Ricordiamo, a tal proposito, la teoria secondo la quale la posizione delle piramidi di Giza corrisponderebbe a quella assunta dalla costellazione di Orione nel 10450 a.C. (cfr. G. Hancock, Impronte degli Dei, ed. Corbaccio, Milano 1996, p. 562). Plutarco afferma invece che Orione è l’Anima di Horus. 44 45

Plutarco: De Iside et Osiride 53, ed. cit. p. 115. Apuleio: Le Metamorfosi, ed. cit. p. 653.

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Horus»), la Vacca cosmica“, assumendone corna (in forma di crescente lunare) col disco solare. Era talvolta raffigurata insieme a Nephtis come due Nibbi o Avvoltoi che cercano il corpo di Osiride (in tal caso le due sorelle divine erano dette le «due Lamentatrici») o come Serpenti, mentre proteggono il viaggio del defunto nell’Oltretomba. Come nel caso di Osiride, anche Iside presenta una molteplicità di significati simbolici che elenchiamo sinteticamente. L’Anima di Iside era Sothis (Sopdet), la stella Sirio della costellazione del Cane, al cui apparire la nera terra egiziana era inondata dal Nilo‘, mentre il suo corpo è la Terra Nera fecondata dal Nilo, la Natura sottoposta all’azione del Sole. Detta anticamente «Occhio di Ra», in quanto sorella e sposa del dio solare Osiride, Iside ha finito con l’assumere un carattere eminentemente lunare, inteso però nel senso simbolico più ampio, come espressione del principio femminile di vita, crescita e rigenerazione: oltre ad essere la vedova di Osiride, ovvero del Sole tramontato, essa è anche la madre di Horus, il Sole nascente, ed è pertanto lei che assicura la continuità della vita sia sulla superficie della terra, che nel mondo sotterraneo. Soccorritrice dei defunti nel loro viaggio sotterraneo, Iside è la «Dea eletta per sapienza e desiderio di sapienza»*®, la detentrice di conoscenze segrete e di poteri magici, grazie ai quali non solo ha potuto assicurare una nuova vita sotterranea al defunto Osiride, ma ha anche ottenuto che egli generasse in lei, dopo la morte, il figlio Horus-Arpocrate, dio-simbolo del segreto iniziatico*’. Per i suoi poteri magici e la sua natura benevola, Iside era invocata come soccorritrice e gua46 Hathor è una divinità molto antica, simboleggiata da una vacca (poteva essere raffigurata come una testa bovina circondata da stelle, come Vacca celeste o come una testa di donna con orecchie di vacca, o anche come figura femminile sormontata da corna bovine e disco solare. Aveva il potere di nutrire i defunti, ed in questa funzione era associata all’Albero sacro (sicomoro, fico o palma). Patrona dell’amore, della musica e della danza, era venerata nel VII Nomo, la cui capitale, Diospolis Parva, fu detta la «Città dei sistri» (cfr. De Rachewiltz, op. cit. p. 87-89). 47 De Iside et Osiride 21, ed. cit. p. 79 (vedi anche p. 90,97, 114 e 124). Cfr. Macrobio, Saturnalia 1, 20 e 21, ed. cit. p. 285 e 289: “Tutti sanno che Osiride non è altro che il Sole e Iside null’altro che la Terra o la Natura”. 48 De Iside et Osiride 2, ed. cit. p. 58: Plutarco collega il nome di Iside al verbo greco oida (sapere). Successivamente (ed. cit. p. 122), Plutarco spiega che il nome di Iside deriva da slanciarsi (esthai) con conoscenza (episteme) e muoversi (pheresthai), quindi dall’unione di scienza (episterme) e movimento (kinesis). 49 De Iside et Osiride 19, ed. cit. p. 76. Su Arpocrate, cfr. S.E.F. Hobel: Silenzio, in: “Hiram” 1992, n. 5.

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Il

Dio del

ritrice; in rapporto al suo ruolo di protettrice del viaggio ultraterreno della barca solare, oltre che in riferimento alla sua navigazione su una barchetta di giunco alla ricerca del corpo di Osiride, Iside era particolarmente venerata dai naviganti, e le era attribuito il simbolo del remo. Mentre Osiride è il simbolo dell’essere divino e dell’aspetto sovrumano e immortale dell’individuo, Iside, simbolo universale della natura femminile, è la «dispensatrice della Rivelazione e della Iniziazione», sotto il cui velo sono celati i segreti della vita e della morte, ma anche la speranza dell’immortalità. Quest’ultimo aspetto non è messo in evidenza solo dalla sua capacità di rivivificare il defunto Osiride, ma anche dall’episodio in cui, per rendere immortale il piccolo figlio del re di Byblos, lo immerge nelle fiamme. L’idea-Iside è universale ed eterna: nelle sue antiche statue si riconosce il prototipo dell’immagine della Vergine col Bambino (Tavola 2c), ed in particolare di quelle Vergini Nere che nella tradizione cristiana medievale furono oggetto di una particolare venerazione e che in molti casi lo sono tuttora. Sia le statue di Iside che quelle delle Vergini Nere, erano spesso dedicate alla Virgo paritura, ovvero alla Vergine che deve partorire, simbolo, per gli Alchimisti, della Terra primitiva ovvero del Soggetto della loro Opera, di quella Materia Prima allo stato di minerale che i testi ermetici descrivono come «una sostanza nera, pesante, friabile, fragile, che ha l’aspetto di una pietra»: da ciò il colore nero del loro volto, così come era nero il volto della Artemide di Efeso, le cui statue dai molti seni esprimono in modo palese la generosa fecondità della Natura, o come nero il colore della Pietra che simboleggiava Cibele, la Grande Madre degli Dei.’! Horus, figlio di Iside e Osiride, fu concepito dai genitori prima ancora che vedessero la luce; fu poi allevato da Latona (la dea-Serpente Wedjoyet) nelle paludi che circondano Buto e protetto dalla madre Ù

era

Il Mistero

delle Cattedrali, ed. Mediterranee, Roma 1972, p. 139. 51 Cfr. Fulcanelli, Mistero delle Cattedrali, ed. cit. pp. 49 ss. Secondo quanto riferisce Fulcanelli, la Vergine Nera di Chartres, detta Notre-Dame-sous-Terre, ha preso il posto di un’antica statuetta di Iside, mentre un rilievo in cui è raffigurata Iside è ancora conservato nella cattedrale Saint-Etienne, a Metz Cfr. C Bigarne, Considérations sur le Culle d’Isis chez les Eduens, Beaune, 1862. Sulle Vergini Nere vedi anche J. Huynen, L’énigme des vierges noires, ed. Laffont, Paris 1972. 50

Fulcanelli:

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contro ogni pericolo (Tavola 2d). Una volta adulto, Horus intraprese una lunga lotta contro Seth, nel corso della quale lo colpì ai genitali e venne a sua volta ferito all’occhio; alla fine fu riconosciuto come legittimo successore di Osiride, divenendo il simbolo della regalità (originariamente Horus e Seth regnavano rispettivamente sul Basso ed Alto Egitto). Horus è soprattutto il simbolo del Sole nascente e della rigenerazione della vita, ed era raffigurato come Falco o con la testa di falco; i suoi occhi sono considerati il Sole e la Luna, e l’Oudjat (l’Occhio di Horus) era considerato un potente amuleto in grado di nutrire, proteggere e donare vita eterna. Horus-Arpocrate, raffigurato col dito sulle labbra, seduto in braccio ad Iside o su un fiore di loto, è invece il figlio generato da Osiride dopo essere morto, ed era considerato il Dio del Silenzio, custode dei Misteri iniziatici. Seth, «Colui che opprime», rappresenta la forza distruttiva del calore e viene associato con tutto ciò che è arido, igneo e apportatore di siccità; la regina d’Etiopia, sua alleata, rappresenta i venti meridionali; è inoltre associato al mare, ritenuto come una cosa sterile, ostile e impura”. La vittoria di Tifone (omologo greco di Seth) corrisponde al dominio del mare sulle acque dolci, e del sole ardente sulla luna; Tifone rappresenta inoltre quella parte dello spirito vitale soggetta alle passioni, priva di ordine e dall’intelligenza titanica ma incostante. Erano messi in relazione a lui l’asino, un tempo ritenuto il più stupido degli animali, il coccodrillo e l’ippopotamo, i più feroci. A Seth erano attribuite la Corona del Basso Egitto e il colore rosso, e si può riconoscere la sua testa animalesca sul pomo della mazza predinastica del Re-Scorpione”’. La sua unione con la sposa Nephtis (Signora della Casa) è sterile, mentre insieme ad Osiride, Nephtis genera Anubi. Thot, dio di Ermopoli e scriba divino, era raffigurato con la testa di Ibis (uccello sacro della zona del Delta), ed assimilato al greco Hermes; gli si attribuiva l’invenzione della scrittura e la trasmissione agli uomini di diverse forme di conoscenza e nell’Aldilà gli era assegnato il compito di accompagnare l’anima del defunto e di prendere nota degli esiti del suo Giudizio. 52 53

era infatti detto «Spuma di Tifone» (cfr. Plutarco 32, 33, 41, 49-50). G. Hart, op. cit. p. 55. Il sale

30

O Anubi, infine, fedele compagno di Iside e Signore della Terra Santa (le necropoli) e della Sala divina (in cui si imbalsamano le mummie), generato da Osiride e Nephtis, era raffigurato con la testa di sciacallo o come Cane o Sciacallo e la sua immagine era associata a qualcosa di “segreto”; nell’Oltretomba accompagnava il defunto e sovrintendeva alla Pesatura delle Anime. IL REGNO DEI MORTI

Intorno all’eterno problema della Vita dopo la Morte, gli antichi Egiziani avevano costruito una vera e propria scienza basata sull’idea che l’individualità umana è costituita da diverse componenti che si separano alla morte del corpo (Kha): essi cercavano tuttavia di tenerle in qualche modo unite, conservando il corpo mummificato in modo che rappresentasse una specie di calamita e un punto d’appoggio per le componenti psichiche; anzi, nel timore che la mummia potesse esstesso ruolo di catalizzatore sere danneggiata, si faceva in modo che svolto anche da scolpita del defunto. un’immagine essere potesse La prima delle componenti sottili è il Ka, in cui, dopo la morte, si ritira la coscienza dell’individuo: esso si forma insieme alla persona, e ne rappresenta l’energia vitale; veniva spesso raffigurato con lo stesso aspetto della persona, ed in effetti ne costituisce una specie di Doppio, indissociabile dall’individuo cui appartiene, e che può continuare a vivere nella tomba”*; veniva anche simboleggiato dalle due braccia alzate, con le mani aperte, in un gesto che appare di invocazione, ma che fa anche pensare alla possibilità di assorbire l’energia cosmica attraverso il palmo delle mani. Un’altra componente sottile è ’Ombra del defunto, che gli Egiziani chiamavano |} Shut o Kabhibit, e che va distinto solo parzialal mente dal Ka, in quanto rappresenta il suo aspetto più “denso” e maggiormente legato

lo

2 =

Negli affreschi che ornano la Stanza della Teogamia a Luxor, si vede il Dio Khnum che, sulla ruota da vasaio, forma le figure di due fanciulli uguali, uno dei quali porta il dito alla bocca, nel tradizionale gesto del Silenzio (cfr. L. Lamy, Misteri egizi,

54

Milano 1982, p. 25).

31

alla materia corporea, una specie di fantasma dotato della capacità di muoversi e in grado di intercettare la luce, che veniva raffigurato come una sagoma umana nera”. La vera e propria Anima, intesa come il principio cosciente dell’individuo, è però il Ba: questi era rappresentato per lo più come un uccello dalla testa umana, in modo da evidenziare la sua natura volatile e superiore, ma anche il suo rapporto con le facoltà intellettuali e razionali dell’uomo. Le illustrazioni del Libro dei Mortè° ci fanno vedere questo Uccello-Anima mentre accompagna il Doppio (Ka) del defunto nel suo viaggio ultraterreno, oppure mentre aleggia sulla sua mummia, «perché riveda il suo corpo, e si posi sulla sua mummia» assicurando in tal modo l’immortalità della coscienza individuale. Altre immagini mostrano il Ba che esce dall’Oltretomba insieme al’Ombra, e la formula collegata a quest’ultimo tipo di immagine era finalizzata ad aprire la tomba per «uscire al giorno» e ottenere il controllo dei propri piedi”. Alla sopravvivenza dell’essere umano occorre anche il Cuore (IA), ritenuto la sede dell’intelligenza e della volontà: nella scena della Psicostasia (la «Pesatura dell’Anima») era simboleggiato dal vaso a due anse posto su un piatto della bilancia per essere giudicato. Assimilato al Ka, il Cuore era ritenuto anche la sede della memoria, ed era quindi indispensabile al Ba per poter “ricordare” il proprio corpo: occorreva pertanto che il cuore del defunto fosse conservato e ben protetto, ma soprattutto che fosse simbolicamente “restituito” alla sua Anima, insieme ad altre parti necessarie come occhi, e la lingua”®. Al Ba e

gli

55 Cfr. G. Kolpaktchy, introduzione all’ed. italiana del Libro dei Morti degli antichi Egizi, Milano s. d., p. 47. 56 Libro dei Morti (cfr. ed. tedesca Das Totenbuch der Aegypter, a cura di E. Hornung, ed. Goldmann 1993): Capitoli XVII (il Ba che prega, insieme al defunto, rivolto all’immagine di Aker); XLVI (il Ba davanti ad una Porta, insieme alla Fenice o Uccello Bennau); LXI (il defunto stringe a sé il Ba per evitare che gli venga rapito, mentre il testo stabilisce uno stretto rapporto fra il Ba e le Acque del Nilo, entrambi necessari alla rigenerazione dell’individuo); LXXXV (il Ba come Uccello o come Ariete); LXXXIX (il Ba sulla sua mummia); CLI (il Ba assiste alle operazioni compiute da Anubi sulla mummia e sulla maschera del defunto, per assicurargli le funzioni vitali). Come uccello, il Ba poteva essere rappresentato da una Ciconia nigra. 57 Libro dei Morti, Capitolo XCII. 58 Cfr. B. de Rachewiltz, Egitto magico religioso, La Spezia 1989, p. 82: «Il Cuore

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Potere personale e magico, simboleggiato da uno scettro su cui erano dipinti due occhi, attribuito sia ad Osiride che ad Anubi”°. La morte rappresentava per l’Egiziano l’inizio di un misterioso viaggio ultraterreno, nel corso del quale, sublimando la sua natura, egli avrebbe dovuto diventare un A&b, un defunto santificato, | un essere illuminato dalla presenza della sua Anima superiore: la radice Akh implica infatti l’idea di splendere, brillare, ed è l’inverso del termine il cadavere; raffigurato in forma di Ibis chioindica invece che Kba, l’A&h mato; rappresenta pertanto la scintilla di Luce emanata dalla Divinità, il cui obiettivo finale è quello di poter «uscire dalla Grande Porta in Cielo» e diventare una Stella‘, al Ka si collega infine Sekhern, il

e

GLI ANTICHI TESTI FUNERARI Nei Testi delle Piramidi, un insieme di circa 800 formule che venivano incise all’interno delle piramidi dei faraoni e dei loro familiari della tua Anima (Ba) si ricorda del tuo corpo». Sull’identificazione del Cuore con il Ka, vedi Libro dei Morti, Cap. XXXb (ed. tedesca a cura di E. Hornung, p. 96); sulla sua restituzione, vedi Cap. XXVI-XXX. 59 B. de Rachewiltz, op. cit. p. 94; cfr. Lurker, op. cit. p. 231. 60 Libro dei Morti, CLXXIV (Formula per far uscire l’Akh dalla grande Porta nel Cielo). L’Akh poteva anche essere raffigurato come Ureo, Serpente che si erge, come un terzo occhio, dalla fronte degli esseri divinizzati. Sull’Akh, come scintilla di Luce emanata dal Sole o dall’Occhio divino, si veda il capitolo LXXVIII, 43-49 (cfr, ed. tedesca a cura di E. Hornung); M. Lurker, op. cit., p. 233; si veda anche Isha Schawaller de Lubicz, Her-Bak, Disciple de la sagesse égyptienne, ed. Flammarion, Paris 1956, p. 232-34. Come la Fenice, la Salamandra e la Pietra al Rosso degli Alchimisti, l’Akh rappresenta la condizione raggiunta dall’Illuminato, divenuto un essere igneo e splendente, manifestazione vivente del principio spirituale superiore: esso è l’Intelletto, la Luce divina incarnata, la «Lux obnubilata» degli Alchimisti, che finalmente si è liberata dalle tenebre della materia, ed ha assunto il suo Corpo di Fuoco.

il

I Testi delle Piramidi sono stati pubblicati da M.G. Maspero, Recueil de travaux relatifs à la philologie et à l’archéologie égyptiennes et assyriennes, vol. 4 (1882) e 14 (1892); vedi anche G. Maspero, Les inscriptions des Pyrarmides de Saggarah, Paris 1894. Altra pubblicazione a cura di M.K. Sethe, Die altàgyptischen Pyramidentexte nach den Papierabdriicken und Photographien des Berliner Museums, Leipzig, 19081912 e Ùbersetzung und Kommentar zu den altigyptischen Pyramidentexten I-VI. Gliickstadt/Hamburg 1936-1962. Edizioni più recenti sono state curate da R.O.

61

33

risalgono alla V Dinastia (ca. 2500 a.C.), il percorso che l’anima del Fara-

e che

one deve compiere per abbandonare la Terra (il suo «Orrore») e raggiungere il Cielo, è definito in modo ancora alquanto generico, ma già compare l’imdella Porta attraverso la quale il di simbolo divinizzato Aker, magine Sole entra nel Mondo Sotterraneo e ne esce‘, Nei successivi Testi dei Sarcofagi, derivati dalle formule dei Testi delle Piramidi, che compaiono nel Medio Regno scritti sui sarcofagi lignei di privati, la geografia dell’Oltretomba (definito «Occidente») e delle sue vie comincia a delinearsi in modo più articolato, e troviamo la sua identificazione con il corpo stellato della Dea Nut. Con i Libri dell’Amduat, ovvero di «Ciò che è nel Duat», dei quali si ha testimonianza a partire dalla XVIII Dinastia (ca.1500 a.C.), le vicende dell’Anima dopo la morte assumono una collocazione maggiormente definita in uno spazio ultraterreno (il Duat, ovvero lo «Spazio invisibile o nascosto») e viene delineata una precisa successione di ambienti e di fasi‘*. Il viaggio dell’Anima disincarnata è paragonato al viaggio notturno del Sole nel Mondo sotterraneo, Faulkner (The Ancient Egyptian Pyramid Texts, Translated into English. Oxford 1969) e da W. Kosack (Dre altàagyptischen Pyramidentexte, Berlin 2012). Alcuni passi dei Testi delle Piramidi sono riportati nel volume Testi religiosi egizi, a cura di S. Donadoni, ed. TEA, Milano 1988.

L'immagine di Aker presenta la sfera solare su una doppia collina, simbolo dell’Orizzonte, che viene anche rappresentato su due leoni che si volgono la schiena. Segnaliamo la somiglianza fonetica con l’Acheronte, il fiume infernale della tradizione greca. 63 I Testi dei Sarcofagi, sono stati pubblicati da M.P. Lacau, Textes religieux in Recueil de travaux... Vol. 26 (1904), n° II. Vol. 31 (1909), n° LXXII, Vol. 27 (1905), n° XIII. Altra edizione a cura di A. De Buck, The Egyptian Coffin Texts (7 voll.), Chicago 1935-61; vedi anche Textes des sarcophages égyptiens du Moyen Empire, a cura di P. Barguet, Paris 1986. 64 I Libri dell’Amduat sonostati tradotti e pubblicati a cura di E.A. Wallis Budge (The Book of Am-Tuat, Londra 1905); Traduzione tedesca Die Unterwelts-Biicher der Aegypter, a cura di E. Hornung, ed. Artemis 1992 (vedi anche Das Anmduat: die Schrift des verborgenen Raumes, a cura di E. Hornung, Wiesbaden 1963-1967); esiste anche una versione sintetica in Italiano, curata da B. de Rachewiltz: Il libro egizio degli inferi, ed. Atanor, Roma 1959. 62

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il paesaggio dell’Oltretomba ricorda quello della terra d’Egitto, dal momento che, come l’Egitto, anche il Regno invisibile è attraversato da un grande fiume, che scorre fra due «alte rive» da Occidente ad Oriente: su questo Fiume sotterraneo il dio Ra, dalla testa d’Ariete, simbolo del Sole notturno, naviga verso la sua quotidiana resurrezione su una Barca, accompagnato dal suo seguito. Ma l’Egitto era anche considerato il «Tempio del Mondo» e l’immagine del Cielo, come corda Ermete Trismegisto: «Forse ignori, o Asclepio, che l’Egitto è trasferiscono e discendono tutte l’immagine del Cielo, il luogo dove le operazioni delle forze che governano e agiscono nel Cielo?»°; pertanto, il Mondo Invisibile è insieme sotterraneo e celeste, e il suo Fiume è parte del Nun, l’Oceano primordiale, dalle cui acque tenebrose il Sole emerge all’alba, dopo aver ripercorso un processo analogo a della Creazione del Mondo (Tavola 3a). quello Questo percorso notturno del Sole, nel quale si riflette la vicenda dell’Anima disincarnata, è suddiviso in 12 Ore, in rapporto alle ore della notte, ed è raffigurato su tre registri orizzontali e paralleli, di cui quello centrale rappresenta il Fiume sotterraneo, mentre i due laterali ne sono le rive. Successivamente (a partire dal 1300 a.C.) appariranno anche altre versioni dello stesso Viaggio ultraterreno, intitolate Libri delle Porte o Libri delle Caverne, nelle quali viene conservata la suddivisione in 12 fasi, ponendo al termine di ogni Ora una Porta sorvegliata da Guardiani-Serpenti, o definendo le dodici tappe come dodici Caverne. Il Dio solare, passando attraverso le dodici zone del Mondo Invisibile, dissipa le tenebre e illumina i morti con la sua Luce, li risveglia con la sua voce, vivifica e nutre gli abitanti del Mondo sotterraneo, e infine rigenera e reintegra nelle loro funzioni le varie componenti dell’individuo, che grazie all’intervento del dio si libera dalle tenebre e dai legami che lo trattenevano (come le bende della mummia) e rinasce in forma di Keppbri, il divino Scarabeo, ovvero ottiene un nuovo corpo santificato e illuminato (A&h). Il viaggio sotterraneo della Barca solare nel Duat non è però privo di ostacoli e di pericoli. Nella IV e V Ora essa deve attraversare la regione di sabbia della Grotta di Sokar, il dio della Terra e dei Morti

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Ermete Trismegisto, Asclepio, 24 (trad. it. I Detti di Ermete Trismegisto, ed. TEA, Milano 1991, p. 152).

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66 Nel volume Die Unteriwelts-Biicher der Aegypter (ed. cit.) sono riportati sia un testo del Libro delle Porte, sia quello, sostanzialmente analogo, del Libro delle Caverne.

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IM =F7””—= scimentale al mito dell’Egitto»’’, la suggestione esercitata dalle favole pagane

dall’antico Egitto appare altrettanto evidente anche in un testo misterioso e affascinante, L’Hypnerotomachia Poliphili (Sogno del combattimento d’amore di Polifilo) pubblicata dallo stampatore veneziano Aldo Manuzio nel 1499, il nome del cui autore, Francesco Colonna, è celato in un acrostico formato dalla successione delle prime lettere di ogni capitolo. Il libro narra le avventure del protagonista, Polifilo, alla ricerca della sua amata Polia, in un mondo di sogno popolato da antiche divinità e creature mitologiche, disseminato di giardini, architetture e monumenti anticheggianti, emblemi, immagini simboliche e iscrizioni enigmatiche, che ripropongono l’idea della scrittura geroglifica degli antichi Egizi. Il volume è impreziosito da disegni di stile elegante e raffinato, ricavati da xilografie, in cui ciò che è descritto nel testo è reso visibile. Fra le numerose belle immagini dell’Hypnerotomachia, segnaliamo la raffigurazione di Pegaso, il mitico cavallo alato, un tema che sarà e

366 Si vedano le opere di Andrea Alciati (Emblematum liber, Augusta 1531), Paolo Giovio (Dialogo dell'Impresa, Roma 1555), Vincenzo Cartari (Delle immagini colla sposizione degli Dei degli antichi, Venezia 1556) e Cesare Ripa (Iconologia, Roma 1593). 367 Cfr. M. Calvesi, Il mito dell'Egitto nel Rinascimento, in Giunti 24, p. 32.

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-

Art Dossier n.

ripreso più volte nei giardini rinascimentali, quella del giardino della dea Venere, che appare ispirata ad una scena del Paesaggio Nilotico di Palestrina, e quella dell’elefantino che sorregge un obelisco, un’immagine alla quale si ispirerà nel 1667 il Bernini, per la sistemazione di un piccolo obelisco egizio nella piazza della Minerva a Roma. ALCHIMISTI E FILOSOFI ERMETICI Alla fine del XIV secolo, la ricerca alchemica presentava tre principali correnti’: la prima, derivata dalla Summa dello Pseudo-Geber, era basata sulla pratica di laboratorio ai fini della trasmutazione dei metalli; la seconda, definita “Alchimia dell’Elisir”, sviluppata nei testi attribuiti a Raimondo Lullo e ad Arnaldo da Villanova, mirava a produrre un agente di trasformazione in grado di perfezionare sia i metalli che la materia organica, grazie al quale sarebbe stato possibile ottenere la salute e prolungare la vita; una terza corrente, infine, basata sull’opera di Giovanni di Rupescissa’’, sviluppava le procedure di distillazione per estrarre la “Quinta Essenza” delle sostanze organiche e inorganiche a fini prevalentemente farmacologici. Nel corso del Quattrocento, grazie alla convinzione nell’efficacia dei procedimenti alchemici, vengono redatte numerose raccolte di scritti medievali o rielaborazioni delle opere di precedenti autori, realizzate con fini soprattutto pratici e divulgativi e verso gli inizi del secolo successivo, con la pubblicazione delle opere a stampa, anche la diffusione della letteratura alchemica avrà un ulteriore notevole incremento. Che l’interesse per l’Alchimia fosse particolarmente sentito nel Rinascimento non solo fra coloro che si proponevano dei fini pratici, ma anche fra gli umanisti, è attestato sia dalla presenza di opere alchemiche nelle biblioteche dei maggiori esponenti della cultura del tempo, come il 368 Sull’Alchimia rinascimentale vedi C. Crisciani, M. Pereira, W.D. Miiller-Jahncke, Il Rinascimento. L'alchimia (2001), in Enciclopedia Treccani Online. Si veda anche N. Lenglet du Fresnoy, Histoire de la Phliosophie Hermetique, Paris 1742, vol. I. 369 Giovanni da Rupescissa, o Jean de Roquetaillade è stato un alchimista francese del XIV secolo; frate francescano, fu incarcerato dal suo Ordine e più volte processato, riuscendo tuttavia a comporre, anche se imprigionato, diverse opere, alcune di carattere profetico e altre dedicate all’Alchimia, il Liber Lucis o De confectione veri lapidis philosophorum e il De quinta essentia (pubblicato a Basilea nel 1597); entrambi i testi sono riportati in Alchimia: i testi della tradizione occidentale, a cura di M. Pereira, ed. Mondadori, Milano 2006.

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e

il teologo Nicola Cusano, sia dai frequenti rifericardinale Bessarione menti alla pratica e al simbolismo alchemico che si possono riscontrare in numerose opere letterarie, poetiche e filosofiche. Oltre ai testi di carattere pratico e divulgativo, che ripropongono insegnamenti degli autori medievali, nel XV secolo non mancano opere originali e innovative come la Scala Philosophorum di Guido di Montanor’”°, il Liber duodecim portarum e la Cantilena dell’inglese George Ripley’! la Fontaine des amoureux de science del franceil se Jean de la Fontaine de Valenciennes’ Sogno Verde di Bernardo il Trevisano’”’, opere in cui l’esposizione dei misteri alchemici assume un aspetto poetico o viene proposta in forma di sogno o di visione, facendo ampio ricorso all’allegoria e ad immagini simboliche: si viene in tal modo a delineare una corrente Nazari, Della trasmutatione stilistica della letteratura alchemica, che avrà

gli

o

370 Guido di Montanor, alchimista francese vissuto verso gli inizi del XV secolo, seguendo Raimondo Lullo, descrive la successione delle operazioni alchemiche come dodici gradini di una simbolica Scala Philosophorum (il testo è riportato nella raccolta Bibliotheca chemica curiosa pubblicata da Manget nel 1702, tomo II, pp. 134 ss.; trad. it. in Alchimia, a cura di M. Pereira, cit. pp. 740 ss.). L'alchimista olandese B. Coenders van Helpen, ha pubblicato nel 1689 un’opera dallo stesso titolo (L’Escalier des Sages) scritta in forma di dialogo. i

George Ripley, alchimista inglese del XV secolo, nel Liber duodecim portarum, segue gli insegnamenti di Lullo e fa corrispondere le sue dodici porte ai gradini della Scala di Montanor (l’Opera Omnia di Ripley è stata pubblicata a Cassel nel 1649). A Ripley sono anche attribuiti i cosiddetti Ripey Scrolls, dei lunghi rotoli di pergamena scritti in versi in inglese e riccamente illustrati con le tipiche immagini della simbologia alchemica (cfr. D. Beuther, Universal und Particularia... Hamburg, 1718). 372 Jean de la Fontaine de Valenciennes, un alchimista francese nato verso il 1380, ha composto la sua Fontaine des amoureux de science verso il 1413; l’opera è stata pubblicata a Lione nel 1547 (cfr. J. Ferguson, Bibliotheca Chemica, Glasgow 1906, 371

vol. I, p. 433). 373 Secondo quanto riferisce egli stesso, Bernardo, conte della Marca Trevisana, autore di diversi scritti alchemici, è nato a Padova nel 1406 e si è interessato fin da giovanissimo all’Alchimia, riuscendo però ad ottenere solo in tarda età la Pietra Filosofale (cfr. De Chemia, opus bistoricum et dogmaticum, Strasburgo 1567; Ferguson, op. cit. vol. I pp. 100 ss.). Il testo del Sogno verde, a lui attribuito, è stato pubblicato nella raccolta Bibliothèque des philosophes chimiques, a cura di Jean Maugin de Richenbourg, Parigi 1740-54, vol. II, pp. 437 ss.

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ampio seguito, come nell’opera composta, verso la fine del XVI secolo, dall’alchimista bresciano Giovan Battista Nazari, in cui la trasmutazione è esposta in tre “Sogni”, e in cui l’iniziazione alchemica si trasforma in un viaggio visionario e fantastico verso la rivelazione

spirituale’,

Sempre nel XV secolo, vanno citati due preziosi manoscritti miniati: ’Aurora Consurgens’”” (Tavola 8b) e il Libro della Santissima Trinità”"°, in cui viene proposta l’assimilazione fra la figura di Cristo e la Pietra Filosofale, evidenziando l’azione salvifica di quest’ultima, per cui l’Alchimia, pur non escludendo i suoi fini materiali, assume soprattutto il carattere di una via di realizzazione spirituale; entrambi i testi sono corredati da immagini di ispirazione alchemico-religiosa, che costituiscono alcune fra le prime testimonianze dell’iconografia alchemica, che verrà ulteriormente sviluppata in altre opere manodi Georges Aurach, scritte come il Donau in cui le fasi dell’Opera sono descritte in dodici immagini simboliche

Dei

374 G.B. Nazari, Della trasmutatione metallica sogni tre, Brescia 1599. Cfr. Lenglet du Fresnoy, op. cit. pp. 313 ss.; l’impostazione onirica e misteriosa del testo è ribadita, come avverrà spesso nelle opere alchemiche, dalla presenza di immagini fantasiose ed enigmatiche. 375 Opera attribuita a San Tommaso d’Aquino e pervenuta in diverse versioni di un manoscritto miniato del XV secolo (vedi MS. Rhenoviensis 172 della Biblioteca Centrale di Zurigo); il testo è illustrato con 38 belle miniature, fra le quali compaiono le immagini del Rebis o Ermafrodito e di una Virgo Paritura nera e alata; testo pubblicato e commentato a cura di M.L. von Franz, Aurora Consurgens. Ein dem Thomas von Aquin zugeschricbenes Dokument der alchemistischen Gegensatzproblematile (1957), ed. Walter, Diisseldorf 1995; trad. it. Tommaso d’Aquino, Aurora Consurgens, a cura di P. de Leo, ed. Kemi 2002; testo riportato in Alchimia, a cura di M. Pereira, cit. pp. 525 ss. 376 Il Libro della Santissima Trinità è stato redatto agli inizi del XV secolo da un certo Frater Ulmannus, un frate francescano tedesco; del manoscritto, oltre al prototipo, conservato a Berlino, sono pervenute diverse copie; alcune delle immagini che corredano il testo e che mostrano scene relative alla Passione e alla Resurrezione di Cristo, sono state riprodotte nel Rosarium Philosophorum (Francoforte 1550); cfr. Uwe Junker, Das Buch der Heiligen Dreifaltigkeit in seiner zweiten, alchemistischen Fassung (Kadolzburg 1433), Colonia 1986.

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visibili all’interno di altrettante ampolle’”’, o come lo Splendor Solis”"® (Tavola 8c), giustamente considerato il più bel trattato d’Alchimia grazie alle sue illustrazioni di raffinata fattura, in cui, accanto a immagini come quella del “Filosofo” o del “Ludus Puerorum”, viene anche riproposta una serie di vasi ispirati alle ampolle del Donzunm Dei. Con la diffusione delle pubblicazioni a stampa, l’iconografia alchemica avrà la sua definitiva affermazione e numerose saranno le opere corredate da tavole in cui, accanto alle personificazioni dei “protagonisti” dell’Opera, il Mercurio dei Filosofi, il Re e la Regina e i vari “Pianeti”, si avvicenderanno gli animali simbolici del Bestiario alchemico, il Drago, l’Ouroboros, il Leone Verde e quello Rosso, il Corvo, le Aquile e le Colombe, e saranno visualizzate in vari modi diverse fasi operative e i loro risultati, il Rebis, l’Uovo Filosofico, il Lapis, ecc.; faranno la loro apparizione anche scene di ispirazione mitologica, diagrammi e immagini riferite alla Cabala, il tutto in un insieme suggestivo e fantasioso, volto a suscitare la curiosità dell’osservatore e spingerlo a penetrare in un mondo fatto di simboli, di metafore e di enigmi e a decodificarne i segreti’”?. L’immaginario alchemico non si è però espresso solo nelle illustrazioni dei testi specificamente dedicati all’Alchimia, ma ha anche spesso influenzato, in modo più o meno evidente, la realizzazione di opere artistiche di diverso genere. Fulcanelli, nel Mistero delle Cattedrali, ci ha fornito una magistrale interpretazione in chiave alchemica della decorazione scultorea delle cattedrali gotiche, ma è senz’altro nel Rinascimento che possiamo trovare le testimonianze più esplicite, a cominciare dalle Dimore Filosofali segnalate dallo stesso Fulcanelli, come Palazzo Lallemant a Bourges o il Castello di Dampierre-sur-Bouton-

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377 Georges Aurach de Argentina, Don Dei (esistono numerose versioni manoscritte in diverse lingue, la più antica delle quali è probabilmente un codice del 1475 conservato alla British Library, MS. Harley 6453): il testo pubblicato a cura di A.M. Partani, Preziosissimo Dono di Dio di Georges Aurach, ed. Mediterranee, Roma 2013. 378 Manoscritto illustrato del XVI secolo, il cui esemplare più antico risale al 1532 (Staatliche Museen zu Berlin) e di cui esistono una ventina di copie (fra cui il Ms. Harley 3469 della British Library). 379 Sull’iconografia alchemica, è fondamentale il bel libro di J. Van Lennep, Alchimie, Bruxelles 1984, pubblicato in occasione dell’esposizione Alchemie, realizzata per iniziativa del Crédit Communal de Belgique. Fra i numerosi testi alchemici illustrati ci limitiamo a citare il Rosarium Philosophorum (1550), le edizioni a stampa dello Splendor Solis o Toison d’Or e le opere del misterioso monaco benedettino Basilio Valentino, che cominciarono ad essere pubblicate agli inizi del XVII secolo, ma che venivano fatte risalire al XV secolo.

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In Italia non sono pochi gli artisti che hanno nutrito un particolare interesse per l’Alchimia e l’hanno rivelato in alcune loro opere, come nel caso del Beccafumi o del Parmigianino, ma ancor più evidente è il caso di alcuni importanti committenti, anch’essi interessati alla Tradizione Ermetica e all’Alchimia, che hanno fatto eseguire da artisti di loro fiducia dei veri e propri “Luoghi della Memoria” ricchi di riferimenti alle scienze segrete e, in particolare, alla Grande Opera, come lo Studiolo di Cosimo I de’ Medici, Granduca di Firenze’®!, L’interesse suscitato dall’Achimia nell’ambiente umanistico è testimoniato da Marsilio Ficino che, ispirandosi ad Arnaldo da Villanova e Raimondo Lullo, nonché al Picatrix, sosteneva che i metalli sono animati da uno “Spiritus” e che questo, quando viene separato dalla materia e poi ricongiunto ai metalli, li può vivificare e trasformare e che dall’oro si può ricavare un Elisir, o Oro potabile, che ha il potere di assicurare la salute e la longevità’. Anche se Ficino fa riferimento all’Alchimia solo in modo marginale, la sua opera ha comunque favorito un avvicinamento dell’Alchimia alla Tradizione Ermetica: anche realizza se nella sua visione del filosofo-sacerdote - la cui elevazione all’uso di chiave in formule, grazie “magica”, immagini e soprattutto talismani - il laboratorio alchemico non appare necessario, tuttavia, carattere “filosofico” e le istanze misticheggianti di buona parte delle opere alchemiche trovano una legittima collocazione nell’ambito della visione ermetica, e numerosi autori di opere alchemiche si considereranno, d’ora in avanti, figli e discepoli di Hermes, adepti della “Filosofia Ermetica”. In questo quadro culturale si pone la figura di Ludovico Lazzarelpoeta e filosofo, seguace di Marsilio Ficino e dell’Ermetismo e

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380 Fulcanelli, Mistero delle Cattedrali (1926), trad. it. cit.; Les Demeures philosophales (1929), trad. it. Le Dimore filosofali, ed. Mediterranee, Roma 1973. 381 Sui riferimenti alchemici nelle opere d’arte, cfr. van Lennep, op. cit. pp. 153 ss. e 296 ss.; Arte e Alchimia, in Giunti-Art Dossier; sullo Studiolo di Cosimo I de’ Medici, vedi G. Lensi Orlandi, Cosimo e Francesco de’ Medici Alchimisti, ed. Nardini, Firenze 1978. 382 Marsilio Ficino, De vita, II1, 3. Nella raccolta di testi alchemici curata da J.J. Manget (Bibliotheca chemica curiosa, Colonia 1702, vol. II, pp. 172 ss.) è stato pubblicato anche un testo di Ficino dedicato specificamente all’Alchimia, intitolato Liber de Arte Chemica. Cfr. Il Rinascimento. L’alchimia (2001), cit. 383 Ludovico Lazzarelli (1450-1500), nato a San Severino Marche, poeta e filosofo, verso il 1471 compose un poema mito-astrologico intitolato De gentilium deorum imaginibus, che fu dedicato prima a Borso d'Este e quindi a Federico da Montefel-

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iniziato all’Alchimia da Giovanni Mercurio da Correggio, una strana figura di profeta, mago e alchimista®®‘: Lazzarelli delinea una linea di trasmissione iniziatica che da Giovanni Mercurio e dal suo maestro, l’alchimista borgognone Rigaud de Branchiis, risale a Raimondo Lullo e Arnaldo da Villanova, oltre che ad un Magistrus Petrus’, In una delle prefazioni di un codice contenente la traduzione dei testi ermetici e dedicato a Giovanni Mercurio, Lazzarelli afferma la maggiore antichità di Ermete Trismegisto rispetto a Mosè, contrariamente a quanto sostenuto dal Ficino, e presenta la propria conversione dalla poesia agli studi ermetici come una vera e propria rigenerazione’®, Appassionatosi all’Alchimia, Lazzarelli compilò una miscellanea di testi alchemici?*®7? composta, in particolare, da testi attribuiti a Lullo; tro; ebbe contatti con Giovanni Pontano e la corte aragonese e fra il 1492 e il 1494 compose il dialogo di ispirazione ermetica De sunma hominis dignitate dialogus qui inscribitur Crater Hermetis, in cui compaiono, come suoi interlocutori, il re Ferdinando d’Aragona e Giovanni Pontano. Sulla vita di Ludovico Lazzarelli si veda la sua biografia scritta dal fratello Filippo: Vita Lodovici Lazzarelli Septempedani poetae laureati per Philippum fratrem ad Angelum Colotium. Padova 1629; sui suoi scritti ermetici si veda: Ludovico Lazzarelli, Opere ermetiche, a cura di C. Moreschini, M.P. Saci, F. Troncarelli, ed. F. Serra, Pisa-Roma, 2009. 384 Giovanni da Correggio, nato nel 1451, assunse il nome di Mercurio in omaggio alla sapienza ermetica; nella Domenica delle Palme del 1484, fece uno spettacolare ingresso a Roma, vestito di nero, con una corona di spine e cavalcando un cavallo nero, proponendosi come profeta e come una specie di nuovo Messia. Lazzarelli, che lo conobbe verso il 1481, ha descritto questo episodio nella sua Epistola Enoch de admiranda ac portendenti apparitione novi atque divini prophetae ad omne humanum genus (pubblicata forse a Milano verso il 1490). A Giovanni Mercurio è attribuito un trattatello alchemico dal titolo De quercu Julii Pontificis sive de lapide philosophico, dedicato a Giulio II e contenente brani tratti dalle opere di Lullo, Arnaldo da Villanova, Marsilio Ficino e dalla Tavola di Smeraldo. Lazzarelli si riferisce verosimilmente a Pietro Bono, medico e alchimista, vis385 suto di Ferrara nel XIV secolo e ritenuto l’autore della Pretiosa Margarita Novella, un’opera alchemica pubblicata da Aldo Manuzio a Venezia nel 1546 e una cui copia manoscritta (ms. lat. 299, Biblioteca Estense di Modena) riporta alcuni versi con cui Lazzarelli dedica l’opera ad un dominum Joannem preceptorem meum, forse Giovanni Mercurio o Giovanni Rigaud. 386 Il codice contenente le traduzioni ficiniane del Corpus Hermeticum (ms. Il. D. 4 della Biblioteca Comunale degli Ardenti d Viterbo), è stato dedicato a Giovanni Mercurio dal Lazzarelli, che in una delle sue tre prefazioni rivolge a lui come al suo

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maestro.

387 Ms. 984 della Biblioteca Riccardiana di Firenze. Cfr. Il Rinascimento. L’alchimia cit. In questa raccolta Lazzarelli inserisce anche la ricetta di un Arcanum Elixiris, ottenuto dal suo maestro Giovanni Rigaud de Branchiis a Siena nel 1494.

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per questa raccolta compose i distici elegiaci di apertura e un prologo in cui si afferma che Ermete Trismegisto è stato il “pater” dei teologi, dei maghi e degli alchimisti e che nella sua Tavola di Smeraldo sono sintetizzati tutti gli “Arcana” riportati all’inizio del Picatrix, accostato al Secretum Secretorum?®®, tali Arcana sono alla base della magia, che viene distinta in tre forme: naturale, ovvero l’Alchimia; celeste, ovvero la magia astrale e delle immagini; sacerdotale e divina, collegata alle Sacre Scritture e alla figura di Cristo. Lazzarelli assimila quindi la via salvifica della religione cristiana al’Opera alchemica, paragonandola alla Passione e alla Resurrezione di Cristo, come già era stato delineato nell’Aurora Consurgens e nel Libro della Santissima Trinità. Tuttavia, l’Opera, che ha il duplice scopo di trasmutare i metalli, ma soprattutto di assicurare la salute e la longevità, viene presentata come un effettivo processo materiale e non come l’allegoria di un percorso spirituale, anche se appare evidente l’intento di conferire nuova dignità alla pratica alchemica, inserendola nel quadro della Filosofia Ermetica. Un altro umanista che contribuì a delineare il carattere dell’Alchimia rinascimentale è stato il poeta Giovanni Aurelio Augurello’®° che, oltre a conferire un aspetto poetico alle sue composizioni di ispirazione alchemica, fece ampio ricorso alla mitologia, nella convinzione che le antiche “favole” andassero interpretate come velate allusioni all’Opera alchemica, inaugurando il filone mito-ermetico della letteratura alchemica al quale aderiranno, nei due secoli successivi, autori come Michael Maier e Dom Pernety. Concludiamo queste note sull’Alchimia rinascimentale ricordando l’azione di Paracelso che impresse alla pratica alchemica una svolta fondamentale, applicandone i metodi alla ricerca farmacologica e utilizzando, in particolare, i procedimenti spagirici basati sulla distilla-

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388 Il Secretum Secretorum un’opera di incerta datazione, attribuita ad Aristotele e redatta in forma lettera indirizzata dal filosofo al suo allievo Alessandro, cui sono contenuti insegnamenti relativi alle scienze segrete (Alchimia, Astrologia, Fisiognomica) ma anche carattere medico e politico. Il testo originale, redatto in arabo fra il IX e il X secolo (forse ricavato da un originale in greco), è stato tradotto in latino nel XII secolo ed ha avuto ampia diffusione in due versioni, una lunga e una abbreviata; l’opera è stata inoltre commentata da Ruggiero Bacone (1280) e da Alberto Magno e tali commentari sonostati inseriti in diverse raccolte di testi alchemici.

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Giovanni Aurelio Augurello, nato a Rimini intorno al 1456, è autore di un poema didattico di ispirazione alchemica, la Chrysopoeia, dedicato a papa Leone X (stampato a Venezia nel 1515); il testo del Vellus aureum è stato pubblicato, insieme a quello della Chrysopoeia, nel 1590 ed è riportato in Alchimia a cura di M. Pereira, ed. cit. pp. 822 ss. 389

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PIULIPPST TATSPHNAZIVS TARACPFISVSE zi di sostanze vege tali oltre che zione minerali; le sue concezioni alchemiche si basavano sulla teoria dei Tre Principi(Zolfo, Mercurio e Sale) contenuti nei quattro Elementi ed erano volte ad estrarre gli “spiriti volatili” dei vari composti mediante ripetute distillazioni al fine di ottenerne la Quintessenza; convinto assertore della corrispondenza fra smo e Macrocosmo, Paracelso riteneva che gli astri imprimessero una particolare “signatura” nelle piante, nei minerali e negli esseri animati e che grazie al riconoscimento di tali signature, il medico potesse scoprire i rimedi necessari a curare le diverse malattie utilizzando le sostanze idonee: nella sua opera intitolata Paragranum (1530) affermava pertanto che la vera medicina si fonda su “quattro pilastri”: l’Astronomia, la Filosofia, l’ Alchimia e la virtù personale del medico, ribadendo in tal modo la concezione unitaria del sapere caratteristica dell’età i

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LA CABALA CRISTIANA

Numerosi umanisti, influenzati da Pico della Mirandola, divennero dei sostenitori dell’importanza di studiare la tradizione ebraica e, in particolare, la Cabala, convinti che da tali studi la fede cristiana potesse essere confermata e rafforzata. Il primo ad aderire a questa corrente di pensiero fu l’umanista tedesco Johannes Reuchlin’!, che conobbe Pico della Mirandola a Firenze nel 1482 e che precedentemente era stato, come Pico, allievo di Flavio Mitridate; fra il 1505 e il 1510, Reuchlin fu protagonista di una controversia con Johannes Pfefferkorn, un ebreo convertito che, su sollecitazione dei Domenicani, aveva 390 Philipp Theophrast Bombast von Hohenheim, detto Paracelso (1493-1541), fu allievo dell’abate Giovanni Tritemio, interessato alle scienze occulte, autore di un enigmatico testo esoterico intitolato Steganograpbhia; secondo quanto viene affermato nel titolo dell’Auresum Vellus (1598) ebbe anche come precettore l’alchimista Salomon Trismosin. La prima edizione completa delle sue opere è stata pubblicata tra il 1589 e il 1591 a Basilea a cura del medico Johannes Huser. 391 Johannes Reuchlin, nato a Pforzheim nel 1455, dopo aver compiuto i suoi studi nelle università di Friburgo, Parigi e Basilea, venne in Italia una prima volta nel 1482 e poi nel 1490 ed entrò in contatto con l’ambiente neoplatonico fiorentino, diventando un seguace delle visioni cabalistiche di Pico della Mirandola.

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scritto dei libelli antigiudaici e si era fatto promotore, presso l’imperatore PuORCaNSIS RANE LL DOG. Massimiliano I, di un’iniziativa volta DEARTE CABALISTICA a sequestrare e bruciare i testi ebraiLIBRI TRES LEONI . . “ER” DICATI. ci: Reuchlin si oppose a tale iniziativa, proponendo invece all’imperatore di istituire due cattedre di ebraico in ogni università tedesca’. Fu anche primo autore non ebreo a scrivere un importante trattato sulla Cabala, intitolato De Arte Cabalistica e dedicato a Papa Leone X*, in cui evidenziava le concordanze della fede cristiana con la Cabala e con le altre antiche tradizioni come quelle pitagorica e platonica. Anche Paolo Ricci, ebreo consi vertitosi al iiianesiono, contribuì a diffondere le concezioni della Cabala cristiana in Germania, cercando di conciliare gli insegnamenti cristiani con quelli della Cabala e del Talmud e pubblicando testi di ispirazione neoplatonica e cabalistica, come il De Porta Lucis, libera versione di un’opera del cabalista spagnolo Joseph Gikatilla, e il De Coelesti Agricoltura. In Italia, la Cabala cristiana ebbe, fra i suoi primi sostenitori, il teologo e filosofo francescano Francesco Zorzi da Venezia, autore del De Harmonia Mundi, un testo che riscosse grande interesse e in cui si sostiene che nell’architettura universale del cosmo e nella pluralità de-

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392 Nel 1511 Reuchlin sostenne la sua difesa dei testi ebraici in un libello intitolato Augenspiegel, mentre in un altro testo anonimo (Epistolae obscurorum virorunm) erano messi alla berlina i suoi avversari domenicani; l’inquisitore di Colonia, Jakob De Hoogstraten, ordinò di bruciare come eretici i libri di Reuchlin; questi si appellò tuttavia al Papa e la disputa proseguì, dividendo intellettuali dell’epoca in due campi avversi.

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393 Iohannes Reuchlin, De Arte Cabalistica, Hagenau 1517; ed. it. L'arte cabbalistica, a cura di G. Busi e S. Campanini, Opus Libri, Firenze 1996. Oltre a due trattati sulla lingua ebraica, Reuchlin aveva scritto nel 1494 un altro testo cabalistico, il De Verbo Mirifico, sul Tetragramma sacro YHWH (pubblicato in un'edizione del De Arte Cabalistica stampata a Basilea nel 1561).

Paolo Ricci, convertitosi nel 1505, fu insegnante di Filosofia a Pavia e medico personale dell’imperatore Massimiliano I; studioso dell’Astrologia e della Cabala, tradusse alcuni libri del Ta/mud; il De porta lucis fu pubblicato ad Augsburg nel 1516 e il De caelesti agricultura sempre ad Augsburg nel 1541 e a Basilea nel 1597. 394

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animati e inanimati, si riflette l’ordine assoluto, geometrico, matematico e musicale del Creatore’; Zorzi, la cui dottrina mistica dell’Universo esercitò una notevole influenza, applicò le sue concezioni relative all’armonia cosmica ed alla numerologia cabalistica nella costruzione della chiesa della Madonna dei Miracoli a Motta di Livenza e fornì a Jacopo Sansovino le indicazioni per la realizzazione della chiesa di San Francesco della Vigna a Venezia, in modo che fosse simile alla «Grande Macchina» dell’Universo. Allievo dello Zorzi fu il suo confratello Arcangelo da Borgonovo, da lui iniziato ai misteri della Cabala e autore di un’Apologia in difesa della dottrina cabalistica e delle posizioni di Pico della Mirandola’. Parimenti francescano fu Pietro Colonna, detto il Galatino, che ebbe una notevole fama come teologo, filosofo ed esegeta e fu molto stimato sia dai Papi Leone X e Paolo III, sia da regnanti come l’imperatore Massimiliano I, Carlo V, Ferdinando il Cattolico ed Enrico VIII per la sua erudizione e la sua conoscenza delle lingue: infatti, oltre al greco e al latino, aveva studiato l’ebraico e anche l’etiopico. Iniziato ai segreti della Cabala dal grammatico ebreo Elia Levita®”, si inserì nella disputa sull’uso dei testi ebraici, scrivendo un’opera intitolata De arcanis catholicae veritatis, in cui sosteneva le posizioni di Reuchlin gli esseri

Francesco Zorzi, nato a Venezia verso il 1460, entrato nell’Ordine francescano, dedicò allo studio della Cabala e insegnò esegesi biblica nelle scuole dell’Ordine; De harmonia mundi totius cantica tria fu pubblicato a Venezia nel 1525 e ad esso fece seguito, nel 1536, un altro testo, intitolato In Scripturam sacram Problemata, in cui, facendo ampio riferimento allo Zobar, sono esaminati numerosi problemi di esegesi biblica. 395

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396 Arcangelo da Borgonovo, Apologia pro defensione doctrinae Cabalae contra R. D. Petrum Garziam, episcopum Ussellensem, Mirandulam impugnantem, sed minime laedentem, Bologna 1564 (altra edizione Basilea 1600). Frate Arcangelo, partendo da posizioni neoplatoniche, scrisse diversi altri testi sulla Cabala, fra cui lo Specchio di salute o Dechiaratione sopra il nome di Giesu secondo gli Hebrei Cabalisti, Greci, Caldei, Persi et Latini, pubblicato a Ferrara nel 1557, e il Cabalistarum selectiora obscurioraque dogmata a loanne Pico ex eorum commentationibus prident excerpta et ab Archangelo Burgonovensi Minoritano nunc primum luculentissimis interpretationibus illustrata, pubblicato postumo a Venezia nel 1569 e di nuovo a Basilea nel 1587, nel volume Artis cabalisticae, hoc est reconditae philosophiae et theologiae Scriptorum tomus I.

397 Erudito e grammatico ebreo tedesco, si trasferì in Italia probabilmente dopo il 1486, vivendo a Padova e a Venezia. Verso il 1509 a Padova la sua casa fu saccheggiata e i suoi libri distrutti; trasferitosi quindi a Roma, fu ospitato e protetto dal cardinale Egidio da Viterbo e nel 1518 pubblicò una Grammatica ebraica (Sefer ha-Bachur) dedicandola al cardinale. Fu in contatto con Reuchlin e sembra sia stato il primo erudito ebreo (non convertito) ad insegnare la lingua ebraica nell’ambiente umanistico.

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tali

libri non erano (col quale era in corrispondenza), affermando che avversi alla fede cristiana, ma fornivano piuttosto argomenti per confermarne la validità?5. Oltre ai Francescani che abbiamo citato, anche un Domenicano, Agostino Giustiniani, dette un notevole contributo allo studio della tradizione ebraica, insegnando ebraico all’Università di Parigi e dedicandosi alla stesura di un’edizione poliglotta della Bibbia’ accompagnata da un commento ricco di citazioni rabbiniche e cabalistiche, attingendo, in particolar modo dallo Zobar. Si era profilata infatti l’esigenza di studiare le scritture non solo in base alla tradizionale versione della Vulgata, ma approfondendo l’esame letterale del testo e affrontando un’attenta analisi delle parole, delle loro traduzioni e dei loro significati: ed a ciò doveva aver contribuito non poco la conoscenza della Cabala e dei suoi sistemi interpretativi delle Sacre Scritture. Citiamo infine il cardinale Egidio da Viterbo‘: Agostiniano, uomo di profonda cultura umanistica, appassionato sostenitore della filoso398 Nato a Galatina nel 1460, completò i suoi studi a Roma, dove insegnò teologia ed esegesi biblica; su invito del papa Leone X, scrisse il De arcanis catholicae veritatis, che fu pubblicato ad Ortona nel 1518 ed ebbe diverse altre edizioni successive, in alcune delle quali (Francoforte 1603, 1612, 1676) il testo compare insieme al De arte cabalistica di Reuchlin. Scrisse anche un’opera sulla pronuncia del nome ebraico di Dio, intitolata Expositio dulcissimi nominis Tetragrammaton (1507) e dei trattati sul destino della chiesa basati sull’interpretazione di profezie bibliche e medievali (De Ecclesia destituta, De Ecclesia restituta, Vaticinii Romani explicatio). 399 Della sua Bibbia poliglotta, il Giustiniani pubblicò solo la parte realativa ai Salmi (Psalterium Hebraeum, Graecum, Arabicum et Chaldeum, cum tribus Latinis interpretationibus et glossis, Genova 1516): il testo è disposto in otto colonne parallele (da qui il nome di Octaplum), con l’originale ebraico, la sua traduzione letterale in latino la versione della Vulgata, il testo greco (che corrisponde a quello dei Settanta), quello arabo, Targum aramaico, la traduzione latina di quest’ultimo e, infine, i commenti. 400 Egidio Antonini, nato a Viterbo nel 1469 ed entrato ben presto nell’Ordine Agostiniano, compì i suoi studi a Padova, sviluppando una netta avversione nei confronti della filosofia aristotelica, mentre in seguito si dedicò con passione allo studio di Platone. Conseguito il suo Magisterium in Teologia a Roma, sostenendo delle tesi platoniche, predicò alla presenza di Alessandro VI; fra il 1498 e il 1501 soggiornò diverso tempo a Napoli; richiamato dal Papa, si ritirò poi presso la Congregazione degli Osservanti di Lecceto, nei dintorni di Siena e, successivamente, nell’Isola Martana del Lago di Bolsena e nelle selve dei Monti Cimini. Di nuovo a Napoli, nel 1507 fu eletto Gran Priore dell’Ordine Agostiniano, carica che detenne per dieci anni, impegnandosi in un’opera di riforma dell’Ordine, finché, nel 1517, Leone X lo nominò Cardinale e, nel 1523, Clemente VII lo fece Vescovo della nativa Viterbo. Pur impegnandosi con energia nelle sue responsabilità di uomo di Chiesa e in frequenti missioni diplomatiche e malgrado le turbolente vicende del tempo, Egidio si dedicò sempre assidua-

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platonica e fiero avversario dell’Aristotelismo, ebbe modo di conoscere sia Pico della Mirandola che Marsilio Ficino, da lui considerato un «nuovo Socrate». Come loro, sostenne in più occasioni il concetto della centralità e della superiore dignità dell’uomo, mettendola in rapporto con l’incarnazione di Cristo, in virtù del cui amore l’uomo può superare le sue tendenze egoistiche ed elevarsi a un mondo superiore e può diventare Dio in quanto Dio stesso è diventato uomo. Durante un suo lungo soggiorno a Napoli, si fece apprezzare come brillante predicatore e strinse stretti rapporti con gli Umanisti napoletani, entrando a far parte dell’Accademia del Pontano‘; ebbe modo di visitare i luoghi della tradizione classica partenopea, i Campi Flegrei e l’Antro della Sibilla, e rimase affascinato dalla figura di Virgilio, che gli apparve il maggiore interprete latino delle visioni platoniche, ritenendo che nella sua opera i valori delle antiche tradizioni avessero trovato una sublime espressione poetica e vedendovi una prefigurazione del Cristianesimo. Questa concezione venne riproposta da Egidio in un testo (incompiuto) intitolato Sententiae ad mentem Platonis!®, in cui, ribadendo l’idea di un accordo e di una continuità tra Cristianesimo e filosofia platonica, sottolinea l’esigenza di una “Sapienza” ben più valida della filosofia “umana”, per lui rappresentata dall’Aristotelismo, che abbia il carattere di una Teologia “poetica” in cui confluiscano, insieme al Platonismo e all’Ermetismo, anche i temi mitici e poetici cantati da Omero e da Virgilio. Nell’ultimo periodo della sua vita, Egidio si dedicò in modo sistematico allo studio delle dottrine ebraiche e cabalistiche, un interesse che aveva coltivato fin da giovane, quando aveva intrapreso lo studio della lingua e delle dottrine ebraiche, probabilmente con l’aiuto del suo confratello Felice del Prato, un ebreo convertito; era del resto rinomato per le sue conoscenze linguistiche: infatti, oltre al greco e al fia

mente ai suoi studi e ai suoi scritti, fino alla morte, sopravvenuta a Roma nel 1532. 401 Jacopo Sannazaro trasse la prima ispirazione a comporre il poema De partu Virginis (1526) dall’ascolto di una predica di Egidio, mentre il Pontano ne fece il protagonista di un dialogo che intitolò in suo onore Aegidius (1501) e nella cui prima parte è riportato un suo sermone, esempio della rinascita dell’eloquenza classica nella cultura cristiana. Cfr. F. Fiorentino, Egidio da Viterbo ed i Pontaniani di Napoli, in Arch. Stor. per le Prov. Nap., IX (1884), pp. 430-452. 402 L’opera, rimasta incompleta e inedita, era costituita da un commento alle prime diciassette distinzioni del primo libro delle Sententiae scritto nel XII secolo del teologo Pietro Lombardo. Cfr. E. Massa, I fondamenti metafisici della dignitas hominis e testi inediti di Egidio da Viterbo, Torino 1954.

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latino, conosceva l’ebraico, l’aramaico, l’arabo e il siriaco. Per quanto riguarda il suo interesse per la tradizione ebraica, sappiamo che nel 1504 possedeva ed aveva fatto trascrivere una copia del Targum di Gerusalemme*”®, e che nel 1514 aveva chiesto al confratello Gabriele della Volta di procurargli dei manoscritti ebraici e, in particolare, una copia completa dello Zobar, testo che già possedeva, ma in una redazione incompleta. Nel 1516, quando fu chiamato a fare parte della commissione di teologi e prelati convocata per esaminare le posizioni di Reuchlin, si espresse a favore di quest’ultimo, col quale intrattenne una corrispondenza, mostrando di apprezzare molto la sua opera. Nello stesso periodo ospitò Elia Levita, fuggito da Padova e trasferitosi a Roma, grazie al quale poté approfondire la conoscenza della lingua e delle tradizioni ebraiche ed al quale commissionò diversi lavori di traduzione e trascrizione, oltre alla composizione di testi sulla grammatica e l’ortografia ebraiche. Si dedicò quindi con passione allo studio della Cabala, che considerava una via privilegiata per penetrare i misteri della divinità, come mostra in due opere composte in quegli anni: la prima, intitolata Libellus de litteris sanctis, completata nel 1517 e dedicata al futuro Clemente VII, è un breve saggio introduttivo allo studio della Cabala e tratta del significato segreto delle lettere dell’alfabeto ebraico. La seconda opera è intitolata Shekinabh, in riferimento alla «Presenza di Dio» che si manifesta in Malkuth, la decima e ultima Sephira; è parimenti dedicata a Clemente VII, ma è rivolta all’imperatore Carlo V con l’intento di svelagli i segreti della Cabala ed esortarlo ad assumere il suo ruolo di guida nella riforma della Chiesa e nella lotta contro i Turchi; il testo è diviso in tre parti: le prime due trattano del significato delle lettere e dei numeri, mentre la terza sviluppa il tema dei Nomi Dio, trattandolo in modo ampio e complesso, facendo uso di analogie, riferimenti simbolici e metafore, con l’intento di unificare diverse dottrine in un’unica forma di “dialettica divina” in grado di comprendere, pur nella sua complessità, il senso della manifestazione del divino nella realtà e nelle vicende umane**.

di

si

intende una traduzione della Bibbia in Aramaico: la copia di Per Targum Egidio da Viterbo, contenente i cinque Libri della Torah o Pentateuco, fu donata nel 1602 al Collegio dei Neofiti (per cui ha assunto il nome di Targum dei Neofiti) ed è stata ritrovata nel 1949 nella Biblioteca Vaticana.

403

404 I due testi sono stati pubblicati a cura di F. Secret in Egidio da Viterbo, Scechina e Libellus de litteris Hebraicis, Roma 1959, Oltre a questi due testi, Egidio curò la traduzione e i commenti allo Zébar: cfr. F. Secret, Le Zébar chez les kabbalistes chrétiens

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è potuto notare, l’interesse per la Cabala e gli studi ebraici si fra religiosi che condividevano particolarmente vivo

Come

i fu soprattutto le concezioni umanistiche relative alla convergenza delle varie visioni teologiche e filosofiche e che cercavano nelle tradizioni ebraiche le radici della dottrina cristiana; essi mettevano inoltre in evidenza la necessità di non fermarsi alla consueta traduzione ufficiale dei testi sacri, ma di effettuarne un’analisi attenta, sia dal punto di vista letterale e numerico, sia da quello dell’esegesi simbolica ed allegorica, utilizzando i sistemi interpretativi propri della Cabala. A questa Cabala cristianizzata e colta, si è contrapposta la diffusione di scritti di magia pratica ed evocativa in cui riecheggiano elementi ebraici e cabalistici, come la famosa Clavicula Salomonis, un testo che circolava nel XVII secolo in forma manoscritta e in modo clandestino ed in cui si descri-

vono pratiche magiche ed evocative da effettuare utilizzando i nomi i loro sigilli‘,

72 demoni

e

di

L’ASTROLOGIA E LA RIVOLUZIONE COPERNICANA Dell’Astrologia, gli Umanisti rifiutavano l’aspetto deterministico, contrario all’idea della dignità e della libertà dell’essere umano, come avevano sottolineato Marsilio Ficino e Pico della Mirandola: l’Astrologia e l’Astronomia costituivano piuttosto un campo privilegiato per evidenziare l’armonia dell’universo e indagare sui rapporti fra macrocosmo e microcosmo. I signori dell’epoca erano comunque soliti consultare gli astrologi e spesso questi facevano parte delle loro corti, come nel caso di Luca Gaurico, astrologo personale Federico Gonzaga e di Paolo III Farnese, famoso per aver predetto la sua ascesa al pontificato e per aver previsto, con sette anni d’anticipo, la morte di Enrico IL, re di Francia, durante un torneo*’, de la Renaissance, Paris-La Haye 1964. 405 La Piccola Chiave di Salomone o Clavicula Salomonis è un testo probabilmente di origine medievale, noto anche con il titolo di Lemegton, le cui copie manoscritte note non risalgono però a prima del XVII secolo. Più antiche le copie della Chiave di Salomone, un testo di magia pratica redatto presumibilmente fra il XIV e il XV secolo, di cui esistono numerosi manoscritti, la maggior parte dei quali non risale a prima del XVI secolo. Questi testi non sono, in genere, opera di autori ebrei, come non lo è il Libro della Magia sacra di Abramelin, scritto da un anonimo del XVI secolo ma attribuito ad Abramo, ebreo di Worms. Cfr. G. Scholem, La Cabala, ed. cit. p. 189. 406

Luca Gaurico, nato nel 1475

a

Gauro (nella contea di Giffoni presso Saler-

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La consuetudine medievale di inserire temi astrali nella decorazione pittorica e scultorea degli edifici sia sacri che profani, prosegue nell’età rinascimentale, basandosi però su una più vasta conoscenza dei testi classici, come nel caso del ciclo astrologico dipinto nel Salone dei Mesi del Palazzo Schifanoia a Ferrara’”. Le pareti del salone sono divise in 12 settori (di cui rimangono solo sette), ognuno dei quali è dedicato ad un Mese ed è diviso in tre fasce sovrapposte: nella fascia superiore è raffigurato il Trionfo della divinità planetaria che domina sul Mese, in quella intermedia il Segno Zodiacale relativo al Mese, con i suoi tre Decani, mentre la fascia inferiore è riservata a scene della vita di corte. Per quanto riguarda il rapporto dei Segni con le dodici divinità olimpiche e le attività che da esse dipendono, gli affreschi di Schifanoia si attengono alle indicazioni fornite dal poeta Manilio nel IV Libro dell’Astronomica, un poema didascalico composto nel I secolo d.C.‘%, Ma ciò che maggiormente interessa, in questa sede, è la presenza dei Decani, quelle divinità astrali corrispondenti alle 36 suddivisioni di 10° dello Zodiaco, che abbiamo già incontrato nello no) e formatosi nell’ambiente umanistico della Napoli di Ferdinando I d’Aragona, completò i suoi studi a Padova seguendo le lezioni di Pietro Pomponazzi. Convinto sostenitore dell’Astrologia giudiziaria, nel 1507 pronunciò in sua difesa e in contrasto con le posizioni di Pico della Mirandola, un’orazione intitolata De astronomiae seu astrologiae inventoribus, utilitate, fructu et laudibus oratio (pubblicata a Venezia nel 1531); compose quindi diversi pronostici annuali e opere teoriche, fra cui un lrattato di astrologia giudiziaria sopra la natività degli omini e donne (pubblicato a Roma nel 1539) e un Tractatus astrologicus in quo agitur de praeteritis multorum hominum accidentibus per proprias eorum genituras ad unguem examinatis, (Venezia 1552), in cui prendeva in esame i temi natali di molti personaggi del passato e contemporanei, confrontandoli con le vicende della loro vita. Per quanto riguarda la morte di Enrico II, si ritiene che l’avesse prevista anche Nostradamus, il famoso astrologo e profeta, ammirato dalla regina Caterina de’ Medici (Les Vrayes Centuries et Propheties de Maistre Michel Nostradamus, Avignone 1556, Centuria I, Quartina 35). 407 Il ciclo astrologico di Schifanoia è stato realizzato fra il 1467 e il 1470 su commissione di Borso d’Este dai pittori ferraresi Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti sulla base dei suggerimenti di Pellegrino Prisciani, astronomo, storiografo e bibliotecario della corte estense. Un manoscritto dell’Astronomica fu ritrovato da Poggio Bracciolini nel monastero di San Gallo nel 1416, mentre un’altra copia fu scoperta dal Panormita a Montecassino (cfr. trad. it. Marco Manilio, Astronomicon, a cura di M. Candellero, ed. Arktos, Carmagnola 1981).

408

208

Zodiaco di Dendera e che rappresentano un elemento caratteristico dell’astrologia egiziana: queste immagini simboliche, fortemente evocative, già note nel Medio Evo ma assenti nei cicli decorativi, vengono ora riproposte con una valenza magica legata all’uso delle immagini astrali ed alla realizzazione di talismani. L’uso delle immagini astrali aveva però iniziato ad assumere, nella Firenze quattrocentesca, un aspetto e un significato completamente diversi, quando, in luogo delle tradizionali raffigurazioni dei Segni zodiacali, delle immagini planetarie e delle serie dei Mesi, venne dipinta, nella cupolina della Sacrestia Vecchia di San Lorenzo, una vera e propria mappa stellare raffigurante il cielo di Firenze come si presentava in una precisa data, ovvero il 4 luglio del 1442+1°, Le critiche umanistiche all’Astrologia contribuirono certamente a spostare l’interesse dai temi propri dell’Astrologia giudiziaria a una visione più aderente alla realtà delle configurazioni celesti e ad una loro interpretazione filosofica e mitologica. Si continuava comunque ad erigere gli oroscopi di personaggi illustri, non solo per divinare la loro sorte e gli esiti delle loro imprese, ma soprattutto per commemorare la data della loro nascita, evidenziando il fatto che la loro grandezza e il loro destino erano in armonia con le configurazioni astrali del loro tema natale, o anche per celebrare il giorno in cui si era verificato un evento particolarmente significativo. In tal senso, nei rilievi della Cappella dei Pianeti eseguiti verso il 1450 da Agostino di Duccio nel Tempio Malatestiano, il segno del Cancro, che appare in posizione dominante sul paesaggio di Rimini, celebra la nascita, avvenuta sotto questo segno, di Sigismodo Malatesta, signore 409 La nozione dei Decani fu esposta nel I secolo d.C. nell’opera De Sphaera Barbarica dell’astrologo Teucro Babilonese, ritenuto l’interprete delle concezioni oracolari e astrologiche di Ermete Trismegisto, ed è stata ripresa da Firmico Materno nel IV secolo d.C. (Matheseos Libri octo), dall’astronomo arabo Albumasar nel IX secolo, da Abraham ibn Ezra di Toledo, astrologo e filosofo ebreo di Toledo intorno al 1240 e da Pietro d’Abano nella sua traduzione delle opere di quest’ultimo (Abrahe Auenaris judei astrologi peritissimi In re iudicali opera: ab excellentissimo philosopho Petro de Abano post accuratam castigationem in latinum traducta, 1293); le immagini dei decani descritte da Pietro d’Abano saranno poi riprodotte nell’Astrolabium planum del tedesco Johannes Angelus (Augsburg 1488). 410 Si ritiene che l’affresco dipinto da Giuliano d’Arrigo, detto Pesello, e commissionato verosimilmente da Cosimo de’ Medici, fu realizzato con la collaborazione di un astronomo, probabilmente Paolo del Pozzo Toscanelli, amico di Filippo Brunelleschi; la data della configurazione celeste è stata determinata in base ai calcoli dell’Osservatorio di Arcetri (cfr. G. Mori, op. cit. p. 24).

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della città. L'affresco di Raffaello che raffigura l’Astronomia, eseguito nel 1508 nella volta della Stanza della Segnatura, mostra il cielo di Roma nel 31 ottobre 1503, data dell’elezione di Giulio II della Rovere, mentre gli affreschi realizzati verso il 1510 da Baldassarre Peruzzi sul soffitto della Loggia di Galatea nella Villa della Farnesina, si riferisce alla data natale del potente banchiere Agostino Chigi*!!,.Citiamo infine la bellissima mappa celeste dipinta sulla volta della Sala del Mappamondo del Palazzo Farnese di Caprarola, realizzata fra il 1573 e il 1575 da Giovanni Antonio da Varese, detto il Vanosino, su incarico del cardinale Alessandro Farnese. Nella visione umanistica e neoplatonica, la ricerca relativa alla struttura e all’armonia del Cosmo presentava senz'altro un maggiore interesse rispetto all’Astrologia giudiziaria, ed è in tal senso che si orientarono gli studi astronomici di Copernico, che lo portarono ad elaborare la sua rivoluzionaria teoria eliocentrica. Condividendo la concezione neoplatonica in base alla quale l’universo è retto da leggi matematiche semplici, che comportano la sua armonia e la simmetria delle sue parti, Copernico iniziò col mettere in discussione il sistema tolemaico rilevando alcune incongruenze, a causa delle quali la visioai dati astronomici osservabili, e cosmologica corrispondeva ne non i alla dei corpi celesti risultavano meconclusione che moti giungeva dal si glio comprensibili se non partiva presupposto che fosse la terra a stare immobile al centro dell’universo, ma si considerava che al centro si trovasse il sole e che fossero la terra e gli altri pianeti a ruotare

intorno ad esso. Questa teoria, comportando la sostituzione del geocentrismo con l’eliocentrismo, in armonia con le concezioni dei Pitagorici e con le osservazioni di Aristarco di Samo, metteva in discussione la tradizionale cosmologia geocentrica medievale, basata sulle teorie di Aristotele e Tolomeo‘, La “Rivoluzione Copernicana”, contestata e infine

411 Il Vasari ricorda nelle sue Vite che il pittore Baldassarre Peruzzi, seguace di riferisce all’immagine del cielo su Raffaello, era egli stesso un astrologo. L'affresco Siena il 30 novembre 1466, alle ore 21, 30, nel momento della nascita di Agostino Chigi, che fu un potente banchiere legato ai pontefici Alessandro VI, Giulio II e Leone X (cfr. G. Mori, Arte e Astrologia, in Giunti-Art Dossier n. 10, pp. 34 ss.).

si

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Niccolò Copernico, nato nella Prussia orientale nel 1476, compì

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i

suoi primi

condannata dalla Chiesa, fu invece accolta entusiasticamente dagli spiriti più illuminati e spregiudicati dell’epoca, come Keplero, Galileo e Giordano Bruno, finendo con l’assumere un valore che andava al di là della semplice formulazione di una teoria scientifica, ma diventava l’espressione di un nuovo spirito di libertà della ricerca, laddove la centralità nuovamente assegnata al Sole, simboleggiava una sorta di ritorno al carattere solare delle antiche religioni ed alla luce intellettuale della sapienza tradizionale, come aveva sottolineato lo stesso Copernico: «E in mezzo a tutto sta il Sole. Chi infatti, in tale splendido tempio, disporrebbe questa lampada in un altro posto o in un posto migliore, da cui poter illuminare contemporaneamente ogni cosa? Non a sproposito quindi taluni lo chiamano lucerna del mondo, altri mente, altri regolatore. Trismegisto lo definisce il dio visibile, l’Elettra di Sofocle colui che vede tutte le cose. Così il Sole, sedendo in verità come su un trono regale, governa la famiglia degli astri che gli fa da corona». LA MAGIA RINASCIMENTALE

Per quanto riguarda la Magia, essa appariva all’uomo rinascimentale come un potente strumento per indagare sulle forze occulte della natura e sulle entità soprannaturali, sia ai fini della conoscenza, sia per piegare queste forze al proprio volere: grazie all’uso di immagini astrali e di talismani, si riteneva, per esempio, di poter scongiurare gli effetti negativi delle configurazioni astrali avverse e di poter concentrare le influenze benefiche. Nel periodo rinascimentale, e fin nel XVII sedi colo, diversi intellettuali e sapienti ebbero reputazione di Maghi fatto, si interessarono alla Magia, concependola come la conoscenza delle leggi occulte che regolano armonicamente il Mondo, e contrapponendo la antica sapienza dei Magi e della “Prisca Theologia” pagana al dogmatismo medievale.

e,

studi di Astronomia all’Università di Cracovia, per poi passare in Italia, conseguendo il dottorato in diritto canonico, ma proseguendo anche i suoi studi di matematica e astronomia. Tornato in patria, si dedicò all’elaborazione della sua teoria che espose compiutamente nell’opera De revolutionibus orbitum caelestium, pubblicata a Norimberga nel 1543 e dedicata a Paolo III. La teoria copernicana fu condannata in occasione del processo a Galileo nel 1616. 413 Copernico, De revolutionibus orbium caelestium, Norimberga 1543, Libro I, Cap. X.

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Fra i testi dedicati alla Magia, il più completo e organico è senz’altro il trattato sull’Occulta Filosofia di Enrico Cornelio Agrippa*!*, nel quale la Magia è presentata, secondo le concezioni neoplatoniche ed ermetiche, come una vera e propria forma di Conoscenza, una Filosofia, caratterizzata dalla natura occulta dei suoi insegnamenti. Agrippa opera una netta distinzione all’interno della Magia, individuandone i tre rami fondamentali, la Magia Naturale, quella Celeste e quella Intellettuale o Cerimoniale. La prima riguarda le operazioni e i poteri connessi alla conoscenza dei segreti della natura e comprende argomenti quali la dottrina dei quattro Elementi, la legge delle catene analogiche, l’azione dell’Anima del Mondo nell’infondere i poteri alle cose, gli influssi astrali e il modo di attrarre le influenze dei corpi celesti per mezzo delle cose naturali, i legamenti e il potere delle parole, dei nomi, degli incantesimi e delle iscrizioni. La Magia Celeste consiste invece nelle operazioni fondate sulla conoscenza dell’Astrologia e della Numerologia: Agrippa vi illustra il potere dei Numeri, dei rapporti fra numeri e lettere e dei Numeri con Dei, Pianeti, Intelligenze e Demoni; descrive quindi i Quadrati magici dei sette Pianeti e i poteri delle immagini dei Pianeti e delle stelle fisse. La Magia Cerimoniale, infine, è descritta come la forma più alta di Magia, derivata dalla tradizione teurgica e fondata sul rapporto con entità metafisiche; Agrippa, dopo aver parlato del Silenzio e della Dignificazione del Mago, espone la dottrina cabalistica delle Emanazioni (ovvero delle Sephirot), illustrando i poteri dei Nomi divini e soffermandosi sulle entità invisibili, Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim, nato a Colonia nel 1486, recatosi a studiare a Parigi, entrò a far parte di un circolo segreto di studenti che si dedicavano allo studio delle scienze occulte fondato da un Italiano di nome Landolfo. Nel 1509 scrisse De nobilitate et praeecelentia foeminei sexus, un testo in cui prendeva le difese della donna, negando che fosse inferiore all’uomo, anzi sostenendone la superiorità; nello stesso anno, all’Università di Dole tenne delle lezioni commentando il De verbo mirifico di Reuchlin, per cui fu accusato di diffondere idee eretiche; nel 1511 si recò in Italia e nel 1515 tenne delle lezioni sul Pimandro di Ermete Trismegisto all’Università di Pavia. Nel 1518 prese le difese di una ragazza di Woippy (presso Metz) accusata di stregoneria; nel 1528 era ad Anversa e vi esercitava la professione di medico, mentre nel 1530 viene assunto come consigliere, archivista e storiografo dell’imperatore Carlo V e scrive un testo sulla sua incoronazione; scrive anche un altro testo, il De incertitudine et vanitate scientiarum artium, in cui esprime feroci critiche nei confronti del clero e dei cultori delle scienze cosiddette segrete. Per quanto riguarda l’Occulta Filosofia, il primo volume fu stampato ad Anversa e Parigi nel 1531, mentre l’opera completa fu pubblicata nel 1533 a Colonia col titolo Henrici Cornelii Agrippae ab Nettesheym a consilits et archivis indiciarii sacrae Caesareae majestatis de Occulta Philosopbhia libri tres (trad. italiana Occulta Filosofia, ed. Mediterranee, Roma 1972). 414

et

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che distingue in pure Intelligenze Supercelesti, Intelligenze Celesti o Astrali e Demoni che governano le cose terrene; spiega quindi il modo di estrarre i nomi dei 72 Angeli mediante le tavole Zirupbh e il modo di calcolare il Nome degli Spiriti; infine, dopo aver parlato dei Vincoli e degli Scongiuri, descrive le quattro specie di Furore, delle Muse, di Dioniso, di Apollo e di Venere. La stessa vita di Enrico Cornelio Agrippa ripropone, sotto diversi aspetti, il tipo del Filosofo-Mago delineato da Apuleio: irrequieto e girovago, insofferente rispetto alle superstizioni e ai luoghi comuni, spesso il contrasto con gli esponenti più retrivi del clero, più volte accusato di eresia, adepto di una società segreta. Stimato dai sapienti del suo tempo, come il dotto abate benedettino Tritemio, tenne lezioni in numerose università e si prodigò esercitando la professione di medico (anche durante la peste scoppiata nel 1529 a Lione); in più occasioni prestò la sua opera al servizio di regnanti come Margherita d’Asburgo, zia del futuro imperatore Carlo V, gli imperatori Massimiliano I e Carlo V e la regina madre Luisa di Savoia. Se Agrippa, nella sua esposizione, interpreta perfettamente le concezioni del Neoplatonismo e dell’Ermetismo rinascimentale rispetto alla Magia, Pietro Pomponazzi, partendo da posizioni aristoteliche, cerca invece di trovare una spiegazione razionale ai fenomeni prodigiosi comunemente attribuiti alla magia, ritenendo che possano essetali cause anche le re fatti risalire a cause naturali, comprendendo i virtù occulte di pietre o erbe o poteri dell’immaginazione e del pensiero e gli influssi astrali contemplati dall’Astrologia‘’. Un punto di vista simile è sostenuto anche da Girolamo Cardano, che si basa, come Pomponazzi, sulle concezioni aristoteliche, ritenendo che anche i prodigi più strani e inconsueti, gli incantesimi o le guarigioni miracolose, possano essere ricondotti alla inesauribile capacità creativa della natura; anche rispetto alla stregoneria, Cardano assume un atteggiamento

in

Pietro Pomponazzi, nato nel 1462 a Mantova, studia all’Università di Padova, dove erano particolarmente seguite le concezioni aristoteliche, e dove poi ottiene la cattedra di Filosofia naturale; nel 1512 si trasferisce a Bologna dove scrive le sue opere più importanti: il Tractatus de immortalitate animae (1516), fondato sulla Metafisica di Aristotele, il De naturalium effectuum causis sive de incantationibus, scritto nel 1520, ma pubblicato postumo a Basilea nel 1556, e i Libri quinque de fato, de libero arbitrio et de praedestinatione (Basilea 1557). 415

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razionale, individuando le possibili cause, sociali, mediche o naturali che possono spiegare tale fenomeno senza dover fare necessariamente ricorso all’intervento di entità diaboliche. Inoltre, come Pomponazzi, anche Cardano è un sostenitore dell’Astrologia, convinto che gli influssi celesti abbiano una loro realtà fisica e naturale‘! Più significativa è la figura del napoletano Giovan Battista della Porta, da noi già citato come fondatore dell’Accademia dei Segreti, autore di un’importante opera sulla Magia Naturale, da lui nettamente distinta rispetto a quella dottrina “nefandissima” che si fonda sulle rivelazioni dei demoni. La Magia Naturale si basa invece sulla conoscenza dei legami esistenti fra il Cielo e la Terra, per cui il mago è colui che è capace di collegare le cose terrene a quelle celesti e di riconoscere i rapporti di “simpatia e antipatia” esistenti fra i vari esseri*!, Ma il personaggio che meglio rappresenta la figura del mago rinascimentale è senz’altro l’inglese John Dee, medico, matematico, astronomo e geografo, ma anche filosofo ermetico, alchimista e astrologo, nonché cultore della magia evocativa*'5, Uomo di cultura e di scienza, 416 Girolamo Cardano, nato a Pavia nel 1501, ha studiato medicina a Padova; le vicende della sua vita, avventurosa e travagliata (narrata nella sua autobiografia intitolata De vita propria), non gli impedirono di scrivere diverse opere: un trattato di matematica, l’Ars Magna (1545) e due opere con le sue considerazioni in merito ai fenomeni prodigiosi e all’Alchimia, il De Subtilitate (1550) e il De rerum varietate (1557); è anche noto per alcune sue invenzioni come il giunto cardanico e un sistema di criptografia detto Griglia cardanica. Nel 1570, a Roma, subisce un processo per eresia a causa di un Oroscopo di Gesù che aveva elaborato e pubblicato anni prima. 417 Giambattista della Porta, nato a Vico Equense, presso Napoli, nel 1535, scrisse, a soli quindici anni, la prima versione, in quattro libri, della sua Magia Naturalis, pubblicata a Napoli nel 1558 col titolo Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri IV, mentre, a più di trent'anni di distanza, ne pubblicò una seconda versione, ampliata, in venti libri (Francoforte 1591). Della Porta è autore anche di commedie e di diversi altri trattati, fra cui uno sulla fisiognomica (1586), uno di criptografia (1563) ed uno sulle distillazioni (1608). 418 John Dee, nato nel 1527 in una famiglia di mercanti, completati gli studi, partecipò nel 1546 alla fondazione del Trinity College; nel corso di un viaggio sul continente, a Parigi tenne un corso su Euclide e stabilì rapporti di amicizia con il cartografo Gerardus Mercator e poi, tornato in Inghilterra, con Girolamo Cardano, nel 1551 fu accusato di aver partecipato ad un complotto per uccidere la regina Maria Tudor, ma in seguito godette della fiducia della regina Elisabetta che lo scelse come suo astrologo personale (la data dell’incoronazione della regina fu stabilita in base ai calcoli di Dee); dal 1550 al 1570 collaborò con la Corona come consigliere della navigazione e cartografo, dando un importante contributo alla conquista dei territori del Nuovo Mondo e alla creazione dell’Impero Britannico (termine, tra l’altro, da lui coniato);

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Dottor Dee svolse un ruolo di spicco nella società elisabettiana e fu anche molto vicino alla regina come consigliere e astrologo, ma, malgrado i suoi impegni profani, si dedicò sempre in modo assiduo ad un’approfondita ricerca nel campo delle scienze occulte, raccogliendo anche un considerevole numero di testi nella sua biblioteca. Nel 1564 pubblicò la Monas Hieroglyphica‘"°, un singolare libretto composto da ventiquattro “Teoremi”, in cui Dee proponeva un simbolo grafico, la “Monade”, come immagine sintetica dei simboli tradizionalmente adottati per indicare gli Elementi e i “Pianeti”: il disegno parte dal simbolo alchemico e astrologico del Mercurio, completandolo con il punto al centro del cerchio e con il simbolo dell’Ariete alla base. Dee ha inteso in tal modo rappresentare i fondamentali insegnamenti relativi alla Cosmologia, all’Astrologia e all’Alchimia in un unico “Geroglifico”, composto da segni geometrici e da rapporti matematici da interpretare con un metodo cabalistico fondato sul linguaggio universale dei numeri e delle forme geometriche. Il simbolo della Monade riscosse un particolare successo fra i cultori delle dottrine esoteriche e Valentin Andreae lo inserì nelle Nozze Chimiche di Christian Rosenkreutz, testo da lui redatto ma attribuito al mitico fondatore dei Rosa-Croce, mentre il dotto gesuita Athanasius Kircher lo riprodusse in un capitolo dedicato alla Mathematica Hieroglypbica, in riferimento alla sapienza egizia e alla dottrina pitagorica‘’’. L’importanza della Matematica e la sua influenza sulle arti e le scienze, nonché il suo ruolo nella Magia, è ribadita da Dee nella sua prefazione alla traduzione inglese degli Elementi di Euclide (1570), in cui fa riferimento al testo il

nel 1583 si recò a Praga, alla corte di Rodolfo II, grande protettore di astrologi, maghi e alchimisti; tornato in patria nel 1589, dopo la morte della regina Elisabetta, si ritirò a Mortlake, dove morì nel 1608 o 1609. A Frances Yates (Cabbala e occultismo nell’eta elisabettiana, ed. Einaudi, Torino 1982) spetta il merito di aver rivalutato la figura di John Dee collocandola nel quadro della cultura ermetica dell’età elisabettiana e sottraendola ad un superficiale immaginario che ne aveva fatto un tenebroso

negromante. 419 John Dee, Monas Hieroglyphica, Anversa 1564.

420 J. Valentin Andreae, Chymische Hochzeit Christiani Rosenkreutz, Anno 1459, Strasburgo 1616, p. 5; Athanasius Kircher, Oedipus Aegyptiacus, tomo IL, Pars altera, Roma 1653, p. 29.

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di Vitruvio sull’Architettura e a quello di Diirer sulle proporzioni, insieme a quello di Cornelio Agrippa sull’Occulta Filosofia. In seguito, la ricerca della conoscenza ebbe per Dee una radicale svolta, quando, intorno agli anni ‘80, prese a operare con una metodologia decisamente magica per entrare in contatto con entità angeliche e ottenere da esse rivelazioni sulla loro stessa natura, sull’avvenire e sui segreti più riposti del mondo visibile e di quello invisibile‘?!; nelle sue invocazioni angeliche Dee si serviva di uno o più medium e utilizzava diversi oggetti, alcuni dei quali ci sono pervenuti: una sfera di cristallo e uno specchio di ossidiana usati per le visioni, un pugnale rituale e alcuni sigilli, fra cui il famoso Sigillum Dei Aemeth, realizzato in cera; questo diagramma, formato da un pentagramma all’interno di un cerchio e di tre ettagoni e da un ettagono stellato tracciato con un’unica linea, ed in cui sono iscritti i Nomi di Dio della tradizione cabalistica, sette nomi angelici e diverse combinazioni di lettere, era utilizzato per proteggere il mago e conferirgli potere su tutte le entità del mondo invisibile, ad eccezione degli Arcangeli”. Le conversazioni con gli angeli avevano luogo utilizzando un tavola (come la Tabula Sancta, 421 Un notevole impulso alle sedute teurgico-medianiche di Dee, fu dato, nel 1582, dal suo incontro con Edward Kelly, un sedicente alchimista, il cui vero nome era ‘Talbot e che si rivelò in possesso di notevoli doti medianiche: i pareri su Kelly sono alquanto discordi, e mentre secondo alcuni sarebbe stato effettivamente in possesso della Pietra Filosofale ed avrebbe effettuato delle trasmutazioni, secondo altri si trattava di un cinico avventuriero. Una versione romanzata della vita di John Dee, delle sue operazioni evocative e del suo rapporto con Kelly, è stata fornita da Gustav Mesvyrink nel suo bel libro intitolato L'Angelo della Finestra d'Occidente (1927). 422 La più antica versione nota del Sigillum Dei è riportata nel Liber iuratus, un testo di magia cerimoniale redatto verosimilmente nel XIV secolo e attribuito a un certo Honorius di Tebe, figlio di Euclide, una copia del quale (Ms. Sloane n. 313, British Museum) è stata in possesso di John Dee: questi, rielaborando il diagramma, lo definì Sigillum Dei Aemeth, aggiungendovi il termine ebraico significante Verità. In seguito il Sigillum Dei è stato inserito in alcune versioni della Clavicola di Salomone redatte nel XVII secolo (Ms. Michael n. 276 e Ms. Aubrey n. 24 della Bodleian Library) ed è stato riprodotto e descritto da Athanasius Kircher (Oedipi Aegyptiaci Tomi Secundi Pars Altera, Roma 1653, pp. 479-481: Amuleti alterius Cabalistici heptagoni interpretatio).

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una tavola di legno con sette cerchi, divisi in sette settori, in ognuno dei quali erano inserite sette lettere), al cui centro si poneva il grande Sigillo Aemeth, sul quale poggiava lo specchio o il cristallo utilizzato per la visione; il Medium, guidato da Dee, si concentrava per ottenere la visione di un particolare angelo e poi ne trasmetteva le “rivelazioni” a voce o utilizzando i caratteri delle tavole; a partire dal 1584, tali “rivelazioni” furono per lo più redatte in un particolare alfabeto (poi definito “Enochiano”), rivelato dagli stessi angeli a Kelly. Dee dunque, servendosi di un medium e utilizzando i suoi strumenti magici, operava secondo la tradizione teurgica tramandata dai testi neoplatonici e dagli Oracoli Caldaici, e, come gli antichi evocatori, aveva preso scrupolosamente nota delle comunicazioni ottenute, che sono state in seguito raccolte e pubblicate, fornendo una preziosa testimonianza di un’intensa pratica teurgica attuata sul finire dell’età rinascimentale”.

423 Le prime rivelazioni angeliche (1581-1583) sono state raccolte da Elias Ashmole (Mysteriorum Libri Quinque, ms. Sloane 3188, British Library); i successivi manoscritti di Dee sono stati trascritti e pubblicati da Meric Casaubon (True and Faitbful Relation, Londra 1659).

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Capitolo VI SVILUPPI DELLA TRADIZIONE ERMETICA

Il 17 febbraio del 1600, il rogo su cui viene arso Giordano Bruno fine del sogno in Campo dei Fiori sembra segnare, in modo tragico, rinascimentale, di quel sogno, maturato negli ambienti umanistici, che aveva immaginata l’instaurazione di una società più giusta e saggia, basata sulla Filosofia, sulla libertà del pensiero e sulla restaurazione dell’antica sapienza. La condanna del filosofo nolano, come il processo a Galileo e l’imprigionamento di Tommaso Campanella, testimoniano in modo inequivocabile la volontà, da parte della Chiesa Cattolica, di porre un freno alla libera speculazione e di riaffermare una visione dogmatica nel controllo delle coscienze; la mutata situazione politica, con l’affermazione del potere assoluto delle monarchie, in particolar modo quella asburgica, ha posto fine, d’altra parte, al clima di libertà che si era sviluppato all’epoca delle Signorie. Tuttavia, malgrado le forme di controllo e di repressione esercitate dai “poteri forti”, la grande lezione di libertà dei pensatori rinascimentali continuerà a dare i suoi frutti anche nel Seicento, un secolo in cui la speculazione filosofica e la ricerca scientifica avranno un grande sviluppo, senza però ancora rinnegare, come invece avverrà in seguito, il rapporto con le antiche tradizioni esoteriche. Il movimento dei Rosa-Croce rappresenterà, a partire dal secondo decennio del Seicento, un momento di coagulo di diverse correnti di pensiero accomunate sia dal riferimento ad una tradizione sapienziale pre-cristiana, sia da un atteggiamento etico e mistico, ma profondamente anti-dogmatico e fondato su una salda concezione della libertà individuale nella speculazione filosofica e nella sperimentazione scientifica. La Tradizione Ermetica, l’Alchimia, la Magia Naturale e la Cabala costituiranno, in tal senso, le basi di un pensiero progressista e libertario, aperto alla ricerca sperimentale, e saranno riproposte sotto il comune denominatore dei misteriosi Rosa-Croce.

la

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LA

RELIGIONE SOLARE DI GIORDANO BRUNO

Dal punto di vista della nostra ricerca, l’importanza della filosofia bruniana va molto al di là dell’interpretazione che ne fece il pensiero laico, anticlericale e progressista nell’Ottocento, che vide in Bruno soprattutto il martire del libero pensiero ed il sostenitore di una visione del mondo non dogmatica, collegata, come nel caso di Galileo, alla rivoluzione copernicana, trascurando però gli aspetti esoterici del suo pensiero e la grande attenzione da lui rivolta alle mnemotecniche. La fondamentale opera della studiosa inglese Frances Yates su Giordano Bruno e la Tradizione Ermetica ha avuto il merito di ricondurre la figura di Bruno nel quadro della tradizione ermetica ed esoterica: un esame attento e privo di pregiudizi dell’opera bruniana, ha permesso infatti di valutare il pensiero del Nolano nella sua totalità, come un complesso sistema filosofico in cui col termine Filosofia si intende effettivamente ed operativamente l’amore di una scienza che è insieme conoscenza dei principi e delle armonie dell’universo e via iniziatica di realizzazione spirituale‘?*, Bruno mostra infatti di condividere la filosofia del Corpus Hermeticum visto come espressione dell’antica religione magico-ermetica degli Egiziani e, pertanto, di credere a concetti come la metempsicosi e la possibilità di animare magicamente gli idoli‘. Aderendo alla visione eliocentrica di Copernico, Bruno sostiene che quest’ultimo non ha saputo cogliere la vera portata della sua scoperta, che rappresenta, in realtà, il ritorno alla tradizionale religione degli Egizi, in cui il Sole è insieme astro, divinità e simbolo della conoscenza. Ma Bruno va molto oltre, proponendo la sua concezione, profondamente innovativa e attuale, di un universo infinito ed animato, composto da innumerevoli mondi, in cui il Tutto è riconducibile alla Monade, all’Unità, e che rivela la presenza di una Legge cosmica‘: il mondo visibile è l’Onmbra 424 F.A. Yates, Giordano Bruno and the Hermetic Tradition (1964), trad. it. Giordano Bruno e la tradizione ermetica, ed. Laterza, Bari 1969. Di F.A. Yates si vedano anche Giordano Bruno ela cultura europea del Rinascimento, ed. Laterza, Bari 1988 e L'arte della memoria, ed. Einaudi, Torino 1993, in cui vengono esaminate le mnemotecniche il loro rapporto con quelle lulliane. bruniane

e

425 Si veda, per esempio, la lunga citazione tratta dall’Asclepio nello Spaccio de la Bestia Trionfante, Londra 1584, in Dialoghi Italiani, vol. IL, Dialoghi morali, ed. Sansoni, Firenze 1958, pp. 784 ss.

426 Queste concezioni sono state elaborate da Bruno nei suoi Dialoghi in volgare, pubblicati a Londra fra il 1584 e il 1585; Giovanni Gentile, nell’edizione da lui cu-

220

delle Idee, ed esiste una «Scala per la quale la natura descende alla produzione de le cose, e l’intelletto ascende alla cognizion di quelle»*?7; Bruno è convinto che grazie alla Magia l’uomo può agire all’interno di questa Scala e delle sue corrispondenze analogiche, elevandosi ed espandendosi a misura dell’Infinito; il Furore, concepito come stato di esaltazione e di concentrazione del pensiero e della volontà, è senz’altro uno dei mezzi di questa ascesa spirituale. Altro aspetto fondamentale del pensiero bruniano è l’uso dell’Arte della Memoria intesa come sistema di conoscenza dell’universo e delle sue leggi e basata sull’addestramento dell’immaginazione come strumento operativo grazie all’uso di immagini visive e verbali. Nei sull’Arte della Memoria‘, che costituiscono trattati sul Lullismo* una parte fondamentale e non marginale della sua opera, Bruno illustra i

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rata delle Opere italiane di Bruno (Bari 1907-08) aveva distinti i Dialoghi italiani in metafisici e morali: nei primi tre (Cena delle Ceneri; De la causa, principio et uno; De l'infinito, universo e mondi) Bruno dispiega le sue concezioni cosmologiche e metafisiche, mentre nei tre Dialoghi morali (Spaccio de la bestia trionfante; Cabala del cavallo pegasceo seguita dall’Asino cillenico; De gli eroici furori) traccia le linee del suo pensiero volto all’emancipazione dell’uomo ed alla sua possibilità di perseguire il divino. I temi dei Dialoghi metafisici saranno ripresi ed ulteriormente sviluppati nelle tre grandi opere latine (De triplici minimo et mensura; De monade, numero et figura; De innumerabilis, immenso et infigurabili) pubblicate a Francoforte nel 1591 (la traduzione italiana della trilogia di Francoforte è stata pubblicata dall’UTET: G. Bruno: Opere latine, Torino 1980). 427 G. Bruno, De la causa, principio et uno, 5, 12 (Londra 1584) in Dialoghi italiani, vol. I, Dialoghi metafisici, ed. Sansoni, Firenze 1958, p. 329. 428 Bruno dedica diversi scritti al commento ed all’approfondimento dell’opera di Raimondo Lullo, dal De compendiosa achitectura et complemento Artis Lulli e dalla persa Clavis magna, scritti a Parigi nel 1582, alle opere pubblicate durante il suo soggiorno a Wittemberg nel 1588: De lampade combinatoria Raymondi Lulli; De lulliano specierum scrutinio; De progressu et lampada venatoria logicorum; cfr. G. Bruno, Opere lulliane, ed. Adelphi, Milano 2012. 429 Un considerevole numero di scritti bruniani riguardano l’illustrazione dell’Arte della Memoria e l’esposizione di vari sistemi mnemotecnici: De umbris idearum; Cantus circaeus; Ars memoriae (pubblicati a Parigi nel 1581); l’Ars reminiscendi con l’Explicatio triginta sigillorum ed il Sigillus sigillorum (Londra, 1583); la Lampas triginta statuarum, scritta nel 1588 (manoscritto Noroff) e il De imaginum, signorum et idearum compositione libri tres (Francoforte, 1591); cfr. G. Bruno, Opere mnemotecniche, ed. Adelphi, Milano 2009.

221

vari modi e le tecniche operative volte al miglioramento dell’uomo grazie all’acquisizione di una visione filosofica completa, libera e razionale. Le mnemotecniche e la logica lulliana vengono contrapposte alla sterile logica aristotelica in quanto in esse la logica, la scienza e la metafisica concorrono alla creazione di una visione unitaria nelle cui regole si riflettono le leggi che governano l’armonia dello stesso universo. L’Arte di Raimondo Lullo si presenta infatti come un sistema logico in cui tutto lo scibile può essere ordinato in uno schema corrispondente all’ordinamento stesso del cosmo; per ottenere ciò Lullo si serve di particolari figure o diagrammi (ruote e alberi) su cui colloca i concetti contrassegnandoli con lettere e combinandoli fra loro mediante l’ars combinatoria°. Se l’universo ed il reale non sono che l’ombra dei principi metafisici, la logica del sistema bruniano come quello lulliano tende a riprodurre le fondamentali modalità operative di tali principi, riconoscibili nelle Dignità lulliane o nelle Intenzioni bruniane come nelle Sephirot cabalistiche, e si collega, in tal senso, alla tradizione pitagorica, al simbolismo degli antichi miti ed alla Cabala’. Per Lullo l’apprendimento dell’Arte si basava sulle tre Virtù o Potenze fondamentali dell’anima razionale (memoria, intelletto e volontà) connesse all’arbor scientiae, all’arbor amoris ed all’arbor reminiscentiae. La stessa concezione vie-

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ne espressa da Bruno sottolineando l’importanza fondamentale di tre figure archetipali: la Figura Mentis o Atrio di Apollo, la Figura Intel lectus o Atrio di Venere e la Figura Amoris o Atrio di Pallade. La Yates, riferendosi ai diagrammi bruniani (in particolare alla Figura Amoris) ritiene che possano essere stati utilizzati come simboli e criptogrammi di una “Setta dei Giordanisti” che Bruno avrebbe fondato in Germania per promuovere una vera e propria riforma generale dell’umanità*’. A tale riforma Bruno fa esplicito riferimento nello Spaccio della Bestia trionfante, immaginando che gli Dei, riuniti in concilio, abbiano deciso di riformare se stessi, riordinando e pu-

testi di Raimondo Lullo (Ars magna generalis ultima, Ars brevis, Arbor scientiae) furono commentati nel XVI secolo, oltre che da Bruno, da E. Cornelio Agrippa (Raymundi Lullii Opera, Strasburgo, 1598). 430 I

Cfr. P. Rossi: Clavis universalis, Bologna 1983, p. 150. Vedi 432 G. Bruno: 160 Articuli adversus Mathematicos (pubblicato a Praga nel 1588 e dedicato all’Imperatore Rodolfo IL) e De Triplici Minimo et Mensura (edito a Francoforte nel 1591). Cfr. S. Hoòbel: Le tre figure archetipali di Giordano Bruno, in Hiram n. 5, Maggio 1988. 431

433

FA. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, cit. pp. 341 e 348.

222

rificando le loro immagini astrali e, di conseguenza, dando un nuovo assetto al mondo inferiore‘. Inoltre, a questa riforma del Cielo corrisponde la riforma dell’individuo e la creazione di una sua nuova personalità dal carattere so-

lare. In effetti, Bruno propugna realmen|ÉXEREEET= te una riforma globale della visione del mondo fondata, da un lato, sul capovolgimento della visione geocentrica operato dalla teoria copernicana e, dall’altro, sul ristabilimento della religione magica e solare degli Egiziani: il tema della religione egiziana ricorre infatti spessissimo nelle opere di Bruno sia come rimpianto di una religione universale libera e fondata sulla conoscenza, sia nell’esprimere la speranza della sua restaurazione, in opposizione alle visioni dogmatiche e settarie dei suoi tempi. Ed è agli ottusi, ai dogmatici e ai pedanti che Bruno oppone la sua immagine dell’uomo di conoscenza, del Mago rinascimentale, libero ricercatore degli arcani della natura, amante della Sapienza e capace di riorganizzare la sua psiche in armonia con le leggi cosmiche secondo le visioni della Filosofia Ermetica.

LA “GENERALE RIFORMA DELL’UNIVERSO” Negli ultimi decenni del XVI secolo, pensatori come Giordano Bruno, Giambattista Della Porta, Tommaso Campanella”, Galileo 434 Vedi G. Bruno, Spaccio de la Bestia Trionfante, in Dialoghi Italiani, vol. I, ed. cit., pp. 549 ss. 435 Il filosofo Tommaso Campanella, frate domenicano come Bruno, pubblicò a Napoli nel 1591 una sua prima opera (Philosophia sensibus demonstrata) a causa della quale fu accusato di pratiche demoniache; dopo un anno di carcere si trasferì a Firenze, dove scrisse un’opera sulla Magia (De sensu rerum et magia) il cui manoscritto fu sequestrato dall’Inquisizione, ma che fu riscritta nel 1604 e pubblicata a Francoforte nel 1620; Campanella fu arrestato e processato più volte con diverse accuse, finché nel 1599, per aver tentato di promuovere un’insurrezione antispagnola in Calabria, fu incarcerato a Napoli, dove passò in seguito sotto la giurisdizione del Sant’Uffizio e fu processato per eresia; sottoposto alla tortura ammise le sue eresie, ma evitò la condanna capitale fingendosi pazzo; Campanella fu scarcerato nel 1626 e per un certo tempo fu consigliere di Papa Urbano VII su questioni astrologiche, ma nel 1634 fu di nuovo costretto a fuggire e riparò in Francia dove trascorse il resto dei suoi giorni, protetto dal Cardinale Richelieu.

223

Galilei** e Paolo Sarpi“? erano stati gli elementi di spicco di una corrente di pensiero che si era sviluppata in Italia propugnando ideali libertari in opposizione alle posizioni rigide e dogmatiche assunte dalla Chiesa dopo il Concilio di Trento e alla repressione messa in atto contro la libertà del pensiero e della ricerca*’8, Mentre Marsilio Ficino e gli Umanisti del XV secolo e degli inizi del secolo successivo non avevano assunto, in genere, posizioni conflittuali nei confronti della Chiesa di Roma, cercando piuttosto di trovare i punti di contatto fra la “Prisca Theologia” e la dottrina cristiana, dopo la Riforma Luterana posizioni iniziarono a radicalizzarsi e il drammatico confronto fra Cattolici e Protestanti comportò una sempre più forte contrapposizione fra gli orientamenti autoritari della Chiesa, e un atteggiamento, diffuso fra gli intellettuali, che propugnava la libertà del pensiero rispetto alla ricerca della conoscenza, sia da un punto di vista scientifico, sia da quello della realizzazione spirituale, rifiutando i vincoli imposti dal dogma religioso. In questa ottica, l’adesione alla Tradizione Ermetica, l’esaltazione della Prisca Theologia e della religione egizia, così come l’interesse per la Magia, la Cabala o l’Alchimia, diventavano espressione di quella libertà di pensiero considerata con sempre maggiore sospetto dalle autorità religiose e civili, col concreto rischio dell’accusa di eresia. Se in Italia e in Spagna la Chiesa Cattolica era riuscita a conservare saldamente la sua posizione egemone, resto dell’Europa era invece diviso fra gli stati controllati dagli Asburgo e fedeli al Cattolicesimo, e quelli che avevano aderito alla Riforma Protestante: in Germania la Lega di Smalcalda dei principi protestanti si era battuta contro la fa-

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436 Galileo Galilei, sostenitore del sistema copernicano e assertore del metodo scientifico basato sulla raccolta dei dati empirici e sulla loro rigorosa analisi matematica, compose, fra il 1624 e il 1630, il suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, opera fondamentale nell’imminente rivoluzione scientifica, che fu pubblicata nel 1632, ma che l’anno seguente fu inserita nell’Indice dei libri proibiti; Galileo fu quindi processato dall’Inquisizione e costretto ad abiurare, rinnegando la sua posizione a favore del sistema copernicano. 437 Il religioso veneziano Paolo Sarpi, spirito illuminato e progressista, autore della Istoria del Concilio Tridentino (pubblicata nel 1629) e difensore di Venezia contro l’interdetto papale del 1606, fu accusato due volte all’Inquisizione e nel 1607 dei sicari inviati dal Nunzio Pontificio cercarono di assassinarlo.

438 Nel 1593, Campanella, Sarpi, Galileo e Della Porta ebbero modo di incontrarsi a Padova e di confrontare le proprie idee; mancava Giordano Bruno, che era stato incarcerato l’anno precedente (cfr. N. Badaloni, Frammenti di vita intellettuale a Napoli dal 1500 alla metà del 600, in Storia di Napoli V*, p. 674 ss.).

224

Statua del Nilo - Arpocrate (Napoli, Museo Archeologico) - Rappresentazione fantastica di Alessandria d’Egitto nel mosaico del “Paesaggio Nilotico” di Palestrina.

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Napoli, Museo Archeologico: la Triade divina composta da Horus, Osiride e Iside - Osiride raffigurato come mummia Iside che allatta Horus - Stele di Horus.

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L’Oltretomba egiziano: Il percorso dell’anima nell’Amduat, ora seconda (Wallis Budge, The Book of Am-Tuat) - Libro dei Morti: il Tribunale di Osiride (Wallis Budge, Osiris, vol. II)

"Tav. 3

L'Età Alessandrina: busto di Serapide (Roma, Musei Vaticani).

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Tav. 4

Immagine bifronte di Osiride-Apis

[mmagini di Iside nell’età alessandrina e imperiale: due statue in marmo nero Stele funeraria con l’immagine della Dea - statua proveniente dal Tempio Iside a Pompei Iside-Fortuna (Museo Archeologico di Napoli).

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5

Il Tempio di Iside a Pompei durante i lavori di scavo (incisione acquerellata pubblicata da W. Hamilton, Campi Phlaegraei, 1776) - 1 sacerdoti del culto di Iside (pitture del portico del Tempio di Iside a Pompei, ora al Museo Archeologico di Napoli).

Tav. 6

Sacerdote di Iside che rende omaggio al simulacro di Arpocrate (pittura del portico del Tempio di Iside a Pompei, ora al Museo Archeologico di Napoli) - La Cista mistica (Museo Egizio di Torino) - Pigna del Cortile del Belvedere (Roma).

Tav. 7

Ermete Trismegisto (tarsia del Duomo di Siena) - Illustrazione dell’Azrora Consurgens (Zurigo, Zentralbibliothek, MS. Rhenoviensis 172) Illustrazione dello Splendor Solis (manoscritto del 1598). -

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Ritratto di G.B. della Porta (Magia Naturale, ed. Napoli 1677) - Fra Donato d’Eremita: Elixir Vitae - Il Museo Naturalistico di Ferrante Imperato.

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Arpocrate seduto (Museo Archeologico di Napoli) - Arpocrate che avanBronzetto ellenistico di Arpocrate (Museo Archeologico di Napoli) - Arpocrate-Apollo e ’Omphalos (Museo Archeologico di Napoli).

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Allegoria del Silenzio (affresco del chiostro di Santa Chiara) Silenzio (affresco della Certosa di San Martino).

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Tav. 16

zione cattolica appoggiata da Carlo V, finché, con la Pace di Augusta, nel 1555, era stato sancito il principio che ogni stato dovesse aderire alla religione del suo sovrano (“cuius regio, eius religio”), soluzione che tuttavia si riferiva ai principi luterani, mentre ne erano escluse le altre confessioni religiose, come i Calvinisti e i Battisti; in Francia, la contrapposizione fra gli Ugonotti calvinisti e i Cattolici, aveva creato una profonda frattura nel paese, dando luogo a un lungo periodo di conflitti; l’Inghilterra, con la creazione della Chiesa Anglicana, si era staccata definitivamente da Roma, e anche i Paesi Bassi e gli stati del Nord Europa avevano aderito in gran parte al Protestantesimo. Verso la fine del XVI secolo, mentre l’Europa continuava ad essere dilaniata dalla contrapposizione fra i Cattolici e le varie confessioni protestanti, le speranze dei liberali si erano concentrate su Enrico IV di Borbone, divenuto re di Francia nel 1594*°, Di fede ugonotta, Enrico si era convertito al Cattolicesimo per ottenere la corona, attuando quindi una politica di tolleranza e di conciliazione e opponendosi all’egemonia asburgica‘, Nel 1610 Enrico fu però assassinato da Francois Ravaillac, un fanatico cattolico, e con la sua morte i liberali europei persero un valido punto di riferimento, ma non per questo rinunciarono a propugnare le loro idee e ben presto rivolsero la loro attenzione a Federico V, Elettore del Palatinato, che nel 1613 aveva sposato Elisabetta, figlia di Giacomo I Stuart, re d’Inghilterra, contando sul fatto che Giacomo I, come prima di lui la regina Elisabetta, avrebbe appoggiato la lotta contro la Spagna e la Chiesa Cattolica, con l’obiettivo di promuovere un riassetto politico e culturale dell’Europa sotto la guida di sovrani illuminati.

439 Simon Studion, umanista e studioso tedesco dell’antichità, pubblicò nel 1604, a Tubinga, un’opera profetica, la Naometria, dedicata a Federico I, duca del Wiirttemberg, anglofilo e interessato all’Alchimia, in cui auspicava un’alleanza fra il duca del Wiirttemberg, Enrico IV di Francia e Giacomo I d’Inghilterra; vi si riferiva anche di una riunione segreta (alla quale aveva partecipato forse anche John Dee), che aveva avuto luogo a Liineburg nel 1586 allo scopo di creare una Lega Evangelica da opporre alla Lega Cattolica (cfr. F.A. Yates, L’I/luminismo dei Rosa-Croce, ed. Einaudi, Torino 1976, pp. 41-43).

L’Editto di Nantes (1598) aveva posto fine alle guerre di religione che fin dal 1562 avevano contrapposto in Francia i Cattolici agli Ugonotti (Protestanti di orientamento calvinista) e che nel 1572 avevano raggiunto un drammatico apice, con la strage degli Ugonotti di Parigi nella Notte di San Bartolomeo; con l’Editto di Nantes, Enrico cercò di attuare una politica di conciliazione, affermando il diritto alla libertà di coscienza e quello di praticare i diversi culti religiosi.

440

225

Nel 1612 e nel 1613 ‘Traiano Boccalini, un intellettuale amico di Paolo Sarpi, antispagnolo e insofferente del

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DI PARNASO: dogmatismo controriformista, pubbliP*TRALAN CAN GS ATLINT cò a Venezia le prime due parti o “CenCenturia Prima. turie” dei suoi Ragguagli del Parnaso, ““uvsraiss e aerenenDiss un’opera in cui immaginava che sul Cetradrmapatia! Per dito monte Parnaso, alla presenza di Apollo e delle Muse, si riunissero intellettuali e politici antichi e contemporanei per discutere, e che egli stesso, come “menante”, avesse compilato le cronache, i ovvero i “Ragguagli” di questi incontri: In vENETIA, appello PiaroFarri. DC XI} di Sigg lin il testo, in cui erano evidenziate, con spirito mordace e caustico, le ipocrisie e la corruzione della corte romana e il malgoverno dei dominatori spagnoli, era stato sottoposto ad autocensura dallo stesso autore per timore di rappresaglie, ma alcuni dei Ragguagli omessi, particolarmente critici ed irriverenti, circolavano in forma manoscritta*!, Come Giordano Bruno, anche Traiano Boccalini aveva riposto grandi speranze in Enrico IV di Francia e nel Ragguaglio III della prima Centuria, descrive il dolore di Apollo nell’apprendere la notizia della sua uccisione e conclude, ironicamente, che Apollo aveva disposto di mandare in Francia sessantamila “Somari dell’Arcadia”, contrapponendoli, come espressione di mitezza e di lavoro, alla “Nobiltà armata a cavallo”. Nel Ragguaglio LXXVII, immagina ancora che Apollo, prendendo atto delle ingiustizie e dei disordini del mondo, voglia promuovere una “Generale Riforma dell’Universo” e che abbia convocato a tal fine diversi sapienti del passato e del presente, i Sette Savi della Grecia, Catone, Seneca e diversi “Moderni Filosofi Italiani”: alla discussione interviene anche Solone che suggerisce di inserire nel cuore del genere umano la Carità e l’Amore per il prossimo e di pervenire ad una «santa parità de’ beni», dal momento che l’ingiustizia e i conflitti hanno la loro radice nella diseguaglianza; alla fine, |

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441 Oltre alle prime due Centurie stampate a Venezia nel 1612 e nel 1613, altri 29 Ragguagli furono stampati col titolo Pietra del Paragone politico, sempre a Venezia, nel 1615, dopo la morte del Boccalini, avvenuta nel 1613; l’opera del Boccalini, riscosse un grande successo non solo a Venezia, ma anche oltralpe e ne furono stampate francese, in tedesco, in inglese e in latino. Cfr. Traiano Boccalini, numerose edizioni Parnaso e scritti minori, a cura di L. Firpo, Bari 1948. Ragguagli

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226

> però, di fronte alla difficoltà di mettere in atto qualsiasi suggerimento, l’assemblea non raggiunge alcun risultato concreto. Malgrado le conclusioni pessimistiche del Boccalini, la necessità di una “Riforma generale” della società, che già Giordano Bruno aveva delineata nello Spaccio della Bestia trionfante, è ormai fortemente sentita, come testimoniano anche le diverse visioni utopistiche di società ideali concepite sul modello dell’Atlantide platonica e dell’Utopia di Tommaso Moro (1516): la Città del Sole di Tommaso Campanella, scritta nel 1602 e pubblicata nel 1621, la Christianopolis di Johannes Valentin Andreae, pubblicata nel 1619, la Nuova Atlantide, scritta da Francis Bacon nel 1624, la Macaria di Samuel Hartlib, pubblicata a Londra nel 1641. L’APPELLO DEI ROSA-CROCE

Nel 1614, i Rosa-Croce, fanno la loro spettacolare entrata in scena in Germania‘, con la pubblicazione della Fama Fraternitatis Rosae Crucis, il primo Manifesto del mi. sterioso Ordine, dedicato «ai dotti e ai capi . dell’Europa». Appare significativo il fatto che, nella sua prima edizione, il testo della Fama è preceduto dalla traduzione in tede; sco del Ragguaglio di Traiano Boccalini sulla Riforma dell'Universo: il volumetto, pubblititolo di Riforma totale cato anonimo, reca >

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442 Sulla storia dei Rosa-Croce, oltre al già citato testo della Yates (L’I//tminismo dei Rosa-Croce), si veda P. Arnold, Storia dei Rosa-Croce, (1955), ed. Bompiani, Milano 1989. 443 Allgemeine und General Reformation, der gantzen weiten Welt Beneben der Fama Fraternitatis, Dess Lòblichen Ordens des Rosenkreutzes, an alle Gelebrte und Hiupter Europea geschrieben: Auch einer keurtzen Responsion, von dem Herrn Haselmeyer gestellet, welcher desswegen von den Jesuitern ist gefànglich eingezogen, and auff eine Galleren geschmiedet: Itzo òffentlich in Druck verfertiget, and alien trewen Hertzen communiciret worden. Il testo è stato pubblicato anonimo a Cassel nel 1614 dall’editore e stampatore Wilhelm Wessel.

227

Il testo della Fara, rivolto al «lettore che comprende la saggezza», ribadisce l’esigenza di una riforma dell’attuale società, caratterizzata dall’ignoranza e dalle tenebre e auspica che gli uomini dotti della Germania, «Maghi, studiosi di Cabala, medici e filosofi» collaborino fra loro per diffondere nuova luce e verità. Viene quindi raccontatala storia del leggendario fondatore dell’Ordine, C.R. (Christian Rosenkreutz): questi, giovanissimo, si era recato a Damasco, dove era stato accolto dai sapienti del luogo, che gli avevano insegnato la Matematica e la Fisica; dopo aver brevemente soggiornato in Egitto, era andato a Fez, dove aveva appreso la Magia e imparato a conoscere gli “Spiriti Elementari”; dopo essere stato in Spagna e in altre nazioni per rivelare ciò che aveva appreso, esponendo i suoi “Axiomata” e mostrando «dove sbagliava la Chiesa», era tornato in Germania e aveva fondato la Confraternita della Rosa-Croce, formata inizialmente da quattro, poi da otto Fratelli: questi sarebbero andati in tutti i paesi, ritornando ogni anno nella dimora della Confraternita, la «Casa dello Spirito Santo»; ognuno di loro avrebbe scelto una «persona degna» che potesse succedergli dopo la sua morte e la Confraternita sarebbe rimasta segreta per cento anni. Il racconto termina con la scoperta del sepolcro di Christian Rosenkreutz, 120 anni dopo la sua motte (il che corrisponderebbe al 1604): questo sepolcro, illuminato da un sole artificiale, viene descritto come un ambiente di sette lati (il che ricorda gli ettagoni del Sigillum Aemeth di John Dee), in cui sono conservati i libri dell’Ordine (fra cui alcuni testi di Paracelso), specchi, lampade perpetue e campanelli, con un altare rotondo al centro, sotto il quale è celato il corpo di Rosenkreutz. Nel volumetto è anche inserita la Risposta di Adam Haselmayer, uno studioso che si dichiara appartenente alle “Chiese evangeliche” e che risponde con entusiasmo all’appello della Farma, il cui manoscritto avrebbe letto nel 1610, in Tirolo; nella Prefazione della Fama, viene riferito che i Gesuiti, contro i quali Haselmayer si era espresso violentemente, lo avevano catturato e fatto condannare alle galere, evidenziando in tal modo la posizione nettamente avversa alla Chiesa Cattolica, e in particolare ai Gesuiti, dell’autore (o degli autori) del testo. L’anno successivo viene pubblicato il secondo Manifesto dei Rosa-Croce, la Confessio Fraternitatis R.C.#*; il volume contiene anche 444 Secretioris Philosophiae Consideratio Brevio a Philippo a Gabella, Philosophiae st (studiosus) conscripta, et nunc primum una cum Confessione Fraternitatis R. C., stampata da Wilhelm Wessel, Cassel 1615. I due Manifesti sono stati ristampati in un unico volume nel 1615, sempre a Cassel, da Wilhelm Wessel; nello stesso anno venivano

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la Considertatio brevis, un testo dello “studioso” Filippo de Gabella (personaggio non identificato, ma il cui nome potrebbe alludere alla Cabala) ispirato alla Monas Hieroglyphica di John Dee, di cui ripropone i primi tredici Teoremi, fornendo ulteriori spiegazioni sulla composizione del simbolo della “Monade”, che però non viene mai definita “Monade”, bensì “Stella”*, Il testo della Confessio riprende i temi della Fama, ribadendo l’idea di una grande Riforma, annunciata dalla apparizione di nuove stelle nelle costellazioni del Serpentario e del Cigno, e affermando che, quando la tromba dell’Ordine farà risuonare a piena voce ciò che noi mormoriamo solamente, «la tirannia del Papa verrà abbattuta». Inoltre, grazie alla diffusione della conoscenza del Padre Rosenkreutz, sarà possibile «trasformare, per mezzo del canto le rocce in perle e pietre preziose, gli animali feroci in spiriti»: un’affermazione che evoca il ricordo del canto di Orfeo, ma anche quello della Magia egiziana basata sul potere della voce. La terza pubblicazione dei Rosa-Croce ha un carattere alquanto diverso rispetto ai due Manifesti precedenti: si tratta infatti di un romanzo fantastico di ispirazione alchemica, Le Nozze Chimiche di Christian Rosenkeutz, Anno 1456, stampato a Strasburgo nel 161646 e unanimemente attribuito a Johann Valentin Andreae, il mistico promotore e organizzatore del movimento rosacrociano*”. Il testo, articolato in pubblicati anche a Francoforte da Johann Bringer, che ne fece una seconda edizione nel 1617; altre edizioni sono apparse ad Amsterdam (1617) e in Inghilterra a cura del filosofo ermetico Thomas Vaughan (1652). 445 Cfr. FA. Yates, L’Illuminismo dei Rosa-Croce, cit. pp. 55 ss. In queste pagine, la Yates invita anche a riconsiderare la teoria secondo la quale il nome Rosa-Croce non deriverebbe da Rosa e Croce, bensì da Ros (Rugiada) e Crux (Croce come simbolo della Luce), in riferimento al significato alchemico della Rugiada, come sembra confermare il motto di Dee «De rore caeli et pinguedine terrae et tibi Deus» riportato sul recto del frontespizio della Consideratio brevis. Inoltre, l’aver sostituito il termine Stella a quello di Monade, si collegherebbe all’immagine riportata nell’ultima pagina della Monas di Dee, in cui il simbolo della Monade è sormontato da una figura femminile che innalza una Stella. 446 Johann Valentin Andreae: Chymische Hochzeit Christiani Rosenkreutz. Anno 1459, stampato da Lazarus Zetzner, Strasburgo 1616; trad. it. Nozze chimiche di Christian Rosenkreutz. Anno 1459, ed. Athanòr, Roma 1975. 447 Johann Valentin Andreae, nato nel 1586 nel Wiirttemberg, studiò a Tubinga dove scrisse, verso 1602, una prima versione delle Nozze Chimiche. Nipote di un eminente teologo luterano, e lui stesso pastore protestante, faceva parte dell’ambiente che sosteneva l’elettore Federico V, vedendo in lui il tipo di sovrano illuminato che si sarebbe potuto contrapporre efficacemente allo schieramento cattolico (cfr. FA.

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sette “Giornate”, descrive l’esperienza spirituale di Christian Rosenkreutz, «Fratello della Rosa Croce Rossa», attraverso un succedersi di immagini, episodi e situazioni riconducibili al simbolismo alchemico; il racconto inizia l’apparizione di una Vergine alata con una tromba d’oro (la Fama), che gli consegna l’invito a partecipare alle «Nozze del Re», sul quale è impresso sigillo simile alla Monade di Dee; segue un sogno in cui Rosenkreutz immagina di essere liberato da una profonda torre oscura in cui si trova con molti altri prigionieri, ciechi e incatenati; dopo il risveglio, il protagonista indossa il «vestito delle nozze», un abito bianco attraversato da un nastro rosso a forma di croce e mette quattro rose rosse sul cappello. Giunto al Castello del Re, ricco di diverse meraviglie, dopo numerose vicende, assiste alle Nozze del Re e della Regina che culminano con l’uccisione e la decapitazione della coppia reale, che viene poi trasportata in segreto su un’isoletta in cui i corpi sono sottoposti a delle operazioni alchemiche che li fanno risorgere. Alla fine Rosenkreutz viene designato come «Guardiano della Porta» del Castello, con l’obbligo di restarvi fino alle Nozze del Figlio del Re, ma il giorno dopo viene fatto tornare a casa. Il racconto, ricco di simboli e metafore, utilizza la simbologia alchemica per indicare le tappe di un percorso spirituale simboleggiato attraverso le fasi operative proprie dell’Alchimia, delineando la caratteristica visione rosacrociana in cui l’aspetto mistico e spirituale è strettamente intrecciato con i simboli e le pratiche dell’Alchimia, della Magia e della Cabala. Ma non solo. La realizzazione spirituale individuale non è disgiunta dall’impegno di diffondere la verità e la conoscenza e promuovere la riforma della società: infatti, come ha ampiamente dimostrato la Yates, l’apparizione dei Rosa-Croce si inserisce perfettamente in quel vasto movimento di riforma politica e culturale di ispirazione ermetica in cui si erano impegnati uomini di cultura come John Dee e Giordano Bruno e che, sul fronte più specificamente politico e diplomatico, era stato promosso da personaggi come l’inglese Philip Sidney, prestigioso esponente della “Cavalleria protestante” dell’età elisabettiana, e il tedesco Christian von Anhalt, consigliere dell’elettore palatino Federico V.

con

un

Yates, op. cit. pp. 37 ss., 60, 65 ss.). 448 Cfr. F.A. Yates, op. cit. pp. 20 ss.

230

Nel 1612 era morto Rodolfo II d’Asburgo, che nel 1583 aveva trasferito la capitale imperiale da Vienna a Praga: interessato alle scienze occulte, aveva accolto alla sua corte maghi, astrologi, alchimisti e cabalisti; inoltre, pur avendo introdotto la Controriforma nei domini asburgici, aveva assicurato la libertà di culto alle Chiese ungherese e boema. Nel 1617 era diventato re di Boemia Ferdinando di Stiria, che, con l’appoggio dei Gesuiti, aveva messo fine alla politica di tolleranza promossa da Rodolfo, suscitando la violenta opposizione dei Boemi che, nel 1619, offrirono la corona del loro stato a Federico V; questi regnò a Praga durante l’inverno del 1619-1620 insieme alla sua sposa, l’inglese Elisabetta, ma non ottenne l’appoggio sperato del suocero, il sovrano d’Inghilterra, e neanche dai principi protestanti tedeschi, per cui, l’8 novembre del 1620, nella battaglia della Montagna Bianca, le sue forze, comandate da Anhalt, furono sconfitte dalle forze cattoliche guidate dal duca di Baviera e «il re e la regina d’inverno» dovettero fuggire precipitosamente da Praga, mentre il Palatinato veniva invaso dalle truppe spagnole che, nel 1622, ne conquistarono la capitale, Heidelberg. Con la sconfitta di Federico V le speranze dei riformatori subirono un duro colpo ed ebbe inizio la Guerra dei Trent’Anni che, contrapponendo di nuovo violentemente Cattolici e Protestanti, portò morte e devastazione nei territori dell’Europa centrale. Il movimento rosacrociano, tuttavia, continuò ad esercitare il suo fascino, coinvolgendo un numero crescente di studiosi, di persone interessate alle conoscenze occulte e di semplici curiosi, malgrado Valentin Andreae, fin dal 1617, ne avesse preso almeno apparentemente le distanze, definendolo un «ludibrium», uno scherzo“. Andreae si impegnò quindi nella fondazione di “Unioni Cristiane” che, pur avendo programmi simili a quelli enunciati dai Manifesti rosacrociani, proponevano soprattutto un rinnovamento religioso, senza concedere particolare spazio agli aspetti più esoterici dei Rosa-Croce, ma promuovendo la formazione di una cultura scientifica basata soprattutto sulla matematica*°, Il messaggio del Rosacrocianesimo continuò tuttavia ad esercitare la sua suggestione sia grazie alle istanze di rinnovamento espresse nei 449 TJ. Valentin Andreae usa questa espressione in una sua opera, il Menippus o Cento Dialoghi satirici, (Strasburgo 1617), mentre nella sua My/hologia Christiana... libri tres (Strasburgo 1619) riferendosi ai Rosa-Croce, li definisce «una ammirevole Confraternita, che rappresenta commedie in ogni parte d’Europa» (cfr. FA. Yates, op. cit. pp. 168 ss.). 450 Cfr. P. Arnold, op. cit. pp. 209 ss.; Yates, op. cit. pp. 173 ss.

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Manifesti, che continuavano ad essere profondamente sentite, sia per il fascino di una vasta produzione letteraria, sviluppatasi nei primi due decenni del secolo e collegata ai Rosa-Croce. Nel 1623, secondo quanto riferisce Gabriel Naudé‘!, furono affissi a Parigi dei manifesti che annunziavano la presenza dei Rosa-Croce in città e che suscitarono notevole scalpore: «Noi, delegati del Collegio principale dei Fratelli della Rosa-Croce, abbiamo eletto soggiorno visibile ed invisibile in questa città». Nello stesso anno furono pubblicati due testi che avevano l’intento di denigrare gli “Invisibili” Rosa-Croce, presentandoli come stregoni e adoratori di Satana*’e un’altra opera, scritta dal teologo Marin Mersenne, parimenti ostile ai Rosa-Croce, considerati stregoni e agenti sovversivi, in cui l’autore estendeva il suo attacco alla tradizione ermetica rinascimentale nel suo complesso*”, Nonostante questi attacchi, l’adesione alla Tradizione rinascimentale e rosacrociana non era venuta meno, e malgrado il carattere concreto e religioso che Andreae aveva voluto dare alle Unioni Cristiane, queste non dovevano essere lontane dagli ideali rosacrociani e dall’attività di circoli segreti. Nel 1623, in concomitanza con l’apparizione dei manifesti di Parigi, fu pubblicata a Francoforte La Città del Sole di Tommaso Campanella, il cui manoscritto era stato portato segretamente fuori dal carcere napoletano in cui il filosofo era stato rinchiuso da due suoi discepoli tedeschi, Tobias Adami e Wilhelm Wense, entrambi legati a Valentin Andreae; questi, a sua volta, nel 1619 aveva descritta una città utopica, Christianopolis, la cui pianta era basata sul cerchio e sul quadrato e la cui religione era una forma cristianizzata della tradizione ermetica e cabalistica, in cui aveva particolare rilievo il 451 G. Naudé, Instruction è la France sur la vérité de l’histoire des Frères de la RoseCroix, Parigi 1623. Il Naudé, erudito e libertino francese, teorico della “Ragion di Stato”, fu bibliotecario dei cardinali Richelieu e Mazzarino e pubblicò anche, nel 1625, una Apologia di tutti i grandi personaggi falsamente accusati di magia, affrontando l’argomento con lucida razionalità. La prima opera è un testo anonimo che reca il significativo titolo Orrendi patti stretti tra Satana e i presunti Invisibili, in cui si afferma che esistono trentasei Invisibili Rosa-Croce, sparsi per il mondo in gruppi sei; il secondo testo è La doctrine curieuse des beaux esprits des ce temps del gesuita Francois Garasse che definisce i Rosa-Croce una setta segreta tedesca, il cui segretario sarebbe Michael Maier (cfr. Yates, op. cit. pp. 123 ss.). 453 M. Mersenne, Questiones in Genesim, Parigi 1623: l’attacco di Mersenne, appartenente all’Ordine dei Frati Minimi, è rivolto contro la Magia e la Cabala e contro i maggiori esponenti della cultura ermetica rinascimentale come Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Enrico Cornelio Agrippa e, soprattutto, Robert Fludd. 452

di

232

«servizio degli

angeli»: come

può vedere, anche dopo aver formalmente rinnegato il Rosacrocianesimo, Andreae conservava di fatto il riferimento alla tradizione esoterica, mentre proseguiva la sua attività di organizzatore di associazioni ispirate al Modello di una società cristiana descritta in un suo opuscolo*”. Si hanno diverse informazioni si

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sull’esistenza di associazioni e circoli più o meno segreti e ispirati al rosacrocianesimo e sul fatto che diversi pensatori del tempo, come Cartesio, si interessarono e cercarono di entrare in contatto con la misteriosa Confraternita dei Rosa-Croce*. Fra le associazioni che continuavano ad auspicare la riforma della società, va citata un’organizzazione chiamata Antilia, dal nome di un’isola leggendaria, che perseguiva una riforma dell’istruzione e il progresso delle scienze con l’intento di unificare le varie Chiese e preparare il ritorno di Cristo. All’Antilia aderì verso il 1628 il pedagogo Samuel

Hartlib‘7 che ne promosse l’organizzazione in Inghilterra insieme al teologo scozzese John Dury: nel formulare il suo programma, Hartlib si ispirò alle idee sull’istruzione di Francis Bacon”® e alla Pansopbhia di

454 J. Valentin Andreae, Reipublicae Christianopolitanae Descriptio, presso Lazarus Zetzner, Strasburgo 1619. Cfr. Yates, op. cit. p. 181. 456 Cartesio, in seguito a tre sogni fatti nel 1619, cercò di entrare in contatto con la Confraternita Germania, mentre era arruolato nell’esercito del principe di Nassau; quando tornò in Francia nel 1623, si diffuse la voce che fosse diventato un Rosa-Croce, cosa che turbò alquanto il suo amico Mersenne (Cfr. Arnold, op. cit. pp. 288-298). 455

Samuel Hartlib, nato verso il 1600 in Prussia da padre Tedesco e madre inglese, trasferì in Inghilterra nel 1628; nel 1641 pubblicò una visione utopistica (A description of the famous kingdom of Macaria) ispirata alle precedenti Utopie di Tommaso Moro, Francesco Bacone e Valentin Andreae, della cui Christianopolis promosse la traduzione in inglese (a cura di John Hall, pubblicata nel 1647). Hartlib e il suo amico Dury furono fortemente influenzati da Andreae, col quale intrattennero rapporti di corrispondenza (cfr. Arnold, op. cit. pp. 219-221; Yates, op. cit. pp. 185-186). 458 Francis Bacon, nato nel 1561 a Londra, filosofo, statista e scienziato, è stato un promotore dell’Empirismo e della necessità di formulare una esposizione enciclopedica di tutte le conoscenze (Advancement of Learning, 1605; Novum Organon Scientiarum, 1620); nel 1614 scrisse la Nova Atlantis, una descrizione di società utopica che riscosse grande successo. Nell’Ottocento Delia Bacon (The Philosophy 457

si

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Comenio*”’, un’opera in cui si proponeva una esposizione completa e unificante di tutte le scienze, comprese l’Alchimia e la Magia. ebbe Nel 1641, in coincidenza con l’arrivo a Londra di Comenio, in Inghilterra una nuova ondata di entusiasmo rosacrociano, che però ebbe breve durata per il sopraggiungere della guerra civile‘, Tuttavia, è proprio in questo periodo burrascoso che furono gettate le basi di quell’Accademia delle Scienze che sarà la Royal Society. Secondo quanto riferisce John Wallis*!, nel 1645 ebbero luogo a Londra alcune riunioni per promuovere la ricerca nel campo della filosofia naturale e della sperimentazione scientifica: promotore di queste riunioni fu Theodor Haak, un editore tedesco del Palatinato, e fra i partecipanti è citato John Wilkins, che all’epoca era cappellano dell’elettore palatino a Londra e che nutriva un particolare interesse per i Rosa-Croce, per cui appare verosimile il collegamento con le visioni progressiste

si

of Shakespeare's Plays, 1857; Francis Bacon and His Secret Society, 1891) ha sostenuto che le opere di Shakespeare fossero state scritte da Francis Bacon e da un gruppo segreto di intellettuali di cui faceva parte. 459 J.A. Comenius, Prodomus pansopbiae, Oxford 1637. Johann Amos Comenio, nato nel 1592, filosofo, teologo e pedagogista, appartenente alla comunità dei Fratelli Boemi, si trovava ad Heidelberg nel 1613 come giovane studente; nel 1623, durante la sua fuga dalla Boemia, invasa dalle truppe asburgiche, scrisse il Labirinto del Mondo ed il Paradiso del cuore (pubblicato in ceco nel 1631), un testo in cui esprimeva la sua delusione per l’esito negativo dell’impresa boema dell’elettore palatino, descrivendo una città di fantasia in cui è tutto sbagliato, e che pertanto risulta del tutto opposta ai modelli utopistici; in quest'opera, Comenio dedica un intero capitolo ai Rosa-Croce (il dodicesimo, intitolato Il pellegrino incontra i Rosa-Croce), riferendo in una nota di aver letto una copia della Fama stampata nel 1612 (quindi precedente di due anni la prima edizione nota) e descrivendo l’entusiasmo che aveva suscitato. Durante il suo esilio, Comenio soggiornò in molti paesi e nel 1641 giunse in Inghilterra su invito di Samuel Hartlib e vi espose la sua Pansopbia. (Cfr. Yates, op. cit. pp. 187 ss.). 460 La guerra civile inglese iniziò nel 1642 con il conflitto che opponeva Carlo I Stuart, figlio di Giacomo I, appoggiato dall’aristocrazia e dalla Chiesa anglicana, ad una parte del Parlamento, che si opponeva alle mire assolutistiche del sovrano e in cui erano invece rappresentati gli interessi dei ceti borghesi; la prima fase della guerra civile terminò nel 1649 con la sconfitta e la decapitazione di Carlo I; venne quindi proclamata la repubblica e si ebbe la dittatura militare di Cromwell (1653-1658); la terza fase (1658-1660) terminò con il ritorno e la vittoria di Carlo II, figlio di Carlo I, che restaurò la monarchia e la Chiesa anglicana, ma non poté più esercitare un potere assoluto. 461 John Wallis (1616-1703) fu un matematico e crittografo; le notizie sulle riunioni del 1645 sono riportate in due relazioni scritte nel 1678 e nel 1697 (cfr. Yates, op. cit. p::215};

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elaborate nell’ambiente rosacrociano del Palatinato*“. Robert Boyle, in una lettera del 1646 e in un’altra del 1647 indirizzata ad Hartlib, parla di un gruppo con cui era in contatto e che si dedicava allo studio della filosofia naturale e alla sperimentazione; Boyle definisce «Collegio Invisibile» l’associazione di questi ricercatori ed è probabile che si trattasse dello stesso gruppo formato da Haak, mentre la definizione di «Invisibili» è un riferimento, forse scherzoso, ai Rosa-Croce. Nel 1648 il gruppo che faceva capo a Wilkins iniziò a riunirsi ad Oxford e a queste riunioni, alle quali partecipava anche Boyle, è stata fatta risalire l’origine della Royal Society, che venne ufficialmente fondata nel 1660 sotto la protezione di Carlo In questi anni, l’interesse per i Rosa-Croce e la Tradizione Ermetica non era affatto assopito e nel 1652 il filosofo Thomas Vaughan‘ pubblicò, sotto lo pseudonimo di Eugenius Philalethes, la traduzione inglese della Fama e della Confessio, mentre il teologo puritano John Webster pubblicò un’opera in cui esortava ad insegnare nelle Università la «Filosofia di Ermete» e faceva ampio riferimento a Dee, Agrippa, Paracelso e Fludd*”; l’astrologo e occultista John Heydon dichiarò pubblicamente di essere un Rosa-Croce, scrivendo un’opera di ispirazione utopistica e rosacrociana in cui metteva in evidenza le analogie fra le concezioni espresse da Bacon nella Nova Atlantis e quelle della Fama Fraternitatis!. Anche se, come abbiamo visto,

II,

si

462 Appare significativo il fatto che John Wilkins, nel suo libro Mathematical Magick (1648) ricordi la lampada perpetua trovata nel sepolcro di Christian Rosenkreutz e si ispiri all’Utriusque Cosmi Historia del rosacrociano Robert Fludd, facendo anche riferimento alla Prefazione a Euclide di John Dee. 463 Thomas Sprat, nella sua History of the Royal Society, pubblicata nel 1667, riferisce che le riunioni del gruppo di Oxford si tennero fra il 1648 e il 1659, nelle stanze di Wilkins al Wadham College. Oltre a Wilkins e Boyle, facevano parte del gruppo iniziale gli scrittori John Evelyn e Thomas Browne, i fisici Robert Hooke e John Aubrey, il matematico John Wallis, l’architetto Christopher Wren e altri (cfr. Yates, op. cit. pp 218 ss.). 464 Thomas Vaughan è autore di diversi testi di carattere mistico e alchemico (An/throposophia Theomagica, Anima Magica Abscondita, Magia Adamica, Lumen de Lumine) pubblicati fra il 1650 e il 1651; si dedicò anche ad esperimenti alchemici insieme ad altri due studiosi del gruppo dei fondatori della Royal Society. 465 J. Webster, Academiarum Examen, or the Examination

of Academies, Londra

1654.

466 J. Heydon, The Voyage in the Land of the Rosicrucians, Londra 1660; Heydon è autore anche di diversi altri testi in cui espone gli insegnamenti dei Rosa-Croce (New Method of Rosie Crucian Physick, The Rosie Crucian Infallible Axiomata, Theomagia) pubblicati fra il 1658 e il 1664.

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l’influsso rosacrociano e l’interesse per le scienze occulte e l’alchimia erano ben vivi fra i fondatori della Royal Society, alcuni studiosi cominciavano ad avvertire l’esigenza di separare la ricerca scientifica dagli aspetti magici ed esoterici della tradizione rinascimentale e di prendere le distanze dalle posizioni di Dee e Fludd: in tal senso il matematico Seth Ward, uno dei partecipanti alle riunioni di Oxford, criticò aspramente Webster, sostenendo che la via sperimentale tracciata da Bacon era radicalmente opposta a quella misticheggiante di Fludd.

I ROSA-CROCE E L’ALCHIMIA Al successo riscosso dal messaggio dei Rosa-Croce, ha contribuito in modo decisivo la pubblicazione di un gran numero di testi di ispirazione rosacrociana, particolarmente concentrata nei primi due decenni del secolo, con opere che hanno esercitato una notevole suggestione per i loro contenuti e, spesso, per la ricchezza del loro apparato iconografico, e nelle quali sono delineate delle vie di realizzazione spirituale che si coniugano in modo originale e sapiente con le dottrine esoteriche e la mitologia.

Heinrich Khunrath Fra i libri di ispirazione rosacrociana va citato, in primo luogo, l’Amphitheatrum Sapientiae aeternae, scritto dal medico e alchimista tedesco Heinrich Khunrath*7 e pubblicato nel 1595, quindi diversi anni prima dei Manifesti dei Rosa-Croce, nel quale tuttavia la loro filosofia è già esposta compiutamente con il suo intreccio di visioni mistiche e di formulazioni alchemiche, magiche, matematiche e cabalistiche. Nell’opera di Khunrath è evidente l’influsso esercitato dalla Monas di John Dee, per cui, come nota la Yates, l’Anmphitheatrum «rappresenta un nesso tra la filosofia influenzata da Dee e la filosofia dei manifesti rosacrociani»*°, Ma il libro di Khunrath, corredato da 467 Heinrich Khunrath (ca. 1560-1605) è stato un medico, alchimista e filosofo ermetico tedesco, seguace di Paracelso e autore di diverse opere alchemiche, fra cui la più importante è l’Armpbitheatrum Sapientiae aeternae, pubblicato ad Amburgo nel 1595 la cui edizione più diffusa è stata pubblicata postuma ad Hanau nel 1609, nella quale alle quattro grandi incisioni che illustrano la prima edizione, ne sono state aggiunte altre cinque. 468 Cfr. Yates, op. cit. p. 46. Secondo quanto riferisce Elias Ashmole nella sua raccolta di testi alchemici (Theatrunm Chemicum Britannicum, Londra 1652, p. 483) John Dee, a Brema, nel 1589, incontrò «quel famoso filosofo ermetico, il dottor Heinrich Khunrath di Amburgo».

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grandi tavole incise, in cui gli elementi figurativi sono accompagnati da didascalie e parti scritte, costituisce un vero e proprio “Teatro della Memoria”, volto ad agevolare l’apprendimento dei concetti mediante un’originale combinazione di parole e immagini, capaci di suscitare l’interesse dell’osservatore e di spingerlo ad una più attenta analisi. Ricordiamo la più nota di queste belle incisioni, che mostra il Laboratorio dell’Alchimista in una cornice circolare che reca una lunga iscrizione con varie massime di tipo mistico, morale e operativo (una delle quali fa riferimento ad Arpocrate), mentre altre iscrizioni si trovano all’interno della scena: questa è ambientata in un profondo salone rappresentato in una rigorosa prospettiva, che richiama i consueti riferimenti alla Geometria e agli insegnamenti di Vitruvio; al centro, su un lungo tavolo, sono poggiati quattro strumenti musicali a corda, dei libri e alcuni strumenti per le operazioni alchemiche, fra cui una bilancia e i suoi pesi; l’alchimista stesso è raffigurato sulla sinistra, inginocchiato, come in preghiera, davanti ad una tenda-tabernacolo con la scritta cui interno si trova un tavolo su cui sono posti due «Oratorium» libri aperti: nel primo sono disegnati due diagrammi magici, nell’altro sono scritti il Tetragramma e una citazione; dietro al Tabernacolo, su uno scaffale, si trova una serie di libri, mentre in primo piano, si leva il fumo da un incensiere posto accanto ad un acquamanile. Nel lato destro è descritta l’attrezzatura necessaria alla pratica alchemica: in primo piano si vedono tre forni o Atanòr, su uno dei quali è posto un alambicco, mentre un altro reca la scritta «Festina lente» e sul terzo si legge «Maturandum»; più dietro si trova una struttura che reca la scritta «Laboratorium» e che sembra un grande camino sorretto da due colonne (con le scritte «Ratio» ed «Experientia»); all’interno di questa struttura si trovano altri tre forni e vari attrezzi, mentre sul cornicione sono allineati i vasi contenenti le sostanze utilizzate nell’Opera. Questa immagine fornisce, in una mirabile sintesi, un chiaro quadro della via di realizzazione spirituale quale è stata concepita da Dee e da Khunrath e, dopo di loro, dai Rosa-Croce. Se al centro della

al

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scena si trovano gli strumenti che simboleggiano l’armonia cosmica nel suo rapporto con la musica, la misura e le proporzioni, ai due lati sono rappresentati i due aspetti dell’Opera filosofica (o «teosofica»): quello mistico, magico e cabalistico, basato sulla meditazione, la preghiera e l’evocazione, e quello prettamente alchemico, fondato sulla pratica operativa e sull’aspetto spirituale di tale esperienza.

Michael Maier Al loro apparire, i Rosa-Croce avevano suscitato un’ondata di entusiasmo che aveva portato alla pubblicazione di numerose opere i cui autori esprimevano la loro adesione agli ideali rosacrociani e si ergevano a difensori della misteriosa Confraternita‘, Fra gli autori che hanno condivisa la filosofia rosacrociana, due meritano una particolare attenzione, il tedesco Michael Maier e l’inglese Robert Fludd, ambedue medici e seguaci di Paracelso, che, con le loro opere, hanno dato un contributo fondamentale alla formazione di una vera e propria cultura rosacrociana dal carattere fortemente ermetico ed ispirato alla antica tradizione egizia*7°, Fra le numerose opere di Michael Maier’’!, consideriamo per primo il testo intitolato Arcana arcanissima (Tavola 9a), che fu pubblicato 469 Fra le numerose opere, pubblicate per lo più sotto pseudonimi, per esaltare la filosofia dei Rosa-Croce e per esprimere il desiderio di entrare a farne parte, ricordiamo il Sendebrieff oder Bericht von der neuen Bruderschaft des Ordens der Rosenkreutzer di Julianus de Campis (1615), lo Speculum Sophicum Rbodo-Stauroticum di Theophilus Schweighardt (1618), illustrato con interessanti incisioni, la Rosa florescens di Florentinus de Valencia, il Pegasus Firmamenti di Josepho Stellatus (1619). 470 Vanno citati i due editori stampatori presso i quali è stata pubblicata la maggior parte delle opere di Michael Maier e Robert Fludd e che appartenevano all’area culturale di ispirazione rosacrociana ed erano entrambi calvinisti di origine belga: Johann Theodor de Bry, stabilitosi prima a Strasburgo e poi, nel 1578, a Francoforte, e Lucas Jennis, imparentato con i de Bry, attivo a Francoforte e a Oppenheim, cittadina del Palatinato, che pubblicò, oltre a opere di Maier, diversi altri testi alchemici (di Lambsprinck, Mylius, Stolcius, Basilio Valentino, ecc.), illustrandoli con incisioni di sua mano. 471 Michael Maier, nato nel 1569 a Kiel, dopo aver concluso i suoi studi in medicina, dal 1597 prese ad interessarsi all’Alchimia, riuscendo, dopo diversi anni, a ottenere l’Elisir o Medicina Universale, secondo quanto riferisce egli stesso nel libretto De Medicina regia et vere heroica, Coelidonia, stampato a Praga nel 1609 e donato all’imvolle il Maier come suo medico peratore Rodolfo II, che ne apprezzò il contenuto personale e consigliere. Dopo la morte del suo protettore, Maier, abbandonata Praga, si trasferì in Inghilterra dove conobbe Robert Fludd e, secondo J.B. Cravens (Dr.

e

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senza indicazione della data né del luogo di edizione, ma dovrebbe essere stato stampato durante un suo soggiorno in Inghilterra, verso il 1613-14, come confermerebbe la dedica al medico inglese Sir William Paddy: in quest’opera, il cui titolo anticipa la definizione di Arcana Arcanorum attribuita ad un rituale settecentesco di ispirazione egizia, Maier delinea la sua concezione secondo la quale le storie degli Dei egiziani e i miti greci vanno interpretati come metafore relative all’Opera alchemica e al percorso di realizzazione spirituale. Il titolo completo dell’opera, in cui si identificano gli Arcana con i «geroglifici egizio-greci», la colloca chiaramente nel quadro dell’interpretazione ermetica dei Misteri egiziani e greci e l’illustrazione del frontespizio fa parimenti riferimento all’antico repertorio iconografico e simbolico, mostrando, in alto, l’immagine di «Tifone», ovvero Seth, fra quelle di Iside e Osiride, mentre in basso, fra due obelischi, si vedono l’Ibis, simbolo di Thot, il Toro Apis e il Cinocefalo sacro ad Anubi; completano l’immagine due scene con Ercole e Dioniso, confermando lo stretto rapporto che lega la tradizione egizia a quella greca. Se nell’Arcana arcanissima Maier si collocava nell’alveo della tradizione ermetica rinascimentale, con il libretto Silentium post clamores, pubblicato nel 1617, prendeva esplicitamente posizione a favore dei Rosa-Croce, scrivendone l’Apologia e sostenendo la necessità del Silenzio nel rispetto del Segreto iniziatico: viene quindi evidenziato il legame che unisce la Confraternita dei Rosa-Croce agli antichi Misteri e questo concetto viene confermato dalla presenza di Arpocrate, il Dio del Silenzio, nell’unica immagine inserita nel testo (vedi Capitolo VIII). Maier torna a parlare dei Rosa-Croce nella Themis aurea, un testo pubblicato nel 1618 in cui illustra la struttura della Confraternita e le sue leggi, considerandola un Ordine cavalleresco e confrontando Robert Fludd. The English Rosicrucian. Life and writings. 1902), lo iniziò al Rosacrocianesimo, mentre, secondo la Yates (op. cit. p. 97), potrebbe essere stato Fludd a influenzare Maier. Ritornato in Germania, Maier iniziò a pubblicare le sue opere ispirazione rosacrociana: De circulo physico quadrato (presso Lucas Jennis, Oppenheim 1616), Lusus serius (Lucas Jennis, Oppenheim 1616), Silentium post clamores (Lucas Jennis, Francoforte 1617), Symbola Aureae Mensae duodecim Nationum (Lucas Jennis, Francoforte 1617), Atalanta fugiens (presso Theodor de Bry, Oppenheim 1618), Viatorium, hoc est de montibus planetarum septem (de Bry, Oppenheim 1618), Themis aurea (Lucas Jennis, Francoforte 1618). Michael Maier scomparve a Magdeburgo nel 1622, e non resta traccia della sua sepoltura: appare significativo che l’ultima opera da lui pubblicata (Cantilenae Intellectuales et Phoenice redivivo, Rostock 1622) sia dedicata alla rinascita della Fenice, simbolo della rigenerazione della Materia alchemica

di

e dell‘iniziato.

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l’emblema della Rosa-Croce con quelli dei Cavalieri di Malta, degli Ordini del Toson d’Oro e della Giarrettiera; afferma inoltre di aver conosciuto una città chiamata «Spirito Santo», identificandola con Elicona e il Parnaso, dove Pegaso aveva fatto scaturire una «copiosa sorgente» in cui si era bagnata Diana, un’immagine che allude alla fase alchemica dell’Albedo. Nel 1617 Maier aveva pubblicato anche i Synbola Aureae Mensae duodecim Nationum*, un testo in cui ribadiva l’idea della continuità della tradizione iniziatica e della sua diffusione universale, facendo riferimento a dodici alchimisti come rappresentanti di tale tradizione nei rispettivi paesi e nell’illustrazione del frontespizio sono raffigurati i loro immaginari ritratti: la serie inizia, in alto, al centro, con Ermete Trismegisto, fondatore della tradizione egizia, affiancato dall’alchimista Maria l’Ebrea, il che ripropone il parallelismo fra tradizione egizia ed ebraica; seguono, a destra, il greco Democrito, il romano Morienus, l’arabo Avicenna e il tedesco Alberto Magno; in basso si vedono, al centro, francese Arnaldo da Villanova e l’italiano Tommaso d’Aquino, mentre a sinistra sono posti Raimondo Lullo per la Spagna, Ruggero Bacone per l’Inghilterra, il prete ungherese Melchior Cibinensis e un «Anonymus Sarmata» rappresentante dell’Europa orientale (Tavola 9b). L’opera più bella e famosa di Michael Maier è però senz’altro l’Atalanta fugiens, pubblicata nel 1618 a Oppenheim presso Johann Theodor de Bry ed illustrata verosimilmente dal genero di questi, il famoso incisore Matthàus Merian: l’opera è composta da cinquanta capitoli di quattro pagine, ognuno dei quali contiene, nella prima pagina, una fuga musicale a tre voci con i primi due versi di un epigramma latino, la cui traduzione in tedesco viene riportata in basso; nella seconda pagina si vede un emblema con un’immagine riferita al contenuto dell’epigramma e, in basso, i versi in latino dello stesso; nelle due pagine successive Maier sviluppa invece un «Discorso» a commento del soggetto dell’epigramma e dell’immagine.

il

i

cui interessi alchemici 472 Il libro è dedicato al principe Ernest von Schaumburg, sono ben documentati e che si fece erigere nella città di Stadthagen, in Bassa Sassonia, un mausoleo di forma ettagonale che evoca il ricordo del sepolcro di Christian Rosenkreutz.

240

Nell’Atalanta Maier ha dunque fatto in modo di descrivere le fasi e i concetti della Grande Opera utilizzando insieme diversi media: l’immagine visiva, il testo (sia in forma poetica che discorsiva), la musica e il canto, creando una mirabile sintesi espressiva che risponde perfettamente all’idea dell’unità delle Arti e dell’amplificazione della potenza comunicativa nella congiunzione del suono, della parola e dell’immagine. Inoltre, le concezioni filosofiche dell’Ermetismo, come la citazione di frasi della Tavola di Smeraldo nei due primi capitoli, sono espresse insieme alle sentenze e alle immagini proprie della pratica alchemica, come quelle del Rebis. Ma troviamo anche immagini ispirate agli antichi miti egiziani e greci, dalla storia dell’uccisione di Osiride alla nascita di Atena, ribadendo l’idea, già espressa nell’Arcana Arcanorum, che le antiche favole vadano interpretate in chiave ermetica e alchemica. L’illustrazione del frontespizio (Tavola 9c) già fornisce un esempio di tale sintesi di mitologia e simbologia alchemica: in alto è raffigurato il Giardino delle Esperidi con al centro Ladone, il drago dalle molte teste, e ai lati le tre ninfe Egle, Aretusa e Espertusa, figlie della Notte o di Atlante, collegate al tramonto, a tre alberi (il pioppo, il salice e l’olmo) e a tre agrumi, esperte nel canto e nella danza; nella zona centrale si vede, sinistra, Ercole che, penetrato nel Giardino, si impadronisce dei suoi Pomi dorati, mentre a destra vediamo Venere che dona a Ippomene (chiamato altrove Melanione) i tre Pomi che aveva ricevuto da Ercole; in basso è descritta la gara di corsa in cui I[ppomene riesce a sconfiggere la velocissima Atalanta grazie ai Pomi donatigli da Venere con cui ne riesce a rallentare la corsa; per ultimo si vede la coppia di leoni in cui furono trasformati Atalanta ed Ippomene per essersi accoppiati in un tempio della Dea Cibele. Secondo l’interpretazione alchemica, le tre Esperidi corrispondono ai tre colori dell’Opera (Nero, Bianco e Rosso), mentre il Drago Ladone, figlio di Tifone, indica la parte arsenicale dei minerali, con il suo potere igneo e dissolvente, che genera la Putrefazione della Materia nell’Opera al Nero; Atalanta rappresenta l’Acqua mercuriale, la parte più volatile della Materia che deve essere fissata con la parte fissa dell’Oro, indicata nei tre Pomi delle Esperidi, ottenuti al termine delle Fatiche di Ercole, che rappresentano le prime fasi dell’Opera; la metamorfosi di Atalanta e Ippomene in due leoni, indica invece l’ottenimento della Pietra Bianca e di quella Rossa, entrambe di natura ignea e capaci di divorare i metalli

a

241

imperfetti‘’. Le tre voci delle Fughe musicali, corrispondono a tre fasi della gara fra Atalanta e Ippomene: la voce più alta corrisponde alla Fuga di Atalanta (Atalanta seu Vox fugiens), quella intermedia all’inseguimento di Ippomene (Hippomenes seu Vox sequens), mentre la più bassa è riferita alle soste di Atalanta che raccoglie i Pomi lasciati cadere da Ippomene (Ponza objectum seu Vox Morans), il che significa che Ippomene rappresenta il termine intermedio fra il Volatile e il Fisso, fra la fuga dal mondo e l’eccessivo attaccamento alla materia. Robert Fludd Robert Fludd#’! fu, come Michael Maier, un appassionato cultore della Tradizione Ermetica ed un convinto fautore del Rosacrocianesicui prese le difese, pubblicando, fra il 1616 e il 1617, due scritti mo, apologetici, cui va aggiunto un Trattato teologico-filosofico sulla vita, la morte e la resurrezione, dedicato ai Fratelli Rosa-Croce e stampato da de Bry a Oppenheim*”’, La sua opera maggiore, l’Utriusque Cosmi Historia‘, è un ponderoso testo enciclopedico, pubblicato in più parti, poi raccolte in due volumi, basato sulla concezione ermetica della corrispondenza fra Macrocosmo e Microcosmo e volto ad analizzare tali corrispondenze nei vari aspetti della realtà fisica e metafisica: il primo

di

Cfr. Dom Antoine-Joseph Pernety, Les Fables égyptiennes et grecques dévoilées, Parigi 1786, Libro Il, Cap. III; ed. it. Le favole egizie e greche, ed. Alkaest, Genova 1980, pp. 136-152. 473

474 Robert Fludd, nato nel 1574 nel Kent, dopo aver compiuto i suoi studi in medicina a Oxford, esercitò la professione medica a Londra; il contatto con Michael Maier risulta verosimile grazie alla comune amicizia col medico Sir William Paddy, cui Maier aveva dedicato il suo Arcana Arcanissima; è anche possibile che sia entrato in contatto con i Rosa-Croce durante un suo viaggio in Germania. Fludd, oltre che alla Medicina, si interessò all’Alchimia, all’Astrologia e alla Cabala, perseguendo l’ideale rinascimentale dell’unità delle conoscenze. Morì a Londra nel 1636. R. Fludd, Apologia compendiaria, Fraternitatem de Ros@-Cruce suspicionis et infamia maculis aspersam, veritatis quasi fluctibus abluens et abstergens, Leyda 1616; Tractatus apologeticus integritatem Societatis de Rosea Cruce defendens, Lione 1617; Tractatus theologico-philosophicus de vita, morte et ressurectione, fratribus Roseae Crucis dedicatus, de Bry, Oppenheim 1617. 476 R. Fludd, Utriusque cosmi maioris scilicet et minoris metapbysica, physica atque technica Historia, de Bry, Oppenheim e Francoforte 1617-1624. Presso de Bry, a Francoforte, Fludd ha pubblicato anche diverse altre opere: Veritatis proscenium (1621), Monochordium Mundi sympboniacum ]. Kepplero oppositum (1622), Anatomiae ampbhitheatrum (1623), Philosophia sacra & vera christiana seu Meteorologia cosmica

475

(1626).

242

è

diviso in due trattati, nel primo dei quali sono esaminati gli aspetti fisici e metafisici del Macrocosmo, mentre il secondo è dedicato all’Arte che imita la Natura (De Arte Naturae Simia) ed esamina diversi rami del sapere e delle tecniche adoperate dall’uomo (dalla Matematica alla Prospettiva e all’Arte pittorica, all’Arte militare, alle scienze relative al moto e al tempo, alla Cosmografia e all’Avolume

strologia). Nel secondo tomo, composto da tre trattati, Fludd considera gli aspetti «soprannaturali, naturali, preternaturali e contronaturali» della «Storia del Microcosmo», affrontando il tema dalla costituzione dell’uomo composto da una triplice anima OR e dal corpo: in questo trattato” (pag. 219) è inserita una delle più note immagini del testo, in cui Fludd ha voluto visualizzare il rapporto che collega il Macrocosmo (con i suoi tre Mondi intellettuale, immaginabile e sensibile) all’anima ed alle facoltà umane del Microcosmo; nel secondo trattato sono invece elencate sette forme di attitudini o capacità umane che vanno dal Vaticinio alla Musica, all’Arte della Memoria, alla Chiromanzia e alla «Contemplazione piramidale» che consente di percepire simmetrie e proporzioni armoniche. Malgrado Casaubon*’î avesse dimostrato nel 1614 che i testi del Corpus Hermeticum non potevano risalire a prima del I secolo d.C., Fludd rimase tenacemente attaccato alla convinzione dell’antichità di Ermete Trismegisto e che la sapienza egiziana costituisse il fondamento della conoscenza, il che provocò gli attacchi di altri pensatori, come il teologo Mersenne e l’astronomo Gassendi, che contestarono la validità

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ia

477 R. Fludd, Utriusque Cosmi historia, Tomo IL: Tomus secundus de supernaturali, naturali, praeternaturali et contranaturali Microcosmi bistoria, Oppenheim 1619, Trattato I, Sect. I, Lib. X (De triplici anima in corpore visione), p. 219. 478 Isaac Casaubon, De rebus sacris et ecclesiasticis exercitationes XVI, Londra 1614.

243

della sua opera sostenendo che si basava su insegnamenti «egiziani» non dimostrabili; ad essi Fludd rispose con un’opera intitolata Clavis pbilosophiae et alchymiae Fluddanae’°, nel cui frontespizio mostrava orgogliosamente il simbolo della Rosa sulla Croce con la scritta «DAT ROSA MEL APIBUS», volendo significare che la Rosa, simbolo del succedersi delle fasi alchemiche e della “Rugiada celeste”, dona il miele, da cui si ricava l’Ambrosia, la bevanda dell’immonrtalità, alle Anime degli iniziati, simboleggiate dalle Api. Basilio Valentino Anche se si stavano rafforzando le correnti di pensiero che prendevano le distanze dalla tradizione ermetica rinascimentale, l’interesse per discipline esoteriche come l’Alchimia e la Cabala rimase vivo per tutto il Seicento. Furono pubblicati numerosi importanti testi, soprattutto di Alchimia, il che rivela la presenza di una vasta schiera di ricercatori e adepti che continuavano a vedere nella filosofia e nella pratica ermetica un metodo di ricerca che permetteva di penetrare i segreti della Natura e di seguire una prassi sperimentale, unitamente ad un percorso spirituale, senza rinunciare ai riferimenti culturali dell’antica Tradizione. Vengono pubblicate, in questo secolo, le opere del leggendario monaco tedesco Basilio Valentino, che sarebbe vissuto agli inizi del XV secolo nel convento benedettino di San Pietro a Erfurt, e i cui scritti sarebbero stati miracolosamente ritrovati quando una colonna, all’interno della quale erano celati, fu colpita da un fulmine*®. Oggi si ritiene generalmente che il corpus degli scritti attribuiti a Basilio Valentino sia stato compilato in un’epoca successiva, verso la fine del XVI secolo, da un alchimista seguace di Paracelso, probabilmente dallo stesso Johann Tholde che curò per primo la pubblicazione delle sue opere: in esse si ritrovano infatti diverse concezioni paracelsiane, come la dottrina dei “Tre Principi”, Zolfo, Mercurio e Sale, e l’uso dell’Antimonio, per cui alcuni hanno ritenuto invece che fosse stato

479 R. Fludd, Clavis philosophiae et alchymiae fluddanae, Francoforte 1633. In risposta a Mersenne, Fludd aveva pubblicato nel 1629 un altro testo intitolato Sophiae cum Moria certamen. 480 Cfr. Lenglet du Fresnove, op. cit. vol. I, pp. 228 ss.; si veda anche l’Introduzione di E. Canseliet alla moderna edizione francese di Les douze clefs de la Philosophie, Ed. de Minuit, Paris 1956.

244

Paracelso ad essere stato influenzato

dal misterioso Benedettino*!. Una delle più famose opere attribuite a Basilio Valentino, Le dodici chiavi, dopo la prima edizione in tedesco, pubblicata nel 1599, è stata inserita da Michael Maier nel Tripus SR Aureus, una raccolta di tre testi tradotti in latino che comprende, oltre alla Dodici Chiavi, il Crede mibi di Thomas Norton e il Testamentum di Cremer, entrambi alchimisti inglesi*%2, nel libro, edito da Lucas Jennis, appare per la prima volta la serie delle dodici incisioni che illustrano le Chiavi, e che rappresenta una

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2A i

delle più note e significative testimonianze dell’iconografia alchemica. Nel 1624 venne pubblicata in Francia la versione in francese di un’altra opera di Basilio Valentino, l’Azoth, termine che ricorre anche in Paracelso (in alcuni ritratti del quale appare inciso sul pomo della sua spada) e che allude alla sequenza delle lettere dell’alfabeto per indicare il “Mercurio dei Filosofi”. Il libro è corredato da una serie

Si è avanzata l'ipotesi che l’autore delle opere di Basilio Valentino sia stato 481 Johann Thòélde, un alchimista paracelsiano che per primo ha curato la pubblicazione di una sua opera (Ein kurtz Summarischer Tractat, Von dem grossen Stein der Uralten, Eisleben 1599, in cui è inserito anche il testo delle Dodici Chiavi). Thòlde ha parimenti curata la pubblicazione delle altre opere di Basilio Valentino: Surmarischer Bericht von dem Lapide Philosophorum, Zerbst 1602; De Occulta Philosopbia. Oder Von der beimlichen Wundergeburt der sieben Planeten und Metallen, Leipzig 1603; Von den Natiirlichen unnd ubernatiirlichen Dingen, Leipzig 1603; Triumpbwagen Antimonii, Leipzig 1604 e 1611 (Cfr. M. Pereira, Alchimia, ed. cit. pp. 958 ss.). 482 M. Maier, Tripus Aureus, hoc est tres tractatus chymici selectissimi, edito da Lucas Jennis, Francoforte 1618.

245

di quindici incisioni, apparse per la prima volta nel Prodromus Rodo-Stauroticus, un testo rosacrociano stampato nel 1620, e questa serie di immagini risulta particolarmente interessante perché vi compare per ben tre volte la massima da cui è composto l’acrostico VITRIOL (Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem): una prima volta la massima compare su un cartiglio che accompagna la figura di Atlante che regge il globo celeste, mentre ai suoi piedi si vedono una testa dai tre volti poggiata su un libro, con vicino la scritta «Prudentia», e un bambino con una tavola su cui sono scritte le lettere ABC ei numeri 123, e che è contrassegnato dalla scritta «Simplicitas»; la seconda volta si trova in un’immagine collegata alla Tavola di Smeraldo, mentre la terza volta si trova in un’illustrazione che rappresenta «L’intera Opera di Filosofi» e che effettivamente ne costituisce la sintesi, mostrando una figura antropomorfa alla quale è sovrapposta una stella a sette punte, in rapporto ai “Pianeti” o “Metalli” e un cerchio in cui è posta l’iscrizione, posto fra i quattro Elementi e i tre Principi (Spirito, Anima e Cor|

po),

Nel frontespizio di un altro testo di Basilio Valentino, stampato a Parigi nel 1646, si trova un’altra immagine altamente significativa, in cui a Basilio Valentino viene affiancato lo stesso Ermete Trismegisto‘: la tavola è divisa in due parti e mostra, a sinistra, Basilio Valentino all’opera nel suo laboratorio, con alle spalle due scaffali su cui si trovano i libri della «Theoria» e i contenitori dei materiali destinati alla «Practica»; a destra si vede Ermete che regge una sfera armillare mentre controlla un alambicco durante la distillazione; accanto a lui è posto uno strumento a corda e alle sue spalle si vedono le canne di un organo, il che indica l’Arte della Musica, espressione dell’armonia cosmica, come conferma l’iscrizione secondo la quale è !

"

*

483

Basile Valentin, Les Douze Clefs de la Philosophie... Plus l’Azoth, ou le moyen de

faire l’Or caché des Philosophes, Parigi 1624. Il testo dell’Azoth era già stato pubblicato in Germania nel 1613, senza però essere attribuito a Basilio Valentino. Vedi anche Prodromus Rbodo-Stauroticus, s. 1. 1620. 484

Basile Valentin,

Révélations des mystères des teintures des sept métaux, chez

Jacques Senlecque, Paris 1646.

246

la «Harmonia» che mette in fuga gli spiriti maligni, il che trova riscontro nell’immagine della distillazione, operazione che trasforma la natura e le proprietà di tutte le cose. Appare dunque evidente lo stretto rapporto che collega alla cultura ermetica e rosacrociana la pubblicazione delle opere del misterioso monaco di Erfurt, opere che rappresentano un caposaldo della tradizione alchemica e che hanno indicato, pur sotto il velo dei simboli, dei procedimenti operativi ai quali hanno fatto riferimento anche alchimisti dell’età moderna come Fulcanelli e il suo discepolo Canseliet, che lo afferma esplicitamente: «Conserviamo vivido il ricordo del culto del nostro vecchio maestro Fulcanelli per Basilio Valentino, che con-

siderava

come

il suo primo

iniziatore»*®”.

ALCHIMISTI E CHIMICI La lezione di Michael Maier sull’efficacia della combinazione di testo e immagine era stata pienamente recepita e l’editore e incisore Lucas Jennis pubblicò, negli anni Venti del Seicento, diversi altri testi alchemici illustrati: in primo luogo la Philosophia reformata del medico alchimista Johann Daniel Mylius*%°, del 1622, illustrata con sessantuno incisioni che ripropongono vari temi dell’iconografia alchemica, spesso già utilizzati in altri testi; quindi il Viridarium Chimicum di Stolcius von Stolzenberg*7, un allievo boemo di Michael Maier, che raccolse 107 incisioni tratte dalle opere di Michael Maier, Basilio Valentino e Mylius, per ognuna delle quali compose un epigramma in latino; infine il De Lapide Philosophico*®®, un poema in versi corredato di quindici belle illustrazioni, il cui autore aveva adottato lo pseudo485 E. Canseliet, Introduzione alle Doyze Clefs, ed. cit., p. 12. 486 J.D. Mylius, Philosophia reformata, Lucas Jennis, Francoforte 1622; Mylius pubblicò con Jennis anche altre opere, come l’Opus medico-chymicum (1618) e l’Anatomia Auri (1628). Stolcius von Stolzenberg, Viridarium Chymicum Figuris Cupro incisis Adornatum, et Poeticis picturis illustratum, Lucas Jennis, Francoforte 1624. Il libro ebbe un tale successo che Jennis ne fece tradurre i versi in tedesco e lo ripubblicò lo stesso anno col titolo Chymisches Lustgdàrtlein.

487

488 Lambsprinck, De Lapide Philosophico, in Museum Hermeticum, raccolta di testi alchemici editata da Lucas Jennis, Francoforte 1625. Il testo del De Lapide Philosophico era già stato pubblicato precedentemente, senza figure, a cura dall’alchimista ugonotto Nicolas Barnaud nella raccolta Triga Chemica, Leyda 1599.

247

nimo Lambsprinck, nome che può essere interpretato come “Agnello che salta”, un’immagine che allude alla Materia adoperata dai Filosofi per fare la Pietra Filosofale. Agli inizi del Seicento erano apparsi diversi altri importanti testi alchemici, fra cui va menzionato, in primo luogo, il Novaun Lumen Chimicum, un classico della letteratura ermetica, pubblicato dall’alchimista polacco Michael Sendivogius con lo pseudonimo di Cosmopolita*®°, con il quale si è anche indicato l’alchimista scozzese Alexander Seton, la cui storia sembra intrecciarsi a quella di Sendivogius: si racconta infatti che nel 1603 Seton era stato incarcerato dal principe Cristiano Il di Sassonia perché rivelasse il segreto della Pietra Filosofale, e che Sendivogius lo liberò, ottenendo in cambio una porzione di “Polvere di proiezione” con cui poté effettuare delle trasmutazioni*”. Michael Maier, che conobbe Sendivogius nel | 1616, lo inserì fra i dodici sapienti della sua Aurea Mensa, indicandolo come “Anonymus Sarmata”, mentre si diffondeva la convinzione che l’alchimista polacco fosse un Rosa-Croce, iniziato ai più alti misteri della Confraternita e fon;

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489 Cosmopolita, Novi Lumen Chimicum, Praga 1604 (l’opera fu pubblicata anche col titolo De Lapide Philosophorum, Tractatus duodecim, sotto lo pseudonimo Divi Leschi Genus Amo, anagramma di Michael Sendivogius; alcuni ritengono però che il testo sia stato scritto da Alexander Seton); l’opera ebbe ben 56 edizioni fino al 1787. Michael Sendivogius, nato nel 1566 in Polonia da una famiglia aristocratica, fin da giovane fu affascinato dagli scritti di Arnaldo da Villanova e si dedicò alla sperimentazione alchemica; dopo aver viaggiato in vari paesi europei (fu anche a Napoli), nel 1593 si recò a Praga, alla corte di Rodolfo Il e successivamente, in missione diplomatica, alla corte di Sigismondo III Wasa, re della Polonia. Pubblicò altre importanti opere alchemiche, come il Tractatus de Sulpbure, Colonia 1616 (sotto l‘anagramma Angelus doce mibi ius) e il Dialogus Mercurii, Alchymistae et Naturace, Colonia 1607 (sotto l’anagramma Divi Leschi Genus Amo), sempre mantenendo l‘anonimato. Morì nel 1636.

490 Cfr. Lenglet du Fresnoye, op. cit. vol. I, pp. 322 ss. Viene riferito anche che nel 1604 Sendivogius effettuò una trasmutazione al cospetto di Rodolfo II, trasformando una moneta d’argento in oro.

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datore della società segreta dei «Filosofi Sconosciuti»; in ogni caso, Sendivogius fu un convinto sostenitore della pratica sperimentale e i suoi testi, rieditati numerose volte, furono tenuti in grande considerazione, grazie alle loro indicazioni operative, anche da Newton e da Johann Rudolph Glauber, uno dei fondatori della moderna Chimica. Due altri testi meritano di essere ricordati in quanto, pur essendo stati scritti entrambi da cultori dell’Alchimia, presentano tuttavia un’impostazione profondamente diversa: il primo è la Basilica Chymica del medico e alchimista paracelsiano Oswald Croll, che si colloca chiaramente nell’alveo della Tradizione Ermetica rinascimentale*’!, mentre il secondo, l’Alchymia del medico e chimico Andreas Libavius*?, parimenti seguace di Paracelso, si distacca da tale tradizione, criticando gli insegnamenti basati sull’armonia fra macro e microcosmo, la Magia e la Cabala. Tale differenza appare evidente se si confrontano i frontespizi delle due opere, in quanto, mentre nel frontespizio dell’opera di Croll sono ritratti sei fra i maggiori esponenti della tradizione ermetico-alchemica, da Ermete Trismegisto e Geber a Basilio Valentino e Paracelso, in quello dell’opera di Libavius, oltre ad Ermete sono ritratti Ippocrate, Aristotele e Galeno, il che rappresenta un richiamo alla tradizione alchemica medievale e all’Aristotelismo, fieramente contestato dalla maggior parte degli Alchimisti rinascimentali e dai Rosa-Croce. In Inghilterra, negli anni in cui venivano gettate le basi della Royal Society, è stato scritto un altro importante testo alchemico, L’Entrata aperta al Palazzo chiuso del Re‘, il cui autore, celato sotto lo pseuO. Croll, Basilica Chymica, Francoforte 1609. Nato verso il 1560, dopo aver concluso i suoi studi in medicina ad Heidelberg nel 1582, Croll viaggiò a lungo, fermandosi anche a Napoli, dove conobbe Gian Battista della Porta (cui dedicò un suo libro); divenne poi medico personale del principe Christian von Anhalt (cui è dedicata la Basilica Chymica) che era legato a Federico del Palatinato e lo utilizzò in missioni diplomatiche a Praga, presso Rodolfo II; seguace di Paracelso, si dedicò assiduamente ad esperimenti alchemici e farmacologici e morì a Praga nel 1609. 492 A, Libavius, Alchymia, Francoforte 1606. Andreas Libavius, medico, chimico e filosofo tedesco, pubblicò la prima edizione di Alchymia nel 1597: pur ammettendo la possibilità della trasmutazione, Libavius considera le tradizionali operazioni alchemiche soprattutto dal punto di vista chimico, seguendo gli insegnamenti di Paracelso, ma senza accettarne gli aspetti astrologici e spirituali. Pubblicò anche uno scritto (Bedenken von der Fama und Confession von der Bruderschaft des Rosencreutzes, Francoforte 1616) in cui contestava la validità delle concezioni rosacrociane da un punto di vista scientifico oltre che religioso e politico (cfr. Yates, op. cit. pp. 62 s.). 493 Eyrenaeus Philalethes, Introitus apertus ad occlusum regis palatium, Londra 1669

491

249

donimo di Ireneo Philalete, viene riconosciuto in Georges Starkey, medico e alchimista, amico di Hartlib e Boyle e promotore della Royal Society, le cui concezioni alchemiche risultano vicine a quelle espresse nel Nova Lumen Chimicum: il che ci riporta all’idea di una società segreta, i Filosofi Sconosciuti o il Collegio Invisibile, in cui le antiche tradizioni esoteriche e le moderne ricerche scientifiche rientravano ancora in una comune visione filosofica. Quando però Boyle pubblica, nel 1661, il suo Chimico scettico’, rinnegando la tradizionale teoria dei “Quattro Elementi”, la filosofica armonia che aveva unito le antiche tradizioni e le nuove tecniche sperimentali della scienza si incrina e le due visioni, quella esoterica, mistica e tradizionale e quella razionale e scientifica iniziano un progressivo processo di separazione. L’Alchimia continua tuttavia ad avere i suoi adepti anche nella seconda metà del XVII secolo, ed è accaduto che uno di questi, rimasto sconosciuto, nel 1666, andò a visitare il medico Johann Friedrich Schweitzer, noto come Helvetius, e lo convinse della validità delle dottrine alchemiche donandogli un piccolissimo frammento di Pietra Filosofale con il quale lo stesso Helvetius realizzò una trasmutazione, trasformando del piombo in oro”. Del resto, anche in seguito, uno scienziato come Isaac Newton dedicherà la sua attenzione alla dottrina alchemica e Leibniz, nel corso di un’aspra polemica fra i due pensatori, lo accuserà di appartenere alla setta dei Rosa-Croce*, CRISTINA DI SVEZIA E IL SUO CIRCOLO ALCHEMICO Intanto, in Italia, si era riunito, intorno alla regina Cristina di Svezia*7, un circolo di cultori dell’Arte di cui fecero parte, fra gli altri, (l’opera è stata scritta verso 494

il

1645, ma pubblicata dopo la morte dello Starkey).

R. Boyle, The Sceptical Chymist, Londra 1661.

L'episodio è raccontato dallo stesso J.F. Helvetius nella sua opera Vitulus aureus (Francoforte 1667). Cfr. E.J. Holmyard, Storia dell’Alchimia, ed. Sansoni, Firenze 1972, pp. 295 ss. 496 Nei suoi studi alchemici, Newton fu influenzato da Starkey e rivolse particolare attenzione al suo Introitus apertus, scrivendo, nel 1693, un trattato intitolato Praxis, in cui analizzava sia la simbologia che le pratiche alchemiche.

495

Nata nel 1626, Cristina era figlia del re di Svezia Gustavo II Adolfo, strenuo difensore del Protestantesimo; divenuta regina nel 1632, nel 1654 si convertì al Cattolicesimo, abdicando dal trono di Svezia e recandosi a vivere a Roma; qui si legò in duratura amicizia al cardinale Decio Azzolino, capo dello Squadrone volante, un

497

250

Francesco Maria Santinelli e Massimiliano Palombara. Cristina aveva coltivato fin da giovane un grande interesse per l’Alchimia, ai cui misteri sembra sia stata iniziata da Sendivogius!® e a Roma continuò ad interessarsene attivamente, frequentando il laboratorio del marchese di Palombara nella sua villa dell’Esquilino, di cui rimane, a testimonianza degli interessi alchemici del proprietario, la famosa “Porta Magica”, ornata da simboli ed iscrizioni ermetiche e che presenta anche un velato riferimento alla tradizione egizia: sulla soglia è apposta l’iscrizione «SI SEDES NON IS» che può essere letta in entrambi i versi e che contiene il nome ISIS, mentre ai suoi lati sono state poste successivamente (ma non a caso) due statue di Bes, il dio egiziano guardiano dei

sogni”.

Altro importante personaggio legato a Cristina di Svezia, è stato il marchese Francesco Maria Santinelli di Pesaro, poeta e alchimista, che conobbe la regina in occasione di una sosta a Pesaro durante il suo viaggio verso Roma del 1655, e fu da allora un suo fedele sostenitore e cavaliere dell’Ordine dell’Amaranto, istituito da Cristina in Svezia nel gruppo che promuoveva il libero pensiero all’interno della Chiesa cattolica. Dopo che nel 1656 ebbe partecipato ad un progetto del cardinale Mazzarino che le aveva offerto la corona del regno di Napoli con l’intento di sottrarlo alla Spagna, Cristina ritornò a Roma e prese alloggio nel Palazzo Riario (ora Palazzo Corsini alla Lungara), che divenne il centro di un’intensa attività mondana intellettuale. Morì nel 1689 a causa di una malattia contratta dopo una visita ai templi della Campania. Su Cristina di Svezia, cfr. A.M. Partini, Cristina di Svezia e il suo Cenacolo Alchemico, ed. Mediterranee, Roma 2010. 498 Cfr. Lennep, op. cit. p. 384. 499 La Porta Magica, una delle cinque porte della Villa Palombara, è oggi visibile, anche in stato di abbandono, nei giardinetti di Piazza Vittorio; sull’interpretazione delle iscrizioni della Porta Magica, si veda E. Canseliet, Deux logis alchimiques en marge de la science et de l'histoire, Parigi 1945. Massimiliano Palombara (1614-1680) è autore del testo alchemico in versi La Bugia, scritto nel 1656 e pubblicato a cura di A.M. Partini (ed. Mediterranee, Roma 1983). Con il Palombara collaborò, verso il 1680, l’alchimista Giuseppe Francesco Borri, una singolare figura di avventuriero dallo spirito ribelle, autore di alcuni testi alchemici, che nel 1670 fu incarcerato dall’Inquisizione con l’accusa di eresia e veneficio.

e

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1653; dopo alcune burrascose vicende, recatosi a Venezia, Santinelli scrisse nel 1666 un poema alchemico, corredato da un commento in prosa, dal titolo Lux obnubilata suapte natura refulgens, pubblicato con lo pseudonimo di “Fra Marc'’Antonio Crassellame Chinese”, anagramma del suo nome”, L’opera riscosse un notevole successo soprattutto per la concisa e agile esposizione in versi dei principi alchemici e venne pubblicata a Parigi con la traduzione in francese dall’editore Laurent d’Houry nel 1687 e nel 1693; va notato che lo stesso editore nel 1691 pubblicò il Novum Lumen Chymicum del Cosmopolita, accludendovi gli Statuti di una società segreta definita dei “Filosofi Sconosciuti” e che successivamente, nel 1766, il barone de Tschudy utilizzò estratti della Lux Obnubilata e del Novum Lumen Chimicum per formulare il Catechismo per il grado di «Filosofo Sublime o Sconosciuto» dell’Ordine ermetico-massonico della Etoile Flamboyante, detto anche «Ordine dei Filosofi Sconosciuti»'. Come si può dunque vedere, l’idea rosacrociana di una società segreta di ispirazione ermetica formata da «Filosofi Invisibili o Sconosciuti», attraverso le opere e, forse, attraverso le organizzazioni effettivamente create dal Cosmopolita e dal Santinelli, giungerà fino al XVIII secolo, confluendo, insieme ad altre tradizioni esoteriche, nel grande alveo della Massoneria. A Venezia, Santinelli aveva frequentato Federico Gualdi, una singolare figura di alchimista, forse di origine tedesca, che in quegli anni godeva di una certa fama per le sue conoscenze esoteriche e per aver sperimentato con successo un nuovo metodo di fusione dei minerali, ma che fu anche accusato di svolgere attività occulte e di appartenere ad una società segreta detta dell’«Aurea Croce». Nel 1687 Gualdi scomparve da Venezia misteriosamente così come vi era apparso e sulla sua figura fiorirono ben presto delle leggende, fra cui quella della 500 Lux obnubilata suapte natura refulgens, Venezia 1666: l’opera è composta da tre Canzoni in versi italiani il cui autore si definisce «Fra Marc’Antonio Crassellame Chinese», e da un lungo commento in prosa latina di un autore rimasto anonimo. Che l’autore delle tre Canzoni sia stato il Santinelli, è stato affermato dal medico modenese Fulvio Gherli, nel suo Proteo Metallico, pubblicato a Venezia nel 1721. 501 Théodor-Henri de Tschudy (1726-1769), fu iniziato a Napoli alla Massoneria dal principe di San Severo, ma fu costretto ad abbandonare la città nel 1752 e in seguito fondò l’Ordine massonico di ispirazione ermetica della Stella Fiammeggiante; pubblicò quindi il testo in due volumi intitolato L'etoile flamboyante ou la société du FrancMacgons, considéreé sous tous les aspects, Francoforte 1766. Cfr. €. Francovich, Storia della Massoneria in Italia dalle origini alla Rivoluzione Francese, La Nuova Italia, Firenze 1974, pp. 107-110.

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sua longevità (si diceva che Gualdi avesse avuto 400 anni)’, delineando la figura dell’iniziato (identificato spesso come un Rosa-Croce) infinitamente sapiente, immortale o almeno estremamente longevo, che nel corso dei secoli poteva manifestarsi assumendo, di volta in volta, una diversa identità, un modello al quale si sarebbero conformati, in seguito, personaggi come il Conte di Saint-Germain” e Cagliostro, o che avrebbe ispirato personaggi di fantasia come l’iniziato Zanoni del romanzo di Edward Bulwer-Lytton’.

IL RICHIAMO DELL'ANTICO EGITTO Con la analisi del Casaubon dei testi ermetici e la loro datazione nei primi secoli dell’era cristiana, era stata messa in discussione l’idea che tali testi fossero la più competa espressione di una “Prisca Theologia” e rappresentassero la più valida testimonianza dell’antica sapienza egizia. Ma se poteva essere contestata la convinzione nella remota antichità della figura di Ermete Trismegisto, ciò non toglieva nulla al valore filosofico e sapienziale dei testi attribuiti al leggendario sapiente, nei quali si poteva continuare a riconoscere una mirabile sintesi fra la tradizione egizia e quella greca. Acquistava però un nuovo impulso il desiderio di approfondire la conoscenza delle antichità egizie, della religione e delle conoscenze risalenti all’epoca faraonica Le prime notizie sull’età di 400 anni attribuita al Gualdi apparvero nel 1687, la sua scomparsa, su alcune gazzette (Gazette de Hollande, Mercure Gadopo poco lant), dando luogo ad un’accesa disputa; nel 1690 venne pubblicata a Venezia La Critica della Morte overo l’apologia della vita, un testo in cui è riportata la traduzione dal francese di un opuscolo scritto dal teologo e scienziato Claude Comiers sulla Medicina Universale e l’arte di prolungare la vita, insieme ad un Racconto intorno ai successi del Signor Federico Gualdi e ad una serie di lettere di quest’ultimo. 503 Il conte di Saint-Germain, avventuriero dalle misteriose origini, è apparso in Francia verso il 1740: uomo di grande cultura e dai gusti raffinati, spesso impegnato in missioni diplomatiche, fu costretto ad abbandonare la Francia nel 1760 per un’accusa di spionaggio e morì nel 1766 in Prussia; intorno alla sua figura fiorirono diverse leggende, da lui stesso favorite, per cui era convinzione comune che fosse un esperto alchimista e un affiliato all’Ordine dei Rosa-Croce, e che fosse vissuto per secoli. 504 E. Bulwer-Lytton, Zanoni, Londra 1842. Sir Edward George Earle Bulwer-Lytton (1803-1873), scrittore ispirato a tematiche esoteriche e teosofiche, è l’autore anche di Gli ultimi giorni di Pompei (1834) e La razza ventura (1871), un romanzo in cui si parla di una civiltà dotata di poteri straordinari che vive nascosta in un mondo sotterraneo. 502

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oltre che a quelle del periodo tolemaico e l’attenzione di diversi studiosi si rivolse alla simbologia egizia e al tentativo di interpretare la scrittura geroglifica.

I GEROGLIFICI DI ATHANASIUS KIRCHER Abbiamo già avuto modo di vedere come nella letteratura rosacrociana si trovino diversi riferimenti alla sapienza dell’antico Egitto e dell’Oriente, a cominciare dalla storia di Christian Rosenkreutz, del quale nella Fana Fraternitatis, sì racconta che soggiornò a lungo presso i sapienti di Damasco e a Fez, e che si recò anche in Egitto, «dove però non rimase a lungo»: la ragione di questa affermazione potrebbe essere che il movimento rosacrociano non si voleva riferire all’Egitto come all’unica o la principale fonte della conoscenza, ma evidenziare piuttosto il fatto che delle conoscenze segrete fossero conservate presso diversi popoli. Questa idea viene confermata da Michael Maier, nel Symbola Aureae Mensae duodecim Nationum, in cui aveva elencato dodici sapienti, considerando ognuno di essi l’iniziatore di una tradizione esoterica in una diversa nazione, ma aveva anche ribadito il concetto di una priorità egizia, facendo cominciare la serie dei sapienti con Ermete Trismegisto; del resto, la sua opera precedente, Arcana Arcanissima, era stata dedicata al linguaggio geroglifico e simbolico degli Egiziani e dei Greci, e il riferimento all’Egitto era stato ribadito nel Silentium post clamores, in cui un lungo capitolo è dedicato ad Arpocrate, il Dio egizio del Silenzio, custode dei Misteri iniziatici. Il riferimento all’Egitto nella letteratura di ispirazione rosacrociana resta comunque legato alla figura di Ermete Trismegisto ed alla tradizione ermetica rinascimentale, mentre una svolta significativa sarà dovuta ad Athanasius Kircher, il quale, se da un lato si mostra come un epigono della tradizione rinascimentale, dall’altro può essere considerato il fondatore dell’Egittologia’”. L’interesse di Kircher per Athanasius Kircher (1602-1680), entrato all’età di 14 anni come novizio nel 505 collegio dei Gesuiti di Fulda, dopo aver compiuto studi Filosofia e Teologia diventò professore di Matematica, Filosofia ed Ebraico, ma nel 1631 fu costretto a fuggire dalla Germania per le vicende della Guerra dei Trent’Anni; nel 1633 si trasferì a Roma dove prese ad insegnare nel Collegio Romano e poté approfondire lo studio dei geroglifici, dedicandosi contemporaneamente ad approfonditi studi nei più diversi campi del sapere; nel 1651 fondò, presso il Collegio Romano, il Museo Kircheriano, una vera e propria Wunderkammer in cui raccolse antichità egiziane, opere d’arte,

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geroglifici egizi si risvegliò nel 1628 quando trovò, nella biblioteca del Collegio gesuitico di Spira, una collezione di antiche scritture geroglifiche; stabilitosi a Roma nel 1633, intraprese lo studio della lingua Copta, intuendo giustamente che il Copto altro non era se non una lingua derivata dell’antico Egiziano e nel 1643 pubblicò un’opera sulla lingua egiziana, articolata in tre parti: grammatica, vocabolario e un elenco di parole, attestandosi come la massima autorità dell’epoca in tale materia”, Nella sua interpretazione dei geroglifici, Kircher partiva dall’idea che ogni segno geroglifico non era semplicemente un segno alfabetico e fonetico, ma un simbolo che racchiudeva una molteplicità di significati e pertanto il suo approccio non era quello di un moderno traduttore, ma piuttosto quello di un filosofo neoplatonico, iniziato agli antichi Misteri. In questa ottica Kircher continuò ad occuparsi di geroglifici, proponendo la sua interpretazione delle iscrizioni presenti sull’Obelisco Pamphilio (Tavola 9d) e sugli obelischi dell’antico Iseo romano, affermando di voler riportare alla luce la Teologia degli Antichi (Veterum Theologia) celata nei simboli geroglifici delle di 3 © ‘ansa antichità degli Egiziani, dei Caldei, ameno mar eo OEDIPVS degli Ebrei è dei i

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strumenti musicali e macchinari da lui stesso costruiti. 506 Nel 1615 il patrizio romano Pietro della Valle aveva portato a Roma un vocabolario Copto-Arabo che aveva trovato in Egitto; Kircher, sollecitato a tradurre questo testo in latino, dopo qualche esitazione mise mano all’opera giungendo a pubblicarla nel 1636 col titolo di Prodromus coptus sive aegyptiacus; in seguito, grazie all’aiuto finanziario dell’imperatore Ferdinando III, pubblicò la sua opera sulla lingua egiziana (Lingua Aegyptiaca restituta, Roma 1643) affermandosi come la massima autorità del tempo nell’interpretazione dei geroglifici. L’intuizione di Kircher sulla derivazione del Copto dall’antico Egizio verrà confermata da Champollion nel 1821, anche se la sua interpretazione degli antichi geroglifici è oggi ritenuta errata. Athanasius Kircher, Obeliscus Pampbilius, Roma 1650; Obelisci Aegyptiaci... interanche fatto che Kircher collaborò con il Bernini in occasione dell’erezione dell’Obelisco Pamphili sulla Fontana dei Quattro Fiumi in Piazza Navona e del piccolo obelisco sull’Elefantino della Minerva. 507

pretatio hieroglyphica, Roma 1666. Da ricordare

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il

Gli studi sui geroglifici egizi, sulla cultura e la religione dell’antico Egitto, portarono Kircher a comporre un’opera monumentale ed eclettica, l’Oedipus Aegyptiacus, articolata in tre volumi (il secondo dei quali in due tomi) che furono pubblicati fra il 1652 e il 1655”; nel primo volume Kircher illustra la geografia dell’Egitto, la sua organizzazione politica e sociale e la sua teogonia, operando dei confronti con la religione ebraica e quelle di altri popoli, dai Caldei ai

Persiani ai popoli dell’estremo Oriente. Il secondo volume è dedicato al simbolismo inteso come un sistema universale per esprimere le conoscenze occulte nella scrittura e nell’arte, con dei capitoli dedicati all’Alchimia e alla Magia, e uno, particolarmente ampio, dedicato alla Cabala ebraica, i cui principi e metodi sono esposti in modo approfondito; un altro capitolo è dedicato alla «Mathematica hieroglyphica» in cui Kircher analizza il simbolo della Monas di John Dee” illustra la composizione e l’uso dei “Quadrati magici”, riproponendo la concezione esoterica della «Magia Matematica». Il terzo volume, infine, riprende l’esame dei geroglifici presenti sugli obelischi e su altri monumenti egizi, interpretandoli «in senso fisico, tropologico (allegorico), mistico, storico, politico, magico, medico, cabalistico, ermetico, sofico e teosofico». Il primo capitolo di quest’ultimo volume è dedicato all’interpretazione della Mensa Isiaca o Tabula Bembina, una tavola bronzea con intarsi in niello e argento appartenuta al cardinale Bembo, su cui sono raffigurate delle divinità egiziane, fra le quali si riconosce, in posizione centrale, la dea Iside; tavola che rappresenterebbe, secondo alcuni occultisti moderni, la chiave per interpretare il «Libro di Thot» e i Tarocchi?!°,

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Athanasius Kircher, Oedipus Aegyptiacus, Roma 1652-1655. Oedipus Aegyptiacus, Tomo Il, Pars Altera, p. 29 (nel capitolo dedicato alla “Matematica geroglifica”) e p. 407 (nel capitolo dedicato alla “Alchimia geroglifica”).

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510 La tavola della Mensa Isiaca, attualmente conservata nel Museo Egizio di Torino, è stata datata al I secolo e si ritiene che possa provenire dal Tempio di Iside in Campo Marzio; dopo il sacco di Roma del 1527 fu acquistata dal cardinale Pietro Bembo che la trovò presso un fabbro. Per quanto riguarda il giudizio dei moderni occultisti, si veda Eliphas Levi, Histoire de la magie, Parigi 1860 (trad. it. La storia della Magia, Atanor, 1989); William Wynn Wiestcott, Tabula Bembina sive Mensa Isiaca. The Isiac Tablet of Cardinal Bembo, its History and Occult Significance, Bath, 1887.

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IVIA Athanasius Kircher è stato uno studioso i cui interessi spaziavano nei più diversi campi della conoscenza, dall’interpretazione dei geroglifici e dallo studio del simbolismo a materie come la geologia, la medicina, l’ottica, la musica, la meccanica, il magnetismo, la criptografia e le culture orientali: con la sua visione globale del sapere, la sua convinzione del valore universale dei simboli come strumento di trasmissione di conoscenze segrete e il suo approccio a culture e religioni diverse basato sul sincretismo, Kircher appare come l’ultimo grande esponente della cultura rinascimentale e il suo interesse per la tradizione egizia, la Cabala, l’Alchimia e la Magia lo colloca, pur appartenendo all’Ordine gesuita, nella corrente di pensiero ispirata alla Tradizione Ermetica e ai Rosa-Croce. FANTASIE EGIZIANE L'interesse per l’Egitto continua e trova nuovi impulsi nel secolo successivo, quando, nel 1730, viene pubblicato il romanzo Sethos di Jean Terrasson, che ottiene grande successo, divulgando un'immagine fantasiosa ma suggestiva dei Misteri iniziatici egizi’!!, Terrasson affer511 J. Terrasson, Sethos, histoire, ou Vie tirée des monumens, anecdotes de l’ancienne

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mava di aver tratto la sua opera da un antico manoscritto greco il cui autore avrebbe avuto accesso a materiali originali egiziani; si ritiene invece che si tratti di un’opera di fantasia realizzata in base alle informazioni tratte da Diodoro Siculo o da Athanasius Kircher o ispirandosi agli scritti neoplatonici, che però ha influenzato la creazione di Riti massonici di ispirazione egiziana e ha anche contribuito allo sviluppo della teoria dell’Afrocentrismo, in base alla quale la civiltà e le

conoscenze dell’Occidente sarebbero derivavate dall’antico Egitto°'. Nel terzo capitolo’? vengono descritte le prove iniziatiche sostenute dal giovane principe Sethos (Figlio del faraone Ramesse 1) in una struttura sotterranea il cui accesso si troverebbe nella Piramide di Cheope: dopo aver superata una porta sorvegliata da tre guardiani con dei copricapi a forma di testa di Anubi (da cui deriverebbe, secondo Terrasson, l’immagine di Cerbero), Sethi deve superare la prova del fuoco, camminando attraverso una griglia rovente, poi quella dell’acqua, attraversando a nuoto un corso d’acqua sotterraneo, e infine la prova dell’aria, attraversando, appeso a due anelli e ostacolato da forti venti, un ponte levatoio azionato da uno strano meccanismo; attraverso una porta d’avorio, sbuca quindi da sotto una grande scultura bronzea raffigurante Iside, Osiride e Horus e si trova nel Tempio, al cospetto dei sacerdoti. A questo testo si ispirerà l’attore e librettista massone Emanuel Schickaneder nello scrivere il libretto del Flauto Magico di Mozart, descrivendo il percorso iniziatico del principe Tamino. Ma va anche detto che le prove iniziatiche descritte da Terrasson ricalcano lo schema dei “Viaggi” attraverso gli Elementi dell’iniziazione massonica al grado di Apprendista, per cui si può tranquillamente affermare che lo scrittore ha tratto ispirazione da tale rituale, ambientandolo nell’antico Egitto e conferendogli un carattere fantasioso e romanzesco.

Égypte, traduite d'un manuscrit grec, Parigi 1731. Il Terrasson (1670-1750) è stato professore di Filosofia greca e latina nel Collége Royal e autore di diverse opere fra cui una Dissertazione sull’Iliade e la traduzione della Storia universale di Diodoro Siculo. La teoria dell’Afrocentrismo verrà sviluppata in epoca contemporanea dallo storico Martin Bernal nella sua opera Black Athena: Afro-Asiatic Roots of Classical Civilization: The Fabrication of Ancient Greece, 1785-1985 (3 volumi), Rutgers University Press 1997-2006.

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513 Terrasson, op. cit., vol. I, pp. 199 ss. Il Terrasson afferma quindi che la mitica discesa agli Inferi di Orfeo e quella di Enea descritta da Virgilio sarebbero state ispirate alle pratiche iniziatiche egiziane.

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Va anche detto che il romanzo di Terrasson si inserisce in un filone di “romanzi storici”, di avventure e di viaggi scritti con fini educativi e morali, come Le avventure di Telemaco, scritto da Fenelon nel 1699°!4 ei Viaggi di Ciro di André Michel Ramsay, pubblicato nel 1729°", in cui l’autore immagina che il giovane Ciro, figlio del re di Persia, nel corso dei suoi viaggi sia istruito dai sapienti dell’antichità e l’autore non manca di citare gli insegnamenti di Pitagora e di fare riferimento al “Silenzio di Arpocrate” in merito ai segreti iniziatici, evidenziando il rapporto di diversi temi teologici e mitologici dell’antichità con l’e-

soterismo massonico. Seguendo le orme di Kircher e di 169 “E MORATAREPOA Terrasson, due tedeschi, Karl Friedrich y Képpen e Johann Wilhelm Bernhard von Hymnen, pubblicarono nel 1770 un teCinmweibungen. sto intitolato Crata Repoa (Silenzio degli Dei?2)°!6 in cui, attingendo informazioni RESA alte Gefelijdaft ; io da Porfirio, Giamblico, Plutarco e Apuleio, proponevano una ricostruzione dei Prieger rituali iniziatici degli antichi Egizi. Il l ma «egiziano» del Crata Repoa è articolato in sette gradi (Pastophoris o Apprendista, Neocoris, Melanephoris o «Porta della Morte», Chistophoris o «Combattimento Berlin, 1778. delle Ombre», Balahate, Astronomus $i diritta aionto dere «Davanti alla Porta degli Dei», Profeta

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Francois de Salignac de La Mothe-Fénelon (1651-1715), teologo e pedagogo cattolico, fu precettore del giovane duca di Borgogna, per la cui educazione scrisse Les Aventures de Télémagque, pubblicato nel 1699, in cui narra i viaggi del figlio di Ulisse, accompagnato dal suo precettore Mentore, in diversi paesi del mondo antico, evidenziandone i problemi e sostenendo la necessità della convivenza pacifica e di un’oculata politica economica. André Michel Ramsay, detto il Cavaliere de Ramsay (1686-1743), pensatore 515 scozzese di religione calvinista, fu convertito al Cattolicesimo da Fenelon nel 1709 e divenne un sostenitore del partito Giacobita che rivendicava il diritto degli Stuart al trono d’Inghilterra; a Roma fu precettore di Jacques Frangois Stuart, figlio del pretendente al trono Charles Edward Stuart; nel 1727 pubblicò il suo romanzo Voyages de Cyrus, a imitazione delle Avventure di Telemaco di Fenelon. Iniziato Massone nel 1730 (secondo alcuni, la sua iniziazione sarebbe avvenuta precedentemente alla pubblicazione della sua opera), promosse la creazione del Rito Scozzese. 514

516 K.F. Képpen e J.W.B. Hymmen Crata Repoa oder Eimveibung in der alten geheimen Gesellschaft der Aegyptischen Priester, Berlino 1770.

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Saphenath Pancah «un uomo che conosce i Segreti») e ogni iniziazione e passaggio di grado si svolge in un ambiente diverso e ha una differente finalità: l’iniziando viene ricevuto in una grotta, mentre per passare al secondo grado si trova in una camera oscura e deve resistere alle tentazioni di alcune belle donne; poi deve superare la «Porta della Morte» in un vestibolo con sarcofagi e mummie; successivamente, in una galleria, deve vincere il timore panico provocato da uomini mascherati e da serpenti; assiste quindi ad una rappresentazione del conflitto fra Horus e Seth; per accedere al sesto grado, deve attraversare un corso d’acqua sotterraneo sulla «barca di Caronte»; infine, nell’ultimo passaggio, viene messo a parte di tutti gli insegnamenti più segreti. L’opera può essere considerata una delle principali fonti di ispirazione dei vari Ordini e rituali di tipo egizio che vengono creati fra la fine del Settecento e gli inizi del secolo successivo e, del resto, lo stesso Kòppen nel 1767 aveva fondato a Berlino il Rito degli Architetti d’Africa: il Rito, strutturato in undici gradi, era diviso in due “Templi”, nel primo dei quali venivano conferiti i tre consueti gradi massonici, mentre i gradi del secondo Tempio (Apprendista dei segreti egizi, Iniziato ai segreti egizi, Fratello Cosmopolita, Filosofo Cristiano, Maestro dei segreti egizi, Armigero, Milite e Cavaliere) facevano ampio riferimento ai « Segreti» egiziani°"?, Nello stesso periodo (fra il 1773 e il 1782) viene pubblicata la monumentale opera in nove volumi di Court de Gébelin, il Mondo primitivo°'%; l’opera parte dall’analisi allegorica degli antichi miti collegandoli all’agricoltura, per poi passare alla ricerca su una lingua originaria dalla quale sarebbero derivate tutte le lingue e allo studio della scrittura, che, secondo de Gébelin, doveva essere in origine una scrittura geroglifica in cui ogni lettera rappresentava un oggetto naturale; ma Cfr. B. Clavel, Histoire pittoresque de la Franc-Magonnerie, Parigi 1843, p. 190. Francois-Timoleon Bègue-Clavel (1798-1852) è noto per il testo qui citato, considerato un’importante fonte di informazioni sulla storia della Massoneria.

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Antoine Court de Gébelin (1719-1784), di famiglia protestante, è stato un erudito ed un convinto sostenitore della libertà religiosa e politica; la sua principale opera, Le Monde primitif analysé et comparé avec le monde moderne considéré dans son génie allégorique et dans les allégories auxquelles conduisit ce génie, è stata pubblicata in 9 volumi fra il 1773 e il 1782 (la parte del testo dedicata ai Tarocchi è stata pubblicata in Italia col titolo Court-de-Gébelin, I! gioco del Tarocco, ed. Ottaviano, Milano 1981). De Gèbelin era membro della Loggia parigina «Les Amis réunis» e partecipò, nel 1773, alla creazione del Regime dei Philaleti o «Cercatori della Verità», un sistema diviso in dodici Classi o Camere d’Istruzione (cfr. Clavel, op. cit. p. 170). 518

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ciò che in questa sede interessa maggiormente è l’idea, esposta nell’ottavo volume, che le carte dei Tarocchi altro non sono se non un «libro egizio», definito anche il «Libro di Thot», composto da figure allegoriche che risultano «conformi alla dottrina civile, filosofica e religiosa degli antichi Egizi» e afferma

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che queste carte sono state diffuse per tutta l’Europa da «bande di Egiziani — malamente chiamati Zingari»; passa quindi ad analizzare gli Arcani Maggiori, rilevando le loro analogie con le immagini delle divinità e di altre figurazioni egizie ed evidenziando l’importanza del «Settenario » nella struttura del gioco. Così, grazie a Court de Gébelin, anche i Tarocchi, collegati alla simbologia egizia, entreranno a far parte della cultura esoterica. LA MASSONERIA

DEGLI ALTI GRADI

Da quando nel 1717, con la fondazione della Gran Loggia di Londra, ha avuto inizio la storia della Massoneria moderna, accanto ai tre Gradi Simbolici di Apprendista, Compagno e Maestro’!° iniziarono a proliferare i sistemi basati sugli Alti Gradi, ispirati o derivanti da varie tradizioni esoteriche, dal Templarismo al Rosacrocianesimo. Verso il 1730, il Cavaliere scozzese André Michel Ramsay (1686-1743), seguace del Fénelon e partigiano del partito cattolico degli Stuart, aveva promossa, in alcune Logge parigine, la creazione di tre Gradi Superiori (Scozzese, Novizio, Cavaliere del Tempio) con l’intento di contrapporre una Massoneria “Scozzese” e “Giacobita” (sostenitrice degli Stuart) di ispirazione cattolica, cavalleresca ed esoterica alle impostazioni più 519 Il grado di Maestro fu introdotto nelle Logge inglesi intorno al 1725, laddove nella Massoneria operativa erano conferiti solo i gradi di Apprendista e Compagno, mentre il titolo di Maestro spettava solo a chi dirigeva i lavori (l’attuale Maestro Venerabile); si ritiene che l’introduzione di questo grado, basato sulla leggenda di Hiram, il mitico Architetto del Tempio di Salomone, sia dovuta a Fratelli seguaci del Rosacrocianesimo, la cui presenza nelle Logge della Massoneria Operativa è attestata in Inghilterra fin dal 1682 con l’affiliazione di Elias Ashmole, ma risale certamente ad un’epoca precedente, in cui numerosi seguaci dei Rosa-Croce e dell’Ermetismo entrarono a far parte delle Corporazioni Muratorie come Massoni Accettati (cfr. Francovich, op. cit. Capitolo I).

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“borghesi” e ispirate al Protestantesimo della Gran Loggia di Londra, ovvero della Massoneria legata al partito “hannoveriano”””°, Le origini templari della Massoneria vennero rivendicate da più parti e furono creati diversi sistemi di ispirazione templare, il più importante dei quali è stato l’Ordine della Stretta Osservanza fondato dal barone tedesco Gotthelf von Hund nel 1751”, 1 membri della Stretta Osservanza, scelti nelle file dell’aristocrazia e fra gli alti funzionari, si ritenevano discendenti dei Templari, facendo riferimento alla leggenda secondo cui Pierre d’Aumont, Gran Maestro dell’Auvergne, sarebbe sfuggito alla persecuzione dei Templari, rifugiandosi in Scozia insieme ad altri due comandanti e cinque cavalieri: qui i Templari sarebbero entrati in una Confraternita di Liberi Muratori, assicurando in segreto la sopravvivenza dell’Ordine’”?, La Stretta Osservanza, che si diceva diretta da «Superiori Incogniti» presentava, oltre i tre Gradi Simbolici, tre Alti Gradi (Scozzese, Novizio e Cavaliere Templare) cui fu in seguito aggiunto il Grado di Eques professus. Alla Confraternita dei Rosa-Croce si richiamava invece l’Ordine della Rosa-Croce d’Oro (Orden der Gold- und Rosenkreuzer), diffuso nella Germania meridionale verso il 1756 e concepito come una società di cultori dell’Alchimia, della Cabala e della Magia, con una Nei suoi Discorsi sui Crociati e le Logge Francesi (1737) Ramsay rivendicava 520 inoltre l’origine templare della Massoneria. Un primo Capitolo Scozzese Giacobita fu fondato ad Aras nel 1747 dallo stesso pretendente al trono Charles Edward Stuart e successivamente furono creati altri Capitoli a Marsiglia (1751) e a Parigi (1754) con il titolo di Capitolo di Clermont (con tre Alti Gradi: Cavaliere dell’Aquila o Maestro Eletto, Cavaliere Illustre o Templare, Sublime Cavaliere Illustre) da cui derivò, nel 1758, il Consiglio degli Imperatori d'Oriente e d'Occidente, con un sistema articolato in 25 Gradi. Nel 1801, negli Stati Uniti, a Charleston, verrà definita la struttura del Rito Scozzese Antico e Accettato articolata in 33 Gradi. Su André Michel Ramsay (1686-1743) e sull’origine del Rito Scozzese, cfr. Clavel, op. cit., pp. 165 ss.; J.E. Daruty, Recherches sur le Rite Ecossais Ancien Accepté precedées d'un historique de l'origine et de l’introduction de la Franc-Maconnerie en Angleterre et en France, Paris 1879 (ried. Démetér, Paris 1988, p. 92); Francovich: op. cit. p. 24 ss. e pp. 88 ss.; E. Bonvicini: Massoneria di Rito Scozzese, ed. Atanòr, Roma 1988, pp. 71 ss. 521 Karl Gotthelf von Hund (1722-1776), nato da famiglia aristocratica, fu iniziato Massone nel 1741 e, secondo quanto riferiva, nel 1742, a Parigi, entrò a far parte di un Ordine Templare scozzese, il cui Gran Maestro sarebbe stato Charles Edward Stuart. Sul Neo-Templarismo, cfr. R. Le Forestier, La Franc-Maconnerie Templière et Occultiste, Parigi 1929 (ed. Arché, Milano 2003); G. Ventura, Templari e Templarismo, ed. Atanor, Roma 1984; Francovich, op. cit. Capitolo XI. 522 Cfr. C.A. Thory, Acta latomorum ou Chronologie de l’histoire de la franche-maconnerie frangaise et étrangère, Paris 1815, tomo 1, p. 329.

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struttura articolata in nove Gradi (Junior, Theoreticus, Practicus, Philosophus, Minor, Major, Adeptus exemptus, Magister, Magus)”. La leggenda di fondazione dell’Ordine raccontava che tre saggi Egiziani detti «Ormus», nel 1188 erano giunti in Scozia e vi avevano fondato l’Ordine dei Muratori d'Oriente, che sarebbe stato successivamente inglobato da Cromwell nella confraternita dei Liberi Muratori; i membri della Rosa-Croce d’Oro sostenevano di essere i successori dei Muratori d'Oriente e che il vertice della loro gerarchia era costituito da «Superiori Incogniti»; l’Ordine si diffuse successivamente in tutta la Germania e fu inserito nella struttura massonica e in quella della Stretta Osservanza con la sua Loggia Madre «Zu den Drei Weltkugeln». Fra il 1785 e il 1788 l’Ordine pubblicò tre fascicoli illustrati, intitolati Geheime Figuren der Rosenkreuzer (Figure segrete dei Rosa-Croce)*, che hanno costituito un costante riferimento per tutte le organizzazioni rosacrociane apparse in seguito. Intanto era apparso in Francia un singolare personaggio, Martinèz de Pasqually””, dedito alla taumaturgia e alla teurgia, che, a partire 523 Cfr. Clavel, op. cit. pp. 181 s.; E. Lennhoff, O. Posner, Internationales Freimaurer-Lexikon, Wien 1932: voce Rosenkreuzer, Francovich, op. cit. Cap. XII. L’Ordine della Rosa Croce d’Oro fu formato da membri di una società segreta rosacrociana dedita all’Alchimia esistente in Germania fin dal secolo precedente, della quale aveva fatto parte il pastore Samuel Richter: questi aveva pubblicato, nel 1710, con il nome di Sincerus Renatus, un’opera intitolata Wabrhaffte und vollkommenste Bereitung des Philosophischen Steines der Bruderschaft aus dem Orden des Giilden- und Rosen-Creutzes, in cui erano contenute istruzioni per pratiche alchemiche e 52 Regole dell’Ordine, derivate, in parte, dalle Regole di un precedente Orden der Unzertrennlichen. Gebeime Figuren der Rosenkreuzer, aus dem 16 und 524 1788.

17.

Jabrbundert, Altona 1785 e

525 Le origini di Joachim Martinès de Pasqually (nato verso il 1715 e scomparso nel 1774) sono rimaste misteriose exc’è chi ritiene che fosse un ebreo o un portoghese, forse nativo delle Antille o che fosse nato a Grenoble da una famiglia ebraica di origine spagnola; ma, in ogni caso, secondo quanto afferma Guenon, si tratta di uno degli ultimi rappresentanti dell’esoterismo occidentale: cfr. R. Guenon, L'enigma di Martinéz de Pasqually (1936) in Studi sulla Massoneria e il Compagnonaggio (vol. 1) ed. Arktos, Carmagnola 1991, pp. 57 ss. Martinès de Pasqually mise per iscritto i suoi insegnamenti in un lraité sur la réintégration des èétres dans leur première propriété, vertu et puissance spirituelle divine, che circolava in forma manoscritta all’interno del-

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dal 1760, aveva preso a fondare, all’interno di alcune Logge massoniche, dei Capitoli di Alti Gradi indicati col nome di Cohen, dalla definizione dei Sacerdoti ebrei; nel 1767 Pasqually riunì i Capitoli da lui creati nell’Ordine dei Cavalieri Massoni Eletti Cohen dell’Universo, i cui adepti sarebbero potuti entrare in contatto con entità angeliche utilizzando pratiche di tipo teurgico e vari tipi di esercizi, ed il cui ultimo grado era definito «Réau-Croix». Lo spiritualismo di Martinéz de Pasqually (che sarà poi definito Martinesismo) si presentava come una diretta derivazione degli insegnamenti segreti egiziani, greci ed orientali ed ebbe notevole seguito per il suo carattere magico e operativo anche dopo la scomparsa del suo fondatore. Uno dei suoi più stretti seguaci, Louis-Claude de Saint-Martin, detto il «Filosofo Incognito», si adoperò per conciliare gli insegnamenti del suo maestro con quelli del mistico tedesco Jacob Bohme”®, elaborando un sistema teosofico volto alla reintegrazione dell’uomo nel suo splendore anteriore alla «Caduta» affidandosi alla preghiera e all’elevazione interiore piuttosto che alle pratiche teurgiche’”7, Un altro discepolo del Pasqually, Jean Baptiste Willermoz, creò, nel 1782, il Rito Scozzese Rettificato, collegando i contenuti magico-teurgici del Martinesismo al sistema templare di von Hund”°5. la cerchia dei suoi seguaci e che fu pubblicato nel 1899 a Parigi, dalla Bibliothéque

Rosicrucienne. 526 Jacob Béhme (1575-1624) è stato un mistico luterano che Hegel ha definito «il primo filosofo tedesco»; formatosi da autodidatta e influenzato dal Neoplatonismo, dalla Cabala e da Paracelso, elaborò una concezione teosofica basata sul panteismo e sull’idea della libertà e paragonò il processo di rigenerazione dell’uomo all’Opera alchemica. Fra le sue opere ricordiamo Morgenròte im Aufgang (1612) tradotta in latino col titolo di Aurora consurgens (come il già citato manoscritto alchemico) e il De signatura rerum, oder Von der Geburt und Bezeichnung aller Wesen (1622). Il mistico e visionario olandese Johann Georg Gichtel, seguace di Bòhme, scrisse un testo intitolato Theosophia pratica (Amsterdam 1696) in cui descriveva i sette centri segreti dell’energia sottile esistenti nel corpo umano, elaborando una teoria simile a quella dei Chakras dell’esoterismo indiano. Louis-Claude de Saint-Martin (1743-1803) ha lasciato diversi scritti, come 527 L’Homme de désir (1790) e Le Ministère de l’'homme-esprit (1802), editi recentemente dalla Diffusion rosicrucienne, Collection Martiniste; facendo riferimento agli insegnamenti di Saint-Martin, l’occultista Papus ha fondato, nel 1888, l’Ordine Martinista. 528 Jean Baptiste Willermoz (1730-1824) fu iniziato Libero Muratore nel 1750 e fu ammesso nell’Ordine degli Eletti Cohen nel 1767; dopo la morte di Pasqually, si dedicò, insieme a Louis-Claude de Saint-Martin, ad un attento esame dei suoi insegnamenti, redigendo le cosiddette Lecons de Lyon (1774-1776). Nel 1778, a Lione, cui viene costituito l’Ordine dei promuove la riunione detta «Convent des Gaules»

in

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Anche le concezioni mistiche dello svedese Emanuel Swedenborg°”, secondo il quale le dottrine massoniche derivavano da quelle degli Egiziani e degli altri popoli dell’antichità, esercitarono il loro influsso sull’ambiente massonico e nel 1784, ispirandosi ad esse, il benedettino Dom Pernety”° fondò l’Ordine degli Illuminati d’Avignone, mentre nel 1783 il marchese de Thonè aveva creato un vero e proprio Rito di Swedenborg, articolato in sette gradi e tuttora esistente nei paesi scandinavi. Se con Martinez de Pasqually e Swedenborg sono entrate nel panorama massonico concezioni mistiche e pratiche teurgiche che ricordano quelle già incontrate nell’età alessandrina, ben presto prendono vita anche Riti di più esplicita ispirazione egizia, a cominciare dal già citato Rito degli Architetti d'Africa. Il che dimostra che anche nel Settecento illuminista e razionalista, il senso del mistero e la ricerca del soprannaturale e del prodigioso non sono affatto assenti; tuttavia, la crisi della concezione rinascimentale dell’unità della conoscenza e del sincretismo filosofico-religioso unito alla ricerca scientifica, con la conseguente separazione e specializzazione dei vari rami del sapere e l’affermarsi della visione illuministica tesa al superamento di ogni forma di imposizione dogmatica e di “superstizione”, hanno allontanato Cavalieri Beneficenti della Città Santa; nel 1782 organizza il Convento di Wilhelmsbad, una riunione di Massoni francesi e tedeschi in cui viene creato il Rito Scozzese Rettificato, caratterizzato da un’impostazione decisamente cristiana. 529 Emanuel Swedenborg (1688-1772), uomo di scienza, ma anche mistico e chiaroveggente, nel quadro delle sue concezioni mistiche, aveva elaborata una teoria sugli Angeli, ritenendo che non fossero dissimili dal genere umano e dividendoli in tre categorie: Angeli del Primo Cielo, o Angeli Naturali, Angeli del Secondo Cielo o Angeli Spirituali, e Angeli del Terzo Cielo o Celesti, i più perfetti. Swedenborg ha esposto le sue concezioni teosofiche in diversi testi fra cui ricordiamo De Coelo et ejus Mirabilibus, et de Inferno, ex Auditis et Visis, Londra 1758 e De Nova Hierosolyma et ejus Doctrina Coelesti, Londra 1758. 530 Antoine-Joseph Pernety (1716-1800), monaco benedettino, appassionato cultore dell’Alchimia, abbandonò l’abito verso il 1763 e fu iniziato nella Loggia «Sectateurs de la Vérité» di Avignone; per sfuggire all’Inquisizione riparò in Prussia, dove divenne bibliotecario di Federico Il e dove fondò l’Ordine degli Illuminati di Berlino; tornato ad Avignone nel 1784, fondò l’Ordine degli Illuminati di Avignone. È autore di un importante studio sulla simbologia alchemica, da noi già citato (Le Fables égyptiennes et grecques dévoilée, Parigi 1786) in cui analizza le storie degli dei e i miti egiziani e greci considerandoli come metafore delle pratiche alchemiche; ha anche compilato un Dictionnaire mytho-hermétique (Parigi 1758) in cui spiega in chiave ermetica il significato dei nomi, dei termini e delle allegorie utilizzate dagli autori delle antiche Favole.

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numerosi fra i i più acuti pensatori del tempo dallo stretto rapporto con le tradizioni sapienziali dell’antichità che aveva caratterizzato il pensiero rinascimentale. In questo secolo, caratterizzato da un vivacissimo fermento intellettuale e da un clima di instabilità determinato dai profondi mutamenti culturali, sociali e politici in atto, le Logge massoniche svolgono un ruolo fondamentale, diventando il luogo ideale in cui confrontare le idee ed elaborare nuove visioni ed in cui, accanto alle tradizionali concezioni massoniche di tolleranza, libertà di pensiero, uguaglianza e fratellanza, si sviluppano nuove tendenze mistiche e spirituali e trovano posto profonde istanze di rinnovamento sociale e politico, come nel caso degli Illuminati di Baviera”; ma le Logge costituiscono anche l’ambiente che accoglie personaggi singolari e fantasiosi, avventurieri e mistificatori, ed in cui può accadere che il confine fra il reale e l’immaginario diventi estremamente sfumato, dando luogo a fantasiose ricostruzioni di antichi rituali o alle leggende relative alla discendenza da antiche e importanti tradizioni iniziatiche. CAGLIOSTRO Nel 1784, quando Cagliostro”? fonda a Lione il suo Rito dell’Alta Massoneria Egiziana la cui Loggia L’Ordine degli IMuminati di Baviera, creato nel 1776 da Adam Weishaupt, fu accusato di volere un radicale sovvertimento delle istituzioni; considerato come una setta segreta, l’Ordine fu proibito nel 1785, ma si ritenne che avesse continuato ad operare contribuendo a preparare la Rivoluzione Francese. La teoria di una grande cospirazione rivoluzionaria in cui erano coinvolti gli Illuminati, i Rosa-Croce e i Templari fu sostenuta dall’abate Augustin Barruel nel suo Mémoires pour servir è l'histoire du jacobinisme, Londra 1797-1799. 531

532 Il Conte di Cagliostro era in realtà un avventuriero siciliano di nome Giuseppe Balsamo (1743-1795), che assunse tale nome e titolo durante un soggiorno a Londra nel 1776. L'identità fra Cagliostro e Giuseppe Balsamo fu stabilita nel 1786 da un libellista francese, Théveneau de Morande, su incarico della polizia di Luigi XVI. Anche se Cagliostro negò decisamente di essere «quel Giuseppe Balsamo», il grande scrittore tedesco Goethe ebbe modo di confermare tale identità in seguito ad una visita fatta a Palermo alla famiglia Balsamo nel 1787, episodio che descrive nel suo Viaggio in Italia (1816-1817). Su Cagliostro si vedano C. Photiadès, Les vies du Comte de Cagliostro, Parigi 1935; E. Petraccone, Cagliostro nella storia e nella leggenda, Milano 1937; M. Haven, Le Maitre Inconnu, Parigi 1913 (in cui l’autore, che vede in Cagliostro un grande esponente della tradizione iniziatica, mette in dubbio la sua identificazione con Giuseppe Balsamo).

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Madre è denominata «La Sagesse Triomphante», prende corpo l’idea di un’istituzione massonica in cui rivivono le iniziazioni dell’antico Egitto e le sue pratiche esoteriche. Il Rito, di cui Cagliostro aveva assunto la direzione col titolo di «Gran Cofto», presentava due aspetti fondamentali, l’uno rivolto alla rigenerazione “morale” e l’altro a quella del corpo e prevedeva lunghi periodi di ritiro con un particolare regime alimentare, preghiere, pratiche divinatorie ed evocazioni angeliche, nonché l’assunzione di sostanze preparate con procedimenti alchemici che avrebbero dovuto produrre una vera e propria trasformazione fisica°*, Una delle pratiche esoteriche messe in atto da Cagliostro era l’uso di una «Pupilla» o di un «Pupillo», ovvero di una fanciulla o di un ragazzino che veniva messo in stato di trance e che, in questa condizione, avrebbe potuto evocare e “vedere” i sette spiriti planetari e rivolgere loro delle domande; una versione più semplice di questa pratica era quella di indurre i “Pupilli”, con dei passi magnetici, ad avere delle visioni fissando una caraffa piena d’acqua e diversi testimoni hanno avuto modo di verificare il successo di queste pratiche. Cagliostro è un personaggio decisamente singolare ed inquietante, che alcuni hanno considerato (e continuano a considerare) un grande iniziato, mentre altri lo hanno giudicato un avventuriero e un mistificatore’*!, Lui stesso, in un memoriale scritto mentre era recluso nella Bastiglia”, fornisce della sua vita una versione alquanto fantasiosa, sostenendo di essere nato da genitori nobili e cristiani, di essere rimasto orfano e di aver trascorso la sua infanzia a Medina affidato alle cure di un anziano tutore di nome Althotas da cui aveva appreso le scienze, in particolare la botanica e la farmacologia; si era quindi tra533 Cfr. Clavel, op. cit. pp. 175 ss. Sui rituali e gli statuti della Massoneria egiziana di Cagliostro, si vedano Rituel de la Maconnerie égyptienne e Statuts et Règlements de la R. L. de La Sagesse Triompbante (entrambi stampati a Lione nel 1784). 534 Un quadro decisamente negativo è quello fornito dal monsignore Giovanni Barbieri, che svolse funzioni di segretario nel corso del processo intentato a Cagliostro dal Santo Uffizio nel 1790, in un testo intitolato Compendio della vita e delle gesta di Giuseppe Balsamo denominato Conte di Cagliostro, pubblicato a Roma nel 1791, dopo la sua condanna per eresia, pratiche magiche e appartenenza alla Massoneria; l'intenzione dell’opera è palesemente denigratoria e Cagliostro viene presentato come un impostore e un truffatore, la cui vita è stata tutto un susseguirsi di inganni e azioni riprovevoli. 535 Cagliostro, Mémoire pour le comte de Cagliostro accusé contre M. le Procureur général, accusateur, Parigi 1786, pp. 12 ss. (Confession du Comte de Cagliostro).

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sferito alla Mecca, accolto amorevolmente dallo “Cherif”, il sovrano dell’Arabia e dopo tre anni aveva cominciato a viaggiare, recandosi prima in Egitto, dove aveva visitato le Piramidi e dove i sacerdoti dei vari templi gli avevano mostrato i luoghi più segreti; aveva poi continuato a viaggiare nei vari paesi dell’Africa e dell’Asia, giungendo infine, nel 1766 a Malta dove era stato ospitato dal Gran Maestro Pinto (de Fonseca) in un appartamento vicino al suo laboratorio e dove aveva conosciuto il cavaliere d’Aquino, assumendo per la prima volta il nome di Cagliostro; dopo la morte del vecchio Althotas, era di nuovo partito, accompagnato dal d’Aquino, recandosi in Sicilia, poi a Napoli e infine a Roma. In realtà Giuseppe Balsamo era nato a Palermo e, rimasto orfano di padre, era stato inviato nel 1756 in un convento di Caltagirone dove era stato affidato alle cure del frate speziale dal quale aveva probabilmente appreso le prime nozioni di spagiria e medicina; abbandonato il convento, aveva condotto una vita scapestrata finché, nel 1766, si ritiene che abbia incontrato il cavaliere Luigi d’Aquino”°, col quale aveva stretto una duratura amicizia: il d’Aquino avrebbe quindi accompagnato Cagliostro a Malta, introducendolo nell’ambiente dei Cavalieri Gerosolomitani; è possibile anche che Cagliostro abbia lavorato per qualche tempo nel laboratorio del Gran Maestro Manuel Pinto de Fonseca, appassionato cultore di ricerche alchemiche’”7, Mentre per la prima giovinezza di Cagliostro abbiamo due versioni fondamentalmente diverse, il resto della sua vita è meglio documentato: nel 1768 si trova a Roma dove sposa la bella Lorenza Feliciani; lasciata Roma, la coppia vaga per diverse città europee, finché, nel 1773, giunge a Napoli; qui Cagliostro, che si fa passare per il marchese Giuseppe Pellegrini, è ospitato da Luigi d’Aquino e si dedica ad esperimenti alchemici, tenendo anche lezioni di chimica e di medicina; nel 1775 Cagliostro è a Marsiglia, dove viene accolto nell’ambiente massonico 536 Cfr. R. di Castiglione, Il maestro di Cagliostro: Luigi d'Aquino, ed. Atanor, Roma 1989, pp. 29 ss. Luigi d'Aquino (1739-1783), iniziato in Massoneria verso il 1763, era il fratello minore di Francesco d’Aquino, principe di Caramanico, elemento di spicco della Massoneria napoletana (nel 1774 fondò la Gran Loggia Nazionale di Napoli di cui fu proclamato Gran Maestro) e favorito della regina Maria Carolina. Secondo Photiadès (op. cit. pp. 124 s.), Cagliostro avrebbe invece conosciuto Luigi d'Aquino durante un suo secondo soggiorno a Malta, nel 1775. 537 Il portoghese Manuel Pinto de Fonseca, Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta dal 1741 al 1773, fu accusato, dopo la sua morte, di aver dissipato enormi somme di denaro nella ricerca della Pietra Filosofale.

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come «depositario dei segreti delle Piramidi» e l’anno successivo è a Londra dove assume definitivamente il nome di conte di Cagliostro e dove viene iniziato, insieme alla moglie, nella Loggia «L’Espérance»: inizia il periodo di maggior successo di Cagliostro che ha ormai consolidato la sua fama di taumaturgo, in possesso di poteri e conoscenze segrete, e nel corso di un lungo viaggio attraverso l’Europa centrale e settentrionale, viene accolto dovunque trionfalmente, operando miracolose guarigioni e addirittura realizzando una trasmutazione in pubblico in una Loggia di Varsavia; nel 1781 è a Strasburgo dove stringe amicizia con il cardinale di Rohan, che diventa un suo grande e devoto ammiratore. Nel 1783, dopo essersi recato a Napoli, al capezzale del suo amico Luigi d’Aquino morente, Cagliostro inizia a dedicarsi al progetto di creare un Rito massonico “egiziano”, probabilmente basandosi sugli insegnamenti ricevuti a Malta e a Napoli°*%: recatosi a Lione, cerca, senza successo, di trovare un accordo con Willermoz, quindi crea, nel 1784, la Loggia madre del suo Rito Egizio”, entrando in concorrenza con l’Ordine dei Cavalieri Beneficenti del Willermoz, e l’anno successivo, a Parigi, celebra, in uno scenario solenne, la fondazione della Loggia di rito egiziano «Isis». Ma proprio quando sembra aver raggiunto l’apice del successo, Cagliostro viene coinvolto nell’Affaire della collana della regina ed è arrestato e tradotto alla Bastiglia insieme alla moglie’; al processo si difende brillantemente riuscendo a dimostrare la sua buona fede e quella del cardinale de Rohan, per cui viene assolto, ma è costretto ad abbandonare la Francia. Riparato in Inghilterra, nel 1786 scrive una Lettera al popolo francese*''in cui accuCfr. R. di Castiglione, op. cit. p. 52. Secondo un’altra versione, peraltro non documentata, Cagliostro sarebbe stato iniziato a Malta nel 1766 nella Loggia «Discrezione e Armonia» e nel 1767 avrebbe portato a Napoli i rituali della Loggia aggiungendovi i tre gradi dell’Arcana Arcanorum (cfr. G. Ventura, 1 Riti massonici di Misraim e Mempbis, ed. Atanor, Roma 1975, p. 28). 539 I rituali del Rito Egizio di Cagliostro furono compilati con la collaborazione di Rey de Morande, nipote di Willermoz, forse sulla base di alcuni manoscritti acquistati da Cagliostro a Londra nel 1776 e attribuiti ad un certo George Cofton. 538

540 Il cardinale di Rohan era stato raggirato da un’avventuriera, la contessa de La Motte, che lo aveva convinto a fare da garante per l’acquisto di una preziosissima collana di diamanti da parte della regina Maria Antonietta, con la promessa che ne avrebbe ottenuto i favori; la collana non era mai stata consegnata alla regina e la truffa era stata scoperta; la de La Motte era stata arrestata, ma aveva cercato di attenuare la sua colpa accusando Cagliostro di aver ordito l’inganno e provocandone l’arresto. 541

Traduction d'une lettre ècrite par le comte de Cagliostro è M.

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N...

de Londres, le

sa il barone de Breteuil, ministro della real Casa, di essere il suo persecutore e denunzia le iniquità del sistema giudiziario francese, esortando a lavorare per la Rivoluzione e profetizzando la distruzione della Bastiglia, la convocazione degli Stati Generali e l’avvento al trono di un re più saggio. Scoppia poi la polemica con Théveneau de Morande in merito alla sua identità e Cagliostro finisce con l’abbandonare anche Londra, riprendendo le sue peregrinazioni; nel 1788 è a Rovereto, e in relazione alla sua permanenza nella città, Clementino Vannetti, segretario della locale Accademia degli Agiati, scrive il libretto che sarà conosciuto come Vangelo di Cagliostro e che sarà giudicato blasfemo i suoi riferimenti di carattere religioso e pubblicamente bruciato per a Roma nel 17912. Dopo un soggiorno a Trento, nel 1789 Cagliostro si trasferisce dove però è considerato con sospetto dalla polizia sia per Roma, a la sua appartenenza alla Massoneria, sia perché, per la sua profezia sulla caduta della Bastiglia, lo si considera un pericoloso sovversivo. Cagliostro tenta invano di creare anche a Roma una Loggia di Rito Egizio, ma ormai la sua stella è in declino: nel 1789, in base a delle accuse formulate da sua moglie, viene arrestato e tradotto nel Castel Sant’Angelo; processato dal Santo Uffizio, viene riconosciuto colpevole come «eretico formale, mago e Libero Muratore» e condannato al rogo, ma la pena viene mutata dal Papa nella condanna al carcere a vita e Cagliostro viene rinchiuso nella rocca di San Leo dove muore nel 1795, dopo aver patito sofferenze inumane. Cagliostro è decisamente una figura emblematica in cui si riflettono i diversi aspetti e le contraddizioni che hanno caratterizzato il XVIII secolo, soprattutto nel quadro delle istituzioni massoniche, dalle istanze spirituali e dal gusto per il mistero ed il meraviglioso alle spinte rivoluzionarie, in cui le concezioni illuministiche e le istanze etiche si intrecciano con il richiamo nostalgico alle più diverse tradizioni esoteriche, nonché a mistificazioni e sogni visionari. Personaggio dotato di una brillante intelligenza e di un innegabile fascino, probabilmente in possesso di conoscenze e poteri particolari, che sia stato un truffatore o un grande iniziato, comunque Cagliostro è entrato prepotentemente non solo nell’ambiente massonico ed esoterico, ma anche sulla scena

il

20 juin 1786, pamphlet stampato a Parigi nel 1789 come denuncia della corruzione dell’Ancien Régime.

542 C. Vannetti, Liber memortialis de Caleostro quumesset Roboreti, 1789. Il testo del libretto è stato poi tradotto in francese dal Martinista Marc Haven, che lo ha pubblicato col titolo L’Evangile de Cagliostro, Parigi 1910.

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pubblica del suo tempo, rendendo popolare l’idea di una Massoneria “Egiziana” della effettiva realtà della Magia e dei poteri taumaturgici e rigenerativi dell’Alchimia.

e

1

RITI EGIZI

Agli inizi dell’Ottocento si è sviluppato un grande interesse per l’antico Egitto, che ha dato origine ad una vera e propria “Egittomania” alla quale si deve anche la decisione di intraprendere la Campagna d’Egitto il 1798 e il 1801°*, Anche i Riti d’ispirache fu guidata da Napoleone zione egizia ebbero un nuovo impulso e nel 1801, nella Loggia parigina dei «Frères Artistes» fu fondato l’Ordine Sacro dei Sophisiens, concepito da Jean-Guillaume Cuvelier, ufficiale degli Ussari, insieme ad alcuni altri ufficiali che avevano partecipato alla spedizione in Egitto: il Rito, stabilito «nelle Piramidi della Repubblica Francese», lavorava «sotto gli auspici di Horus» sotto la direzione del «Grande Isiarca» e conferiva tre Alti Gradi (Aspirante, Iniziato e Membro dei Grandi Misteri). Nel 1814 venne fondata a Parigi la prima Loggia francese del Rito di Misraim (termine che in ebraico significa «Egitto») a opera di tre fratelli, Marc, Michel e Joseph Bédarride, che erano stati ufficiali dell’esercito napoleonico di stanza a Napoli, dove erano stati iniziati

fra

543 Due opere dell’orientalista francese Volney (Constantin-Francois Chasseboeuf de La Giraudais, comte Volney), Voyage en Égypte et en Syrie (1787) e Ruines, ou Medéditations sur les révolutions des empires (1791), affascinarono il ministro Talleyrand e contribuirono alla decisione di intraprendere la Campagna d’Egitto; a questa campagna prese parte Vivant Denon (disegnatore e scrittore, al quale sarà poi affidata l’organizzazione del Museo del Louvre), che descrisse i monumenti dell’antico Egitto da lui visti, nel suo Voyage dans la Basse et la Haute Égypte (Parigi 1802), opera che riscosse uno straordinario successo. Alla spedizione napoleonica partecipò anche l’italiano Bernardino Drovetti che nel 1802 fu nominato console di Francia in Egitto e mise insieme una importante collezione di antichità egiziane (che sarà poi venduta a vari musei, dal Museo Egizio di Torino al Louvre), dando inizio alla “caccia alle antichità egiziane”; Drovetti fu anche l’organizzatore di una Société Secrète Egyptienne attiva in Egitto nel 1818 che aveva adottato il Rito Egiziano di Cagliostro (cfr. Gérard Galtier, La société secrète égyptienne de B. Drovetti, Cahiers de la Méditerranée, 72/2006; risorsa online). 544 Cfr. ].M. Ragon, Orthodoxie Magonnigue, Parigi 1853, p. 181 ss. Jean-Marie Ragon de Bettignies (1781-1862), iniziato a Bruges nel 1804, ha fondato a Parigi la Loggia «Les Vrais Amis», divenuta poi «Les Trinosophes» ed è stato iniziato nel Rito di Misraiîim nel 1816; particolarmente erudito, è autore di diverse importanti opere sulla Massoneria e il suo simbolismo.

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Egizio”: ad Aprile, pochi giorni dopo l’abdicazione di Napo-

al Rito

leone, tre fratelli crearono un Gran Consiglio Generale del 90° Grado per la Francia e già a maggio una Loggia parigina l’«Arc en Ciel», praticava il nuovo Rito. Il Rito dei Bédarride presentava delle evidenti influenze ebraiche e cabalistiche e una certa affinità con quello degli Eletti Cohen di Martinéz de Pasqually, mentre molto vaghe erano le sue caratteristiche “egiziane” a meno di non prendere sul serio la fantasiosa storia sulle sue antiche origini egizie raccontata da Marc Bédarride nella sua opera”. Clavel parla in termini piuttosto critici delle origini di questo Rito: «È nel 1805 che diversi fratelli dai costumi screditati, non essendo stati ammessi nella composizione del Supremo Consiglio Scozzese, che era stato fondato quell’anno a Milano, immaginarono il Regime Misraimita... All’inizio i postulanti non potevano arrivare che all’87° Grado. Gli altri tre, che completavano il sistema, erano riservati a dei Superiori sconosciuti»°’, Clavel aggiunge quindi che il Rito si era difi

Marc Bédarride, il maggiore dei tre fratelli, nato nel 1776, entrato nell’esercito repubblicano nel 1792, fu comandante di un battaglione della Repubblica Partenopea del 1799; secondo quanto lui stesso riferisce (M. Bédarride, L’Ordre Maconnique de Misraim, Parigi 1845, vol. II, pp. 124 s.), tornato a Napoli, sarebbe stato elevato al 90° Grado del Rito di Misraim dal «Patriarca Palambola» del quale non è stato possibile stabilire l’identità; sempre secondo quanto riferisce Bédarride, suo padre, Gad Bédarride, nato nella comunità ebraica di Cavaillon, sarebbe stato iniziato Libero Muratore verso il 1771 ad Avignone (dove sarebbe esistito da tempo un Supremo Illuminati di Avignone) e poi, nel Consiglio del Rito di Misraîim e dove operavano 1782, nella nativa Cavaillon, sarebbe stato ammesso nel Rito di Misraim dal «Patriarca Ananiah, Gran Conservatore Egiziano», la cui identità resta parimenti oscura. 546 Bédarride (op. cit. vol. 19, dopo aver affermato che la Massoneria è di origine divina, dice che essa deriva da Iside e Osiride e che i grandi sapienti dell’antichità (Mosè, Omero, Pitagora, ecc.) erano Misraimiti, ovvero seguaci del grande Misraîm, identificato con il faraone Menes, ma anche con Osiride, Serapide e Adone (pp. 9-10); descrive quindi la composizione dell’Ordine con i suoi 90 Gradi (pp. 19 ss.) e passa poi a raccontare la storia della lunga catena di iniziati, a cominciare da Adamo e dai primi personaggi biblici fino a Noè, a suo figlio Cham e al secondo figlio di questi, che, iniziato in Caldea, sarebbe giunto in Egitto e avrebbe dato a questa terra il suo nome di Misraim (pp. 21 ss.); quindi parla dell’antico Egitto, delle Piramidi, «monumenti sacri destinati ad essere il luogo della conservazione della nostra sublime istituzione» e descrive i riti iniziatici che si sarebbero svolti nei loro sotterranei in cui l’iniziando doveva affrontare una serie di prove (pp. 50 ss.). Prosegue quindi la fantasiosa ricostruzione della catena di iniziati grazie ai quali l’antica tradizione sarebbe stata trasmessa fino all’età contemporanea. 545

gli

547

Cfr. Clavel, op. cit. p. 214.

272

fuso nel Regno d’Italia e in quello di Napoli e che aveva una Loggia in Abruzzo, e non manca di precisare che il fratello Marc Bédarride, nel 1811, non aveva raggiunto che il 77° Grado. SPATUTS GENERAUX Pr venni maconsigur Sembra comunque che il Rito di Misraim fosse M PE già noto a Venezia e nelle isole del Mar Ionio prisesisoverae ma della Rivoluzione Francese del 1789 e Marc sens ros manca. Bédarride riferisce che nel 1782 il Fratello Parenti, iniziato nella Loggia di Zante, all’epoca sotto il governo veneziano, lo avrebbe introdotto

Ls AL, La

a

Bruxelles‘,

Nel 1816, riferisce Ragon, undici fratelli del Rito, scontenti per il rifiuto dei Bédarride di PARIS, chiedere l’ammissione del Rito al Gran Orient de France, la maggiore istituzione massonica del paese, decisero di «purificare l’Arca» e crearono un nuovo Supremo Consiglio del 90° Grado: ne facevano parte lo stesso Ragon, promotore dell’iniziativa, Armand Gaborria°*?, «Sovrano Gran Maestro del novantesimo e ultimo Grado della Valle di Napoli», e altri due fratelli, sotto la presidenza del Fratello Joly, «autorizzato a creare, costituire e stabilire in Francia il Rito di Misraim nelle sue quattro serie e in tutti i gradi che le compongono, in virtù dei poteri che gli erano stati delegati a Napoli nel 1813 dalla Potenza stabilita in quella capitale», Il nuovo Supremo Consiglio chiese il riconoscimento del Grand Orient de France ma non lo ottenne e fu sciolto poco tempo dopo. Tuttavia, Joly, secondo quanto riferisce Ragon, aveva consegnato al Grand Orient i documenti relativi alla struttura del Rito di Misraim unitamente ad una versione scritta degli «Arcana Arcanorum», noti anche come «Scala di Napoli»: questo scritto, che Joly sosteneva di aver ricevuto a Napoli nel 1813, conteneva la parte più segreta del Rito relativa agli ultimi tre (o quattro) Gradi, e furono sostituiti ai quattro ultimi Gradi del sistema di A

è

amata

è

548 Bédarride, op. cit. vol. II pp. 125 s.; cfr. Ventura, I Riti Massonici di Misraim e Mempbis, ed. Atanor, Roma 1975, pp. 24 e 34. Si ha anche notizia di una Loggia del Rito esistente dal 1796 a Venezia; secondo un’altra fonte il Rito di Misraîm fu introdotto a Venezia dal Filalete Abraham nel 1801 (cfr. Ventura, op. cit. p. 44). 549 Armand Gaborria, iniziato nel 1771, giunto a Torino nel 1802, diventò uno dei maggiori promotori del Rito di Misraim in una versione fortemente influenzata da

elementi ebraici.

Ragon, op. cit. p. 186. Ventura (op. cit. p. 20) giudica severamente l’iniziativa intrapresa da Ragon e dagli altri Fratelli, definendola una «autentica azione di tradimento verso i Bédarride».

550

273

Bédarride, che Ragon definisce «cabalistici»”!. Ne risulta che il Rito, corrispondente al «Regime di Napoli», era articolato in novanta Gradi divisi in tre Serie (Simbolica, Filosofica e Mistica) e 17 Classi, l’ultima delle quali era costituita dagli ultimi quattro Gradi (dall’87° al 90°) definiti «Arcana Arcanorum» e sembra che sia in questi documenti che tale definizione è apparsa per la prima volta. Il Rito di Misraîm fu sciolto nel 1822, durante la Restaurazione, in quanto ritenuto una copertura per circoli politici repubblicani e liberali°2; fu poi ricostituito nel 1831, sempre sotto la direzione di Marc Bédarride, cui successe, nel 1846, il fratello Michel, la cui gestione fu spesso contestata; dopo la morte di quest’ultimo nel 1856, il Rito continuò a sussistere con alterne vicende nella Loggia Madre «L’Arc en Ciel», finché questa non fu sciolta durante l’occupazione tedesca nella II Guerra Mondiale. Precedentemente, nel 1814, Samuel Honis, un altro ufficiale dell’esercito napoleonico, che era stato membro della Loggia «Les Disciples de Memphis» costituita al Cairo, aveva creato a Montauban una Loggia dello stesso nome, che diventerà la Loggia Madre del Rito di Memphis; nel 1816 gli succedette, come Gran Ierofante, un altro ufficiale, Gabriel-Mathieu Marconis, e poi, nel 1838, il figlio di quest’ultimo, Jean Etienne Marconis de Nègre, che fondò l’Antico e Primitivo Rito Orientale di Memphis; furono quindi create altre Logge del Rito, la Loggia «Osiris» a Parigi e la Loggia «La Bienfaisance» a Bruxelles, 551 Cfr. J.M. Ragon, Cours philosophique et interprétatif des Initiations Anciennes et Modernes, Parigi 1841, pp. 344-348 in cui sono descritte le caratteristiche (arredo del Tempio, Parola, Toccamento, ecc.) degli ultimi quattro Gradi. Vedi anche, sempre di Ragon, il Tuiler Général de la Francmaconnerie ou Manuel de l’Initié, Parigi 1861, pp. 253-308. Ventura (op. cit. p. 22) dubita che le spiegazioni e gli sviluppi dei gradi 87°, 88° e 89° della Scala di Napoli fossero stati veramente in possesso di Joly e Ragon; secondo lui (pp. 43 s.) i quattro Gradi dell’Arcana Arcanorum furono portati a Napoli da Malta dal cavaliere d’Aquino e da Cagliostro e il Rito Egiziano di Cagliostro avrebbe avuto «parecchie cose in comune sia con la Scala di Napoli che con gli Illuminati di Avignone». P. Galiano, (Gli Arcana Arcanorum e Raimondo de Sangro, ed. Simmetria, Roma 2010, p. 109) sostiene invece che gli ultimi tre Gradi del Rito, noti come «Arcana Arcanorum» o «Scala di Napoli» sarebbero stati aggiunti a Napoli da Luigi d’Aquino e Cagliostro. 552 Cfr. G.L. de Biasi, Les Rites Egyptiens, Philosophie et Morale, 2001 (risorsa online); J. Mallinger (Lesrites dits egyptiens de la magonnerie, in Inconnu n. 12, Losanna 1956) sostiene che il Grand Orient de France mise in atto una vera e propria persecuzione contro il Rito di Misraim giungendo fino a denunciarlo al potere politico (cfr. anche Ventura, op. cit. p. 22).

274

e ben presto il Rito di Mempbis sì diffuse anche in altri paesi, negli Stati Uniti, in Romania ed in Egitto’. Rispetto alle origini del Rito di Memphis, Marconis racconta una leggenda suggestiva quanto inattendibile, che però mostra, diversi altri casi, il desiderio come anche di accreditare un Ordine come risalente ad un’epoca remota e di affermare l’esistenza di una continuità iniziatica: secondo questa

LE

SANCTUAME

DE MEMPHRIS,

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in

i

leggenda, Ormus, un sacerdote egiziano di Serapide convertito al Cristianesimo da San su. Bum, mesummanm Marco, aveva creato ad Alessandria l’Ordine iniziatico dei Saggi della Luce che, grazie ad Ormus, si collegava ai Misteri egizi e ne rappresentava l’erede; i segreti di questo Ordine erano stati quindi trasmessi a dei pellegrini Esseni e successivamente ai Templari che si trovavano in Palestina; erano poi giunti in Europa, a Upsala e in Scozia, dove erano stati trasmessi all’interno di un Ordine Massonico Orientale, dal quale era poi derivato quello di Memphis’. Il Rito di Memphis era articolato in 92 Gradi suddivisi in tre Serie e sette Classi e risulta derivato in buona parte dal Rito Scozzese e da quello di Misraim, oltre che dal Rito praticato dalla Loggia «Les Disciples de Memphis» dalla quale provenivano sette gradi esplicitamente ispirati alla tradizione egizia (Pontefice di Iside, Saggio delle Piramidi, Cavaliere della Sfinge, Interprete dei Geroglifici, Saggio di Heliopolis, Cavaliere del Kneph e Pontefice di Memphis). Nel 1862, facendo seguito all’esortazione all’unità della Massoneria del Gran Maestro del Grande Oriente di Francia, il Rito di Mempbhis entrò a far parte di tale Obbedienza’”. Furono quindi fondate numerose nuove Logge del Rito anche in altri paesi e, in particolare, fu creato un Sovrano Santuario del Rito Antico e Primitivo per la Gran

"ao za

Cfr. G. Ventura, op. cit. pp. 59 ss. Cfr. J.E. Marconis de Négre, Le sanctuaire de Memphis ou Hermès. Développements complets des Mystères Maconniques, Parigi 1849, pp. 5 ss. Va notato che la leggenda di Ormus ricorda la leggenda della fondazione dell’Ordine tedesco della 553

554

Rosa-Croce d’Oro precedentemente citato. 555 Cfr. de Biasi, op. cit. pp. 63 ss. in cui è riportato il testo dell’appello all’unità massonica del Maresciallo di Francia Magnan, Gran Maestro del Grand Orient de France.

275

Bretagna e l’Irlanda, con l’occultista e teosofo John Yarker”‘ come Gran Maestro: questo Rito comprendeva due rami, quello Orientale o di Memphis e Misraim, e quello Occidentale o di Swedenborg. Anche in Italia esistevano, nella seconda metà dell’Ottocento, diverse Logge e istituzioni che si richiamavano alla “Tradizione egizia”°7; il Rito di Misraim era presente nel 1860 sia a Napoli che a Palermo, mentre a Venezia era esistito fino al 1867, quando era stato posto in sonno; anche il Rito di Memphis era presente nel Regno delle due Sicilie, ma fu posto in sonno nel 1870, quando iniziarono le trattative per la creazione di un unico Grande Oriente d’Italia con sede in Roma, il che avvenne nel 1874; prima di questa riunificazione, il Grande Oriente di Palermo aveva concesso una patente per la costituzione di una Gran Loggia d’Egitto ad Alessandria, dove sarebbe stato praticato il Rito di Memphis e, successivamente, la Gran Loggia egiziana autorizzò il risveglio del Rzto di Memphis a Palermo. Intanto, nel 1876, a Catania, un certo Giovan Battista Pessina risvegliava, di sua iniziativa, il Rito di Memphis dandogli il nome di Rito Egiziano Riformato e pubblicando una rivista intitolata Le Piramidi di Menfi, il che fu duramente contestato sulla Rivista della Massoneria Italiana del Grande Oriente d’Italia; mentre il Rito Riformato di Catania continuava ad operare, il Pessina, recatosi a Napoli, vi risvegliava il Rito di Misraim; nel 1881 il due Riti di Memphis e diMisraim “Riformati” proclamarono Garibaldi Gran Ierofante con la partecipazione dei Riti Egizi non solo italiani, ma anche dell’Egitto, degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Romania e dell’Argentina. L’anno successivo, dopo la morte di Garibaldi, diventò Gran Ierofante il Pessina, che precedentemente aveva ottenuto anche la rappresentanza del Rito Antico e Primitivo dello Yarker e aveva trasformato il Rito misraîmitico di Napoli nell’Antico Rito Orientale di Mempbhis-Misraim. Nel 1890 il Santuario d’Italia del Rito di Memphis a Palermo decise di far valere la patente rilasciatagli dalla Gran Loggia egiziana, ponendo la questione della regolarità dei diversi Riti di ispirazione egiziana e memphitica; pertanto, nel 1900 tutti questi Riti, a cominciare da quello dello Yarker, riconobbero come loro capo supremo Ferdinan556 John Yarker (1833-1913), già Gran Maestro del Rito di Memphis negli Stati Uniti, divenne nel 1872 Gran Maestro del Sovrano Santuario del Rito Antico e Primitivo per la Gran Bretagna e l’Irlanda; fu amico di Helena Petrovna Blavatsky ed ebbe rapporti con Papus e Rudolf Steiner (cfr. Ventura, op. cit. pp. 70-73; E. Frosini, Massoneria italiana e tradizione iniziatica, Pescara 1911). 557

Cfr. Ventura, op. cit. pp. 73 ss.

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do degli Oddi, Gran Ierofante del Sovrano Gran Santuario d’Egitto, regolarizzando in tal modo la loro posizione. Alla morte di degli Oddi, Yarker assunse la Gran Maestranza e concesse al tedesco Theodor Reuss’® una patente per costituire a Berlino un Grande Oriente e Sovrano Santuario per la Germania. Anche Papus’”’, noto occultista e fondatore dell’Ordine Martinista, ottenne da Yarker una patente che gli permise di costituire una Loggia del Rito di Swedenborg e successivamente, nel 1908, ebbe da Reuss l’autorizzazione a costituire un’altra Loggia, la «Humanidad», che divenne la Loggia Madre dell’Antico e Primitivo Rito Orientale di Mempbis-Misraim per la Francia, di cui lo stesso Papus divenne il Gran Maestro. Nel 1960 la Gran Maestranza di questo Rito sarà assunta da Robert Ambelain”“, altro importante occultista, che ne riformerà i rituali e ne cambierà il nome in Grande Loggia Francese del Rito Antico e Primitivo di Mempbhis-Misraim. Intanto, nel 1924, viene fondato in Italia l’Antico e Primitivo Rito Orientale di Misraim e Memphis - Sovrano Gran Santuario Adriatico con una patente rilasciata a Marco Egidio Allegri dal Rito di Memphis - Sovrano Santuario di Palermo; nel 1945, dopo la fine della seconda guerra mondiale, lo stesso Allegri riunisce i due Riti di Misraîim e di 558 Carl Albert Theodor Reuss (1855-1923), cantante d’opera, scrittore ed occultista, simpatizzante della Sinistra radicale, fu iniziato Libero Muratore a Londra nel 1876 e nel 1885 entrò nella Società Teosofica; tentò poi di risvegliare l’Ordine degli Illuminati di Baviera e di costituire diversi altri Riti, concedendo patenti che non vennero riconosciute dalla Massoneria tedesca, nel cui ambiente Reuss era ritenuto un truffatore. Nel 1901, grazie al contatto stabilito con Yarker e con Wynn Westkott, capo della Societas Rosicruciana in Anglia, ottenne delle patenti che gli permisero di costituire alcuni Riti fra cui quello di Memphis-Misraim e quello di Swedenborg; nel 1906 costituì l’Ordo Templi Orientis (OTO), nel quale si inserì anche Aleister Crowley (sul quale torneremo più avanti). 559 Su Papus avremo tismo in Francia.

modo

di tornare in seguito, nella sezione dedicata

all’Occul-

560 Robert Ambelain (1907-1997), occultista e scrittore specializzato in tematiche esoteriche, iniziato Libero Muratore nel 1939 nella Loggia «La Jérusalem des vallées égyptiennes», durante l’occupazione, ha diretto i lavori clandestini della Loggia «Alexandrie d’Égypte» del Rito di Memphis-Misraîm, ricevendone gli Alti Gradi; nel 1942 ha risvegliato l’Ordine degli Eletti Cohen, mentre nel 1953 ha fondato la Chiesa Gnostica Apostolica; dal 1960 al 1985 è stato il Gran Maestro mondiale della Grande Loggia Francese del Rito Antico e Primitivo di Memphis-Misraîm. Fra le sue Traité d'astrologie ésotérique (in tre volumi, pubblicati a Parigi nel opere ricordiamo

il

1937-1942), La Franc-magonnerie occultiste et mystique (1643-1943). Le Martinisme, histoire et doctrine (Parigi 1946) e Rite ancien et primitif Memphis-Misraim. Cérémonies et rituels de la magonnerie symbolique (Parigi 1967).

de

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Memphis in uno solo, dando vita all’Antico e Primitivo Rito Orientale di Misraim e Mempbis e al Sovrano Gran Santuario Adriatico. Gastone Ventura, divenuto Sovrano Gran Maestro nel 1966, incarica Francesco Brunelli di costituire un Sublime Concistoro dei gradi 30°-90° nella Valle del Tevere; nel 1971 il Brunelli tuttavia entra ben presto in conflitto con il Ventura e nel 1973, autorizzato da Ambelain, risveglia a Perugia, nella Loggia «I Figli di Horus», l’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim, operando all’interno del Grande Oriente d’Italia. Al Brunelli succede, nel 1982, Giancarlo Seri e nell’anno successivo il Sovrano Santuario Italiano dell’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim viene inserito fra i Corpi rituali, con cui il Grande Oriente intrattiene rapporti di «corretta e reciproca collaborazione». Nel frattempo anche il Sovrano Gran Santuario Adriatico continua ad operare e, dopo un’accesa diatriba, i due Ordini stipulano un “Patto di reciproco rispetto” nel quale Sebastiano Caracciolo, Sovrano Grande Ierophante del Gran Santuario Adriatico, riconosce che il Seri è il legittimo rappresentante dell’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim - Santuario Italiano discendente da Ambelain, mentre il Seri riconosce che il Caracciolo è il legittimo rappresentante dell’Antico e Primitivo Rito Orientale di Misraim e Memphis - Sovrano Gran Santuario Adriatico - Zenit di Venezia. OCCULTISTI, SPIRITISTI E TEOSOFI Il termine “Occulto” indica qualcosa di nascosto e di segreto e, riferito alle cosiddette “Scienze occulte” come la Magia, l’Alchimia o la Cabala, viene associato a qualcosa di soprannaturale e misterioso e definisce una conoscenza su cui è opportuno osservare il silenzio o, almeno, una certa riservatezza, idea che ben esprime l’emblematica figura di Arpocrate, l’antico Dio del Silenzio, custode dei Misteri iniziatici.

Questa espressione, già adoperata da Enrico Cornelio Agrippa nel XVI secolo, nel titolo della sua Occulta Philosophia, viene riproposta, nel 1829, da un’opera dello scrittore anticlericale Eusèbe de Salverte intitolata, appunto, Des sciences occultes®2e diventa ben presto di uso 561 Informazioni reperibili online nel sito dell’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraiîm e in quello dell’Antico e Primitivo Rito Orientale di Misraim e Memphis. 562 Eusèbe de Salverte, Des sciences occultes ou Essai sur la Magie, les prodiges et les miracles, Parigi 1829.

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comune nella definizione di “Occultismo” attribuita a quella corrente di pensiero che tenta, in una società scettica e scientista come quella ottocentesca, di risvegliare il senso del mistero e di riportare l’attenzione sulle antiche forme tradizionali della conoscenza: si viene così a creare, all’interno delle istituzioni massoniche e ai loro margini, un ambiente ricco di personaggi, gruppi, circoli o associazioni paramassoniche che coltivano uno spiccato ed entusiastico interesse per tutte le forme dell’esoterismo, dalla Magia, dall’Alchimia e dalla Cabala all’Astrologia e ai Tarocchi.

Eliphas Levi Il fondatore del moderno Occultismo e uno dei suoi principali esponenti può essere senz'altro considerato Eliphas Levi”, che ha svolto un importante ruolo nel divulgare la conoscenza delle dottrine esoteriche, anche se interpretate in modo piuttosto personale e senza il rigore che aveva caratterizzato i testi rinascimentali: le sue opere, una delle quali è intitolata proprio Filosofia occulta, sono infatti scritte in uno stile alquanto enfatico, ma sostanzialmente semplice e comprensibile, e si rivolgono ad un vasto pubblico di persone curiose e affascinate dal mistero, piuttosto che ad una

ristretta cerchia di studiosi.

563 Alphonse-Louis Constant, noto come Eliphas Levi (1810-1875), nato in una famiglia priva di mezzi, ebbe unm’istruzione in Seminario dove studiò Filosofia e Teologia; ebbe una vita irrequieta e travagliata, lavorando per lo più come disegnatore; fu condannato due volte per alcune sue pubblicazioni e fu coinvolto nei moti del 1848; verso il 1850, influenzato dal filosofo polacco Hoene-Wro ski, si dedicò allo studio della Cabala e degli scritti di Boehme, Swedenborg e Saint-Martin e iniziò a scrivere il suo Dogma e Rituale dell'Alta Magia che pubblicò nel 1854 sotto lo pseudonimo di Eliphas Levi; nello stesso anno si recò a Londra dove conobbe sir Edward Bulver-Lytton che lo introdusse nell’ambiente rosacrociano. Nel 1859, con la pubblicazione della Storia della Magia e della Chiave dei Grandi Misteri, che completavano la trilogia iniziata con il Dogma e Rituale, conquistò l’interesse dei circoli esoterici francesi e nel 1861 fu iniziato nella Loggia «La Rose du parfait silence»; nello stesso anno iniziò una fitta corrispondenza col barone siciliano Giuseppe Nicola Spedalieri, scrivendo più di mille lettere che costituiscono un vero e proprio corso sulla Cabala; si dedicò inoltre ad illustrare le dottrine esoteriche e, in particolare, la Cabala, a diversi prestigiosi personaggi; infine, nel 1863 e nel 1865 pubblicò la sua Filosofia occulta, divisa in due volumi, il primo dedicato a Favole e simboli, il secondo alla Scienza degli spiriti.

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Il pensiero di Eliphas Levi è chiaramente espresso nella Introduzione al primo tomo del Dogma e Rituale dell’Alta Magia: «Oltre il velo di tutte le allegorie ieratiche e mistiche degli antichi dogmi... negli strani emblemi dei nostri vecchi libri di alchimia, nelle cerimonie di iniziazione praticate da tutte le società segrete, si ritrova la traccia di una dottrina uguale dovunque e dovunque gelosamente custodita. La Filosofia Occulta sembra essere stata la nutrice di tutte le religioni, la leva segreta di tutte le forze intellettuali, la chiave di tutte le oscurità divine, la regina assoluta della società nei tempi in cui essa era riservata esclusivamente all’educazione dei sacerdoti e dei re», In questo testo, forse il più interessante fra quelli da lui scritti, Eliphas Levi si sofferma su varie tematiche esoteriche, dalla spiegazione di alcuni simboli, come le Colonne del Tempio, il Pentagramma o la Spada fiammeggiante, ad una sintetica esposizione della Cabala e delle tecniche magiche, divinatorie e teurgiche; il contenuto è suddiviso in 22 Capitoli, ognuno dei quali è messo in rapporto con una delle 22 lettere dell’alfabeto ebraico e con i suoi significati simbolici; inoltre, nel X Capitolo del Dogma, dedicato ai pricìpi della Cabala, ogni lettera viene messa in rapporto con uno degli Arcani Maggiori dei Tarocchi, considerati «sotto il punto di vista cabalistico», che, secondo Levi, erano interrogati come oracolo dagli antichi sacerdoti ebrei. Lo Spiritismo e la Teosofia

Intorno alla metà del secolo, accanto alle tradizionali forme dell’esoterismo, prende corpo una nuova corrente di pensiero, lo Spiritismo, basata sulla convinzione nell’esistenza degli spiriti, entità invisibili ma dotate di morale e organizzate secondo una scala gerarchica: la comunicazione con questi spiriti, che per lo più sono riconosciuti come anime disincarnate di defunti, avviene grazie alla presenza di un medium e di un’energia intermedia fra Spirito e Corpo, definita perispirito. Questa dottrina, formulata da Allan Kardec°°, ebbe un

et

Rituel de la Haute Magie, Parigi 1861 (Il edizione), pp. 564 Eliphas Levi, Dogme 63-64; trad. it. in due volumi separati (Il Dogma dell'Alta Magia e Il Rituale dell’Alta Magia) a cura di C. de Rysky, ed. Atanor, Roma s. d. Allan Kardee, il cui vero nome era Hippolyte Léon Denizard Rivail (1804-1869), discepolo del pedagogo Pestalozzi, verso il 1855 cominciò ad interessarsi al fenomeno delle sedute spiritiche basate sui colpi battuti da un tavolino, che erano diventate di moda in seguito agli esperimenti effettuati in America dalle Sorelle Fox a partire dal 1848. Appassionatosi al fenomeno, in base alle sue esperienze, pubblicò Le Livre des Esprits (Parigi 1857), seguito da Le Livre des mediums (1861) in cui elabora una 565

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enorme successo dal momento che offriva ai suoi adepti la certezza di una vita che continuava dopo la morte e la possibilità (o l’illusione) di comunicare con i loro cari trapassati o di ricevere insegnamenti dalle entità del Mondo degli Spiriti. Nelle tradizionali pratiche magiche e teurgiche, le entità invisibili, come Angeli, Demoni o Dei, erano evocate facendo ricorso a rituali specifici e le entità erano individuabili mediante l’uso di nomi sigilli, mentre l’operatore aveva cura di difendersi da eventuali attacchi; al contrario, le sedute spiritiche non prevedono alcuna forma di difesa e si basano unicamente sulla presenza di un medium e sulla “catena” formata dai partecipanti, per cui l’eventuale contatto con il mondo invisibile può anche risultare dannoso e pericoloso; inoltre, l’assoluta assenza di un controllo sulle entità che si manifestano rende possibile qualsiasi forma di inganno”. Nel 1875, con la costituzione della Società Teosofica, fa la sua apparizione un’ulteriore organizzazione, destinata ad avere un notevole peso nell’ambiente esoterico. La sua dottrina presenta una specie di sincretismo fra concezioni esoteriche occidentali e orientali, e la costituzione della Società si basa su tre principi: formare il nucleo di una fratellanza universale dell’umanità, promuovere lo studio comparato delle religioni, filosofie e scienze, investigare sulle leggi inesplicate della natura e sulle capacità latenti dell’uomo. La fondatrice della “Teosofia”, Helena Blavatsky”°’, è stata una figura decisamente singolare e dalla no-

e

vera e propria dottrina, definita “spiritualismo” secondo la quale l’uomo possiede un “principio pensante” che sopravvive alla sua morte, può comunicare con i viventi e

può reincarnare. 566 Non a caso Guenon (L’erreur spirite, Parigi 1923) si è espresso molto negativamente nei confronti dello Spiritismo, definendolo una «pseudo-religione» grossolana e semplicistica che fornisce ai suoi credenti delle illusioni consolatorie e sottolineando come, per lo più, le cosiddette comunicazioni degli spiriti altro non siano che proiezioni mentali di persone viventi (cfr. Introduzione e Cap. V della seconda parte). 567 Helena Petrovna von Hahn-Rottenstern, nota come Helena Blavatsky o M.me Blavatsky (dal cognome del marito), nasce nel 1831 in Ukraina da una famiglia aristocratica; dopo essersi sposata, nel 1848, abbandona dopo soli tre mesi il marito e inizia una prima serie di viaggi che la portano in Grecia e in Egitto, dove conosce un mago copto, Paulus Metamon, che è stato un suo primo maestro; nel 1851 è a Londra, dove incontra il Maestro Morya e dove conosce Mazzini; riprende quindi a viaggiare, recandosi nel Canada, negli Stati Uniti, in America Latina e in Oriente; nel 1856, a Parigi, si converte allo Spiritismo; poi, dopo essere tornata per qualche tempo in pasi

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tevole personalità: grande viaggiatrice, affermava di aver incontrato, nel corso dei suoi viaggi, diversi maghi e sapienti e di aver appreso le dottrine orientali; sosteneva anche di essere stata sempre guidata da entità, prima identificate come spiriti (John King, Serapide, ecc.), poi da alcuni Mahatma, termine con cui voleva indicare i Maestri appartenenti alla «Grande Fratellanza Bianca», che avrebbe avuto la missione di aiutare l’umanità e trasmettere la conoscenza; la Blavatsky affermava di vederli in sogno e che essi le ispiravano ciò che scriveva, ma, a quanto affermava, le inviavano anche delle lettere (che le giungevano per posta, ma anche in forma di “apporti”); riferiva inoltre di aver incontrato di persona il Maestro Morya, conosciuto nel 1851 a Londra e raccontava di essersi recata con lui in Tibet, ma la notizia non ha

trovato conferma. La Blavatsky, che si era dedicata per diversi anni allo spiritismo, operando anche come medium, dopo la fondazione della Società Teosofica iniziò a formulare la sua “dottrina” pubblicando, nel 1877, l’Iside svelata’, in cui, criticando la cultura materialista, sosteneva che tutte le manifestazioni “miracolose” come lo spiritismo, la chiaroveggenza, l’ipnosi o i sogni lucidi, traevano la loro origine da una «occulta dottrina dell’antico Egitto» dalla quale sarebbero derivate tutte le attuali religioni. Nel suo testo successivo, la Dottrina segreta”, pubblicato nel 1888, le posizioni della Blavatsky mutarono però

tria, si reca in Italia e, condividendo i valori anticlericali del Risorgimento, partecipa, secondo quanto riferisce, alla battaglia di Mentana, dove viene ferita. Nel 1871, dopo essere sopravvissuta ad un naufragio, si reca al Cairo, dove crea un circolo spiritista e vi si impegna come medium; nel 1873 giunge a New York, dove frequenta l’ambiente degli spiritisti e conosce il colonnello Henri Steel Olcott, insieme al quale fonda, nel 1875, la Società Teosofica. Nel 1879 la Blavatsky e Olcott si trasferiscono in India: qui viene strutturata l’organizzazione della Società Teosofica, la cui sede centrale viene stabilita nel 1882 ad Adyar presso la città di Madras, dove la Blavatsky si dedica alla stesura della sua Dottrina segreta. Ritornata in Europa nel 1885, si stabilisce a Londra, dove muore nel 1891, dopo aver pubblicato la Chiave della Teosofia (1889), opera che fornisce interessanti chiarimenti sul suo pensiero. 568 H.P. Blavatsky, Isis Unveiled, New York 1877. Da notare che uno degli autori maggiormente citati in questo testo è Eliphas Levi, il che risulta coerente con l’intenzione della Blavatsky di inserire la Teosofia nella corrente del pensiero occultista, prendendo le distanze dalla sua precedente attività nel campo dello Spiritismo: sembra che a ciò essa sia stata indotta dai suoi contatti con la Hermetic Brotherhood of Luxor, una società segreta che si manifestò in Inghilterra nel 1884, ma che doveva già esistere verso il 1870 e che sembra derivasse da un’ancor più misteriosa Brotherhood

of Luxor. 569

H.P. Blavatsky, The Secret Doctrine, Londra- New York

282



Adyar 1988 (risorsa

radicalmente e la sua “dottrina” non faceva più riferimento all’antico Egitto, bensì soprattutto alla tradizione indiana e tibetana, in una visione eclettica alla quale concorrevano anche elementi desunti dalle tradizioni occidentali. Secondo quanto scrive la Blavatsky, gli insegnamenti della Dottrina segreta avrebbero avuto il loro fondamento nelle Stanze di Dyzan, un antico testo religioso la cui autenticità è stata ampiamente contestata: la Blavatsky offriva quindi una sua particolarissima visione della cosmogenesi e dell’antropogenesi, quest’ultima basata sul succedersi di sette grandi razze che rappresenterebbero altrettanti stadi evolutivi dell’umanità: l’elemento centrale della dottrina teosofica è pertanto rappresentato dall’idea di una lunga serie di reincarnazioni che si susseguono in base alla legge del 2arma, secondo la quale ogni reincarnazione sarebbe il risultato delle azioni compiute nelle vite precedenti. Guenon”’° esprime un giudizio decisamente negativo nei confronti della Teosofia, iniziando col precisare che il termine «Teosofia» è stato adottato in modo improprio, in quanto la dottrina esposta dalla Blavatsky non ha nulla in comune con le visioni teosofiche di mistici come Bhoeme o Swedenborg, per cui utilizza, per definirla, il termine «Teosofismo». Inoltre, secondo Guenon, l’idea evoluzionistica che costituisce il nucleo centrale della dottrina teosofista è assolutamente incompatibile con gli insegnamenti tradizionali, così come lo sono quelle della reincarnazione e del karma, affini alle concezioni spiritistiche piuttosto che alle dottrine orientali. Malgrado il severo giudizio di Guenon, le accuse di frode più volte mosse alla Blavatsky”7! e le innegabili contraddizioni della sua dottrina, la Società Teosofica ha attratto e continua ad attrarre un gran numero di persone, ed ha influenzato con le sue visioni (sostanzialmente lontane da quelle delle tradizionali istituzioni iniziatiche) movimenti di ispirazione sentimentale ed eclettica, come la moderna New Age, che nulla hanno a che vedere con la Tradizione iniziatica’”?. online: Theosophical University Press Online Edition). 570 R. Guenon, Le Théosophisme, histoire d'une pseudo-religion, Parigi 1921 (risorsa online: Editions Anti-Nom). 571 Nel 1884, sul Christian College Magazine, viene pubblicato un articolo in cui si sostiene che le Lettere dei Maestri sono dei falsi e che la Blavatsky ha spesso fatto ricorso a dei trucchi per far credere ad eventi meravigliosi, accusa che del resto era stata già mossa alla Blavatsky in più occasioni, anche durante la sua attività di medium. 572 Dopo la morte della Blavatsky, la Società Teosofica sarà prima diretta da Olcott, cui succederà, dal 1907 al 1933, Annie Besant, autrice di diverse opere sulla dottrina

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LP’Occultismo

in Francia

Mentre si moltiplicano i circoli spiritistici e la Società Teosofica fa la sua opera di proselitismo, si afferma, in Francia, una nuova generazione di Occultisti che manifestano, anche se a volte in modo enfatico e teatrale, la loro adesione alle dottrine esoteriche tradizionali. Nel 1888 lo scrittore Joséphin Peladan’”* fonda, insieme al poeta Stanislas de Guaita’”*, l’Ordre Kabbalistique de la Rose-Croix, al quale aderiranno anche Papus e Oswald Wirth°”°, oltre che diversi teosofica; fra le personalità che hanno aderito alla Società Teosofica, vanno ricordati: Charles Leadbeater, autore di diversi scritti teosofici, il filosofo indiano Krishnamurti che, secondo la Besant, avrebbe dovuto essere il futuro «Istruttore del Mondo», il pensatore tedesco Rudolph Steiner, che però se ne distaccherà, fondando la Società Antroposofica (1913) e la femminista Anna Kingsford, fondatrice di una Hermetic Society (1884); aderirono alla Teosofia anche lo scrittore Édouard Schuré, autore del noto testo I grandi iniziati (1889), il pittore Mondrian, il poeta inglese W.B. Yeats, l’astronomo e scienziato Flammarion. Anche scrittrice Alice Bailey ha fatto parte della Società Teosofica dal 1915 al 1922, per poi distaccarsene e fondare una propria Scuola: la Bailey, che ha elaborato una teoria escatologica relativa alla futura creazione di una nuova società nella cosiddetta Età dell'Acquario, è stata una delle ispiratrici del movimento della New Age, sviluppatosi in America negli Anni Sessanta. 573 Joséphin Peladan (1858-1918), noto anche come Sàr Mérodack Joséphin Peladan, personaggio estroso e creativo, sostenitore della tradizione cattolica, prima di fondare l’ordine Cabalistico della Rosa-Croce, era stato ammesso nel circolo rosacrociano di Tolosa; è stato un prolifico e apprezzato autore di numerosi romanzi, opere teatrali, testi di estetica (L’Art idéaliste et mystique, 1894), saggi critici, testi sull’Occultismo (Ampbithédtre des sciences mortes, 1892-1911, Introduction aux Sciences Occultes, 1911) e sui Salons Rose-Croix dal 1882 al 1898. Stanislas de Guaita (1861-1897), nato da una famiglia aristocratica di origine 574 lombarda, si avvicinò all’esoterismo in seguito alla lettura delle opere di Eliphas Levi, dedicandosi quindi allo studio della Cabala e della Tradizione ermetica e magica rinascimentale, raccogliendo una ricca biblioteca di antichi testi e manoscritti; da Antoine Fabre d’Olivet (scrittore, filologo ed esoterista, autore di La Langue hébraique restituée, Parigi 1815 e della traduzione dei Versi d’Oro di Pitagora, 1813) trasse l’interesse per la lingua ebraica e i Grandi Misteri dell’antichità; aderì inoltre all’idea della Sinarchia, un’autorità sovranazionale basata sulla conoscenza, concepita da Alexandre Sain-Yves d’Alveydre, autore di diverse opere intitolate Missions (dei sovrani, degli operai, degli Ebrei, dell’India, dei Francesi) pubblicate fra il 1882 e il 1887. Stanislas de Guaita è a sua volta autore di due importanti opere esoteriche: Az seul du Mystère (Parigi 1886) e Le Serpent de la Genése, diviso in tre parti, intitolate Le Temple de Satan (Parigi, 1891), La Clef de la Magie Noire (Parigi 1897) e Le Problème du Mal (incompleto e pubblicato postumo). 575 Oswald Wirth (1860-1943), esoterista e amico di Stanislas de Guaita, è noto per alcune sue opere sul simbolismo ermetico e massonico, fra cui Le Symbolisme Her-

la

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artisti come i compositori Caude Debussy ed Erik Satie: l’Ordine si proponeva di preservare la tradizione giudaico-cristiana e di diffondere le conoscenze esoteriche in seno ad un pubblico profano, ma curioso; si poneva pertanto come una specie di libera Università in cui venivano impartite lezioni sulla Cabala e l’Occultismo, si tenevano esami e venivano conferiti titoli come «licenziato in Cabala». Nel 1891 Peladan, non approvando l’uso della magia operativa praticata da Guaita e Papus, abbandonò l’Ordine Cabalistico della Rosa-Croce per fondare l’Ordine della Rosa-Croce Estetica o Ordine del Tempio della Rosa-Croce, e prese ad organizzare i Salons Rose-Croix, in cui furono esposte le opere di artisti di ispirazione simbolista, come il pittore Fernand Khnopff. Per quanto riguarda Stanislas de Guaita, ricordiamo che fu coinvolto in una singolare situazione che ben riflette gli atteggiamenti degli occultisti dell’epoca: nel 1893 fu infatti accusato dagli scrittori Huysmans”’° e Jules Blois°”7 di aver provocato a distanza la morte dell’abate Boullan’”® utilizzando procedimenti magici con l’aiuto métique, dans ses rapports avec la Franc-Maconnerie et l’Alchimie (1910; ed. it. Il simbolismo ermetico, ed. Mediterranee, Roma 1978) in cui riporta ampi brani della Etoile Flamboyante di Tschudy, e sul simbolismo dei Tarocchi (Le livre de Thot comprenant les 22 arcanes du Tarot, 1889 e Le Tarot des Imagiers du Moyen Age, Paris 1926; ed. it. I Tarocchi, ed. Mediterranee, Roma 1973); ha inoltre disegnato le carte dei 22 Arcani Maggiori, dandone una versione simbolica ed esoterica. 576 Yoris Karl Huysmans (1848-1907), scrittore eccentrico e decadente, è autore di À rebours (Controcorrente, 1884) e di Là-bas (L’abisso, 1891), opera, quest’ultima, che lo indusse ad interessarsi al Satanismo e a frequentare l’abate Boullan. 577 Jules Blois (1868-1943) è stato poeta, critico d’arte, autore di romanzi e saggi sull’esoterismo come Le Satanisme et la magie, (1895) e Le Monde invisible. Les occul-

tistes, les théosophes, le luciférisme, le satanisme, les deux envoùitements, les marchands d’espoir, l’église spirite, les recherches psychiques, conclusions (1902); scrisse anche dei drammi carattere esoterico, come Le nozze di Satana (1892).

di

578 Joseph-Antoine Boullan (1824-1893), detto l’abate Boullan, fu ordinato prete nel 1848 e fondò, nel 1859, una congregazione religiosa insieme alla sua amante Adèle Chevalier; nel 1861 furono entrambi condannati per truffa (ma erano stati anche accusati di oltraggio al pudore); nel 1885, dopo essere stato interdetto per le sue singolari attività esorcistiche, lasciò definitivamente la Chiesa cattolica ed entrò in rapporto con Eugène Vintras, un taumaturgo di Lione che affermava di essere la reincarnazione del profeta Elia, prendendone posto dopo la sua morte e praticando dei rituali a sfondo sessuale; nel 1887, Stanislas de Guaita, che lo aveva incontrato a

il

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dei suoi amici Papus e Wirth; ne seguì un’accesa disputa che culminò con un duello, non di magia, ma con le pistole, che però fu comunque caratterizzato da una serie di strani episodi, come una pistola che non spara e un cavallo che si imbizzarrisce e si rifiuta di procedere, episodi che furono ampiamente commentati sulla stampa occultista. Papus’”, già citato come fondatore dell’Antico e Primitivo Rito Orientale di Mempbhis-Misraim per la Francia e come aderente all’Ordine Cabalistico della Rosa-Croce e amico di Stanislas de Guaita, con la sua imponente figura e il suo carattere energico ed entusiasta, è probabilmente il personaggio più rappresentativo e pittoresco dell’Occultismo francese, dedito ad un’intensa attività di infaticabile organizzatore, di appassionato studioso e di prolifico autore, sempre impegnato a diffondere la conoscenza della tradizione esoterica occidentale. Dopo aver aderito per breve tempo alla Società Teosofica, fonda, nel 1891, l’Ordine Martinista, ispirato agli insegnamenti di Louis Claude de Saint-Martin e di Martinèz de Pasqually; nel 1889 aveva creato un Lione, convocò un tribunale iniziatico che condannò Boullan per le sue dottrine e le sue pratiche, che Guaita descrisse nel suo testo I/ tempio di Satana (1891). Nel 1890 Huysmans aveva conosciuto Boullan e si era ispirato a lui per un personaggio del suo romanzo Là-bas e quando Boullan morì, Huysmans e Jules Blois attribuirono la sua morte alle magie praticate da Guaita e Wirth. Gérard Anaclet Vincent Encausse (1865-1916), assunse il nome di Papus dal di nome uno spirito citato nel Nuctémeéron, un’opera attribuita ad Apollonio di Tiana. Medico e occultista, appassionato studioso della Cabala, della Magia, dell’Alchimia e dei Tarocchi, Papus ha fatto parte di numerosi Ordini esoterici (Società Teosofica, Ordine Martinista, Ordine Cabalistico della Rosa-Croce, Rito di Mempbis-Misraim, Rito di Swedenborg, Chiesa Gnostica Universale, Ordo Templi Orientis), mentre è stato spesso in disaccordo con i responsabili della Massoneria regolare, alla quale era stato iniziato nel 1882. L’incontro con il taumaturgo e mistico Maitre Philippe di Lione ha influenzato Papus, rendendolo un convinto sostenitore della mistica cristiana; nel 1905 Papus si reca in Russia, alla corte dello Zar, dove ha modo di conoscere Rasputin, ricavandone una pessima impressione. Della sua ampia produzione letteraria, ci limitiamo a citare alcuni testi fra i più noti: Traité élémentaire de science occulte (1888), Le Tarot des Bohémiens, clef absolue des sciences occultes (1889), Traité meéthodique de science occulte, in due volumi (1891), La Cabbale, Tradition secrète de l’Occident (1892), Martinésisme, willermosisme, martinisme et franc-maconnerie (1899), L’occultisme et le spiritualisme (1902), La science des nombres (pubblicato postumo). 579

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gruppo dedito agli studi esoterici (Groupe Indépendant d’Études Ésotériques) che diventa il “cerchio esterno” dell’Ordine Martinista, organizzando conferenze e corsi sulla Cabala, l’Alchimia, i Tarocchi e la Filosofia Ermetica, con insegnanti come lo stesso Papus, l’esoterista Paul Sédir®®°, lo scrittore Victor-Émile Michelet®®!, l’alchimista Francois Jollivet-Castelot’®? e l’occultista Cherles Barlet’5. L’Occultismo inglese e la Golden Dawn

Come in Francia, anche in Inghilterra si sviluppano, nella seconda metà dell’Ottocento, delle correnti esoteriche che si richiamano soprattutto alla tradizione rosacrociana: nel 1867 viene fondata a Londra la Societas Rosicruciana in Anglia (SRIA) a opera di due Massoni, William J. Hughan et Robert W. Little, ricevuti a Edimburgo nella Società rosacrociana di Scozia: alla Società potevano aderire solo Maestri Massoni iniziati in una Loggia regolare, ed il loro numero non poteva essere maggiore di 144; i rituali iniziatici per i nove Gradi dell’Ordine erano derivati da quelli della Rosa Croce d’Oro ed il loro contenuto aveva una forte connotazione cristiana. Fra i suoi membri vanno citati Eliphas Levi, John Yarker e lo scrittore Edward Bulwer-Lytton, che nel 1870 ne fu nominato presidente onorario. La Società esiste tuttora, e i suoi scopi sono «il mutuo aiuto e l’incoraggiamento nella ricerca dei grandi problemi della vita e la scoperta dei segreti della Natura, lo studio del sistema filosofico fondato sulla Cabala e le dottrine di Ermete Trismegisto, trasmesse dai Fratelli della 580 Paul Sédir, il cui vero nome era Yvon Le Loup (1871-1926) è autore di numerose opere sull’esoterismo e il misticismo, fra cui ricordiamo La Cabbale (1900) e Histoire et Doctrines des Rose-Croix (1910).

Victor-Émile Michelet (1861-1938) partecipa nel 1926 con Paul le Cour alla fondazione della Società di Studi Atlantidei e della rivista Atlantis. Paul le Cour (18711954), scrittore, occultista e astrologo, ha pubblicato nel 1937 L’Ère du Verseau, affermando per primo che passaggio dell’Equinozio di Primavera dal segno dei Pesci a quello dell’Acguario, che sarebbe avvenuto nell’anno 2150, avrebbe segnato l’inizio di una nuova Era. 581

il

582 Frangois Jollivet-Castelot (1874-1937), alchimista e autore di numerosi testi sull’Alchimia fra cui ricordiamo Comment on devient alchimiste (1897), Le grand ceuvre alchimigue (1901) e La Science Alchimique (1904).

Albert Faucheux (1838-1921), che firmava le sue opere come Charles Barlet, è stato amico di René Guenon ed ha forse conosciuto Max Théon, il misterioso ispiratore della Hermetic Bootherhood of Luxor, entrando poi a far parte del Movimento Cosmico creato dallo stesso Théon verso il 1900.

583

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Rosa-Croce di Germania nel 1450 (?), e lo studio del significato e del simbolismo di tutto ciò che resta attualmente della saggezza, dell’arte e della letteratura dell’antichità»°5*, Nel 1888, Samuel Liddell Mac Gregor Mathers°®, insieme ad altri due membri della SRIA, William Wynn Westcott°*° e William Robert Woodman, fondò la Golden Dawn (Fraternity of the Esoteric Order of the Golden Dawn, nota anche come Hermetic Order of the Golden Dawn) il cui percorso iniziatico (Cursus studiorum magicorum) era strutturato in base all’Albero delle Sephirot e si articolava in 13 Gradi divisi in tre Ordini: ’Ordine dell’Alba Dorata (Golden Dawn) o Circolo esterno, l’Ordine della Rosa Rossa e della Croce d’Oro (Ordo Rosae Rubeae et Aureae Crucis) o Circolo interno, e infine l’Ordine dell’Astro d'Argento (Argenteum Astrum)°. Gli insegnamenti 584

Vedi il sito ufficiale della S. R. I. A.

585 Samuel Liddell Mac Gregor Mathers (1854-1918), comincia ad interessarsi alla magia fin da giovanissimo; nel 1878 è iniziato in Massoneria e nel 1882 entra nella S. R. I. A. in cui diventa membro dell’Alto Consiglio; vi conosce un altro Massone, William Wynn Westcott, con il quale inizia ad elaborare quelli che in seguito diventeranno i Rituali della Golden Dawn, società che viene fondata nel 1888; vi viene iniziata Moina Bergson, sorella del filosofo Henri Bergson, che Mathers sposerà e con cui sviluppa l’Ordine Rosae Rubeae et Aureae Crucis; quindi, nel 1892, si trasferisce a Parigi dove fonda l’Ahathoor Temple of the Golden Dawn e poi i Rites of Isis. In seguito a dissapori fra Mathers e gli altri membri della Golden Dawn, nel 1900 le due strutture, londinese e parigina, si separano. Fra gli scritti di Mac Gregor Mathers ricordiamo la traduzione in inglese della Cabala denudata di Knorr von Rosenroth (Kabbalah unveiled, 1887), e la pubblicazione di vecchi testi magici (The Key of Solomon the King, 1889; The Book of the Sacred Magic of Abra-Melin the Mage, 1898). 586 William Wynn Westcott (1848-1925), studioso della Cabala e iniziato in Massoneria nel 1871, membro della Societas Rosicruciana in Anglia dal 1880, raccontava di aver trovato, in una piccola libreria londinese, dei manoscritti in codice che nel 1884 aveva decifrato, ricavandone le coordinate per mettersi in contatto con una donna tedesca, Anna Sprengel, membro di una società segreta rosacrociana (Tempel Licht, Liebe und Leben: Tempio Luce, Amore e Vita), con la quale aveva iniziato una corrispondenza, ricevendo un documento di tale società che lo autorizzava a fondare una fratellanza legata a quella tedesca: pertanto la prima Loggia della Golden Dawn, intitolata «Isis-Urania», fu detta Tempio n° 3, in rapporto alla (supposta) presenza di altre due precedenti Logge in Germania. Nel 1900 Mathers contesterà l’autenticità dei misteriosi documenti in codice, affermando che si trattava di falsi realizzati dallo stesso Westcott. 587

Il Circolo esterno (Ordine della Golden Dawn) comprendeva cinque Gradi

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impartiti riguardavano soprattutto la Cabala, di cui sia Mathers che Wiestcott erano studiosi, e l’arte divinatoria con i Tarocchi, ma comprendevano anche l’Alchimia, l’Alta Magia e la “Magia Enochiana”, insegnata solo agli adepti del Circolo interno, oltre che nozioni sui talismani e sui “viaggi astrali”. I tre fondatori esercitarono insieme la Gran Maestranza dell’Ordine fino al 1891 quando, seguito alla morte di Woodman, restarono solo Mathers (che risiedeva a Parigi) e Westkott, ma i rapporti fra di loro iniziarono ben presto a deteriorarsi e nel 1900 si giunse alla rottura definitiva: la Loggia londinese dell’Ordine, intitolata «Isis-Urania», restò sotto il controllo di Westcott e dei suoi sostenitori, mentre quella parigina (Ahathoor Temple) continuò ad essere controllata da Mathers e dalla moglie Moina Bergson. Nel 1903 la Gran Maestranza del ramo inglese della Golden Dawn fu assunta da Arthur Edward Waite”%5, che attuò una riforma in cui si sanciva il primato della realizzazione spirituale sui risultati materiali derivanti dall’uso della Magia pratica; questa nuova impostazione incontrò però una forte opposizione capeggiata dall’ex Gran Maestro, il poeta William Butler Yeats, che nel 1905 fondò un nuovo Ordine, detto della Stella Mattutina, che riproponeva la struttura della Golden Dawn precedente alla riforma di Waite. Dopo la scissione, Waite cambiò il nome dell’Ordine in Holy Order of the Golden Dawn, sottolineandone il carattere prevalentemente mistico, e in questa nuova forma l’Ordine sopravvisse fino al suo scioglimento nel 1915. Da quella vivace fucina del pensiero esoterico che era stata la Golden Dawn, derivarono alcuni altri Ordini, il primo dei quali è stato l’Ordine Rosacrociano dell'Alfa e Omega, fondato da alcuni dissidenti della Stella Mattutina, tornati sotto l’egida di Mathers; da questo Ordine che, dopo la morte di Mathers, fu retto con pugno di ferro da

in

(Neofita, Zelator, Theoricus, Practicus, Philosophus) cui seguiva un Grado (Signore della Porta) che introduceva al secondo Ordine (Ordo Rosae Rubeae et Aureae Crucis), articolato in tre Gradi (Adeptus Minor, Adeptus Major, Adeptus Exemptus); i Gradi del terzo Ordine (Ordo Astrum Argentum) erano parimenti tre (magister Templi, Magus, Ipsissimus). 588 Arthur Edward Waite (1857-1942), occultista anglo-americano, è famoso soprattutto per aver ideato il mazzo di Tarocchi noto come Rider-Waite, disegnato dalla pittrice simbolista Patricia Colman, anch’essa membro della Golden Dawn: la principale caratteristica di questo mazzo è che non solo gli Arcani Maggiori, ma anche le carte di quelli Minori presentano delle immagini, che ne agevolano la lettura ai fini simbolici e divinatori.

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Moina Bergson Mathers, derivò la Society of the Inner Light, fondata nel 1924 da Dion Fortune dopo essere stata espulsa dalla Bergson’, La discendenza dall’antico Ordine dei Rosa+Croce, fu comunque rivendicata anche da diverse altre organizzazioni: nel 1909 Max Heindel°, costituì in California un’Associazione Rosacrociana (Rosicrucian Fellowship) che impartiva insegnamenti per corrispondenza; nel 1915, l’americano Harwey Spencer Lewis’! ha fondato a New York l’Antiquus Mysticusque Ordo Rosae Crucis, noto anche come AMORC, ribadendo l’idea dell’origine egizia della tradizione esoterica; nel 1935 due fratelli olandesi, Jan e Wim Leene, si distaccavano dal Rosicrucian Fellowship di Max Heindel, fondando una propria Associazione Rosacrociana, poi rifondata nel 1945 ad Harlem come Scuola della Rosa-Croce d’Oro o Lectorium Rosacrucianum a opera di Jan Leene e Henriette Stok-Huizer che nel 1954 entrarono in contatto anche col movimento di rinascita catara organizzato dal francese Antonin Gadal?,

589 Violet Mary Firth (1890-1945) cambiò il suo nome in Dion Fortune (ricavato dalla massima «Deo, non Fortuna») quando entrò, nel 1919, nell’Ordine dell'Alfa e Omega; nel 1924, in seguito alla pubblicazione del suo testo The esoteric philosophy of love and marriage, fu accusata da Moina Bergson di aver rivelato degli insegnamenti segreti e fu espulsa dall’Ordine; in seguito a ciò fondò la sua Fraternity of the Inner Light. La Fortune è autrice di numerosi testi esoterici, fra cui The Mystical Qabalab, pubblicato nel 1935 (ed. it. La cabala mistica, ed. Astrolabio-Ubaldini, Roma 1974) in cui espone un interessante metodo di meditazione basato sull’Albero delle Sephirot. 590 Carl Louis von Grasshoff, noto come Max Heindel (1865-1919), esoterista danese trasferitosi negli Stati Uniti nel 1895, membro della Società Teosofica, si recò in Germania nel 1907 per incontrare un Maestro Rosacroce ed entrò in contatto con Rudolf Steiner, i cui insegnamenti lo influenzarono nella redazione del suo noto testo La cosmogonia dei Rosacroce, pubblicato nel 1909.

Harwey Spencer Lewis (1883-1939), giornalista, occultista e parapsicologo del New Jersey, sarebbe stato iniziato a Tolosa nel 1909 nell’Ordre Kabbalistique de la Rose-Croix; nel 1921 stabilì un contatto epistolare con Théodor Reuss che lo iniziò al Rito di Memphis Misraim, mentre nel 1935 entrò in contatto con Crowley. 592 Antonin Gadal (1877-1962) è stato un appassionato studioso dei Catari, scoprendo nella contrada del Sabarthez (nella regione dell’Ariége) le grotte in cui avevano luogo le loro iniziazioni; è autore di numerose opere (Le Graal pyrénéen; De l’héritage des Cathares,; Montréal de Sos, chàteau du Graal, ecc.) in cui evidenzia i rapporti fra la leggenda del Graal e il movimento cataro, sviluppatosi nel Medio Evo e duramente represso come eretico nella Crociata contro gli Albigesi (1209-1222). 591

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Aleister Crowley Sempre dalla Golden Dawn proviene anche il famoso occultista e mago Aleister Crowley”, iniziato da Mac Gregor Mathers nel 1888; Crowley, che nella scissione del 1900 era restato con Mathers, ebbe ben presto con lui delle divergenze che lo spinsero ad abbandonare l’Ordine. Secondo quanto lo stesso Crowley ha riferito, nel 1904, al Cairo, ispirato da un’entità incorporea chiamata Aiwass e identificata come «Ministro di Horus», compose il Libro della Legge (Liber AL vel Legis) in cui delineava la dottrina del Thelema (la Volontà), una sorta di nuova religione basata sul principio «Fai ciò che vuoi sarà tutta la Legge»: Crowley, che in un rituale magico dettatogli dalla moglie in stato di trance, aveva evocato il dio Horus, affermava che gli era stato annunciato l’imminente inizio di una nuova Era, l’Eone di Horus, di 593 Edward Alexander Crowley (1875-1947), che cambiò il suo nome in Aleister Crowley, era nato da genitori cristiano-evangelici rigidamente osservanti, ma dopo la morte del padre (1887) si era distaccato radicalmente dalla religione e alcuni anni dopo aveva iniziato ad interessarsi di occultismo; dopo essere entrato, nel 1888, nella Golden Dawn, cominciò a mettere in pratica i rituali magici del Libro di Abramelin (che Mathers aveva appena pubblicato), insieme all’amico Allan Bennett, che lo indusse ad assumere vari tipi di droga. Nel 1903, dopo aver abbandonato la Golden Down, sposò una vedova, Rose Edith Kelly, e intraprese con lei un viaggio che lo portò a Marsiglia, a Napoli e al Cairo, dove, nel 1904, compose il Libro della Legge. Nel frattempo aveva anche intrapreso diverse scalate sulle montagne del Messico e dell’Himalaya, l’ultima delle quali con esito disastroso; intraprese quindi un lungo viaggio con la moglie attraverso la Cina e il Vietnam e conobbe John Frederick Charles Fuller (un ufficiale dell’esercito britannico, abile stratega, che avrebbe aderito, nel 1933, al movimento fascista di Oswald Mosley), che divenne suo amico e collaboratore. Dopo la fondazione dell’Astrum Argenteunm (1907) e l’organizzazione della sezione inglese del’OTO (1912), allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Crowley si trasferì negli Stati Uniti, manifestando la sua simpatia per la Germania e dedicandosi a pratiche di magia sessuale con diverse amanti. Nel 1920 si stabilì a Cefalù, dove fondò l’Abbazia di Thelema, una sorta di comunità che viveva secondo i suoi insegnamenti, ma nel 1923 fu espulso dall'Italia insieme ai suoi seguaci. Dopo essere stato riconosciuto come capo dell’OTO in Germania, Crowley passò diversi anni fra la Germania, la Francia e il Portogallo, finché, tornato in Inghilterra nel 1932, vi trascorse gli ultimi anni della sua vita irrequieta e costellata di scandali (soprattutto per la sua spregiudicata vita sessuale e le molteplici relazioni con persone di entrambi i sessi), accuse (fra cui quelle di satanismo di spionaggio) e processi, ma caratterizzata anche da un’intensa attività esoterica e di scrittore: fra le sue numerose opere, ricordiamo Magick (ed. It. ed. Ubaldini, Roma 1976) in cui Crowley espone le sue concezioni magiche; ricordiamo che Crowley ha scritto anche un libro sui Tarocchi (The Book of Thoth, Londra 1944) e ha fatto realizzare un proprio mazzo di carte dalla pittrice Frida Harris fra il 1938 e il 1942.

e

291

cui lui sarebbe stato il profeta e di cui il Thelema sarebbe stata la Legge; il testo è diviso in tre Libri o capitoli, ognuno dei quali è attribuito ad una delle divinità egizie di una Triade composta da Nuit (Nut), Adit (Horus) e Ra-Hoor-Khuit (nome derivato da Ra e Arpocrate) ed è composta da asserzioni per lo più brevi e lapidarie, come «Ogni uomo e ogni donna è una stella» o «Possa tu essere, Hadit, il mio centro segreto, il mio cuore e la mia lingua» o «Io sono in una segreta parola quadruplice, la blasfemità contro tutti gli dei e gli uomini», fra le quali compaiono anche frasi estremamente aggressive come «Uccideteli, nominando i vostri nemici; ed essi vi cadranno davanti» o «Bahalasti! Ompedha! Sputo sulle vostre fedi intemperanti»; Arpocrate, il pacato Guardiano dei Misteri, è diventato, nella visione di Crowley, un bellicoso dio Falco: «Io sono il Signore dalla testa di Falco del Silenzio e della Forza... Ave a voi! Guerrieri gemelli delle colonne del mondo! Poiché il vostro tempo sta

per giungere». Nel 1907 Crowley fondò, sul modello della Golden Down, la società segreta dell’Astrum Argenteum e nel 1912, dopo la pubblicazione del suo libro The Book of Lies, in cui trattava di Cabala e di rituali magici, entrò in contatto con l’occultista tedesco Theodor Reuss, che lo autorizzò a fondare una sezione inglese dell’OrdoTempli Orientis (OTO): Crowley si mise quindi all’opera ed ampliò il sistema del’OTO da nove a undici Gradi, in cui tre Gradi (8°, 9° e 11°) erano dedicati alle tecniche della magia sessuale apprese da Reuss e da lui rielaborate’. Nel 1923, dopo la morte di Reuss, che lo aveva designato come suo successore, Crowley incontrò in Germania una forte opposizione da parte del movimento rosacrociano tedesco, una parte del quale non intendeva accettarlo come capo; fu quindi convocata una Conferenza, che si tenne a Weida nel 1925, per decidere in merito alla direzione dell’OTO e del complesso di associazioni che costituivano il movimento rosacruciano: questo alla fine si spaccò in due fazioni, una delle 594

A. Crowley, The Book

of the

Law, versione tradotta in italiano (risorsa online in

Wikipedia). Va notato che già verso il 1870, l’occultista americano Paschal Beverly Randoldella Fraternitas Rosae Crucis in America e membro della Hermetic fondatore ph, Brotherhood of Luxor, aveva creato la Fratellanza di Eulis (Eulis Brotherhood) in cui venivano insegnate tecniche di magia sessuale e di proiezione del pensiero (cfr. P.B. Randolph, Magia sexualis, a cura di J. Evola, ed. Mediterranee, Roma s. d.). 595

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quali non solo accettò Crowley alla direzione del’OTO, ma lo riconobbe anche come quel “Maestro del Mondo” da tempo annunciato dalla Società Teosofica; ciò rafforzò il potere di Crowley, ma determinò un contrasto con la Società Teosofica che in quegli anni cercava di attribuire il ruolo di “Maestro del Mondo” al giovane Krishnamurti.

ULTIME CONSIDERAZIONI Con Aleister Crowley possiamo dire che l’Occultismo, così come era stato concepito a partire da Eliphas Levi, ha raggiunto il suo apice, ma è anche giunto alla sua conclusione: un variopinto insieme di gruppi, circoli, associazioni e Ordini, nel corso dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, aveva cercato di penetrare i segreti del “Mondo invisibile” utilizzando insegnamenti cabalistici, richiamandosi alla tradizione rosacrociana o al martinismo, facendo ricorso alle carte dei Tarocchi e a pratiche di magia cerimoniale ed evocativa, fino a giungere a forme di magia sessuale. Questi gruppi sono stati caratterizzati, come anche gli Spiritisti e i Teosofi, da una fede, peraltro molto discutibile, nelle comunicazioni e nelle istruzioni ricevute da entità invisibili nel corso di sedute medianiche o di rituali magici; spesso i gruppi occultisti hanno concepito la trasmissione di conoscenze esoteriche a somiglianza di corsi scolastici o universitari, e quando hanno strutturato dei percorsi di realizzazione spirituale, hanno inventato ex novo gradi e rituali, ispirandosi, in molti casi, allo schema dell’Albero delle Sephirot, oppure hanno rielaborato rituali preesistenti, già adottati dei vari Ordini settecenteschi. Occorre a questo punto precisare che esiste una fondamentale differenza fra un rituale elaborato a tavolino e un rituale iniziatico risalente ad un’epoca remota e trasmesso attraverso un’ininterrotta catena iniziatica: nel primo caso ci troviamo di fronte ad una formulazione che, per quanto erudita e ispirata alle tradizioni esoteriche, riflette la formazione culturale di chi lo ha elaborato e lo spirito della sua epoca, e ciò si traduce spesso in formulazioni di carattere moralistico, esoterico o misticheggiante, prive però del potere di modificare in modo sostanziale la coscienza dell’iniziato; al contrario, in un rituale “antico”, per quanto possa essere stato modificato nel corso dei secoli, si può avvertire, in modo evidente, che esso comporta l’effettiva trasmissione di un’influenza spirituale da parte di chi, a sua volta, l’ha ricevuta in una ininterrotta catena di iniziazioni.

293

L'attività delle organizzazioni degli Occultisti, si è spesso intrecciata con quella dei circoli spiritisti o della Società Teosofica e molti membri di un’associazione hanno fatto parte anche di altre o provenivano da una di esse. Inoltre, solo in alcuni casi i diversi Ordini di cui abbiamo parlato hanno avuto un rapporto organico con la Massoneria regolare, ma per lo più si sono sviluppati ai suoi margini o in modo del tutto indipendente, anche se spesso i loro membri erano stati iniziati come Liberi Muratori. Ciò ha comportato che per lo più queste organizzazioni non erano “regolari”, laddove per “regolarità” si intende l’appartenenza ad un’istituzione iniziatica universalmente riconosciuta come tale ed in grado di attestare la sua origine da un Ordine iniziatico precedente, e da ciò è derivata una molteplicità di riferimenti esoterici spesso contraddittori e non riconducibili ad una effettiva Tradizione. Pertanto, ben si può comprendere l’insorgere di molte rivalità fra i vari raggruppamenti, che, malgrado i vari appelli ad un senso di “Fratellanza Universale”, sono stati quasi sempre in lotta e in concorrenza fra loro, cercando invano di raggiungere una posizione di predominio. Con la Seconda Guerra Mondiale è stata drasticamente ridimensionata l’entusiastica ma ingenua fede nella possibilità di promuovere una generale evoluzione dell’umanità grazie alla diffusione delle conoscenze esoteriche; il Nazismo, con la sua mistica guerriera non priva di aspetti esoterici? con la sua spietata logica di conquista, ha fatto apparire del tutto irrilevanti le più ardite ambizioni delle società esoteriche legate allo sviluppo dei “poteri magici” e perfino le più violente e spregiudicate espressioni di un occultista convinto come Crowley. Ciò non significa affatto che sia stato messo in discussione il senso della Tradizione iniziatica e della sua continuità, ma piuttosto che si è evidenziato lo scarso valore di un approccio alla «Occulta Filosofia» che in molti casi si è rivelato scarsamente rigoroso e, spesso, superficiale e velleitario.

e

Un importante contributo all’ascesa del Nazismo venne dal Gruppo Thule 596 (Thule Gesellschaft), una società segreta antisemita fondata nel 1918 da Rudolf von Sebottendorf (1875-1945), un occultista autore di un interessante scritto su delle pratiche magiche basate su formule verbali (Die Praxis der alten Tiirkischen Freimaurerei, Lipsia 1924). Va anche segnalata l’esistenza, all’interno delle SS, di un gruppo esoterico che praticava dei rituali nel castello di Wewelsburg ed aveva come simbolo il «Sole Nero». Fra i saggi dedicati agli aspetti esoterici del Nazismo, segnaliamo R. Alleau, Le origini occulte del nazismo. Il Terzo reich e le società segrete, ed. Mediterranee, Roma 2000 e G. Galli, Hitler e il nazismo magico, ed. BUR, Milano 2011.

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Non sono tuttavia mancati coloro che si sono espressi chiaramente contro questa deriva e che hanno severamente richiamato gli esoteristi ad un più serio e coerente rapporto con la Tradizione. Primo fra tutti, René Guenon, da noi più volte citato, che nei suoi scritti ha ripetutamente messo in guardia contro gli errori e i danni derivanti dall’adesione, per lo più inconsapevole e causata da ignoranza e superficialità, a forme di pseudo-religione o, addirittura, di contro-iniziazione’”. E non sono neanche mancati coloro che, nel segreto e con la dovuta discrezione, hanno continuato ad operare nel solco della Tradizione, come Fulcanelli e il suo discepolo Canseliet, che hanno dato un fondamentale contributo alla continuità della Tradizione alchemica nella nostra epoca, trasmettendo i loro insegnamenti, come gli antichi Maestri, sotto il velo dei simboli e delle allegorie”, E infine, ma non per ultima, va menzionata l’opera della Massoneria che, malgrado le persecuzioni e le campagne denigratorie e nonostante sia stata spesso travagliata anche da contrasti interni, ha assicurato la continuità di una trasmissione iniziatica legittima e regolare che certamente risale alle Confraternite Muratorie medievali, ma che affonda le sue radici nei riti iniziatici praticati nelle antiche civiltà e, soprattutto, nell’Egitto nell’epoca faraonica e in quella alessandrina e che da sempre sono stati caratterizzati dall’impegno degli iniziati ad osservare il “Silenzio” e a rispettare il “Segreto”.

597 René Jean-Marie-Joseph Guénon (1886-1951), membro di diverse istituzioni iniziatiche (Massoneria, Martinismo, Chiesa Gnostica), è stato uno dei maggiori esperti dei nostri tempi sulle tradizioni esoteriche (anche orientali) e il loro simbolismo ed ha svolto in merito un’intensa e rigorosa opera di esegesi e chiarificazione dottrinale; fra i numerosi scritti di Guenon ricordiamo, oltre le già citate opere sullo Spiritismo e la Teosofia, L’esoterismo di Dante (1925; ed. Adelphi, Milano 2001), Autorità spirituale e potere temporale (1929, ed. Rusconi, Milano 1972), Il regno della quantità e il segno dei tempi (1945; ed. Studi Tradizionali, Torino 1969) e La Grande Triade (1946; ed. Atanor, Roma 1971); sono state inoltre curate diverse raccolte di articoli (pubblicati su diverse riviste), fra cui citiamo Simboli della Scienza sacra (ed. Adelphi, Milano 1975) e Forme tradizionali e cicli cosmici (ed. Mediterranee, Roma 1970). 598 Fulcanelli, la cui identità non è mai stata rivelata, è stato il più famoso alchimista dei tempi moderni, autore di due fondamentali opere, Le mystere des cathedrales (Parigi 1926) e Les demeures philosophales et le symbolisme hermetique dans ses rapports avec l'art sacre et l’esoterisme du grand oeuvre (Parigi 1930) in cui ha illustrato il simbolismo tradizionalmente adottato dagli alchimisti per alludere alle operazioni della Grande Opera.

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Capitolo VII

EPILOGO NAPOLETANO Siamo ritornati al Corpo di Napoli, davanti alla statua del Nilo, punto di partenza del lungo viaggio nel tempo che dall’antico Egitto, seguendo il percorso delle tradizioni esoteriche che vi hanno avuto origine, è giunto fino ai nostri giorni. L’interrogativo che ci eravamo posti era se tali tradizioni, sviluppatesi nella civiltà alessandrina da radici egiziane, greche e orientali, possano essere giunte fino a noi conservando il carattere della continuità iniziatica, oppure se le conoscenze oggi in nostro possesso siano solo il frutto di una trasmissione attraverso la parola scritta o di ricostruzioni, rielaborazioni e adattamenti di epoche successive. Certamente, con il trionfo del Cristianesimo, gli antichi culti e i Misteri pagani sono almeno apparentemente scomparsi e si potrebbe ritenere che le informazioni in merito ad essi ci siano giunte unicamente attraverso le testimonianze scritte e iconografiche. Abbiamo tuttavia notato, in primo luogo, che molte antiche forme culto sono riconoscibili all’interno della stessa religione cristiana e in alcune consuetudini e tradizioni popolari: basti pensare al culto della Vergine che, in molti suoi aspetti, rievoca quello di Iside e di altre Dee Madri, così come le feste liturgiche ripercorrono la sequenza delle antiche feste pagane; in questi casi tuttavia possiamo parlare del persistere di usanze tradizionali, ma non di una consapevole trasmissione di conoscenze. Occorre dunque fare un’altra considerazione: appare inverosimile che i più convinti sostenitori del Paganesimo, i sacerdoti degli antichi Dei, i filosofi ermetici, i teurghi e i maghi, in seguito alla persecuzione cristiana abbiano semplicemente cessato di esistere, mentre è più probabile che, non potendo più esprimere apertamente le loro convinzioni né praticare pubblicamente dei culti ormai proibiti, abbiano continuato a professarli in segreto, sia individualmente sia in piccoli gruppi e che abbiano trasmesso le loro conoscenze da maestro a disce-

di

polo, “da bocca a orecchio”. Abbiamo visto che la persecuzione contro il Paganesimo fu particolarmente feroce ad Alessandria, perché la capitale egiziana, che era stata il centro propulsore di quel sincretismo magico-religioso e filosofico da cui hanno tratto origine le tradizioni esoteriche della nostra civiltà, costituiva il terreno ideale della battaglia decisiva per la vittoria del Cristianesimo. Abbiamo anche visto che, dopo la distruzione del

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Serapeum di Alessandria, diversi filosofi e sacerdoti pagani abbandonarono la città per trasferirsi in Italia o a Costantinopoli; ricordando il caso dei due sacerdoti che, trasferitisi a Costantinopoli, divennero maestri di Grammatica, possiamo ipotizzare che essi, come tanti altri, possano aver continuato ad esercitare la loro missione iniziatica sotto la copertura di una innocua attività di insegnamento o di un’altra professione, o anche inserendosi all’interno della stessa Chiesa cristiana.

NAPOLI NEL MEDIO EVO Ritorniamo alla nostra statua del Nilo, che non è solo la testimonianza della presenza alessandrina a Napoli, ma ci suggerisce anche che fra la capitale egiziana e la città partenopea esisteva una certa affinità. Come Alessandria, anche Napoli era una città cosmopolita, abitata da Greci, Egiziani, Latini ed Ebrei; era inoltre una città in cui fiorivano le scuole e gli studi, che non a caso era definita “dotta” dai Romani e che conservò questa sua natura anche quando Costantino spostò la capitale dell’impero a Costantinopoli e durante i secoli successivi. L'affermazione del Cristianesimo non ebbe però a Napoli i toni drammatici che avevano caratterizzato la sua ascesa ad Alessandria, sia per la maggiore moderazione mostrata dalla Chiesa di Roma, sia, probabilmente, per la natura stessa dei Napoletani: risulta infatti che Cristianesimo si è diffuso rapidamente e senza particolari traumi nella città e che solo nelle campagne veniva segnalata la sopravvivenza dei culti pagani’. Abbiamo già osservato come nella magia popolare e in taluni rituali agricoli si sia potuto riscontrare anche in tempi recenti il riferimento ad antichi culti pagani; un caso significativo, nell’area campana, è rappresentato dalla tradizione delle “Streghe di Benevento”, attestata fin dall’epoca del ducato longobardo e particolarmente interessante in quanto legata al culto di Diana, da cui la definizione di Janare data alle streghe, ma forse anche collegabile al culto di Iside, fortemente sentito nella città sannita’. Nella stessa città di Napoli sono del re-

il

599 Cfr. P. Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli, Palmyra 1762, tomo I, p. 212. L’opera del giurista e filosofo illuminista Pietro Giannone (1676-1748), pubblicata nel 1723, fu avversata dalle autorità ecclesiastiche ed inserita nell’Indice dei libri proibiti, dal che deriva l’indicazione fittizia del luogo di stampa dell’edizione citata. 600 Sull’argomento vedi P. Piperno, Della superstitiosa Noce di Benevento, Napoli 1640.

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sto sopravvissute, nella cultura popolare, molte credenze e usanze di origine antica, come alcune forme di culto dei morti che presentano

aspetti di carattere decisamente magico‘, La nostra ricerca non è però rivolta alle persistenze popolari e spontanee, quanto piuttosto alla ipotesi di unm’effettiva e consapevole trasmissione iniziatica di conoscenze e pratiche esoteriche, ipotesi che risulta difficile da verificare a causa della mancanza di testimonianze in merito nel periodo altomedievale. Possiamo tuttavia immaginare che un gruppo di iniziati, molto ristretto, abbia continuato ad esistere in segreto anche in questo periodo, scegliendo degli adepti cui trasmettere le sue conoscenze, influenzando consuetudini e credenze e facendo filtrare delle informazioni anche in forma leggendaria e favolistica.

LA LEGGENDA

DI VIRGILIO MAGO

Una traccia importante la possiamo trovare nella leggenda di Virgilio Mago, che si è sviluppata a Napoli come credenza popolare nel corso del Medio Evo”; questa leggenda ha tratto certamente origine dalla presenza del sepolcro di Virgilio nei pressi della città e dal culto che anticamente veniva tributato al grande poeta; ma nel fantasioso immaginario medievale, alla figura del poeta si è gradualmente sovrapposta quella del sapiente e, quindi, del mago, autore di numerosi prodigi, non dissimili da quelli atÈ I tribuiti a Costantinopoli ad Apollonio di Tiana. A partire dal XII secolo la leggenda popolare di Virgilio mago ha risvegliato l’interesse di eruditi come l’inglese Gervasio da Tilbury, venuto a Napoli nel 1159, Corrado di Querfurt, vescovo di Hildesheim e cancelliere dell’imperatore Arrigo VI, e l’anonimo autore della Cronaca di Partenope, un manoscritto redatto in volgare a Napoli intorno alla metà del XIV secolo‘, 601 Ci siamo soffermati su questo tema in un altro testo (cfr. S.E.F. Hòbel, Misteri partenopei, ed. Stamperia del Valentino, Napoli 2004, pp. 143 ss.) 602 Sulla leggenda di Virgilio mago si vedano: D. Comparetti, Virgilio nel Medio Evo (Livorno 1872), ed. La Nuova Italia, Firenze 1946; R. De Simone, Nel segno di Virgilio, Pozzuoli 1982; S.E.F. Hébel, Misteri partenopei, ed. cit. pp. 185 ss.

Gervasio da Tilbury (ca. 1150-1235), Otia imperalia (opera redatta nel 1212 per l’imperatore Ottone IV e pubblicata da G.W. von Leibniz, in Scriptores rerum brun-

603

299

Per quanto riguarda le “magie virgiliane” descritte in questi testi, notiamo che esse consistono soprattutto nella creazione di talismani, oggetti incantati al fine di proteggere la città dai pericoli naturali o di allontanare animali e insetti nocivi e, come abbiamo avuto modo di vedere, tale pratica affonda le sue radici nella magia egizia e nella antica consuetudine di utilizzare o creare degli oggetti ed “incantarli”, in modo da concentrare in essi un potere in grado di svolgere un determinato compito: il più famoso di questi incantesimi è senz’altro quello dell’Uovo conservato nel “Castello Marino” che da esso trasse il suo Castel dell’Ovo e che doveva proteggerlo da ogni danno. nome Ciò che però in questa sede ci interessa maggiormente sono le informazioni, per quanto fantasiose, sull’origine e sulla trasmissione di questa “Magia virgiliana”, in quanto siamo convinti che in queste credenze e in questi racconti apparentemente ingenui, si celi l’intenzione di rivelare, sotto l’apparenza della favola e del racconto fantastico, l’effettiva esistenza di una tradizione magica ed iniziatica. Riguardo all’origine dei suoi poteri magici, la Cronaca di Partenope racconta che Virgilio, «secundo se lege ad una cronica antiqua», penetrò, insieme ad un suo discepolo di nome Filomeno, in una città sotterranea, all’interno del Monte Barbaro, alla ricerca della sepoltura di «Chironte Filosofo» e che, avendola trovata, si impadronì di un libro posto sotto la sua testa, «co’ lo quale si fe’ dottissimo e ammaistrato in de la nigromanzia et in de le altre scienzie». Abbiamo già fornito altrove una chiave di lettura di questo episodio”, per cui ci limiteremo ad evidenziare che vi si rispecchia l’idea di un’origine remota e misteriosa delle conoscenze “occulte” attribuite a Virgilio, e che queste conoscenze erano state ottenute grazie ad un libro posto sotto il cranio di un antico «Filosofo» all’interno di una città sotterranea. Sia Gervasio di Tilbury che l’autore della Cronaca di Partenope raccontano che, a distanza di secoli, un dotto Inglese, all’epoca di re Ruggiero, ritrovò il sepolcro di Virgilio, anch'esso celato all’interno di un monte, e si impadronì di «alcuni libri di negromanzia et arte d’indivinare, li quali stavano in un vasello di rame chiuso e posto di

di

svicensium, vol. 1, Hannover 1707, pp. 881 ss.); Corrado di Querfurt (1160-1202), Lettera del 1194 al preposto del convento di Hildesheim (pubblicata da Leibniz, op. cit., vol. II, Hannover 1710, pp. 695 ss.); Cronaca di Partenope, ed. a cura di A. Altamura, Società Editrice Napoletana, Napoli 1974. 604 Cronaca di Partenope, Cap. 32, ed. cit. p. 82. 605

Misteri partenopei, cit. pp. 229-232.

300

sotto lo capo di detto Virgilio», Come si può vedere, i due episodi sono sostanzialmente identici e presentano gli stessi elementi: il ritrovamento di un sepolcro celato in “Interiora Terrae”, le ossa dell’antico sapiente e il libro di magia posto sotto il suo cranio. Ma la storia del ritrovamento dei resti di Virgilio si arricchisce di un ulteriore elemento, in quanto si racconta che il dotto Inglese aveva intenzione di eseguire una «coniurazione», grazie alla quale le ossa gli avrebbero manifestate «tutte le arte di Virgilio» se ne avesse potuto disporre per quaranta giorni. In base a questi racconti, possiamo formulare tre ipotesi: la prima è che la trasmissione dell’antica tradizione magica sia avvenuta grazie a dei testi scritti; la seconda, più suggestiva, è che, operando mediante formule magiche e scongiuri sulle ossa di un antico sapiente, si possa stabilire un contatto con la sua coscienza o evocarne spirito, acquisendo in tal modo le sue conoscenze; la terza, infine, è che la tradizione sia stata trasmessa in modo segreto ed a quest’ultima ipotesi potrebbe velatamente alludere il fatto che i sepolcri degli antichi sapienti sono celati un luoghi sotterranei, volendo significare che la conoscenza da essi simboleggiata è stata “occultata”. Quest'ultima ipotesi può anche essere collegata alla tradizione popolare secondo la quale sarebbe esistita a Napoli una “Scuola di Virgilio” di cui veniva anche indicato il sito, identificato con le rovine romane che si vedono sulla spiaggia della Gaiola: queste rovine fanno parte del grande complesso della villa del ricchissimo liberto Publio Vedio Pollione che sorgeva sulla costa di Posillipo ed in cui Virgilio fu effettivamente ospitato e vi compose le Georgiche; al di là del dato storico, un’antica e radicata tradizione locale sostiene che su questo tratto di costa esistesse una vera e propria scuola iniziatica, fondata dallo stesso Virgilio, o comunque ispirata alle sue arti magiche e alla sua sapienza‘.

lo

606 Cronaca di Partenope, Cap. 33, ed. cit. p. 82-83; cfr. Comparetti, op. cit. vol. II pp. 42 ss., in cui è citato anche il dotto vescovo e filosofo Giovanni da Salisbury (1120-1180) che, nel suo Polycraticus (II, 23), redatto nel 1156, riporta una storia simile. Cfr. Comparetti, cit. pp. 166 s.; il Comparetti (p. 135 e nota 4) ricorda anche tradizione popolare romana che definiva Scuola di Virgilio il Settizonio, ovvero la facciata monumentale della Domus Severiana che si ergeva sul lato sud-orientale del Palatino, mentre in un poemetto del XV-XVI secolo intitolato Prospettiva milanese, si dice che Virgilio avesse costruito a Roma un’Accademia e che anzi vi fossero ben «septe scole». 607 la

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Inoltre non lontano, verso Marechiaro, si vedono sul mare le rovine di un’altra antica costruzione: si tratta del cosiddetto “Palazzo degli Spiriti”, che alcuni chiamano anche “Villa di Virgilio”, sostenendo che di tanto in tanto vi si manifesti lo spirito del Poeta. Se si tiene presente che proprio a Marechiaro e nel “Palazzo degli Spiriti” sono state rinvenute una statua di Iside Pelagia, un’iscrizione e la statua di un naoforo, è logico dedurne che in quest’area fosse praticato il culto di Iside protettrice dei naviganti e possiamo anche supporre che qualche aspetto iniziatico di tale culto sia sopravvissuto, probabilmente all’interno delle comunità di pescatori della zona, e che a tale sopravvivenza alluda in realtà la credenza relativa alla “Scuola di Virgilio”. Del resto, il tradizionale abbigliamento dei pescatori partenopei, col berretto frigio e il ginocchio scoperto, può ben evocare la tenuta di chi viene iniziato, e non a caso la statua del Disinganno, che, nella Cappella Sansevero, allude proprio all’iniziazione, veniva definita dal popolo «o Pescatore» in riferimento alla rete che l’avvolge, ma probabilmente anche in rapporto al suo significato simbolico‘, Ma incantesimi del “Mago” Virgilio possono essere riferiti anche alla trasmissione iniziatica di altre forme di conoscenza e di “mestiere”, come quella dei medici e degli speziali o quella dei muratori e dei “taglia monti e cavapietre”: nel campo medico gli si attribuivano infatti delle precise istruzioni sull’uso delle acque termali e la creazione di un orto di piante medicinali, mentre in ambito “muratorio” si raccontava che avesse dotato Napoli della sua rete idrica e fognaria e che avesse realizzato lo scavo della Crypta neapolitana”. La leggenda virgiliana è inoltre collegata, come abbiamo già avuto modo di notare altrove‘!’°, alla storia del Santo Graal e all’iniziazione cavalleresca. Nel poema Parzival di Wolfram von Eschenbach®!!, leggiamo infatti che Clinschor, mago evirato e autore di diversi incantesimi rivolti contro il Graal e i suoi custodi, «discende dalla stirpe di

gli

608 Cfr. S.E.F. Hòbel, La Cappella Filosofica del Principe di Sansevero, ed. Stamperia del Valentino, Napoli 2010, pp. 193 ss. 609 Cfr. Cronaca di Partenope, cit., cap. 17, 24, 29,30.

610

Maisteri

partenopei, cit. pp. 236 ss. e 223 ss.

Wolfram von Eschenbach, Parzival, 654-658 (cfr. ed. UTET, Torino 1981, vol. II, pp. 439-441). Il poeta tedesco Wolfram von Eschenbach, vissuto fra la fine del XII secolo e gli inizi del XIII, ha composto la sua opera fra il 1200 e il 1210, narrando le avventure di Parzival, cavaliere della Tavola Rotonda, partito alla ricerca del Graal in cui delinea un vero e proprio percorso iniziatico non privo di riferimenti alchemici. 611

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colui che anche fece molti prodigi, da Virgilio di Napoli»; viene anche precisato che Clinschor risiede nella «Terra de Labur», la cui capitale è Capua e che ha appreso la magia nella città di Persida, «dove dapprima fu trovata l’arte della magia». Anche se in questo contesto la magia virgiliana appare concepita in chiave negativa, come artefice di «maligni incantamenti», è significativo il fatto che si sia voluta sottolineare la discendenza di Clinschor da Virgilio, affermando poi che il luogo d’origine della magia è una città chiamata Persida che però, nota l’autore, non è la terra di Persia: viene in tal modo evidenziata una specie di continuità nella pratica delle arti magiche che dalla misteriosa Persida, attraverso Virgilio, giunge a Clinschor; ma a questa linea di discendenza, è però è contrapposta un’altra corrente iniziatica rappresentata dalla stirpe dei custodi del Graal. Alquanto diversa è invece la visione che si afferma a Napoli nel 1352 con la creazione dell’Ordine del Nodo‘!?: questo Ordine cavalleresco, il primo istituito in Italia, ripropone gli ideali della Tavola Rotonda, impegnando i suoi membri ad aiutare con lealtà il loro principe, ad errare in cerca di avventure ed a riunirsi ogni anno, nel giorno di Pentecoste, a Castel dell’Ovo, «au Chastel de l’Oeuf enchanté assis en la mer, entre Naples la citè et Notre Dame de Piè de l’oscure Grote des enchantements de Virgile»; i Cavalieri dell’Ordine del Nodo costituivano inoltre una «Militia Sancta», simile a quella dei Templari, per l’impegno che assumevano di partecipare alle Crociate e di recarsi al

Santo Sepolcro di Gerusalemme, di digiunare tutti i venerdì oppure di dar da mangiare a tre poveri. Gli ideali iniziatici e mistici della Cavalleria cristiana non entrano in questo caso in conflitto con la tradizione della magia virgiliana, ma ne traggono ispirazione e forza: la scelta del Castel dell’Ovo per le riunioni dell’Ordine, suggerisce che questo era ritenuto un “luogo di potere” e che non si intendeva affatto rinnegare la magia virgiliana, ma piuttosto riallacciarsi alla sua tradizione ed ai suoi incantesimi. 612 L’Ordine del Nodo (o dello Spirito Santo o del Retto Desiderio) fu istituito, nel giorno di Pentecoste del 1352, da Luigi di Taranto, sposo della regina Giovanna I, in occasione della loro incoronazione, nella Chiesa di Spinacorona, poi detta dell’Incoronata. Il primo Capitolo dell’Ordine fu tenuto a Castel dell’Ovo nell’anniversario dell’incoronazione, il giorno di Pentecoste dell’anno seguente e vi parteciparono ben trecento Cavalieri (il cui numero sarà poi ridotto a sessanta) e i suoi Statuti, redatti in Francese, furono miniati nel 1354 da Cristoforo Orimina (Statuts de l’Ordre de St. Esprit, Parigi, Bibl. Naz. Ms. Lat. 4274. Cfr. Storia di Napoli, vol. II, Napoli 1969, p. 242, e vol. IV** fig. 19-20).

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Va infine detto che la descrizione fornita da Virgilio del percorso di Enea nell’Oltretomba nel Libro VI dell’Eneide, non può non evocare il ricordo delle visioni egiziane relative al viaggio dell’anima nel Regno dei Morti, il che ci induce a ritenere che il Poeta, al di là della sua leggenda medievale, fosse stato effettivamente iniziato ai Misteri dell’Oltretomba praticati dagli Egizi, ma presenti anche nella cultura dei Greci e degli Etruschi.

TESTIMONIANZE ESOTERICHE MEDIEVALI Anche se la leggenda virgiliana costituisce il più esplicito riferimento ad un’antica tradizione magica e sapienziale nella Napoli medievale, non è tuttavia l’unico, ma sono da considerare anche altri elementi, come gli aspetti simbolici presenti nelle opere dell’arte medievale, il carattere esoterico di alcune testimonianze templari e gli sviluppi della tradizione alchemica: non si tratta tuttavia di testimonianze che riguardano in modo esclusivo e particolare la città di Napoli e il cui tradizione iniziatica antica non è sempre evidente, ma è legame con celato sotto il velo del linguaggio simbolico. Per quanto riguarda l’Arte Romanica, diversi luoghi della Campania sono ricchi di interessanti testimonianze, alle quali però ci limiteremo ad accennare solo di sfuggita: nella facciata della Cattedrale di Caserta Vecchia, possiamo notare, per esempio, che alla figura del Toro è stata attribuita una posizione di rilievo, il che è in rapporto con l’orientamento astronomico dell’edificio, ma può anche evocare l’immagine del Toro Api o del Toro di Mitra°!*; nei preziosi affreschi di Sant’Angelo in Formis possiamo riconoscere degli evidenti riferimenti al simbolismo cosmico dell’Arcangelo Michele e delle sue “Milizie celesti”; nel Duomo di Ravello troviamo due splendidi amboni decorati con sculture e tarsie marmoree in cui sono raffigurate le fantastiche creature dei Bestiari medievali, mentre nel Museo del Duomo è conservato un reliquiario di Santa Barbara la cui testa in argento scurito, risalente al XIII secolo, evoca il ricordo delle teste-reliquiario conser-

la

vate dai

Templari‘,

613 Cfr. S.E.F. Hébel, Simbolismo ed iconologia nella Cattedrale di Caserta Vecchia, in Atti del Convegno De Petra Hirta... et Leucis, Belvedere di S. Leucio (Ce), Settembre 2014. 614 Quando gli uomini di Filippo il Bello fecero irruzione nel Tempio di Parigi, trovarono un reliquiario di argento dorato a forma di testa femminile con all’interno due

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Nella città di Napoli, l’unica opera romanica visibile è il Campanile della Pietrasanta, eretto presso la chiesa di Santa Maria Maggiore, sul luogo dove anticamente si trovava il Tempio di Diana: fra le lastre marmoree inserite nella sua base, una in particolare ha risvegliato la nostra attenzione, in quanto vi è incisa una scacchiera di 64 caselle, disegno che oltre alla tavola usata per il gioco degli scacchi, evoca la figura del Quadrato Magico di Mercurio. Abbiamo voluto segnalare questo particolare perché i graffiti che spesso si trovano incisi su pietre e muri, costituiscono una forma di comunicazione alla quale ricorrevano i membri di confraternite iniziatiche come i Templari o i Liberi Muratori per lasciare un segno della loro presenza o del loro passaggio in un luogo o per trasmettere un particolare messaggio a chi sapesse interpretare il linguaggio dei simboli”, Una testimonianza molto interessante in tal senso è un disegno profondamente inciso su un muro nei sotterranei della Certosa di San vedere Martino, oggi non più visibile, ma che abbiamo avuto modo e fotografare diversi anni fa, ed in cui sono raffigurati un grande disco solare inscritto in una stella a sei punte, due vascelli, un Centauro sagittario, dei cavalli e una specie di balena: un’immagine decisamente enigmatica, che potrebbe essere attribuita ai Cavalieri del Tempio. Ai Templari sono del resto riconducibili molti graffiti che si possono vedere incisi sulle pietre di diversi complessi sacri, come nelle abbazie cistercensi di Fossanova e di Valvisciolo o in quella del Goleto, presso Sant’Angelo dei Lombardi: si tratta per lo più di iscrizioni o di disegni geometrici come la griglia, la scacchiera o la “triplice cinta”, ma non mancano neanche elementi figurativi come volti, animali o fiori, segni che possono essere stati lasciati dai Cavalieri che si erano rifugiati in questi luoghi durante la persecuzione promossa contro di loro da Filippo il Bello nel 1307, o anche precedentemente, quando Federico Il li aveva espulsi dal Regno a causa del suo conflitto con il Papato‘,

di

frammenti di cranio avvolti in lino bianco e stoffa rossa e recante la scritta CAPUT IVIIIm e che può essere messa in relazione con la misteriosa figura del Bafomet (cfr. L. Charpentier, Les mystères templiers, ed. Laffont, Parigi 1967, pp. 227-228). 615 Cfr. S.E.F. Hébel: Le pietre segnate, cit. Sul linguaggio simbolico dei graffiti dei Templari e dei Liberi Muratori, vedi L. Charbonneau-Lassay, Le pietre misteriose del Cristo (1946), ed. Arkeios, Roma 1997. 616 Non riteniamo che Federico di Svevia fosse ostile al’Ordine Templare, ma nel

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STUPOR MUNDI Con Federico II di Svevia‘’’, definito Stupor Mundi per la sua eccezionale personalità, ha avuto luogo una vera e propria rinascita culturale e nel 1224 l’imperatore fondò a Napoli la prima Università laica e statale del mondo occidentale, tenendo conto non solo della sua posizione geografica, ma anche della tradizione culturale cittadina e del suo legame con Virgilio, figura simbolo dell’antica sapienza: nello Studium federiciano, gli studi di diritto avevano una posizione di rilevo al fine di formare i quadri per un’efficiente organizzazione dello stato, ma vi erano insegnate anche le Arti Liberali, la Medicina (in concorrenza con la Scuola Salernitana) e la Teologia, il cui insegnamento era però affidato ai religiosi. Oltre ad avere una visione politica laica ed ispirata ai valori della romanità, Federico II mostrava di avere un atteggiamento intellettuale aperto e spregiudicato: alla sua corte si trovavano sapienti come il filosofo scozzese Michele Scoto‘!#, matematico, astrologo, indovino, 1228 i Templari, insieme ai Cavalieri di San Giovanni, ai Francescani e ai Domenicani, si erano schierati con il Papa che lo aveva scomunicato, e giunsero, sotto la Gran Maestranza di Pierre de Montaigu, a progettare un attentato durante il suo soggiorno a Gerusalemme (1229); l’Imperatore era stato pertanto costretto ad allontanarli dal suo regno, ma nel 1230, dopo che il Papa gli aveva tolto la scomunica, restituì ai Templari e ai Cavalieri di San Giovanni i beni confiscati. 617 Federico II Hohenstaufen (1194-1250), figlio dell’imperatore Enrico VI e di Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero Il il Normanno, nel 1208, a soli 14 anni, assunse il Sicilia e nel 1212 fu incoronato imperatore; tornato nel 1220 potere reale nel Regno in Sicilia, si dedicò alla riorganizzazione del Regno, limitando il potere dei feudatari, fondando l’Università di Napoli e promulgando le Costituzioni Melfitane; nel 1227 fu scomunicato da papa Gregorio IX e l’anno seguente fu costretto a partire per la VI Crociata in cui risolse il conflitto con gli Islamici, stipulando un trattato col sultano d’Egitto Al-Malik al-Kamil; ritornato dalla Crociata, nel 1230 si riconciliò col Papa, ma nel 1239 fu di nuovo scomunicato ed il conflitto con il papato durò anche quando divenne Papa Innocenzo IV, le truppe di Federico subirono diverse sconfitte e lo stesso imperatore, nel 1250, si ammalò e morì a Castel Fiorentino, presso Torremaggiore, secondo quanto gli aveva predetto Michele Scoto, affermando che sarebbe morto «Sub Fiore». Federico di Svevia è stato quindi sepolto nella cattedrale di Palermo, in un sarcofago di porfido rosso antico e dopo la sua morte sorsero molte leggende, Profezia della Sibilla Eritrea: «Chiuderà gli occhi in una morte segreta, ma come continuerà a vivere. Tra i popoli scoppierà il tuono. Vivit et non vivit, perché uno tra i giovani e tra i giovani dei giovani gli sopravvivrà». 618 Michele Scoto, nato in Scozia verso il 1175 e morto verso il 1232, è stato un filosofo scolastico, il primo a far conoscere in Occidente i Commentari del filosofo

di

la

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alchimista e traduttore di testi dall’arabo; il siriano Teodoro d’Antiochia‘!°, anch’egli medico, astrologo, alchimista e traduttore; il matematico Leonardo Fibonacci”, che introdusse il sistema numerico arabo e lo zero, ed individuò la progressione numerica definita “Serie di Fibonacci”. Ad essi l’imperatore proponeva dei quesiti sulla terra, le sue misure e quelle dei cieli, sul nome degli spiriti che si trovano nelle profondità dello spazio, su dove si trovino Inferno, Purgatorio e Paradiso, su cosa accada alle anime. Sostenitore dell’aristotelismo averroistico, Federico promosse studi e ricerche bastati sull’osservazione e l’esperienza pratica ed intrattenne rapporti con diversi sapienti musulmani: recatosi in Terrasanta nella VI Crociata, stipulò degli accordi diplomatici con i Musulmani e strinse amicizia con Malik al Kamil, sultano d’Egitto, e con il dotto emiro Fahr ed Din; in seguito pose anche agli studiosi islamici, fra cui il saggio sufi Ibn Sabin“’, le arabo Averroè alle opere di Aristotele, curandone le traduzioni dopo aver appreso l’arabo nella scuola di Toledo; noto anche come medico, astrologo e alchimista, verso il 1227 entrò alla corte di Federico Il, come astrologo e traduttore. Abbiamo già fatto riferimento precedentemente alle sue opere, per cui ci limitiamo qui a ricordare il Liber Introductorius maior in astrologiam, un trattato di Astrologia diviso in tre sezioni, l’ultima delle quali è dedicata alla Fisiognomica. 619 Teodoro di Antiochia, nato verso il 1155 in Siria e vissuto a lungo in Antiochia, è stato un intellettuale arabo cristiano, famoso per sue conoscenze di alchimia, astrologia e medicina; fu invitato nel 1230 alla corte di Federico II, dove svolse funzioni di consigliere dell’imperatore fino al 1246, anno in cui abbandonò la corte, finendo poi col suicidarsi; tradusse dall’arabo i Commentari di Averroè sull’opera De Anima di Aristotele e altri testi aristotelici; nel 1236 tradusse anche il trattato di falconeria dell’arabo Moamin al quale si ispirò il trattato De Arte venandis cum avibus composto dallo stesso imperatore. 620 Leonardo Pisano, detto Fibonacci (ca. 1175-1135), nato a Pisa, è stato un grande matematico, che ha introdotto in Occidente il sistema numerico arabo, coniugando i procedimenti della geometria euclidea con le nuove concezioni matematiche elaborate dagli Arabi; la sua opera principale, il Liber Abaci, è stata composta nel 1202 e riscritta nel 1227 su richiesta di Michele Scoto. Fibonacci è noto soprattutto per la serie numerica che da lui ha tratto il nome e che consiste in una progressione di numeri, ogni termine della quale è pari alla somma dei due numeri che lo precedono (1,2,3,5, 8, 13, ecc.) e in cui il rapporto di crescita fra le successive coppie di numeri si basa sul Numero d’oro (1, 618) e corrisponde al rapporto che sovrintende alla crescita di numerose forme naturali: questo concetto, noto nell’antichità, si manifesta in numerose opere d’arte e rientra negli insegnamenti della Geometria sacra utilizzata dalle Confraternite Muratorie (vedi Matila C. Ghyka, Le Nombre d’Or, ed. Gallimard, 1978). 621 Ibn Sabin (ca. 1216-1270) è stato un famoso mistico e filosofo arabo di ispirazione neoplatonica e sufi, nato nella Spagna islamica; come interlocutore di Federico II, redasse un testo in forma epistolare, intitolato appunto Questioni siciliane, in cui

le

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cosiddette Questioni siciliane, una serie di quesiti su questioni aristoteliche e sull’immortalità dell’anima. L'amore per la conoscenza mostrato da Federico II e i suoi contatti con i sapienti sia occidentali che arabi e, in particolare egiziani, ci inducono a ritenere che egli possa essere stato iniziato agli antichi Misteri e la limpida struttura geometrica di Castel del Monte, il più famoso dei castelli federiciani, con la sua pianta ottagonale potenziata da otto torri angolari, parimenti ottagonali, ci appare come la più compiuta espressione di una conoscenza iniziatica. Non ci soffermeremo qui ad esaminare nei dettagli gli elementi che rendono questo monumento una testimonianza di conoscenze astronomiche ed esoteriche in cui si riflettono la scienza costruttiva dell’antico Egitto, le concezioni architettoniche dell’antichità greco-romana e quelle dei costruttori degli edifici sacri sia cristiani che musulmani‘; ci limiteremo ad osservare che la forma ottagonale del Castello rappresenta simbolicamente il collegamento fra il cielo, rappresentato dal cerchio, e la terra, rappresentata dal quadrato, e che Castel del Monte rappresenta pertanto un potente strumento per unire “ciò che è in alto con ciò che è in basso”, secondo quanto si legge nella Tavola di Smeraldo, ed esprime perfettamente l’idea della mediazione fra la dimensione metafisica e spirituale e quella materiale, e il ruolo di mediatore dell’Imperatore in quanto scelto e predestinato a realizzare sulla terra il disegno divino, a tradurre in azione politica e in organizzazione sociale le leggi di equilibrio e armonia che governano il Cosmo. rispondeva a cinque quesiti posti dall’imperatore, che riguardavano la Metafisica e le Categorie di Aristotele, il fine e i presupposti della Teologia degli antichi Greci e dei Sufi e l’immortalità dell’anima (cfr. M. Amari, Questions philosophiques adressées aux savants musulmans par l’Empereur Frédéric Il, in Journal Asiatique, Parigi 1853). Per quanto riguarda il Sufismo, ricordiamo che si tratta di un movimento mistico a sfondo esoterico che si sviluppò negli ambienti islamici a partire dal VIIVIII secolo e che nel XII secolo si organizzò in confraternite (Tariga). 622 Sugli aspetti matematici e astronomici presenti nella struttura di Castel del Monte, si vedano le opere dell’astronomo Aldo Tavolaro (Una stella sulla Murgia, Mario Adda Editore, Bari, 1981; Astronomia e geometria nell’architettura di Castel del Monte, ed. Laterza, Bari, 1991). Sul rapporto di Castel del Monte con le conoscenze dell’antico Egitto, si veda Nedim R. Vlora, G. Mongelli, Dalla Valle del Nilo a Federico Il di Svevia, Mario Adda Editore, Bari, 1995.

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Federico II fu accusato dai suoi detrattori di essere un materialista, di essersi convertito all’Islam o di non credere a nulla, nonché di aver scritto o fatto scrivere il trattato De tribus impostoribus, in cui si affermava che i fondatori delle tre religioni monoteistiche, Mosé, Cristo e Maometto erano stati degli impostori che avevano ingannato il mondo intero, Queste accuse, formulate con intenti denigratori nel quadro della drammatica situazione conflittuale che si era venuta a creare fra il Papato e l’Imperatore, rivelano tuttavia che Federico II doveva apparire anche ai suoi contemporanei come un uomo dallo spirito profondamente aperto alla conoscenza, insofferente delle visioni dogmatiche e in grado di concepire un grandioso progetto politico e culturale che prescindeva dai vincoli imposti dalle religioni del suo tempo, evocando invece l’idea di uno stato laico fondato sul diritto e sulla libera indagine conoscitiva e riproponendo, in tal modo, il modello di un’antica società precristiana. FRATI E ALCHIMISTI NELL’ETÀ ANGIOINA Dopo la caduta degli Svevi, Napoli diventò la capitale del regno angioino e per la città ebbe inizio un periodo di grande sviluppo economico e artistico‘°*; l’arte gotica trovò a Napoli una sua espressio623 Non è pervenuta alcuna copia del trattato latino De tribus impostoribus, e non si sa neanche se sia realmente esistito, anche se nel XIII secolo sua esistenza era data per certa e la sua stesura era attribuita allo stesso Federico o al suo segretario Pier delle Vigne e anche al filosofo Averroé; in realtà l’idea che Mosé, Cristo e Maometto fossero stati tre impostori era già presente negli scritti della setta ismailita dei Carmati fin dal X secolo ed in Occidente era già stata espressa da un maestro di Teologia dell’Università di Parigi nella seconda metà del XII secolo. In seguito la paternità di

la

quest’opera, o comunque l’adesione al suo contenuto, è stata attribuita a numerosi personaggi come Poggio Bracciolini, Erasmo da Rotterdam, Pietro Aretino, Girolamo Cardano, Pietro Pomponazzi, Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Spinoza; infine, nel 1753, è stato stampato a Vienna un trattato anonimo scritto nel 1688 in latino intitolato De tribus impostoribus. 624 Carlo I d'Angiò, investito da Clemente IV come re delle due Sicilie, sconfisse Manfredi, figlio di Federico IL, a Benevento e nel 1268, a Tagliacozzo, sconfisse Corradino di Svevia, facendolo poi decapitare in Piazza Mercato a Napoli; nel 1282, con i Vespri Siciliani, iniziò una lunga guerra con Pietro III d’Aragona nel corso della quale, nel 1284 fu preso prigioniero suo figlio Carlo; dopo la sua morte, nel 1285, gli successe il figlio Carlo II, prigioniero degli Aragonesi e liberato nel 1288. I successivi sovrani della casata angioina furono Roberto I il Saggio (1309), Giovanna I (1343), Carlo III di Durazzo (1382), Ladislao 1 di Durazzo (1386), Giovanna II (1414) e

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ne di notevole interesse e si possono trovare diverse testimonianze di quel linguaggio simbolico e allegorico che caratterizza l’Arte medievale, come nel caso dei monumenti funebri della casata angioina con le loro raffigurazioni delle Virtù. Nel 1283, per volere di Carlo II d’Angiò, fu fondata la chiesa di San Domenico, che sarà completata nel 1324 e i Domenicani, che erano giunti a Napoli fin dal 1231, insediandosi nella chiesa di San Michele Arcangelo a Morfisa, dettero vita nel loro convento ad una prestigiosa Scuola di Teologia: in questo Studium, dotato di una ricca biblioteca, insegnò San Tommaso d’Aquino e si formarono in seguito personaggi come Giordano Bruno e Tommaso Campanella, il che ci induce a pensare che perfino in una tale struttura, retta da religiosi il cui fine era quello di combattere l’eresia in tutte le sue forme, potessero essere trasmesse delle conoscenze lontane dall’ortodossia cattolica e volte piuttosto a ritrovare le fonti dell’antica sapienza. Del resto, non è certo per caso che allo stesso San Tommaso siano stati attribuiti degli scritti alchemici, né che sia san Tommaso che il suo maestro Alberto Magno si siano occupati dell’Arte della Memoria‘”. All’inizio del regno angioino, fu eretta la basilica di San Lorenzo Maggiore con l’annesso convento francescano e in seguito i regnanti angioini promossero la costruzione delle chiese e dei monasteri di Santa Chiara e di Santa Maria Donna Regina, destinati alla Clarisse: l’Ordine francescano godette infatti di un particolare favore da parte degli Angioini, tanto più che un membro della loro famiglia, Ludovico di Tolosa, figlio di Carlo II ’ W_| _L. aveva rivestito l’abito francescano rinunciando alla corona a favore del fratello Roberto ed era stato fatto santo’,

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Renato d’Angiò (1435).

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Vedi Alberto Magno, De Bono e Tommaso d'Aquino, commento al De ria et reminiscentia di Aristotele. 626 San Ludovico da Tolosa (1274-1297), figlio di Carlo Il d’Angiò e di Maria d’Ungheria, nel 1288, a 14 anni, fu consegnato agli Aragonesi, insieme ai fratelli Roberto e Raimondo, come ostaggio in seguito alla liberazione del padre; restò sette anni in prigionia, durante i quali decise di farsi prete, entrando nell’Ordine francescano dei Minori; nel 1295, in seguito alla morte del fratello maggiore Carlo Martello, divenuto erede della corona del Regno di Napoli, vi rinunciò a favore del fratello Roberto; nello stesso anno i fratelli furono liberati e nel 1296 Ludovico fu nominato vescovo di 625

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La rilevante presenza dei Francescani, suggerisce l’idea che anche nei conventi napoletani alcuni frati siano stati attratti dall’Alchimia, alla ricerca soprattutto di rimedi volti al benessere della comunità, seguendo in ciò una pratica diffusa nell’Ordine francescano fin dai suoi inizi, malgrado i reiterati divieti, e testimoniata dall’opera di frate Elia, di Bernardino d’Iseo, di Giovanni da Rupescissa e di Ruggero Bacone. Va in tal senso segnalata la presenza nell’Italia meridionale del francescano Paolo di Taranto, «il più grande alchimista del XIII secolo», traduttore di opere alchemiche arabe’, che è stato identificato con lo “Pseudo-Geber”, l’autore di un testo in cui si trova una prima sistematica esposizione del magistero alchemico con l’elencazione dei sette processi dell’Opera (sublimazione, distillazione, calcinazione, dissoluzione, coagulazione, fissazione, fluidificazione); gli scritti di Paolo di ‘Taranto esercitarono un notevole influsso su Arnaldo da Villanova, del quale sappiamo che aveva studiato medicina a Napoli e a Salerno e che in seguito era stato al servizio del re di Sicilia Federico II d’Aragona ed era stato in contatto con Roberto d’Angiò, al quale aveva indirizzata la sua famosa Lettera al Re di Napoli sull’Alchimia”. Di Raimondo Lullo, l’altro grande sapiente dell’epoca, sappiamo che nel 1295 era stato accolto nel Terzo Ordine Francescano e che era stato

più volte a Napoli, dove avrebbe incontrato Arnaldo da Villanova. Appare dunque evidente che sia nell’epoca federiciana che in quella angioina l’Alchimia era studiata e praticata nell’Italia meridiona- ® le, sia nella sua accezione operativa, volta alla pratica sperimentale e farmacologica ed alla ricerca dell’Elisir, sia nel suo aspetto più mistico e intellettuale, come via di realizzazione spirituale basata sul simbolismo, sulla logica e sulle mnemotecniche.

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Tolosa; morì nell’anno seguente e fu canonizzato nel 1317. 627 Cfr. M. Pereira, Arcana sapienza. L’alchimia dalle origini a Jung, ed. Carocci, Roma 2001, p. 101 628 Geber, Summa perfectionis magisterii in Manget, Bibliotheca Chemica Curiosa, Ginevra 1702, tomo I, pp. 519-537; vedi anche Geber, Testamentunm, ivi e pp. 562-

565.

629 Epistola ad Regem Neapolitanum De Alchymia (nota anche come Epistola ad Robertum regem) in Artis Auriferae quam Chemiam vocant, Basilea 1553, vol. Il, pp. 488 ss. e in Manget, Bibliotheca chemica curiosa, Ginevra 1702, pp. 683 ss.

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Mentre i frati domenicani e francescani operavano nella comunità, in un’assidua comunicazione con gli esponenti del potere e con il popolo, era sorta in quegli anni un’altra struttura, più isolata rispetto alla città, in cui viveva un ristretto gruppo di monaci che si ispiravano al modello di vita eremitico: si tratta della Certosa di San Martino, eretta sulla sommità del colle che sovrasta il sito di Neapolis. I Certosini, provenienti per lo più da famiglie aristocratiche e benestanti, vi conducevano una vita ritirata, dedicandosi allo studio e praticando una via di ascesi mistica in cui un ruolo importante era attribuito alla meditazione sulla morte: appare significativo il fatto che nell’iconografia di San Bruno, il fondatore della Grande Chartreuse, il Santo sia spesso raffigurato mentre contempla un teschio, così come la raffigurazione di crani e ossa è ampiamente presente nella decorazione delle Certose; altrettanto indicativo è lo stemma dell’Ordine che mostra un globo sormontato da una croce e circondato da una corona di sette stelle, un’immagine che ricorda i simboli alchemici dell’Antimonio e del Vitriol, nonché l’orientamento polare e le sette operazioni dell’Opera. E ancora oggi, nella Certosa di San Martino, pur nel suo rifacimento seicentesco, aleggia un’atmosfera mistica e misteriosa e ci si chiede a quali studi, a quali pratiche e a quali esperimenti si dedicassero i sapienti monaci nel loro

severo isolamento. Ritornando nel cuore di Napoli, va infine ricordato che nel periodo angioino acquistò nuovo impulso il culto di San Gennaro, che sostituì progressivamente il mago Virgilio nel suo ruolo di protettore della città. Carlo II fece eseguire da maestri orafi francesi il prezioso busto-reliquiario in argento dorato in cui sono contenute la testa e le ampolle con il sangue del Santo, reliquie che furono esposte per la prima volta alla pubblica venerazione nel 1305. La prima notizia sulla liquefazione del sangue si ha però nel 1389, quando il miracolo ebbe luogo durante una processione, anche se la leggenda narra che il sangue di San Gennaro, raccolto in due ampolline, si sarebbe liquefatto già ai tempi di Costantino, mentre le spoglie del Santo venivano trasferite a Napoli dall’Agro Marciano, dove erano state sepolte: si racconta che la liquefazione avvenne quando le ampolline erano state avvicinate alla testa, e da ciò è derivata la credenza popolare che la prodigiosa liquefazione avvenga quando il sangue è “visto” dalla testa.

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ACCADEMICI E ALCHIMISTI Nel Rinascimento anche a Napoli si manifesta la convinzione nella esistenza di una antica sapienza religiosa e filosofica universale e si diffonde l’interesse per la cultura classica e le sue tradizioni misteriche: gli intellettuali, che prendono a riunirsi nelle Accademie, non si limitano a coltivare studi letterari e filologici, ma si mostrano particolarmente interessati alla tradizione ermetica, alla dottrina astrologica, alla Magia Naturale e Cerimoniale e alla ricerca alchemica e tali interessi, fioriti nel periodo aragonese, continueranno ad essere coltivati anche durante il periodo vicereale, malgrado l’atteggiamento non particolarmente favorevole delle autorità politiche e religiose. IL TRIONFO DI ALFONSO D’ARAGONA Il 26 febbraio 1443 Alfonso d’Aragona faceva il suo ingresso trionfale a Napoli ed aveva inizio, con la dinastia aragonese”, un periodo di grande fioritura culturale in cui, insieme al ritrovato interesse per i classici latini e greci, possiamo intravedere delle significative manifestazioni del pensiero esoterico. La scena dell’ingresso a Napoli di Alfonso il Magnanimo è raffigurata sull’Arco trionfale di Castelnuovo (Tavola 10a), e rievoca i trionfi tributati ai condottieri romani: il fregio scolpito sull’attico che sovrasta l’arco del portale di accesso al castello, mostra il sovrano sul carro, seduto su un trono e con un globo, simbolo del Potere, nella sinistra, mentre ai suoi piedi si leva una fiamma che allude all’ardente vigore della sua volontà; il carro è trainato da quattro cavalli guidati dalla rappresentazione allegorica della Fortuna e accanto ad esso si vedono due personaggi che dovevano reggere le aste del baldacchino, mentre altri della corte si vedono al suo seguito ed un gruppo di fanciulli musicanti lo precede; due altri rilievi che fiancheggiano il fregio centrale mostrano, a sinistra, la corte e i familiari del sovrano, e a destra un gruppo di cavalieri che suonano. Al centro dell’arco d’ingresso campeggia lo stemma reale fiancheggiato da due grifoni 630 Alfonso I d’Aragona, detto il Magnanimo, regnò fino al 1458, quando gli successe il figlio Ferdinando 1 (detto anche Ferrante); nel 1494 la corona passò ad Alfonso II, figlio di Ferdinando I, che però abdicò a favore del figlio Ferdinando II (detto anche Ferrandino) cui successe, nel 1496, lo zio Federico I, che nel 1500 cedette il Regno re francese Luigi XIII.

al

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alati che sorreggono delle cornucopie, simbolo del benessere assicurato dalla monarchia aragonese. Nel passaggio dell’ingresso sono posti altri due altorilievi che mostrano Alfonso rivestito dell’armatura e circondato da guerrieri, e in entrambi si vedono dei cani, come allusione alla fedeltà giurata al nuovo sovrano, al cui fianco si scorge una donna, anch’essa in armatura, in cui si è voluta riconoscere la sua giovane amante Lucrezia d’Alagno. Oltre il fregio, si apre un secondo arco nel quale avrebbe dovuto essere collocata una statua equestre del sovrano e nell’attico che lo sormonta son poste, in delle nicchie, le statue di quattro Virtù: si riconoscono agevolmente, per i loro attributi, le immagini della Temperanza, della Forza e della Prudenza, mentre la prima Virtù, che dovrebbe essere la Giustizia, viene comunemente indicata come un’allegoria della Magnanimità. Al di sopra delle Virtù, in un fastigio ad arco, si vedono le raffigurazioni allegoriche di due Fiumi, simboli della fertilità e della tradizione culturale di un territorio: uno di essi dovrebbe rappresentare il Sebeto, il leggendario corso d’acqua dell’area napoletana, mentre l’altro potrebbe essere l’Ebro, che bagna la terra d’Aragona, ma ci piace pensare che rappresenti il Nilo, il fiume simbolo dell’antica sapienza. Il tutto è sovrastato dalla statua dell’Arcangelo Michele, nume tutelare degli uomini d’arme. Il monumentale Arco Trionfale fu completato verso il 1458 a opera di Francesco Laurana e di altri scultori di formazione lombarda, ticinese o donatelliana, ma alla sua progettazione collaborarono anche umanisti come il Panormita e il Pontano, per cui l’Arco Trionfale di Castelnuovo è divenuto una viva testimonianza dello spirito rinascimentale e della visione politica e culturale della monarchia aragonese. La sua struttura, che abbiamo visto ispirata agli archi di trionfo romani, e la sua decorazione, ricca di puttini giocanti, esseri fantastici e mitologici, ghirlande, festoni, cornucopie e mascheroni, rivela un gusto classicheggiante volto a riproporre i fasti dell’antica Roma; gli elementi di carattere religioso si limitano alla presenza della statua dell’Arcangelo Michele, mentre ha una ben maggiore importanza il

riferimento al carattere combattivo ed energico di Alfonso d’Aragona, attestata dalla sua presenza in armatura, circondato dai suoi compagni d’armi; nella scena del trionfo, tuttavia, prevale l’immagine del sovrano “magnanimo” con la sua corte di funzionari e intellettuali, il che riflette perfettamente la sua natura di appassionato studioso dei classici e promotore della cultura umanistica.

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PONTANO E L’ASTROLOGIA Giovanni Pontano e Jacopo Sannazaro, i due maggiori esponenti della cultura umanistica napoletana, furono sempre molto vicini ai sovrani aragonesi: il primo rivestì il ruolo di segretario di stato di Ferdinando I e fu più volte impegnato in delicate missioni diplomatiche e in imprese belliche, mentre il secondo, protetto da re Federico, gli rimase fedele anche dopo la sua sconfitta e lo seguì nell’esilio in Francia, restando al suo fianco fino alla sua morte. Entrambi furono appassionati cultori della letteratura classica e autori di raffinate opere poetiche e in prosa, sia in latino che in volgare, ma furono anche convinti fautori della rinascita del patrimonio culturale pagano con le sue divinità, ninfe e satiri e con i suoi miti e il suo simbolismo. Il Pontano dedicò con particolare interesse all’Astrologia’!, considerandola come la Filosofia della Natura e compose sull’argomento diverse opere, sia in prosa che in versi. La più impegnativa è il De Rebus Coelestibus°?, un ponderoso testo in prosa diviso in quattordici Libri, che inizia con l’affermazione del Sole come «Cuore del Cielo e di tutto il Mondo» e principio generatore di tutte le cose‘; un’affermazione in cui riecheggia la concezione eliocentrica delle antiche religioni solari e che sarà poi riproposta da Giordano Bruno. Il testo prosegue con una sistematica esposizione

si

Nei suoi studi astrologici, Pontano ebbe come maestri il suo insegnante di greco, Gregorio da Tiferno, cui si deve una Oratio de astrologia, l’astrologo catanese Tolomeo Gallina, autore di un De rebus astrologicis e il toscano Lorenzo Bonincontri che, insieme al Gallina, commentò nello Studio napoletano l’Astronomicon di Manilio, un poema didascalico sull’Astronomia, scritto dall’erudito Marcus Manilius nel I secolo d.C., riscoperto dall’umanista Poggio Bracciolini verso il 1416 e pubblicato a Norimberga nel 1473.

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Pontani De Rebus Coelestibus Libri XIIII: VI volume delle opere in prosa del Pontano raccolte da Pietro Summonte (discepolo del Pontano, al quale successe nella direzione dell’Accademia nel 1503) e pubblicate a Firenze nel 1518-20 in sei volumi col titolo Pontani Opera; una precedente edizione delle opere di Pontano raccolte da Summonte, era stata pubblicata a Napoli nel 1512. 633 De Rebus Coelestibus, ed. Firenze 1520, Libro I, p. 4. Cfr. €. M. Tallarico, Giovanni Pontano e i suoi tempi, Napoli 1874, vol. IL, p. 486. 632

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alati che sorreggono delle cornucopie, simbolo del benessere assicurato dalla monarchia aragonese. Nel passaggio dell’ingresso sono posti altri due altorilievi che mostrano Alfonso rivestito dell’armatura e circondato da guerrieri, e in entrambi si vedono dei cani, come allusione alla fedeltà giurata al nuovo sovrano, cui fianco si scorge una donna, anch’essa in armatura, in cui si è voluta riconoscere la sua giovane amante Lucrezia d’Alagno. Oltre il fregio, si apre un secondo arco nel quale avrebbe dovuto essere collocata una statua equestre del sovrano e nell’attico che lo sormonta son poste, in delle nicchie, le statue di quattro Virtù: si riconoscono agevolmente, per i loro attributi, le immagini della Temperanza, della Forza e della Prudenza, mentre la prima Virtù, che dovrebbe essere la Giustizia, viene comunemente indicata come un’allegoria della Magnanimità. Al di sopra delle Virtù, in un fastigio ad arco, si vedono le raffigurazioni allegoriche di due Fiumi, simboli della fertilità e della tradizione culturale di un territorio: uno di essi dovrebbe rappresentare il Sebeto, il leggendario corso d’acqua dell’area napoletana, mentre l’altro potrebbe essere l’Ebro, che bagna la terra d’Aragona, ma ci piace pensare che rappresenti il Nilo, il fiume simbolo dell’antica sapienza. Il tutto è sovrastato dalla statua dell’Arcangelo Michele, nume tutelare degli uomini d’arme. Il monumentale Arco Trionfale fu completato verso il 1458 a opera di Francesco Laurana e di altri scultori di formazione lombarda, ticinese o donatelliana, ma alla sua progettazione collaborarono anche umanisti come il Panormita e il Pontano, per cui l’Arco Trionfale di Castelnuovo è divenuto una viva testimonianza dello spirito rinascimentale e della visione politica e culturale della monarchia aragonese. La sua struttura, che abbiamo visto ispirata agli archi di trionfo romani, e la sua decorazione, ricca di puttini giocanti, esseri fantastici e mitologici, ghirlande, festoni, cornucopie e mascheroni, rivela un gusto classicheggiante volto a riproporre i fasti dell’antica Roma; gli elementi di carattere religioso si limitano alla presenza della statua dell’Arcangelo Michele, mentre ha una ben maggiore importanza il riferimento al carattere combattivo ed energico di Alfonso d’Aragona, attestata dalla sua presenza in armatura, circondato dai suoi compagni d’armi; nella scena del trionfo, tuttavia, prevale l’immagine del sovrano “magnanimo” con la sua corte di funzionari e intellettuali, il che riflette perfettamente la sua natura di appassionato studioso dei classici e promotore della cultura umanistica.

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PONTANO E L’ASTROLOGIA Giovanni Pontano e Jacopo Sannazaro, i due maggiori esponenti della cultura umanistica napoletana, furono sempre molto vicini ai sovrani aragonesi: il primo rivestì il ruolo di segretario di stato di Ferdinando I e fu più volte impegnato in delicate missioni diplomatiche e in imprese belliche, mentre il secondo, protetto da re Federico, gli rimase fedele anche dopo la sua sconfitta e lo seguì nell’esilio in Francia, restando al suo fianco fino alla sua morte. Entrambi furono appassionati cultori della letteratura classica e autori di raffinate opere poetiche e in prosa, sia in latino che in volgare, ma furono anche convinti fautori della rinascita del patrimonio culturale pagano con le sue divinità, ninfe e satiri e con i suoi miti e il suo simbolismo. Il Pontano si dedicò con particolare interesse all’Astrologia“’!, considerandola come la Filosofia della Natura e compose sull’argomento diverse opere, sia in prosa che in versi. La più impegnativa è il De Rebus Coelestibus°°, un ponderoso testo in prosa diviso in quattordici Libri, che inizia con l’affermazione del Sole come «Cuore del Cielo e di tutto il Mondo» e principio generatore di tutte le cose‘: un’affermazione in cui riecheggia la concezione eliocentrica delle antiche religioni solari e che sarà poi riproposta da Giordano Bruno. Il testo prosegue con una sistematica esposizione Nei suoi studi astrologici, Pontano ebbe come maestri il suo insegnante di greco, Gregorio da Tiferno, cui si deve una Oratio de astrologia, l’astrologo catanese Tolomeo Gallina, autore di un De rebus astrologicis e il toscano Lorenzo Bonincontri che, insieme al Gallina, commentò nello Studio napoletano l’Astronomicon di Manilio, un poema didascalico sull’Astronomia, scritto dall’erudito Marcus Manilius nel I secolo d.C., riscoperto dall’umanista Poggio Bracciolini verso il 1416 e pubblicato a Norimberga nel 1473.

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Pontani De Rebus Coelestibus Libri XIIII: VI volume delle opere in prosa del Pontano raccolte da Pietro Summonte (discepolo del Pontano, al quale successe nella direzione dell’Accademia nel 1503) e pubblicate a Firenze nel 1518-20 in sei volumi col titolo Pontani Opera; una precedente edizione delle opere di Pontano raccolte da Summonte, era stata pubblicata a Napoli nel 1512. 633 De Rebus Coelestibus, ed. Firenze 1520, Libro I, p. 4. Cfr. C. M. Tallarico, Giovanni Pontano e i suoi tempi, Napoli 1874, vol. IL, p. 486. 632

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del sistema astrologico, illustrando le caratteristiche dei segni zodiacali e della loro divisione in «Decurie» di dieci gradi, dei Pianeti e dei loro domicilii e delle diverse disposizioni. Nel secondo Libro, dedicato al Sannazaro, Pontano insiste sulla necessità dell’esperienza e dell’osservazione nello studio della Natura, sostenendo che non vi è cui non vi sia un segno nei Cieli e cosa che possa accadere all’uomo la tal in ermetica della connessione concezione modo, sottolineando, fra «ciò che è in alto e ciò che è in basso». Nei successivi Libri, Pontano parla delle influenze esercitate dal Sole, dalla Luna, dagli altri Pianeti e dai Segni zodiacali e afferma che, configurazioni astrali costituiper quanto riguarda il corpo umano, «officina della generazione», paragonando le scono una vera e propria differenti combinazioni degli influssi a quelle delle lettere e delle sillabe che in ogni lingua generano parole diverse’, il che ci riporta alla logica combinatoria delle mnemotecniche di Raimondo Lullo. Nel XII Libro, traccia un’appassionata apologia della scienza astrologica opponendosi alle critiche formulate dall’amico Pico della Mirandola, e afferma che l’Astrologia, come tutte le altre scienze, è una scienza congetturale, che non pretende l’infallibilità e che conosce i suoi limiti: se l’influenza delle stelle dà una prima spinta negli eventi umani, il resto dipende dalla disposizione naturale dell’individuo, dallo spirito della nazione e dell’epoca, e tutti questi elementi concorrono alla realizzazione di un determinato effetto. Possiamo notare, nella posizione di Pontano, l’influenza del pensiero aristotelico e tomista dello Studium di San Domenico, il che comporta una certa differenza rispetto alla visione neoplatonica di Pico, pur nella comune adesione alla cultura umanistica. Oltre ad un testo dedicato alla Luna, del quale è pervenuto solo un frammento”, nel cui Proemio vengono evocate le Scuole filosofiche ed iniziatiche presenti nell’Italia meridionale (fra le quali particolare rilievo è dato a quella pitagorica), Pontano scrisse anche un ampio commento al Centiloquium, una raccolta di cento aforismi sull’Astrologia attribuiti a Tolomeo, dedicando a Federico di Montefeltro, signore di Urbino, uno dei due Libri in cui aveva diviso il testo, sot-

di

le

tolineando che il duca, pur essendo un valente uomo d’armi, era un

De Rebus Coelestibus, ed. Firenze 1520, Libro IX, p. 231. Il frammento del De Luna è stato pubblicato in appendice al De Rebus Coelesti635 bus nell’edizione del 1512 curata dal Summonte, che attribuisce all’incuria degli eredi del Pontano la perdita del testo completo. 634

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cultore della scienza astrologica‘’. Pontano è dunque un convinto sostenitore di tale scienza alla quale dedica anche il suo capolavoro poetico, l’Urania’7, un poema didascalico in eleganti versi latini, in cui la materia astrologica si intreccia con la tradizione mitica e l’invenzione fantastica: ogni segno zodiacale, ogni costellazione, ogni corpo celeste diventa un nume o è associato al racconto di una metamorfosi; dopo aver parlato degli Dei planetari, associando il Sole al dio campano Ebone, Pontano racconta quindi che Dio convoca nella sua sede, posta in una remota regione dell’Universo, un concilio degli dei, identificati con gli astri, per affidare loro il «gran compimento della fabbrica del mondo» e gli Dei-Astri, solcando l’etere sui loro cocchi, fanno apparire ogni forma di vita e, per ultimo, l’uomo, che scaturisce dalla Terra. Pontano passa quindi a parlare delle leggi che regolano l’Universo e i moti degli astri e poi dallo Zodiaco, «splendido cinto dato in dono da Giove alla sua figlia Urania», collegando i vari Segni ad episodi mitici e descrivendo le loro influenze sulle varie parti del mondo e della natura, oltre che sull’indole degli uomini. Un altro poema, intitolato Metereorum Liber® e dedicato alla descrizione dei fenomeni atmosferici, inizia con un’invocazione ad Urania, discesa poco prima presso le onde del Sebeto, che lo esorta ad inchinarsi ad un’altra Dea, la sola cui il Gran Padre ha dischiuso i profondi arcani dell’universo, la Ragione: e infatti, pur se in forma poetica, il testo ha un carattere scientifico ed affronta il tentativo di spiegare razionalmente fenomeni come la Luce Zodiacale e la visione della Via Lattea. Per quanto riguarda la Luce Zodiacale‘, Pontano ipotiz636 Il Centiloquium compare in lingua araba nel X secolo con il titolo Kitab al-Tamarab (Libro del Frutto) ed era comunemente attribuito al famoso astrologo-astronomo alessandrino Claudio Tolomeo; attualmente si ritiene che possa essere opera del medico astronomo egiziano Ali ibn Ridwan, autore di un Commento al Tetrabiblos di Tolomeo, o del matematico Ahmad ibn Yusuf ibn al-Daya. Il testo è stato tradotto una prima volta dal greco dall’erudito bizantino Giorgio di Trebisonda, presente a Napoli verso la metà del XV secolo, ma Pontano, non ritenendo adeguata la precedente traduzione, volle tradurre di nuovo l’opera, aggiungendovi il suo Commentario, che fu pubblicato a Napoli nel 1512 col titolo Commentationes in centum sententiis Claudii Ptolemaei. 637 Il poema Urania, sive de Stellis, concepito sul modello dell’Astronomicon di Manilio, è stato pubblicato, insieme ad altre opere poetiche del Pontano, da Aldo Manuzio (Pontani Opera, Venezia 1505; altra ed. Venezia 1513). 638

Il

testo è riportato in Pontani Opera (ed. cit.) dopo

il

poema Urania.

639 La Luce Zodiacale è una lieve luminescenza che si può osservare nella regione zodiacale, soprattutto in primavera, nelle notti senza luna, dopo il tramonto o prima dell’alba.

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za che sia dovuta ad un vapore igneo che esala dalla terra e si infiamma nelle regioni più calde dell’atmosfera; alludendo alla forma piramidale assunta da tale fenomeno luminoso, immagina che un pescatore, sulle sponde del Nilo, si lamenti con gli Dei per aver trasportato nel cielo le Piramidi ed aver così privato l’Egitto dei suoi maggiori trofei, una singolare immagine nella quale saremmo tentati di riconoscere l’idea che l’antica sapienza egiziana, simboleggiata dalle Piramidi, sia ormai riflessa nei cieli e possa essere riconosciuta nell’Astrologia tolemaica. Appare evidente, dai testi esaminati, che Pontano, al di là della sua sensibilità poetica e del suo amore per la cultura classica, era anche un convinto cultore delle scienze esoteriche, prima fra tutte l’Astrologia, e non è certo un caso se ha voluto ribadire la sua adesione alla antica tradizione iniziatica, inserendo fra le iscrizioni che ornano il suo “Tempietto”‘‘° una massima ispirata alla sentenza delfica dell’iniziazione solare e apollinea, che fu fatta propria dall’Accademia Pontaniana: IN OMNI VITAE GENERE, PRIMUM EST SE IPSUM NOSCERE

FRA I PASTORI E I PESCATORI DEL SANNAZARO L’altro grande umanista dell’età aragonese, Jacopo Sannazaro, che nell’Accademia Pontaniana aveva assunto il nome di Actius Sincerus, è stato da noi già citato come autore dell’Arcadia e inventore della felice immagine del corso sotterraneo dell’Alfeo, in cui abbiamo riconosciuta la metafora dell’occulta trasmissione dell’antica tradizione culturale e iniziatica. Va notato che l’ambiente bucolico dell’Arcadia, delineato negli Idilli di Teocrito e nelle Egloghe di Virgilio, ha esercitato un notevole fascino su poeti e letterati a partire dal Rinascimento, ispirando anche artisti come il Guercino e Nicolas Poussin, autori di dipinti che recano l’enigmatico titolo ET IN ARCADIA EGO, in cui la presenza di una tomba o di un cranio contemplati dai pastori dell’Arcadia sembra alludere alla ovvia constatazione che anche in un tale idilliaco am-

640 La Cappella Pontano (o Tempietto del Pontano), consacrata alla Vergine e a San Giovanni Evangelista, fu fatta erigere dall’umanista nel 1492: la sua pianta si basa su un doppio quadrato e la sua sobria struttura in piperno è concepita con gusto classicheggiante; l’esterno è ornato da dodici epigrafi in latino con massime e sentenze morali composte dallo stesso Pontano, mentre altre epigrafi in greco e in latino si trovano all’interno.

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biente è presente la morte: tuttavia, a prescindere dalle “rivelazioni” alquanto discutibili di alcuni autori‘!, riteniamo che questi sepolcri dell’Arcadia possano simboleggiare la presenza di una tradizione iniziatica la cui trasmissione supera i limiti imposti dalla morte corporea, come abbiamo già avuto modo di considerare nel caso dei racconti relativi alla tomba di Virgilio mago e al suo cranio. Rientrato a Napoli nel 1504 dopo il suo volontario esilio al seguito di Federico d’Aragona, Sannazaro, che, dopo la morte del Pontano, era divenuto l’esponente più illustre dell’Accademia, si ritirò nella sua villa di Mergellina, donatagli del re alcuni anni prima e certamente fu il suggestivo paesaggio che poteva vedere dalla sua villa ad ispirargli, prima e dopo l’esilio, la creazione delle Egloghe Piscatorie, cinque componimenti poetici in latino in cui ai pastori dell’Arcadia si sostituiscono i pescatori partenopei in un ambiente non più boschivo ma marino, popolato da ninfe e divinità marine, in cui si intrecciano gare di canto, racconti mitologici e fantastici, compianti e lamenti amorosi, ambientati nel paesaggio del Golfo e fra le testimonianze del mondo antico°?,

641 Si veda, per esempio, Il Santo Graal di M. Baigent, R. Leigh e H. Lincoln (The Holy Blood and The Holy Grail, Londra 1982), in cui si sostiene che il segreto cui allude la tomba del dipinto di Poussin del 1647, riguarderebbe l’esistenza di una stirpe reale discendente da Gesù e Maria Maddalena, per cui San Graal andrebbe interpretato come Sang Real. 642 Le Eglogae Piscatorie (in origine dovevano essere dieci, ma ne sono state pubblicate solo cinque o sei a seconda delle edizioni) hanno avuto più edizioni, fra le quali citiamo quelle di Amsterdam del 1689 (Actii Sinceri Sannazarii Opera Latina) e del 1728 (Actii Sinceri Sannazarii Opera Latine scripta); esistono anche diverse versioni in italiano fra cui ricordiamo quella curata da Filippo Scolari (Le Pescatorie, Venezia 1813) e quella di Luigi Grilli (Le Egloghe Pescherecce, Città di Castello 1899). Nella I Egloga (Phillis) il pescatore Licida piange la morte dell’amata Filli: si tratta del compianto dello stesso Poeta per la morte della amata Carmosina Bonifacio; nella II Egloga il pescatore Licida si lamenta per la durezza dell’amata Galatea, mentre nella terza (Mopso) Sannazaro ricorda il suo volontario esilio al seguito di re Federico; nella IV Egloga, intitolata Proteo e dedicata a Ferdinando d’Aragona, che fu re di Napoli nel 1495-96, Sannazaro canta le meraviglie dei lidi partenopei rievocando con nostalgia gli antichi scenari mitologici e contrappone il loro fantasioso splendore alla triste situazione dei suoi tempi.

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Particolarmente interessante è per noi la V Egloga, intitolata Erpilide Maga in cui il Poeta fa riferimento alle arti magiche, descrivendo due pescatori che si confrontano in una gara di canto e i cui canti riecheggiano fin nelle grotte Platamonie e nel sacro antro di Serapide. Il primo pescatore, Dorila, descrive un incantesimo compiuto presso le acque del Sebeto da Erpilide, una giovane maga istruita dal padre Alcone, «caro a Febo e alle Muse», il che lo identifica come seguace del culto solare; l’incantesimo, che ha lo scopo di riconquistare e far ardere d’amore il suo amato Meone, viene attuato con l’aiuto della sorella di Erpilide, dopo aver eretto un’ara, raccogliendo una serie di ingredienti come l’acqua del fiume, delle foglie di assenzio, un’alga marina da bruciare, un granchio privato delle chele che deve essere bruciato tre volte come simbolo del cuore di Meone, una spugna imbevuta del pianto della maga che dovrà fugare ogni altro affetto dal petto del suo amato, una remora che ne deve arrestare la fuga; infine Eripilide prepara un filtro da far bere all’amante ed ingiunge alla sorella di prendere e tritare un nido d’alcione il cui potere di dissipare venti e tempeste possa placare i suoi affanni. Durante l’operazione, Eripilide ripete dieci volte una strofa che evoca il magico potere dei fusi bronzei dei telai di far cessare la pioggia e scacciare le nuvole: «Volgete o licci (fili) miei, volgete il veloce rombo (fuso)» (Volvite precipitem, mea licia, volvite rhombum); le ultime due strofe, lievemente diverse, indicano la fine dell’invocazione: «fermate il rombo, licci miei, fermate». Il tema della magia, già presente negli Id:lli di Teocrito e nelle Egloghe virgiliane‘‘, è riproposto dal Sannazaro in questa Egloga dedicata a Cassandra Marchese, nobildonna da lui teneramente amata, ma non riteniamo che si tratti solo di una citazione letteraria o di una poetica allusione alle pene d’amore, quanto piuttosto di uno specifico riferimento alle antiche pratiche della Magia Naturale in cui ogni ingrediente viene utilizzato per ottenere un determinato effetto, grazie alle occulte leggi dell’analogia e della “simpatia” in base alle quali tutte le cose sono collegate fra loro. Inoltre, con il riferimento all’arte della tessitura ed ai suoi poteri magici, Sannazaro non solo si collega

o

643 Cfr. Herpiphilis Pharmaceutria in Actii Sinceri Sannazarii Opera, ed. 1728, pp. 73 ss. L’Egloga prosegue con il canto del secondo pescatore, Telegono, che invoca Tritone affinché diffonda nel mare il suo lamento di amore per Galatea: anche in questo secondo canto l’invocazione a Tritone, ripetuta parimenti dieci volte, ha il carattere di un’invocazione magica e termina con due strofe di commiato. 644 Teocrito, Idillio Il, Le Streghe (Pharmakeutriaiî); Virgilio, Egloga VIII (Damone e Alfesibeo).

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all’immagine omerica della maga Circe che tesse al telaio prima di trasformare in porci i compagni di Ulisse‘’, ma ripropone soprattutto un antico tema mitico e simbolico, come aveva già fatto nell’Arcadia, descrivendo alcune Ninfe che tessevano una tela in cui era raffigurata la storia di Euridice, «augurio infelicissimo di future lacrime» ed espressione del triste destino dei mortali‘; la scena è ambientata nella grotta che precede quella da cui hanno origine i fiumi della Terra e corrisponde all’Antro descritto da Omero in cui le Ninfe tessono stoffe color porpora su alti telai di pietra ed attraverso le cui due porte, corrispondenti ai Solstizi, le anime ascendono e discendono nei corpi’. Altrettanto evidente è il rapporto con l’immensa cavità descritta da Platone nel Mito di Er‘, dove le anime destinate a reincarnarsi si radunano accanto al Fuso della Necessità, simbolo dell’Asse Cosmico, alla cui base le tre Moire tessono il filo delle esistenze umane, mentre otto Sirene, poste su altrettanti fusaioli che si succedono lungo l’Asse, compongono le sequenze tonali che caratterizzano ogni destino. Se nelle visioni omerica e platonica il simbolismo della tessitura è riferito alla incarnazione e alla determinazione dei destini umani, riferisce ad un’applicanell’Egloga del Sannazaro tale simbolismo zione specifica e parziale dello stesso principio, ovvero della possibilità di determinare una serie di eventi così come su un telaio viene disegnata la trama di un tessuto. Nel descrivere il rito messo in atto da Eripilide, Sannazaro rivela una conoscenza delle pratiche magiche che, se da un lato si basa sulla lettura degli autori classici, dall’altro può derivare da un’esperienza più personale e diretta: sappiamo infatti che fu allievo di Giuniano Maio, professore di grammatica e retorica e membro dell’Accademia Pontaniana’’, noto per essere un esperto di arti magiche, celebrato per le sue doti di veggente ed interprete dei

si

Odissea X, 213-222 646 Sannazaro, Arcadia XII, 16-18.

645

Odissea XIII, 102-112. Porfirio, commentando il passo omerico (Antro delle 647 Ninfe XIV, ed. cit. p. 32) afferma che i telai sono di pietra perché rappresentano le ossa, mentre i teli tessuti sono purpurei in quanto tale è il colore della «carne intessuta di sangue», spiegando che il tessere delle Ninfe corrisponde alla formazione dei corpi e che il corpo è la veste dell’anima. 648 Platone, Repubblica X. 649 Giuniano Maio (1430-1493), oltre che maestro di Jacopo Sannazaro, è stato precettore dei principi della casa reale aragonese e nel 1491 fu accolto fra gli umanisti della corte; la sua opera principale è un dizionario di termini latini (De priscorum proprietate verborum) pubblicato nel 1475.

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sogni; è verosimile che Jacopo Sannazaro sia stato iniziato proprio dal suo insegnante, verso il quale mostrò sempre un profondo rispetto, inserendolo fra i Pastori dell’Arcadia nelle vesti del saggio Enareto, «sopra gli altri pastori dottissimo», cui è manifesta «la maggior parte de le cose e divine e umane» e che ha avuto il dono di comprendere i «lenguaggi degli ucelli»; Enareto, il cui stesso nome evoca il carattere virtuoso del Maestro, ci viene presentato come il «santo vecchio», sacerdote del culto antico e primordiale del gran dio Pan, capace di compiere magie e pronunciare potenti incantesimi, di prevedere il futuro e anche di trasformarsi in lupo’, Dalla descrizione che Sannazaro fornisce di Enareto, emergono tutte le caratteristiche di un iniziato agli antichi Misteri ed appare verosimile che il ruolo di guida a lui attribuito nell’Arcadia, possa rispecchiare il ruolo di Maestro e iniziatore avuto da Giuniano Maio nei confronti del Sannazaro ed appare altrettanto verosimile che fra gli Umanisti dell’Accademia Pontaniana si celasse in realtà una ristretta confraternita iniziatica.

I MISTERI DI SAN DOMENICO Se nel periodo angioino si possono rilevare gli stretti rapporti dei sovrani con il Papato e con l’Ordine Francescano, notiamo che invece i sovrani aragonesi ebbero maggiori rapporti con i Domenicani, probabilmente per la loro attitudine allo studio ed all’esercizio della logica che ben si conciliavano con gli interessi culturali della corte; la chiesa di San Domenico fu pertanto la chiesa preferita dalla nobiltà del tempo e in essa furono collocate le arche contenenti i corpi imbalsamati dei sovrani e di diversi nobili e dignitari del regno‘’!. Nella chiesa di San Domenico troviamo inoltre alcune interessanti testimonianze sugli aspetti esoterici della cultura rinascimentale napoletana come nella Cappella Carafa di Santa Severina, nei cui sottarchi troviamo la rappresentazione dei segni zodiacali e delle altre costellazioni, mentre sui pilastri è scolpita una decorazione a grottesche con una successione verticale di trofei, armi, fiori, animali ed esseri fanta650 Sannazaro, Arcadia IX, 14-38 e X, 3-6 e 35-37 (ed. cit. pp. 150-156; 165-166; 174-175). Cfr. S.E.F. Hobel, 1! Fiume Segreto, ed. cit. pp. 45 ss. 651 Le 45 casse, ricoperte di stoffe preziose, erano originariamente sparse all’interno della chiesa, ma nel 1594 furono tutte raccolte nella Sagrestia e collocate su un ballatoio: vi si riconoscono le sepolture dei re Alfonso I (il cui corpo fu però trasferito in Spagna nel 1667), Ferrante I, Ferrante II e Giovanna IV.

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stici?, Al centro del pilastro a destra dell’ingresso, spicca l’impres-

sionante raffigurazione di un demone alato accovacciato dalle zampe caprine e con un seno femminile, che forma un inquietante contrasto con il minaccioso aspetto di una testa cadaverica con la bocca aperta e delle lunghe orecchie Tavola 10b). Il pilastro termina in alto con l’immagine di un orologio di cui si vedono le ruote dentate del meccanismo, mentre lateralmente sono disposte coppie simmetriche di draghi, delfini, uccelli e sviluppi vegetali. Il nostro demone alato somiglia alle Arpie o Sirene che possiamo vedere spesso nelle grottesche in cui sono raffigurate nella stessa posizione, ma se ne differenzia per le zampe caprine invece che artigliate e per la sostituzione di un volto orrendo alla testa femminile: si tratta di un’immagine sapientemente concepita per alludere al perpetuo avvicendarsi della vita e della morte ed alla loro indissolubile connessione, in cui gli zoccoli fessi e il seno femminile rappresentano l’energia vitale, mentre l’orrida testa evoca l’idea della morte‘. Possiamo pertanto osservare che nella Cappella Carafa viene tradotto visivamente il rapporto fra il Cielo e la Terra, in base al concetto ermetico che «ciò che è in alto è come ciò che è in basso»; e mentre gli archi e la volta rappresentano il cielo stellato, lungo i pilastri è simboleggiato il suo riflesso nel mondo materiale, regolato dallo scorrere del tempo e con le continue trasformazioni di ogni forma di vita. Questa concezione, già espressa nel simbolismo dei portali romanici, viene ora riproposta in quel linguaggio simbolico ispirato agli antichi geroglifici egizi che si sviluppa nel Rinascimento. Un attento ricercatore, Salvatore Forte, ha notato che in una targa delle grottesche della Cappella Carafa è scolpita un’immagine che riproduce il disegno di uno dei geroglifici descritti pochi anni prima da Francesco Colonna nella sua Hypnerotomacbhia, in cui è raffigurato un grande occhio ac652 La decorazione della Cappella Carafa di Santa Severina, dedicata a San Martino, commissionata nel 1508 da Andrea Carafa, conte di Santa Severina e Luogotenente Generale del Regno, fu realizzata dagli scultori toscani Romolo Balsimelli e Andrea Ferrucci a partire dal 1503. Alcuni anni prima, nel 1497, il Cardinale Oliviero Carafa aveva ordinata la realizzazione della Cappella del Succorpo nel Duomo di Napoli, per ospitare le spoglie di San Gennaro: le grottesche marmoree che ornano le pareti del Succorpo, attribuite allo scultore Tommaso Malvito, costituiscono un altro mirabile esempio di decorazione di ispirazione classica e paganeggiante.

L'immagine può essere interpretata anche in chiave alchemica ed in tal caso il demone alato diventa un geroglifico della Materia Prima mercuriale e androgena, la sua testa allude al Caput Mortum, la fase della Putrefazione, mentre le ali indicano la sua volatilizzazione (cfr. Fulcanelli, Dimore, ed. cit. vol. IL, p. 76).

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canto ad un volatile: il che rivela non solo una sostanziale adesione al nuovo linguaggio simbolico ispirato alla tradizione egizia e alla cultura classica, ma anche un preciso riferimento ad Horus (o Ra), la divinità solare dell’antico Egitto°°*, Nel complesso di San Domenico si trova un ancor più esplicito riferimento alla Religione Osiridea; si tratta di una lastra marmorea che si può vedere all’esterno della chiesa, a destra dell’ingresso principale, e che mostra l’incisione di un uomo inginocchiato vestito con un abito lungo che sembra pregare rivolto verso un’iscrizione alquanto enigmatica (Tav. 10c)‘”: NIMBIFER ILLE DEO MICHI SACRVM INVIDIT OSIRIM IMBRE TVLIT MVNDI CORPORA MERSA FRETO INVIDA DIRA MINVS PATIMVR FVSAMQVE SVB AXE PROGENTEM CAVEAS TROIVGENAMOQVE TRVCEM VOCE PRECOR SVPERAS AVRAS ET LVMINA CELO CRIMINE DEPOSITO POSSE PARARE VIAM SOL VELVTI IACVLIS ITRVM RADIANTIBVS VNDAS SI PENETRAT GELIDAS IGNIBVS ARET AQVAS Gli eruditi e gli studiosi napoletani hanno proposto diverse traduzioni di questa sibillina iscrizione e ne hanno dato varie interpretazioni, ipotizzando che l’epigrafe alludesse ad un naufragio o ad un tesoro nascosto oppure, come affermò il Mazzocchi, che i versi fossero semplicemente un «ghiribizzo» concepito per «martoriare la mente dei letterati»; un altro studioso, Scipione Volpicella, ha invece sostenuto che l’iscrizione, composta nel 1284, si riferirebbe al supposto assassinio di San Tommaso d’Aquino voluto da Carlo d’Angiò, mentre, nel sito di Iniziazione Antica, leggiamo che, in base all’interpretazione

654 F. Colonna, Hypnerotomacbhia Polipbili, Venezia 1499, foglio 33°, figura XIV. Cfr. S. Forte, Il Rinascimento napoletano e la tradizione egizia segreta, ed. Narcissus, Napoli 2015, pp. 105-107. 655 La lastra fu rinvenuta celata sotto il pavimento della chiesa quando, verso il 1560, il coro fu spostato dietro l’altare maggiore; venne quindi trasferita nel chiostro vecchio del convento, presso la cisterna, e successivamente nel luogo dove si trova ora (cfr. G. Sigismondo, Descrizione della città di Napoli e suoi Borghi, 1788 tomo II, p. 31; Celano-Chiarini, Notizie del bello dell’antico e del curioso della città di Napoli, vol. III, tomo II, Napoli 1858, pp. 476 s.).

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dell’esoterista Domenico Bocchini, si tratterebbe di un «documento antichissimo recante l’attestazione del diluvio universale», AI di là delle diverse traduzioni ed interpretazioni fin qui proposte e senza escludere la possibilità che si tratti di un testo criptato, cerchiamo di comprendere cosa voglia comunicare questa misteriosa iscrizione: in primo luogo troviamo l’affermazione che un essere portatore di tempeste (Nimnbifer) invidiò Osiride, sacro a me (o a Dio), e che con una tempesta (izbre) sprofondò o spostò (tal) i corpi del mondo sommersi o naufragati (zersa) nel mare (freto), il che sembra diluvio. decisamente alludere ad un evento catastrofico come testo di affermando soffriamo che ora meno per tale ira terribile prosegue (invida dira), ma esorta a temere la truce stirpe troiana sparsa nel mondo o sotto il suo asse (sub axe fusam), il che potrebbe essere riferito ai Romani. La seconda parte consiste invece in un’invocazione: «Con la voce (ad alta voce) prego gli spiriti aerei e i lumi superiori perché, rimesso il crimine, possano rendere praticabile o agevolare (parare) la via del cielo, come il sole, se penetra di nuovo (iterun invece di itrum) le onde con le sue raggianti saette, dissolve le acque gelide». I] testo può essere dunque interpretato come l’allusione ad una catastrofe naturale in seguito alla quale un’antica civiltà, identificata con la figura di Osiride, è stata sommersa ed è scomparsa, ma ora inizia a riemergere, anche se resta da temere la «truce stirpe troiana»; lo stesso testo potrebbe però anche essere riferito ad una catastrofe di tipo sociopolitico, come la conquista romana dell’Egitto o il trionfo del Cristianesimo e la conseguente scomparsa o l’occultamento dell’antica religione. La seconda parte dell’iscrizione ha il carattere di un’invocazione magica in cui l’orante si rivolge a entità spirituali collegate all’aria e alla luce o al fuoco, utilizzando il potere della voce e della parola, messo in relazione alla Luce del Sole che dissolve le tenebre e il gelo delle acque, al fine di far riemergere l’antica sacralità osiridea. Se effettivamente, come sembra, di ciò si tratta, possiamo ritenere che

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656 Per riferimento all’erudito Alessio Simmaco Mazzocchi (XVIII secolo), vedi Celano-Chiarini, cit.; sull’ipotesi relativa a San Tommaso d’Aquino, cfr. S. Volpicella, Storia dei monumenti del reame delle due Sicilie: Principali edifici della città di Napoli, Tomo Il, parte I, Napoli 1847, nota 42, pp. 327330; rispetto all’interpretazione del Bocchini, vedi il testo pubblicato online in «iniziazioneantica.altervista.org» in cui vengono anche confrontate le diverse traduzioni proposte da Massimiliano Contatore, Gian Pietro Basello e Vittorio Gleijeses.

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lastra sia stata realizzata all’inizio dell’età aragonese e che sia stata ispirata dallo stesso Pontano, col quale ci sembra inoltre di ravvisare una certa somiglianza nel profilo del personaggio orante. la

ACCADEMICI E ALCHIMISTI DELLA NAPOLI VICEREALE Con la trasformazione del Regno di Napoli in un Viceregno sotto dominio spagnolo, ha avuto termine quella feconda intesa che si era venuta a creare fra i regnanti e gli intellettuali durante il periodo aragonese e, anche se continuarono a fiorire gli studi e si formarono diverse Accademie, le autorità vicereali assunsero spesso nei loro confronti un atteggiamento sospettoso e a volte repressivo, temendo che tali assemblee di eruditi, letterati, poeti e ricercatori, potessero celare dei centri di diffusione di idee eretiche o sovversive. Fra le Accademie fiorite intorno alla metà del XVI secolo a Napoli, ricordiamo l’Accademia Segreta, fondata nel 1542 dal viterbese Girolamo Ruscelli, l’Accademia degli Umidi (ca. 1544) e quelle dei Sereni, degli Ardenti e degli Incogniti (che opereranno solo nel 1546)”, Nel 1535 era giunto a Napoli il teologo spagnolo di origine ebraica Juan de Valdés‘”, le cui idee di riforma religiosa ottennero larghi consensi, così come ebbe i suoi simpatizzanti Bernardino Ochino‘”’, le il

657 Sulle Accademie napoletane, vedi P. Izzo, Le Uova dell’Angelo, ed. Stamperia del Valentino, Napoli 2002. 658 Juan de Valdés (1500-1543), teologo spagnolo, fu costretto ad abbandonare la Spagna in seguito alla pubblicazione del suo Didlogo de doctrina cristiana (1525); giunto a Napoli nel 1534, vi diffuse le sue idee di una rigenerazione cristiana basata su una fede ricondotta alla purezza evangelica; fra le sue opere ricordiamo l’A/lphabeto christiano (1545), dedicato a Giulia Gonzaga che fu influenzata dalla sua dottrina, insieme a Vittoria Colonna; ebbe a Napoli numerosi seguaci, diversi dei quali furono arrestati nel 1552; si formarono anche diverse comunità valdesiane in Puglia e in Calabria che furono distrutte all’inizio degli anni Sessanta, mentre nel 1564 furono giustiziati diversi Valdesiani fra cui il nobile Giovan Francesco Alois; la feroce

repressione dell’eresia valdesiana fu contestata da numerosi esponenti dell’aristocrazia napoletana, fra cui membri delle famiglie di Sangro, Caracciolo e Carafa e poi anche dal popolo.

659 Bernardino Ochino (1487-1564), appartenente all’Ordine dei Minoriti Osservanti, poi a quello dei Cappuccini, sostenne posizioni vicine a quella della Riforma Protestante, per cui, sospettato di eresia, fuggì nel 1542 a Ginevra dove entrò in contatto con Calvino e diventò il primo pastore della comunità evangelica italiana locale; condannato dalla Chiesa Cattolica, ma anche in disaccordo con i Calvinisti, condusse

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cui prediche, tenute nel 1536 nella chiesa di San Giovanni Maggiore, riscossero grande successo; inoltre, fra il 1544 e il 1565 soggiornò più volte a Napoli Bernardino Telesio“°, la cui Filosofia della Natura conquistò in città numerosi estimatori e seguaci. Il fermento intellettuale del periodo e le sue spinte innovative non potevano non allarmare le correnti più conservatrici della Chiesa e nel 1542, in seguito al loro prevalere, fu istituita la Santa Romana Inquisizione. A Napoli l’Inquisizione fu introdotta però solo nel 1553, dopo che un primo tentativo, nel 1547, era fallito grazie ad una rivolta popolare che il viceré Don Pedro aveva represso dopo diversi mesi facendo cannoneggiare la città; l’anno successivo, con decreto vicereale, furono sciolte tutte le Accademie e iniziò il processo a Mario Galeota, ritenuto il fomentatore della rivolta“!, Nel 1543 era già stata sciolta la prestigiosa Accademia Pontaniana e il suo principale esponente, Scipione Capece’, sospettato di eresia e sedizione, era stato costretto a fuggire dalla città. In effetti, le autorità civili e religiose del tempo, dal loro punto di vista, i torti, se si pensa che nell’amnon avevano biente degli intellettuali napoletani si sono formati personaggi come Gian Battista della Porta, Giordano Bruno e Tommaso Campanella, che hanno promosso la libertà del pensiero e della ricerca, creando le premesse per una radicale |

E

tutti

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Masai:

una vita

raminga fino alla sua morte. 660 Bernardino Telesio (1509-1588), membro dell’Accademia Cosentina fondata da Giano Parrasio verso il 1509, compose la sua opera principale, il De rerum natura iuxta propria principia (pubblicata a Napoli fra il 1565 e il 1586) durante i suoi soggiorni napoletani, ospite di Alfonso Carafa, duca di Nocera. 661 Mario Galeota, uomo d’armi e di cultura, membro dell’Accademia dei Sereni e amico del poeta Tansillo, fu un seguace di Valdés; processato in seguito ai tumulti del 1547, nel 1552 fu costretto al domicilio coatto nelle sue terre in Calabria; tornato a Napoli nel 1555 fu di nuovo arrestato e imprigionato fino al 1559; processato una terza volta nel 1565 per aver propagandato le idee di Valdés, fu costretto ad una pubblica abiura delle sue posizioni ereticali e condannato a cinque anni di reclusione.

Scipione Capece (1480-1551), allievo del Pontano, diresse l’Accademia dopo la sua morte; giurista e poeta, è l’autore di un poema didascalico (De Principiis rerum, Napoli 1584) concepito a imitazione del De rerum natura di Lucrezio, in cui però non sono riproposte le concezioni lucreziane, ma piuttosto una visione cosmologica di ispirazione pontaniana e che si collega alla tradizione ermetica e pitagorica; curò anche, nel 1535, la pubblicazione dei Cormentari di Donato all’opera di Virgilio. 662

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svolta delle concezioni culturali, scientifiche e religiose allora dominanti e giungendo a sfidare in modo più o meno aperto l’autorità della Chiesa.

Intorno alla metà del XVI secolo Napoli era dunque una specie di vulcanica fucina del pensiero, in cui le spinte innovative e libertarie si coniugavano con l’adesione alla Tradizione Ermetica e con lo studio e la pratica dell’Alchimia. Girolamo Ruscelli, autore di un trattato alchemico di grande successo pubblicato con lo pseudonimo di Alessio Piemontese‘, era giunto a Napoli verso 1541 e vi aveva fondato l’Accademia Segreta, conferendole un carattere chiaramente iniziatico basato sulla ricerca alchemica come risulta da quanto lui stesso scrive nel Proemio dell’edizione del 1567 della sua opera: «Quando io habitava nel Regno di Napoli, pochi anni innanzi ch'io venissi a Venetia, in una illustre città di quella provincia, trovandomi nella compagnia di XXIIII persone particolari & con esse il Principe & Signor della terra, si diede principio ad una onorata Accademia Filosofica la quale, per molti degni rispetti volsero che fusse & si chiamasse secreta... Di tutti XXIII huomini sette erano Cittadini nativi della città propria, sette di diversi luoghi d’Italia, sette Oltramontani di diverse Province, uno Schiavone, un Greco & uno Ebreo di Salonichi, vecchio & che più volte era andato di Levante in Christianità... Avevamo poi per ministri & serventi due Spetiali, due Orefici, due profumieri, un dipintore, quattro Erbolarij & Simplicisti intendenti... L’intention nostra era stata primieramente di studiare & imparare noi stessi, non essendo studio né altro essercitio alcuno che più sia vero della Filosofia naturale, che questo di far diligentissima inquisitione & come una vera anatomia delle cose & dell’operationi della Natura in se stessa... Nella nostra compagnia era ordine & giuramento che niuno potesse nomi-

De’ secreti del reverendo donno Alessio Piemontese, Venezia 1555 (testo ristampato più volte a partire dal 1557 e tradotto in diverse lingue). Girolamo Ruscelli (ca. 1500-1566) giunge a Napoli verso il 1541, ospite del marchese Alfonso d’Avalos e vi resta fino alla morte di quest’ultimo, nel 1546; recatosi a Venezia, vi cura l’edizione di diversi classici, fra cui il Decamerone, l’Orlando Furioso e la Geografia di Tolomeo. Ruscelli è inoltre autore di diverse altre opere, fra cui Le Imprese illustri (Venezia 1566) e di un Rimario. Sull’Alchimia a Napoli nel periodo vicereale si veda l’introduzione del testo di Massimo Marra, Il Pulcinella Filosofo Chimico di Severino Scipione (1681), ed. Mimesis, Milano 2000, pp. 9 ss.; vedi anche A.E. Piedimonte, Alchimia e medicina a Napoli, ed. Intra Moenia, Napoli 2015. 663

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narla né farne motto con alcuna persona se prima non se ne avesse licenza dalla Compagnia». Dai passi citati risulta evidente che l’Accademia era stata concepita come una società segreta il cui fine ultimo era la “conoscenza di se stessi” e il cui metodo di lavoro era la sperimentazione alchemica: gli aspetti operativi erano assicurati dalla collaborazione di speziali, orafi ed erboristi, mentre l’ampio raggio delle ricerche teoriche e la consultazione di testi scritti in diverse lingue era resa possibile dalla presenza, fra i membri dell’Accademia, di studiosi provenienti da diverse nazioni, fra cui un Greco, un Ebreo ed uno Slavo; i membri dell’Accademia, che si riunivano regolarmente in una casa fatta costruire dal Principe e definita “Filosofia”, erano inoltre tenuti ad osservare la segretezza, anche se, avutane licenza, potevano invitare degli estranei, come i medici della città, che però dovevano parimenti impegnarsi alla segretezza, o dei forestieri, persone dotate di ingegno ed amanti della Filosofia; i risultati dei lavori, precisa infine il Ruscelli, sono stati riportati nel suo libro De’ Secreti. E possibile che ai lavori dell’Accademia Segreta abbiano partecibotanico Bartolomeo Maranta®° e il suo amico e collabopato anche ratore, lo speziale Ferrante Imperato, del quale torneremo a parlare, e forse anche il giovane Della Porta, che si ispirò probabilmente ad essa nel fondare, alcuni anni dopo, la sua Accademia de’ Secreti della Natura. Intorno alla metà del secolo passarono inoltre per Napoli anche

il

664 Secreti nuovi di meravigliosa virtù del signor leronimo Ruscelli i quali continovando a quelli di donno Alessio, cognome finto del detto Ruscelli, contengono cose di rara esperienza e di gran giovamento, Venezia 1567: cfr. M. Marra, Girolamo Ruscelli Proemio ai Secreti nuovi di maravigliosa virtà (Vinegia 1567), risorsa online (www.levity.com). Secondo W. Eamon (La Scienza e i Segreti della Natura, ed. ECIG, Genova 1988, pp. 222 ss.) il Principe dell’Accademia sarebbe stato Ferrante Sanseverino, principe di Salerno, amico del marchese d’Avalos e accanito avversario del viceré Don Pedro da Toledo; l’Eamon suggerisce inoltre che ai lavori dell’Accademia, che si protrassero fino al 1552, abbiano potuto partecipare i giovani fratelli Della Porta.

Bartolomeo Maranta (1500-1571), botanico, medico e fisico, nato a Venosa, studiò a Napoli e a Pisa, dove fu allievo del botanico Luca Ghini, fondatore dell’Orto Botanico di Firenze e dove conobbe Johannes Oporinus, discepolo di Paracelso; lavorò poi nell’Orto Botanico di Napoli nel 1554-1555; è autore dei Methodi cognoscendorum simplicium medicamentorum libri tres (Venezia 1559), di un Novunm Herbarium (Venezia 1571) e di un testo sugli antidoti contro il morso dei serpenti velenosi (Della Theriaca et del Mithridato, Venezia 1572) che fu aspramente criticato dai medici della scuola padovana soprattutto in quanto scritto in volgare e non in latino e per aver avvicinato la figura del medico a quella dello speziale. 665

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alcuni noti alchimisti, come il medico Leonardo Fioravanti“, personaggio avventuroso e singolare che, come Paracelso, riteneva che il medico dovesse essere anche speziale e alchimista, in modo da preparare da sé i farmaci utilizzando i metodi spagirici, o come l’umanista Antonio Allegretti’ che risiedette per alcuni anni a Scisciano, presso Nola, dove compose, intorno al 1550, la sua opera De la Trasmutazione de’ metalli.

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CEEARIA TRAGICOMEDIA

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CONTINUITÀ DELLA TRADIZIONE ERMETICA RINASCIMENTALE

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Per quanto riguarda invece la continuità della cultura umanistica rinascimentale del Pontano e del Sannazaro, con i suoi spunti mito-ermetici, vanno citati diversi letterati fra i quali, in primo luogo, Marc’Antonio Epicuro, apprezza666 Leonardo Fioravanti, nato nel 1517 a Bologna, si trasferisce nel 1548 in Sicilia, dove inizia ad esercitare la professione di medico pur non avendo conseguito alcun titolo; durante il suo soggiorno siciliano intraprende lo studio dell’Alchimia per utilizzare i preparati spagirici nella sua pratica medica; nel 1549 giunge a Napoli, dove nel 1551 il viceré Don Pedro di Toledo lo nomina protomedico della spedizione spagnola in partenza per attaccare la città di Monastir e dove poi rimane fino al 1555. Grazie alla sua abilità e ai rimedi originali dovuti alle sue conoscenze alchemiche, il Fioravanti conquista una notevole fama, sostenendo, come Paracelso, che il medico deve essere capace di seguire l’intero processo terapeutico, dalla diagnosi alla preparazione dei farmaci, alla chirurgia. Fra le sue opere ricordiamo Il tesoro della vita humana (Venezia 1570) e Dello specchio di scienza universale (Venezia, 1583).

Antonio Allegretti, nato nel primo decennio del XVI secolo, diventa nel 1528 segretario del cardinale Giovanni Gaddi e frequenta gli ambienti intellettuali e artistici di Roma e Firenze, diventando amico di Annibal Caro, Benedetto Varchi e Benvenuto Cellini ed entrando in contatto con il cardinale Alessandro Farnese; ottiene un certo successo come poeta, componendo opere occasionali ed encomiastiche, inserite in diverse raccolte di rime; intorno al 1550 si trasferisce nel paese di Scisciano, dove compone il suo testo Della Trasmutazione de’ metalli (ms. Magl, XVI 117 della seconda metà XVI secolo, Bibl. Naz. Firenze; pubblicato a cura di M. Gabriele, ed. Mediterranee, Roma 1981). Marc’Antonio Epicuro (1472-1555), originario della Terra dei Marsi (Abruz668 zo), agli inizi del XVI secolo si trasferisce a Napoli da dove offre i propri servizi al marchese di Mantova Federico II Gonzaga, inviandogli le iscrizioni della Cappella Pontano; nel 1528 viene assunto da Antonio Rota come precettore dei suoi figli e instaura con Berardino Rota una duratura amicizia; compone 667

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to poeta e autore di opere teatrali, ben inserito nell’ambiente intellettuale napoletano dell’Accademia Pontaniana e del circolo di Vittoria Colonna e promotore, nel 1546 dell’Accademia dei Sereni. La sua prima opera teatrale, la “tragicommedia” Cecaria, o Dialogo di tre ciechi, pubblicata a Venezia nel 1525, e seguita, nel 1530, dalla Luminaria o Illuminazione’, ha per protagonisti tre ciechi la cui infermità è stata causata dall’amore e che si lamentano della loro infelice condizione invocando la morte, ma che, nella Luninaria, saranno risanati da un Sacerdote dell’Amore: «Ecco che al vostro pur fosco intelletto, gratia ne infuse il mio celeste lume»; l’opera, in cui riecheggiano i “lamenti d’amore” della poesia del Sannazaro, si conclude dunque con un’evidente allusione alla Luce iniziatica, riferimento che ritroveremo nel rilievo della Cappella Sansevero in cui è raffigurato Cristo che dona la vista al Cieco e che evoca, in tal caso, il rito dell’iniziazione massonica. La seconda commedia di Epicuro, la Mirzia"°, ha per protagonisti tre pastori innamorati di due ninfe di Diana e della stessa Dea, ed è ambientata in uno scenario bucolico ispirato all’Arcadia del Sannazaro; possiamo notare il riferimento a Diana, viene riproposto da Giordano Bruno negli Eroici Furori, dove la visione della Dea rappresenta il momento della sua illuminazione. Inoltre, Epicuro era famoso anche per la sua abilità nel creare Imprese, il che lo colloca nel filone dell’interpretazione simbolica ed allegorica delle immagini, iniziata con la riscoperta dei Geroglifici di Orapollo. Ad Epicuro fanno riferimento come fonte di ispirazione, i poeti Luigi Tansillo e Berardino Rota e lo storico Scipione Ammirato, che furono suoi affezionati amici. Tansillo‘’!, uomo d’arme e poeta di inoltre rime in latino e volgare e numerosi poeti gli dedicano le loro composizioni o lo citano (cfr. S. Foà, alla voce EPICURO, Marcantonio, in Dizionario Biografico degli Italiani

-

Volume 43, 1993).

669 Cecaria. Tragicomedia del Epicuro Napolitano, intitulata la Cecaria nuovamente aggiontovi un bellisimo lamento del Geloso con la Luminaria non più posta in luce, con ogni deligentia revista, corretta e ristampata, Venezia 1535 (altre edizioni a partire dal 1530). 670 Ridotta in prosa e stampata a Parma nel 1582 come Martia, pastoral comedia di Selvaggio de’ Selvaggi, poi pubblicata a Vicenza nel 1613 con il titolo di Trebatia e attribuita a Fabio Ottinelli, anch’egli appartenente all’Accademia dei Sereni. 671 Luigi Tansillo (1510-1568), nato a Venosa da padre nolano, nel 1536 si arruola al servizio del viceré Don Pedro di Toledo, mentre nel 1551 si imbarca nella flotta comandata da Don Garcia, figlio di Don Pedro, e partecipa alla spedizione contro Tunisi; è autore di diverse opere poetiche, fra cui un carme licenzioso, Il vendenm-

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ispirazione petrarchesca, ebbe una vita avventurosa le cui esperienze si riflettono nel carattere spesso anticonvenzionale delle sue opere;

IL ROTA} 1 oFERO 7”

affiliato nel 1540 all’Accademia degli Umi-

di di Firenze, fu molto apprezzato dai suoi DELLIMPRESE 34 contemporanei e Giordano Bruno, che a lui bI1AL 0606 fa spesso riferimento, ha inserito diversi suoi î. SCIPIONE AMMIRATO ELMI sonetti negli Eroici Furori, evidenziandone il NEL QVAL SI RAGIONA DI MOLTE INTRESE DI profondo valore simbolico ed esoterico. IcchicsnTI DIVE! & regole Berardino Rota‘? è stato un elegante pogaia CARRATA 5. VINCENZO di eta, autore, sulle orme del Sannazaro, di una raccolta di Egloghe Piscatorie, mentre Scipiobu] con Pai vitteto. ne Ammirato‘”, scrittore e storico, ha dato il IN NAPOLI LxIiIL nome dell’amico Berardino Rota al suo trattato sulle Imprese"*, redatto in forma di dialogo DEL

avtiri,

di diese intorra materia, ferieto

eneriimuni)

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miatore, pubblicato nel 1534 e che fu messo all’Indice, e di un’opera composta per ottenere il perdono del Papa Paolo IV (Le lacrime di San Pietro), iniziata nel 1539 e pubblicata nel 1585, oltre che di un poema didascalico sull’agricoltura (I! podere), ispirato all’opera di Columella. 672 Berardino Rota (1508-1575), appartenente ad una ricca famiglia aristocratica, ebbe come precettore Marc’Antonio Epicuro, restando poi sempre suo amico; fra le sue opere poetiche in latino e in volgare, oltre alle Egloghe Piscatorie, composte nel 1533, va ricordata una raccolta di sonetti (Sonetti del signor Berardino Rota in morte della signora Portia Capece sua moglie, a cura di Scipione Ammuirato, Napoli, 1560) composta dopo la morte della moglie Porzia Capece, nipote del capo dell’Accademia Pontaniana Scipione Capece. 673 Scipione Ammirato (1531-1601), nato a Lecce in un’agiata famiglia di origine fiorentina, viene a Napoli a studiare diritto, ma preferisce dedicarsi agli studi umanistici, frequentando i circoli intellettuali e stringendo amicizia con Berardino Rota e con il poeta e storico Angelo di Costanzo; recatosi a Venezia, collabora con il Ruscelli alla pubblicazione dell’Orlando Furioso e scrive un Dialogo delle Ingiurie, o Maremonte; nel 1558 fonda a Lecce l’Accademia dei Trasformati, della quale è Principe col nome di Proteo; tornato a Napoli si dedica alla scienza delle Imprese e agli studi storici, scrivendo testi Delle antiquità del Regno di Napoli, e sulle Famiglie nobili napoletane; cura inoltre la pubblicazione di opere del Rota; trasferitosi nel 1569 a Firenze, dove gode della protezione del granduca Cosimo II, riceve l’incarico di redigere una Storia della Toscana (Dell’Istorie Fiorentine libri venti, dal principio della Città infino all’anno MCCCCXXXIV, Firenze 1600); scrive anche dei Discorsi sopra Cornelio Tacito in cui teorizza l’idea di Ragion di Stato; partecipa alle tornate dell’Accademia degli Alterati dove, tra l’altro, prende le difese dell’Ariosto. 674 Il Rota overo delle Imprese. Dialogo del signor Scipione Ammirato, nel quale si ragiona di molte Imprese di diversi eccellenti Autori e di alcune regole, e avvertimenti intorno a questa materia, Napoli 1562; nuova edizione (Firenze 1598) dedicata a Cri-

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fra lo stesso Rota, Nino de Nini, dotto Vescovo di Potenza, Bartolomeo Maranta, definito “Filosofo” in quanto indagatore dei segreti della natura, e Alfonso Cambi, un commerciante con interessi poetici e letterari: la discussione ha luogo durante una gita dei quattro amici e ha inizio quando il Vescovo nota il motto MORS UNA DUOBUS dipinto sulla carrozza del Rota e chiede perché questo motto o Anima dell’Impresa non sia accompagnato dall’immagine o Corpo affermando che in tal modo assomiglia ad un fantasma o folletto di cui si ode la voce ma non si vede il corpo; in seguito è sempre il Vescovo a spiegare che le Imprese hanno origine dalla stessa esigenza degli antichi sapienti di celare i loro segreti al volgo profano, adoperando un linguaggio simbolico fatto di favole e immagini fantasiose, che potesse essere inteso solo dalle persone savie e specifica che: «L’Impresa è una filosofia del cavaliere, così come la poesia è una filosofia del filosofo... come il filosofo sotto le favole cominciò a spiegare i segreti suoi meravigliosi e divini per farsi intendere da alcuni e non da tutti, così il cavaliere per ispiegare ad alcuni e non a tutti il suo intendimento ricorse alle fintioni delle imprese. Et l’uno adoperò le parole, l’altro le cose». Poi il Rota, a proposito della brevità dei motti e dell’uso di citazioni classiche o di proprie invenzioni, ricorda Marcantonio Epicuro, definendolo «maestro e principe delle imprese e precettor mio»‘76, Appare qui evidente che a Marc’Antonio Epicuro, “Principe delle Imprese”, va attribuito il ruolo di ispiratore e maestro nell’uso di quel linguaggio simbolico, proprio della tradizione ermetica, che possiamo ritrovare nelle opere di Rota, Tansillo e Ammirato e, dopo di loro, in Giordano Bruno.

stiana di Lorena, consorte di Ferdinando I de’ Medici, granduca di Toscana. 675 Il Rota, ed. 1598, pp. 9-11. Per quanto riguarda il motto MORS UNA DUOBUS, lo si trova inciso due volte sul sepolcro di Porzia Capece, in riferimento al compianto di Berardino Rota per la sua amata sposa; il monumento, posto in San Domenico è costituito da un alto basamento su cui si erge un obelisco con ai lati due medaglioni che riportano i ritratti dei due sposi (cfr. AA. VV. Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze, vol. 1, Napoli 1945, p. 305). 676 Il Rota, ed. 1598, p. 11. Berardino Rota aveva dedicato al suo maestro ed amico Marcantonio Epicuro un’epigrafe sepolcrale che si trovava in Santa Chiara (cfr. Napoli e i luoghi celebri, cit. p. 362).

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ARS ET NATURA

Berardino Rota ha però richiamato la nostra attenzione, più che per le sue opere poetiche, per il monumento funebre per lui eretto nella Cappella Rota in San Domenico, che rivela una profonda conoscenza del linguaggio simbolico, analogo a quello sapientemente utilizzato nelle Imprese: il sepolcro, opera dello scultore Giovan Domenico d’Auria che lo realizzò intorno al 1570, presenta un sarcofago, su cui è adagiata la statua del Rota, rivestito di armatura e con la Croce dei Cavalieri di Santiago sul petto; al di sotto del sarcofago, su un alto podio, sono poste le statue del Tevere e dell’Arno, figurazioni simboliche della lingua latina e di quella italiana, mentre ai lati del podio si aprono due nicchie in cui sono poste due statue che rappresentano l’Arte e la Natura”; la prima, dai capelli sistemati in una complicata acconciatura, regge un libro nella destra ed una lira nella sinistra, mentre sulla tunica che la ricopre sono raffigurati la clessidra, la squadra ed il compasso, un doppio quadrato, un astrolabio, una livella ed un oggetto oblungo di difficile identificazione, forse una corda usata come unità di misura; la statua che raffigura la Natura è invece una donna nuda dai molti seni (nove), che si appoggia ad un tronco d’albero e reca due colombe nella destra, mentre sulle braccia e sulle gambe sono raffigurati diversi animali (l’elefante, l’unicorno, l’uccello, il cavallo, il serpente, il leone, il delfino, la lucertola), piante e fiori. La Natura è nuda e coi capelli sciolti, in quanto è semplice e priva di ogni artificioso ornamento: le sue numerose mammelle cariche di latte, come quelle delle statue dell’Artemide di Efeso, significano che nutre e sostenta tutte le cose create, così come una donna nutre i suoi figli; le diverse forme di vita, rappresentate dalle piante e dagli animali sparsi lungo il suo corpo, testimoniano ancora il suo ruolo di donatrice di vita; le colombe, tradizionalmente attribuite alle Grandi Dee, come la fenicia Atargatis o la greca Afrodite, simboleggiano la purezza, ma anche l’amore e la fecondità; per gli Alchimisti, le Colombe di Diana‘® indicano la sublimazione del Mercurio Filosofico, il che vuole dire che la materia iniziale è stata spiritualizzata, così come l’apparire 677 Cfr. S.E.F. Hébel: Il rapporto Arte-Natura e la sua simbologia, in Hiram n. 1, 1994. 678 Ireneo Philalete: Introitus apertus ad occlusum Regis Palatium, Amsterdam 1667, ed. franc. RETZ, Paris 1976, pp. 24 e 40; Fulcanelli: Le Dimore Filosofali, ed. Mediterranee, Roma 1973, vol. II, pp. 90 ss.

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di del chiarore lunare, nella fase detta Albedo, simboleggia l’illuminazione dell’intelletto. Al contrario della Natura, l’Arte è vestita ed i suoi capelli sono ordinati in una complessa pettinatura, dal momento che essa rappresenta l’opera dell’uomo che, intervenendo sulla Natura, ne modifica l’originaria semplicità, e l’adorna facendo uso degli strumenti e degli attrezzi propri delle varie Arti: notiamo infatti subito la presenza degli strumenti dell’Arte Muratoria (la squadra, il compasso, l’archipendolo) e, accanto ad essi, la clessidra, che allude alla misurazione del tempo, l’astrolabio, che si riferisce alla osservazione dei moti celesti, ed il doppio quadrato che allude alla conoscenza della Geometria; il libro che la statua regge con la destra, indica il prezioso patrimonio della Conoscenza, trasmesso sotto forma di parola scritta; il fatto che il libro sia appena socchiuso, significa però che la Conoscenza non si offre semplicemente ed apertamente a tutti, ma che il ricercatore, lo studioso, dovrà sforzarsi e perseverare per aprire il simbolico libro e penetrarne il senso: ciò che la Natura rivela, il momento di chiarezza simboleggiato dalle candide colombe della casta Diana, è per l’Arte oggetto di studio ed occasione operativa; la lira, creata da Hermes e da lui donata ad Apollo, simboleggia invece l’Arte della Musica, capace di interpretare e tradurre in suoni percepibiSPACCIO li le armonie cosmiche ed i rapporti proporDE zionali che governano i corpi celesti, come a LA.BE TA suo tempo aveva insegnato Pitagora. ON, La simmetrica disposizione delle due figure allegoriche del sepolcro di Berardighia,VanoSutino figio no Rota, esprime un profondo desiderio di equilibrio fra l’uomo e l’ambiente naturale, Cofesratial molto illuFtre mentre il loro discorso simbolico, ricco di citazioni erudite e di riferimenti esoterici, "page I testimonia quanto la ricerca di questo equiStampato delle fosse alla antiParigl librio in legata conoscenza che tradizioni sapienziali ed iniziatiche.

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GIORDANO BRUNO E LA TRADIZIONE EGIZIA

Il personaggio chiave della seconda metà del XVI secolo è senz’altro Giordano Bruno, su cui ci siamo già soffermati, ma di cui vogliamo qui evidenziare il rapporto con la tradizione sapienziale egizia.

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Un pensatore come Giordano Bruno, insofferente ai vincoli imposti dal dogmatismo religioso, se da un lato affermava energicamente la sua indipendenza, dall’altro faceva continuamente riferimento alla sapienza dei Greci e degli Egiziani, mostrando di ben conoscere “scienze occulte” come la Magia, l’Astrologia, l’Alchimia e la Cabala. Per quanto riguarda l’Egitto, troviamo in Bruno numerosi significativi riferimenti, come nello Spaccio della Bestia trionfante, in cui ricorda la magia egizia delle statue abitate da divinità, deplorando gli insensati che ai suoi tempi cercano di imitarla o che deridono gli antichi culti: «perché in fatto vedo, come que’ sapienti con questi mezzi erano potenti a farsi familiari, affabili e domestici gli dei che per voci, che mandavano da le statue, gli donavano consegli, dottrine, divinazioni ed instituzioni sopraumane; onde con magici e divini riti per la medesima scala di natura salevano a l’alto della divinità, per la quale la divinità descende sino alle cose minime per la comunicazione di se stessa. Ma quel che mi par da deplorare, è che veggio alcuni insensati e stolti idolatri, li quali, non più che l’ombra s’avicina alla nobilità del corpo, imitano l’eccellenza del culto de l’Egitto... Or, per tornare al proposito donde siamo dipartiti, disse Iside a Momo, che gli stupidi ed insensati idolatri non aveano raggione di ridersi del magico e divino culto degli Egizii; li quali in tutte le cose ed in tutti gli effetti, secondo le proprie raggioni di ciascuno, contemplavano la divinità»"°, Nella stessa opera, parlando del nuovo assetto che gli Dei, riuniti in consesso, vogliono dare all’Universo, Bruno auspica che Arpocrate, il Dio del Silenzio, prenda il posto della costellazione dei Pesci, sostituendo il Silenzio alla Ciarla, alla Garrulità e alla Loquacità: «Vedete come da per se medesimo il Silenzio, la Taciturnità, in forma con cui apparve ne l’Egitto e Grecia il simulacro di Pixide, con l’indice apposto alla bocca, va a prendere il suo loco». Bruno inserisce dunque il Silenzio al termine del ciclo zodiacale, dopo aver parlato, a proposito dell’Acquario e del Diluvio, della superiorità della tradizione egizia 679 Giordano Bruno, Spaccio della Bestia trionfante, Dialogo III, Parte Il, 30 e 37 in Dialoghi italiani, ed. Sansoni, Firenze 1985, vol. II, pp. 777 e 782; in seguito (Dialogo III, parte II, 40, ed. cit. pp. 748-786) Bruno riporta il lamento dell’Asclepio sul tramonto della religione egizia: «O Egitto, Egitto, delle religioni tue solamente rimarranno le favole, anco incredibili alle generazioni future, alle quali non sarà altro, che narri gli pii tuoi gesti, che le lettere sculpite nelle pietre». 680 Op. cit. Dialogo III, Parte II, 62 (ed. cit. p. 801). Il termine Pixide adoperato da Bruno potrebbe riferirsi a Pistis, divinità greca che personificava i concetti di Fede e Fedeltà.

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rispetto a quella ebraica, affermando che l’Egitto è stato la culla della civiltà per l’umanità scampata al grande cataclisma del Diluvio: «Ma non inferisca che la sufficienza della magia caldaica sia uscita e derive da la cabala giudaica; perché gli Ebrei son convitti per escremento de l’Egitto, e mai è chi abbia possuto fingere con qualche verisimilitudine, che gli Egizii abbiano preso qualche degno o indegno principio da quelli. Onde noi Greci conoscemo per parenti de le nostre favole, lettere e nobilitade, Egitmetafore e dottrine la gran monarchia de

le

to»68!,

Bruno si riferisce dunque inequivocabilmente all’Egitto come fonte di sapienza per i Greci e per gli altri popoli, sostenendo la netta superiorità della tradizione egizia rispetto a quella ebraica. Resta ora da chiedersi se tale visione si basava solo sull’adesione di Bruno alla cultura ermetica o derivava in modo più diretto da una forma trasmissione iniziatica: se è veramente esistita, a Napoli, una confraternita segreta a conoscenza degli antichi Misteri, Bruno ne avrebbe fatto certamente parte ed in tal caso risulta evidente che si è assunto, o gli è stato affidato, il compito di rendere manifesti i suoi insegnamenti, sia per quanto riguarda le concezioni cosmiche, filosofiche e religiose, sia per quanto riguarda l’uso della Magia, dell’Arte della Memoria e delle tecniche della meditazione. Il Fiume Segreto della sapienza tradizionale è infatti venuto potentemente alla luce con Bruno che, non a caso, riteniamo, volle mutare il suo nome da Filippo in Giordano facendo riferimento al significato simbolico del Fiume come espressione di civiltà, linguaggio e conoscenza‘. Rispetto alla sua iniziazione, lo stesso Bruno, negli Eroici Furori, accenna ad una sua esperienza mistica, presentandola come l’incontro con «quello ingegno e spirito che si mostrò a Nola, che giace sul piano de l’orizzonte Campano»; in seguito a tale incontro, Bruno afferma di aver volentieri accettato il giogo di Diana «splendor di specie intelle-

di

681 Op. cit. Dialogo III, Parte Il, 54, ed. cit. p. 799. Nello stesso passo, Bruno assimila le figure di Noè, Deucalione e Osiride, mettendole in relazione con Giove

«circa la controversia se lui è stato sin ora in cielo per un padre di Greci, o di Ebrei, o di Egizii o di altri». Nell’Epistola dedicatoria del suo De Immenso et Innumerabilibus (Francoforte 1591), Bruno ribadisce l’idea della origine egizia della sapienza e dell’autorità di Ermete Trismegisto. 682 Lo stesso Bruno, negli Eroici Furori (Argomento e Allegoria del V Dialogo della Parte Il in Dialoghi italiani, ed. cit. vol. II, p. 946), parla di «acqui di sapienza, fiumi d’acqua di vita eterna... fiume che apparve revelato procedente dalla sedia

divina, che ave altro flusso che ordinario naturale».

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gibili, cacciatrice di sé» che lo ha legato a sé’, In un passo precedente, rispetto alle frecce di Apollo e Diana, Bruno aveva specificato che Diana «è l’ordine di seconde intelligenze che riportano il splendor ricevuto dalla prima», ovvero da Apollo, il «nume più principale»®®#, evidenziando l’analogia fra Apollo e Diana e la coppia di Iside e Osiride, corrispondente ai due livelli iniziatici dei Misteri Egizi. Il luogo in cui Bruno afferma di aver avuta questa prima manifestazione della Luce iniziatica è la sua stessa città natale, Nola, e possiamo pensare che l’evento abbia avuto luogo presso le rovine di Castel Cicala, non lontano dalla sua casa paterna. Va notato che Castel Cicala rientra anche nella tradizione della magia virgiliana, dal momento che nella Cronaca di Partenope leggiamo che Virgilio aveva realizzato un talismano contro le mosche e le malattie che esse recavano ai cittadini: si trattava di una Mosca d’oro, grande come una rana, fatta «per arte di nigomanzia» e fatta forgiare «sotto certi pianeti di stelle»; posta in una finestra di Castel Capuano, la Mosca fu poi portata a Castel Cicala,

dove però perse il suo potere‘, Possiamo quindi formulare due ipotesi: la prima è che l’esperienza di Bruno sia stata strettamente personale, una visione avuta in un particolare stato di estasi; la seconda, più intrigante, è che nella campagna nolana si riunisse una confraternita collegata alla tradizione magica virgiliana, che forse praticava un culto di ispirazione egizia sotto il segno di Iside-Diana, come a Benevento, e che Bruno vi sia stato accolto come adepto. Si tratta, naturalmente, di um’ipotesi che non siamo in grado di verificare, mentre con maggiore sicurezza si possono individuare le persone che hanno esercitato una significativa influenza nella formazione del Nolano: in primo luogo, Luigi Tansillo‘%°, il poeta ripetutamente citato negli Eroici Furori, al quale Bruno si riferisce come 683 Giordano Bruno, Eroici Furori, Parte IL, Dialogo IL, p. 1113. Bruno ricorda la sua prima giovinezza vissuta nei pressi di Castel Cicala nella sua opera De Immenso et Innumerabilibus (1591), Libro III, Capitolo 1; nel De Magia (in Opera latine conscripta, vol. III, Firenze 1891, p. 431) Bruno racconta anche che lui stesso, di notte, aveva incontrato degli spiriti che lo avevano fatto oggetto di un lancio di pietre, e che ciò era avvenuto sotto una rupe del monte Cicala, presso la cappella di Santa Maria, in un luogo solitario noto anche in tempi più recenti come la Cappella degli Spiriti. 684

Giordano Bruno, Eroici Furori, Parte Il, Dialogo I, IX, ed. cit. p. 1099.

685

Cronaca di Partenope, Cap. 18, ed. cit. pp. 71 s. Nato a Venosa da padre nolano, considerò sempre Nola la sua patria d’elezione soggiornò a più riprese, per cui è verosimile che Bruno lo abbia conosciuto già

686

e vi da giovanissimo.

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ad un suo ispiratore e maestro; quindi l’aristotelico Giovan Vincenzo de Colle, detto il Sarnese, che insegnava Lettere, Logica e Dialettica nell’Università di Napoli, ma soprattutto Teofilo da Vairano, un frate Agostiniano presso il quale Bruno studiò privatamente la Logica e verso il quale nutrì sempre il massimo rispetto, definendolo il suo «principale maestro» di Filosofia, colui che forse lo introdusse al Neoplatonismo‘®’. Inoltre il pensiero di Bruno fu certamente influenzato anche dalla Filosofia della Natura di Telesio. Notiamo infine che l’interesse di Bruno per l’Arte della Memoria fu destato, quando era ancora fanciullo, dalla lettura di un testo di Pietro da Ravenna‘ alla quale fece seguito lo studio delle opere di Raimondo Lullo; la sua interpretazione e le mnemotecniche esposte nelle sue opere si arricchiscono di una componente decisamente magica basata sull’idea che attraverso l’esercizio della memoria si possa agire sulla propria anima e, in un certo senso, ristrutturarla: un concetto, questo, che sembra riproporre la tecnica elaborata dagli antichi Egizi per quanto riguarda la memorizzazione della struttura del Regno dei Morti con i suoi diversi ambienti, i personaggi che vi si trovano, le prove da superare e le formule da pronunciare nel corso del viaggio ultraterreno.

I SEGRETI DI GIAN BATTISTA DELLA PORTA Più anziano di qualche anno rispetto a Bruno, Gian Battista Della

Porta è stato l’altro grande esponente della cultura esoterica napoleta-

na: nato in una famiglia ricca e prestigiosa, studiò privatamente e fra i suoi precettori vengono ricordati l’alchimista Domenico Pizzimenti,

687 Cfr. V. Spampanato, Vita di Giordano Bruno, Messina, 1921, Vol. IL, p. 651. L’ammirazione per Teofilo da Vairano, trova riscontro anche nel fatto che Bruno ne fece uno dei protagonisti dei suoi Dialoghi cosmologici (La cena delle Ceneri, De la causa principio e uno, De l'infinito universo e mondi) pubblicati a Londra fra il 1584 e il 1585. Di Teofilo da Vairano si sa che studiò nel convento napoletano degli Agostiniani e vi tenne poi lezioni fino al 1566, quando fu trasferito all’Università Agostiniana di Firenze e poi alla Sapienza di Roma. 688 Cfr. Giordano Bruno, Explicatio triginta sigillorum, in Opera latine conscripta, vol. IL, parte II, Firenze 1890, p. 130 (vedi anche Giordano Bruno, Opere mnemotecniche, ed. Adelphi, Milano 2009, tomo IL, p. 115). Il testo in questione è lo scritto di Pietro Tomai da Ravenna, Phoenix, sive artificiosa memoria, pubblicato a Venezia nel 1491 e divenuto un classico dell’Arte della Memoria.

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traduttore di testi alchemici“°, il medico Donato Antonio Altomare, sostenitore delle pratiche mediche di origine araba, e Giovanni Antonio Pisano, anch’egli medico. Influenzato probabilmente dai suoi precettori, fin da giovanissimo Della Porta si interessò all’Alchimia, alla Magia e alle scienze della natura, pubblicando a soli ventitré anni il suo testo sulla Magia Naturale”. Pochi anni dopo, verso il 1560, Della Porta fondò la sua Accademia dei Segreti (Academia Secretorum Naturae), che può essere considerata la prima Accademia scientifica d’Europa, alla quale non era ammessa persona «che celebre non si fosse resa per le esperienze già fatte e che non vi portasse qualche secreto maraviglioso, e sopra l’intendimento comunale del volgo»®!. Il riferimento a «qualche secreto meraviglioso» lascia intendere che gli Accademici Segreti non si dovevano necessariamente limitare ad applicare un metodo d’indagine “scientifico”, ma fossero aperti anche agli aspetti più meravigliosi e singolari della sperimentazione in rapporto a “scienze occulte” come

l’Alchimia e la Magia (Tavola 11a). Le riunioni dell’Accademia avevano luogo nella villa di Della Porta, che si trovava all’esterno delle mura cittadine, nei pressi dell’attuale Salita Due Porte all’Arenella; la villa è ormai scomparsa e nell’area in cui sorgeva è stato costruito un moderno palazzo che però ci riserva una sorpresa: dai suoi scantinati si può infatti accedere ad una misteriosa struttura sotterranea scavata nel tufo e composta da più ambienti che presentano un’antica decorazione con nicchie e colonne ricavate dal blocco tufaceo e tracce di affreschi”. Al termine di un cunicolo lungo una decina di metri, al di sopra di un arco, si vede un dipinto di ispirazione egizia in cui è raffigurata Iside seduta che allatta Horus e

689 Fra le opere di Domenico Pizzimenti, ricordiamo la raccolta di testi alchemici greci pubblicata col titolo Democritus Abderita. De arte magna, siue De rebus naturalibus, Nec non Synesii, & Pelagii, & Stephani Alexandrini, & Michaelis Pselli in eundem commentaria, Padova 1573. 690 Magia Naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri IV, Napoli 1558; in seguito Della Porta ha ripubblicato il testo in una versione ampliata (Magiae Naturalis libri viginti, Napoli 1589; altra ed. Francoforte 1591). 691 Cfr. Lorenzo Crasso, Elogi d’uominiletterati, Venezia 1656, cit. in M. Maylender, Storia delle Accademie d’Italia, Bologna 1926-1930, vol. V, p. 150. 692 Si veda la relazione redatta dall’Ing. Clemente Esposito, Presidente del Centro Speleologico Meridionale, in data 04/10/2004 in merito al sopraluogo effettuato nel sottosuolo dell’immobile sito in via Cattaneo n. 78 (cavità C0704), pubblicata online (www.napoliunderground.org).

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che regge un lungo bastone terminate con un disco solare, mentre di fronte alla Dea, un altro personaggio, sempre abbigliato all’egiziana, reca un’offerta. Anche se risulta difficile datare con certezza questa immagine, la sua presenza consente di ritenere che la struttura sotterranea fosse destinata ad un culto di carattere iniziatico collegato alla tradizione egizia. Que- Diiftillatioper VIII. per sta ipotesi sembra trovare conferma in un ambiente successivo, in cui un’intera parete è formata da una specie di grande faccia, la cui bocca aperta serve da porta per un ulteriore locale: appare evidente l’allusione alla bocca dell’Orco, all’ingresso negli Inferi, momento cruciale di un rito iniziatico di morte e rinascita. Risulta pertanto attendibile la suggestiva ipotesi che questi ambienti sotterranei ospitassero le riunioni segrete di una confraternita guidata, forse, dallo stesso Della Porta e composta dai membri dell’Accademia defeenfam

ignem.

Cap.

dei Segreti.

Quali che fossero le attività svolte dall’Accademia dei Segreti, essa suscitò comunque i sospetti delle autorità e dell’Inquisizione e fu pertanto soppressa nel 1579 nel quadro della politica conservatrice di Papa Gregorio XIII, lo stesso Della Porta, in seguito alla Bolla Coeli et terrae emanata da Papa Sisto V nel 1586, in cui si condannavano le pratiche magiche e astrologiche, dovette difendersi dall’accusa di stregoneria, che venne però riconosciuta infondata; ebbe così la possibilità di proseguire i suoi studi ed i suoi esperimenti, dedicandosi, fra l’altro, alla pratica alchemica‘, mentre intorno a lui continuava a gravitare un circolo di intellettuali e ricercatori, fra i quali emergono le figure di Ferrante Imperato e Colantonio Stigliola. Ferrante Imperato‘°, affermato speziale e farmacista, creatore di Naturalistico (Tavola 11c), probabilmente il primo del geMuseo un 693 Le ricerche alchemiche di Gian Battista Della Porta sono esposte nei suoi testi De Distillatione Libri IX, Roma 1608, e De Aeris transmutationibus Libri IV (Roma 1614), nonché nel Libro V (De metallorum trasmutazione) e nel X (De extrabhendis rerum essentiis) del Magiae Naturalis Libri XX (ed. 1589). 694 Ferrante Imperato (ca. 1525-1615?) inizia la sua attività di farmacista e speziale intorno al 1554 e si dedica alla raccolta di un grande numero di oggetti appartenenti ai tre regni, animale, vegetale e minerale (animali imbalsamati o vivi, piante, semi ed erbe disseccate, oli, profumi, fossili, cristalli, gemme, ecc.) e di manufatti collegati alla ricerca naturalistica, creando, nella sua casa, il suo famoso Museo naturalistico,

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nere, è stato un convinto assertore del metodo sperimentale e della libertà di ricercare; attento osservatore delle proprietà di piante, erbe, minerali, metalli e animali, in funzione della farmacopea, sosteneva l’esistenza di un rapporto tra il clima e la salute dell’uomo e aderiva alle concezioni della Iatrochimica, secondo la quale i fenomeni vitali sono espressione di reazioni chimiche (fermentazione, distillazione, volatilizzazione) e vanno studiate al fine di produrre il “rimedio universale”, un obiettivo non diverso rispetto alle ricerche alchemiche volte ad ottenere l’Elisir o “Medicina Universale”. Nel 1599 Ferrante Imperato pubblicò la sua Historia Naturale, che fu stampata nel 1599 nella tipografia di Colantonio Stigliola e nella cui stesura si avvalse della collaborazione è

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dei suoi amici e sodali, fra cui cita Bartolo-

meo Maranta, Fabio Colonna e soprattutto Colantonio Stigliola, «professore di scienze recondite con cui ho comunicato la maggior . . parte delle mie cose date in luce nella presente opera»; e va detto che il Libro XXI è interamente dedicato ad una sistematica esposizione dei principi e delle operazioni dell’Alchimia tradizionale, che Imperato mostra di conoscere perfettamente sia sul piano simbologico che su quello operativo‘,

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che possiamo vedere raffigurato in alcune tavole inserite nella sua opera Dell’Historia naturale Libri XXVIII (Napoli 1599). Profondamente stimato per le sue vaste conoscenze teoriche e pratiche, Imperato collabora strettamente con Bartolomeo Maranta e Colantonio Stigliola e la sua bottega e il Museo sono frequentati anche da numerosi altri ricercatori, come il Della Porta, Giuseppe Donzelli, medico e studioso di botanica e farmacologia, il medico anatomista Marcaurelio Severino, Fabio Colonna, studioso di botanica, e Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei e interessato all’Alchimia. 695 Dell’Historia naturale (1599), Ferrante Imperato agli lettori: vengono citati anche il nobile Giovan Vincenzo Pinello, mecenate di letterati e uomo di molta dottrina, che lo ha aiutato a procurarsi «molte cose forastiere», Pietro Andrea Mattioli, famoso medico e letterato «con cui ho comunicato molte delle mie cose», il dotto botanico

tedesco Melchiorre Guilaldino, il botanico padovano Giacomo Antonio Cortuso, naturalista bolognese Ulisse Aldovrandi e altri.

il

696 Il testo del Libro XXI dell’Historia Naturale è stato pubblicato da M. Marra in Il Pulcinella Filosofo Chimico, cit. pp. 91 ss.

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Colantonio Stigliola‘” risulta una figura ancor più interessante: nato a Cicala, presso Nola, non lontano dalla casa paterna di Giordano Bruno e di due soli anni più anziano, ebbe sicuramente modo di conoscerlo e frequentarlo, per poi aderire, come lui, all’eliocentrismo copernicano e alle concezioni ermetiche; allievo del botanico Bartolomeo Maranta e amico del sapiente speziale Ferrante Imperato, si dedicò alle ricerche chimiche e farmacologiche ed agli studi naturalistici, ma si impegnò anche come matematico, cartografo, architetto e ingegnere militare. Per l’ampio ventaglio dei suoi interessi, Stigliola appare come un tipico esponente del pensiero rinascimentale basato su una visione armonica ed unitaria di tutti gli aspetti del sapere; inoltre, con la sua esplicita ed appassionata adesione alla tradizione pitagorica, esprime perfettamente il connubio, tipicamente rinascimentale, della ricerca scientifica e della pratica sperimentale con il riferimento alle antiche tradizioni misteriche e sapienziali: non a caso, dunque, Stigliola, che era detto «il Pitagora della sua Età», intitolò Encyclopedia Pythagorea suo progetto di una sintesi enciclopedica di tutte le branche del sapere, che spaziava dalla matematica alla chimica e alla cosmografia, dall’ottica e dalle scienze naturali all’ingegneria militare e ad una analisi del linguaggio, concludendosi con una disquisizione sull’anima e con l’affermazione del «consenso delle scienze tutte nella unità della Encyclopedia». Meritano di essere citati, per i loro interessi alchemici, anche altri personaggi che sono stati in rapporto con Della Porta e che potrebbero aver fatto parte del suo circolo segreto. In primo luogo, lo speziale e alchimista domenicano Fra Donato D’Eremita di Rocca d’Evandro,

il

697 Nicola Antonio Stigliola (1546-1623), nato a Cicala, presso Nola, studia Medicina a Salerno fino al 1571 e segue le lezioni di Bartolomeo Maranta; nel 1577 pubblica a Napoli un suo testo (Theriacae et Mithridatia Nicolai Stelliola Libellus) in cui polemizza con la scuola medica padovana in difesa delle teorie di Maranta. È stato medico, filosofo, chimico, naturalista, matematico, cosmografo, cartografo e tipografo: ha infatti allestito nel 1593 una stamperia, ceduta poi nel 1606 al suo collaboratore Costantino Vitale e in cui sono state pubblicate, fra l’altro, opere del Tasso, del Capaccio e dell’Ammirato; nel 1595 Stigliola ha subìto un processo per eresia restando imprigionato per due anni. Su Colantonio Stigliola si vedano P. Manzi, Un grande nolano obliato in Archivio Storico per le Provincie Napoletane, Società Napoletana di Storia Patria, anno 1973, pp. 286 ss.; S. Ricci, Nicola Antonio Stigliola. Enciclopedista e linceo, Roma 1996. 698 Encyclopedia Pythagorea. Mostrata da Nicolò Antonio Stelliola Linceo, Napoli 1616. L’opuscolo contiene un dettagliato elenco degli argomenti che intendeva sviluppare nei dodici Trattati da cui avrebbe dovuto essere composta l’opera.

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autore di un testo intitolato Dell’Elixir Vitae” corredato di una serie di belle incisioni che mostrano gli strumenti del laboratorio alchemico- spagirico (Tavola 11b). Fra Donato, amico dei Lincei napoletani, era anche membro dell’Accademia degli Incauti7°, alla quale appartenne anche Filippo Finella”!, autore di un’opera di medicina collegata all’ Astrologia, il Trattato delle virtù occulte delle vipere per le 28 mansioni delli segni del Zodiaco e di un Soliloquium Salium empyricum, opera di carattere alchemico e di ispirazione paracelsiana sull’uso terapeutico dei Sali di origine minerale, vegetale e animale. Agli studi del Maranta e dello Stigliola sugli antidoti si collega il poeta Tommaso Stigliani”?, pubblicando nel 1645 l’E699 Dell’Elixir Vitae di Fra Donato D’Eremita di Rocca d’Evandro dell’Ord. de’ Pred. Libri Quattro, Napoli 1624. Fra Donato D’Eremita, frate domenicano nato a Rocca d’Evandro in Campania, nel primo decennio del XVII secolo si trova a Firenze dove è impiegato come speziale presso la corte medicea; nel 1611 rientra a Napoli dove opera come speziale della farmacia del convento di Santa Caterina a Formiello (dove era stato creato un orto di piante medicinali), producendo medicine spagiriche; nel 1630, in seguito ad un dissidio col priore del convento, viene da questi imprigionato sia tolto la vita. Apprezzato per le sue conoscenze di botanica e come e sembra che alchimista, Fra Donato ebbe rapporti con numerosi uomini di scienza e fu amico dei Lincei napoletani Della Porta, Stigliola e il naturalista e botanico Fabio Colonna. Oltre a Dell’Elixir Vitae, ha pubblicato anche un Antidotario pubblicato a Napoli nel 1639. Cfr. M. Marra, Donato d’Eremita da Roccadevandro - Tavole dal Dell’Elixir Vitae (1624), Pagina on-Line dal 07/04/2012 (www.massimomarra.net). 700 L’Accademia degli Incauti, fondata a Napoli nel 1621 (o nel 1617), si riuniva nel convento del Carmine Maggiore, ed ha avuto come Principe fino al 1630 il letterato Orazio Comite, autore di drammi teatrali (cfr. Maylender, op. cit. vol. III, p. 196). 701 Filippo Finella (1584-1650), letterato napoletano i cui interessi spaziavano dall’Alchimia, all’Astrologia, alla Medicina astrologica, alla Chiromanzia ed alla Fisiognomica; fra le sue opere ricordiamo, oltre al Trattato delle virtà occulte delle vipere per le 28 mansioni delli segni del Zodiaco (Napoli 1634) e al Soliloquium Salium empyricum (Napoli 1649), delle canzoni composte per drammi teatrali in musica (La vendetta di Giove contro i giganti e Grazie concesse da Giove ai cupi abissi e Intermedii, pubblicate a Napoli nel 1625) e diversi trattati di fisiognomica, il primo dei quali è intitolato Phisonomia naturale (Napoli 1625-1627). 702 Elegia di Andromaco il Vecchio sopra la Tiriaca. Tradotta dal Latino in Toscano dal Cavaliere F. Tommaso Stigliani, Napoli 1645. Tommaso Stigliani (1573-1651), poeta nato a Matera e trasferitosi fin da giovane a Napoli, è stato il principale esponente

si

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legia di Andromaco, traduzione di un testo anonimo di grande successo che trattava della preparazione spagirica delle cosiddetta Teriaca di Andromaco contro il morso delle vipere. Ricordiamo ancora il medico calabrese Andrea Fodio Gambara, amidi Stigliola e di Campanella, autore di un testo intitolato Camaleonte co Antipodagrico", in cui il problema della cura della podagra viene affrontato in chiave alchemica, parlando delle Quintessenze e della trasmutazione dei metalli; è interessante notare che, nella presentazione dell’opera, rivolta ai Lincei di Roma, il Fodio inizia con un riferimento all’impegno al Segreto degli iniziati egiziani, accennando però ad iside e Serapide invece che ad Arpocrate: «Iside e Serapi che appo gli Egittij eran segnati con la bocca serrata, per dinotare che non si dovesse andar filosofando sulla loro genealogia perché, essendo stati huomini e mortali, si sarebbe appo le genti scemato il concetto d’essere annoverati fra gli Iddii». Diversa, invece, la posizione di Giovanni Camillo Maffei di Solofra7*, medico e studioso della musica, autore della Scala Naturale, un trattato in cui, collegandosi alle concezioni aristoteliche, delinea una struttura del Cosmo articolata in 14 Gradi o Sfere, e in cui dedica un paragrafo all’Alchimia, esprimendosi però in termini critici e sostenendo la superiorità delle operazioni della Natura rispetto a quelle degli alchimisti: siamo ormai negli anni in cui, malgrado sia ancora vivo il riferimento al Della Porta, si delinea una sempre più profonda separazione fra le scienze naturali intese in senso sperimentale e le tradizionali pratiche alchemiche e spagiriche.

dell’Antimarinismo, ed è autore di un Canzoniere (Roma 1623) messo all’indice per alcuni suoi indovinelli licenziosi, di un poema intitolato Mondo nuovo (1617) e di un libretto intitolato L’Occhiale (1627) in cui critica la poesia del Marino. 703 Camaleonte Antipodagrico. Discorso Enciclopedico di Antonio Fodio Gambara alla Sacra Maestà di Filippo IV il Grande, Napoli 1651. G.C. Maffei, Scala naturale, overo Fantasia dolcissima, intorno alle cose occulte, e desiderate nella filosofia, Venezia 1563. Giovanni Camillo Maffei (vissuto fra il secondo e l’ottavo decennio del XVI secolo) è anche autore dei Discorsi Filosofici, libri due, dove tra gli altri bellissimi pensieri di filosofia, e di medicina, v'è un discorso della voce e del modo d'apparare di cantar di garganta, senza maestro, non più veduto, né istampato, Napoli 1562, opera composta da due serie di lettere scambiate con diversi corrispondenti fra cui Bartolomeo Maranta, Giovan Battista Della Porta e Scipione Ammirato. 704

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L’ACCADEMIA DEGLI OZIOSI Negli ultimi decenni del XVI secolo, la politica culturale del Viceregno era stata sfavorevole alle Accademie, ma Don Pedro de Castro, Conte di Lemos, nominato viceré nel 1608, le impresse una svolta decisiva, assumendo un atteggiamento di maggiore apertura nei confronti degli intellettuali e delle Accademie. Nel 1611 un nobile napoletano, Giovan Battista Manso di Scala”, fondò l’Accademia degli Oziosi, alla quale si iscrisse lo stesso Viceré insieme ai poeti spagnoli della sua corte e alla cui fondazione parteciparono numerosi fra i più prestigiosi intellettuali napoletani, oltre a numerosi aristocratici e ad alcuni religiosi”. Fra i soci fondatori dell’Accademia degli

Oziosi compare il nome di Gian Battista Della Porta, il che induce a pensare che il famoso indagatore dei Segreti della Natura abbia visto in questa nuova Accademia un ambiente adatto a proficui confronti, e ciò sembra trovare conferma nella presenza di altri ricercatori, già col-

di

Scala (1569-1645), discendente da una nobile famiglia 705 Giovan Battista Manso amalfitana ed erede del castello di Bisaccia, divenne, grazie a delle accorte operazioni economiche, uno degli uomini più ricchi del Regno e nel 1621 fu nominato Marchese di Villalago. Scrittore, poeta e mecenate, fu amico e protettore di Torquato Tasso (15441595), il grande innovatore, con la sua Gerusalemme liberata, del poema cavalleresco; egli stesso scrisse una Vita di Torquato Tasso (Napoli 1619) e diverse composizioni poetiche. Prima della fondazione dell’Accademia degli Oziosi, Manso aveva partecipato, nel 1588, alla fondazione dell’Accademia degli Svegliati e, nel 1601, a quella del Pio Scala con Monte della Misericordia, mentre nel 1608 aveva fondato il Monte Manso il Collegio dei Nobili.

di

706 Fra i primi soci dell’Accademia degli Oziosi troviamo Gian Battista Della Porta, Giulio Cesare Capaccio, Colantonio Stigliola, Francesco de Petri, autore di un testo sui Problemi Accademici, Scipione Teodoro (l’Incognito), Regio Consigliere e poeta, numerosi aristocratici come il principe Ettore Pignatelli (l’Occulto), i principi Giovanni Tommaso e Luigi di Capua, Luigi Carafa principe di Stigliano, Filippo Caetani, duca di Sermoneta, Giulio di Sangro, duca di Celenza, nonché alcuni religiosi (il cardinale Caetani e il domenicano Tommaso Carafa); a questi primi soci se ne aggiunsero presto altri fino a raggiungere il numero di centocinquanta Oziosi, fra i quali vanno ricordati Ascanio Filomarino, divenuto poi arcivescovo di Napoli, lo scrittore Giovan Battista Basile (il Pigro), il benedettino Angelo Grillo, il poeta Giovan Battista Marino, lo speziale Ferrante Imperato e Tommaso Campanella; successivamente si iscrissero all’Accademia numerosi altri personaggi, fra i quali ricordiamo Ferrante della Marra, duca della Guardia, il medico e anatomista Marco Aurelio Severino, lo storico Filiberto Campanile.

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legati al della Porta e parimenti interessati alla pratica sperimentale, come Ferrante Imperato e Colantonio Stigliola. Naturalmente gli interessi degli Oziosi erano molto vari, come si può notare consultando il testo dell’Ozioso Francesco de Petri in cui sono raccolti numerosi “Problemi” sui più diversi argomenti, esposti in forma anonima dagli Accademici’7, Fra gli Ozzosi ricordiamo l’erudito Giulio Cesare Capaccio”, interessato alle antichità napoletane e noto soprattutto come autore di un testo intitolato Il Forastiero, una specie di guida storica della città di Napoli, in cui si sofferma a lungo su Ebone, il Dio napoletano raffigurato come un Bue dal volto barbuto, assimilandolo al Toro Api e precisando che «per tutte le nationi giudiziose, e particolarmente gli Egittij, più che a Giove istesso, al Sole dedicarono la maggior divotione»’. Ancor più evidente è il riferimento alla tradizione egizia nel suo testo sulle I»prese, opera riccamente illustrata in cui Capaccio ribadisce l’idea che l’Egitto fu il primo a trattare dei simboli: «Ma generalmente i Sacerdoti dell’Egitto di alcuni animali per esprimer concetti divini si servivano» e mette le immagini geroglifiche in rapporto con la “filosofia cabalistica”, citando anche John Dee, la sua Monade Geroglifica e il suo uso della Y pitagorica per mostrare «la rarità di un Principe», concludendo che i geroglifici egizi sono come una «base ove si fondano le Imprese», Significativa è poi la presenza di Giambattista Basile’!!, autore del famoso Lo Cunto de li Cunti, la raccolta di cinquanta fiabe popolari scritte in lingua napoletana che ben si prestano ad un’interpreta1 Problemi Accademici del Signor Francesco De Petri, 707 l’Impedito Accademico Ozioso, Napoli 1642.

708 Giulio Cesare Capaccio (1550-1635), storico, teologo e poeta, ha studiato Filosofia nel convento domenicano di San Bartolomeo a Campagna, dove

potrebbe aver conosciuto Giordano Bruno che vi soggiornò per qualche tempo. Fra le sue opere ricordiamo Delle Imprese. Trattato di Giulio Cesare Capaccio, Napoli 1592, una raccolta poetica ispirata alle Egloghe del Sannazaro (Mergellina. Egloghe piscatorie, Venezia 1598) e Il Forastiero (Napoli 1634). 709 G.C. Capaccio, Il Forastiero, ed. cit., p. 65.

710 G.C. Capaccio, Delle Imprese, Libro I, Cap. III, pp. 5-6. 711 Giambattista Basile (1566-1632), nato a Giugliano, presso Napoli, in gioventù si arruola come soldato mercenario al servizio della Repubblica di Venezia ed entra a far parte, a Candia, dell’Accademia degli Stravaganti; amico del poeta Giulio Cesare Cortese, tornato a Napoli, inizia la sua attività letteraria e si iscrive all’Accademia degli Oziosi; la sua opera più famosa, Lo Cunto de li Cunti, nota anche come Pentamerone, è stata pubblicata postuma a Napoli nel 1534-1536.

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zione simbolica ed esoterica, e quella di Giovan Battista Marino”’?, il maggiore esponente della poesia barocca, considerato come una sorta di figura-simbolo della libertà di espressione, le cui opere, malgrado il loro grande successo, furono condannate dalla Chiesa per le “lascivie” che contenevano e per alcuni aspetti ritenuti blasfemi.

All’Accademia degli Oziosi è stato iscritto anche Marco Aurelio Severino’, prestigioso medico, studioso e docente di chirurgia e anatomia, ma anche poeta e filosofo, sostenitore dell’Atomismo di Democrito e autore di scritti contro Aristotele, sulla divinazione e sulle Topiche di Giulio Camillo; fu impiegato come chirurgo all’Ospedale degli Incurabili e venne processato più volte dall’Inquisizione per “irreligiosità” e per le sue audaci tecniche operatorie; fu imprigionato e privato delle sue cariche, ma, dopo essere stato riabilitato, continuò ad esercitare la sua professione e morì

712 Giovan Battista Marino (1569-1625), nato a Napoli, frequenta fin da piccolo, insieme al padre, il cenacolo di Della Porta; in seguito, protetto e sostenuto da illustri personaggi come Matteo di Capua, principe di Conca, e Giovan Battista Manso, entra a far parte, insieme al Cortese, al Manso, al Tasso e al Capaccio, dell’Accademia degli Svegliati, fondata nel 1588 ma chiusa l’anno successivo in quanto sospetta di coltivare idee eterodosse; fuggito da Napoli a Roma nel 1600, entra a far parte dell’Accademia degli Umoristi, per poi recarsi a Venezia, Ravenna, Bologna e Torino, dove è incarcerato nel 1611 per alcuni scritti irriverenti a lui attribuiti e l’Inquisizione gli intenta un processo; liberato nel 1612, si reca in Inghilterra e poi a Parigi, dove si dedica a completare l’Adone (pubblicato a Parigi nel 1623), la sua maggiore composizione poetica, il cui progetto risale agli anni napoletani, e che ottiene uno straordinario successo malgrado la condanna voluta da Papa Urbano VIII (1626); ritornato in Italia nel 1623, Marino si reca a Napoli dove è trionfalmente accolto dal Manso e dove muore nel 1625. 713 Marco Aurelio Severino (1580-1656), medico chirurgo e anatomista di origine calabrese, seguace di Telesio e, come lui, decisamente antiaristotelico, ha studiato medicina a Salerno e dal 1606 a Napoli, dove è entrato a far parte dell’Accademia degli Oziosi ed è stato maestro di Tommaso Cornelio. Fra le sue opere scientifiche, va ricordato il trattato Zootomia democritea (Norimberga 1645), il primo testo di anatomia comparata, e l’Antiperipatias, hoc est adversus aristotelicos de respirazione piscium diatriba (Napoli 1659), opera in cui contesta le teorie degli aristotelici sul metabolismo degli animali.

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durante l’epidemia del 1656, per aver contratto la peste nel tentativo di comprendere la natura del morbo. Oltre agli studi di natura medica e scientifica, Severino coltivò anche altri interessi, scrivendo due testi sugli Scacchi: La Filosofia degli Scacchi inizia con la considerazione che Natura ed Arte sono entrambe ristoratrici dei nostri disagi, la prima con il riposo e il sonno, la seconda con il gioco, trovato contro «il tedio delle fatiche»’!; più avanti, riportando le opinioni di vari studiosi sulle origini degli scacchi, dice: «conciosiacosa che fondato esso Gioco appaia nell’Aritmetica, e nella Geometria, delle quali discipline la Natione Egittiana, si come vuole il P_Anastagio Chircheri (Athanasius Kircher) nell’Edipo d'Egitto, fu molto amica»’”; nel secondo capitolo, Severino espone perché il gioco degli scacchi appare derivato dalla Rithmomachia Pithagorica, un gioco medievale che si giocava parimenti su una scacchiera di 64 caselle bianche e nere (raddoppiata) e che vedeva due schieramenti contrapposti’'’, Nell’altro testo dedicato agli Scacchi, Dell’antica Pettia, Severino ricorda che Platone, nel Fedro, dice che Theat, sapiente d’Egitto, inventò il gioco dei Dadi e della Pettia, riferendosi però probabilmente più ad uno strumento di calcolo «un latercolo (una specie di Quadrato Magico) dove il corso del sole e della luna si calcolava» che all’antico gioco greco precursore della Dama'!’, Due operette dotte e ricche di citazioni che tuttavia, al di là dello sfoggio di erudizione e del gusto per il sottile ragionamento, richiamano l’attenzione sull’origine egiziana della scacchiera, intesa, oltre che come tavola da gioco, anche e soprattutto come strumento di calcolo in rapporto anche ai moti celesti, il che non può non rammentarci le tante griglie e scacchiere incise o dipinte del simbolismo esoterico.

M.A. Severino, La filosofia overo il perché degli scacchi, Napoli 1690, p. 1; a questo testo ha fatto seguito un secondo trattatello intitolato Dell’antica Pettia, overo il perché Palamede non è stato l’inventor degli scacchi, anch’esso pubblicato postumo nel 1690 ed entrambi a cura del dotto editore Antonio Bulifon. 714

M.A. Severino, op. cit. p. 8. Rithmomacbhia è un gioco elaborato in Germania nell’XI secolo al fine di ageLa 716 volare l’apprendimento degli insegnamenti matematici pitagorici esposti da Boezio 715

nel De institutione aritmetica. 717

M.A. Severino, Dell’antica Pettia, cit. pp. 14-18 e 81.

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I nomi

di altri due Ozzosi hanno richiamato, per un diverso motivo,

nostra attenzione: il primo è quello di Angelo Grillo, dotto abate benedettino, più volte eletto Presidente della Congregazione Cassinese, raffinato poeta, autore di numerosi componimenti a sfondo morale e mistico, amico di Torquato Tasso e di Giovan Battista Marino, lodato da Traiano Boccalini nei suoi Ragguagli del Parnaso e membro di ben sette Accademie, fra cui quella degli Oziosi. Genovese di nascita, Angelo Grillo era fratello di Paolo Grillo, signore di Montescaglioso dal 1612, ed è verosimile che nel secondo ventennio del secolo, quando si trovava a Napoli, nel convento dei SS. Severino e Sossio, abbia avuto frequenti contatti con il fratello e con l’abbazia benedettina di San Michele a Montescaglioso, dove, fra gli affreschi che ornano la Biblioteca, abbiamo trovato una interessante immagine di Arpocrate (Tav. 15b)7'!5, Sempre ad Arpocrate si collega anche il nome del secondo Ozioso, Ferrante della Marra’!’, duca della Guardia, dal momento che è proprio nella strada che porta il suo nome, nel quartiere napoletano di Materdei, che abbiamo rinvenuta una lastra scolpita che raffigura il Dio del Silenzio e che reca l’iscrizione MEGAS OROS APOLLON ARPOCRATES (Tav. 16): riteniamo che l’antica villa extraurbana sul cui portale era posto il rilievo, possa essere appartenuta proprio a Ferrante della Marra e il fatto che la villa sorgesse non lontano da quella di Della Porta non può non suggerire la suggestiva idea di un collegamento dovuto alla comune appartenenza ad un circolo iniziatico di ispirazione egizia. L'Accademia degli Oziosi, in cui avevano operato tanti brillanti ingegni e che aveva curato la pubblicazione delle opere di alcuni dei suoi membri più insigni, come Tommaso Campanella, si estinse agli inizi del XVIII secolo, ma lo spirito che l’aveva animata, con le sue la

718 Sull’opera del Grillo, vedi Enciclopedia Treccani, Dizionario biografico degli Italtani, vol. 59 (2003). Fra i suoi numerosi componimenti poetici, ricordiamo le Rime, divise in Morali e Spirituali e ì Pietosi affetti (1595 e 1629), una raccolta di circa duemila poesie scritte in forme metriche adatte ad essere musicate. 719 Ferrante della Marra (ca. 1572-1643), appartenente ad una nobile famiglia di origine normanna, duca di Guardia dei Lombardi dal 1611, è autore dei Discorsi delle famiglie estinte, forastiere, o non, comprese ne’ Seggi di Napoli imparentate colla Casa della Marra (Napoli 1641) un’opera di araldica, volta a ricostruire le genealogie di numerosi e illustri casati, alla quale fece seguito un testo sulla Raina di case napoletane del suo tempo (a cura di G. De Blasiis, in Archivio Storico per le Provincie Napoletane, XXV, 1900, pp. 355-386) in cui viene lamentata la decadenza e l’estinzione di molti grandi casati.

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sotterranee correnti di pensiero esoterico, potrebbe essere in qualche modo sopravvissuto, fino ai nostri giorni, nel Monte Manso di Scala, l’istituzione filantropica fondata da Giovan Battista Manso per provvedere con sussidi all’istruzione dei giovani di famiglie patrizie non abbienti; a tal fine venne istituito il Collegio (o Seminario) dei Nobili, la cui direzione fu nel 1629 affidata ai Gesuiti e che trovò la sua sede, dopo varie vicende, nel Palazzo d’Afflitto, attiguo alla Cappella Sansevero””°,

Malgrado sia evidente l’orientamento religioso dato all’istituzione volto e soprattutto ad avviare i giovani al “Servizio di Dio”, abbiamo notato alcuni elementi che potrebbero suggerire l’esistenza di un intento “occulto”, forse noto solo a pochi iniziati: in primo luogo, l’ubicazione del Collegio accanto alla Cappella Sansevero, con la Cappella del Monte costruita esattamente al di sopra della Cappella Sansevero, ma con orientamento opposto; in secondo luogo, la costruzione di una villa per il soggiorno estivo dei giovani convittori sita alle Due porte all’Arenella, in prossimità, quindi, della villa del Della Porta; in terzo luogo, la presenza, nella quadreria del Monte Manso, di un dipinto seicentesco in cui compare la figura di Arpocrate; infine la presenza di una “Scala” di quattro gradini nello stemma del Monte Manso che, oltre a riferirsi al comune di Scala della Costiera Amalfitana, potrebbe aver suggerito la definizione di “Scala di Napoli” al Rito Egizio praticato a Napoli verso la fine del Settecento. LA SVOLTA DEGLI

INVESTIGANTI

le

Quando attività dell’Accademia romana dei Lincei iniziarono a declinare in seguito alla prematura morte del suo fondatore e “Principe” Federico Cesi (1630) e alla condanna di Galileo (1633), il primato negli studi scientifici e naturalistici, fino allora detenuto dai Lincei romani, passò a Napoli e a Firenze dove furono fondate rispettivamente l’Accademia degli Investiganti e quella del Cimento, entrambe volte a promuovere la ricerca scientifica proseguendo l’opera iniziata

dai Lincei.

L'Accademia degli Investiganti, fondata a Napoli verso il 1650 da Tommaso Cornelio e Leonardo Di Capua, è stata una delle prime 720 Sul Monte Manso di Scala si veda V. Cerino, Il Real Monte Manso di Scala nella Storia della Città e della Nobiltà Napoletana, Rolando Editore, Napoli 2009.

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istituzioni scientifiche italiane, il cui orientamento, decisamente antiaristotelico, era volto a propugnare il moderno metodo sperimentale, aprendosi alle nuove concezioni sviluppate oltralpe da Cartesio e Gassendi. I lavori dell’Accademia si interruppero nel 1656, quando Napoli fu tragicamente colpita dalla peste e furono ripresi solo nel 1663 sotto la protezione di Andrea Concublet, marchese di Arena”?!, proseguendo fino al 1668, quando l’Accademia fu soppressa dal viceré Pedro Antonio de Aragòn, a seguito di una violenta disputa con l’Accademia dei Discordanti, che fu parimenti disciolta”?”. Fin dal 1664 l’Accademia degli Investiganti aveva inoltre intrattenuto intensi rapporti con la Royal Society e, sapendo quanto sia stato importante, nella costituzione della Società inglese l’influsso rosacrociano, possiamo giustamente ipotizzare l’esistenza di un collegamento, almeno ideale, degli Investiganti napoletani con tale corrente iniziatica””. Consideriamo ora le posizioni degli esponenti più rappresentativi dell’Accademia degli Investiganti rispetto alla tradizione rinascimentale ed allo spirito “moderno”: Tommaso Cornelio”°*, che ne fu l’animatore e che fu uno dei maggiori protagonisti della rivoluzione scientifica nella Napoli del XVII secolo, è stato un tenace sostenitore del metodo galileiano ed ha introdotto a Napoli il pensiero di Carte721 Il giovane marchese Andrea Conclubet (1648-1675), signore di Palmi, aiutò nel 1563 Cornelio e Di Capua a ricostituire l’Accademia degli Investiganti e ne ospitò le riunioni nella sua casa, dotandola anche di un Museo di Scienze Naturali. 722 Cfr. Maylender, op. cit. vol. 3, pp. 367-369. Oltre ad essere vivaci propugnatori del metodo sperimentale e delle nuove idee scientifiche e mediche, gli Investiganti coltivavano anche interessi letterari, auspicando un ritorno alla purezza della poesia di Petrarca. Dopo la soppressione del 1668, i membri dell’Accademia continuarono a riunirsi in modo informale fino agli ultimi anni del secolo. L’Accademia dei Discordanti fu fondata nel 1666 dal medico Carlo Pignataro in sostegno della medicina galenica contro i modernisti dell’Accademia degli Investiganti; la polemica raggiunse toni sempre più aspri fino a giungere ad un’aggressione fisica del Pignataro (vedi Maylender, op. cit. vol. 2, p. 184). Cfr. G. Galasso: Napoli nel Viceregno spagnolo dal 1648 al 1696, in Storia di Napoli vol. VI, Napoli 1970, p. 94; vedi anche R. di Castiglione: Alle Sorgenti della Massoneria, ed. Athanòr, Roma 1988, p. 131-32. 724 Tommaso Cornelio (1614-1584), medico, matematico e filosofo di origine calabrese, formatosi nella scuola cosentina sulle idee antiaristoteliche di Telesio, ha studiato medicina a Roma ed a Napoli ha avuto come maestro il chirurgo Marco Aurelio Severino, per poi insegnare medicina e matematica nell’Università napoletana; ha esposto il suo pensiero nella sua principale opera, i Progymnasmata physica, pubbli723

cati a Venezia nel 1663.

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sio e Gassendi; nella sua opera principale, i Progymnasmata physica, è il primo che osa citare esplicitamente Giordano Bruno, ma ciò non significa un’adesione alla tradizione ermetica rinascimentale, dal momento che nella stessa opera prende le distanze dagli studi naturalistici precedenti, esprimendosi in termini molto severi nei confronti delle cogitationes di Colantonio Stigliola, da lui definite inauditae ed

abstrusae’”. Leonardo Di Capua”, pur criticando le posizioni degli aristotelici, si esprime comunque in termini entusiastici su quanti, fin dall’antichità, hanno intrapreso la via della conoscenza: «Ecco, eccovi o Signori, il vero sentiero dell’immortalità e della gloria. Ecco quel sentiero che segnarono i Barbari da prima, indi i Greci, ed ultimamente i moderni nostri filosofanti, che in tanto pregio, e tanta fama gloriosamente salirono»’”7; cita quindi diversi antichi filosofi, compreso Aristotele, e poi quelli dei «nostri secoli», iniziando da Nicola Cusano e giungendo al Cornelio: nel numero di tali «incomparabili eroi», accanto a Copernico, Galileo e Gassendi, sono inclusi anche pensatori legati alla tradizione ermetica, come Stigliola e Campanella, perché anche di loro, come degli altri, Di Capua intende sottolineare soprattutto l’indipendenza del pensiero: «Se non perché tutti costoro vaghissimi oltremodo di spiar la sola verità, non vollero giammai starsene a niuno, né a’ detti di niuno trasportar ciecamente si lasciarono». Decisamente cartesiano e orientato a favore dei “moderni” fu Lucantonio Porzio’*5, allievo di Tommaso Cornelio, attivo nella rifondaCornelio Progymnasmata physica, ed. cit. pp. 47 e 160. 726 Leonardo Di Capua (1617-1695), proveniente da una famiglia agiata di Bagnoli Irpino, dopo aver studiato diritto e medicina, entra in contatto con Tommaso Cornelio e partecipa alla fondazione dell’Accademia degli Investiganti, dedicandosi alla scienza e sostenendo lo sperimentalismo dei filosofi e degli scienziati moderni; nella sua opera principale, il Parere del Signor Leonardo Di Capoa (Napoli 1681) oppone le moderne concezioni scientifiche a quelle ancora dominanti, il che suscita un violento attacco da parte del gesuita De Benedictis in difesa della tradizione aristotelica. 727 L. Di Capua, Parere, ed. cit. p. 82. 728 Lucantonio Porzio (1639-1723), medico e filosofo, allontanatosi da Napoli nel 1670, ha insegnato in diverse università (a Roma, Venezia, Vienna) finché, ritornato a Napoli, ha ottenuto nel 1684 la cattedra di Anatomia; Porzio assimilava il corpo umano ad una macchina, sostenendo che le arti meccaniche potessero costituire un modello per la conoscenza del corpo umano e delle sue patologie; nel suo testo In Hippocratis librum De veteri medicina parapbrasis (1681) tende a ridefinire la posizione del medico in polemica con i seguaci di Galeno, fra il 1693 e il 1694 scrive Cinque lettere in difesa dei moderni in risposta ad un’opera dal gesuita G.B. de Benedictis 725

T.

e

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zione dell’Accademia nel 1663 e punto di riferimento della generazione di giovani intellettuali napoletani intorno alla fine del secolo, così come cartesiani sono stati il filosofo e giurista Costantino Grimaldi, autore di una Dissertazione sulle tre magie, naturale, artificiale e diabolica (pubblicata postuma a Roma nel 1751) o il medico, filosofo e matematico Giorgio Caloprese. Appare evidente che questa nuova generazione di pensatori, pur seguendo le orme di Bruno e Campanella per quanto riguarda lo spirito di indipendenza e le istanze di rinnovamento, in genere se ne discosta rispetto al riferimento alle antiche tradizioni: l’influsso del razionalismo cartesiano e l’adesione al metodo empirico, stanno ormai determinando una profonda frattura col passato, le cui conoscenze vengono relegate al ruolo di “superstizioni” o, comunque, non sono considerate rigorosamente scientifiche. Tuttavia, anche in questo contesto non manca chi continua ad essere legato alle antiche concezioni ermetiche ed esoteriche, come Giuseppe Donzelli, membro dell’Accademia degli Investiganti, legato alla tradizione spagirica, che nel suo Teatro Farmaceutico Dogmatico e Spagirico, introducendo il discorso sull’Arte Spagirica, la definisce parimenti Arte Hermetica o Distillatoria, distinguendola in due parti, la prima, detta Alchimia, che tratta della trasmutazione dei metalli, e la seconda, definita Chimica da Paracelso, volta soprattutto ad ottenere delle medicine’’’. Vanno parimente segnalati Scipione Severino”’°, autore di Pulcinella Filosofo Chimico, un testo teatrale in cui si evidenzia la superiorità dell’aspetto simbolico dell’Alchimia rispetto alla pratica operativa, e Gennaro Grosso’’!, membro dell’Accademia degli Oziosi, autore di un Dialogo Anagrammatico dell’Alchimia, in cui si contro l’empietà dei moderni. 729 G. Donzelli, Teatro Farmaceutico Dogmatico e Spagirico, Napoli 1667, p. 2. Giuseppe Donzelli, barone di Digliola (1596-1670) medico e speziale, partecipò ai moti napoletani del 1647-48 e venne imprigionato per aver sostenuto la Repubblica; membro dell’Accademia degli Investiganti dal 1664, si rifugiò durante la peste del 1656 nella sua villa all’Arenella, quindi non lontano dalla proprietà di Della Porta. 730 Scipione Severino, appartenente ad una famiglia patrizia napoletana, è vissuto nel XVII secolo; opere: Cannocchiale chimico (Venezia 1631), Pulcinella Filosofo Chimico (Venezia 1681; pubblicato a cura di M. Marra in Il Pulcinella Filosofo Chimico, cit.), Glosa sopra Raimondo Lullo e sopra la Turba filosofica (Venezia 1684), Filosofia Alchimia seu scienza vigorativa dell'anima aurea (Venezia 1695). 731 Gennaro Grosso, giureconsulto e poeta di ispirazione marinista del XVII secolo, noto per la sua opera La Cetra divisa in Metro Divoto, Metro Funesto, Anagrammi Italiani, Dialogo Anagrammatico dell’Alchimia, 1650, pubblicata in M. Marra, op. cit. pp. 107 ss.

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confrontano due visioni dell’Alchimia, sostenendo parimenti la superiorità dell’Alchimia intesa come attività interiore e spirituale rispetto ai suoi aspetti operativi. Va infine ricordato che nel 1667 era venuto a Napoli il Marchese Santinelli, per organizzare il rapimento di una giovane donna, Caterina Aldobrandini, che aveva sposato segretamente nel 1658 e che diventerà poi ufficialmente sua moglie’? e giustamente il Francovich”? suggerisce che a Napoli Santinelli sia stato in contatto con un circolo rosacrociano collegabile alla tradizione esoterica di Giovan Battista della Porta e della sua Accademia de’ Segreti; abbiamo già evidenziato, nel Capitolo dedicato ai Rosa-Croce, l’influenza che la Lux Obnubilata”* del Santinelli e il Novunm Lumen Chymicum del Cosmopolita avrebbero esercitato, a distanza di un secolo, sul barone de Tschudy, il che induce a ritenere non solo che tali opere fossero ben conosciute e apprezzate nell’ambiente degli Alchimisti napoletani, ma anche che fra di loro fosse ben viva l’idea di una società segreta di Filosofi. LA MASSONERIA E LA TRADIZIONE EGIZIA Nel Settecento, la diffusione della Massoneria e lo straordinario interesse suscitato, ha determinato lo spostamento nelle Logge di quegli intellettuali, ricercatori ed esoteristi che precedentemente solevano riunirsi nelle Accademie: pertanto, le istituzioni massoniche, pur nella loro diversità, diventano l’ambiente privilegiato per il confronto e la diffusione delle idee e per lo studio delle tradizioni esoteriche.

732 Cfr. F.M. Santinelli, Sonetti Alchemici e altri scritti inediti, a cura di A.M. Partini, ed. Mediterranee, Roma 1985, p. 113. 733 Cfr. C. Francovich, Storia della Massoneria in Italia dalle origini alla Rivoluzione Francese, Firenze 1974, pp. 100 ss. Il Francovich (p. 112) segnala la presenza a Napoli anche di Pietro Andrea Andreini, un gentiluomo di origine fiorentina, estimatore, come Santinelli, del Gualdo, e famoso per la ricchezza della sua casa napoletana e per la sua collezione di medaglie e monete antiche. 734 La prima edizione della Lux Obnubilata fu stampata a Venezia nel 1666, quindi l’anno che precede la venuta a Napoli del Santinelli; il testo è stato poi incluso nel Ginaeceum Chimicum, pubblicato nel 1679 a Lione ed è stato ristampato nel 1687 e nel 1692 presso Laurent d’Houry a Parigi (con doppio testo italiano e francese).

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LA MASSONERIA NAPOLETANA NEL SETTECENTO Negli ultimi decenni della dominazione spagnola, per contrastare diffusione di idee giudicate poco ortodosse o eversive, numerosi libri erano stati messi all’Indice e nel 1688 l’Inquisizione aveva iniziato un processo contro quattro avvocati, membri dell’Accademia degli Investiganti, con le accuse di ateismo e di posizioni ereticali, processo che si concluse nel 1697 con l’abiura degli imputati. Tuttavia, fra la fine del XVII secolo e i primi decenni del XVIII, l’ambiente intellettuale napoletano continuò a mostrare una grande vitalità con pensatori come Nicolò Caravita”, Gian Battista Vico’*‘, Paolo Mattia Doria””” o Pietro Giannone”’®. A partire dal 1720, durante il governo austriaco del vicereame, i princìpi riformatori ed illuministici poterono ulteriormente svilupparsi in un ambiente più favorevole. Nel 1734, con la conquista dei Regni di Napoli e di Sicilia da parte di Carlo di Borbone, Napoli ottenne di nuovo la sua indipendenza dopo più di la

Nicolò Caravita (1647-1717), professore di diritto all’Università di Napoli, è autore di un trattato in cui si contestano le pretese feudali della Santa Sede sul Regno di Napoli (Nullum ius romani pontificis in Regnum neapolitanum); l’opera, pubblicata nel 1707 e messa all’Indice nel 1714, fu poi tradotta in italiano da Eleonora Pimentel Fonseca nel 1790 (Niun diritto compete al sommo pontefice sul Regno di Napoli).

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Gian Battista Vico (1668-1744): il grande filosofo napoletano, pur interessato alle nuove dottrine filosofiche, non rinnegò il riferimento alla sapienza antica, ispirandosi soprattutto al Neoplatonismo e indicò, nella sua opera più famosa, La Scienza Nuova (pubblicata nel 1725) tre tappe dell’evoluzione della civiltà umana definendole Età degli Dei, degli Eroi e degli Uomini e sottolineando l’importanza del mito e della fantasia.

736

737 Paolo Mattia Doria (1667-1745), nato da una nobile famiglia genovese, si trasferì a Napoli dove divenne noto soprattutto per la sua abilità di spadaccino; dal 1694 prese a frequentare il salotto di Nicolò Caravita, inserendosi nell’ambiente degli intellettuali cartesiani e diventando amico di Gian Battista Vico; allontanatosi poi dalle posizioni dei moderni e divenuto Filosofo metafisico, nel 1733 partecipò alla rifondazione dell’Accademia degli Oziosi; fra le sue opere ricordiamo trattato Del commercio del Regno di Napoli (1740), in cui viene criticato aspramente il governo spagnolo del Regno, il testo Idea di una perfetta repubblica, pubblicato postumo nel 1753 e condannato ad essere bruciato in quanto avverso a Dio, alla religione ed alla

il

e

monarchia.

Pietro Giannone (1676-1748), filosofo, storico e giurista, famoso per il suo trattato Dell'istoria civile del regno di Napoli, pubblicato nel 1723, in cui stigmatizza la decadenza morale del Regno di Napoli, attribuendone la responsabilità all’influenza della Chiesa; il libro fu messo all’Indice e il suo autore fu scomunicato e dovette riparare all’estero per morire infine in carcere a Torino. 738

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due secoli di dominazione straniera ed ebbe inizio un periodo di grande sviluppo economico, sociale e culturale grazie ad un governo illuminato ed aperto alle riforme. Nel terzo decennio del secolo era stata introdotta a Napoli la Massoneria con le Logge militari delle truppe austriache”, ma anche, come sembra accertato, con una Loggia fondata con una patente rilasciata nel 1728 dalla Gran Loggia d’Inghilterra e che recava il titolo di «Perfetta Unione»”*%; il sigillo di questa Loggia, realizzato in avorio, oro e argento, reca le immagini del Sole, di una Piramide preceduta dalle due Colonne del Tempio, di una Sfinge e di un ramo di Acacia, il tutto circondato da due iscrizioni che recitano «LATOMOR FRATERN PERFETTA UNIONE ... SIG: NEAPOLIT» e «QUI QUASI CURSORES VITAE LAMPADA TRADUNT»”‘!: una composizione particolarmente significativa in cui, insieme ad elementi

739 Sulle origini e sulla storia della Massoneria napoletana nel XVIII secolo, molte informazioni vengono fornite da un manoscritto conservato nella Biblioteca della Società di Storia Patria: Istituto o sia Ordine dei Liberi Muratori. Traduzione germana dal Idioma Francese nell’Italiano fatta da un Curioso Dilettante di Novità, 1749, 1753, 1765. Altre informazioni sono contenute in un manoscritto del 1804 di Emanuele Palermo, conservato nella Bibl. Naz. di Napoli: Colpo d'occhio su la condotta de’ Patrioti durante la repubblica Napoletana nell’anno 1799... descritto da Emanuele Palermo da servire per intelligenza di coloro che leggeranno la storia di quella rivoluzione (il testo è riportato da F. Bramato: Napoli massonica nel settecento attraverso un manoscritto di Emanuele Palermo, in Rivista Massonica n. 8, 1978, p. 453-473. Si vedano anche: M.P. Azzurri, Inizi e sviluppo della Libera Muratoria moderna in Europa, ed. Latomia, Roma 1957; M. D’Ayala: 1 Liberi Muratori di Napoli nel secolo XVIII, in Archivio Storico per le Province Napoletane, XXII, 1897 e XXIII, 1898; G. De Blasiis: Le prime Logge dei Liberi Muratori a Napoli, in Archivio Storico per le Provincie Napoletane XXX, 1905, p. 243-44. Vedi anche S.E.F. Hobel, Introduzione al testo di C.H.D. Giglioli (nata Stocker), Napoli nel 1799. Un resoconto della rivoluzione del 1799 e dell'ascesa e della caduta della Repubblica Partenopea (Londra 1903, traduzione italiana ed. Voyage Pittoresque, Napoli 1999). 740 Il testo del mandato rilasciato l’11 marzo 1728 a Xaverio Geminiani e George Olivares per erigere una Loggia a Napoli è stato pubblicato nella rivista Luce e Concordia, Napoli, giugno 1886 e in P. Maruzzi, Sulla prima Loggia massonica in Italia, in Rivista Massonica, giugno 1918, pp. 128 ss.; si veda anche R. di Castiglione, op. cit. pp. 85 ss. e pp. 99 ss. 741 Cfr. R. di Castiglione, op. cit. pp. 106 ss. in cui è anche riprodotto il sigillo della «Perfetta Unione» (fig. 3-5).

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simbolici prettamente massonici quali l’Acacia e le Colonne, compaiono la Piramide e la Sfinge, espliciti riferimenti alla tradizione egizia. Abbiamo già avuto modo di osservare come nella Massoneria siano confluite due grandi correnti di pensiero, la prima progressista, riformatrice ed illuminista, l’altra legata alle antiche tradizioni sapienziali ed iniziatiche: lo stesso avviene anche a Napoli, in cui, accanto a Logge di carattere “borghese” e laico, si formeranno Logge e Alti Gradi di ispirazione esoterica. Secondo quanto riferisce il Curioso Dilettante, fino al 1749 esistevano a Napoli solo Logge formate e frequentate da forestieri, finché un “acquavitaro piemontese” ed un “mercante di drappi e seta” (il Larnage) non fondarono una Loggia separata in cui iniziarono alcuni militari del Regno”‘?; uno di questi, l’Alfiere Francesco Zelaja, persuase quindi il Principe di Calvaruso ad entrare nella Società, e questi, a sua volta, convinse Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, che venne quindi iniziato, secondo quanto egli stesso riferisce, nell’estate del 1750’, Appare tuttavia più verosimile che già nel 1745 esistessero a Napoli diverse Logge e che la stessa iniziazione del Principe di Sansevero risalga almeno a tale data o anche ad alcuni anni prima”, Comunque, l’ingresso di uno dei maggiori nobili del Regno segnò, per la Massoneria napoletana, una svolta decisiva, in quanto l’iniziazione massonica cominciò ad esercitare un irresistibile fascino anche nell’ambiente aristocratico, soprattutto con l’introduzione di alcuni “Alti Gradi”, la cui ispirazione misterica e cavalleresca si distingueva nettamente dall’impostazione borghese e razionalista della Libera Muratoria inglese: le Logge, che prima erano frequentate quasi esclusivamente da borghesi e militari, diventarono pertanto un polo d’at-

Cfr. Manoscritto del Curioso Dilettante, pp. 215-22. Il Principe di Sansevero sostiene questa versione nella Lettera a Benedetto XIV, Napoli, 1 Agosto 1751 (testo latino e traduzione italiana riportati in G.G. Origlia, Istoria dello Studio di Napoli, Napoli 1753-54, Tomo IL, p. 354-60). 742

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744 Vedi S.E.F. Hobel, La cappella filosofica del Principe di Sansevero, ed. Stamperia del Valentino, Napoli 2010, pp. 46 ss. Cfr. I. Rinieri, Della rovina di una monarchia. Relazioni storiche fra Pio VI e la Corte di Napoli negli anni 1776-1799 secondo documenti inediti dell'Archivio Vaticano. Parte Il: la Massoneria nel Regno e nella Corte di Napoli negli anni 1751-1799, Torino 1901, p. 387; R. Soriga: Le Società Segrete, l’emigrazione politica e i primi moti per l'indipendenza, Modena 1942, p. 14. Secondo Giordano Gamberini (Mille volti di Massoni, ed. Erasmo, Roma 1975, p. 27) Raimondo di Sangro sarebbe stato iniziato nella Loggia del Duca di Villeroy a Parigi verso il 1737, prima che i lavori di questa Loggia fossero interrotti.

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trazione comune agli esponenti dei diversi ceti, consentendo occasioni di fraterno incontro fra aristocratici, intellettuali e borghesi. In pochi mesi, la Massoneria napoletana crebbe dunque rapidamente, e le Logge esistenti decisero di elevarsi a Gran Loggia Nazionale acclamando unanimemente Gran Maestro il Principe di Sansevero. Una così rapida crescita di un Ordine considerato con sospetto sia dalla Chiesa che dal potere politico, non poteva non destare apprensione, e quindi ben presto piovvero sulla Massoneria napoletana la scomunica papale di Benedetto XIV e un editto reale con il quale ne venivano vietate le riunioni. Malgrado le dimissioni del Principe di Sansevero e lo scioglimento della Gran Loggia, i Liberi Muratori napoletani continuarono tuttavia a incontrarsi in segreto, mantenendo i contatti con le Logge di Marsiglia e con la Massoneria olandese”; l’attività massonica riprese nuovo slancio negli anni ‘60, dopo la partenza di Carlo di Borbone per la Spagna e l’ascesa al trono del figlio, il giovane Ferdinando IV, ed è stato notato che tale ripresa è coincisa con la diffusione delle idee riformatrici di Antonio Genovesi’*‘, Nel 1769, alcuni Fratelli napoletani ottennero dalla Massoneria inglese la Bolla di fondazione della Perfect Union Lodge, Loggia già esistente, ma che in tal modo veniva posta all’obbedienza inglese; il suo Maestro Cesare Pignatelli”, promosse quindi la creazione di una Gran Loggia Provinciale, alla quale aderirono le principali Logge napoletane: Les Zelés, fondata nel 1763 all’obbedienza olandese, la Bien Choisie, fondata nel 1769 dall’abate Kiliano Caracciolo e ora capeggiata da Francesco d’Aquino, principe di Caramanico, alle quali vanno aggiunte La Zelée et Sécréte, La Siguliére e L’Harmonie. Intanto, nel 1767 era giunta a Napoli la giovane sposa di Ferdinando IV, Maria Carolina d’Austria, che avrebbe svolto negli anni settanta e ottanta un’intensa attività volta a rafforzare la corrente filo au-

745 D’Avyala, op. cit. XXII, p. 445; I. Rinieri, op. cit. p. 391. 746 Cfr. V. Ferrone, la massoneria settecentesca in Piemonte e nel Regno di Napoli, in il Vieusseux, anno IV, n. 11, Maggio-Agosto 1991, p. 123 ss. Antonio Genovesi (1712-1769), sacerdote e filosofo, amico del Vico e del Principe di Sansevero, è stato docente di metafisica e di etica e, successivamente, di economia; la sua opera Lezioni di commercio o sia di economia civile, pubblicata nel 1765, è uno dei primi testi scientifici sull’economia e vi sono descritte alcune fondamentali riforme dell’istruzione, dell’agricoltura e delle attività industriali e commerciali. 747 Cesare Pignatelli (1743-1811): patrizio Napoletano, duca di San Demetrio e duca di Rocca Mandolfi.

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striaca della Corte e a sottrarre la politica del Regno all’influenza della Spagna: la regina favorì e protesse pertanto la Massoneria napoletana, naturale strumento per promuovere una politica di riforme, incoraggiando la collaborazione degli intellettuali progressisti con il governo. Francesco d’Aquino, divenuto il favorito della regina, nel 1773 fu eletto Gran Maestro Provinciale al posto di Cesare Pignatelli e l’anno successivo, adeguandosi alla politica filo austriaca della Corte, ma anche sensibile alle istanze esoteriche e cavalleresche della componente aristocratica della Massoneria, prese le distanze dall’Inghilterra, e costituì, insieme a Diego Naselli d’Aragona”*$, la Gran Loggia Nazionale di Napoli, della quale fu proclamato Gran Maestro Nazionale. In opposizione alla Gran Loggia Nazionale, Cesare Pignatelli riorganizzò invece la Gran Loggia Provinciale d’obbedienza inglese, fondando due nuove Logge (La Renaissance e L’Humanité); nel 1774 Giuseppe Medici, principe di Ottajano, si staccò dalla Gran Loggia Provinciale e, ottenuta una patente dalla Massoneria francese, fondò una loggia intitolata San Giovanni del segreto e della perfetta amicizia, nella quale furono ammesse anche le donne, fra cui la moglie dello stesso Principe, la marchesa di San Marco, favorita della Regina, l’attrice Antonia Bernasconi e, forse, la stessa Regina Maria Carolina. Ma nel 1775 Ferdinando IV, cedendo alle pressioni del padre e del ministro Tanucci, emanò un editto contro i Massoni e, in seguito al divieto reale, Francesco d’Aquino fu costretto a sciogliere la Gran Loggia Nazionale, che tuttavia fu ben presto ricostituita a opera di Diego Naselli, ottenendo il riconoscimento dalle Massonerie francese e tedesca”; la Gran Loggia Nazionale di Naselli si caratterizzava per 748 Diego Naselli d'Aragona (1727-1809), appartenente ad una famiglia della nobiltà siciliana, militò nell’esercito borbonico e poi in quello asburgico durante la Guerra dei Sette Anni e si ritiene che a tale periodo risalga la sua iniziazione massonica; insieme a Kiliano Caracciolo impresse alla Gran Loggia Nazionale una svolta di natura occultista, aderendo alle correnti massoniche di ispirazione templare e spiritualista. Dopo lo scioglimento della Gran Loggia Nazionale (1787), Naselli, non condividendo i nuovi orientamenti razionalisti ed eversivi della Massoneria, scelse di restare fedele alla Monarchia e gli fu affidato il comando delle truppe borboniche inviate a Roma nel 1799 per restaurare l’ordine dopo la caduta della Repubblica Romana.

749 Nel 1776 ebbe luogo una provocazione poliziesca contro la Massoneria e fu arrestato un gruppo di nove Massoni riuniti in una villa di Posillipo che però, grazie alla difesa di Felice Lioy, membro della Gran Loggia Nazionale, e all’intervento della regina, furono tutti assolti; l’episodio portò alle dimissioni del ministro Tanucci e rappresentò una vittoria del partito della regina (cfr. F. Bramato, Felice Lioy, difensore dei massoni napoletani del 1766, in Rivista Massonica n. 3, maggio 1977, pp. 134 ss.).

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una forte presenza aristocratica e una spiccata propensione verso i sistemi degli “Alti Gradi”, e nel 1777 Naselli aderì, con tutti i Fratelli della sua Loggia (Della Vittoria) all’Ordine d’ispirazione templare della Stretta Osservanza, per poi passare, in seguito, al Regime rettificato di Willermoz”°. Negli anni ‘80, i Massoni napoletani continuarono ad impegnarsi attivamente sul piano della politica riformista, e le Logge rappresentarono il naturale punto d’incontro di alcuni dei più significativi pensatori del periodo: Mario Pagano”, che fu anche il Maestro Venerabile della Loggia di obbedienza inglese Philantropia, Gaetano Filangieri”, iniziato verso il 1777, che fu Deputato Gran Maestro nella stessa Loggia del Pagano, e numerosi altri intellettuali che in seguito si trasformeranno in Patrioti e Giacobini, come Domenico Cirillo”, Pasquale 750 Naselli si era messo in contatto fin dal 1773 con Willermoz che in una lettera del 1775 gli suggerisce di inserire il gruppo napoletano nel sistema della Stretta Osservanza, che era stato introdotto in Italia dal Barone Von Weiler, il quale aveva fondato nel 1775 a Torino un Baliaggio lombardo del Gran Priorato d’Italia. Nel 1776, essendo morti sia Von Hund che Von Weiler, fu in Italia, come emissario della Stretta Osservanza, un personaggio alquanto ambiguo, il barone Karl Eberhard von Wichter, che nel 1777 giunse a Napoli e vi costituì il Sottopriorato dell'Aquila con Naselli come Sottopriore (cfr. E. Stolper, Diego Naselli Gran Maestro, risorsa online: 1w1w1w.lamelagrana.net). 751 Francesco Mario Pagano (1748-1799), filosofo e illustre giurista, allievo del Genovesi, docente di etica e poi di diritto criminale all’Università di Napoli, esercitò la professione di avvocato e difese i membri della Società Patriottica, accusati di aver cospirato contro la Monarchia, senza però riuscire ad evitare che fossero condannati alla pena capitale; membro della Loggia di rito inglese La Philantropia, nel 1785 fu spinto da Miinter a radicalizzare le sue posizioni e nel 1796 fu accusato di cospirazione e imprigionato; scarcerato nel 1798, si rifugiò a Roma, dove era stata proclamata la Repubblica, ma all’inizio del 1799 ritornò a Napoli diventando uno dei principali esponenti della Repubblica Napoletana e lavorando al progetto della sua Costituzione. Dopo la caduta della Repubblica fu giustiziato insieme a numerosi altri patrioti, nonostante le esortazioni alla clemenza da parte di diversi regnanti. 752 Gaetano Filangieri (1753-1788), giurista e filosofo, dopo aver rivestito diverse cariche al servizio di Ferdinando IV e dopo essere stato iniziato in Massoneria, si ritirò nel 1783 nella sua villa di Cava dei Tirreni dedicandosi agli studi e a comporre il suo trattato Scienza della Legislazione (pubblicato a partire dal 1780) in cui proponeva un modello di Monarchia illuminata e riformatrice. 753 Domenico Cirillo (1739-1799), medico, botanico, professore di patologia medica e botanica all’Università di Napoli e medico personale della famiglia reale, autore di trattati di Botanica, nel 1770 fu iniziato nella Loggia Les Zelés di obbedienza olandese e in seguito fece parte della Loggia di obbedienza inglese La Zelée et la Sécrète, avvicinandosi poi agli ideali giacobini. Nella Repubblica Napoletana fece parte della

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Baffi’, Melchiorre

Delfico”””, Francesco Longano””°. Ma ormai quefelice situazione stava volgendo al termine: Francesco d’Aquino, sta di anelli congiunzione fra la Corte e la Massoneria, sostituito uno degli nel suo ruolo di favorito della regina dall’ammiraglio Acton, nel 1786 fu inviato come viceré in Sicilia; l’anno successivo Maria Carolina, preoccupata per gli accadimenti del Luglio parigino, cambiò atteggiamento nei confronti della Libera Muratoria, al punto di convincere il marito ad emanare un nuovo editto contro di essa, in seguito al quale il Gran Maestro Diego Naselli dovette sciogliere di nuovo la Gran Loggia Nazionale. Ad approfondire la frattura fra la Massoneria napoletana e la monarchia contribuì anche la venuta a Napoli, nel 1785-86, di Federico Miùnter’””, un pastore luterano, Massone e, segretamente, agente degli Commissione Legislativa e dopo Mario Pagano.

la

caduta della Repubblica fu giustiziato insieme a

754 Pasquale Baffi (1749-1799), grecista di origine albanese, responsabile della Biblioteca Reale e membro dell’Accademia Ercolanese istituita da Carlo III, risulta nel piedilista della Loggia inglese La Renaissante nel 1774. Coinvolto nella Repubblica Napoletana, fu giustiziato insieme agli altri patrioti. 755 Melchiorre Delfico (1744-1835): economista e filosofo, allievo di Genovesi e Filangieri, scrisse diversi trattati di economia politica e nel 1799 entrò a far parte del governo provvisorio della Repubblica Napoletana; dopo la caduta della Repubblica si rifugiò a San Marino e, ritornato a Napoli nel 1806, ricoprì diverse cariche sia durante il periodo francese che dopo la restaurazione borbonica.

756 Francesco Longano (1728-1796), ordinato sacerdote nel 1751 e trasferitosi a Napoli, seguì le lezioni del Genovesi e nel 1667 pubblicò il trattato Dell’uomo naturale in cui, ispirandosi a Vico, Genovesi e Montesquieu, proponeva una nuova religione della natura, il che gli procurò violenti attacchi da parte degli ambienti ecclesiastici più conservatori; la sua affiliazione alla Massoneria risale almeno al 1768, data in cui il suo nome compare nel piè di lista della Loggia La Parfaite Union, mentre verso il 1786 partecipò alla fondazione della Loggia degli Illuminati. 757 CFriederich Miinter (1761-1830), nato a Lubecca ma naturalizzato danese, brillante figura di studioso, teologo e storico della Chiesa, fu iniziato in una Loggia di Copenhagen nel 1780 e nel 1781 entrò nell’Ordine degli Illuminati; nel 1784 intraprese un viaggio in Italia per approfondire la sua istruzione, ma anche per prendere contatto con gli esponenti della Massoneria italiana, con lo scopo segreto di creare circoli di Illuminati; durante il suo viaggio tenne dei diari, che sono diventati una preziosa fonte di informazioni sugli ambienti massonici del tempo (pubblicati nel 1790 col titolo Nachrichten iiber beide Sizilien e ristampati a Milano nel 1830); a Roma ebbe la possibilità di consultare la Regola dell’Ordine Templare, conservata nella Biblioteca Corsini e che fu da lui tradotta e pubblicata (Statutenbuch des Ordens der Tempelherren, Berlino 1794); ritornato nel 1787 a Copenhagen ebbe l’incarico di professore di Teologia e nel 1808 fu nominato vescovo luterano di Seeland.

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Illuminati di Baviera, la setta fondata da Adam Weishaupt che, sotto la copertura del simbolismo massonico, perseguiva il fine di rovesciare con la forza i governi dell’epoca. A Napoli Miinter ebbe contatti con Diego Naselli, Kiliano Caracciolo, Pasquale Baffi e, soprattutto, con Mario Pagano; convinto dal Miinter, Pagano, nel 1786, costituì, insieme a Gaetano Filangieri, Domenico Cirillo, Antonio Jerocades”’®, Donato Tommasi’, Giuseppe Albanese’ e altri, una Loggia “Illuminata o Eclettica”, La Philantropia, orientata su posizioni politiche radicali?! Agli inizi degli anni ’90, le posizioni riformiste e moderate assunte precedentemente dalla Massoneria napoletana stavano cedendo il passo a concezioni più estremistiche: Jerocades, rientrato da un viaggio a Marsiglia, si mise a diffondere con foga ed entusiasmo i princìpi del Giacobinismo, mentre il rivoluzionario Carlo Lauberg’ fondava, Antonio Jerocades (1738-1803) abate, filosofo e poeta calabrese, dopo aver compiuto gli studi nel Seminario di Tropea, vi organizzò una scuola per i ragazzi del posto concepita come un cenacolo platonico; verso il 1765 si trasferì a Napoli dove fu ospitato per qualche tempo dal Genovesi, frequentando la cerchia dei suoi amici e allievi; dopo un periodo passato a Sora, nel 1771 si recò a Marsiglia dove fu accolto nell’ambiente massonico; ritornato a Napoli nel 1776 frequentò la Massoneria stringendo rapporti di amicizia con Pagano, Filangieri, Naselli e altri e nel 1783 pubblicò la Lira Focese, una raccolta di liriche a sfondo mitologico dedicate agli ideali massonici, in cui auspicava la creazione di un mondo nuovo basato sul Tempio di Sophia. ‘Tornò più volte a Marsiglia, nel 1784 e nel 1789, contribuendo poi a diffondere gli ideali giacobini nell’ambiente massonico napoletano, cosa per cui fu imprigionato nel 1793; imprigionato di nuovo nel 1799 per aver parteggiato per la Repubblica Napoletana, dopo essere stato liberato, riparò a Marsiglia per poi tornare definitivamente in Calabria nel 1803. 758

Donato Tommasi (1761-1831): giurista e politico, partecipò alla fondazione della Loggia degli Illuminati nel 1786 ma non fu coinvolto nella Repubblica Napoletana del 1799, collaborando poi con Ferdinando III di Sicilia durante il periodo

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napoleonico. 760 Giuseppe Leonardo Albanese (1759-1799): iniziato giovanissimo in una Loggia dell’obbedienza inglese, aderì poi alla Loggia Illuminata La Philantropia e in seguito fu membro del governo provvisorio della Repubblica Napoletana e fu condannato a morte dopo il ritorno dei Borbone. 761 Cfr. C. Francovich, op. cit. p. 417 ss.; E. Stolper, La Massoneria settecentesca nel Regno di Napoli, in: Riv. Mass. n. 7, 1975, p. 410; B. Bisogni, La Massoneria italiana dal 1717 al 1860, in AA. VV. La Libera Muratoria, SugarCo, Milano 1978, p. 33. 762 Carlo Lauberg (1762-1834), frate scolopo, scienziato, farmacista, insegnante e rivoluzionario, convinto sostenitore degli ideali della Rivoluzione Francese, fondò una Scuola di Chimica in cui si diffondevano in realtà idee giacobine e nel 1793 parte-

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nel 1792, una Scuola di Chimica, che era in realtà un centro di diffusione di idee giacobine e intorno a lui si aggregarono diversi intellettuali come il naturalista Teodoro Monticelli", l’avvocato Domenico Bisceglia, il poeta Francesco Saverio Salfi" e il giovane Ignazio Ciafrequenti erano inoltre gli incontri di Lauberg e dei suoi amici l’ambasciatore francese, il mercante ginevrino Michele Vissieux e con la Loggia costituita da Francesi residenti a Napoli. Nell’inverno del 1793 ebbe luogo una cena a Posillipo, nella quale Carlo Lauberg, in seguito a contatti avuti con l’ammiraglio francese Latuche-Tréville’“, riunì un gruppo di cospiratori filofrancesi per get-

ia;

cipò alla fondazione della Società Patriottica di Napoli; nel 1794, abbandonato l’abito talare, fu costretto a fuggire, ma tornò a Napoli al seguito delle armate francesi del generale Championnet nel 1798 e fu nominato presidente del governo provvisorio della Repubblica Napoletana, ruolo in cui fu sostituito il 25 febbraio 1799 da Ignazio Ciaia; abbandonata la politica, si trasferì in Francia, dove esercitò la sua professione di farmacista. Secondo il Francovich (Massoneria e rivoluzione francese, in Rivista Massonica n. 9, 1978, p. 606 ss.) Lauberg non risulterebbe in alcun piedilista massonico, malgrado che i suoi inquisitori lo definissero un antico massone; riguardo alla sua appartenenza alla Massoneria, si veda la relazione di A. Mola in Atti del convegno Massoneria e cultura nel Regno di Napoli del Settecento, p. 118. 763 Teodoro Monticelli (1759-1845), dopo aver compiuto studi umanistici e scientifici a Lecce, entrò nell’Ordine dei Celestini; giunto a Napoli nel 1792, ottenne l’incarico di professore di filosofia e prese a frequentare i circoli giacobini e ad ospitarne

le riunioni nella casa dei padri Celestini a Capodimonte, per cui fu arrestato nel 1794 e di nuovo nel 1795 e mandato in esilio a Favignana, dove rimase fino al 1801 dedicandosi ai suoi studi; dopo essere stato liberato, fu nominato abate e durante il regno di Giuseppe Bonaparte ottenne la cattedra di etica e fu nominato segretario della Real Accademia delle Scienze, cariche che conservò anche dopo il ritorno di Ferdinando di Borbone. Insigne figura di scienziato, scrisse importanti trattati sui problemi idrogeologici e sulle eruzioni del Vesuvio.

Francesco Saverio Salfi (1759-1832), illuminista di origine calabrese, poeta e librettista, si stabilì a Napoli nel 1787 entrandoin contatto con l’ambiente massonico e giacobino e partecipando alla Società Patriottica; nel 1794 riuscì a sfuggire all’arresto e rientrò a Napoli nel 1798 col generale Championnet, assumendo la carica di segretario del governo provvisorio; dopo la sostituzione di Lauberg, andò anche lui in Francia; rientrato in Italia, diventò consigliere di Gioacchino Murat finché, nel 1815, si ritirò definitivamente in Francia. 764

Ignazio Ciaia (1766-1799), giunto a Napoli dalla Puglia, diventò amico del Lauberg e collaborò con lui nella costituzione della Società Patriottica; arrestato nel 1795 e poi liberato, partecipò alla Repubblica Napoletana e sostituì Lauberg alla sua guida; fu giustiziato con gli altri patrioti dopo la caduta della Repubblica. 766 La flotta francese, comandata dall’ammiraglio Latuche-Tréville era giunta a Napoli nel dicembre del 1792, accolta con entusiasmo dai Massoni giacobini napoletani. 765

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tare le basi di una nuova forma organizzativa d’ispirazione giacobina: abolite le Logge, i Massoni-Giacobini si sarebbero dovuti riunire in Clubs di non più di 11 persone e si formò una nuova associazione, che prese il nome di Società Patriottica Napoletana’. Nel 1794 il movimento cospirativo avviato dalla “Cena di Posillipo” fu scoperto, e iniziò una durissima repressione: numerosi cospiratori, o presunti tali, furono arrestati e subirono pesanti condanne, e tre giovani vennero condannati a morte: di Emanuele de Deo, giustiziato insieme a Vincenzo Galiani e Vincenzo Vitaliani, si ricorda la serena fermezza mostrata di fronte alla morte nell’ultimo, drammatico incontro avuto col padre, entrambi, padre e figlio membri di una Loggia massonica’ La durezza e l’inutile crudeltà mostrata dal governo borbonico nel-

lo schiacciare questa “congiura”, che di fatto era priva di qualsiasi reale consistenza, ebbe l’effetto di far crollare definitivamente le speranze dei moderati in una politica di riforme, e a spingere l’élite intellettuale verso soluzioni rivoluzionarie e repubblicane. Dopo il 1794 la Massoneria, disciolta e vietata, non svolse più alcun ruolo in quanto tale; ma i singoli Massoni, cresciuti nel dibattito ideale delle Logge, e ora incarcerati o costretti all’esilio o ad un lavoro clandestino, dettero vita ad un ampio movimento ideale e politico, continuando a propugnare gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità propri della Massoneria. E tutti si ritrovarono nella Repubblica Napoletana, Mario Pagano, Carlo Lauberg, Domenico Cirillo, Giuseppe Albanese, Ignazio Ciaia, Pasquale Baffi, Francesco Saverio Salfi e Giuseppe Albanese, insieme a Emanuele Mastelloni”, a

767 Successivamente i Clubs divennero due: ROMO (Repubblica o Morte) e LOMO (Libertà o Morte). Un altro circolo si formò a casa di Vincenzo Gugliotti, e ne faceva parte il marchese Giovanni Letizia, fondatore di una Loggia a Capodichino, che funzionò come anello di congiunzione fra i circoli giacobini e gli ambienti aristocratici e intellettuali, e analoghi contatti avevano luogo in una Loggia che si riuniva in casa

Pignatelli-Strongoli. 768 Sull’incursione poliziesca nella Loggia della quale Emanuele de Deo era membro insieme al padre Vincenzo, cfr. R. di Castiglione (op. cit. pp. 126-27); vedi anche O. Dito, Massoneria, Carboneria e altre Società Segrete nella storia del Risorgimento italiano, Torino-Roma 1905, ried. Bologna 1978; G. Gamberini, Mille volti di Massoni, pp. 58 e 69; T. Pedio, Massoni e Giacobini nel Regno di Napoli. Emmanuele de Deo e la congiura del 1794, Matera 1976, p. 104.

769 Emanuele Mastelloni (1750-1835), proveniente da una famiglia della nobiltà napoletana, intraprese nel 1785 la carriera di magistrato; nell’anno seguente, in seguito all’incontro con Miinter, entrò a far parte della Loggia di Mario Pagano e nella Repubblica Napoletana ricoprì la carica di ministro di Giustizia e Polizia; dopo la caduta della Repubblica fu imprigionato e condannato a morte, ma ottenne la com-

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Ettore Carafa””°, al prete Nicola Pacifico”!, a Michele Natale, Vescovo di Vico Equense, e a tanti altri, impegnati a costruire nella realtà ciò che per anni avevano potuto solo teorizzare e sognare. Quasi tutti caddero, vittime della feroce reazione borbonica, nel tragico epilogo della Repubblica, a cominciare dall’ammiraglio Francesco Caracciolo, fatto giustiziare con sorprendente fretta e crudeltà da Nelson, che avrebbe dovuto avere nei suoi confronti spirito più umano e fraterno, visto che entrambi erano stati iniziati Liberi Muratori, Nelson a Londra e Caracciolo, nel 1770, nella Loggia di obbedienza inglese La Perfetta Unione”. IL REGIME DI NAPOLI E GLI ARCANA ARCANORUM La Massoneria napoletana, duramente colpita dalla repressione della Repubblica, ebbe la possibilità di riprendere ufficialmente i suoi lavori nel 1806, quando il Regno di Napoli fu occupato dalle truppe francesi e Giuseppe Bonaparte fu incoronato re di Napoli e, contemporaneamente, eletto Gran Maestro del ricostituito Grande Oriente di Napoli: si trattava di un'istituzione che praticava il Rito Francese Riformato””® e che era strettamente legata al potere napoleonico, situazione che proseguì anche quando, dopo due anni, fu nominato re di Napoli Gioacchino Murat, che pose il Grande Oriente sotto il controllo di un Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico ed Accettato, mutazione della pena e andò in esilio in Francia dove ricoprì diverse cariche; ritornato Napoli nel 1814, fu nominato consigliere della Suprema Corte di Giustizia. 770 Ettore Carafa, Duca d’Andria e Conte di Ruvo (1767-1799), già arrestato per cospirazione nel 1785, nel 1799 aderì alla Repubblica e assediò la sua città natale, Andria, che si era schierata coi Borbone; fu ghigliottinato dopo la caduta della Repubblica. 771 Nicola Pacifico (1734-1799), prete giacobino, studioso di botanica e scienze naturali, entrato in Massoneria negli anni ‘79, fu fra i fondatori della Loggia La Philantropia e durante la repressione del 1794 nascose e aiutò a fuggire Francesco Saverio Salfi; durante la Repubblica fu nominato capitano della Guardia Nazionale, per cui, dopo ritorno dei Borbone, fu condannato a morte. Cfr. R. di Castiglione, op. cit. p. 128; A. Luzio, La Massoneria e il Risorgimento 772 italiano, Bologna 1925; ried. Bologna 1978, vol. IL, p. 259; G. Capruzzi, Nelson e Caracciolo, in Hiram n. 5, ottobre 1980. a

il

773 Il Rito Francese Riformato o Moderno era stato creato nel 1786 ed era composto da sette Gradi: i tre Gradi Simbolici o Turchini ai quali erano stati aggiunti quattro Alti Gradi: Eletto, Scozzese, Cavaliere d'Oriente e Rosa Croce.

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in cui lui stesso assunse la carica di Sovrano

Gran Commendatore. Sappiamo inoltre che fin dal 1805 esisteva in Abruzzo il Rito di Misraim, articolato in 90 Gradi, probabilmente nell’ambito del Capitolo Rosacroce «La Concordia», mentre a Napoli, dove il Rito Egizio doveva esistere già da prima del 1799, sappiamo che nel 1815, Lorenzo di ritornare aveva costituto una Montemayor, sul quale avremo modo la del Rito Madre «Sapienza trionfante»”’. Loggia Egizio, Ed è proprio in questi anni che la presenza del Rito Egizio assume particolare evidenza all’interno delle istituzioni massoniche, e Napoli sembra essere stato uno dei suoi principali punti di riferimento: abbiamo già visto, infatti, che sia i fratelli Bédarride, nel fondare a Parigi, nel 1814, la prima Loggia francese del Rito di Misraim, sia Ragon, nel chiedere l’ammissione del Rito nel Grand Orient de France, nel 1816, avevano fatto riferimento ad iniziazioni, gradi, poteri e deleghe ottenute dal Rito Egizio napoletano; anzi, il Ragon, nel contestare la legittimità del Rito dei fratelli Bédarride, aveva sottolineato che essi avevano introdotto negli ultimi quattro Gradi del loro sistema degli insegnamenti cabalistici che non corrispondevano agli «Arcana Arcanorum» o «Scala di Napoli» o «Regime di Napoli» che i Fratelli Joly, Gaborria e Garcia avrebbero ricevuto a Napoli nel 1813 e che rappresentano la parte più segreta del Rito Egizio”, Degli Arcana Arcanorum ci sono pervenute diverse versioni: oltre alle informazioni pubblicate da Ragon, il contenuto dei “Quaderni” (originariamente redatti in italiano), ricevuti da Joly nel 1813 e consegnati al Grand Orient nel 1816, è stato pubblicato integralmente, con

di

la

Massoneria Egiziana (risorsa online: esonet.it). 774 Cfr, V. Vanni, Pietro Colletta e Viene inoltre riferito che La Scala di Napoli risaliva al’Ordine Egizio di Cagliostro, fondato a Napoli nel 1792 con la Loggia I Figli della Libertà, messa in sonno nel 1799 e poi risvegliata nel 1813 da Marc Bédarride col nome La Figlia della Sapienza, che sarà poi diretta nel 1814 dal Montemayor col titolo La Sapienza trionfante (cfr. la Biografia di Giustiniano Lebano nel sito iwwsiw.esopedia). 775 Cfr. J.M. Ragon, Cours philosophique, cit. pp. 344-348 e Tuiler Géndéral, cit. pp. 305-308 (in cui sono fornite solo alcune informazioni essenziali). Nel 1816 vengono inoltre redatti gli Statuts généraux de l’Ordre Maconnique de Misraim et de ses quatre séries pour la France. Ricordiamo anche che Ventura (op. cit. p. 22), contestando Ragon, esprime il dubbio che i documenti relativi ai gradi 87°, 88° e 89° della Scala di Napoli siano stati veramente in possesso di Joly e Ragon.

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le Note che lo integrano, da Serge Caillet e da Denis Labouré””%; un’altra esposizione dei Rituali degli Arcana Arcanorum è stata fornita da Armand Rombauts’” nel 1930 in un corso sugli ultimi quattro gradi del Rito di Misraiîim, che si basava sui documenti redatti e consegnati nel 1816 e sui “Segreti Orali” comunicatigli “da bocca a orecchio”; altra fonte di Rombauts è un manoscritto che il suo collaboratore Mallinger”® ritiene redatto nel 1778, e che potrebbe essere il documento portato da Zante in Belgio dal Fratello Parenti. A questi testi va aggiunta la versione dei rituali iniziatici degli Arcana Arcanorum fornita da Robert Ambelain che si basa soprattutto sul testo di Rombauts, accrescendolo con alcune sue considerazioni’. Esaminiamo ora i principali elementi simbolici degli Arcana Arcanorum quali sono pervenuti in base alla redazione del 1816 e resi noti dalle pubblicazioni citate7®,

Il Rituale d’iniziazione dell’87° Grado (Cavaliere del Knef®!), definito «Grado Simbolico» da Ambelain, rappresenta il cammino dell’i776

S. Caillet, La Franc-magonnerie égyptienne de Mempbis-Misraim, ed. Dervy, Parigi 2003; Arcanes et rituels, 1994; D. Labouré, Secrets de la franc-magonnerie égyptienne, ed. Chariot d'Or, Tolosa 2002, che ha operato anche un confronto gli ultimi Gradi dei sistemi di Bédarride, Yarker e Marconis (cfr. D. Labouré, Misteri del Rito di Misraim - Origini degli Arcana Arcanorum: risorsa online); vedi anche P. Galiano, Raimondo De Sangro e gli Arcana Arcanorum, ed. Simmetria, Roma 2010.

777 Armand Rombauts, ingegnere belga, seguace del Martinismo e iniziato da Papus al Rito di Memphis e Misraim, ha presieduto nel 1933 il risveglio del Rito Egizio in Belgio costituendo l’Ordre Magonique Oriental du Rite Ancien et Primitif de Menmpbhis-Misraim. Per le sue lezioni sugli Arcana Arcanorum, redatte in base ai documenti dell’antico archivio belga del Rito e di insegnamenti orali, vedi A. Rombauts, Rite de Misraim ou d’Egypte, Régime de Naples (risorsa online). 778 Jean Mallinger (1904-1982), studioso del Pitagorismo ed autore di diverse opere sulla tradizione pitagorica e di un testo sui Riti Egizi (Les Rites dits Égyptiens de la Maconnerie, risorsa online), ha collaborato con Rombauts nel redigere i commentari degli Arcana ed è stato in seguito Gran lIerofante del Rito di Memphis-Misraim del Belgio. Cfr. Rite ancien et primitif de Mempbis-Misraim. Cérémonies et rituels de la magonnerie symbolique, présentés et commentés par Robert Ambelain, Paris 1967. Ricordiamo che Ambelain è stato Gran Maestro mondiale della Grande Loggia Francese del Rito Antico e Primitivo Mempbis-Misraim dal 1960 al 1985.

779

di

780 Nel nostro esame ci siamo limitati alle versioni degli Arcana Arcanorum derivate dalla redazione del 1816 dei documenti portati da Joly a causa della loro dichiarata

origine napoletana. è il primo dei tre Dei egizi supremi, principio creatore e feconcui da datore, emana l’Uovo primordiale; rappresentato con la testa di ariete, è stato

781

Knepbh (o Knep)

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niziato dalle Tenebre alla Luce, e presenta tre Templi: il primo è nero e illuminato dalla fioca luce di una candela posta in una lanterna cieca; il secondo è verde, il colore della Speranza, ed è illuminato da tre fiaccole disposte a triangolo, e il terzo, di colore rosso violaceo, è illuminato da 72 stelle disposte in due gruppi (o quadrati) di 36, e presenta ad Oriente un Triangolo con inscritto un Punto (riferibile alla Tetraktis Pitagorica). Parole Sacre: alla Domanda «Io sono», si risponde: «Noi siamo»; Parole di Passo: alla domanda: «Natura» si risponde «Verità». Segno: alzare le mani verso il cielo, ad ypsilon. Ragon inoltre descrive un’immagine («Signature ou Caractéristique»)consistente in un edificio quadrato su cui poggiano quattro Triangoli con un punto centrale che rappresenta il Mondo”®2. Viene quindi spiegato che il simbolismo dell’87° Grado è riferito al Macrocosmo e che la successione dei tre Templi rappresenta il passaggio dal Caos e dalle Tenebre alla prima manifestazione della vegetazione e della vita e, quindi, alla rivelazione del Fuoco cosmico, che si traduce in una progressiva presa generatore della Creazione, di coscienza dell’armonia cosmica e della posizione dell’Uomo al suo interno, che culmina, secondo Rombauts, «nella più grande afflizione per la cecità e l’incapacità di comprendere dei nostri simili». Inoltre, il Segno del Grado, che consiste nell’alzare le mani verso il cielo, ad ipsilon, «gli occhi in ammirazione, per rendere grazie al Dio unico» nella tradizionale posizione di preghiera, ricorda la Y pitagorica, presente anche nel Sigillo Segreto del Rito, e allude alla possibilità di scegliere fra due vie, una delle quali porta alla negazione dell’essere ed alla disperazione, mentre l’altra, che rappresenta la Luce e la Verità, conduce l’iniziato all’integrazione con i piani superiori dell’Universo. Il secondo Grado del Regime di Napoli, l’88° del Rito di Misraim (Sublime Pontefice della Massoneria, Patriarca della Città Mistica, Grande Eletto della Corte Sacra), definito «Grado Filosofico», rappresenta la partecipazione interiore dell’iniziato alla corrente vitale del cosmo o macrocosmo. Presenta un Tempio di forma ovale con parati di colore verde acqua e con un Sole radiante al sopra del trono del Gran Presidente. La Parola Sacra è Zao (io vivo), la Parola di Passo è Balbec (o Heliopolis); il Segno, detto «di riflessione», consiste nel por-

il

assimilato al Dio Amon, ma è anche assimilato all’Agatodemone o Serpente vivente dei Fenici; nel simbolismo massonico è raffigurato come Uovo alato. 782 Ragon (Tuileur, cit. p. 306) afferma che i fratelli Bédarride non conoscevano il significato di questo geroglifico che si trovava al centro del Grande Sigillo dell’Ordine che dimenticarono a casa sua, senza peraltro mai reclamarlo.

369

tare la mano sinistra al di sopra del sopracciglio a indicare il «rientro in se stesso», mentre il mantello azzurro indossato dai membri di questo Grado è «l’abito classico del Filosofo» ed indica la sua protezione dagli attacchi esterni e la sua capacità di racchiudersi in se stesso nella meditazione. Viene spiegato che il Sole che brilla al centro di un mondo ovale ci ricorda il nostro posto nella natura manifestata e vivente. Negli insegnamenti segreti del Grado riportati da Rombauts e ripresi da Ambelain, viene detto che alcuni uomini si ribellano contro la morte del corpo, mentre la saggezza consiste nel comprendere le leggi della Natura e nel sottomettersi ad esse senza turbare l’economia universale che consiste proprio nell’equilibrio fra la dissoluzione degli elementi corporei e la reincarnazione delle anime; viene pertanto criticata la consuetudine egiziana di mummificare i cadaveri in quanto con questa pratica l’anima resta legata al corpo e le è impedito di prendere il volo nella corrente ascendente e discendente delle anime liberate. Vengono poi descritti i vari stadi successivi alla morte fisica e il destino delle anime che, dopo un periodo in cui restano attaccate al corpo e agli interessi terrestri, se ne distaccano e cadono nel cono d’ombra della Terra, che è il luogo di soggiorno delle anime disincarnate, ed ogni mese la Luna attraversa questo cono d’ombra, portando con sé le anime sofferenti. Per compiere il suo destino, l’anima deve dunque passare per i quattro Elementi: l’Acqua da cui è composto il corpo; la Terra, nel periodo in cui resta attaccata al corpo; l’Aria, durante il suo soggiorno nel cono d’ombra della Terra; il Fuoco, quando, dopo essere stata liberata dalla Luna, entra nella «gioia della radiazione solare»'83, Durante il passaggio nel «cimitero astrale» che avvolge la terra, l’anima conserva la sua personalità e la coscienza, in modo da poter pesare e giudicare le proprie azioni, concetto simboleggiato dalla Bilancia raffigurata nel Grande Sigillo, mentre le Tavole della Legge, che vi si vedono parimenti, rappresentano la sottomissione dell’iniziato alla legge cosmica. L’89° Grado (Sublime Maestro della Grande Opera, Sovrano Gran Patriarca o Cavaliere Grande Eletto della Città Mistica), definito «Grado Mistico», è detto anche il «Grado del Mediatore» in quanto riguarda il «legame vivente tra il visibile e l’invisibile, tramite la mediazione

Questa parte ricorda quanto ha scritto Plutarco (Il volto della Luna, 27-29, ed. Adelphi, Milano 1991, pp. 106-115) sul ruolo della Luna in rapporto al destino delle anime, ed è verosimile che sia stata scritta da Mallinger in base ai suoi studi sulla tradizione pitagorica e sull’opera di Plutarco (cfr. J. Mallinger, 1 segreti esoterici di Plutarco, ed. Atanor, Roma 1987). 783

370

degli spiriti celesti» e Ragon precisa che «questo Grado, il più meraviglioso e il più sublime di tutti, richiede la più grande forza d’animo, la più grande purezza di costumi e una fede assoluta». Il Tempio è rosso ed al suo centro arde in permanenza il Fuoco Sacro circondato da tre Cerchi; l’abbigliamento prevede un mantello bianco ed un cordone rosso bordato di nero; la Parola Sacra è Iehovah (o Zeus), quella di Passo è Uriel, l’Angelo del Fuoco (o Hephaistos, il fabbro divino); il Segno, detto “d’intrepidezza” consiste nel toccarsi mutualmente il cuore, con il medio della mano destra, pronunciando la Parola d’ordine «Il mio cuore non trema». L'elemento dominante di questo Grado è il Fuoco, che costituisce il «grande legame l’invisibile ed il visibile, prima con i fuochi sacri, fiamme viventi che animano una tornata rituale, poi con il fuoco spirituale, che raggiunge l’anima e la trasporta con le delizie dell’unione con la sua fonte ineffabile»; il Fuoco, precisa poi la Nota, «è abitato ed animato da esseri invisibili ai nostri occhi ma percettibili da un iniziato che li chiama Pre-adamiti o Salamandre o ancora Geni del Fuoco». Mentre nel Tempio tutto è rosso, il mantello dell’iniziato è bianco, «colore sacerdotale per eccellenza», in quanto «per entrare in contatto con le potenze angeliche che servono da intermediari, da mediatori, tra le gerarchie degli spiriti celesti e gli uomini ancora incarnati nella materia, il richiedente deve essere puro di corpo, puro di veste, puro di cuore e di pensiero».

tra

il

Rombauts evidenzia ulteriormente il carattere “teurgico” di que-

sto Grado, affermando che nello stato di meditazione profonda o nel corso delle cerimonie rituali è possibile entrare in contatto con la gerarchia degli esseri invisibili e con la catena degli Istruttori che nel passato hanno ispirato profeti, saggi e legislatori, ricordando come gli Egiziani, nei loro sacri riti, facessero «discendere gli Dei che si muovevano nei Templi ed animavano le loro immagini». E infatti privilegio degli iniziati di collegare il Cielo alla Terra ed ottenere che le loro invocazioni abbiano effetto immediato, come ricorda la Scala raffigurata nel Grande Sigillo. Rombauts spiega infine che, per ottenere una illuminazione personale o la sensazione collettiva di una presenza invisibile, occorre un rigoroso addestramento con un particolare regime di vita ed esercizi di respirazione (la pratica detta «Boule blanche») fino a raggiungere il perfetto controllo dello spirito sul corpo, e allora «un Serpente di Fuoco corre dal coccige alla radice del naso». Ambelain, nell’allocuzione del Gran Maestro al Rituale di iniziazione all’89° Grado, afferma che «Ermete Trismegisto è il più antico

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Terofante dell’antico Egitto ed è colui che, come si crede, ha creato legame fra la tradizione delle razze scomparse a quella attuale» e prosegue sostenendo che fra le tradizioni ermetiche orali giunte fino a noi si trova il Kybalion, un testo pubblicato nel 19087! e che le leggi ermetiche che vi sono esposte costituiscono una «vera rivelazione». Il rituale prosegue quindi con l’enumerazione delle sette «Leggi dell’Assoluto» desunte dal Kybalion: Legge del Mentalismo Integrale («Tutto è mentale, Tutto è Spirito, lo Spirito è Tutto»), Legge dell’Analogia («Ciò che è in alto è come ciò che è in basso»), Legge della Vibrazione («Tutto vibra, niente è in stato di riposo»), Legge della Polarità («Tutto è doppio, tutto ha due facce, tutto ha due poli»), Legge del Ritmo («Tutto scorre, all’interno e all’esterno; ogni cosa ha la sua durata; tutto evolve, poi degenera; l’oscillazione del pendolo si manifesta nel tutto. Il ritmo è costante»), Legge di Causalità («Ogni causa ha il suo effetto, ogni effetto ha la sua causa. Tutto avviene conformemente alla legge; il caso non è che il nome dato ad una legge ignota; vi sono numerosi piani di causalità, ma niente sfugge alla legge»), Legge dei Generi («Tutto il

possiede un principio maschile ed un principio femminile. Il genere si manifesta su tutti i piani»). Ai sette principi esposti nel Kybaliom Ambelain ne aggiunge altri due: la Legge dell’Amore («Le vibrazioni dello stesso senso si attirano, si riuniscono e si

Il Kybalion, pubblicato nel 1908 dalla Yogi Publication Society of Chicago (trad. it. ed. Napoleone, Roma 1971; altra, ed. Venexia, Roma 2000); la redazione del testo è attribuita a Tre Iniziati, ma si ritiene che sia opera del giurista, scrittore e filosofo americano William Walker Atkinson (1862-1932), probabilmente insieme ad altri due scrittori (Paul Foster Case e Mable Collins). Atkinson, che era il proprietario della casa editrice di Chicago, è stato autore di diverse popolari opere sulla filosofia e le tecniche Yoga, pubblicate sotto lo pseudonimo di Yogi Ramacharaka; Atkinson aveva inoltre aderito al New Thought (Nuovo Pensiero), un movimento sviluppatosi a partire dalla fine dell’Ottocento che ha dato origine anche a diverse Chiese (Chiesa di Scienza Divina, Unity Church, Scienza Religiosa) che, pur collocandosi all’interno del Cristianesimo, ne propongono un’interpretazione libera, considerando il pensiero una forza potente, punto di contatto con Dio, e sostenendo che il pensiero positivo porta la guarigione, dato che la maggior parte delle malattie ha un’origine mentale. Gli argomenti esposti nel Kybalion, presentati come una summa degli insegnamenti ermetici, derivano in realtà dalle moderne concezioni del New Thought relative al mentalismo, al risveglio ed alla guarigione: nel testo si afferma infatti che si possono modificare gli stati mentali propri e degli altri in una sorta di trasmutazione mentale o alchimia mentale in base a sette principi o assiomi fondamentali.

784

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rafforzano mutualmente») e la Legge di Vita («Tutte le vibrazioni tendono naturalmente ad elevarsi nella scala dell’armonia universale»). Il rituale prosegue quindi con la Purificazione del recipiendario e si conclude con la sua Investitura. L’ultimo Grado del Regime di Napoli, il 90° del Rito di Misraim (Patriarca Sublime, Sovrano Gran Maestro Assoluto, Maestro della Grande Opera) rappresenta «la conclusione, il risultato di una evoluzione interiore, il coronamento del lavoro iniziatico». Il Tempio è di forma rotonda e di colore bianco ed è detto Concistoro della Saggezza: sulla parete d’Occidente si trova la rappresentazione dell’Universo con i globi celesti e quello terrestre, mentre sulla parete d’Oriente il Gran Nome di Dio illumina la sala, e sul pavimento si vede il Sigillo Segreto del Rito. La Parola di Passo è Sophia (Saggezza), la Parola Sacra è Isis, alla quale si risponde con la Parola Osiris. L’Acclamazione consiste nel ripetere tre volte «Fiat» in riferimento alla formula di Apertura e di Chiusura dei Lavori: «Pace agli uomini». Il Sigillo Segreto del Rito presenta un Triangolo con un punto centrale (simbolo dell’irradiamento divino) con una stella ad ogni estremità; sotto il triangolo si trova una Y (la scelta fra due vie) che forma raggi che escono dal Triangolo; il tutto è circondato da due Quadrati intrecciati, uno giallo e l’altro arancione (Spirito e Materia) all’interno di tre cerchi concentrici di colore verde, marrone e blu (i Tre Mondi). L'abito rituale consiste in un grembiule su cui sono raffigurate le immagini del Sole, della Luna e dei Sette Pianeti e di un Uovo alato, simbolo della generazione del nostro mondo dal Caos «secondo la teologia di Hermopolis», con una palma a sinistra, sotto la Luna, «simbolo dei frutti della terra nati dall’azione fecondante del sole», e una scala a destra, sotto il Sole, che indica i gradi dell’ascesa personale. Sul collare si trovano sette Stelle, l’Ouroboros, perché «la filosofia di questo ultimo grado chiude cerchio dell’iniziazione masle due polarità del mondo, due mani sonica», Giano, che rappresenta unite e le parole «Nulla al di là; pace agli uomini». Nelle Note accluse alla versione del 1816, viene detto che, mentre sul piano spirituale bisogna salire grado per grado la Scala mistica per raggiungere l’ineffabile, sul piano materiale esiste un dovere puro, quello di essere «un uomo socialmente utile, irraggiante sugli altri la luce ed il calore che ha ricevuto», e si conclude affermando che questo Rito ha in sé «un insegnamento non equivoco di amore universale, di pace sociale, di elevazione spirituale, di collaborazione con il cielo». Concetti che vengono ribaditi da Rombauts quando afferma che

tre

il

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questo Grado conferisce all’iniziato una sorta di «saggezza cosmica» e lo rende consapevole del suo dovere di illuminare e guidare i suoi simili in base all’ideale espresso dalla formula «Pace agli uomini» intendendo sia la Pace interiore derivante dall’Illuminazione, sia quella esteriore in una vita sociale basata sulla pacifica collaborazione di tutti e priva di qualsiasi forma di coercizione: «Il saggio è il possessore e l’iniziatore della Pace». E Ambelain, alla fine del Rituale iniziatico così esorta il nuovo iniziato: «Figlio della Grande Luce, ti è stata conferita la pienezza dell’iniziazione, l’espansione di tutte le Rivelazioni, l’uso di tutte le forze. Aiutato dalle tue guide, ispirato dai loro insegnamenti e sostenuto dal loro appoggio, procedi verso il tuo destino, sii una stella che lascerà dietro di sé un’imperitura scia di luce. Sii un giorno benedetto dagli uomini per il calore e la luce che hai generosamente irradiato su di essi per il loro bene. Sii il capo, la guida, il Maestro e il loro animatore. Compi il tuo lavoro e persegui attivamente l’ineffabile bene della Pace». CONSIDERAZIONI SULLA VIA INIZIATICA DEGLI ARCANA ARCANORUM Possiamo osservare che nell’elaborazione dei rituali massonici, fin dal XVIII secolo, sono state inserite considerazioni e affermazioni di natura morale, sociale e culturale proprie del periodo storico in cui i rituali sono stati redatti, e che tali formulazioni si sono sovrapposte e intrecciate con quello che costituisce il loro nucleo centrale, basato

su insegnamenti tradizionali e derivato da forme iniziatiche di origine più remota. Appare evidente che ciò è accaduto anche nel caso degli Arcana Arcanorum, per cui molti loro aspetti sono da considerarsi frutto dell’intervento dei diversi redattori, come la posizione assunta, nell’88° Grado, contro la pratica della mummificazione, il che segna un evidente contrasto con la tradizione egizia, o come quando Ambelain, nell’iniziazione al 98° Grado, inserisce il riferimento ad un testo moderno come Kybalion, che, pur richiamandosi formalmente alla tradizione ermetica, non appartiene ad essa; altrettanto lontane dalla tradizione iniziatica appaiono, in generale, le frequenti affermazioni moralistiche e le considerazioni a sfondo sociale inserite nei commenti e nelle spiegazioni dei rituali. Consideriamo ora gli elementi che potrebbero invece risalire ad un’antica tradizione iniziatica. Nel rituale dell’87° Grado, la presenza

il

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di tre templi, diversi per colore ed illuminazione, simboleggia in modo particolarmente suggestivo il passaggio dalle Tenebre alla Luce e potrebbe effettivamente derivare da un più antico rituale iniziatico; la successione tre colori, il nero, il verde e il rosso, evoca il succedersi dei Colori nell’Opera alchemica, dove il Nero indica la fase iniziale (il Primo Chaos, la Testa di Corvo), il Verde rappresenta il Solvente, Fuoco Segreto che agisce durante la prima Soluzione e che precede l’apparire del Bianco (l’Albedo), mentre il Rosso è il Colore della Pietra Filosofale. Anche nel Segno a Ypsilon possiamo riconoscere un riferimento all’Opera alchemica: nella VI Tavola del Sy7z2bola Aureae Mensae di Michael Maier’®, ritroviamo infatti la Y pitagorica sollevata dalla figura del Rebis, il che ci suggerisce un significato ulteriore rispetto a quello della scelta fra due vie, essendo invece qui il simbolo dell’unione delle due Nature, maschile e femminile, solare e lunare. Va inoltre detto che la posizione delle due braccia alzate corrisponde al simbolo egizio del Ka, lo spirito vitale incarnato nel “Doppio” di un individuo: formato insieme alla persona, il Ka veniva spesso raffigurato con il suo stesso aspetto, ed in effetti, esso è una specie di “Doppio”, indissociabile dall’individuo cui appartiene, e che può continuare a vivere nella tomba”; Il più comune simbolo del Ka è però un segno composto delle due braccia alzate, con le mani aperte, in un gesto che appare di invocazione, ma che fa anche pensare alla possibilità di assorbire l’energia cosmica attraverso il palmo delle mani Il passaggio attraverso i tre Templi, dalle Tenebre alla Luce, come il processo dell’Opera alchemica, rappresenta il progredire della coscienza nella comprensione delle leggi che regolano il Cosmo, per cui giustamente questo Grado è definito “macrocosmico”. Non a caso, dunque, fra i suoi simboli compare il numero 72, rappresentato dai due gruppi di 36 stelle che illuminano il terzo Tempio e che rappresenta la “cifra”, l’unità di misura per il calcolo dei Cicli Cosmici, della legge che regola il rapporto della Terra con l’Universo stellare: ricor-

dei

il

785 M. Maier, Symbola Aureae Mensae duodecim Nationum, Francoforte 1617, p. 238. La tavola illustra il VI Libro, dedicato ad Alberto Magno che, ricordiamo, fu il maestro di Tommaso d’Aquino. 786 Negli affreschi che ornano la Stanza della Teogamia a Luxor, si vede il Dio Khnum che, sulla ruota da vasaio, forma le figure di due fanciulli uguali, uno dei quali porta il dito alla bocca, nel tradizionale gesto del Silenzio (cfr. L. Lamy, Misteri egizi, Milano 1982, p. 25).

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diamo infatti che 72 sono gli anni necessari perché il “Punto Vernale”, corrispondente all’Equinozio di Primavera, percorra un grado della fascia zodiacale, segnando l’avvicendarsi delle ere sul grande orologio macrocosmico. L’importanza di questo numero era ben nota agli antichi Egizi che raccontavano che Osiride fu ucciso da Seth con l’aiuto di 72 congiurati, volendo in tal modo alludere alla valenza cosmica dell’episodio”®’. Ma il numero 72 è significativo anche perché rappresenta il rapporto fra il cerchio e il pentagono, simbolo dell’energia cosmica e del potere magico e, secondo i Pitagorici, espressione dell’Amore e dell’unione matrimoniale’®%: il pentagono o la stella pentagonale dividono infatti il cerchio in cinque settori di 72°; inoltre 72 sono i “Quinari” del Cielo, i gruppi di 5° in cui si può dividere la circonferenza zodiacale e che corrispondono ai 72 Nomi di Dio e agli Angeli della Cabala, come ai 72 Demoni delle Clavicole di Salomone. Segnaliamo anche un particolare curioso: il segno del Grado, con le mani alzate verso il cielo è lo stesso che, nel Presepe napoletano, compie il “Pastore della Meraviglia”, ed è ancora più singolare che nella Cabala del Lotto alla “Meraviglia” corrisponda proprio il numero 72, il che induce a riflettere su quanti aspetti del simbolismo “egizio” possano trapelare anche dalle tradizioni popolari napoletane. 1’88° Grado è stato giustamente definito “Grado Filosofico” in riferimento al mantello azzurro, l’abbigliamento del mago-filosofo e al Segno di portare la mano sotto il sopracciglio nell’atteggiamento di chi medita profondamente. L’oggetto delle filosofiche riflessioni di questo Grado riguarda il Post-Mortem e il destino delle anime: gli insegnamenti trasmessi in merito sono di ispirazione neoplatonica, il che potrebbe ben rispecchiare un’origine antica, se si prescinde dalle considerazioni a favore della inumazione e contro la pratica della mummificazione che sono certamente degli apporti più recenti e che rivelano invece l’influsso di concezioni giudaico-cristiane. La struttura ovale e di colore verde-acqua del Tempio, con il Sole radiante al centro, può essere intesa come la raffigurazione simbolica del “Piano Astrale”, di quel piano, o di quei piani invisibili in cui soggiornano gli spiriti disincarnati ed altre entità immateriali.

Plutarco, Iside e Osiride, 13, cit, p. 70. 788 Va anche detto che i segmenti che compongono la stella pentagonale o Pentagramma, nel loro intersecarsi, sono divisi in base al rapporto aureo, espressione della legge universale che sovrintende ad ogni forma di crescita. 787

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Dopo aver preso coscienza dei piani invisibili e dei loro abitatori, l’iniziato, nel successivo 89° Grado, impara come entrare in contatto con il mondo invisibile. Il carattere decisamente “teurgico” di questo Grado è rivelato dalla presenza del Fuoco Sacro che arde, circondato da tre cerchi, al centro di un Tempio di colore rosso, oltre che dalla Parola di Passo che evoca Uriel, l’Angelo del Fuoco, il che consente di riconoscere un inequivocabile collegamento con l’Opera del Fuoco descritta negli Oracoli Caldaici. Del tutto fuori luogo, in tale contesto, appare il rimando al Kybalion, i cui insegnamenti non hanno nulla in comune con tale antica pratica evocativa e il cui inserimento rende banale il significato veramente profondo e “terribile” di questo Grado. Invece, il Segno “d’intrepidezza” e la Parola d’Ordine «Il mio cuore non trema», che evidentemente fanno parte della formulazione originaria, rivelano una perfetta coerenza con il carattere pericoloso delle pratiche evocative, per affrontare le quali l’iniziato deve rivestire il mantello bianco, simbolo della purezza del suo cuore e del suo equilibrio interiore. Il simbolismo del 90° Grado rappresenta una sintesi degli Arcana Arcanorum: il Tempio, di forma rotonda e di colore bianco, così come la Parola di Passo (Sophia), esprimono il raggiungimento della saggezza, mentre le Parole Sacre (Isis e Osiris) evocano l’origine egiziana del Rito; nel Sigillo Segreto e nell’abito rituale ne ritroviamo i più significativi elementi simbolici: il Triangolo con il punto centrale, la Y pitagorica, i due Quadrati intrecciati (Spirito e Materia) all’interno di tre cerchi concentrici (i Tre Mondi), l’Uovo alato, detto Knepbh, simbolo della generazione, la Scala, simbolo dell’ascesa, e l’Ouroboros, simbolo alchemico del perpetuo divenire. Possiamo dunque concludere che gli Arcana Arcanorum, pur nelle redazioni pervenute e malgrado apporti “moderni”, rivelano effettivamente la presenza di una “Scala” di Gradi iniziatici che parte da considerazioni relative alla Natura e ai suoi Segreti, con evidenti riferimenti alla dottrina tradizionale dei Cicli Cosmici ed al’Opera alchemica, per poi passare ad insegnamenti relativi al Post-Mortem ed all’esperienza teurgica, e giungere infine ad uno stato di completezza iniziatica e di saggezza.

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IL PRINCIPE DI SANSEVERO E IL RITO EGIZIO Dal momento che risulta verosimile che i rituali del Regime di Napoli siano stati elaborati al fine di inserire in un sistema massonico degli

elementi derivati da una precedente trasmissione iniziatica, dobbiamo ora chiederci chi abbia compiuto questa operazione, quando e perché. All’ultimo interrogativo è facile rispondere: l’inserimento nel sistema massonico avrebbe assicurato la sopravvivenza e l’ulteriore trasmissione degli insegnamenti raggruppati sotto il titolo di Arcana Arcanorum, anche se non in forma esplicita, ma sotto il velo dei simboli e all’interno delle cerimonie rituali. Per quanto riguarda chi abbia avuto interesse a compiere questa operazione, appare molto probabile che si tratti di quella stessa confraternita occulta che aveva fino allora assicurata la trasmissione della tradizione iniziatica “egiziana” ed ermetica operando all’interno di Accademie come quella dei Segreti di Della Porta, e lasciando testimonianza del proprio retaggio iniziatico nelle opere di letterati, filosofi e artisti, oltre che nelle ricerche alchemiche e negli studi scientifici. Ricordiamo, a tal proposito, che verso il 1735, secondo quanto riferisce Miinter, esisteva a Napoli un gruppo latomistico, formato da laici ed ecclesiastici, che si riuniva in un convento di Francescani per dedicarsi allo studio di testi alchemici e rosacrociani, ricerche degli alchimisti del secolo precedente’®°, proseguendo Sul quando sia potuto avvenire questo “innesto”, sono state formulate diverse ipotesi: Ventura afferma che ufficialmente gli Arcana Arcanorum sono giunti in Europa nel 1782, quando Parenti, iniziato a Zante in una Loggia del Rito di Misraim, portò il manoscritto con i relativi rituali a Bruxelles, ma ritiene anche che possano essere giunti precedentemente a Napoli, portati dal cavaliere Luigi d’Aquino e da Cagliostro, che erano stati iniziati nella Loggia Discrezione e Armonia di Malta: «Rituali e regolamenti della Loggia sarebbero stati portati a Napoli nel 1767 e ad essi sarebbero poi stati aggiunti - a opera del forse, dal Balsamo, grazie ai suggerimenti di Altotas — tre d’Aquino altri Gradi, denominati Arcana Arcanorum, e noti, poi, in Francia e

le

e,

789 Aus den Tagebiichern Friedrich Miinter, a cura di Ojvind Andreasen, KopenhaLeipzig, 1936, vol. IL, p. 5. Cfr. R. di Castiglione, op. cit. p. 76.

gen

e

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nel Belgio come Scala o Regime di Napoli»; rispetto a questo passo del Ventura, Galiano ritiene che esso «lascia intendere che essi (gli Arcana Arcanorum) fossero già esistenti a Napoli e non provenissero dalle isole Ionie» ritenendo quindi possibile una loro connessione con il Principe Raimondo di Sangro e con le precedenti confraternite rosacrociane e alchemiche”’!, Un’ipotesi che non sembra priva di fondamento dal momento che, come abbiamo potuto vedere, una tradizione esoterica di derivazione o, almeno, di ispirazione egizia era senz'altro presente a Napoli ed è da essa che sarebbero potuti derivare i rituali massonici degli Arcana Arcanorum: in tal caso la loro creazione andrebbe retrodatata e potrebbe effettivamente essere frutto di in intervento del Principe di Sansevero. In un testo pubblicato online dal Sovrano Santuario Nazionale d’Italia del Rito Antico e Primitivo di Mempbhis-Misraim, viene riprodotto un documento del 1886 della Loggia Perfetta Unione, la “Tavola Barbaia”, nella cui intestazione si dichiara che il «Rito Templare di Mizraim» era praticato nella Loggia fin dalla sua fondazione nel 17287; sempre nel testo del Sovrano Santuario Nazionale è anche scritto che il 10 dicembre 1747 il Principe di Sansevero avrebbe fon790 G. Ventura, op. cit. pp. 28 e 43-44; Ventura aggiunge che il Rito Egiziano di Cagliostro avrebbe avuto «parecchie cose in comune sia con la Scala di Napoli che con gli I/luminati di Avignone». Cfr. V. Vanni, Il simbolismo massonico e la pseudo-tradizione egizia, pp. 7-8 (risorsa online: www.base.it/collegiotoscano/antimassoneria/ vanni_egizia). P. Galiano, Gli Arcana Arcanorum e Raimondo de Sangro, ed. Simmetria, Roma 2010, pp. 108-111. Sulle radici alchemiche e rosacrociane dei riti massonici egizi, vedi anche D, Labouré, Secrets, pp. 129-130. Galiano cita anche il ritrovamento di un manoscritto redatto nell’Ottocento, probabilmente su una base più antica, intitolato rituaArcana Arcanorunm seu Schala Neapolitana ì cui contenuti, per quanto riguarda li, coincidono con quelli dei documenti francesi e che comprende anche i disegni di tre sigilli corrispondenti a tre livelli di evocazione (cfr. G. Maddalena-Capiferro, C. Guzzo, Arcana Arcanorum, alle radici dell’Ordine Osirideo Egizio, ed. Rebis, Viareggio 2005; G. Lo Monaco, V. Fincati, Arcana Arcanorum — Segreti dell'Ordine Osirideo Egizio, ed. Primordia, Milano 2004).

791

i

792 Fr. Nelchael e Fr. Ta’-Meri, Breve storia illustrata dei Riti Egizi e della Tradizione Italico-Mediterranea, p. 11 (risorsa online in: loggiadeguaita.com). Nell’intestazione della lettera o Tavola firmata da Domenico Barbaia, M.: V.: della Loggia Perfetta Unione si legge: «R.: Loggia Perfetta Unione di Rito Templare di Mizraim, Or.: di Napoli, costituito nel 1728 dalla G.: L.: d'Inghilterra. Passato nel 1776 all’obb.: della G.: L.: Nazionale di Napoli. Ristabilito nel 1809 G.: O.: di Napoli. Ricostituita nel 1885 all’obbedienza del Sup.: Cons.: del 33.: Gr.: per la Giurisdizione Italiana sedente in Torino». Cfr. R. di Castiglione, op. cit. p. 100 e foto n. 2.

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dato nel suo palazzo un Antiguus Ordo Aegypti e che questo Ordine avrebbe operato con il Rito di Misraini”’. Il 10 dicembre 1747 è del resto la data a cui si fa risalire la fondazione a Napoli del Rito Antico e Primitivo di Mempbhis-Misraim secondo quanto si può leggere nell’intestazione del suo bollettino ufficiale: «Le Piramidi di Memfi»’”* ed è quindi a tale periodo che dovrebbe risalire la redazione degli Arcana Arcanorum, sistema che, secondo Soro, fu creato dai «Rosacroce del ramo italico». Possiamo pertanto affermare che la creazione del Rito Egizio all’interno della Massoneria napoletana, voluta e promossa dai circoli alchemici e rosacrociani esistenti a Napoli, possa essere datata intorno al 1747, anche se il riferimento alla tradizione egizia doveva essere presente fin dalla fondazione della Loggia Perfetta Unione nel 1728. Decisivo deve essere stato, in quegli anni, il contributo dato dal Principe di Sansevero, le cui visioni erano profondamente legate alla tradizione ermetica e rosacrociana, e possiamo rilevare diversi riferimenti all’antica sapienza Egizia sia nei suoi scritti, sia nella decorazione scultorea della Cappella, nella quale le sculture del Disinganno e della Pudicizia, dedicate ai genitori del Principe, sono addossate a due obelischi, mentre altre quattro, la Sincerità, la Soavità del giogo matrimoniale, la Liberalità e l’Educazione, hanno alle spalle altrettante strutture piramidali che, come abbiamo già avuto modo di osservare, costituiscono le quattro facce di un’unica piramide”. Cfr. Breve storia illustrata dei Riti Egizi, cit. pp. 11 e 17. Nel testo si afferma anche che successivamente il Principe di Sansevero avrebbe fondato un Cerchio Iniziatico molto ristretto denominato Rosa d’Ordine Magno con il compito di preservare la Scala di Napoli, informazione, quest’ultima, che però non ci sembra attendibile dal momento che si basa su una lettera che il Principe avrebbe inviato a Tschudy il 14 novembre 1753 e che è stata pubblicata da C. Miccinelli (E Dio creò l’Uomo e la Massoneria, Genova 1985, pp. 41 ss.), ma della cui autenticità non siamo affatto convinti, anche se di parere contrario sembra R. di Castiglione, che ne fa menzione nel suo testo (op. cit. p. 121). Sull’argomento vedi anche G. Maddalena, C. Guzzo, G. Lo Monaco, Nicodemo Occhiboni, Anagrammi e arcani nel linguaggio di Domenico Bocchini pitagorico, ed. Carpe Librum 2001. 794 Le Piramidi di Memfi. Bollettino ufficiale del Sovrano Santuario dell’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Mizraim, Potenza suprema fondata in Napoli nella Valle del Sebeto il 10 dicembre 1747. Si pubblica il 1° e il 15 di ogni mese. Direttore Luigi Sacco. Napoli, tip. Morano, 1887-88. 795 V. Soro, gran libro della natura, ed. Atanor, Roma. 793

Il

796 Cfr. S.E.F. Hébel, La Cappella Filosofica del Principe di Sansevero (cit.), in cui abbiamo esaminato in modo esteso gli aspetti simbolici della Cappella Sansevero in

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Nella Lettera Apologetica, parlando delle origini della scrittura, il Principe afferma che il regno degli Egiziani esisteva già 13.000 o 23.000 anni prima di Alessandro Magno e che la scrittura era già presente, fra gli Egizi, 400 anni prima di Mosè; ribadisce quindi, seguendo la Tradizione Ermetica, l’antichità di Ermete Trismegisto e ricorda il mito, riportato da Flavio Giuseppe, delle due colonne, una in mattoni e l’altra in pietra, erette per conservare la conoscenza attraverso le catastrofi di fuoco e acqua’””, Successivamente, a proposito del TAU o «Figura Tautica dell’Albore della Vita» afferma che si tratta di un’immagine tramandata da Adamo fino a Noè e da questi trasmessa, tramite il figlio Cham, al nipote Mzisrairm, fondatore del regno d’Egitto, spiegando che il TAU, segnato sulla fronte per indicare i salvati dalla distruzione di Gerusalemme nella Visione di Ezechiele, rappresenta l’Archea dell’Universo o Anima del Mondo e corrisponde a Vulcano, al calore e al Principio, segno parlante che indica la VITA, scritto con la Luce dalla mano di Dio”, Nel 1753, in seguito allo “scandalo” suscitato dalla sua appartenenza alla Massoneria, il Principe aveva inviato al Papa Benedetto XIV la Supplica umiliata, un testo scritto per difendersi dalle accuse che gli erano state rivolte, in cui però, quasi a voler ribadire la sua adesione alla tradizione esoterica egizia, aveva inserito nel frontespizio il disegno di una sfinge; anche in questo scritto, il Principe non manca di sottolineare ancora una volta l’antichità dei geroglifici, e di sostenere, citando Leibnitz e Spinoza, l’idea di una «LINGUA FILOSOFICA UNIVERSALE»’”. In entrambe le opere, il Principe cita inoltre più volte le Salamandre, gli Spiriti del Fuoco descritti da Paracelso e nel Conte di Gabalis, il che ben si collega al simbolismo del Fuoco ed ai rituali evocativi ai

rapporto alla tradizione ermetica. 797 R. di Sangro, Principe di Sansevero, Lettera Apologetica dell’Esercitato Accademico della Crusca contenente la Difesa del Libro intitolato Lettere d'una Peruana per rispetto alla supposizione de’ Quipu scritta alla Duchessa di 5..., Napoli 1750 (ristampa a cura di D. D’Alessandro, Napoli 1984), pp. 45-56. 798

Ivi, pp. 172-178.

799 R. di Sangro, Principe di Sansevero, Supplica di Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero umiliata alla Santità di Benedetto XIV Pontefice Ottimo Massimo in difesa e rischiaramento della sua Lettera Apologetica sul proposito de’ Quipu de’ Peruani, Napoli 1753 (composta coi caratteri della tipografia del Principe dagli stampatori Carlo Salzano e Francesco Castaldo e pubblicata il 25 Ottobre 1753), pp. 17-18 e 220.

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quali si riferisce l’89° Grado degli Arcana Arcanorum®. Particolarmente significativa appare una frase scritta del Principe nella Lettera Apologetica: «e comeché possa perciò tranquillamente aspettarmi nel mio ultimo transito d’andare a godere nella regione del fuoco la felicità delle 1n0deste e ritenute Salamandre», il che va riferito all’auspicio di trasformare se stesso in uno Spirito del Fuoco. Simbolo alchemico della Pietra fissata al Rosso e dello Zolfo incombustibile, ovvero di quel Sale centrale incombustibile e fisso che conserva la propria natura anche nelle ceneri dei metalli calcinati®°!, la Salamandra, come la Fenice, rappresenta la rigenerazione dell’uomo interiore, il suo trionfo sulla corruttibilità della materia. Ed è a tale possibilità di rigenerazione che è dedicato il sistema simbolico della Cappella che rappresenta, in tal senso, una versione “moderna” delle antiche concezioni egizie del post-mortem e del percorso dell’anima nell’Aldilà. Lo stesso senso ha anche la leggenda popolare, riportata da Croce, secondo la quale il Principe, volendo risorgere dopo morto, si fece tagliare in dodici pezzi da uno schiavo moro e deporre in una cassa dalla quale sarebbe dovuto balzar fuori integro dopo un periodo di tempo stabilito; in questa storia, che ricalca il mito della morte e resurrezione di Osiride, ritroviamo l’immagine del corpo fatto a pezzi presente in alcuni testi alchemici per indicare una specifica operazione finalizzata alla sua rigenerazione, come possiamo vedere nel testo rosacrociano delle Nozze Chimiche®®.

800 Lettera Apologetica, p. 99; Supplica umiliata, pp. 25, 34 e 122-25. Paracelso parla delle Salamandre nel suo Liber de Nympbis, Sylphis, Pygmaeis et Salamandris et de caeteris Spiritibus (ed. a cura di R. Blaser, Berna 1960; trad. it. in Paracelso, Scritti alchemici e magici, ed. Phoenix, Genova 1991); N.P.H. Montfaucon de Villars, Il Conte di Gabalì, ovvero Ragionamenti sulle Scienze Segrete, tradotto dal francese da una fine il Riccio rapito, poema del Signor Alessandro Dama Italiana; à quali è aggiunto Pope, tradotto d’inglese dal Signor Antonio Conti Patrizio Veneto, Londra, Pickard 1751 (pubblicato a Napoli nella stamperia del Principe di Sansevero).

in

801 Cfr. Fulcanelli: Misteri, cit. p. 86; Pernety: Dictionnaire, cit. p. 325; M. Maier: Atalanta fugiens, cit. p. 229.

Croce, Storie e leggende napoletane, ried. Adelphi, Milano 1990, p. 329. 803 Cfr. V. Andreae, Le Nozze Chimiche di Christian Rosenkreutz. Anno 1459, Strasburgo 1616, ed. it. Atanòr, Roma 1975, p. 90; vedi anche S. Trismoisin: Le Toison d'Or ou la Fleur des trésors (Parigi 1612, p. 73), ed. Retz, Parigi 1975, pp. 91 ss.; da notare che nei testi in questione viene in genere precisato che colui che decapita o fa a pezzi i corpi è un Negro, così come un moro sarebbe stato lo schiavo che secondo la leggenda aveva fatto a pezzi il Principe di Sansevero. 802

B.

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Nell’immaginario popolare, la storia di una presunta immortalità conquistata dal Principe, è stata anche collegata al monumento di Cecco di Sangro che era comunemente ritenuto il luogo in cui il corpo del Principe sarebbe stato deposto dopo la morte, pronto a balzar fuori dalla tomba, allo stesso modo in cui, armato di tutto punto, era raffigurato il suo antenato®*: va notato che la pelle di leone che fuoriesce dalla cassa e sulla quale sarebbe stato deposto il guerriero, corrisponde alla pelle leonina su cui era deposto il corpo del defunto egizio durante i riti volti ad assicurare la prosecuzione della sua vita dopo la morte. Come si può constatare, anche se il linguaggio simbolico del Principe di Sansevero appare ispirato soprattutto alla visione alchemica e rosacrociana, non mancano tuttavia precisi riferimenti alla tradizione egizia, per cui non appare affatto inverosimile che questo grande protagonista della storia esoterica partenopea possa aver contribuito in modo decisivo alla creazione del Rito Egizio napoletano. IL RITO EGIZIO NAPOLETANO FRA LA FINE DEL SETTECENTO E L’OTTOCENTO Dopo la scomparsa di Raimondo di Sangro, nel 1771, il titolo di Principe di Sansevero passò al figlio Vincenzo ed abbiamo notizia che nel 1767 era attiva una Loggia diretta dal «Duca di Sansevero» (ossia da Vincenzo di Sangro, Duca di Torremaggiore), definito «Gran Priore ovvero Supremo Architetto della società nei Regni di Napoli e Sicilia»: si trattava certamente della Loggia Perfetta Unione, che operava in modo indipendente e che, a quanto abbiamo letto nella “Tavola Barbaia”, praticava il «Rito Templare di Mizraim» fin dalla sua fondazione, per cui è verosimile che abbia continuato a praticarlo anche sotto la direzione di Vincenzo di Sangro: abbiamo inoltre appreso che, nel 1776, la Perfetta Unione, diretta dal di Sangro, aderì alla Gran Loggia Nazionale del Principe di Carmanico, ma dovette distaccarsene ben presto, assumendo di nuovo una posizione di completa indi-

Cfr. F. Colonna di Stigliano, La Cappella Sansevero, in Napoli Nobilissima, vol. Napoli 1895, p. 118. 805 De Castro, Il mondo segreto, cit. vol. VI, p. 93. 804 IV,

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pendenza: di questa Loggia fecero parte il Cavaliere Luigi d'Aquino e anche Cagliostro che, nel 1783, ne resse il maglietto per due mesi, Friedrich Miinter, nei suoi Diari, conferma che nel 1785 esisteva a Napoli una Loggia indipendente (sempre la Perfetta Unione) diretta da Vincenzo di Sangro, che operava con una Patente inglese che Vincenzo avrebbe ereditato dal padre®°”, mentre da Rinieri apprendiamo che nel 1788-89 la Loggia romana della Riunione degli Anici Sinceri, ebbe diversi contatti con la Perfetta Unione del Principe di Sansevero, definito «Gran Maestro della Primaria Loggia di Napoli»®°%, Nel 1790, a due mesi di distanza dall’arresto di Cagliostro, moriva Vincenzo di Sangro e nel 1794 i lavori della Perfetta Unione furono interrotti da un’irruzione della polizia in seguito alla quale fu giustiziato il Fratello Emmanuele De Deo. La Loggia venne poi ricostituita nel 1801 come Loggia militare e come tale operò fino al 1811. Nel 1815 Lorenzo di Montemayor®”, ufficiale dell’esercito napoleonico iniziato alla Massoneria Egiziana (Rito di Cagliostro), era il «Grande Cofto Fondatore e Gran Maestro dell’Alta Massoneria Egiziana in tutte le parti Orientali ed Occidentali del Globo», e come tale, accogliendo la richiesta dei Fratelli di una Loggia napoletana, ne autorizzò la costituzione come «Loggia Egiziaca e Loggia Madre per tutto l’Oriente, ed Occidente», con il Titolo distintivo della Sapienza Trionfante; nello stesso anno risultano appartenenti alla Massoneria Egiziaca anche un’altra Loggia napoletana, la Loggia mista d’adozioCfr. R. di Castiglione, Alle sorgenti, cit. pp. 124 ss. 807 Ivi, p. 101: si tratta probabilmente della Patente rilasciata nel 1728 che autorizzava la fondazione della Perfetta Unione. 806

808 I. Rinieri, op. cit. pp. 435-437. Le informazioni del Rinieri si basano sul Processo informativo fabbricato contro i Franc Magons della Loggia introdotta a Roma, un promemoria redatto nel 1790 da Giovanni Barbieri (segretario nel processo intentato dal Santo Uffizio a Cagliostro) per il Cardinale Zelanda, Segretario di Stato. Nel testo di Rinieri (p. 437) leggiamo anche che nel 1789 era rientrato nella Loggia di Sansevero il Fratello Palomba e ci chiediamo se non sia quel «Patriarca Palambola» che avrebbe elevato al 90° Grado del Rito di Misraim Marc Bédarride all’inizio dell’Ottocento. 809 Lorenzo di Montemayor (1764-1841), nato a Napoli, dopo aver servito come ufficiale nell’esercito borbonico, aderì alla Repubblica Napoletana e prese parte alla sua difesa, per poi riparare in Francia e militare nell’esercito napoleonico in cui venne promosso al grado di colonnello; nominato barone nel 1811, nel 1815 era a comando della fortezza di Ancona e organizzò la difesa di Gaeta, mentre nel 1819 comandava la piazza di Taranto e nel 1821 ebbe il comando di una brigata di fanteria (cfr. M. D’Ayala, Le vite de’ più celebri capitani e soldati napoletani dalla giornata di Bitonto fino a’ nostri giorni, Napoli 1843, pp. 495 ss.).

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ne denominata La Vigilanza, nella quale Montemayor aveva elevato Pietro Colletta$!° al Grado di Maestro, e una Loggia di Ancona, denominata L’Ercole alla Cittadella!', Sempre nel 1815, a dicembre, si svolse a Fano, presso la Loggia Folgore, una tornata alla quale parteciparono Logge Egiziane provenienti da diverse città italiane (Milano, Bologna Forlì, Firenze, Pesaro) fra cui anche la Perfetta Unione di Napoli, rappresentata da Pietro Colletta. Dopo l’Editto di Ferdinando IV del 1816 che ordinava lo scioglimento di tutte le organizzazioni segrete, anche la Massoneria Egizia del Rito di Cagliostro fu disciolta e anche della Perfetta Unione non si hanno più notizie®!?, Malgrado il decreto di Ferdinando IV i circoli massonici, insieme alla Carboneria, continuarono la loro attività impegnandosi nella lotta per la conquista delle libertà politiche, e nel 1820 organizzarono un’insurrezione con lo scopo di ottenere che il sovrano concedesse la Costituzione. Abbiamo già visto che nel 1860 il Rito di Misraim era presente sia a Napoli che a Palermo e che anche il Rito di Mempbis era presente nel Regno delle due Sicilie; nel 1863 alcuni Fratelli della Loggia Sebezia di Domenico Angherà5!’ dettero vita al Rito di Memphis e Misraim, fondando il Grande Oriente Egizio - Scala di Napoli, mentre dalla “Tavola Barbaia” abbiamo appreso che la Perfetta Unione venne ricostituita nel 1885 all’obbedienza del Supremo Consiglio di Torino. Notiamo inoltre che il richiamo alla tradizione egizia doveva essere ben vivo anche nella Carboneria, dal momento che a Pozzuoli esisteva 810

Cfr.

V.

Vanni, Pietro Colletta e la Massoneria Egiziana (risorsa online: esonet.it).

Pietro Colletta (1775-1831), ufficiale dell’esercito borbonico, aderì nel 1799 alla Repubblica Napoletana e al ritorno dei Borbone fu imprigionato ma riuscì a sfuggire alla pena capitale; durante il regno di Giuseppe Bonaparte fu reintegrato nell’esercito e nel 1812 fu promosso generale e conservò il suo grado anche dopo la restaurazione del regno borbonico; imprigionato di nuovo nel 1821, due anni dopo andò in volontario esilio a Firenze, dove si dedicò a studi storici e letterari, scrivendo la sua famosa Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825, pubblicata postuma nel 1834. 811 Cfr. €. Vanni, Il simbolismo massonico, cit. pp. 15 ss. I verbali di Loggia da cui sono desunte queste informazioni si trovano presso l’Archivio di Stato Nazionale di Napoli (Archivio Borbone) sotto il titolo di Travagli di Massoneria del generale Montemayor, fs. 1883, libercolo n. ° 1. 812 Cfr. G. Gabrieli, La Massoneria Egiziana in Rivista Massonica, nn. 3-4 e 9, Roma 1979. 813 Domenico Angherà (1803-1873): arciprete, massone e patriota, nel 1846 fondò a Catanzaro una Società Evangelica, dal motto Religione e Libertà; arrestato nel 1847, andò in esilio a Malta e dopo il 1860, tornato a Napoli, vi fondò la Loggia Sebezia.

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una Vendita Carbonara costituita sotto il titolo distintivo de I Figli di Arpocrate di Pozzuoli. Nell’ottobre 1886 furono infatti rinvenuti in questa città due sigilli di bronzo e tre decorazioni di bronzo dorato, poi acquistati da G. De Criscio per il suo “Gabinetto d’antichità” e che sono state così descritte in un giornale locale: «Il sugello più grande rappresenta, nella sua incisione, la statua o figura di Arpocrate tenente la sua mano sinistra col dito sulla bocca per ordinare il silenzio, avendo a sinistra una specie di nastro radiante. La mano destra della stessa figura è poggiata su di un tronco d’albero su cui sono un ramo d’ulivo, una scure ed una pala: al di sotto della figura leggesi SEGRETO O MORTE, intorno poi al suggello la leggenda è così: LA R...V...I FIGLI DI ARPOCRATE DI POZZUOLI. Nel suggello più piccolo osservasi incisa la stessa statua o figura di Arpocrate tenente la mano sinistra come nel grande suggello, e la sua destra poggiata al tronco d’albero senza nessun emblema. Sotto della stessa figura leggesi: L...R...V...DEI FIGLI DI ARPOCRATE A...Q...DI POZZUOLI. Le tre decorazioni di bronzo dorato rappresentano ciascuna una specie di stella composta dalla unione di tre triangoli posti l’un sull’altro, di modo che la predetta stella ha nove raggi a forma di triangoli»! L’ORDINE OSIRIDEO EGIZIO Abbiamo già esaminato le vicende dei Riti di Misraim e di Memphis collegati alle istituzioni massoniche: resta ora da considerare un’altra corrente esoterica di ispirazione egizia che si è sviluppata a Napoli, la cui storia, pur intrecciandosi con quella degli Ordini massonici, ne appare sostanzialmente distinta, richiamandosi piuttosto ad una tradizione iniziatica segreta risalente ai tempi della colonia alessandrina napoletana e detentrice dei Misteri dell’antico Egitto. A tale tradizione hanno fatto riferimento alcuni significativi personaggi dell’esoterismo napoletano, quali Domenico Bocchini, Pasquale de Servis, Giustiniano Lebano e, successivamente, il Kremmerz, che hanno promosso la fondazione di un Ordine Osirideo Egizio, intrecciando una fitta rete di contatti con diversi protagonisti dell’Occultismo ottocentesco come il romanziere Bulver Lytton, gli occultisti Eliphas Levi, Papus e la Blavatsky.

814 L’Emporio puteolano, anno Il, n. 44 del 31 ottobre 1886; cfr. R. Annecchino, Storia di Pozzuoli e della zona flegrea, a cura del Comune di Pozzuoli, 1960, p. 243.

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2 di ga

Uno degli artefici del collegamento fra lla : Se tradizione napoletana “egizia” e l’Occultismo AmmMonpo DI SANGRO ’®'#eirzDissevEro ottocentesco è stato il monaco agostiniano AnUMILI ATA ALLA taMtI" tonio Marino®!’, che verso il 1815 era entrato BENEDETTO XIV. "°ismuramo mia a far parte della Massoneria Egizia di Lorenzo de Montemayor; coinvolto nei moti liberali del 1820-21, il Marino dovette riparare a Parigi, dove ottenne un posto di insegnante nel piccolo seminario di Saint-Nicolas du Chardonnet, grazie all’amicizia dell’abate Frère-Colonna, che ne era il direttore e che condivideva il suo interesse per le scienze occulte; qui il Marino ebbe modo '* aîuumorcatmmss di conoscere e di avviare allo studio dell’esotee rismo un giovane seminarista, Alphonse Louis Constant, che sarebbe poi diventato famoso con il nome di Eliphas Levi e col quale Marino sembra che sia rimasto in contatto anche in seguito®!°, Tornato a Napoli nel 1831 grazie all’amnistia per i reati politici concessa da Ferdinando II, Marino fu impiegato come bibliotecario in un convento (probabilmente nel convento di Santa Maria alla Sanità), continuando in segreto la sua attività di cospiratore e raggiungendo una posizione di rilievo nell’ambiente esoterico che si ispirava alla tradizione egizia. Un ruolo importante nella formazione di questa corrente esoterica, dovette svolgerlo anche il grecista Onofrio Gargiulliî!7, Libero

sUPPLICA ]

A

815 In base alla biografia di Antonio Marino pubblicata nel sito www.iniziazioneantica, questi fu iniziato nel 1772 nella Loggia giacobina I Figli della Libertà e stabilì un «profondo sodalizio iniziatico» con Vincenzo di Sangro, che però sarebbe contraddetto da quanto riferisce G. Lo Monaco (Un iniziato siciliano. Nicola Giuseppe Spedalieri, in Agorà, Anno I, n. 3, Aprile-Giugno 2000, articolo pubblicato online nel sito www.iniziazioneantica) secondo il quale il Marino sarebbe nato nel 1770: anche se si tratta probabilmente di un errore di stampa, dal momento che Lo Monaco riferisce parimenti che il Marino fu iniziato nel 1772, la data di nascita del Marino resta comunque un problema, visto che si parla di una sua intensa attività successiva al 1831, per cui, se realmente fosse stato iniziato nel 1772, nel 1831 avrebbe dovuto avere circa ottanta anni.

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Secondo Lo Monaco (op. cit.) Marino avrebbe incontrato a Napoli il giovasiciliano Nicola Giuseppe Spedalieri (1812-1898) e lo avrebbe introdotto ne in un circolo martinista. Ciò che è sicuro è che in seguito, nel 1861, lo Spedalieri, trasferitosi in Francia, entrò in contatto con Eliphas Levi e divenne suo discepolo, instaurando un rapporto di amicizia che durò fino alla morte dell’occultista francese. Onofrio Gargiulli (1748-1816), nato a Sorrento, ha compiuto i suoi studi a 817 Napoli, acquisendo una profonda conoscenza della lingua e letteratura greca, che 816

barone

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Muratore e vate della tradizione misterica partenopea legata al mito delle Sirene: a lui si deve quella che probabilmente è stata la prima traduzione dal greco in italiano della Cassandra di Licofrone, un poema dell’età alessandrina in cui vengono fornite preziose indicazioni sul mito delle Sirene, sul loro legame con la Costiera Sorrentina e sul culto napoletano di Partenope®!5, Gargiulli ha composto egli stesso un poemetto dedicato alle Sirene, in cui immagina che il poeta romano Stazio sia stato introdotto ritualmente da un vecchio sacerdote nello «speco di Rea», una grotta situata nella «Valle del Preon» (una montagna che sorge presso Sorrento) e vi aveva visto le Sirene che ancora vi dimoravano «occulte e vive», avendo ricevuto il dono dell’immortalità: aveva quindi ascoltato il loro canto, culminante con l’esaltazione di Torquato Tasso, il «vate» che sarebbe nato, secoli dopo, a Sorrento®’’, Sembra proprio che Gargiulli abbia voluto alludere alla presenza «viva e occulta» di una tradizione iniziatica e di un culto praticato nelle profondità del sottosuolo, grazie al quale è possibile l’incontro con antiche divinità, mentre il riferimento al Tasso implica che l’ispirazione poetica è il mezzo privilegiato della sua trasmissione, dal momento che proprio ai poeti è concessa la visione degli Dei: «Non temer: dei Numi possono i vati sostener l’aspetto». Appare parimenti significativo, nell’ottica del riferimento alle tradizioni iniziatiche, il insegnò prima a Chieti, poi a Salerno (dal 1790), dove ebbe come allievo Domenico Bocchini, e infine all’Università di Napoli (dal 1806); iniziato nella Gran Loggia Provinciale di obbedienza inglese negli anni Settanta, è stato autore di componimenti poetici e di traduzioni di antichi testi greci, fra cui vanno ricordate quella della Cebetis Tabula, e quella della Cassandra di Licofrone. Su Onofrio Gargiulli, vedi L. Braco, Arcana Partenope, ed. Tipheret, Roma 2013, pp. 53-60 e note pp. 176-178. 818 La Cassandra, Poema di Licofrone Calcidese tradotto in versi italiani ed illustrato con note da Onofrio Gargiulli, Napoli 1812, pp. 42-48. Secondo il Lessico di Suda e il filologo bizantino Tzetzes, Licofrone di Calcide sarebbe stato un poeta greco del IV-III secolo a.C. vissuto alla corte di Tolomeo II Filadelfo, che gli avrebbe affidata la direzione della Biblioteca di Alessandria, ma la critica più recente ha contestato tale attribuzione del poema, ritenendolo di epoca successiva. 819 O. Gargiulli, Le Sirene, Napoli 1814. Il poemetto inizia raccontando che Stazio, recatosi in visita presso l’amico Pollio Felice, nella villa che questi si era fatto costruire sulla spiaggia presso la Punta della Campanella (il promontorio della Costiera Sorrentina su cui sorgeva un tempio dedicato ad Atena), vi aveva ammirato una scultura che raffigurava l’incontro di Ulisse con le Sirene; in seguito, mentre passeggiava sulle montagne vicine a Sorrento, presso le rovine di un tempio consacrato alle Vergini del Monte (le Sirene), gli era apparso Ercole e gli aveva detto che avrebbe potuto conoscere la vera natura delle Sirene visitando lo «speco di Rea», custodito da un «vecchio venerando».

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fatto che Onofri abbia voluto pubblicare una sua traduzione in versi della Tavola di Cebete, un dialogo attribuito a Cebete Tebano, filosofo della Scuola Socratica, in cui è descritto, come se fosse raffigurato in un quadro, il percorso dell’anima umana, dal momento della sua incarnazione all’esito conseguito in seguito alle scelte compiute: un’opera in cui, come evidenzia Onofri nella sua Prefazione, le verità morali sono celate «sotto il velo delle favole e delle al- E Peste legorie» e che rivela il suo carattere iniziatico, du Ain bmphe solo alle concezioni pitagoriche, non ispirato nell’uso del linguaggio allegorico, ma anche nel simbolismo della stessa struttura dell’immagine che presenta una triplice cinta, simbolo del percorso iniziatico®”, L’esponente più rappresentativo dell’esoterismo napoletano dei primi decenni del XIX secolo è però ritenuto Domenico Bocchini®!,

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820 Il Quadro di Cebete Tebano tradotto da Onofrio Gargiulli, in Parnaso dei poeti classici d’ogni nazione ... trasportati in lingua italiana, Tomo XXXV, Venezia 1801, pp. 37-84. La tradizionale attribuzione al filosofo socratico Cebete Tebano, accettata dal Gargiulli, è stata contestata da numerosi critici secondo i quali l’opera, ricca di riferimenti pitagorici e neoplatonici, sarebbe da ascrivere ad un omonimo filosofo stoico vissuto all’epoca di Marco Aurelio. La Cebetis Tabula, molto apprezzata dagli Umanisti e citata anche da Tommaso Campanella, è stata pubblicata più volte ed in diverse lingue ed utilizzata, per i suoi insegnamenti morali, sia dai Cattolici e, in particolare, dai Gesuiti, sia in area protestante. Il soggetto è stato inoltre tradotto più volte in immagini, come in una stampa di Hans Holbein il Giovane (1521) o in un dipinto del fiammingo Jan Sons conservato nel Museo di Capodimonte a Napoli (ca. 1580).

Domenico Bocchini (1775-1840) è nato a Salerno, dove ha compiuto gli studi umanistici avendo come professore di Greco Onofrio Gargiulli; trasferitosi a Napoli, vi ha esercitato la professione di avvocato; viene anche riferito che fu iniziato nel 1795 nella Loggia 1 Figli della Libertà, ma l’informazione non ha riscontri certi. Dopo la sconfitta della Repubblica Napoletana, Bocchini arruolò nell’esercito napoleonico e durante il regno di Murat fu impiegato come commissario di polizia e magistrato; nel 1815 pubblicò due opere (La Cyrno-Cacogenia e Il Congresso delle Ombre) e, secondo quanto riferiscono alcuni autori, entrò nella Loggia La Vigilanza aderente al Rito Egizio del Montemayor; nel 1821, in seguito alla restaurazione borbonica, riparò in Francia, per poi ritirarsi a Salerno; tornato a Napoli nel 1731, oltre che alla sua professione, si dedicò ad un’intensa attività di scrittore, pubblicando il periodico Il Geronta Sebezio e Gli Arcani gentileschi svelati (1834). Le informazioni su Bocchini, spesso contraddittorie, sono tratte, oltre che dal sito di “iniziazioneantica”, da alcuni testi abbastanza recenti: G. Lo Monaco, L'Ordine Osirideo Egizio e la trasmissione pitagorica, Bassano del Grappa, 1999; G. Maddalena, C. Guzzo, G. Lo Monaco, Nico821

si

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noto anche come Nicodemo Occhiboni (risultante dall’anagramma del suo nome) o Geronta Sebezio (il Vecchio del Sebeto) dal titolo del periodico da lui pubblicato fra il 1835 e il 1837. Risulta problematico ricostruire con certezza il percorso iniziatico di Bocchini, anche se alcuni autori riferiscono che nel 1815 aderì al Rito Egizio del Montemavyor, entrando nella Loggia La Vigilanza, e che negli anni Trenta, tornato a Napoli, entrò nella Loggia La Folgore, promuovendo la riorganizzazione del Rito di Misraim e diventando l’elemento di spicco della corrente esoterica di ispirazione egiziana e, secondo alcuni, il Gran Maestro dell’Ordine Egizio®”. Ciò che resta comunque evidente è il carattere esoterico degli scritdi ti Domenico Bocchini, pur se redatti in uno stile alquanto enfatico e aulico: negli intriganti articoli pubblicati nel giornale Geronta Sebezio, emerge chiaramente un particolare modo di usare e intendere il linguaggio, definito “grammatica o didascalia Palladia”, che permetterebbe di scoprire i significati occulti celati nelle parole: un procedimento che non appare molto dissimile da quella “Cabala fonetica” o “Lingua degli Uccelli” di cui parla Fulcanelliî” e in cui riecheggia l’idea del “gergo” utilizzato dal Principe di Sansevero nello scrivere la Lettera Apologetica in modo che i suoi veri contenuti potessero essere compresi solo da pochi iniziati*, Un altro aspetto interessante degli scritti del Bocchini, nel quale possiamo riscontrare l’influenza del pensiero di Onofrio Gargiulli, ri-

e

demo Occhiboni, Anagrammi arcani nel linguaggio di Domenico Bocchini pitagorico, ed. Carpe Librum, 2001; L. Braco, Arcana Partenope, cit., pp. 19 ss. 822 Cfr. P. Galiano, Raimondo De Sangro cit. pp. 69-70; F. Giorgio, Roma Renovata Resurgat, Roma 2011, vol. I, pp. 153 ss.; P. Galiano e altri, Storia dell’Ordine Osirideo Egizio (nel sito www.loggiaaletheia.it dell’Ordine Martinista Universale, p. 21; vedi anche in www.simmetria.org) in cui Bocchini viene definito il «capostipite» dell’Ordine Osirideo Egizio; M.F. Barracco, Giustiniano Lebano e la Scuola di Napoli, dal Mondo Secreto, Napoli 1897-1899, Letture 5... consigliate - 1999, p. 5 (nel sito www. iniziazioneantica) in cui si parla di Bocchini come del Gran Maestro dell’Ordine Osirideo Egizio fondato da Cagliostro. Secondo gli autori di Nicodemo Occhiboni (cit., p. 17 e nota 66) non esiste alcuna prova che Bocchini sia stato iniziato alla Massoneria Egizia di Montemayor; si sostiene anzi che lo stesso Bocchini abbia negato di aver mai fatto parte della Massoneria. 823 Fulcanelli, Le Dimore Filosofali, cit. vol. I p. 93. R. di Sangro, Lettera Apologetica, cit. p. 318: «Se non che mi fa lieto solamente pensare, che non potrete ad altri comunicarla; giacché la maggior parte delle cose ci si trova in tal gergo conceputa, che appena può essere a Voi intellegibile, cui i miei sentimenti sono stati sempre aperti».

824

il

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guarda le “Urbi arcane”, i luoghi sotterranei in cui sarebbero stati impartiti nell’antichità gli insegnamenti segreti e, in particolare, le occulte scuole di sapienza “Siren-Usie”, poste nel sottosuolo del territorio napoletano. A questo tema trattato dal Bocchini, può essere collegato un singolare testo pubblicato a Napoli nel 1833 da Giuseppe Sanchez, curatore della Biblioteca Reale, dal titolo La Campania sotterranea®” , in cui il Sanchez mostra di condividere l’idea del Bocchini sulla presenza nel sottosuolo di scuole iniziatiche: dopo aver parlato dei sotterranei egizi di Menfi e Tebe e di altri luoghi sotterranei sparsi in tutto il mondo, Sanchez passa ad esaminare i sotterranei napoletani, dalle Catacombe di San Gennaro alle numerose cavità scavate nel sottosuolo della città e alle strutture sotterranee dei Campi Flegrei. Come il Bocchini, anche Sanchez afferma che tali ambienti sotterranei, abitati e posseduti da divinità e Ninfe, erano utilizzati come templi e luoghi oracolari e che vi si impartivano insegnamenti segreti e si praticavano riti iniziatici ed evocazioni. All’idea dei riti iniziatici praticati in ambienti sotterranei si collega un singolare episodio raccontato da alcuni autori** secondo i quali il famoso scrittore Bulwer-Lytton sarebbe stato iniziato ai Misteri Osiridei nelle Catacombe di San Gennaro da Domenico Bocchini. Dopo la morte di Bocchini, secondo quanto viene riferito da alcuni autori*”7, a capo dell’Ordine Egizio fu posto Orazio de Attelis®, Mas-

il

825 G. Sanchez, La Campania sotterranea e brevi notizie degli edifici scavati entro roccia nelle due Sicilie e in altre regioni, Napoli 1833. Per quanto riguarda Giuseppe Sanchez (1771-1838) sappiamo che fu Giacobino e che aderì alla Repubblica Napoletana del 1799, dovendo poi riparare in Francia; ritornato a Napoli nel 1806 fu nominato da Giuseppe Bonaparte bibliotecario di corte, incarico che conservò anche dopo il ritorno dei Borbone (cfr. L. Braco, Arcana Partenope, cit. pp. 60 ss.). I] testo è stato riproposto, nelle sue linee essenziali, anche da questa casa editrice con il titolo “Napoli Antri e Misteri”, Costellazioni, sirene, oracoli e sibille nella Campania delle origini. (Stamperia del Valentino, Napoli 2012). 826 Cfr. G. Maddalena, C. Guzzo, L’Arcano degli Arcani, ed. Rebis, Viareggio 2005; Maddalena e altri, Nicodemo Occhiboni, cit. p. 19. Secondo G. Gautier (Magonnerie Ègyptienne, Rose-Croix et néo-chevalerie, ed. du Rocher, Monaco 1989) Bulver-Lytton, soggiornando a Napoli fra il 1834 e il 1835, vi avrebbe seguito le lezioni di un maestro di Scienze occulte, che gli autori citati ritengono sia stato Domenico Bocchini. Cfr. Barraco, Giustiniano Lebano e la Scuola di Napoli, loc. cit.; vedi anche P. Galiano, Storia dell’Ordine Osirideo Egizio, cit. pp. 21-22. 828 Orazio de Attelis (1774-1850), dopo aver raggiunto il grado di tenente nell’esercito borbonico, nel 1793 disertò per recarsi nella Francia repubblicana; nel 1799, tornato a Napoli, aderì alla Repubblica Partenopea, per poi riparare in Toscana; rientrò 827

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sone e Carbonaro, iniziato nel Rito Egizio di Montemayor, che però, avendo abbandonato Napoli in seguito al suo coinvolgimento nei moti del 1820-21 e avendo da allora viaggiato continuamente, avrebbe affidata la reggenza ad un misterioso personaggio di cui si conosce solo il nome iniziatico (Man0-Rosar-Amru®”) coadiuvato da Pasquale de Servis®’°, detto Izar, iniziato giovanissimo da Bocchini. Secondo altre fonti sarebbe stato Giustiniano Lebano®’!, detto Sazritis Hus, a creare o, più probabilmente, a rifondare, nel 1863, l’OrdiNapoli con Giuseppe Bonaparte e fu impegnato come ufficiale della gendarmeria nella campagna di Calabria contro i briganti filoborbonici, raggiungendo, nel 1813, il grado di colonnello. Nel 1814 fondò a Napoli la Gran Loggia Madre di Rito Scozzese, diventando poi Gran Maestro aggiunto del Rito di Cagliostro del Montemayor. Nel 1821 andò in esilio, prima in Spagna e poi negli Stati Uniti, dove nel 1843 venne elevato al 33° grado del Rito Scozzese e fu nominato Gran Maestro e Gran Commendatore per gli USA, con il nome iniziatico di Maestro Setteali. De Attelis auspicava la creazione di una federazione di stati italiana governata da re Ferdinando II di Borbone, ma le sue idee non ottennero il successo sperato (cfr. M. di Iorio, Orazio de Attelis, in www.lospeakerscorner). Alle figure di Bocchini e de Attelis vengono aggiunti, come capiscuola dell’Ordine, anche il nome di Giuseppe Gallone di Nociglia, Principe di Tricase e Moliterno, e di Crescenzo Ascione, martinista e conoscitore delle tecniche del magnetismo (cfr. P. Galiano, loc. cit.). a

è

il nome attribuito poi da Kremmerz (La Scienza dei Magi, Manmo-Rosar-Amru 829 ed. Mediterranee, Roma 1975, vol. IL, p. 196) ad un leggendario ultimo pontefice di Iside in terra partenopea, depositario dell’antica tradizione iniziatica e maestro di un altro sacerdote di nome Izar Ben Escur. Sull’identità del personaggio sono state avanzate varie ipotesi, da Antonio Marino, «abate di San Giovanni a Carbonara» a Eliphas Levi (cfr. Giustiniano Lebano e la Scuola di Napoli, loc. cit.).

830 Pasquale De Servis (1818-1893), dopo aver militato nell’esercito borbonico, avendo aderito agli ideali della Carboneria, partì volontario per combattere contro gli Austriaci in Lombardia e successivamente andò in esilio in Francia, dove ebbe modo di frequentare il barone Spedalieri e Giustinano Lebano. Tornato in Italia nel 1860 insieme al Lebano, andò a vivere a Portici nello stesso stabile dalla famiglia Formisano e avviò agli studi esoterici il piccolo Ciro Formisano, nato nel 1861, che sarebbe diventato famoso col nome di Kremmerz (cfr, C. Pescatore, Pasquale de Servis, l’uomo nell’ombra, nel sito www.centrostudiscienzeantichena.it).

Giustiniano Lebano (1832-1910), figlio di Filippo Lebano, amico e compagno di studi esoterici del Bocchini, ne sposò la nipote Virginia. Personaggio profondamente coinvolto nella politica risorgimentale e dignitario della Massoneria, fondò (o rifondò) l’Ordine Osirideo Egizio nel 1863, quando alcuni Fratelli della Loggia Sebezia di Domenico Angherà vollero ridare vita al Rito di Memphis e Misraim, fondando il Grande Oriente Egizio - Scala di Napoli, che sarà risvegliato poi nel 1869 dallo stesso Lebano. Lebano ebbe inoltre rapporti con circoli occultisti, martinisti, teosofici e spiritisti, conoscendo Eliphas Levi, Papus ed Helena Blavatsky, nonché la famosa medium Eusapia Paladino (cfr. la Biografia di Giustiniano Lebano pubblicata online 831

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ne Osirideo Egizio. Il Lebano, che era entrato in possesso delle carte di Domenico Bocchini, avendone sposato la nipote, curò la pubblicazione di alcuni suoi scritti, come il Cielo Urbico, ed è egli stesso autore di numerosi testi; fra le opere di Lebano, che per stile e tematiche risultano molto vicine a quelle di Bocchini, ricordiamo Del Mistero e della Iniziatura®” in cui il Satyricon di Petronio viene reinterpretato in rapporto agli antichi Misteri praticati a Napoli, mentre in un altro testo, intitolato Dell’Inferno®”*, il Lebano, sempre applicando il metodo di interpretazione di parole e termini utilizzato dal Bocchini, dedica la sua attenzione ai luoghi dell’Oltretomba descritti da Virgilio e da Ovidio, identificandoli con l’Urbe sotterranea dell’area napoletana. L’ultimo famoso esponente della corrente esoterica napoletana di ispirazione egizia, Ciro Formisano, più noto come Kremmerz®*!, è stato un personaggio di notevole rilievo nel panorama esoterico italiano e non solo. Pasquale de Servis, che lo aveva visto nascere, gli aveva inculcato fin da piccolo l’interesse per le scienze occulte e successivamente lo aveva iniziato nell’Ordine Osirideo Egizio del quale Kremmerz diventò, dopo la morte del suo mentore, uno dei dirigenti, insieme a Giustiniano Lebano e a Leone Caetani, detto Ottaviano" nel sito www.esopedia; vedi anche Giustiniano Lebano e la Scuola di Napoli, cit.). 832 G. Lebano, Del Mistero e dell’Iniziatura, pubblicato nella rivista di Kremmerz Il Mondo Segreto nel 1897 (cfr. L. Braco, Arcana Partenope, cit. pp. 37-40). 833 G. Lebano, Dell’Inferno, Cristo vi discese con l’anima o anche col corpo? Del giudizio Eumenediaco del Tartaro e degli Elisi, Torre Annunziata 1899 (cfr. L. Braco, Arcana Partenope, cit. pp. 40-45). 834 Ciro Formisano (1861-1930), più noto come Giuliano Kremmerz, nato a Portici e laureatosi in Lettere all’Università di Napoli, dopo aver lavorato come redattore presso il quotidiano Il Mattino, e dopo essersi sposato, intraprese un lungo viaggio, durante il quale si pensa che sia stato in Francia, dove sarebbe stato iniziato al Martinismo. Tornato a Napoli nel 1893, intraprese, fra il 1897 e il 1899, la pubblicazione della rivista Il Mondo Secreto in cui si proponeva di divulgare i principi teorici della Magia e su cui pubblicava scritti dei più noti occultisti del tempo, da Eliphas Levi a Stanislas de Guaita, a Papus e alla Blavatsky. Successivamente, verso il 1909, prese ad organizzare una sua Schola, fondando la Fratellanza terapeutica di Miriam collegata all’Ordine Osirideo Egizio. Allontanatosi da Napoli nel 1906, nel 1912 si stabilì definitivamente a Beausoleil nel Principato di Monaco. Buona parte degli scritti di Kremmerz sono raccolti in La Scienza dei Magi, 3 o 4 voll., ed. Mediterranee, Roma 1975. Fra i diversi testi su Kremmerz, vedi M. Daffi. Giuliano Kremmerz e la Fr+Tm+ di Miriam, ed. Alkaest, Genova 1981; P. L. Pierini (a cura di), Il Maestro Giuliano Kremmerz. L’Uomo - La Missione - L’Opera, ed. Rebis, Viareggio 1985; A. Verniero, Giuliano Kremmerz e la sua Scuola Iniziatica, Ed. Rebis, Viareggio, 2000. 835

Leone Caetani (1869-1935), duca di Sermoneta e principe di Teano, studioso

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Kremmerz, che già nel 1898 aveva espressa la sua intenzione di creare una «Fratellanza spiritualista magica» che si occupasse di medicina ermetica e di terapeutica magica, nel 1909 ha dato vita alla sua Schola, sostituendo le Logge con le Accademie miriamiche, un’azione non condivisa dalle alte gerarchie dell’Ordine Egizio massonico e che provocò anche le critiche del Lebano, contrario al carattere divulgativo dell’iniziativa kremmerziana®‘,

Nel concludere queste sintetiche note sull’Ordine Osirideo Egizio, dobbiamo notare che le informazioni in merito sono spesso frammentarie, imprecise e contraddittorie, il che potrebbe dipendere dalla naturale reticenza delle organizzazioni esoteriche a divulgare i propri documenti interni e, quindi, dalla difficoltà a ricostruire un quadro organico della loro storia e del loro vero carattere. Ciò che invece è apparso evidente è l’esistenza di uno stretto collegamento fra la corrente esoterica partenopea “egizia” e i circoli occultisti dell’epoca, con particolare riferimento al Martinismo, così come è evidente un certo distacco dalla Massoneria, malgrado che numerosi esponenti di tale corrente ne abbiano fatto parte. Ciò che infine è apparso maggiormente degno di nota, è il profondo legame con la tradizione mito-ermetica partenopea che traspare degli scritti di Onofrio Gargiulli, Domenico Bocchini, Giustiniano Lebano e Kremmertz, il che induce a pensare che nel territorio sia effettivamente esistita una continuità iniziatica risalente alle fratellanze dell’età alessandrina.

della tradizione islamica ed esoterista di orientamento pagano, ha collaborato con il Gruppo di Ur, fondato nel 1927 da Julius Evola insieme ad Arturo Reghini e Giulio Parise. La sua identificazione con Ottaviano, collaboratore della rivista kremmerziana Commentarium, è stata proposta da M. Daffi, op. cit. pp. 62 e 84. 836

Cfr. Galiano e altri, Storia dell’Ordine Osirideo Egizio, cit. p. 22.

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Capitolo VIII IL DIO DEL SILENZIO L'impegno degli iniziati ad osservare il Silenzio, ha trovato nella figura del dio egizio Arpocrate la sua personificazione più nota ed evidente e la presenza del Dio che lo intima portando l’indice alle labbra, è stata sempre un’inequivocabile allusione all’esistenza di un Mistero, di un insegnamento occulto su cui era opportuno tacere o al quale si poteva alludere solo sotto il velo di un linguaggio simbolico. L'immagine del giovane dio Arpocrate incontrò particolare favore nel mondo antico, travalicando i confini della nativa terra d’Egitto, come attestano le frequenti citazioni degli autori classici e le numerose testimonianze artistiche. Arpocrate era infatti diventato, insieme a Iside e Serapide, una delle divinità più popolari fra quelle degli antichi culti egiziani diffusi nel bacino mediterraneo a partire dall’età alessandrina ed imperniati sui Misteri di Iside e Osiride®7, Nel Rinascimento, con il rinnovato interesse per gli antichi Misteri, l’immagine di Arpocrate, che si trattasse di una scultura, di un dipinto o dell’illustrazione inserita in un testo, è tornata ad essere un chiaro segnale rivolto a chi, conoscendo il linguaggio dei simboli, fosse in grado di riconoscere la presenza di un insegnamento esoterico tradizionale. HORUS E ARPOCRATE Il sincretismo culturale e religioso che si era sviluppato nell’ambito cosmopolita della civiltà alessandrina, semplificando il tradizionale pantheon egiziano, aveva fuso i caratteri delle antiche divinità egizie con quelli delle divinità greche, ed alla antica Triade composta da Iside, Osiride e Horus si era sovrapposta, come abbiamo visto, quella costituita da Iside, Serapide e Arpocrate®’8, 837 Cfr. Plinio, Naturalis Historia, XXXIII, 41, parlando in termini critici dell’uso di portare gioielli e ori, dice: «Ormai perfino gli uomini cominciano a portare alle loro dita l’immagine di Arpocrate e figure di divinità egiziane», attestando anche che le immagini di Arpocrate incise su pietre erano particolarmente diffuse. 838 Cfr. Testi religiosi egizi, a cura di S. Donadoni, Milano 1988, p. 399. H.C. Puech:

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Riguardo alla nascita di Horus, Plutarco®° precisa che, precedentemente alla nascita di Arpocrate ed anche precedentemente alla loro stessa nascita, Iside e Osiride si erano uniti nell’oscurità del grembo materno di Nut, la dea del Cielo notturno, e che da tale unione era nato Arueris o Horos il Vecchio, cioè l’Horus comunemente identificato con il sole nascente, simbolo dell’Anima Mundi nel suo aspetto luminoso, il dio dalla testa di falco, protagonista del combattimento contro Seth, che rappresentava, al contrario, le forze negative e tenebrose. Plutarco descrive quindi la successiva nascita di Arpocrate o Horus il Giovane: «Iside si unì ad Osiride anche dopo la sua morte e partorì un figlio prematuro e rachitico negli arti inferiori, ArLi | pocrate»5",la Nell’arte egiziana ritroviamo scena del concepimento di Arpocrate nell’immagine di Iside che in forma di falcone si unisce ad Osiride morto, da antico mentre testo apprendiamo che alla dea erano attribuite, un in tale occasione, le seguenti parole: «Ho fatto la parte di un uomo, sebbene io sia una donna, per risvegliare il tuo Nome divino qui sulla terra, finché il tuo seme divino fu nel mio corpo», Seguendo sempre la narrazione di Plutarco, apprendiamo che «Iside, accortasi di essere incinta, si mise al collo un amuleto, il sesto giorno del mese di Faofi (cioè all’inizio di Ottobre) e partorì Arpocrate all’epoca del solstizio invernale, dandolo alla luce ancora imperfetto e immaturo, in mezzo ai primi fiori e ai primi frutti spuntati in anticipo sulla stagione»®? e che è per questo motivo che gli Egiziani offrivano al dio i frutti novelli delle lenticchie e festeggiavano i suoi natali dopo l’equinozio di primavera. In un passo successivo viene poi ?

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Ani #2

Storia delle religioni, vol. IV, Bari 1977, p. 60 ss. 839 Plutarco: Iside e Osiride, 12, 54, 61; ed. Adelphi, Milano 1985, p. 69, 116, 124: al testo plutarcheo dobbiamo più esaurienti ed illuminanti spiegazioni sulla nascita di Arpocrate e sugli aspetti simbolici di questa divinità.

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840 Iside e Osiride, 19, ed. cit. p. 76. Del resto, il nome stesso di Harpocrates ne indica la natura, in quanto è la trascrizione dell’egiziano Her-pa-herd, ovvero «Horus il bambino». 841

Iside e Osiride, ed. cit. nota 89 (p. 166).

842 Iside e Osiride (65), ed. cit. p. 128.

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detto che ad Arpocrate venivano offerti dei legumi nel mese di Mesore (fine luglio-fine agosto, quindi dopo il solstizio estivo) e che l’offerta era accompagnata da queste parole: GLOSSA TUKE E GLOSSA DAIMON, ovvero «La lingua è fortuna (o sorte), la lingua è demone (anche nel senso di destino o divinità)». Appare in tal modo evidente che il ciclo delle celebrazioni in onore di Arpocrate ripercorreva le tappe di quello solare e stagionale, facendo coincidere la sua nascita col solstizio d’inverno e dedicandogli sucsolstizio estivo, cessivamente, dopo l’equinozio di primavera e dopo le primizie prodotte dalla terra grazie all’azione del calore solare, mentre dalla formula relativa alla lingua come fortuna e demone, possiamo dedurre l’identificazione del potere della luce solare con la forza creatrice del Verbo. Per quanto riguarda la malformazione delle gambe di Arpocrate, segnalata da Plutarco e riscontrabile nell’iconografia del dio seduto a gambe unite, riteniamo opportuno segnalare la spiegazione del Bachofen3*, secondo il quale essa presenterebbe un significato analogo a quello delle gambe anguiformi di Erittonio*”, dimostrando il carattere tellurico del giovane dio, prematuro ed incompiuto nei suoi arti inferiori e quindi immobilizzato e legato alla materia (Hyle), solo parzialmente separato dal corpo materno, in analogia con il loto, il cui rigoglioso germogliare è complementare allo stato di fissità della sua natura vegetale. L’interpretazione tellurica data dal Bachofen alla posizione seduta ed alle gambe unite di Arpocrate, risulta tuttavia alquanto riduttiva rispetto al complesso simbolismo connesso alla nascita ed all’immagine del giovane dio.

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veda 843 Iside e Osiride (68), ed. cit. p. 131. Per il significato in genere dei legumi Plinio: Naturalis Historia, XVIII, 30-33. Per le lenticchie, in particolare, vedi il capitolo 31. Per quanto riguarda le fave, ricordiamo particolare importanza attribuita da Pitagora a questi legumi.

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844 J.J. Bachofen: Versuch iiber die Grabersymbolik der Alten, Basilea 1856; ed. it. Il simbolismo funerario degli antichi Napoli 1989, p. 565-7. 845 Erittonio, il primo re di Atene, figlio di Efesto e Atena (o Gea, la dea della Terra), secondo il mito, aveva due serpenti al posto delle gambe (cfr. Apollodoro, Bibliotheca, IM, 14, 6; Pausania, Periegesi della Grecia, 1, 2, 6).

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Ricordiamo infatti che l’immagine di Arpocrate ripropone il tema del bambino seduto su un loto che nella cosmogonia ermopolitana rappresentava il sorgere del bambino divino, Ra o Nefertum, ovvero della luce solare, dal loto che si schiude al centro di Nan, ovvero dell’ambiente fangoso primordiale fecondato dalla Ogdoade**%, secondo la concezione che vedeva nel fango delle paludi, misto di terra ed acqua, l’ambiente propizio ad ogni generazione, e nel loto o giglio di palude l’espressione di tale attività generatrice®7, Il simbolismo del loto può inoltre essere facilmente collegato a quello del sole o della ruota solare®, sottolineando la connessione dell’ambiente palustre e del loto con la nascita di divinità solari e luminose come Horus o Ra. Del resto, nei Geroglifici di Horapollo$, troviamo l’esplicita affermazione, perfettamente aderente all’originario significato del simbolo, che i piedi congiunti indicano l’arrestarsi del corso del sole nel solstizio d'inverno. Il rapporto fra l’immobilità di Arpocrate ed il solstizio d’inverno conferma pertanto la narrazione plutarchea che, come abbiamo già visto, colloca la nascita del dio in tale periodo, sottolineando implicitamente il significato solare del dio ed interpretando, in senso più ampio, la figura di Arpocrate come simbolo della luce spirituale sorgente dalle tenebre.

846 L’Ogdoade di Ermopolis (città dedicata a Hermes-Thot) era costituita da quattro coppie di divinità che rappresentavano le Acque primordiali, l’Oscurità, l’Infinito e l’Invisibile (cfr. Giamblico: De Mysteriis Aegyptiorum VII, 250-252 (ed. it. Milano 1983, p. 205-206 e nota 113 p. 350. Vedi anche L. Lamy: Misteri egizi, Milano 1982, p. 10). 847 J. Lindsay: Le origini dell’Alchimia nell’Egitto greco-romano, Roma 1984, p. 83. Dom Pernety, nel suo Trattato dell’opera ermetica del 1758 (ed. it. Genova 1979) precisa che il fango costituisce la materia che assiste qualunque generazione. 848

Cfr. Bachofen, op. cit. p. 256.

849 Ricordiamo che Orapollo Niloo è il nome di un autore alessandrino vissuto fra il Il e il IV secolo d.C., il cui manoscritto venne portato in Italia nel 1419 dal fiorentino Cristoforo Buondelmonti; nel suo testo, l’autore sostiene che i geroglifici egizi sono dei criptogrammi utilizzati per nascondere sotto veli simbolici verità di tipo esoterico. Cfr. Horapollinis Niloi Hieroglyphica, 2, 3. (1 ed. Aldo Manuzio, Venezia 1505) cfr. ed. Amsterdam 1835, p. 64.

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In Giamblico®° troviamo quindi un’ancor più precisa definizione del significato spirituale della nostra immagine: «Il fatto di star seduto su un loto simboleggia una superiorità sul fango che esclude qualsiasi contatto con questo e significa una supremazia intellettuale ed empirea», mentre riguardo alla forma del loto, Giamblico afferma che essa si collega alla forma ed al movimento circolare, che sono congeneri all’attività dell’intelletto®!,

L’ICONOGRAFIA ANTICA DI ARPOCRATE Nell’arte figurativa egiziana possiamo distinguere due tipologie fondamentali delle immagini più tradizionali di Arpocrate, pervenuteci soprattutto in un gran numero di bronzetti. Nel primo tipo di immagine il giovane dio è raffigurato come un fanciullo seduto con le gambe unite in braccio ad Iside, che lo allatta nel suo ruolo di dea madre; il dio indossa spesso un copricapo a calotta con l’uraeus (la cuffia detta Khbat) e presenta sempre una treccia terminante a ricciolo che gli scende sul lato destro della testa, indicando la sua condizione di fanciullo$*; spesso, in questo tipo di sculture, il Amori dio fanciullo non compie e Pap Sosapo gesto che lo ca-

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850 De Mysteriis Aegyptiorum VII, 252, ed. cit. p. 206. 851 Il simbolismo del loto è particolarmente importante nelle tradizioni orientali in cui i chakras o centri sottili del corpo umano, che vengono vivificati mediante apposite pratiche di concentrazione, sono raffigurati come fiori di loto sui cui petali sono testi tantrici iscritte delle lettere (si vedano, fra le numerose opere sull’argomento, riportati in A. Avalon: I! potere del serpente, Roma 1968).

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852 Alcune statuette bronzee della Bassa Epoca (del Museo Archeologico di Napoli o del Museo Egizio di Torino) presentano la consueta immagine di Arpocrate seduto con le gambe unite e col dito sulle labbra. B. de Rachewiltz (Mzti egiziani, Milano) ritiene che la treccia laterale e il dito sulle labbra delle immagini di Arpocrate o del giovane Horus (raffigurato in piedi o seduto mentre viene allattato da Iside) siano da considerare esclusivamente in rapporto al modo egiziano di raffigurare i fanciulli: si vedano i vari gruppi scultorei familiari riprodotti in AA. VV. I Faraoni. Il tempo delle piramidi, Milano 1984, p. 196, 197, 201, in cui i bambini sono rappresentati in piedi, treccia a ricciolo e il dito sulle labbra. Tuttavia, in base alle citazioni riportate, con possiamo ritenere che tale spiegazione non sia assolutamente esauriente rispetto alla complessa simbologia di Arpocrate.

la

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ratterizza, portando il dito alle labbra, il che rende difficile distinguerlo dal suo fratello maggiore, Horus il Vecchio, tanto più che quest’ultimo, nelle steli a lui dedicate, ha lo stesso aspetto di fanciullo con lo stesso copricapo e la stessa treccia laterale”; tuttavia, il particolare delle gambe unite, possibile allusione alla loro malformazione, ci può indurre ad identificare questo figlio di Iside con Arpocrate. Abbiamo anche delle statuette in cui vediamo il dio fanciullo nella stessa posizione seduta, ma da solo, senza Iside, come in due bronzetti del Museo Archeologico di Napoli: in questo caso però la sua identificazione con Arpocrate è più agevole, in quanto il dio compie il gesto del silenzio (Tavola 12a).

Nel secondo tipo di immagini, il dio fanciullo è raffigurato sempre con la treccia infantile, ma in posizione eretta e sembra avanzare, anche se in atteggiamento alquanto malfermo, con la gamba sinistra: in questo caso il dio è riconoscibile in quanto porta l’indice della destra alle labbra, nel gesto che lo caratterizza (Tavola 12b). Di questo tipo di immagine, par-

ticolarmente diffuso®**, esistono anche alcune varianti, come in alcuni bronzetti conservati al Louvre e al Museo Archeologico di Bologna, in cui Arpocrate indossa la triplice corona rituale Hemhem, a sottolineare la sua natura di divinità solare®”.

853 Le Steli di Horus, di cui esistono diversi esemplari (il più noto è la Stele di Metternich, risalente al IV secolo a.C. e conservata al Metropolitan Museum of Art di New York), sono delle lastre di pietra scolpite a rilievo e usate come amuleti a protezione contro i veleni, facendo riferimento ad un episodio della mitologia egizia in cui Iside, con l’aiuto di Ra e di Thot, riporta in vita il figlio, fatto avvelenare da Seth: sulla facciata principale è raffigurato Horus fanciullo, con la consueta treccia, in piedi su due coccodrilli, che stringe nelle mani due coppie di serpenti e due piccoli animali (un’antilope e un leone); la figura di Horus è circondata da altre divinità ed è sormontata dalla mostruosa maschera del dio Bes (cfr. E.A. Wallis Budge, Magia egizia, ed. Newton Compton, Roma 1980, pp. 102 ss.). 854 Si vedano i numerosi bronzetti, statuette e amuleti di questo modello iconografico conservati in diversi musei (Museo Archeologico di Bologna, British Museum, Walters Art Museum di Baltimora). 855 La triplice corona rituale Hembernm era formata da corna d’ariete (tipiche di Amon-Ra e di Khnum) tre corone Atef. formate dalla corona bianca Hedjet dell’Al-

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Meno diffuse sono invece le immagini che mostrano Arpocrate seduto sul fiore di loto, che si trovano in diversi musei, come il Louvre e il Kunsthistorisches Museum di Vienna; talvolta il dio è raffigurato anche come un bimbo paffutello e senza copricapo, seduto con le gambe accavallate su un fiore di loto, ma sempre con il dito alle labbra. La figura di Arpocrate, pur mostrando diverse analogie con quella di Horus, se ne differenzia soprattutto a partire dall’epoca tolemaica, quando il giovane Arpocrate è entrato a far parte della Triade composta, insieme a lui, da Iside e Serapide, e gli è stata attribuita una più specifica connotazione dal punto di vista iconografico, in quanto il gesto di portare il dito alle labbra è stato considerato l’espressione visibile della sua funzione di dio del Silenzio e custode dei sacri Misteri, come sottolinea Ovidio®”’, che lo indica come «Colui che spegne la voce e col dito invita al silenzio» (Quique premit vocem digitoque silentia suadet). Inoltre, il sincretismo culturale e religioso della civiltà alessandrina aveva spesso fuso i caratteri delle antiche divinità egizie con quelli delle divinità greche, pertanto non è raro ritrovare, in alcune raffigurazioni di Arpocrate, alcuni aspetti o attributi tipici dei protagonisti della mitologia greca, come l’aspetto apollineo, la clava di Ercole, le ali di Eros, la pigna d’uva di Dioniso o la cornucopia, emblema della fertilità della natura. In immagini più tarde, caratteristiche dell’epoca romana, Arpocrate assume l’aspetto di un fanciullo o di un giovinetto ritto, spesso vestito con una tunichetta, talvolta alato, spesso appoggiato ad un tronco o ad una clava, in una posa alquanto abbandonata, ma sempre intimando il silenzio. Va anche detto che in questo periodo diventa consueto l’attributo della foglia e del frutto della Persea posto sul capo del dio, e sul cui significato avremo modo di tornare in seguito. In un bronzetto del Museo Archeologico di Napoli (Tavola 12c), vediamo infatti Arpocrate in piedi, appoggiato alla clava di Ercole e rivestito con una pelle ferina, come Dioniso, col dito

to Egitto affiancata da piume. In epoca tolemaica era indossata da Mandoulis, un dio di origine nubiana, figlio di Serapide, che rappresentava la giovinezza solare. 856 Ovidio (Metamorfosi, XI, 693); cfr. Apuleio: Metamorfosi XI, 8 ss.

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poggiato sulle labbra, i capelli lunghi e riccioluti che ricordano la chioma di Apollo ed una persea sulla sommità del capo?” Similmente, un marmo dei Musei Capitolini di Roma, proveniente dalla Villa di Adriano a Tivoli, mostra Arpocrate come un apollineo giovinetto riccioluto in piedi, nel consueto gesto del silenzio, con la persea sul capo ed un piccolo corno nella mano sinistra. Arpocrate, confondendosi con Horus, aveva reso possibile la sua identificazione non solo con l’erede di Osiride, ma anche col suo significato di Sole nascente®®5, presentando, in tal senso, molte analogie con Apollo e con il suo simbolismo solare. In un dipinto, conservato al Museo di Napoli, Vediamo il giovinetto Arpocrate, nel consueto gesmrornarz n uao sto del silenzio, che si avvicina ad un’ara, intorno alla quale è posta una rete e su cui si è avvolto, con le sue spire, un serpente, immagine che può essere messa in rapporto con l’Ompbalos, la Pietra sacra, simbolo del Centro del Mondo, conservata nel santuario di Apollo a Delfi (Tavola 12d). co

IL GESTO DEL SILENZIO E IL SIGNIFICATO DELLA PERSEA

Giungiamo ora al gesto con cui Arpocrate sembra intimare il silenzio, e di cui Plutarco sintetizza in modo limpido ed inequivocabile il profondo significato in rapporto alla funzione attribuita al dio fanciullo come Dio del Silenzio e custode dei sacri Misteri, precisando che «Arpocrate non va considerato come un dio incompiuto, infante, né tanto meno un qualsiasi dio dei legumi: egli è invece il patrono e precettore dell’umana attività di -

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857 Si vedano anche le belle incisioni delle statue di Arpocrate nei volumi dedicati alla descrizione del Real Museo Borbonico (voll. XI e XII, 1835 e 1839). Cfr. €. Jannelli: Hierogliphica Aegyptia, Biblioteca Italiana ossia Giornale di letteratura scienze ed arti (1833, Volume 70). 858 L'immagine di Arpocrate, rappresentato col dito sulla bocca come un neonato uscente dal loto, equivaleva al termine usato per indicare il sorgere del sole dal mare (cfr. R.A. Schwaller de Lubicz: Le roi de la théocratie pharaonigue, Paris 1982, p. 124).

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comprensione del divino, che è imperfetta e immatura e inarticolata. Ecco perché il dio tiene il dito sulla bocca, come simbolo, cioè, della prudenza e del silenzio»®”’. Il significato del Silenzio di Arpocrate è ulteriormente chiarito in altri due passi. Nel primo brano Plutarco spiega che l’amuleto che Iside cinge al collo quando si accorge di essere incinta, viene interpretato come «Voce vera», il che indica che fin dal suo concepimento Arpocrate assume una valenza simbolica connessa alla parola, anzi alla potenza creatrice e magica della voce®®, Gli antichi Egizi ritenevano infatti che il nome di una cosa avesse lo stesso valore della cosa stessa ed attribuivano un valore magico ed evocativo ai nomi ed alle formule pronunciate con la giusta intonazione di voce®!, mentre nel Libro dei Morti si precisa che il Ka (l’anima) del defunto nell’oltretomba, superando la prova della Psicostasia, doveva essere trovato «giusto di voce»®®2,

Il secondo brano recita come segue: «Tra le piante che crescono in Egitto, dicono che a questo dio sia particolarmente sacra la persea, perché il suo frutto (simile alla pera) è a forma di cuore e la foglia a forma di lingua. Di tutte le cose che la natura umana ha in sé, certo nessuna è più divina della parola, soprattutto della parola che cerca di Iside e Osiride (68), ed. cit. p. 131. Nella sua interpretazione, tendente a sottolicit. p. 332 e 560) sostiene che silenzio, cui impone Arpocrate con rappresenta la forza creativa e nutritiva della natura nella sua duplice valenza, maschile e femminile, citando l’episodio in cui Iside nutre il bambino che le è stato affidato a Biblo, facendogli succhiare il dito in luogo del seno (cfr. Iside e Osiride, 16, p. 73). Il Bachofen interpreta quindi la figura di Arpocrate come simbolo della forza creatrice e distruttrice della natura e ritiene che il gesto del silenzio, oltre a raccomandare un uso prudente della parola, debba tal senso, alcuni significativi essere messo rapporto all’idea del sepolcro, citando, esempi, come il fatto che ad Abido, presso uno dei sepolcri di Osiride, era vietato far risuonare note musicali (cfr. Strabone: Geografia, 17), o che in Beozia, coloro che passavano presso la tomba di Narciso, definito Sigelo (da sigé: silenzio), erano tenuti al silenzio (Strabone, 9): Arpocrate, generato da Osiride morto, sarebbe quindi diventato il silenzioso Sigalion, signore della morte e del lato notturno della vita. Per la storia di Narciso ed Eco, vedi Ovidio (Metamorfosi III, 339-510). 859

gli aspetti naturalistici del mito, il Bachofen (op.

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Iside e Osiride, 68, ed. cit. p. 131. 861 La parola di comando era personificata dal dio Hu, che accompagnava il sommo dio Ra, insieme a Sia, personificazione del senno (cfr. Testi religiosi egizi, ed. cit. p. 25). Vedi anche E.A. Wallis Budge: Magia egizia, Roma 1980, p. 14. J. Zandee: Das Schòpferwort im alten Aegypten, in: Verbum, Studia Theologica Rbeno-Traiectina, VI 1964. M. Schneider: Il significato della musica, Milano 1979, p. 173. 860

862

Cfr. Testi religiosi egizi, ed. cit. p. 89, 115, 211.

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la

divinità: e niente ha più efficacia nella conquista della comprendere felicità. Per questo noi esortiamo chi scenda qui all’oracolo a pensare con devozione e a parlare con rispetto»®°, Il collegamento fra il cuore, sede della volontà e la lingua, strumento della sua realizzazione, nel sottolineare il valore creativo della parola, ripropone una concezione ampiamente espressa negli antichi testi egiziani, in cui viene precisato che il cuore pensa e la lingua comanda, oppure che la lingua ripete quel che ha pensato il cuore e che entrambi hanno potere su tutte le altre membra, volendo intendere che la parola è la diretta espressione del pensiero e della volontà e che pertanto, come espressione di un pensiero rettamente concepito, il mezzo più efficace per conquistare la felicità, ovvero per una compiuta realizzazione dell’essere. Inoltre la parola che cerca di comprendere la divinità, viene definita divina in quanto, adeguandosi al carattere cosmogonico ed agli specifici poteri attribuiti alle divinità, li assimila, assumendo essa stessa un carattere magico e creativo. In tal senso Plutarco esorta chi entra in contatto con l’oracolo di Apollo, a pensare con devozione e parlare con rispetto, ribadendo il concetto di unità fra pensiero e parola e facendo comprendere che solo dalla corretta formulazione verbale di un pensiero devotamente concepito possano scaturire i magici effetti auspicati da chi scende a consultare l’oracolo. L’apparente conflitto fra il valore attribuito alla parola pronunciata ed il gesto del silenzio di Arpocrate, trova quindi la sua spiegazione nell’ammonimento alla prudenza ed al silenzio, che il saggio deve osservare nella consapevolezza che la parola determina il destino, anzi si identifica con esso in quanto espressione del valore trascendente e divino cui allude la formula GLOSSA TUKE, GLOSSA DAIMON che accompagnava l’offerta dei legumi ad Arpocrate. Va detto ancora che il significato più comunemente attribuito al gesto del silenzio di Arpocrate era quello di un ammonimento, rivolto a quanti fossero iniziati ai sacri Misteri, di non divulgare i segreti con-

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863 Iside e Osiride (68), ed. cit. p. 131: Plutarco si riferisce in questo passo all’oracolo di Apollo a Delfi di cui era sacerdote (cfr. nota 371, p. 214). Sulla Persea vedi Plinio (Naturalis Historia, XIII, 17) che ne descrive l’albero e il frutto a forma di pera allungata e più avanti (XV, 13) esclude che la persea fosse stata utilizzata dai Faraoni nelle torture, per i dolori provocati dal suo veleno, anzi dice che la persea fu piantata a Menfi da Perseo e che Alessandro introdusse l’uso di coronare con le sue foglie i vincitori. 864 Cfr. il testo della Stele di S’abaka riportato in Testi religiosi egizi, ed. cit. p. 93; vedi anche p. 135.

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nessi ai riti iniziatici. Tale convinzione, diffusa nell’antichità, viene riportata, nel XVI secolo, dal Cartari®°, quando afferma, nel suo trattato sulle immagini degli antichi dei, che l’opportunità di tacere delle cose che riguardano gli dei è stata personificata nell’immagine di specifiche divinità del silenzio quali Angerona presso i Romani, Arpocrate presso gli Egizi e Sigalione presso i Greci. Ricordiamo, a tal proposito, che la festa della Diva Angerona era celebrata a Roma in occasione del solstizio d’inverno, ovvero nello stesso periodo della nascita di Arpocrate®, Nella sua descrizione di Arpocrate, il Cartari riferisce anche l’opinione secondo cui la sua statua era posta nei templi del Bue Api o di Serapide «per avvertire le persone che tacessero, né osassero dire, che Api o Serapi fosse unqua stato huomo»®°”, riferendosi in ciò alla teoria di Evemero®%5, secondo la quale il culto delle antiche divinità aveva avuto origine dalla divinizzazione di uomini che avevano promosso il progresso dell’umanità con la loro opera di regnanti, legislatori, inventori ed eroi. 865 V. Cartari: Imagini delli Dei de gl’antichi p. 196.

(1

ed. Venezia 1556) ed. Venezia 1647,

866 Macrobio: I Saturnali, trad. it. Torino 1987, p. 173: la statua della Diva Angerona era collocata nel sacello della dea Volupia e raffigurava la dea con la bocca chiusa e sigillata, ovvero con il dito sulle labbra: il suo nome derivava, secondo la versione di Giulio Modesto riportata da Macrobio, da una malattia alla gola detta angina, dalla quale la dea avrebbe liberata la città, oppure dal concetto che la dissimulazione dei dolori e delle preoccupazioni - quindi la loro silenziosa sopportazione - porta gli uomini a liberarsi delle angosce (angores) consentendo loro di raggiungere la voluttà, personificata dalla dea Volupia che, in tal senso, va intesa come la dea della volontà, ovvero del piacere che deriva da una volontà realizzata. Cfr. G. Dumézil: La religione romana arcaica, ed. it. Milano 1977, p. 297. Per quanto riguarda Sigalione, ricordiamo che il suo nome deriva da sigé (silenzio) e che Narciso era stato definito Sigelo, perche quanti passavano presso la sua tomba erano tenuti al silenzio (cfr. Strabone, Geografia 9; Ovidio, Metamorfosi III, 339-510). 867 Cartari (ed. cit. pp. 39-39) riferisce, citando Erodoto, Varrone e s. Agostino, che «Api fu un re de gli Argivi il quale andò in Egitto e fu così caro a quelle genti che dopo morte l’adorarono e lo tennero per suo Dio principale, chiamandolo Serapi». Cfr. s. Agostino: De Civitate Dei, I, 18. 868 Evemero di Messene, vissuto fra il IV e il III secolo a.C. aveva esposta la sua teoria in un’opera intitolata Ierà Anagrafè (Scrittura sacra) che ebbe grande successo nel mondo antico.

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Plutarco rifiuta con estrema decisione tali concezioni riduttive e razionalistiche, definendole delle imposture e accusando Evemero di aver diffuso nel mondo ogni specie di ateismo; ribadisce quindi che il mito è il riflesso di una realtà trascendente e che «la tensione verso il vero, e soprattutto il vero riguardo agli dei, è desiderio di divinità: l’apprendimento e la ricerca che tale tensione comporta, costituiscono infatti quasi un’acquisizione di virtù divine»®?, Definendo le divinità mitologiche come «demoni», ovvero nature intermedie fra gli dei e gli uomini, Plutarco mostra di condividere la visione degli antichi teologi seguita anche da Pitagora, da Platone e dagli Stoici®”’ e, nel corso della sua trattazione, spiega come gli dei rappresentino la personificazione di principi naturali*!! ma vadano anche considerati in rapporto alle costellazioni, ai moti celesti, ai loro influssi ed alle vicende dell’animo umano®”?: viene così sottolineata la possibilità di interpretare i miti utilizzando molteplici chiavi di lettura, in modo da collegare in un unico sistema analogico i principi trascendenti, le vicende cosmiche coi loro ritmi temporali, gli eventi naturali e la natura umana. La figura di Arpocrate, posto a guardia dei sacri Misteri, ne diventa tal in modo l’emblema ed appare chiaro che il suo gesto del silenzio non si limita ad ammonire perché si osservi la necessaria discrezione sulle cose sacre, ma diventa esso stesso il simbolo di una via alla conoscenza fondata sulla concentrazione del pensiero e della volontà, sulla interiorizzazione della parola e sulla consapevolezza del suo valore divino e del suo potere creativo”,

Iside e Osiride (2), ed. cit. p. 58; vedi anche (20 e 23), p. 77 e 80. 870 Iside e Osiride (25 ss.), ed. cit. p. 82 ss.

869

871 Iside e Osiride (32 ss.), ed. cit. p. 89 ss.: Osiride, per esempio, viene identificato con la natura umida, mentre Iside rappresenta la terra fertile. 872 L’anima di Horus rappresenta infatti la costellazione di Orione, mentre quella di Tifone rappresenta l’Orsa e quella di Iside la stella Sirio (Sothzs) della costellazione del Cane: cfr. Iside e Osiride (21, 61), ed. cit. p. 79, 124. 873 Un’immagine di gusto orientaleggiante conservata al Louvre mostra il Dio rivestito con abiti sacerdotali, seduto su un trono e col capo coperto da un alto copricapo a forma di corona egizia o di tiara orientale, con evidente riferimento al ruolo di Arpocrate come custode dei sacri Misteri; in un bronzetto dei Musei Vaticani, il copricapo assume invece l’aspetto di un elmo o di una maschera, mostrando un secondo volto sovrapposto a quello del Dio fanciullo e alludendo probabilmente al doppio aspetto, esteriore ed interiore, del Silenzio.

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ARPOCRATE RITROVATO In epoca rinascimentale, il rinnovato interesse per il mondo antico e i suoi Misteri, unito al gusto per l’allegoria erudita a sfondo morale, non poteva certo trascurare una figura suggestiva e ricca di significati simbolici come quella di Arpocrate. L’idea di Arpocrate come “Dio del Silenzio” viene riproposta, nel 1556, da Pierio Valeriano, nel suo libro sugli Hieroglyphica in cui, analizzando e spiegando le antiche immagini geroglifiche sulla scorta dei dati tramandati da Orapollo, precisa che il dito indice posto sulle labbra indica il Silenzio e che quest’ultimo era simboleggiato dalla figura di Arpocrate®”, Contemporaneamente anche Cartari fornisce un’accurata descrizione di Arpocrate, arricchita da citazioni classiche e dalla riproduzione di diverse antiche immagini”. Riprendendo il discorso di Plutarco, Cartari riferisce che «Ad Harpocrate fu dedicato il persico perché questo arbore ha foglie simili alla lingua humana e i suoi frutti rassimigliano il core, come che la lingua manifesti quello, che è nel core, ma non lo debba però fare, se vi considera bene sopra»®’°, Cartari cita anche un’altra immagine del Dio del Silenzio raffigurato senza volto, col capo coperto da un cappello e rivestito con una pelle di lupo cosparsa di occhi e orecchie perché «bisogna vedere e udire assai, ma parlare poco»®”7: possiamo riconoscere in tale pelle di

874 G. Pierio Valeriano: leroglifici (1 ed. Basilea 1556) ed. Venezia 1625 p. 467; sul rapporto fra lingua e cuore, il Valeriano (p. 431) riporta il concetto ciceroniano, ripreso anche dal Cartari, sulla Persona veridica che «quel che tenea nel cuore, quel medesimo havesse nella lingua». 875 Nel testo del Cartari troviamo tre volte l’immagine di Arpocrate: una prima volta (ed. cit. p. 198) il dio appare insieme ad Angerona (con una benda sulla bocca) e Sigalione (col corpo cosparso di occhi) ed è raffigurato nudo e alato, appoggiato ad un arbusto e con la persea sul capo; nella seconda immagine (ed. cit. p. 326) è raffigurato fra Iside e Serapide come un fanciullo che porta l’indice della destra alle labbra, mentre regge nella sinistra una cornucopia; la terza immagine (ed. cit. p. 379) mostra Arpocrate seduto sul fiore di loto, sotto il quale si vede un leone, mentre ai lati sono poste una falce lunare ed una stella. 876 Cartari, ed. cit. p. 197. La descrizione che il Cartari fa dell’immagine di Arpocrate, viene ripresa nella lettera che nel 1562 Annibal Caro scrive a Taddeo Zuccari per esporgli il programma decorativo da lui ideato per la camera da letto del Cardinale Alessandro Farnese, alcuni brani della quale sono riportati da J. Seznec: La sopravvivenza degli antichi dei, Torino 1981, p. 352 ss. 877

Ibidem.

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lupo la pelle ferina che indossa Arpocrate in alcune statuette conservate nel Museo Nazionale di Napoli. Dalle immagini di Arpocrate sono quindi derivate diverse immagini allegoriche in cui possiamo riconoscere le indicazioni fornite dal Cartari. Una di queste figurazioni del «Silenzio», che riproduce abbastanza fedelmente la seconda immagine descritta dal Cartari, si trova in un affresco del chiostro napoletano di Santa Chiara (Tavola 13a), in cui vediamo un giovane seduto con un cappello in testa, rivestito da una pelle di lupo e con due occhi dipinti sul petto e sulla spalla, che porta l’indice della destra alle labbra, mentre con quello della sinistra indica il suo piede: nella pelle di lupo possiamo riconoscere la pelle ferina indossata da Arpocrate in alcune statuette, mentre negli occhi dipinti sul corpo riconosciamo l’esortazione del Cartari alla vigilanza e, nel gesto del silenzio, l’invito a «parlare poco»; l’atto di indicare il piede può essere un’allusione alla malformazione delle gambe di Arpocrate ma può anche voler significare che per procedere con sicurezza occorre osservare attentamente e saper tacere. Altre immagini allegoriche relative al Silenzio si possono trovare in ambito monastico, come nella serie delle “Virtù Certosine” affrescate nella Sala Capitolare della Certosa di San Martino a Napoli, in cui il «Silenzio» è rappresentato da un monaco che porta il dito alle labbra, mentre con la destra impugna una sferza, simbolo della “disciplina” (Tavola 13b). Riferendoci ora alle personificazioni alINA A_N legoriche del concetto di Silenzio, troviamo che nel 1531 l’Alciati®”® aveva descritto il «Silentium» con l’immagine di un maturo studioso che, levando il capo dai suoi libri, si volge verso l’osservatore portando il dito sulle labbra. L'immagine era accompagnata dai seguenti versi:

Conai ENT

Cum tacet quicquam differt sapientibus amens: Stultiziae est index linguaque voxque suae. Ergo premet labia, digitoque silentia signet, Et sese Pharium vertat in Harpocratem. 878 A. Alciati: Emblematum Liber (I ed. Augusta 1531) ed. Lugano 1600: Emblema XI, p. 63.

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L’Alciati, affermando che l’uomo stolto (aens) non differisce dal sapiente finché tace, ma che sono le sue parole a rivelarne il carattere, evidenzia poi con diversi esempi valore attribuito al Silenzio dall’uomo saggio e prudente, capace di trasformare se stesso nell’egizio (Pharium) Dio del Silenzio. In modo analogo il Ripa, nella sua Iconologia pubblicata nel 1593, descrive il «Silentio» come «Huomo vecchio, il quale si tenga un dito alle labbra della bocca e appresso vi sarà un’oca con un sasso in bocca», precisando che «l’età senile persuade facilmente il silentio come quella che confida più ne’ meriti, e nella fama acquistata, che nelle

il

parole»®7°,

Il riferimento ad una sapienza antica e misteriosa le cui radici vanno ricercate nella tradizione egiziana, trova ampio riscontro in diversi testi eruditi ed esoterici del XVII secolo: Michael Maier, uno dei maggiori esponenti della letteratura rosacrociana, già nel suo trattato Arcana Arcanissima, aveva affermato che i sacerdoti dell’antico Egitto avevano celato nelle immagini geroglifiche i segreti dell’Alchimia, interpretando quindi i miti egiziani e greci alla luce del simbolismo alchemico. In un’altra sua opera, il Silentium post Clamores, pubblicata nel 1617, dopo l’apparizione dei Manifesti rosacrociani (Fama Fraternitatis nel 1614 e Confessio Fraternitatis nel 1615), Maier interviene a favore del “Silenzio” osservato dai Rosacroce che, malgrado infinite sollecitazioni, rifiutavano di manifestarsi apertamente, e ne afferma la reale esistenza, sostenendo la legittimità del loro carattere “segreto”. Dedica quindi ad Arpocrate, in quanto immagine-simbolo del Silenzio e del Segreto iniziatico, l’intero capitolo XI, il cui titolo recita: «I numi degli Egiziani Sigalione o Arpocrate posti sugli altari insieme alla Sfinge per significare il Silenzio che per i Pitagorici durava cinque anni e che è osservato dalla suddetta fratellanza Rosa-Croce perché gli Arcani della Natura non vengano profanati dal volgo»®®°, Nell’edizione tedesca del 1617, l’intestazione del capitolo XI è accompagnata 879 C. Ripa: Iconologia (1 ed. Roma 1593); ed. Torino 1986 (condotta sulla Nuova iconologia, edita a Padova nel 1618), p. 170. 880 M. Maier, Silentium post clamores, Francoforte 1614, p. 57; vedi anche l’edizione in tedesco stampata a Francoforte nel 1617 da Lucas Jennis, p. 112.

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dall’unica illustrazione presente nel testo, in cui si vede l’ingresso di un tempio custodito da una statua di Arpocrate posta su un altare con una Sfinge alata accucciata ai suoi piedi, mentre una turba di ricercatori si accalca davanti ad un’Erma col busto di un uomo dalla lunga barba, che allude alla sapienza ermetica. In seguito, il dotto gesuita Athanasius Kircher, collegando l’origine della scrittura egiziana alla mitica figura di Ermete Trismegisto, ha dedicato diverse opere al tentativo di decodificare i geroglifici, considerandoli, alla pari di Maier, l’espressione simbolica di un’antica sapienza, ed insieme alle sue considerazioni sulle antichità egizie e il loro simbolismo, non ha mancato di esporre i principi di dottrine “occulte” come l’Alchimia e la Cabala. Non poteva certo mancare la presenza di Arpocrate in riferimento al carattere segreto di tali insegnamenti e quindi, nel frontespizio del testo dedicato ai geroglifici dell’Obeliscus Pampbhilius*, si vede la figura di Arpocrate che compie il gesto del silenzio, poggiando il piede sinistro sulla testa di un coccodrillo, mentre sopra di lui si librano Mercurio e Saturno (Tavola 9d). All’interno della stessa opera, Kircher riproduce diverse immagini di Arpocrate, una delle quali è decisamente singolare e particolarmente ricca di significati simbolici: ArpocraHoc Yno arcana recludo te vi è raffigurato come un fanciullo seduto che porta l’indice della sinistra alle labbra, mentre con la destra regge una fiaccola accesa e tre papaveri, stringendo a sé un gallo5%%; i suoi capelli sono ofiomorfi, ovvero si trasformano in serpenti e sulla sua testa si vede un crescente lunare con sopra una foglia di persea con il suo frutto; dietro la sua spalla è appesa una faretra con delle frecce e davanti a lui è poggiato un arco, mentre di lato è posta una civetta che reca 881

A. Kircher, Obeliscus Pampbilius, Roma 1650.

Ivi, pp. 316 s. Delle altre due immagini, una mostra un amuleto in cui Arpocrate è raffigurato ritto su un altare con una cornucopia in mano e la scritta HORUS MUNDUS (p. 204) e l’altra una gemma in cui si vede Arpocrate seduto sul fiore di loto (pp. 359 e 415). 883 Probabilmente l’immagine è stata stampata a rovescio, come dimostrerebbe il fatto che nel testo Kircher scrive che Arpocrate stringe il gallo col braccio sinistro; inoltre, nell’opera di Cuperus dedicata ad Arpocrate (Arpocrates, ed. 1687, p. 154) la stessa immagine appare stampata correttamente e risulta nel complesso più leggibile. 882

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parimenti sulla testa la foglia e il frutto della persea. Kircher afferma quindi che l’immagine rappresenta l’uomo sapiente, spiegandone i diversi elementi simbolici: il fatto che Arpocrate sia seduto significa che la sapienza si basa sulla quiete e sulla tranquillità dell’animo, mentre la sua giovinezza indica che la sapienza è sempre giovane (immarcescibile e perennemente rigogliosa). Il gesto di portare il dito alle labbra significa che la sapienza si coltiva nel silenzio e nella solitudine, il che è confermato dalla presenza della civetta, uccello notturno e solitario, simbolo essa stessa del silenzio del sapiente; il gallo rappresenta la vigilanza, ma il gesto di tenerlo per la gola indica che il sapiente non deve essere disturbato da strepiti inopportuni né deve essere distolto dalla sua quiete dalle attività diurne a cui gli uomini vengono chiamati dal canto del gallo. Per quanto riguarda la persea, Kircher ribadisce il concetto che la sua foglia evoca l’immagine della lingua, mentre il suo frutto quella del cuore, e spiega che il sapiente deve saper ascoltare ciò che viene detto dai Maestri e sapersi concentrare nel suo cuore; la fiaccola e i papaveri significano che il sapiente deve meditare sulla morte, simboleggiata dai papaveri, e sulle cose superiori, simboleggiate dalla fiaccola accesa; infine, la faretra con le frecce suggerisce l’idea che chi voglia penetrare nelle sedi della sapienza deve rinunciare alle cose terrene, rappresentate dai serpenti e dalla falce lunare, che alludono alla loro caducità e allo scorrere del tempo. La stessa immagine, riproposta a conclusione dell’Oedipus Aegyptiacus®i reca la scritta HOC UNO ARCANA RECLUDO, volendo significare che tutto l’Arcano, il Mistero, è racchiuso in essa. Citiamo anche un’altra immagine, riportata nell’Oedipus Aegyptiacus, di un amuleto che mostra Arpocrate all’interno di un frutto di persea, in modo da evidenziare il rapporto fra il significato simbolico della persea e quello del Silenzio di Arpocrate®®’. 884 A. Kircher, Oedipus Aegyptiacus, Tomo III, Roma 1654, p. 590. Nello stesso volume (p. 250) è riprodotto anche un amuleto che mostra Arpocrate all’interno di un frutto di persea. Nel Tomo I si trovano due delle immagini di Arpocrate già pubblicate nell’Obeliscus Pampbilius e la riproduzione di altre due statuette del dio (p. 213), mentre nella seconda parte del Tomo sono riprodotti alcuni amuleti e gemme con la figura di Arpocrate (pp. 462 e 463). 885 Oedipus Aegyptiacus, Tomo IL, seconda parte, p. 452 e Tomo III, p. 250. La stessa immagine è riprodotta da anche Cuperus (op. cit., p. 158).

Il

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Seguendo le orme del Kircher, nel 1676 l’erudito olandese Gisbertus Cuperus, ha dedicato un testo specificamente all’iconografia di Arpocrate, esaminando e confrontando diversi antichi reperti, Nel frontespizio dell’opera, vediamo in alto la figura di Arpocrate, alla quale fanno corona diverse divinità e figure allegoriche; si riconoscono Iside e Serapide, Apollo e Mercurio, mentre Cronos, il dio del Tempo, aiuta a trovare, scavando, le testimonianze sepolte delle antiche civiltà; un’altra immagine di Arpocrate, rappresentato seduto sul fiore di loto, si scorge scolpita su un obelisco (o piramide) in alto a sinistra (Tavola 14). Da questa immagine si può constatare che si sta ormai sviluppando un interesse di tipo archeologico per l’antichità, basato sul rinvenimento e lo studio dei reperti più che sulla ricerca di occulte verità. Il testo inizia con la descrizione di una statuetta argentea di Arpocrate della collezione di antichità romane raccolta dall’erudito Johannes Smetius nella cittadina olandese di Nijmegen®®”: il dio vi è raffigurato come un fanciullo alato con un fiore di loto sulla testa e una piccola faretra appesa dietro la schiena, che impone il silenzio con l’indice della destra, mentre con la sinistra regge una nodosa clava intorno alla quale è avvolto un serpente; al suo braccio destro è appesa una situla, oggetto rituale dei Misteri Isiaci, e ai suoi piedi si vedono un piccolo cane e dei due volatili, uno quali riconosciuto come uno sparviero, probabile allusione al dio-falco Horus. Cuperus afferma che questa immagine di Arpocrate, più che indicare il silenzio, simboleggi il Sole; passa quindi ad esaminare, sulla base delle antiche testimonianze, la storia della nascita del dio e della sua assimilazione ad Horus e quindi al Sole. Fra le altre immagini riportate da Cuperus, segnaliamo la riproduzione di una statuetta in cui Arpocrate è rappresentato alato con un

j

886 G. Cuperus: Harpocrates, prima ed. Amsterdam 1676; seconda ed. ampliata, Arpocrates et monumenta antiqua, Utrecht, 1687. L’olandese Gijsbert Kuiper, detto Gisbertus Cuperus (1644-1716), è stato un filologo e professore di latino e greco, autore di diverse opere di linguistica e numismatica. Ivi, ed. 1687, p. 2. Una riproduzione di questa statuetta di Arpocrate è stata pubblicata anche dallo stesso J. Smetius nel suo testo Antiguitates neomagenses, Nij-

887

megen 1678, p. 127. 888 Ivi, ed. 1687, p. 36.

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medaglione al collo e uno strano copricapo (forse una corona con sopra un frutto di persea); il giovane dio è appoggiato ad un arbusto (una vite, come si comprende dalla presenza di una pigna d’uva) su cui si innalza uno strano serpente con un crescente lunare e il disco solare sul capo, mentre su un ramo è posato un volatile, probabilmente Horus in forma di falco, con corona e persea. Un’altra figura®° mostra Arpocrate

come un fanciullo alato con una cornucopia da cui fuoriesce un oggetto a forma piramidale e con una faretra appesa dietro la schiena; il dio si appoggia ad una clava intorno alla quale è avvolto un serpente; davanti a lui si trovano un cane, (allusione al dio Anubi e simbolo mercuriale), e una tartaruga (animale collegato ad Hermes e a Venere, simbolo di stabilità, saggezza e longevità); fra il dio e la clava si vede un grande sistro in riferimento ad Iside. Troviamo anche la riproduzione di alcune gemme o sigilli sul tipo degli Abraxas gnostici, con l’immagine di Arpocrate seduto sul loto con un Leone sottostante, oppure su una barca con un cinocefalo (Thot) e un falco (Horus), Da citare infine una medaglia-amuleto, in cui si vede da un lato la figura di Arpocrate fanciullo seduto su un plinto, mentre su un’altra faccia il dio è rappresentato adulto e barbuto, seduto su un fiore di loto e con una falce lunare sulla fronte che lo fa somigliare ad un diavoletto; la medaglia reca l’iscrizione in greco MEGAS HOROS APOLLON ARPOCRATES, che ribadisce la sostanziale identità fra Horus, Apollo e Arpocrate come divinità solare®°!. Ivi, ed. 1687, p. 118; altre due immagini di Arpocrate con clava, serpente e cornucopia sono riprodotte a p. 32. 890 Ivi, ed. 1687, pp. 7.9, 12; altre gemme immagini di Arpocrate sono riprodotte a p. 171 e in due di esse il dio presenta la parte inferiore del corpo in forma di animale (drago o volatile). 891 Ivi, ed. 1687, p. 156. Nell’iscrizione viene inoltre specificato che il dio è propizio alle gestanti, fornendo una chiara indicazione sull’uso di questo amuleto e sulla con889

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IL CUSTODE DEI SEGRETI ERMETICI Gli artisti del Rinascimento, nel fare riferimento alla “Prisca Theologia”, avevano per lo più fatto ricorso alle immagini di Ermete Trismegisto, degli antichi sapienti e delle Sibille ma, in seguito alla pubblicazione delle opere del Valeriano e del Cartari, la figura di Arpocrate ritrova il suo ruolo come immagine emblematica delle scienze esoteriche e del concetto del Segreto iniziatico. Nel Palazzo Farnese di Caprarola troviamo una raffigurazione di Arpocrate (Tavola 15a) dipinta da Taddeo Zuccari (1560-1566) sulla base delle istruzioni fornite dal dotto poeta Annibal Caro, che corrisponde in modo rigoroso alla descrizione plutarchea, come riferisce un testo settecentesco: «Dio del silenzio, perché rappresentandosi nella prima vista a quelli che entrano dalla porta che viene dal camerone dipinto, avvertirà gl’intranti che non faccino strepito. La figura di questo è di un giovane o putto più tosto di colore nero, per essere dio degli Egizii, col dito alla bocca in taccia. Porti in mano un ramo di persico, e se atto di comandare che delle foglie. Fingano che nascesse debile di gamghirlanda sue pare, be, e che essendo ucciso, la madre Iside lo resuscitasse, e per questo altri lo fanno disteso in terra, altri in grembo di essa madre, con piè congiunti. Abbia gente intorno che gli offeriscono, come era solito, primizie di lenticchie et altri legumi e di persichi sopra detti»®°2, In un’immagine di Arpocrate affrescata verso l’inizio del XVII secolo nella Biblioteca dell’Abbazia di San Michele a Montescaglioso (Tavola 15b), le concezioni sul Silenzio esposte dall’Alciati e dal Ripa hanno invece sostituito i tradizionali modelli iconografici di Arpocra-

si

cezione di Arpocrate come dio della fertilità. 892 Leopoldo Sebastiani, Descrizzione e Relazione Istorica del Nobilissimo, e Real Palazzo di Caprarola, Roma 1741, p. 65. L'immagine di Arpocrate è affrescata in uno dei quattro medaglioni posti negli angoli della volta della Camera dell’Aurora, nell’Appartamento estivo del Cardinale Alessandro Farnese; mentre al centro della volta è rappresentato il Crepuscolo fra il Giorno e la Notte, negli altri tre medaglioni si vedono un’allegoria del Sonno, l’immagine di Brito, dea dei vaticini e quella di Angerona, dea romana della Segretezza.

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te fanciullo o giovinetto: il Dio del Silenzio appare infatti come un anziano filosofo dalla lunga barba, che porta l’indice della destra alle labbra nel consueto gesto di intimare il silenzio, mentre con l’indice della sinistra sembra indicare la parola Silentium che compare nella cornice ovale che circonda l’immagine®”, Concepita in tal modo, l’immagine non appare più come la dotta evocazione di una figura mitologica, ma costituisce piuttosto una figura emblematica, in cui il mitico nome di Arpocrate evoca la tradizione sapienziale dell’antico Egitto, mentre il gesto del silenzio allude all’aspetto occulto di tale tradizione ed ammonisce gli iniziati a non divulgarne i segreti ed a parlare solo in forma velata delle cose sacre. La somiglianza dell’Arpocrate di Montescaglioso con alcune raffigurazioni rinascimentali di Ermete Trismegisto, ci induce a ricordare come nella seconda metà del XV secolo, in seguito alla riscoperta ed alla traduzione del Corpus Hermeticum®” sì fosse diffusa la convinzione che nell’antica sapienza egiziana si dovesse cercare la fonte originale di ogni conoscenza: il prestigio della tradizione ermetica, ritenuta espressione di tale antica saggezza, svolse pertanto un ruolo di grande importanza nel quadro della generale rivalutazione del mondo antico, della sua arte e della sua filosofia, inserendosi nel più ampio contesto della cultura umanistica e saldandosi a tradizioni già vive nel Medioevo come l’Alchimia e l’Astrologia, affini per spirito, princìpi e riferimenti, agli scritti ermetici ed a molti dei testi cui si rivolgeva l’interesse della cultura rinascimentale. L’incisione eseguita nel 1555 dal bolognese Giulio Bonasone, sottolinea in modo particolarmente evidente il rapporto fra la figura di Arpocrate e la Tradizione Ermetica: in essa infatti il gesto del silenzio viene compiuto dallo stesso Hermes, raffigurato come un giovanetto con un mantello sulle spalle, il petaso sul capo e un candeliere a sette

,

893 Nella scritta che si sviluppa in tale cornice si raccomanda infatti di aver caro il silenzio per evitare che in futuro il tacere non debba essere amaro (S:lentiunm vobis charum ut utinam non sit amarum): Cfr. S.E.F. Hébel, La Biblioteca dell'Abate, Napoli 1989, p. 17 ss.

sit

894 Come abbiamo già avuto modo di vedere, fin dai primi secoli dell’Era cristiana era diffusa la convinzione che «l’Egitto fosse la fonte originaria di ogni scienza e che i maggiori filosofi greci vi si fossero recati e avessero conversato coi sacerdoti del luogo»: cfr. FA. Yates: Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Bari 1969, p. 17. 895 Ricordiamo che il manoscritto greco del Corpus Hermeticum fu portato a Firenze verso il 1460 e Cosimo de’ Medici ne ordinò la traduzione in latino a Marsilio Ficino.

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lumi nella mano sinistra; un cerchio luminoso sormonta la sua testa con una scritta circolare in cui si legge: MANET IN SE MONAS Concludiamo il nostro excursus fra le immagini tardo-rinascimentali di Arpocrate con un’ultima raffigurazione del Dio del Silenzio, risalente verosimilmente agli inizi del XVII secolo e scolpita su una lastra posta sul portone di un’antica villa che sorgeva fuori le mura di Napoli (Tavola 16): il rilievo mostra la figura di Arpocrate giovanetto, seduto su un terreno a scaglie rocciose con le gambe accavallate; con la mano destra impone il silenzio, mentre con l’altra leva in alto uno scettro; la testa del giovane dio è sormontata da un globo celeste mentre ai suoi piedi spunta un fiore di loto. La parte superiore della lastra reca la scritta in caratteri greci MEGAS OROS APOLLON $®%,

ARPOCRATES. Viene in tal modo riproposta la sostanziale identità delle tre figure mitologiche, Horus, Apollo e Arpocrate, riconducibili al medesimo principio luminoso e solare, pur dovendo precisare con Dom Pernety, mitologo e alchimista del XVIII secolo, che Arpocrate non va confuso con Horus”, in quanto mentre il primo è il Dio del Segreto, il secondo costituisce invece l’oggetto di tale segreto e rappresenta l’Oro ermetico, risultato finale dell’Opera alchemica. Pertanto, il significato simbolico di Arpocrate, che sia gli Egiziani che i Greci concordavano nel considerare come il Dio del Silenzio, più che identificarsi con quello del simbolismo solare, riguarda la necessità di conservare il segreto sui Misteri iniziatici e, in particolare, sull’Opera ermetica ai cui risultati alludono invece gli attributi presenti nelle sue raffigurazioni (il loto, i raggi solari, la cornucopia) e la sua stessa nascita come figlio di Iside e Osiride, considerati come i genitori dell’Oro filosofale®”, Infatti, se Osiride rappresenta «il principio e la natura dell’elemenumido in sé, origine della vita e sostanza fecondante», identificabile to con l’intelligenza e la ragione” e Iside rappresenta la terra ed il principio femminile della natura, nutrice e grembo che tutto riceve, sim896 A. Bocchi: Symbolicarum quaestionum... libri quinque, Bologna 1555. Cfr. FA. Yates: L'arte della memoria, Torino 1972, fig. 1. L’Arpocrate di Montescaglioso somiglia piuttosto all’Ermete Trismegisto raffigurato sul pavimento del Duomo Siena, per il suo venerabile aspetto di anziano Filosofo.

di

897 Dom A.J. Pernety: Les Fables Egyptiennes et Grecques dévolilées, Paris 1758, ed. it. Genova 1980, p. 77. 898 899

Cfr. Les Fables Egyptiennes et Grecques dévolilées, ed. cit. p. 84 ss. Iside e Osiride (33), ed. cit. p. 91. Vedi anche (53-56 e 60), p. 115 ss. e 122.

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bolo del movimento, della conoscenza e della scienza, Horus, frutto della loro unione, rappresenterà la creazione, l’immagine sensibile del mondo intellegibile°”, mentre Arpocrate, fratello minore ed alter ego di Horus, rappresenterà quindi, col suo gesto del silenzio, l’aspetto occulto di tale creazione, le leggi e le conoscenze che gli antichi sapienti solevano celare sotto il velo dei simboli, dei miti e dei Misteri, indicando la necessità di non rivelarne i segreti. Si può così comprendere come il gesto di Arpocrate, ammonendo affinché venga conservato il segreto sulle conoscenze iniziatiche, costituisca anche un’esortazione all’introspezione ed alla meditazione sui molteplici significati celati nei riti misterici e nelle antiche storie sacre: il Dio del Silenzio diventa quindi il simbolo allo stesso tempo della scienza iniziatica, del suo aspetto occulto e del Silenzio interiore’! di quello stato il cui conseguimento è condizione necessaria e imprescindibile per poter penetrare nel Tempio e accedere alla via della conoscenza, dopo aver fatto tacere i clamori disordinati, metallici e contrastanti della personalità umana.

Il termine egizio Her (da cui Horus) significa infatti anche /accia per cui Horus rappresenta la faccia, l’aspetto sensibile dell’invisibile Ra: cfr. R.A. Schwaller de Lubicz, op. cit. p. 309. 901 Sul Silenzio vedi Proclo: Filosofia caldaica (4), in T Manuali, Milano 1985, p. 248 ss; un testo gnostico (cfr. J. Lindsay, op. cit. p. 139) definisce significativamente Sigé, il Silenzio, come «il primo compagno del nome divino». Dumdézil (op. cit. p. 298) afferma, a tal proposito, che uno degli scopi del silenzio è quello di concentrare il pensiero, la volontà, la parola interiore in modo da ottenere un’efficacia magica che la parola pronunciata non possiede e cita esempi di questo concetto desunti dalla tradizione vedica e da quella germanica: nell’Edda di Snorri (ed. it. Milano 1975) Vidbarr, figlio e successore di Odino, è definito l’Asi silenzioso (ed. cit. p. 101) ed è lui che, nel Ragnaròk ucciderà del lupo Fenrir, emblema delle forze del male (p. 150, 152) in evidente analogia con la vittoria di Horus su Seth e, quindi, della Luce sulle tenebre.

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Ruscelli Girolamo,

Jp’ secreti del reverendo donno Alessio Piemontese, Venezia

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449

Sommario TAtro dizione

Capitolo I

yu

GANN OGNI VZOiz zi

5

L’ANTICA TRADIZIONE EGIZIA

n usasse SENAGO

TRENI DIVII

EEA svoigesvmonirioizinltnnin nn ONERI ESE 9 La religione degli Egiziani...........c.siisoiionisinisinisinionnviinsiniionisninoninninionininninnenne 14 I Misteri di Iside e Osiride..........siisiisiioiioiiinisinsinsnnisnisnisnisninnivnionissninnioninnini 20 Gli Dei egizi e i loro significati simbolici ..........sssiissiiviiziiiinisinisinisinisnniinninne 26 Il Regio: dei MOR EEZRZ EN 31 sirio sammarinesi Gli antichi testi EN 33 Ea: Magia Spiziatià 40 E 42 Papitt Magitt Là storia di Sattit:K Hatiow$ 45 Uti testo:magico dell’epoca toldmiatcàusvaazzionicaziinenioeziziizssicoiizivane 47 49 Amuleti, talismani è statue: Anitnaté aussi oinzviziiiziniiiiai

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