Il Dio del silenzio: permanenze della tradizione esoterica egizia a Napoli 9788895063706

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Il Dio del silenzio: permanenze della tradizione esoterica egizia a Napoli
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SIGFRIDO E. F.

HOBEL

IL DIO DEL SILENZIO Permanenze della tradizione esoterica egizia a Napoli

·�

STAMPERIA DEL VALENTINO

*

Tutti i diritti riservati

© 20 1 7 Stamperia del Valentino via Raffaele Tarantino, 4 - 80 128 Napoli Tel. c Fax 08 1 5787569 www. stamperiadelvalentino.it ISBN 978-88-95063-70-6

INTRODUZIONE

Napoletani ben conoscono la statua del Nilo (Tavola la) che si erge nel centro storico, presso la piazza San Domenico, evocando il ricordo della comunità di mercanti e artigiani Egiziani che anticamen­ te risiedeva lì, nell'area circostante l'attuale Via Nilo. La presenza di questa colonia di " Alessandrini " , ha certamente influenzato, con i suoi culti ed i suoi Misteri, la cultura della nostra città, aggiungendo una nota di colore egiziano alle sue tradizioni greco-romane. La statua del Dio-Fiume, che i Napoletani hanno affettuosamente chiamata il "Corpo di Napoli " , testimonia dunque, con la sua presenza, il perma­ nere di questa " anima" egiziana che in qualche modo è entrata a far parte del patrimonio genetico della città. Numerosi elementi ci inducono tuttavia a pensare che non si tratti solo del ricordo di una remota presenza, ma che si possa essere svi­ luppata a Napoli una tradizione esoterica effettivamente collegata ai Misteri egiziani, coltivata in segreto e trasmessa nel corso dei secoli. Naturalmente, per il carattere occulto che una simile scuola iniziatica avrebbe dovuto necessariamente avere, è molto difficile, se non im­ possibile, che si possa affermare la sua esistenza con un soddisfacente margine di certezza. Per individuare le tracce di una tradizione "egi­ ziana" che riteniamo possa essere esistita, faremo quindi riferimento a delle testimonianze artistiche e letterarie, alle idee espresse da alcuni pensatori ed eruditi, alla formazione di alcune associazioni ed alla loro ispirazione esoterica, ma anche a leggende e tradizioni popolari che potranno fornirci delle indicazioni in merito a tale possibilità. Tra le testimonianze visive riconducibili a tale tradizione, una im­ magine ci è subito apparsa particolarmente significativa, quella di Ar­ pocrate (Tavola lb) , il dio egizio, simbolo del silenzio al quale erano tenuti gli iniziati, dal momento che la presenza di questa immagine può costituire un'allusione all'esistenza di un insegnamento occulto su cui è opportuno tacere o al quale si può alludere solo sotto il velo di un linguaggio simbolico. Che si tratti di una scultura, di un dipinto o dell'illustrazione inserita in un testo, la figura di Arpocrate che porta il dito alle labbra, può essere infatti considerata un segnale inequivoI

5

cabile rivolto a chi, conoscendo il linguaggio dei simboli, sia in grado di riconoscere la presenza di un insegnamento iniziatico tradizionale. Pur nella loro diversità, le Scuole iniziatiche, delineando una parti­ colare via per giungere alla conoscenza ed alla realizzazione spirituale, presentano dei tratti comuni: in primo luogo, il riferimento all ' autori­ tà di una Tradizione, intesa come la fonte di una conoscenza rivelata direttamente dalla divinità o comunque derivante da un'esperienza metafisica; quindi la loro "legittimità" , conferita dalla continuità della trasmissione della dottrina o dalla prodigiosa scoperta di un elemento, un documento, una testimonianza o un messaggio grazie al quale rico­ stituire una "catena spezzata"; infine, il carattere iniziatico e graduale dell'insegnamento, al quale hanno accesso solo coloro che sono stati "iniziati" mediante particolari riti, e ai quali vengono riconosciute le necessarie attitudini. A questi elementi va aggiunto l'uso di un lin­ guaggio simbolico che può essere compreso dai soli iniziati e l'impe­ gno a conservare il segreto su quanto si è appreso. Quest'ultimo aspetto riveste una particolare importanza ai fini del­ la nostra ricerca, in quanto il riferimento al Silenzio e alla necessità di conservare il Segreto costituisce l'evidente allusione alla presenza di un insegnamento esoterico e faremo quindi riferimento alle immagini di Arpocrate presenti sia a Napoli che in altri luoghi, in cui appare molto verosimile che sia esistita una conoscenza la quale, affondando le sue radici nei Misteri egiziani, sia in qualche modo sopravvissuta al tramonto del Paganesimo, per poi rifiorire nelle Accademie rinasci­ mentali, nel movimento rosacrociano e, infine, nei Riti massonici di . . Ispirazione egiZiana. Va comunque precisato che, quando parliamo di "Tradizione egi­ ziana" , anche se faremo riferimento all'antico Egitto dei Faraoni, ci riferiamo soprattutto agli insegnamenti e tradizioni che ci sono giunti dall'Egitto dell ' età alessandrina, come risultato di quel sincretismo magico-religioso e filosofico determinato dall'incontro delle tradizio­ ni sapienziali egiziane con la cultura greca, la sua mitologia, i suoi Misteri e la sua filosofia. Alessandria, capitale dell'Egitto tolemaico e poi, dopo la conquista romana, di una ricca e fiorente provincia, oltre che un importantissimo porto e centro di intensi scambi commerciali fra il Mediterraneo e l'Oriente, è stata infatti il maggiore centro cultu.

.

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6

ralc dell'antichità, famosa per la sua Biblioteca e le sue Scuole, grazie anche all a convivenza, non sempre facile, di tre importanti comunità, l'egiziana, la greca e l'ebraica, e anche all'apporto di culture del vicino Oriente. (Tavola le) L'incontro di tradizioni e culture diverse ha infatti determinato, in particolar modo nell'ambiente alessandrino, dei nuovi orientamenti nella speculazione filosofico-teologica, che hanno portato alla formu­ lazione di nuove dottrine e alla creazione di diverse scuole iniziatiche: ed è in queste dottrine e scuole che potremo trovare le radici dei suc­ cessivi sviluppi delle principali correnti esoteriche dci nostri tempi.

7

Capitolo I L'ANTICA TRADIZIONE EGIZIA

I REGNI DIVINI

zJ cY �

La storia dell'antico Egitto inizia quando Menes, sovrano dell'Alto Egitto, unifica i due Regni dell'Alto e del Basso Egitto, il primo dei quali si estendeva nella parte meridionale e più montuosa del Paese, mentre il secondo comprendeva la parte bassa e pianeggiante fino al Delta. Il sacerdote Manetone ci ha tramandato l'elenco delle 26 Dinastie di Fara­ oni che si sono succedute a partire da Menes1 • Tuttavia, malgrado le te­ stimonianze giunte fino a noi, le origini della civiltà egiziana rimangono awolte nel mistero e la stessa datazione del regno di Menes non è stata stabilita con certezza, anche se la maggior parte degli egittologi contem­ poranei la colloca verso il 3200 a.C.2• Resta comunque il fatto che, fin dalle prime dinastie, la civiltà egiziana appare già perfettamente evoluta, il che dovrebbe indurre a riconsiderare il problema delle sue originP.

l Manctonc, sacerdote egiziano dd III secolo a.C., basandosi s ui docwnenti c le crono­ lo gie custodite nei templi, scrisse una storia dell'Egitto di cui restano solo alcune cita· zioni riportate in testi successivi. Una lista di Re, simile a quelle che dovette consultare Manetone, è il Papiro di Torino, noto anche come Papiro dei Re o Canone Regio (redatto durante la XIX Dinastia. nel XIII secolo a.C. e conservato nel Museo Egizio di Torino), in cui è riportata la lista dci Faraoni che regnarono fino al Nuovo Regno (cfr. F. Botti­ gli engo, Il «Papiro dei Re» di Torùro: m1t1 storia degli studi e mumi orizzonti di ricerca, in L'Egitto tra storia e leueratura, Torino 2010). Anche Erodoto (Storie 11, 100) parla di un Libro redatto dai sacerdoti. nel quale erano elencati 3 30 Re che regnarono dopo Mcncs.

datazione del 3200 a.C.. sostenuta dall'egittologia ufficiale, si basa principal­ mente su E. Drioton, J. Vandier (L'EgJ•pte, Paris 1962). Un egittologo meno "orto­ dosso", A. Pochan (L'enigma della Grande Piramide, ed. MEB, Torino 1974) nega la validità di questa "cronologia corta" c propone invece, sulla base di una diversa inter­ pretazione del sistema calcndariale egizio, un "computo lungo" che consentirebbe di far risalire la morte di Menes al 5557 a.C.

2 La

3 Significative, in tal senso, le scoperte archeologiche fatte nel 1954 nd1a necropoli di Saqqara, e risalenti alle prime tre Dinastie, in base alle quali si cvim:c che sia l'organizzazione sociale, che le fomlC culruali c le arti, nonché la scrittura geroglifica erano in vigore fin dall'inizio dell'epoca Dinastica (dr. RA Schwallcr de Lubicz, Le Roi de kt Théocratie pharaonique, eJ. Flammarion, Paris 1%1, p. 150 ss.; L. Lamy, Mil"lt?Ù'gi'l.i. cd. Fabbri, Milano 1982, p. 66-67).

9

Gli Egiziani facevano infatti risalire le origini della loro civiltà a tempi ben più remoti che non il terzo o quarto millennio prima dell'èra volgare, e nel mondo classico era opinione diffusa che le concezioni relative agli Dci avessero avuto origine in Egitto in tempi molto anti­ chi; in Egitto erano state fatte inoltre le prime osservazioni astronomi­ che ed era stato elaborato il calendario basato sulla divisione dell'anno in dodici mesi, e sempre in Egitto erano conservate le conoscenze più antiche e segrete�. Secondo quanto racconta Platone nel Timeo�, un vecchio sacerdote di Sais aveva rivelato a Solone che la sua città era stata fondata ben ottomila anni prima; ma che anche Atene era in realtà molto più antica di quanto pensassero i Greci, essendo stata fondata mille anni prima di Sais; mentre però i Greci non sapevano più nulla del loro passato, gli Egiziani avevano conservato la memo­ ria degli avvenimenti che risalivano alle epoche più remote: «Fin dai tempi antichi si trova tutto registrato e conservato qui nei templi»; il Sacerdote aveva quindi descritta l'antica civiltà ateniese, raccontando della sua guerra contro Atlantide e del terribile cataclisma che avreb ­ be provocata la scomparsa della leggendaria isola. Erodoto racconta di aver appreso dai sacerdoti del Tempio di Am­ mone a Tebe6, che Menes fu il primo " uomo" a regnare sull'Egitto, ma che prima di lui il Paese era stato governato dagli Dei, che avevano vissuto sulla terra insieme agli uomini, e l'ultimo dei quali era stato Horus, figlio di Osiride; anche Diodoro Siculo riferisce che, secondo la tradizione sacerdotale, l'Egitto fu governato inizialmente da Dei ed Eroi per un periodo di quasi 18.000 anni e che l'ultimo Re divino fu Horus, figlio di Iside, mentre il primo Re " umano" fu Menes7• ll Papiro di Torino conferma, nella sostanza, le versioni tramanda­ te da Erodoto e Diodoro, ponendo prima di Menes dicci Nether o Dei e nove Dinastie divine o semi-divine, l'ultima delle quali sarebbe stata quella degli Shemsu-Hor, i «Compagni di Horus» che avrebbero re­ gnato per 13 .420 anni, mentre la durata dei Regni precedenti sarebbe 4

Cfr. Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, l, 9; Erodoto II, 4.

Platone, Timeo 23. Erodoto II, 144. Precedentemente (l, 3 ) Erodoto aveva detto che, dopo essere stato a colloquio con i Sacerdoti di Tebe, per ottenere una conferma dci loro racconti si era recato anche presso quelli di Tebe e di Heliopolis che erano «i più sapienti fra gli Egiziani». 7 Diodoro Siculo l, 44-45. In base al testo di Diodoro, i Regni divini avrebbero avuto termine circa 5.000 anni prima della CLXXX Olimpiade (56 a.C. ), epoca in cui lui aveva visitaro l'Egitto. 5

6

lO

stata di 23 .200 anni8• I dati tramandati da Manetone, pur non essendo uguali, sono tuttavia abbastanza simili, ed in base ad essi i Re divini avrebbero regnato per 15. 1 50 anni, mentre altri 9.777 anni sarebbero intercorsi fino a Menes, per cui gli anni che precedono il periodo sto­ rico ammonterebbero a un totale di 24.927 anni. Una cronologia che comunque, risalendo tanto indietro nel tempo, ci riporta inevitabilmente al di là di ogni periodo "storico" . Secon­ do quanto riferisce Erodoto, i Sacerdoti di Tebe avevano sottolineata esplicitamente la differenza fra il periodo delle Dinastie " umane", du­ rante il quale «non c'era stato nessun dio in forma umana», e il perio­ do precedente, durante il quale l'Egitto era stato dominato dagli Dei'1• Per quanto riguarda i Regni divini, Erodoto riferisce che tre serie di Dei si sarebbero succedute nel tempo: la prima serie, di cui faceva parte Pan (identificato in genere col dio egiziano Min), era composta di otto divinità; successivamente questi otto Dei divennero dodici, e infine da questi dodici Dei era nata una terza serie di Dei, fra i quali Osiride, identificato con Dioniso, che avrebbe regnato circa 15 .000 anni prima 10• Diodoro Siculo fa risalire il primo Regno divino, quello di Helios, a circa 23 .000 anni prima della spedizione di Alessandro Magno in Asia, ed enumera gli altri Re divini fra cui Osiride-Dioniso, che avrebbe regnato, insieme ad Iside, intorno al 1 0.000 a.C. (secon­ do altri verso il 23000) e cui si attribuisce una leggendaria spedizione finalizzata alla diffusione della civiltà in tutto l'Ecumene, e infine Ho­ rus, identificato con Apollo1 1 • Dobbiamo ora chiederci cosa rappresentassero, in realtà, questi leggendari Re divini, e se il riferimento ad essi debba intendersi in 8 Schwallcr dc Lubicz (op. cit. p. 117 - 120), sommando gli anni indicati dal Papiro di Torino, indica un totale di ben 36. 620 anni prima di Menes. La lista dei dieci Neter (Ptah, Ra, Shu, Geb, Osiride, Seth, Horus, Thot, Maat, Horus, indicati come Re dell'Alto c Basso Egitto) è riportata da Boris dc Rachewiltz (l miti egizi, ed. TEA, Milano 1995 ). 9 Erodoto, II 142 - 1 44. 1 0 Erodoto (Il 43-46 e 1 44- 145). Per quanto riguarda il Dio Pan, Erodoto (1146) dice che gli Egiziani lo descrivono, allo stesso modo dei Greci, con volto di capra e zampe di montone c fa riferimento al culto del capro di Mendes, per cui sembra collegarlo più a Khnum, antica divinità crioccfala di Mendes, che non a Min. Per quanto concerne invece il passaggio dagli otto ai dodici Dei, si potrebbe ipotizzare il passaggio da una struttura calcndariale più arcaica a quella della divisione dell'anno in dodici mesi. 1 1 Diodoro l, 1 3 -28. Per quanto riguarda le indicazioni cronologiche, si vedano i capitoli 1 3 , 23, 24, 6.

11

senso storicistico o simbolico. Diodoro Siculo, mostrando di condi­ videre la teoria evemerica12, sostiene che, secondo gli Egiziani, questi Re divini e altre divinità del loro Pantheon, erano stati un tempo dei mortali, che furono divinizzati e ottennero l'immortalità per la loro sagacia e per i buoni servizi resi all'umanità13• In tal senso, Osiride sarebbe stato «il primo ad allontanare l'uomo dal cannibalismo» e ad indurlo a cambiare le sue abitudini alimentari, insegnandogli a coltivare le piante, mentre era stata la sua sposa Iside a "scoprire" i frutti della terra, fra cui il frumento e l'orzo, e fu anche la prima a «stabilire le leggi», in modo che i rapporti interpersonali fossero regolati secondo giustizia e si ponessero dei freni alla violenza ed alla tracotanza'�. Grazie ad Hermcs (Thot), scriba sacerdotale di Osiride, il linguaggio umano fu articolato per la prima volta, e i vari oggetti ricevettero un nome che permettesse di identificarli; fu Her­ mes, inoltre, ad inventare l'alfabeto, a stabilire le norme del culto e ad osservare l'ordine delle stelle e l'armonia dei suoni musicali15• I Sacerdoti tebani sembrano essere stati di diverso avviso rispetto all'interpretazione evemerica data da Diodoro: infatti, parlando con Erodoto, avevano fatto una distinzione netta ed esplicita fra i Re divini e i successivi sovrani umani, sottolineando in tal modo il carattere so­ vrumano attribuito ai primi regnanti dell'Egitto. Anche Plutarco nega recisamente il punto di vista evemerico, scagliandosi anzi contro le «imposture di Evemero», e suggerisce che le vicende narrate su Tifo­ ne (Seth) , Osiride e Iside non si riferiscano a degli Dei o a uomini, ma piuttosto a dei «grandi Demoni», creature intermedie fra gli Dei e gli 12 Evemero (ca. 340 e il 260 a. C) era stato il maggior sostenitore della teoria, che da lui fu detta "L"Vcmerismo" , secondo la quale gli Dei non erano stati altro che uomini particolarmente coraggiosi, famosi o potenti divinizzati dopo la morte (cfr. Cicerone, De natura Deorum l, 119). 1 3 Diodoro I, 13. 1 4 Diodoro I. 13- 1 5: Osiride-Dioniso fu inoltre colui che escogitò il metodo per coltivare la vite ed ottenere il vino, e che diffuse la sua scoperta nel mondo (sul Regno di Osiride, si veda anche Plutarco, De lside et Osiride, 13). A Isid e (Diodoro I, 25) è attribuita la scoperta di molte cose utili, ed in particolare quella del "farmaco dell'im­ mortalità" grazie al quale aveva sottratto alla morte il figlio Horus, annegato dai TI­ tani; divenuta essa stessa immortale, ed essendo particolarmente versata nella scienza medica, la Dea ha continuato a prodigarsi per il benessere degli uomini, dando loro aiuto nel sonno, guarendo le malattie più gravi e ridando la vista ai ciechi. 15 Diodoro (1, 16) riferisce anche che Hermes creò la lira a tre corde (fondata su tre toni, alto, medio e basso, in rapporto alle tre stagioni, Estate, Primavera, Inverno) ed insegnò ai Greci il modo di esprimere i loro pensieri (Hermeneia).

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Uomini, dotate di una potenza superiore a quella umana, ma dalla na­ tura meno pura rispetto a quella degli Dei; lside e Osiride sarebbero stati in origine dei «Demoni buoni», poi trasformati in Dei grazie alla loro virtù11'. In effetti, sia che si tratti di uomini divinizzati o che ci si riferisca alla presenza o all'influsso di esseri soprannaturali, la tradizione rela­ tiva ai leggendari Regni divini rientra comunque perfettamente nello schema mitico relativo agli Dei ed agli Eroi civilizzatori, dal cui bene­ fico intervento la maggior parte dei popoli della Terra fa derivare le prime forme di vita civile, nonché gli insegnamenti relativi alla colti­ vazione della terra o all ' uso delle tecniche e delle arti. Il leggendario viaggio di Osiride-Dioniso può simboleggiare, in tal senso, la diffus ione di una forma di civiltà nel mondo antico, ma la sua uccisione a opera di Seth-Tifone, fa pensare al successivo prevalere di forze tenebrose e distruttive; se Seth rappresenta, come ricordava Plu­ tarco, il mare (o la siccità delle regioni desertiche) , possiamo pensare che il racconto mitico celi, fra l'altro, il ricordo di una catastrofe, forse il Diluvio, che, a detta di Platone, sommerse Atlantide e pose fine anche ad un'altra grande civiltà presente nel Mediterraneo, alla cui guida, contro gli invasori atlantidei, si erano posti gli antichi Ateniesi, «la razza umana più bella e migliore» che era vissuta in quest'epoca remota17• La successiva vittoria di Horus su Seth 11\ ovvero, come spie­ ga Plutarco, la vittoria del Nilo sul mare (o sull'aridità) segna la fine dell'età " antica" e l'inizio dell'epoca " storica " . n carattere di "antichi­ tà" che era generalmente riconosciuto alla civiltà egiziana, deriva dal fatto che fra le Dinastie divine e quelle "umane" non sembra esistere una vera e propria soluzione di continuità, per cui dal tempo mitico 16 Plutarco, De lside el

Osiride 25-27. Plutarco paragona quindi le vicende mitolo­ giche ai Misteri, intendendo che esse cdano un senso occulto sul quale è necessario mantenere un rigoroso riserbo come su quanto "rimane nascosto all'interno Jei riti misterici " . 1 7 Platone, Timeo 23. Riteniamo che non a caso Plutarco (De lside el Osir1Je, 13) abbia specificato che i congiurati complici Ji Seth erano 72, volendo in tal modo evidenziare la valenza cosmica dell'episodio. 18 Horus era considerato il Re del Basso Egitto, ovvero delle regioni settentrionali, mentre a Seth era attribuito il dominio dell'Alto Egitto, o Jelle regioni desertiche meridionali. Ricordiamo anche che la leggenda fa nascere Horus, figlio di Iside e Osiride, nelle paludi del Delta; inoltre, l'interpretazione simbolica di Horus come «Sole nascente» fa anche pensare all'inizio di una nuova epoca, Jopo che Osiride è diventato il Signore del Regno dei Morti, nell'Occidente (cfr. Plutarco, De lslde el Osiridt• 11 e 38).

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si passa a quello storico senza che per questo la memoria dei "tempi antichi " sia andata persa. Probabilmente, la ragione di ciò potrebbe trovarsi in quanto rife­ risce Diodoro1'1, secondo il quale, essendo scomparsa la maggior par­ te degli esseri umani nel Diluvio verificatosi ai tempi di Deucalione, gli abitanti dell'Egitto meridionale si sarebbero salvati grazie ad una particolare situazione geografica e climatica, per cui la civiltà egizia­ na storica altro non sarebbe se non la prosecuzione di questa civiltà " pre-diluviana" sopravvissuta alla catastrofe. LA RELIGIONE DEGLI EGIZIANI

Erodoto, descrivendo i costumi degli EgizianF0, sottolinea che essi sono «straordinariamente religiosi, assai più di tutti gli altri uomini», ma spiega anche che non tutti venerano gli stessi Dei, all'infuori di Iside ed Osiride, il cui culto è invece diffuso in tutto il Paese. Le varie Provincie (Nomi) e le città più importanti hanno infatti delle divinità proprie e praticano diversi culti e feste religiose; inoltre, nei maggio­ ri centri sacerdotali (Heliopolis, Menfi, Tebe, Hermopolis) sono stati elaborati dei sistemi teologici diversi, ognuno dei quali ha una sua propria teogonia, e tende ad esaltare il ruolo e l'importanza di parti­ colari divinità. La grande quantità di Dei, le loro forme animalesche21 o comun­ que strane, e soprattutto l'esistenza di culti e tradizioni diverse, posso19 Diodoro I. 1 O. In seguito (V, 57) Diodoro racconta che col Diluvio, oltre a perire la maggior parte degli uomini, furono distrutti tutti i loro scritti, per cui gli Egiziani, unici soprawissuti, rimasero anche gli unici detentori della conoscenza.

20 Erodoto II. 37 e 42. 2 1 Il problema dell'aspetto zoomorfo attribuito a diverse divinità, non h a mancato di suscitare interesse c, forse, una certa perplessità anche presso 11li antichi Greci: Plutarco (De Iride et Oriride, 72 ), ricordando la credenza che gli Dci avessero assunto forme animali per sfuggire a Tifone, la definisce «una cosa che supera ogni limite di ciurmeria favolistica», c ritiene altrettanto incredibile la credenza che le anime dei morti si reincarnino in animali; passa quindi ad esporre delle spiegazioni di tipo " politico", secondo le quali ogni animale era stato adottato come una specie di sim­ bolo totemico dalle varie stirpi o dai singoli reparti dell'esercito. Erodoto invece, nel descrivere i vari culti dedicati agli animali sacri , si limita a dire (II, 65 ): «se io volessi dire le ragioni per cui sono considerati sacri, verrei a parlare di cose divine, che io evito sopra ogni cosa di esporre». Diodoro (l, 86·87 ) riferisce tre interpretazioni: la prima, secondo la quale gli Dei assunsero forme animali per sfug11irc all a violenza

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no indurre a credere che la religione egiziana fosse politeista e dedita a culti bizzarri e superstiziosi, ma in realtà l'idea di una Divinità unica e suprema è presente nell a cultura religiosa egiziana fin dalle origini22 e il mondo degli Dei, pur nella sua varietà e complessità, presenta una singolare armonia in cui ogni Nether ( termine con cui gli Egiziani indicavano gli esseri soprannaturali), traendo origine dalla Divinità suprema, incarna un particolare aspetto della realtà materiale o meta­ fisica e risponde ad una determinata funzione. Un altro punto importante, che gli storici antichi non hanno man­ cato di evidenziare, è la convinzione che la cultura religiosa egiziana fosse di antichissima origine e precedesse di molto quella degli altri popoli: dall'Egitto, quindi, le concezioni religiose, e con esse la sa­ pienza, sarebbero state trasmesse ai Greci e ad altri popoli, per cui buona parte delle divinità, dei miti , dei Misteri e delle conoscenze del mondo antico sarebbero in realtà di provenienza egiziana. Erodoto afferma, a tal proposito, che l'indovino Melampo, avendo appresi i riti egiziani relativi a Dioniso e ad altri Dei, li introdusse in Grecia; inoltre sempre dall'Egitto sarebbero derivati i nomi di quasi tutti gli Dci greci (c, ovviamente, le caratteristiche attribuite ad ognu­ no di loro), ad eccezione di Poseidone (che proverrebbe dalla Libia) e di pochi altri di origine pelasgica2l. E Diodoro, dopo aver detto che l'Egitto «è il paese dove la mitologia colloca l 'origine degli Dei», e nel quale sono state effettuate le più antiche osservazioni astronomiche, parla di una leggendaria colonizzazione egiziana dell'Ecumene, e della

degli uomini; la seconda che i simboli animali fossero degli stendardi dell'esercito, e la terza, secondo la quale alcuni animali erano stati considerati sacri per la loro utilità.

22 Boris de Rachewiltz ([miti egizi. ed. TEA. M ilano 1995, p. 1 30). citando Drioton , ricorda che i testi più antichi pervenutici parlano di autogeneratosi e creatore dell'Universo.

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un

Netba-Uat, un «.Dio Uno>>

Erodoto, II. 49-52. Per quanto riguarda Mclampo, ricordiamo che era ritenuto di origine egiziana, e che la sua collocazione cronologica era nella quarta generazione dopo Elleno, figlio di Deucalionc. Erodoto stabilisce in più occasioni m. 41-46, 59, 123 , 144-146) delle precise corrispondenze fra le divinità egizie e quelle greche. Dagli Egiziani i G reci avrebbero inoltre tratto diverse cerimonie sacre, come la Corsa delle Lucerne celebrata in onore di Atena m. 58 e 62 ); parimenti di provenienza egiziana sarebbero stati l'oracolo Ji Dodona m, 54-57 ), i Misteri dionisiaci, quelli Eleusini e le Tesmoforie m. 171). Per quanto riguarda invece l 'origine "libica" di Poseidone, non si può non pensare al racconto platonico dal quale risulta che Poseidone era la principale divinità atlantidea.

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fondamentale influenza esercitata dalla cultura egiziana sui mitografi, i sapienti ed i legislatori greci2�. Appare dunque evidente che l'Egitto era considerato il cuore del mondo antico, il centro propulsore di ogni forma di religione e di conoscenza: stabilendo dei precisi collegamenti fra le divinità greche e quelle egiziane ed evidenziando come gli insegnamenti dei sacerdoti egiziani avessero ispirato o comunque avessero esercitato un significa­ tivo influsso sull o sviluppo delle conoscenze filosofiche e scientifiche, nonché sull'attività dei legislatori, degli storici e dei sapienti greci, ri­ badivano l'idea che l'Egitto fosse la culla della civiltà, e allo stesso tempo legittimavano le loro credenze e consuetudini, facendone risa­ lire le origini ad una civiltà prestigiosa che affondava le sue radici in un passato remoto e leggendario. E questo profondo fascino esercitato dall'Egitto è sopravvissuto alla fine della sua civiltà e, dopo aver influenzato in modo significativo la cultura del mondo antico, ha continuato ad ispirare la cultura "eso­ terica" del mondo medievale e di quello rinascimentale; e anche nei tempi moderni, nell'epoca del " rigore scientifico " , i Misteri egiziani continuano ad essere tali, ed è sempre in essi che anche noi possiamo cercare le radici della nostra cultura e la prima sorgente delle nostre tradizioni simboliche c misteriche. Esaminiamo ora brevemente le principali dottrine teologiche e co­ smogoniche elaborate in alcuni dei maggiori santuari dell'antico Egit­ to. Fin dall'epoca delle prime Dinastie, Heliopolis, sede del culto solare di Ra, fu un Centro sacro della massima importan­ za, e i suoi Sacerdoti erano ritenuti «i più sapienti degli Egiziani»25• Il culto di Ra, espressione di una visione aristocratica, assunse, nel regno Antico, un'importanza crescente, per cui il Faraone prese il titolo di 24 Diodoro l, 9 e 50: in panicolare, i Tebani affermavano d i essere �li uomini più antichi e i primi ad aver scoperto l'astrologia e la filosofia. Per quanto riguarda la diffusione della civiltà egiziana, Diodoro (l, 28) riferisce la tradizione secondo la qua­ le Danao, fondatore di Argo, la prima città della Grecia, ed Eretteo, Re di Atene, erano di origine egiziana, e i miti tramandano che di origine egizia era anche Cadmo, fondatore della Tebe greca, mentre Erodoto ( Il, 104l ritiene che i Colchi discendano da antichi coloni egiziani. Per quanto invece concerne l'influsso della cultura egizia­ na vengono ricordati ( Diodoro l, 69, 96, 98), oltre ai famosi soggiorni in Egitto del legislatore Solone e del filosofo Pitagora, anche l'influsso esercitato dalle tradizioni egiziane su Omero, Orfeo, Dem ocrito di Abdera, Eudosso c altri. 25 Erodoto II, 3.

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«Figlio di Ra» e a partire dalla V Dinastia il dio eliopolitano fu rico­ nosciuto come divinità suprema in tutto l'Egitto. Associato a Horus come Ra-Harakhte, «Signore dei due orizzonti», era rappresentato dal simbolo del disco solare alato. Identificato con Atum, altra divini­ tà eliopolitana, nel NuovoRegno Ra divenne Amon-Ra, in seguito alla fusione col dio tebano Arnon, il cui culto si era affermato durante il Regno Medio con lo spostamento della capitale a Tebe. Ra era raffigu­ rato con la testa di falco (come Horus) sormontata da un disco solare, e gli Egiziani immaginavano che per il suo viaggio celeste, si servisse di due Barche, la prima per compiere il tragitto diurno, e la seconda per il viaggio notturno, che si svolgeva nel Regno dei Morti, dove Ra penetrava dopo il tramonto del Sole a Occidente, recando la sua Luce nelle tenebre sotterranee26•

Per quanto riguarda le concezioni teogoniche, il clero eliopolita­ no aveva elaborata una teoria particolarmente interessante, che rap­ presenta una delle più antiche visioni cosmogoniche: si tratta della dottrina dell'Enneade, in cui il ruolo di Divinità suprema non è però attribuito a Ra, bensì ad Atum, Dio locale che ha finito con l'essere identificato con lo stesso Ra, nel duplice aspetto di Atum-Ra eRa-A­ tum. Da Aturn traggono origine quattro coppie di Dei: Shu (l'Aria) e Tefnut (l'Umidità), Geb e Nut Oa Terra e il Cielo, rappresentato dal corpo della dea cosparso di stelle) , Osiride e lside, Seth e Nephtis; queste quattro coppie, che costituiscono le personificazioni dei primi e supremi principi, compongono, insieme ad Atum, la Grande Enne­ ade (Pesedjet, il «Gruppo dei Nove») in cui il numero Nove, pari a tre volte Tre, rappresenta l'insieme di tutte le Potenze primordiali che si manifestano nella Creazionelì. 26 La formuln del triplice aspcrro di Ra ricorre spesso, per es empio nel Papiro n . 1 993 di Torino (cfr. G . Harr, Miti egizi. Mondadori 1 994, p. 84 ; B. de Rachewiltz, I miti egizi, cd. ci t. p. 45, 1 07 c 163; Lamy, Mistai egizi, ed. ci r. p. 11 ) .

27 Cfr. Lucie Lamy, Misteri egizi. ed. Fabbri, Milano 1982. p. 8-9: B. de Rachewiltz, I miti egizi, ed. cit. p. 45; M. Lurker, Golter tmd Symhole der alten Ag)•pter, ed. Ba­ stci- Liibbc 1992, p. 56.

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A Menfi, uno dei Centri sacri più antichi dell'E­ gitto, il dio principale era Ptah, considerato il più antico degli Dei, inventore delle Arti e patrono de­ gli artigiani, che i Greci identificarono con Efesto, il fabbro divino, e che gli Egiziani raffiguravano come vasaio, intento a modellare un vaso al tornio, o come una mummia avvolta in bende. Menfi era inoltre la sede del culto del Dio-Toro Apis, definito Figlio o Anima di Ptah2R; simbolo della potenza generatrice e in tal senso collegato alla benefica e feconda azio­ ne del Nilo, Apis fu anche associato ad Osiride e ad Atum, e fu personificato in epoca tolemaica col nome di Serapis (Osiris-Apis). La cosmogonia di Hermopolis parte dalla descrizione del Nun, il Chaos primordiale-2'�, una specie di palude ribollente nella quale viene concepita l'Ogdoade, un insieme di entità primordiali costituito da quattro coppie di Rospi e Serpenti. Hermoplis era inoltre il più im­ portante centro del culto di Thot, dio della Sapienza e scriba divino, corrispondente al greco Hermes10, al quale veni­ va attribuita l'invenzione dei numeri, dell'abaco, della geometria, dell'astronomia, del gioco delle pietruzze e dei dadi, ma soprattutto delle lette· re, mezzo fondamentale per la conservazione e la trasmissione della conoscenza; gli Egiziani raffiguravano Thot per lo più con la testa di Ibis e munito dell'occorrente per scrivere, oppure in forma di Babbuino; nel Regno dei Morti gli at­ tribuivano il compito di accompagnare e proteg­ gere il defunto, e di assistere alla «Pesatura delle Anime» annotandone l'esito su una tavoletta.

28 Sul culto di Apis, si veda Erodoto III, 27-29. 29 ll Nu11 è stato anche personificato come divinità antropomorfa (eventualmente con t2. Nei successivi Testi dei SarcofagiM, derivati dalle formule dei Testi delle Piramidi, che compaiono nel Medio Regno scritti sui sarcofagi lignei di privati, la geografia dell'Oltre­ tomba ( definito «Occidente») e delle sue vie com incia a delinearsi in modo più articolato, e troviamo la sua identifi­ cazione con il corpo stellato della Dea Nut. Con i Libri dell'Amduat, ovvero di «Ciò che è nel Duat», dei quali si ha testimonianza a partire dalla XVIII Dina­ stia ( ca. l 500 a.C. ) , le vicende dell'Anima dopo la morte assumono una collocazione maggiormente definita in uno spazio ultraterreno ( il Duat, ovvero lo «Spazio invisibile o nascosto» ) e viene delineata una precisa successione di am­ bienti e di fas{'"'. n viaggio dell'Anima disincarnata è para­ gonato al viaggio notturno del Sole nel Mondo sotterraneo, Faulkner ( The Ancient Egyptùm PJ•rtllmd Texts, Translated inlo English . Oxford 1 969 ) da W. Kosack ! Die altiigyptiscben Py ramidenlexte, Berlin 20 1 2 ) . Alcuni passi dei Te­ sti delle Piramidi sono riportati nel volume TeJti religiosi egizi. a cura di S. Donadoni . ed. TEA, Milano 1 988. c

62 L'immagine di Akcr presenta la sfera solare su una doppia collina. simbolo dell 'Orizzonte, che viene anche rappresentato su due leoni che si volgono la schiena. Segnaliamo la somiglianza fonetica con l 'Acheronte, il fiume infernale della tradizione greca.

I Testi dà San·o/agi, sono stati pubblicati da M.P. Lacau. Textes religieux in Re· cueil de travaux . . . Vol. 26 ( 1 904 ) , no li. Vol. 31 ( 1 909) , no LXXII . Vol . 27 ( 1 905 1 , no XIII. Altra edizione a cura di A. Dc Buck , T!Jl' Egyptian Co/fin 1ì:xts (7 voli . ) , Chicago 1 935 -6 1 ; vedi anche Textes des sarcophages égyptù:11s du Mo.ve11 Empirt•, a cura di P.

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Barguct, Paris 1 986.

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I Libri dt'!/'Amduat sono stati tradotti c pubblicati a cura di E.A. Wallis Budgc ( The Book ofA m- Tuat, Londra 1 905 ) ; Traduzione tedesca Die Unterwelts-Biicber der Aegyp!t•r, a cura di E. Hornung, ed. Artemis 1 992 (vedi anche Das Amduat: die Scbri/t dt•s verborgellt'll Ramnes, a cura di E. Horn ung, Wiesbaden 1 963- 1 967 ); esiste anche una versione sintetica in I taliano, curata da B. de Rachewiltz: Il libro egizio degli in/eri, cd. Atanor, Roma 1 959.

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cd il paesaggio dell'Oltretomba ricorda quello della terra d'Egitto, dal momento che, come l'Egitto, anche il Regno invisibile è attraversato da un grande fiume, che scorre fra due «alte rive» da Occidente ad Oriente: su questo Fiume sotterraneo il dio Ra, dalla testa d'Ariete, simbolo del Sole notturno, naviga verso la sua quotidiana resurrezione su una Barca, accompagnato dal suo seguito. Ma l'Egitto era anche considerato il «Tempio del Mondo» e l'immagine del Cielo, come ri­ corda Em1ete Trismegisto: «Forse ignori , o Asclepio, che l'Egitto è l 'immagine del Cielo, il luogo dove si trasferiscono e discendono tutte le operazioni delle forze che governano e agiscono nel Cielo?»�>� ; per­ tanto, il Mondo Invisibile è insieme sotterraneo e celeste, e il suo Fiu­ me è parte del Nun, l'Oceano primordiale, dalle cui acque tenebrose il Sole emerge all'alba, dopo aver ripercorso un processo analogo a quello della Creazione del Mondo (Tavola 3 a ) . Questo percorso notturno del Sole, nel quale s i riflette l a vicenda dell'Anima disincarnata, è suddiviso in 12 Ore, in rapporto alle ore della notte, ed è raffigurato su tre registri orizzontali c paralleli, di cui quello centrale rappresenta il Fiume sotterraneo, mentre i due late­ rali ne sono le rive. Successivamente (a partire dal 1 300 a.C. ) appari­ ranno anche altre versioni dello stesso Viaggio ultraterreno, intitolate Libri delle Porte o Libri delle Cavenu/'' , nelle quali viene conservata la suddivisione in 12 fasi, ponendo al termine di ogni Ora una Porta sorvegliata da Guardiani-Serpenti, o definendo le dodici tappe come dodici Caverne. Il Dio solare, passando attraverso le dodici zone del Mondo Invi­ sibile, dissipa le tenebre e illumina i morti con la sua Luce, li risveglia con la sua voce, vivifica e nutre gli abitanti del Mondo sotterraneo, e infine rigenera e reintegra nelle loro funzioni le varie componenti dell'individuo, che grazie all'intervento del dio si libera dalle tenebre e dai legami che lo trattenevano ( come le bende della mummia) e ri­ nasce in forma di Kephri, il divino Scarabeo, ovvero ottiene un nuovo corpo santificato e illuminato (Akh). Il viaggio sotterraneo della Barca solare nel Duat non è però privo di ostacoli e di pericoli. Nella IV e V Ora essa deve attraversare la regione di sabbia della Grotta di Sokar, il dio della Terra e dei Morti

65 Ermete Trismegisto, Asclepio, 24 (trad. it. I Del/i di Ermete Trismegisto, cd. TEA, Milano 1 99 1 , p. 152). 66 Nel volume Die Untent:elts-Biich,,. der Aegyptt•r (ed. cit . ) sono riportati sia un te­ sto del Lihm dd/e Porte. sia quello, sostanzialmente analogo, del Libro del/t• Caverne.

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Mem p his, � lla cui base si � rova · : L fi l 1m magme d1 Aker, persomfica­ !l #: �l zione della Terra, e dei suoi due Orizzonti : la Barca deve essere tra­ scinata sulla sabbia, ed assume un aspetto serpentiforme per potervi scivolare, e deve evitare di avvicinarsi al Lago di Fuoco in cui vengo� no bruciate le Anime condannate. Un pericolo maggiore attende la Barca solare nella VII Ora, quando essa incontra il serpente Apophis , il Nem ico che cerca di impedire il p rocedere del Sole: sulla prua della Ba rca com pare allora la Dea Iside, che la difende con la sua magia, neutralizzando le forze delle tenebre simboleggiate da Apophis, e consentendo la prosecuzione del viaggio. Il defunto deve inoltre sottostare a dei giudizi ( Il e IX Ora) c ri­ schia di essere condannato e annientato da Demoni massacratori e Serpenti sputa-fuoco, e di morire quindi definitivamente, ovvero di non vivere più neanche nel Duat. Nel Libro delle Porte viene introdot­ ta, nella V Ora, la scena del Tribunale di Osi ride, in cui Osi ride, con l'aspetto di mummia regale, assiste alla pesatura delle Anime e con ­ danna all' annientamento i suoi «Nemici», mentre inserisce i «Giusti» nell'Enneade al suo seguito: una scena che verrà ripresa c ulterior­ mente sviluppata nel successivo Libro dei Morti. Il Libro dei Morti egiziano è senz'altro il più famoso " manuale " dell'Oltretomba che ci sia pervenuto: si tratta di un complesso di testi e formule di vario genere ( definiti in genere Capitoli nelle traduzioni moderne) raccolti in redazioni più o meno ampie e complete e illu­ strate da "vignette" . I Libri dei Morti cominciano a comparire a par­ tire dalla XII Dinastia nella decorazione delle tombe e dei sarcofagi, ma soprattutto in forma di papiri che venivano posti nel sarcofago, insieme alla mummia1'i . A differenza dei preceden ti testi, che erano .d 4

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67 Il Libro dei Morti (i l cui titolo egiziano è Libro dcli'Uscirt• al Giorno ) è s ta t o tra­ dotto per la pri ma volta da C. R. Lepsius Was ToJtcnhuch der Aegyptcr nach dem bie­ rogl)•pbisdmt Papyrus Turin , Bcrlin 1842 ) che ne h a diviso il testo in 165 Capitoli sulla base dei tito li e delle separazioni del Papiro di Torino. E. Na v i lle Was Aegyptiscben Todtenbuch der XVIII. Bis XX. Dynasllé, Berlin 1 886) ha raccol to c sistemato il m a t e ­ riale di 71 esem p l ari diversi del Libro dei Morti. curandone la prima edizione critica, che an cor oggi resta l 'edizione-base per il suo studio, sia dal punto di vista testuale, che da quello iconografico. Vedi anche ed. tedes ca Das Totenhucb der A c·R,ypter, a cura di E. Hornung, cd. Goldmann 1993; ed. italiana Il Libro dei Morti degli a nticbi Egizi, a cu ra di G . Kolpaktchy, cd. Ccs c h i n a , Mi l a n o .

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riservati al solo Faraone o a una ristretta cerchia, i Libri dei Mor­ ti potevano essere acquistati da chiunque, per un prezzo elevato, ma comunque accessibile (l'equi­ valente delle entrate di mezzo anno di lavoro), e gli Egiziani spendeva­ no volentieri la cifra richiesta, visto che grazie al possesso del Libro ritenevano di poter affrontare con la giusta preparazione l'ineluttabi­ le viaggio ultramondano, e uscirne rigenerati. Il primo Capitolo è intitolato «Inizio dei detti dell'Uscire all a luce Jel Giorno, dell 'Elevazione e Illuminazione, dell'Uscire ed Entrare nel Regno dei Morti» e fornisce una chiara indicazione sulle finalità del testo e sulle modalità di impiego delle sue formule: la formula iniziale, in particolare, andava recitata nel giorno della sepoltura, c le figure che accompagnano il testo descrivono il Corteo funebre e il Rito dell'Apertura della bocca, col quale il sacerdote restituiva al defunto le sue funzioni vitali. Numerose altre forn1 Ule erano recitate per garantire la soprawi­ venza del defunto nell 'Oltretomba, perché «resti in vita e non muoia di nuovo», come quelle che servivano ad aprire la sua bocca, a resti­ tuirgli il Cuore ed evitare che gli venisse sottratto, o perché potesse avere aria e acqua, e respirare e nutrirsi nel Regno dei Morti; altre servivano ad evitare che dovesse lavorare per procacciarsi il cibo, ma al suo posto lavorassero gli Ushebti, delle statuettc antropomorfe che venivano poste nella tomba a tal fine. Altre formule avevano in­ vece uno scopo protettivo, come quelle per passare oltre il luogo di Apophis, per respingere Coccodrilli e Serpenti, o servivano ad evitare al defunto di essere massacrato o decapitato, o di finire a testa in giù, o di dover mangiare e bere i rifiuti. Altre formule si riferiscono più specificamente alla soprawivenza e alla coesione delle componenti sottili , e servono perché il defunto ricordi il suo Nome, perché il suo Ka sia felice nel Regno dei Morti, e il suo Ba non venga rubato, ma possa posarsi sul suo corpo Oe vignette mostrano l'Uccello-Ba poggiato sulla Mummia o sull 'Ombra ) ; altre servono inoltre a renderlo compiuto e farlo entrare nella Barca di Ra insieme al seguito del dio. E altre riguardano poi la necessità di evita-

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re che il defunto (in particolare, il suo Ba) resti rinchiuso nel Regno dei Morti, ma possa liberamente entrare e, soprattutto, uscire Jalla sua Porta (o Jalla tomba) , talvol­ ta insieme all'Ombra, ed avere il controllo dei propri piedi, cioè dei propri movimenti. Altre, in­ �======� fine, servono perché il defunto possa assumere qualsiasi forma voglia, da quella della Fenice-Bennu o di un Ba, alla figura di una RonJine o Ji un Falco, ma anche Ji un Serpente o di un CoccoJrillo . Il XVII Capitolo, intitolato «Inizio delle Elevazioni e Illuminazio­ ni», è più lungo degli altri e particolarmente importante, in quanto costituisce una specie Ji sintesi dell'intero Libro: le sue formule ri­ guardano infatti sia la realizzazione del defunto come Essere Illumina­ to Jel seguito Ji OsiriJe, sia la sua possibilità di vivere piacevolmente nel Regno dei Morti (giocando ad un gioco simile ai nostri scacchi) , di entrare e uscire liberamente, di assumere ogni aspetto desiderato e di continuare a vivere nell'Oltretomba(.s. Importante è anche il Capitolo XV, che contiene un Inno a Ra, una vera e propria professione di fede fondata sulla certezza dell'immortalità. Altro Capitolo fondamentale del Libro dei Morti è il CXXV, in cui viene descritta la scena del Tribunale Ji Osiridé9: le illustrazioni mostrano il momento Jella Psicostasia, quando cioè l'Anima del de­ funto deve essere pesata sulla Bilancia della Giustizia (Tavola 3b): il dio Anubi introduce il defunto nella Sala della Doppia Maat (ovvero Jella Verità totale) e sottopone all a pesatura il suo Cuore, che vedia­ mo, in forma di Vaso a due anse, su uno dei piatti, mentre sull'altro è ..-------�

68 Il XVII C apitolo è illustrato da una lun ga vignetta che mostra un 'edicola con il defu n to che �ioca a scacchi . il Ba, Aker ! l 'Orizzonte ) , Osi ridc, la Fcnice Be nn u . Min. Thot con I'Occhio-Udjat, la Vacca cel es te la N ascita di Ra, i quattro Figli di Horus. 7 S p iriti il Doppio B a il Gatto che t a� l ia il Serpente, l'Uovo Cosm ico, il falco c l Oca un Uomo-Cane ( Anubi) con 2 coltelli. la Barca con Chepri , 2 B ab u i n i , l a Barca Solare, il Leon e c la Dea Se rpent e Uto. -

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69 Libro dei Morti, C a pi tolo CXXV ( cd. tedesca

p. 23 3 , ed . it a l i a n a , p. 203 ): lJUL>sta scena è descritta con dovizia di particolari in numerosi Papiri, fra cui se�naliamo 4udli di Hunefer e di Ani, con se rva ti al British Muscum (il Pa pi ro di Ani è stato pub­ blicato i n The Book of tbe dead, 11 cura di E.A. Wallis- Budgc, Londra 1 895; immagini riprodotte in Il Libro dei Morti degli anticbi Egizi. a cura di E. Rossiter, ed. Fratelli Melita, La Spcz i u 1 990, p. 28- 3 1 c 82-83 ) .

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posta la Piuma della Dea Maat, emblema della Verità, della Giustizia dell'Ordine cosmico; il defunto pronunzia quindi una «Confessione negativa», rivolgendosi ad Osiride e ai 42 Giudici del suo Tribunale, ed elencando tutto ciò che di male egli non ha fatto, mentre il dio Thot annota l'esito del giudizio. Superata la prova, il defunto viene dichiarato «Giusto di Voce» e viene quindi condotto da Horus al co­ spetto di Osiride, che siede in trono, assistito da Iside e Nephtis; ma se il risultato fosse negativo, un essere mostruoso, Amm it, è pronto a divorare la sua Anima. Si tratta, dunque, di un momento cruciale, nella vita ultraterrena dd defunto, la cui Anima, per poter proseguire la sua evoluzione, do­ vrà risultare in equilibrio ed in armonia con l'Ordine cosmico rappre­ sentato dalla dea Maat, rischiando, in caso contrario, l'annientamen­ to, simboleggiato da Ammi t, la «Divoratrice dei Morti»: il suo corpo mostruoso, composto da una testa di coccodrillo , la parte anteriore di leone, e quella posteriore di ippopotamo, costituisce un riferimen­ to abbastanza esplicito al carattere sethiano e ctonio dell e forze che minacciano di divorare l'Anima o di trattenerla in una dimensione materiale1°. Da quanto abbiamo fin qui esaminato, risultano evidenti i caratteri essenziali delle credenze egiziane relative al Post-mortem: in primo luogo il profondo convincimento che la coscienza individuale, sim­ boleggiata da Ba, possa continuare ad esistere dopo la morte, quindi l'idea che, mediante apposte tecniche e rituali, essa possa sviluppare un pieno controllo di sé nel suo nuovo stato di esistenza, conservando la memoria della sua individualità e sviluppando la capacità di respi­ rare, vedere, udire e parlare, nonché di muoversi liberamente, anche uscendo dalla tomba, e di dissetarsi e nutrirsi. Sicuramente, i contenuti dei vari testi funerari, dai Testi delle Pira­ midi al Libro dei Morti, con le loro formule, gli scongiuri, le invoca­ zioni e la narrazione dei percorsi e degli accadimenti nell'Aldilà, veni­ vano recitati durante i rituali funerari, e accompagnavano il defunto nelle prime fasi della sua esperienza dello stato successivo alla morte, come accade nei rituali funerari tibetani con la recita del Bardo Th od­ ol, il cosiddetto Libro Tibetano dei Mortf ' . Possiamo tuttavia ritenere e

70 Ricordiamo che il Dio Seth, rappresentante delle forze aride e materiali che si oppongono ad Osiride, viene sconfitto da Horus che lo trafigge sia in forma di coccodrillo che di ippopotamo, animale che, per altri versi, è collegato alla fecondità femminile e, quindi, all a procreazione materiale. 71

Il Ba,.do Tiido/, o Lihm della Lihera::.iont' dal Bardo clllravt•mJ /'Udi,.e, è testo

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che, almeno in alcuni casi, il defunto fosse già stato iniziato in vita ai Misteri dell'Oltretomba e che l'esperienza iniziatica avesse il fine di imprimere nella coscienza dell'iniziato la memoria del percorso ul­ traterreno che avrebbe dovuto affrontare: nella Rubrica aggiunta alla fine del primo Capitolo del Libro dei Morti, leggiamo infatti: «Se il defunto ha appreso questo Capitolo durante la sua vita sulla Terra e ha fatto scrivere questo testo sulle pareti del suo sarcofago, potrà uscire dalla sua dimora c penetrarvi a piacimento, senza che sia pos­ sibile opporgli la minima resistenza»ì2• In tal senso la recita dei testi durante i rituali funebri sarebbe servita soprattutto ad agevolare il risveglio della sua coscienza e a fargli superare una prevedibile fase di panico, così come la presenza materiale nella tomba o nel sarcofa­ go del testo e delle immagini che lo illustrano, era destinata a fornire un supporto alla coscienza del defunto, dal momento che nessun essere vivente avrebbe potuto vederlo né tantomeno leggerlo dopo la chiusura della tomban. LA MAGIA EGIZIANA

Nell'antico Egitto erano noti e diffusi diversi tipi Ji pratiche magi­ che basate soprattutto sulle conoscenze segrete custodite dalla casta sacerdotaleì4• Esiste uno stretto legame fra la credenza nella prosecu­ zione della vita nell'Oltretomba e quella nell'efficacia delle formule e Jelle pratiche magiche, come è ampiamente testimoniato nei testi funerari. dell 'VIII secolo d.C. che faceva parte dc�li inse�namenti t a n t r i c i formulati dal M ae­

stro Padmasambhava: il tes t o va rec i t a to in presenza dei moribondi o delle perso ne �ià defunte, in b ase al convincimento che anche 4UL'Ste ultime rest lsidt> t'l Osiridt>. 28. ed. cit. pp. 85 s. Della provenienza dell a statua Ji Scrapide da Sinope aveva anche serino Tacito I Historie. IV. 83 -4 ) .

Arriano. Amtbasis. VIT. 26; lo stesso episodio è riponato anche d a Plutarco Si ritiene che la divinità consultata in tale occasione fosse il Dio babilo nese Ea (o Enkil al quale erli llttribuito il titolo di Serapsi. S ittno re delle l ll4

t

\ 'ila di Alt>ssa11dm. 76).

"

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tre versioni una statua di Scrapide si sarebbe trovata nel villaggio di Rhakotis, non lontano da Alessandria, già ai tempi di Alessandro1111, oppure sarebbe stata trasferita ad Alessandria da Menfi dove il Dio era adorato come Osiris-Apis e dove già Alessandro si era recato a compiere un sacrificio in onore del Toro Apis. Il Toro Apis, il cui culto risale alla I Dinastia, era venerato a Menfi, dove era considerato una emanazione del dio creatore Ptah; nel Medio Regno fu collegato anche a Ra e si prese a raffigurarlo con un disco solare fra le corna; dopo la sua morte Apis era assimilato ad Osiride, diventando Osiris-Apis (Tavola 4b); secondo i sacerdoti egizi, Apis era infatti congiunto ad Osiride «nella medesima identità» e andava considerato come l'immagine corporea dell'anima di Osiride106• Il Toro, con la sua natura potente e focosa e la forma di crescente lunare delle corna, presenta caratteri insieme solari e lunari, mentre il suo possente muggito esprime la forza evocativa e creatrice del suono primordiale: simbolo della forza fecondante della natura e dell'universo; Apis esprimeva la certezza della sopravvivenza dell'ani­ ma dopo la morte, ed è in tal senso che era assimilato ad Osiride. Si riteneva che l'anima di Apis-Osiride si incarnasse effettivamente nel corpo di un toro, che doveva essere scelto in base a dei precisi segni (mantello nero, macchia triangolare bianca sulla fronte, macchia a for­ ma di crescente lunare sul fianco) ed era consacrato con particolari cerimonie, assumendo il titolo di Apis; dopo la morte di un Toro con­ sacrato (che non doveva vivere oltre i 25 anni) gli venivano tributati grandiosi onori funebri ed era deposto in una cripta sotterranea, dopo essere stato mummificato. Se consideriamo che il nome di Serapide viene generalmente fatto derivare da Osirapis, ovvero Osiride nella sua forma di Toro Apis, ap­ pare più attendibile l'ipotesi, già formulata nell'età ellenistica 1m, che il culto di Serapide non sia stato importato né da Sinopc, né da Babi­ lonia, ma che Tolomeo lo abbia creato partendo dal dio Osiride-Apis profondità marine" .

l 05 Pseudo-Calli stene, Romanzo di Alessandro, l , 3 1 -33.

1 06 Plurarco. Dt• lsùle et 0.firide. 2 9 , ed. cit. p p . 87 . 1 07

L'identificazione di Serapide con il Toro Apis, già affermata d a Apollodoro ( Bi­

bliotheca, Il, I . l ) e da Pausania Wescriziom• de/Id Grecia, I, I 8, 4 ) , viene attualmente condivisa dalla maggior parte degli studiosi.

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adorato a Menfi, e fondendo le sue caratteristiche con quelle di divi­ nità greche come Ade, Zeus, Dioniso e Asclepio. Infatti l'assimilazio­ ne di Osiride ad Ade appare owia, in quanto entrambi sono sovrani del Regno dei Morti, così come la sua natura di divinità sacrificata e smembrata, lo associa a Dioniso, e il suo ruolo di Soter, " Salvatore", Io collega ad Asclepio, nume tutelare della Medicina; in quanto " Signore deli 'Universo" , Serapide è stato assimilato a Zeus, assumendo il ruolo di divinità suprema, e in epoca imperiale è stato infine collegato ad Helios per il suo carattere di divinità solare. Tolomeo fece quindi erigere ad Alessandria un tempio dedicato a Serapide, il Serapeum, che si trovava nella zona sud-occidentale della città, dove precedentemente era il sobborgo di Rhakotis e in cui era stato costruito il quartiere greco; il suo successore, Tolomeo Il, fece aggiungere al tempio una Biblioteca contenete dai 20.000 ai 50.000 rotoli di papiro, la quale, pur essendo più piccola rispetto alla famosa Biblioteca di Alessandria, rivela che il Serapeum, oltre che come luogo di culto, era stato concepito come un centro di studi. Tolomeo III fece ricostruire i l Serapeum in forme monumentali, affidando l'incarico ad un architetto greco, Parmenisco, che, pur applicando le concezioni dell'architettura greca, dovette utilizzare anche elementi di gusto egi­ zio: il complesso presentava, sul lato orientale, una maestosa scalinata mediante la quale si accedeva ad un ampio corti­ le su cui si aprivano, su ogni lato, delle sale ipo­ stile (con templi dedicati ad Anubi e Arpocrate) e altri locali destinati al culto e alla conservazione delle offerte votive, nonché la Biblioteca. li Se­ rapeum fu ulteriormente ampliato sotto l'impe­ ratore Claudio e ricostruito sotto Adriano, che vi fece aggiungere una colossale statua del dio Apis. All'interno del Serapeum era posta la statua di Serapide, commissionata da Tolomeo I allo scul­ tore greco Briasside10�, che costituirà il prototipo 1 08 Briasside, scultore greco deUa seconda metà del IV secolo a.C . , si formò ad Atene c la\'orò, insieme a Prassitclc c Skopas, alla decorazione Jcl Mausoleo di Alicar­ nasso: cfr. la voce «Br)'axir», redatta da L. Vlad Borrclli in Enciclopedia dell'Arte an­ tica ( 1 959) , Treccani.it ( risorsa onlinc). Clemente di Alessandria (Protrepticus 48, 5-6) riferisce l'ipotesi di Atenodoro, secondo il quale la statua di Serapide non sarebbe opera deUo scultore Briasside di Atene, ma di un suo omonimo, di epoca precedente, al quale sarebbe stata commissionata dal faraone Sesostri.

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delle nwnerosc immagini del dio. Malgrado la statua sia stata distrutta dai Cristiani nel IV secolo d.C. , il suo aspetto ci è noto grazie alle nu­ merose immagini che da essa sono derivate1w e grazie alle descrizioni di autori antichi, fra cui quella di Clemente alessandrino' w: la statua, di dimensioni colossali, era stata realizzata con una tecnica simile a quella delle sculture crisoelefantine greche, in quanto le varie parti della statua erano state applicate su una struttura lignea e, mentre le vesti erano ricoperte di oro, le parti visibili del corpo erano state o t­ tenute da una lega di diversi metalli e con pietre dure e preziose, che aveva dato al corpo del dio un profondo colore azzurro, su cui riful­ gevano le pietre preziose. L'immagine di Serapide presentava il dio come un maestoso uomo barbuto e dalla lunga chioma riccioluta, coperto da un chitone e un manto e seduto su un trono; sulla testa era posto un moggio 1 1 1 , nella sinistra reggeva un lungo scettro, mentre la destra era poggiata sull a testa di Cerbero, il Cane infernale, raffigurato con le sue tre teste e con il corpo avvolto dalle spire di un serpente. La fisionomia di Se­ rapide appare chiaramente ispirata all'iconografia di Zeus 1 12, mentre il moggio posto sul suo capo allude al suo ruolo di propiziatore della fertilità della terra; il colore blu del suo corpo va messo in rapporto con il cielo notturno e con il fatto che Serapide, come Osiride c Ade, era il sovrano dell'Oltretomba, che per gli Egiziani corrispondeva al percorso notturno del sole; e anche la figura di Cerbero che era posto ai suoi piedi alludeva allo stesso concetto. Riguardo a Cerbero, notiamo anche che, secondo quanto riferisce Macrobio1 1 1 , il Cerbero di Serapide aveva tre teste diverse, di cui quel­ la centrale era quella di un leone, quella di destra di un cane mansueto e «carezzevole», e quella di sinistra di un lupo vorace, il che viene interpretato come un'immagine del Tempo, in cui la testa di Leone 1 09 fra le copie romane in marmo che sembrano riprodurre fedelmente la statua del Serapco di Alessandria, ne ricordiamo una del Museo Archeologico di Napoli c un'altra conservata nei Musei Vaticani. 1 1 0 Clemente d'Alessandria, Pro/rt•pticus 48, 1 -6. 1 1 1 Il moggio ( dal latino modius ) unità di misura del grano.

era

un canestro di forma cilinJricu utilizzuto come

1 1 2 Il volto di diverse sculture di Serapide che ci sono pervenute. ricorda quello del Zeus di Orticoli conservato nei M usei Vaticani, dove è presente anche un busto di Serapide nelle cui fattezze questa somiglianza risulta particolarmente C\'idente. 1 13

Macrobio,

Sa/umali.

1, 20, 1 3 - 1 7 (cfr.

UTET, Torino 1 9ì7, pp. 283 -285 1 .

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l Sa/urna/i di Macrobio Tt:odosio, ed.

�·tppresenta il presente, in quanto «forte e ardente per l'attiva attua­ : i rà», mentre quella di lupo corrisponde al passato «perché il ricordo -!egli eventi trascorsi è rapito e strappato» e quella di cane «designa :I futuro, perché sempre ci accarezza, per quanto incerta, la speranza .!cll' avvenire». Nello stesso passo Macrobio spiega anche che il canestro posto --ul capo di Serapide simboleggia il Sole e «il suo potere di contenere, ;'l'iché ogni cosa terrena ad esso ritorna per effetto del calore». Per ..;uanto poi riguarda il fatto che gli Egiziani avessero proclamato Se­ �.tpide il massimo dio, riferisce che quanto Nicocreonte, re di Cipro, .l':e\'a chiesto all'oracolo di Serapide quale dio si dovesse riconoscere :; lui, questi aveva risposto con i seguenti versi: Quale dio io sia, apprendi da ciò che dico: la mia testa è la volta celeste, il mio ventre il mare, i miei piedi la te"a e le mie orecchie stanno nell'ano c il mio sguardo !ungi splendente è la luce brillante del sole. Con il suo carattere eclettico, Serapide rispondeva dunque per­ �-erramente all'esigenza dei Tolomei di definire un nuovo pantheon -.: llenistico in cui si realizzasse una forma di sincretismo religioso gre­ _- ,,-egiziano: la figura di Serapide si sovrappone pertanto a quella di i. )siride, conservandone i fondamentali significati simbolici, ma assu­ ::1endo un aspetto profondamente diverso e collegandosi a divinità .:d mondo greco.

IL PANTHEON TOLEMAICO

Tolomeo inoltre, associando il culto di Serapide non solo a quello -.!d Toro Apis, ma anche e soprattutto a quello di Iside, il cui culto -.::-a senz'altro il più popolare e diffuso dell'antico Egitto, assicurò il " Uccesso della nuova forma assunta dalla tradizionale religione egizia­ :: J . nella quale, insieme ad lside e Serapide-Osiride, ritroviamo i suoi t' rincipali dèi. Ritroviamo dunque Horus, il figlio della coppia divina, ..:he però assume dei caratteri ed un aspetto diverso, trasformandosi in .-\rpocrate, il dio-simbolo del Segreto iniziatico, su cui avremo modo Ji soffermarci in seguito. Ritroviamo anche Anubi, il dio-sciacallo che guida l'anima del defunto nell'Oltretomba, raffigurato come un uomo vestito con una

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tunica o un mantello e con la testa di cane, che vie­ ne collegato ad Hermes, diventando Ermanubi e acquisendo come attributo un caduceo: Plutarco spiega la stretta connessione esistente fra Osiride e Anubis, in quanto quest'ultimo rappresenta la fun­ zione di Osi ride rivolta verso la realtà infera 1 1 4 • Anche Hathor, identificata con la dea fenicia ' Astarte e con la greca Afrodite, continuò ad essere venerata: la costruzione del suo tempio di Dendera, (verosimilmente il rifacimento di un tempio prece­ dente) fu iniziata all'epoca di Nectanebo, l' ultimo dei Faraoni; venne poi proseguita da Tolomeo XII e completata al tempo di Augusto; all'interno del santuario della dea si trova il cosiddetto Zodiaco di Dendera, un disco che ornava il soffitto di una cappella e in cui è scolpita in bassorilievo un 'immagine del cie­ lo stellato, con le costellazioni zodiacali, le principali stelle fisse e, sulla fascia più esterna, le immagini dei 36 Decani, intervalli di 10 giorni ognuno, in cui gli Egiziani dividevano i 360° del cerchio zodiacale; si ritiene che l'opera sia stata realizzata nell 'epoca imperiale, forse ripro­ ducendo amichi schemi zodiacali babilonesi e che testimonii una delle prime, se non la prima rappresentazione dello Zodiaco m. Ritroviamo parimenti numerose figu razioni di Thot, il dio del­ la sapienza, che nelle immagini scolpite appare per lo più in forma animale, di babbuino o di Ibis, mentre nel suo aspetto teriomorfo di uomo con la testa di ibis, compare in un piccolo particolare decorati­ vo della Vill a dei Misteri a Pompei. Assimilato al greco Hermes, Thot ha dato inoltre vita ad un personaggio emblematico, Ermete Trismegi­ sto, leggendaria figu ra di sapiente semidivino al quale si attribuisce la creazione della Tradizione Ermetica, la più compiuta espressione del sincretismo magico-religioso e filosofico che caratterizza l'incontro fra la tradizione iniziatica greca e quella egizia. Le statue degli dei si adeguano alla nuova visione ellenistica, per­ dendo l'aspetto stilizzato e rigorosamente canonico dell'iconografia egizia ed assumendo i caratteri plastici e naturalistici propri della scul­ tura greca, a partire, come abbiamo visto, dalla statua di Serapide. Se

1 14

Plutarco, De lsidc c•t Osiridc·. 6 1 . ed. cit. p . 1 2 3 .

1 1 5 Cfr. RA. Schwaller dc Lubicz, l/ Tempio dell'Uomo, ed. Mediterranee, Roma 2000 , vol. l, pp. -485 ss.; Marshall Clagett Ancient, Egyptian Science, American Philo­ sophical Society, Philadelphia 1 995, vol . Il.

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osserviamo le statue delle divinità egiziane realizzate nel periodo elle­ nistico e, ancor più, quelle scolpite nell'età imperiale, quando i culti egiziani ebbero la loro massima diffusione nei territori dell'Impero, sarà facile rilevare le profonde differenze di queste immagini rispetto a quelle tradizionali dell'antico Egitto: ciò non significa affatto che esse abbiano perso la loro valenza simbolica e il loro potere evocativo, ma piuttosto che esse sono la coerente espressione della nuova visione che si è andata delineando dei culti religiosi e dei Misteri iniziatici. L'IMMAGINE DI ISIDE

Consideriamo le statue di Iside dell'età alessandrina: nel tempio di Serapide, accanto all a statua del dio realizzata da Briasside, si trovava una statua di lside in piedi, con una lunga veste e un moggio sul capo, che reggeva una torcia nella destra e delle spighe e papaveri nella si­ nistra1 16: l'immagine della dea, allontanandosi nettamente dall ' icono­ grafia egizia, rivela l'intento di evidenziare il collegamento della dea egiziana con le greche Demetra e Kore, alle quali alludono le spighe ed i papaveri, mentre la fiaccola ricorda il viaggio di Iside alla ricerca del corpo di Osiride. Più diffusa è invece l'immagine di Iside in cui la dea appare abbigliata all'egiziana, con una lunga ve­ ste (chitone) dalle fitte pieghe, al di sopra della qua­ le è drappeggiato un mantello (himatium) a frange, che, partendo dall a spalla sinistra, avvolge il corpo della dea ed è legato al di sotto dei seni con un nodo che caratterizza la sua immagine, in quanto rappre­ senta il "Nodo di Iside" , emblema della dea e delle sue sacerdotesse e ben noto anche come talismano1 17; l'abbigliamento è completato da uno scialle che dalla testa ricade sulle spalle; la dea è raffigurata in posi1 16

Il gruppo statuario del Serapco è stato riprodotto in monete di età romana

coniate ad Alessandria (cfr. S. Donadoni, B.M. Felletti .Maj, voce «lside» pedia dell'Arte antica, in Trcccani.it ) .

in Enciclo­

1 1 7 I l talismano detto " Nodo di Iside" o " Sangue di Iside" , c h e era realizzato in cor­ niola o in altre sostanze, sempre però di colore rosso, rappresentava in modo stilizzato il nodo o la fibbia della cintura della dca c aveva l a funzione di garantire al defunto la sua protezione, dandogli anche la possibilità di accedere in ogni luogo dell'Oltretom­ ba ( cfr. Libro dci Morti, Capitolo CLVl l .

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zione eretta, poggiante sul piede sinistro e con il destro lievemente re­ troflesso; il braccio destro, proteso in avanti, regge il sistro1 1R, lo strumen­ to musicale che veniva suonato, agitandolo, durante le processioni della de-a, mentre il braccio sinistro, aderente al corpo, regge la situla, la brocca utilizzata durante i suoi rituali, e sulla testa è posto un fiore di loto, che richiama la sua origine egizia1 19• Fra le numerose copie romane di questa imm agine, ricordiamo due belle statue conservate al Museo Archeologico di Napoli, l'una proveniente dalla stessa città, verosimilmente dal tempio di Iside che sorgeva nella Regio Nilensis, la seconda facente parte della Collezione Farnese e proveniente, quindi, da Roma: entrambe presen­ tano le vesti scolpite in marmo nero, mentre le parti corporee visibili Oa testa, le braccia e anche i piedi) sono realizzate in marmo bianco, ma si tratta di integrazioni successive120: tra l'altro, la statua della Collezione Farnese regge nella destra delle spighe di grano in luogo del sistro, richia­ mando, in tal modo, il parallelismo lside-Demetra (Tavola 5°-b). Sempre nel Museo Archeologico di Napoli sono conservate anche la statua della Dea proveniente dal suo Tempio di Pompei e una stele funeraria con la sua immagine, che reca, di lato, un rilievo della Cista mistica (Tavola 5c-d). Un altro tipo di immagine è quello della Iside Pelagia o Iside-For­ tuna, che evoca la qualità di protettrice dei naviganti della dea, che in tal caso è in genere raffigurata col piede sinistro sulla prora di un'im­ barcazione e con attributi quali un timone, una vela o un remo, oltre 1 1 8 Il sistro è uno strumento musicale metalli co costit uito da un manico e da una parte a forma di ferro di cavallo in cui sono praticati dei fori , c con delle asticelle che, passando attraverso i fori , producono un suono quando il sistro viene agitato. Secondo Plutarco Wc ISidt• et Osiride, 63 , ed. cit. p . 1 2 5 ) il sistro significa che gli es­ seri viventi devono essere scossi (sciestbat) e svegliati e incitati se sono addormentati o intorpiditi.

1 1 9 Abbiamo numerose versioni di età imperiale di questa immagine (a Roma, nel Museo Capitolino, nel Museo Nazionale Romano e al Museo Torlonia, nel Museo Archeologico di Napoli, nel Museo Archeologico di M ilano, nel Kunsthistorisches Museum di Vienna, nel Museo del Prado a Madrid ) , la cui tipologia deriva proba­ bilmente da un originale ellenistico dd IV o III secolo a.C.: l'impostazione classica della statua ha fatto pensare ad uno scultore greco, forse ateniese, ma l 'abito e lo stile del panneggio inducono piuttosto a ipotizzare l'esistenza di un modello greco-egizio dal quale deriverebbero anche alcune steli attiche dd II secolo d.C., fra cui la stele di Alexandra, rappresentata con gli attributi della dea e conservata al M useo Archeolo­ gico di Atene ( cfr. S. Donadoni , B.M. Felletti Maj, op. cit. ) . Da notare che lo stesso tipo di abbigliamento lo presenta anche una statua di Iside che si trova nel tempio di Luxor ed è datata al I secolo d.C. 120 La stessa fattura in marmo nero e bianco presenta anche la statua di Iside che si trova nel Kunsthistorischi2 Jean de la Fontaine de Valenciennes, un alchimista francese nato verso il 1380, ha composto la sua Fontaine des amoureux de science verso il 1 4 1 3 ; l'opera è stata pubblicata a Lione nel 1 547 (cfr. J. Ferguson, Bib/iotheca Chemica, Glasgow 1906, \'OI. I, p. 433 ).

3 73 Secondo quanto riferisce egli stesso, Bernardo, conte della Marca Trevisana, •tutore di diversi scritti alchemici, è nato a Padova nel 1406 e si è interessato fin da �iovanissimo all'Alchimia, riuscendo però ad ottenere solo in tarda età la Pietra Fi­ losofale (dr. De Chemia, opus historicum et dogmaticum, Strasburgo 1567 ; Ferguson, op. cit. vol. I pp. 100 ss. ). Il testo del Sogno verde, a lui attribuito, è stato pubblicato nella raccolta Bibliothèque des pht1osophes chimiques, a cura di Jean Maugin de Ri­ chenbourg, Parigi 1740-54 , vol. Il, pp. 437 ss.

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ampio seguito, come nell'opera composta, verso la fine del XVI se­ colo, dall'alchimista bresciano Giovan Battista Nazari, in cui la tra­ smutazione è esposta in tre " Sogni " , e in cui l'iniziazione alchemica si trasforma in un viaggio visionario e fantastico verso la rivelazione spirituale174• Sempre nel XV secolo, vanno citati due preziosi manoscritti minia­ ti: l'Aurora Consurgensm (Tavola 8b) e il Libro della Santissima Trinità376, in cui viene propo­ sta l'assimilazione fra la figura di Cristo e la Pietra Filosofale, evidenziando l'azione salvifi­ ca di quest'ultima, per cui l'Alchimia, pur non escludendo i suoi fini materiali, assume so­ prattutto il carattere di una via di realizzazione spirituale; entrambi i testi sono corredati da immagini di ispirazione alchemico-religiosa, che costituiscono alcune fra le prime testimo­ nianze dell'iconografia alchemica, che verrà ulteriormente sviluppata in altre opere mano­ scritte come il Donum Dei di Georges Aurach, in cui le fasi dell'Opera sono descritte in dodici immagini simboliche

374 G.B. Nazari, Della trasmutatùme metallica sogni tre, Brescia 1 599. Cfr. Lcnglet du Fresnoy, op. cit. pp. 3 1 3 ss.; l'impostazione onirica e misteriosa dd testo è ribadita, come avverrà spesso nelle opere alchemiche, dalla presenza di immagini fantasiose cd enigmatiche. 375 Opera attribuita a San Tommaso d'Aquino e pervenuta in diverse versioni di un manoscritto miniato dd XV secolo (vedi MS. Rhenoviensis 172 della Biblioteca Cen­ trale di Zurigo); il testo è ill ustrato con 38 belle miniature, fra le quali compaiono le immagini del Rebis o Ermafrodito e di una Virgo Paritura nera e alata; testo pubblicato c commentato a cura di M.L. von Franz, Aurora Consurgem. Ein dt•m Thomas von Aquin z.ugeschriebenes Dokument der alchemistischen Gegensatzproblematik ( 1 957 ) , ed. Waltcr, Diisscldorf 1 995 ; trad. it. Tommaso d'Aquino, Aurora Consurgens, a cura di P. de Leo, ed. Kemi 2002; testo riportato in Alchimia, a cura di M. Percira, cit. pp. 525 ss. 376 Il Libro della Santissima Trinità è stato redatto agli inizi del XV secolo da un certo Frater Ulmannus, un frate francescano tedesco; del manoscritto, oltre al proto­ tipo, conservato a Berlino, sono pervenute diverse copie; alcune delle immagini che corredano il testo e che mostrano scene relative alla Passione e alla Resurrezione di Cristo, sono state riprodotte nel Rosarium Philosophomm (Francoforte 1 550); cfr. Uwe Junker, Dar Buch der Heiligen Drezfaltigkeit in seiner z.weiten, alchemistischen Fasmng (Kadolz.burg 1433), Colonia 1986.

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visibili all'interno di altrettante ampolle m, o come lo Splendor 5olis17x (Tavola 8c) , giustamente considerato il più bel trattato d'Alchimia grazie alle sue illustrazioni di raffinata fattura, in cui, accanto a imma­ gini come quella del "Filosofo" o del " Ludus Puerorum" , viene anche riproposta una serie di vasi ispirati all e ampolle del Donum Dei. Con la diffu sione delle pubblicazioni a stampa, l'iconografia alche­ mica avrà la sua definitiva affermazione e numerose saranno le opere corredate da tavole in cui, accanto alle personificazioni dei "prota­ gonisti " dell'Opera, il Mercurio dei Filosofi, il Re e la Regina e i vari "Pianeti" , si awicenderanno gli animali simbolici dd Bestiario alche­ mico, il Drago, l'Ouroboros, il Leone Verde e quello Rosso, il Corvo, le Aquile e le Colombe, e saranno visualizzate in vari modi le diverse fasi operative e i loro risultati, il Rebis, l'Uovo Filosofico, il Lapis, ecc.; faranno la loro apparizione anche scene di ispirazione mitolo­ gica, diagrammi e immagini riferite alla Cabala, il tutto in un insieme suggestivo e fantasioso, volto a suscitare la curiosità dell'osservatore e spingerlo a penetrare in un mondo fatto di simboli, di metafore e di enigmi e a decodificarne i segreti179• L'immaginario alchemico non si è però espresso solo nelle illustra­ zioni dei testi specificamente dedicati all'Alchimia, ma ha anche spes­ so influenzato, in modo più o meno evidente, la realizzazione di opere artistiche di diverso genere. Fulcanelli, nel Mistero delle Cattedrali, ci ha fornito una magistrale interpretazione in chiave alchemica della de­ corazione scultorea delle cattedrali gotiche, ma è senz'altro nel Rina­ scimento che possiamo trovare le testimonianze più esplicite, a comin­ ciare dalle Dimore Filoso/ali segnalate dallo stesso Fulcanelli, come il Palazzo Lalle mant a Bourges o il Castello di Dampierre-sur-Bouton377 Gcorges Aurach dc Argentina, Dommi Dci (esistono numerose versioni mano­ scritte in diverse lingue, la più antica delle quali è probabilmente un codice del l475 conservato all a British Library, MS. Harley 6453 ) : il testo pubblicato a cura di A.M. Partani, Preziosissimo Dono di Dio di Georges Aurach, ed. Mediterranee, Roma 20 1 3 . 378 Manoscritto illustrato del XVI secolo, il cui esemplare più antico risale al 1 5 3 2 ( Staatliche Musccn z u Berlin ) c d i cui esistono una ventina d i copie ( fra cui il Ms. Harley 3469 della British Library). 379 Sull'iconografia alchemica, è fondamentale il bel libro di J. Van Lennep, Alchi­ mù•, Bruxelles 1 984, pubblicato in occasione dell'esposizione Alcbemie, realizzata per iniziativa del Crédit Communal de Belgique. Fra i numerosi testi alchemici ill ustrati ci limitiamo a citare il Rosarium Philosopborum ( 1 550), le edizioni a stampa dello Splt!11dor Solis o Toison d'Or c le opere del misterioso monaco benedettino Basilio Valentino, che cominciarono ad essere pubblicate agli inizi del XVII secolo, ma che venivano fatte risalire al XV secolo.

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ne1M11 • In Italia non sono pochi gli artisti che hanno nutrito un parti­ colare interesse per l'Alchimia e l'hanno rivelato in alcune loro opere, come nel caso del Beccafumi o del Parmigianino, ma ancor più evi­ dente è il caso di alcuni importanti committenti, anch'essi interessati alla Tradizione Ermetica e all'Alchimia, che hanno fatto eseguire da artisti di loro fiducia dei veri e propri "Luoghi della Memoria" ricchi di riferimenti alle scienze segrete e, in particolare, alla Grande Opera, come lo Studiolo di Cosimo I de' Medici, Granduca di Firenze1x1 • L'interesse suscitato dall'Achimia nell'ambiente umanistico è testi­ moniato da Marsilio Ficino che, ispirandosi ad Arnaldo da Villanova e Raimondo Lullo, nonché al Picatrix, sosteneva che i metalli sono animati da uno "Spiritus" e che questo, quando viene separato dall a materia e poi ricongiunto ai metalli, li può vivificare e trasformare e che dall'oro si può ricavare un Elisir, o Oro potabile, che ha il potere di assicurare la salute e la longevità1RZ. Anche se Ficino fa riferimento all'Alchimia solo in modo marginale, la sua opera ha comunque favo­ rito un avvicinamento dell'Alchimia alla Tradizione Ermetica: anche se nella sua visione del filosofo-sacerdote - la cui elevazione si realizza soprattutto in chiave " magica" , grazie all'uso di formule, immagini e talismani - il laboratorio alchemico non appare necessario, tuttavia, il carattere "filosofico" e le istanze misticheggianti di buona parte delle opere alchemiche trovano una legittima collocazione nell 'ambito della visione ermetica, e numerosi autori di opere alchemiche si considere­ ranno, d'ora in avanti, figli e discepoli di Hermes, adepti della "Filo­ sofia Ermetica" . I n questo quadro culturale s i pone la figura d i Ludovico Lazzarel­ li383, poeta e filosofo, seguace di Marsilio Ficino e dell'Ermetismo e 380 Fulcanell i , Mistero delle Caltedrali ( 1926) , trad. it. cit.; Les Demeures phi­ losophales ( 1 929), tra d. i t. Le Dimore filo.wfali, cd. Medite rr a nee, Roma 197 3 . 3 8 1 Sui riferimenti alchemici nelle opere d'arte, cfr. van Lcnncp, op. cit. pp. 1 5 3 ss. c 296 ss.; Arte e Alchimia, i n Giunti-Art Dossier; sullo Studiolo d i Cosimo I de' Medici, vedi G. Lcnsi Orlandi, Cosimo e Fra ncesco de' Medici Alcbimisti. cd. Nardini, Firenze 1 978. Marsilio Ficino, De vita, III , 3 . Nella raccolta di testi alchemici curata da J.J . ( Bibliotheca chemica curiosa, Coloni a 1 702, vol. I l , p p . 1 7 2 ss. ) è stato pubbli· cato anche un testo di Ficino dedicato specificamente all ' Alchimia, intitolato Liber de Arte Chemica. Cfr. Il Rinascimento. L'akhimia (2001 ) , ci t.

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Manget

383 Ludovico Lazzarclli ( 1 450- 1 500), nato a San Severino Marche, poeta c filosofo. verso il 147 1 compose un poema mito-astrologico intitolato De gentilium deorum imaginihus , che fu dedica to prima a Borso d'Este e quindi a Federico da Montefel -

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iniziato all ' Alchimia da Giovanni Mercurio da Correggio, una strana figura di profeta, mago e alchimista384: Lazzarelli delinea una linea di trasmissione iniziatica che da Giovanni Mercurio e dal suo maestro, l'alchimista borgognone Rigaud de Branchiis , risale a Raimondo Lullo e Arnaldo da Villanova, oltre che ad un Magistrus Petrusl8'. In una delle prefazioni di un codice contenente la traduzione dei testi erme­ tici e dedicato a Giovann i Mercurio, Lazzarelli afferma la maggiore antichità di Ermete Trismegisto rispetto a Mosè, contrariamente a quanto sostenuto dal Ficino, e presenta la propria conversione dall a poesia agli studi ermetici come una vera e propria rigenerazione386• Appassionatosi all'Alchimia, Lazzarelli compilò una miscellanea di testi alchemicil87 composta, in particolare, da testi attribuiti a Lullo; ero; ebbe contatti con Giovanni Pontano e la eone aragonese e fra il l 492 e il 1494 compose il dialogo di ispirazione ermetica Dc summa hominis digmlatc dialogus qui inscribitur Crater Hermetis, in cui compaiono, come suoi interlocucori, il re Ferdi­ nando d'Aragona e Giovanni Pontano. Sulla vita di Ludovico Lazzarelli si veda la sua biografia serina dal fratello Filippo: Vita Lodovici Lauare//i Scptcmpcdani poetac laureati per Pht1ippum /ratrem ad Angelum Colotium. Padova 1629; sui suoi scritti ermetici si veda: Ludovico Lazzarelli, Opere ermetiche, a cura di C. Morcschini, M.P. Saci, F. Troncarelli, ed. F. Serra, Pisa-Roma, 2009.

384 Giovanni da Correggio, nato nel 145 1 , assunse il nome di Mercurio in omaggio alla sapienza ermetica; nella Domenica delle Palme del 1484, fece uno spettacolare ingresso a Roma, vestito di nero, con una corona di spine e cavalcando un cavallo nero, proponendosi come profeta e come una specie di nuovo Messia. Lazzarelli, che lo conobbe verso il 148 1 , ha descritto questo episodio nella sua Epistola Enoch de admiranda ac portendenti appari/ione novi atque divini prophetae ad omne humanum genus (pubblicata forse a Milano verso il 1490). A Giovanni Mercurio è attribuito un trattatello alchemico dal titolo De querm ]ulii Ponti/ias sive de laptde philosophico, de­ dicato a Giulio II e contenente brani crani dalle opere di Lullo , Arnaldo da Villanova, Marsilio Ficino e dalla Tavola di Smeraldo. 385 Lazzarelli si riferisce verosimilmente a Pietro Bono, medico e alchimista, vis­ suto di Ferrara nel XIV secolo e ritenuto l'autore della Pretiosa Margarita Novella, un'opera alchemica pubblicata da Aldo Manuzio a Venezia nel 1 546 e una cui copia manoscritta (ms. lat. 299, Biblioteca Estense di Modena) ripona alcuni versi con cui Lazzarelli dedica l'opera ad un domùtum ]oanncm preccptorem mcum, forse Giovanni Mercurio o Giovanni Rigaud. 386 Il codice contenente le traduzioni ficiniane del Corpus Hermeticum (ms. 11. D.

l . 4 della Biblioteca Comunale degli Ardenti d Viterbo) , è stato dedicato a Giovanni Mercurio dal Lazzarelli , che in una delle sue ere prefazioni si rivolge a lui come al suo maestro.

387 Ms. 984 della Biblioteca Riccardiana di Firenze. Cfr. Il Rinascimento. L'alchimia cit. In questa raccoha Lazzarelli inserisce anche la ricetta di un Arcanum Elixiris, ottenuto dal suo maestro Giovanni Rigaud de Branchiis a Siena nel l494 .

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per questa raccolta compose i distici elegiaci di apertura e un prologo in cui si afferma che Ermete Trismegisto è stato il "poter" dei teologi, dei maghi e degli alchimisti e che nella sua Tavola di Smeraldo sono sintetizzati tutti gli "Arcana" riportati all'inizio del Picatrix, accostato al Secretum Secretorum�xx; tali Arcana sono alla base della magia, che viene distinta in tre forme: naturale, owero l'Alchimia; celeste, owero la magia astrale e delle immagini; sacerdotale e divina, collegata alle Sacre Scritture e alla figura di Cristo. Lazzarelli assimila quindi la via salvifìca della religione cristiana all'Opera alchemica, paragonandola alla Passione e alla Resurrezione di Cristo, come già era stato delineato nell Aurora Consurgens e nel Libro della Santissima Trinità. Tuttavia, l'Opera, che ha il duplice scopo di trasmutare i metalli, ma soprattutto di assicurare la salute e la longevità, viene presentata come un effettivo processo materiale e non come l'allegoria di un percorso spirituale, anche se appare evidente l'intento di conferire nuova dignità alla pra­ tica alchemica, inserendola nel quadro della Filosofia Ermetica. Un altro umanista che contribuì a delineare il carattere dell'Alchi­ mia rinascimentale è stato il poeta Giovanni Aurelio Augurello�s1i. Ma il libro di Khunrath , corredato da 467 Hei nri chKhunrath(ca. 1560-1605) è stato unmedico, alchim i sta c filosofo ermeti co tedesco, seguacedi Paracelsoe autore di diverse opere alchemiche, fra cui la più impor­ rameè I'Ampbithcatrum Sapicntiae actemac, pubbli cato ad Amburgo nel1595la cui edi ­ zi one pi ù diffusaè srara pubblicata postuma ad Hanau nel1609, nella quale allequattro grandi incisioni cheillustrano la prima edizione, ne sono state aggi unte altre cinque. 46 8 Cfr. Yates, op.ci t. p. 46. &.-·co ndo quanto riferisce Elias Ashmol enella sua raccolta di testi alchemici !Theatmm OJemicum Britannicum, Londra 16 52, p. 483) John Dee, aBrema, nd 1589, incontrò �2•

641 Si veda, per esempio, Il Santo Gmal di M. Baigent, R Leigh c H. Lincoln ( Tht• Holy Blood and The lloly Grazi. Londra 1 982 ), in cui si sostiene che il segreto cui allude la tomba del dipinto di Poussin del 1647, riguarderebbe l'esistenza di una stirpe reale discendente da Gesù c Maria Maddalena, per cui San G raal andrebbe interpretato come Sang Real. 642 Le Eglogae Piscatorie ( in origine dovevano essere dieci, ma ne sono state pubbli­ cate solo cinque o sei a seconda delle edizioni) hanno avuto più edizioni. fra le quali citiamo quelle di Amsterdam del 1689 (Acfli Sinceri Sanna:.arli Opera Latina) c del 1 7 2 8 (Actii Sinceri Stmnazarii Opcrtl Ulline scripta ) ; esistono anche diverse versioni in italiano fr a cui ricordiamo quella curata da Filippo Scolari ( Le Pescatorie, Venezia 1 8 1 3 ) e quella di Luigi Grill i (Le Eglogbe Pescberecce, Città di Castello 1 899) . Nella I Egloga ( Pbillis) il pescatore Licida piange la morte dell'amata filli; si tratta del compianto dello stesso Poeta per la morte della amata C a rmosin a Bonifacio; nella II Egloga il pescatore Licida si lamenta per la durezza dell'amata Galatea, mentre nella terza ( Mopso) Sannazaro ricorda il suo volontario esilio al seguito di re Federico; nella IV Egloga, intitolata Proteo e dedicata a Ferdinando d'Aragona, che fu re di Napoli nel 149'5 -96, Sannazaro canta le meraviglie dei lidi partenopei rievocando con nostal· gia gli antichi scenari mitologici c contrappone il loro fantasioso splendore alla triste situazione dci suoi tempi.

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Particolarmente interessante è per noi la V Egloga, intitolata Erpi­ ltde Maga in cui il Poeta fa riferimento alle arti magiche, descrivendo due pescatori che si confrontano in una gara di canto e i cui canti ri­ echeggiano fin nelle grotte Platamonie e nel sacro antro di Serapide. Il primo pescatore, Dorila, descrive un incantesimo compiuto presso le acque dd Sebeto da Erpilide, una giovane maga istruita dal padre Alcone, «caro a Febo e alle Muse>>, il che lo identifica come seguace del culto solare; l'incantesimo, che ha lo scopo di riconquistare e far ardere d'amore il suo amato Meone, viene attuato con l'aiuto della sorella di Erpilide, dopo aver eretto un'ara, raccogliendo una serie di ingredienti come l'acqua del fiume, delle foglie di assenzio, un'alga marina da bru­ ciare, un granchio privato delle chele che deve essere bruciato tre volte come simbolo del cuore di Meone, una spugna imbevuta del pianto della maga che dovrà fugare ogni altro affetto dal petto dd suo amato, una remora che ne deve arrestare la fuga; infine Eripilide prepara un filtro da far bere all ' amante ed ingiunge alla sorella di prendere e tritare un nido d'alcione il cui potere di dissipare venti e tempeste possa placa­ re i suoi affanni . Durante l'operazione, Eripilide ripete dieci volte una strofa che evoca il magico potere dei fusi bronzei dei telai di far cessare la pioggia e scacciare le nuvole: «Volgete o licei (fili) miei, volgete il ve­ loce rombo (fuso)» ( Volvite precipitem, mea licia, volvite rhombum); le ultime due strofe, lievemente diverse, indicano la fine dell'invocazione: «fermate il rombo, o licei miei, fermate»641• li tema della magia, già presente negli Idilli di Teocrito e nelle Eglo­ ghe virgilianeM4 , è riproposto dal Sannazaro in questa Egloga dedica­ ta a Cassandra Marchese, nobildonna da lui teneramente amata, ma non riteniamo che si tratti solo di una citazione letteraria o di una poetica allusione alle pene d'amore, quanto piuttosto di uno specifi­ co riferimento alle antiche pratiche della Magia Naturale in cui ogni ingrediente viene utilizzato per ottenere un determinato effetto, gra­ zie alle occulte leggi dell'analogia e della " simpatia" in base alle quali tutte le cose sono collegate fra loro. Inoltre, con il riferimento all'arte della tessitura ed ai suoi poteri magici, Sannazaro non solo si collega 643 Cfr. Herpiphilis Pharmaceutria in Actii Sinceri Sannaz.arii Opera, ed. 1 728, pp. 73 ss. L'Egloga prosegue con il canto dd secondo pescatore, Telegono, che invoca Tri­ tone affin ché diffo nda nel mare il suo lamento di amore per Galatea: anche in questo secondo canto l'invocazione a Tritone, ripetuta parimenti dieci volte, ha il carattere di un'invocazione magica e termina con due strofe di commiato. 644 Teocrito, Idzllio II, Le Streghe (Pharmakeutriat); Virgilio, Egloga c•

A /feJiheo) .

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VIII

(Damone

all'immagine america della maga Circe che tesse al telaio prima di trasformare in porci i compagni di Ulisse6-45, ma ripropone soprattutto un antico tema mitico e simbolico, come aveva già fatto nell 'Arcadti.z, descrivendo alcune Ninfe che tessevano una tela in cui era raffig ura­ ta la storia di Euridice, «augurio infelicissimo di future lacrime» ed espressione del triste destino dei mortali646; la scena è ambientata nella grotta che precede quella da cui hanno origine i fiumi della Terra e corrisponde all'Antro descritto da Omero in cui le Ninfe tessono stof­ fe color porpora su alti telai di pietra ed attraverso le cui due porte, corrispondenti ai Solstizi, le anime ascendono e discendono nei cor­ pi647. Altrettanto evidente è il rapporto con l'immensa cavità descritta da Platone nel Mito di Erl>48, dove le anime destinate a reincarnarsi si radunano accanto al Fuso della Necessità, simbolo dell'Asse Cosmico, alla cui base le tre Moire tessono il filo delle esistenze umane, mentre otto Sirene, poste su altrettanti fusaioli che si succedono lungo l'Asse, compongono le sequenze tonali che caratterizzano ogni destino. Se nelle visioni america e platonica il simbolismo della tessitura è riferito alla incarnazione e alla determinazione dei destini umani, nell'Egloga del Sannazaro tale simbolis!TIO si riferisce ad un'applica­ zione specifica e parziale dello stesso principio, owero della possi­ bilità di determinare una serie di eventi così come su un telaio viene disegnata la trama di un tessuto. Nel descrivere il rito messo in atto da Eripilide, Sannazaro rivela una conoscenza delle pratiche magiche che, se da un lato si basa sulla lettura degli autori classici, dall'altro può derivare da un'esperienza più personale e diretta: sappiamo infat­ ti che fu allievo di Giuniano Maio, professore di grammatica e retorica e membro dell'Accademia Pontaniana6-49, noto per essere un esperto di arti magiche, celebrato per le sue doti di veggente ed interprete dei 645 Odissea X, 2 1 3 -222 646 Sannazaro, Arcadia XII , 1 6- 1 8. 647 Odissea XIII, 1 02- 1 12. Porfirio, commentando il passo omcrico (Antro delle Ninfe XIV, cd. cit. p. 32) afferma che i telai sono di pietra perché rappresentano le ossa, mentre i tdi tessuti sono purpurei in quanto tale è il colore della «carne intessuta di sangue», spiegando che il tessere delle Ninfe corrisponde all a formazione dei corpi e che il corpo è la veste dell'anima. 648 Platone, Repubblica X. 649 Giuniano Maio ( 1430- 1493 ) , oltre che maestro di Jacopo Sannazaro, è stato precettore dei principi della casa reale aragonese e nel 149 1 fu accolto fra gli umanisti della corte; la sua opera principale è un dizionario di termini latini (De priscorum proprie/alt• verhomm) pubblicato nel 1 4 7 5 .

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sogni; è verosimile che J acopo Sannazaro sia stato iniziato proprio dal suo insegnante, verso il quale mostrò sempre un profondo rispetto, inserendolo fra i Pastori dell'Arcadia nelle vesti del saggio Enareto, «sopra gli altri pastori dottissimo», cui è manifesta «la maggior parte de le cose e divine e umane» e che ha avuto il dono di comprendere i «lenguaggi degli ucelli»; Enareto, il cui stesso nome evoca il caratte­ re virtuoso dd Maestro, ci viene presentato come il «santo vecchio», sacerdote del culto antico e primordiale del gran dio Pan, capace di compiere magie e pronunciare potenti incantesimi, di prevedere il fu ­ turo e anche di trasformarsi in lupo650• Dalla descrizione che Sannaza­ ro fornisce di Enareto, emergono tutte le caratteristiche di un iniziato agli antichi Misteri cd appare verosimile che il ruolo di guida a lui attribuito nell'Arcadia, possa rispecchiare il ruolo di Maestro e inizia­ tore avuto da Giuniano M aio nei confronti dd Sannazaro ed appare altrettanto verosimile che fra gli Umanisti dell'Accademia Pontaniana si celasse in realtà una ristretta confraternita iniziatica. I MISTERI DI SAN DOMENICO

Se nel periodo angioino si possono rilevare gli stretti rapporti dei sovrani con il Papato e con l'Ordine Francescano, notiamo che inve­ ce i sovrani aragonesi ebbero maggiori rapporti con i Domenicani, probabilmente per la loro attitudine allo studio ed all'esercizio della logica che ben si conciliavano con gli interessi culturali della corte; la chiesa di San Domenico fu pertanto la chiesa preferita dalla nobiltà del tempo e in essa furono collocate le arche contenenti i corpi imbal­ samati dei sovrani e di diversi nobili e dignitari del regnoM 1 • Nella chiesa d i San Domenico troviamo inoltre alcune interessanti testimonianze sugli aspetti esoterici della cultura rinascimentale napo­ letana come nella Cappella Carafa di Santa Severina, nei cui sottarchi troviamo la rappresentazione dei segni zodiacali e delle altre costella­ zioni, mentre sui pilastri è scolpita una decorazione a grottesche con una successione verticale di trofei, armi, fiori, animali ed esseri fanta650 Sannazaro, Arcadia IX, 14-38 c X, 3 -6 e 35 -37 (ed. cit. pp. 1 50- 1 56; 165 - 1 66; 174- 175 ) . Cfr. S.E.F. Hobel, Il Fiume Segreto, ed. cit. pp. 45 ss. 65 1 Le 45 casse, ricoperte di stoffe preziose, erano originariamente sparse all'interno della chiesa, ma nel 1 594 furono tutte raccolte nella Sagrestia c collocate su un balla­ toio: vi si riconoscono le sepolture dei re Alfonso I (il cui corpo fu però trasferito in Spagna nel 1 667 ) , Ferrante l, Ferrante II e Giovanna I V.

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stici652• Al centro del pilastro a destra dell'ingresso, spicca l'impres­ sionante raffigurazione di un demone alato accovacciato dalle zampe caprine e con un seno femminile, che forma un inquietante contrasto con il minaccioso aspetto di una testa cadaverica con la bocca aperta e delle lunghe orecchie Tavola l Ob ) . n pilastro termina in alto con l'immagine di un orologio di cui si vedono le ruote dentate del mec­ canismo, mentre lateralmente sono disposte coppie simmetriche di draghi, delfini, uccelli c sviluppi vegetali. n nostro demone alato so­ miglia alle Arpie o Sirene che possiamo vedere spesso nelle grottesche in cui sono raffigurate nella stessa posizione, ma se ne differenzia per le zampe caprine invece che artigliate e per la sostituzione di un volto orrendo alla testa femminile: si tratta di un'immagine sapientemen­ te concepita per alludere al perpetuo avvicendarsi della vita e della morte ed alla loro indissolubile connessione, in cui gli zoccoli fessi e il seno femminile rappresentano l'energia vitale, mentre l'orrida testa evoca l'idea della morte653• Possiamo pertanto osservare che nella Cappella Carafa viene tra­ dotto visivamente il rapporto fra il Cielo e la Terra, in base al concetto ermetico che «ciò che è in alto è come ciò che è in basso»; e mentre gli archi e la volta rappresentano il cielo stellato, lungo i pilastri è simboleggiato il suo riflesso nel mondo materiale, regolato dallo scor­ rere del tempo e con le continue trasformazioni di ogni forma di vita. Questa concezione, già espressa nel simbolismo dei portali romanici, viene ora riproposta in quel linguaggio simbolico ispirato agli antichi geroglifici egizi che si sviluppa nel Rinascimento. Un attento ricerca­ tore, Salvatore Forte, ha notato che in una targa delle grottesche della Cappella Carafa è scolpita un'immagine che riproduce il disegno di uno dei geroglifici descritti pochi anni prima da Francesco Colonna nella sua Hypnerotomachia, in cui è raffigurato un grande occhio ac652 La decorazione della Cappell a Carafa di Santa Severina, dedicata a San Martino, commissionata nel 1 508 da Andre-d Carafa, conte di Santa Severina c Luogotenente Generale del Regno, fu realizzata dagli scultori toscani Romolo BalsimeUi e Andrea Ferrucci a partire dal 1503 . Alcuni anni prima, nel 1 497 , il Cardinale Oliviero Carafa aveva ordinata la realizzazione della Cappella del Succorpo nel Duomo di Napoli, per ospitare le spoglie di San Gennaro: le gronesche marmoree che ornano le pareti del Succorpo, anribuitc allo scultore Tommaso Malvito, costituiscono un altro mirabile esempio di decorazione di ispirazione classica e paganeggiante. 653 L'immagine può essere interpretata anche in chiave alchemica ed in tal caso il demone alato diventa un geroglifico della Materia Prima mercuriale e androgena, la sua testa allude al Caput Mortum, la fase deUa Putrefazione, mentre le ali indicano la sua volatilizzazionc (cfr. Fulcanelli. Dimore, ed. cit. vol. II. p. 76).

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canto ad un volatile: il che rivela non solo una sostanziale adesione al nuovo linguaggio simbolico ispirato alla tradizione egizia e alla cultura classica, ma anche un preciso riferimento ad Horus (o Ra) , la divinità solare dell'antico Egitto65�. Nel complesso di San Domenico si trova un ancor più esplicito riferimento alla Religione Osiridea; si tratta di una lastra marmorea che si può vedere all ' esterno della chiesa, a destra dell'ingresso princi­ pale, e che mostra l'incisione di un uomo inginocchiato vestito con un abito lungo che sembra pregare rivolto verso un'iscrizione alquanto enigmatica (Tav. 1 0c)6": NIMBIFER ILLE DEO MICHI SACRVM INVIDIT OSIRIM IMBRE TVLIT MVNDI CORPORA MERSA FRETO INVIDA DIRA MINVS PATIMVR FVSAMQVE SVB AXE PROGENIEM CAVEAS TROIVGENAMQVE TRVCEM VOCE PRECOR SVPERAS AVRAS ET LVMINA CELO CRIMINE DEPOSITO POSSE PARARE VIAM SOL VELVTI IACVLIS ITRVM RADIANTIBVS VNDAS SI PENETRAT GELIDAS IGNIBVS ARET AQVAS Gli eruditi e gli studiosi napoletani hanno proposto diverse tradu­ zioni di questa sibillin a iscrizione e ne hanno dato varie interpretazio­ ni, ipotizzando che l'epigrafe alludesse ad un naufragio o ad un tesoro nascosto oppure, come affermò il Mazzocchi, che i versi fossero sem­ plicemente un «ghiribizzo» concepito per «martoriare la mente dei letterati»; un altro studioso, Scipione Volpicella , ha invece sostenuto che l'iscrizione, composta nel 1284, si riferirebbe al supposto assas­ sinio di San Tommaso d'Aquino voluto da Carlo d'Angiò, mentre, nel sito di lniziazione Antica, leggiamo che, in base all'interpretazione

654 F. Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, Venezia 1499, foglio 33°, figura XIV. Cfr. S. Forte, Il Rinascime11/o napoletano e la tradizione egizia segreta, ed. Narcissus, Napoli 20 1 5 , pp. 1 05 - 1 07 . 655 L a lastra fu rinvenuta celata sotto il pavimento della chiesa quando, verso il 1 560, il coro fu spostato dietro l'altare maggiore; venne quindi trasferita nel chiostro vecchio dd convento, presso la cisterna, e successivamente nel luogo dove si trova ora (dr. G. Sigismondo, Descnuoue della città di Napoli e moi Borghi, 1788 tomo Il, p. 3 1 ; Celano-Chiarini, Noti1.ie del bello dell'antico e del curioso della città di Napoli, vol. III, tomo II, Napoli 1 858, pp. 476 s.).

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dell'esoterista Domenico Bocchini, si tratterebbe di un «documento antichissimo recante l'attestazione del diluvio universale»656• Al di là delle diverse traduzioni ed interpretazioni fin qui propo­ ste e senza escludere la possibilità che si tratti di un testo criptato, cerchiamo di comprendere cosa voglia comunicare questa misteriosa iscrizione: in primo luogo troviamo l'affe rmazione che un essere por­ tatore di tempeste (Nimbz/er) invidiò Osiride, sacro a me (o a Dio), e che con una tempesta (imbre) sprofondò o spostò (tulit) i corpi del mondo sommersi o naufragati (mersa) nel mare (/reto), il che sembra decisamente alludere ad un evento catastrofico come il diluvio. Il testo prosegue affermando che ora soffriamo di meno per tale ira terribile (invida dira) , ma esorta a temere la truce stirpe troiana sparsa nel mon­ do o sotto il suo asse (sub axe /usa m), il che potrebbe essere riferito ai Romani. La seconda parte consiste invece in un'invocazione: «Con la voce (ad alta voce) prego gli spiriti aerei e i lumi superiori perché, rimesso il crimine, possano rendere praticabile o agevolare (parare) la via del cielo, come il sole, se penetra di nuovo (iterum invece di itrum) le onde con le sue raggianti saette, dissolve le acque gelide». Il testo può essere dunque interpretato come l'allusione ad una ca­ tastrofe naturale in seguito alla quale un'antica civiltà, identificata con la figura di Osiride, è stata sommersa ed è scomparsa, ma ora inizia a riemergere, anche se resta da temere la «truce stirpe troiana»; lo stes­ so testo potrebbe però anche essere riferito ad una catastrofe di tipo sociopolitico, come la conquista romana dell'Egitto o il trionfo del Cristianesimo e la conseguente scomparsa o l'occultamento dell'anti­ ca religione. La seconda parte dell'iscrizione ha il carattere di un'in­ vocazione magica in cui l'orante si rivolge a entità spirituali collegate all'aria e alla luce o al fuoco, utilizzando il potere della voce e della parola, messo in relazione alla Luce del Sole che dissolve le tenebre e il gelo delle acque, al fine di far riemergere l'antica sacralità osiridea. Se effettivamente, come sembra, di ciò si tratta, possiamo ritenere che

656 Per il riferimento all 'erudito Alessio Simm aco Mazzocchi DCVIII seco­ lo) , vedi Celano-Chiarini, cit. ; sull'ipotesi relativa a San Tommaso d'Aquino, cfr. S. Volpicella, Storia dei monumenti del rea me delle due Sicilie: Principali edifici della città di Napoli, Tomo II, parte I, Napoli 1 847, nota 42, pp. 327330; rispetto all 'interpretazione del Bocchini, vedi il testo pubblicato online in «iniziazioneantica.altervista.org» in cui vengono anche confrontate le di­ verse traduzioni proposte da Massimiliano Contatore, Gian Pietro Basello e Vittorio Gleijeses.

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la lastra sia stata realizzata all'inizio dell'età aragonese e che sia stata ispirata dallo stesso Pontano, col quale ci sembra inoltre di ravvisare una certa somiglianza nel profilo del personaggio orante. ACCADEMICI E ALCHIMISTI DELLA NAPOLI VICEREALE

Con la trasformazione del Regno di Napoli in un Viceregno sotto il dominio spagnolo, ha avuto termine quella feconda intesa che si era venuta a creare fra i regnanti e gli intellettuali durante il periodo aragonese e, anche se continuarono a fiorire gli studi e si formarono diverse Accademie, le autorità vicereali assunsero spesso nei loro con­ fronti un atteggiamento sospettoso e a volte repressivo, temendo che tali assemblee di eruditi, letterati, poeti e ricercatori, potessero celare dei centri di diffu sione di idee eretiche o sovversive. Fra le Accademie fiorite intorno all a metà del XVI secolo a Napoli, ricordiamo l'Ac­ cademia Segreta, fondata nel 1542 dal viterbese Girolamo Ruscelli, l'Accademia degli Umidi (ca. 1 544 ) e quelle dei Sereni, degli Ardenti e degli Incogniti (che opereranno solo nel 1546)6fì. Nel 1535 era giunto a Napoli il teologo spagnolo di origine ebrai­ ca J uan de Valdés6511, le cui idee di riforma religiosa ottennero larghi consensi, così come ebbe i suoi simpatizzanti Bernardino Ochind'�'\ le 657 Sulle Accademie napoletane, vedi P. lzzo, Le Uova dell'Angt>lo, ed. Stamperia del Valentino, Napoli 2002. 658 Juan dc Valdés ( 1 500- 1 543 ), teologo spagnolo, fu costretto ad abbandonare la Spagna in seguito alla pubblicazione del suo Dialogo de doctrina cristiana ( 1 525); giunto a Napoli ncl 1534, vi diffuse le sue idee di una rigenerazione cristiana basata su una fede ricondotta alla purezza evangelica; fra le sue opere ricordiamo l'Aiphabcto christiano ( 1 545 ), dedicato a Giulia Gonzaga che fu influenzata dalla sua dottrina, insieme a Vittoria Colonna; ebbe a Napoli numerosi seguaci, diversi dei quali furono arrestati nel 1 552; si formarono anche diverse comunità valdcsiane in Puglia e in Calabria che furono distrutte all'inizio degli anni Sessanta, mentre nel 1564 furono giustiziati diversi Valdesiani fra cui il nobile Giovan Francesco Alois; la feroce repressione dell 'eresia valdesiana fu contestata da n umerosi esponenti dell'a­ ristocrazia napoletana, fra cui membri delle famiglie di Sangro, Caracciolo e Carafa e poi anche dal popolo.

659 Bernardino Ochino ( 1487- 1 564 ) , appanenente all'Ordine dei Minoriti Osser­ vanti, poi a quello dci Cappuccini, sostenne posizioni vicine a quella della Riforma Protestante, per cui, sospetrato di eresia, fu�ì nel 1 542 a Ginevra dove entrò in con· tatto con Calvino e diventò il primo pastore della comunità evangelica italiana locale; condannato dalla Chiesa Cattolica, ma anche in disaccordo con i Calvinisti, condusse

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cui prediche, tenute nel 1 5 3 6 nella chiesa di San Giovanni Maggiore, riscossero grande successo; inoltre, fra il 1544 e il 1 565 soggiornò più volte a Napoli Bernardino Telesio660, la cui Filosofia della Natura con­ quistò in città numerosi estimatori e seguaci. TI fermento intellettuale del periodo e le sue spinte innovative non potevano non allarmare le correnti più conservatrici della Chiesa e nel 1542 , in seguito al loro prevalere, fu istituita la Santa Romana In­ quisizione. A Napoli l'Inquisizione fu introdotta però solo nel 1553 , dopo che un primo tentativo, nel 1 547 , era falli to grazie ad una rivolta popolare che il viceré Don Pedro aveva represso dopo diversi mesi fa­ cendo cannoneggiare la città; l'anno successivo, con decreto vicereale, furono sciolte tutte le Accademie e iniziò il processo a Mario Galeota, ritenuto il fomentatore della rivolta661 • Nel 1543 era già stata sciolta la prestigiosa Accademia Pontaniana e il suo principale esponente, Scipione Capece662, so­ spettato di eresia e sedizione, era stato costretto a fuggire dalla città. In effetti, le autorità civili e religiose del tempo, dal loro punto di vista, non avevano tutti i torti, se si pensa che nell'am­ biente degli intellettuali napoletani si sono for­ mati personaggi come Gian Battista della Porta, Giordano Bruno e Tommaso Campanella, che hanno promosso la libertà del pensiero e della ricerca, creando le premesse per una radicale una vita raminga fino alla sua morte. 660 Bernardino Telesio ( 1 509 - 1 588). membro dell'Accademia Cosentina fondata da Giano Parrasio verso il 1 509, compose la sua opera principale, il De remm natura iux­ ltl pmprit1 prinàpit1 (pubblicata a Napoli fra il l 565 c il l 586) durante i suoi soggiorni napoletani, ospite di Alfonso Carafa, duca di Nocera. 661 Mario Galeota, uomo d'armi c di cultura, membro dell'Accademia dei Sereni e amico del poeta Tansillo. fu un seguace di Valdés; processato in se�uito ai tumulti del 1 547 . nel 1 552 fu costretto al domicilio coatto nelle sue terre in Calabria; tornato a Napoli nel 1 555 fu di nuovo arrestato c imprigionato fino al 1 559; processato una ter.la volta nel 1 565 per aver propagandato le idee di Valdés, fu costretto ad una pubblica abiura delle sue posizioni ereticali e condannato a cinque anni di reclusione.

662 Scipionc Capecc ( 1480- 1 55 1 ) , allievo del Pontano, diresse l'Accademia dopo la sua morte; giurista e poeta. è l'autore di un poema didascalico (De Principiis rerum, Napoli 1584) concepito a imitazione del De reru m 11atura di Lucrczio, in cui però non sono riproposte le concezioni lucrczianc, ma piuttosto una visione cosmologica di ispirazione pontaniana e che si collega alla tradizione ermetica e pitagorica; curò anche. ncl 1 53 5 , la pubblicazione dci Commentari di Donato all'opera di Virgilio.

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svolta delle concezioni culturali, scientifiche e religiose allora domi­ nanti e giungendo a sfidare in modo più o meno aperto l'autorità della Chiesa. Intorno alla metà del XVI secolo Napoli era dunque una specie di vulcanica fucina del pensiero, in cui le spinte innovative e libertarie si coniugavano con l'adesione alla Tradizione Ermetica e con lo stu­ dio e la pratica dell'Alchimia. Girolamo Ruscelli, autore di un trattato alchemico di grande successo pubblicato con lo pseudonimo di Ales­ sio Piemontese66', era giunto a Napoli verso 1 54 1 e vi aveva fondato l'Accademia Segreta, conferendole un carattere chiaramente iniziatico basato sulla ricerca alchemica come risulta da quanto lui stesso scrive nel Proemio dell'edizione del 1567 della sua opera: «Quando io habi­ tava nel Regno di Napoli, pochi ann i innanzi ch'io venissi a Venetia, in una illustre città di quella provincia, trovandomi nella compagnia di XXIII ! persone particolari & con esse il Principe & Signor della terra, si diede principio ad una onorata Accademia Filosofica la quale, per molti degni rispetti volsero che fusse & si chiamasse secreta . . . Di tutti XXIIII huomini sette erano Cittadini nativi della città propria, sette di diversi luoghi d'Italia, sette Oltramontani di diverse Province, uno Schiavone, un Greco & uno Ebreo di Salonichi, vecchio & che più volte era andato di Levante in Christianità . . . Avevamo poi per mini­ stri & serventi due Spetiali, due Orefici, due profumieri, un dipinto­ re, quattro Erbolarij & Simplicisti intendenti . . . L'intention nostra era stata primieramente di studiare & imparare noi stessi, non essendo studio né altro essercitio alcuno che più sia vero della Filosofia na­ turale, che questo di far diligentissima inquisitione & come una vera anatomia delle cose & dell'operationi della Natura in se stessa . . . Nella nostra compagnia era ordine & giuramento che niuno potesse nomi-

663 De' secreti del reverendo donno Alessio Piemontese, Venezia 1555 ( testo ristampato più volte a partire dal 1 557 e tradotto in diverse lingue). Girola­ mo Ruscelli (ca. 1500- 1 566) giunge a Napoli verso il 154 1 , ospite del mar­ chese Alfonso d'Avalos e vi resta fino alla morte di quest' ultimo, nel 1546; recatosi a Venezia, vi cura l 'edizione di diversi classici, fra cui il Decamerone, l'Orlando Furioso e la Geografia di Tolomeo. Ruscelli è inoltre autore di diverse altre opere, fra cui Le Imprese illustri ( Venezia 1566) e di un Rimario. Sull ' Alchimia a Napoli nel periodo vicereale si veda l'introduzione del testo di Massimo Marra, Il Pulcine/la Filoso/o Chimico di Severino Scipione ( 1 681 ), ed.

Milano 2000 , pp. 9 ss.; vedi anche A.E. Piedimonte, Alchimia e medicina a Napoli, ed. Intra Moenia, Napoli 20 1 5 . Mirncs is,

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narla né farne motto con alcuna persona se prima non se ne avesse licenza dalla Compagnia»66-l. Dai passi citati risulta evidente che l'Accademia era stata concepita come una società segreta il cui fine ultimo era la " conoscenza di se stessi" e il cui metodo di lavoro era la sperimentazione alchemica: gli aspetti operativi erano assicurati dall a collaborazione di speziali, orafi ed erboristi, mentre l'ampio raggio delle ricerche teoriche e la consultazione di testi scritti in diverse lingue era resa possibile dal­ la presenza, fra i membri dell'Accademia, di studiosi provenienti da diverse nazioni, fra cui un Greco, un Ebreo ed uno Slavo; i mem­ bri dell'Accademia, che si riunivano regolarmente in una casa fatta costruire dal Principe e definita " Filosofia " , erano inoltre tenuti ad osservare la segretezza, anche se, avutane licenza, potevano invitare degli estranei, come i medici della città, che però dovevano parimenti impegnarsi all a segretezza, o dei forestieri, persone dotate di ingegno ed amanti della Filosofia; i risultati dei lavori, precisa infine il Ruscelli, sono stati riportati nel suo libro De' Secreti. È possibile che ai lavori dell'Accademia Segreta abbiano parteci­ pato anche il botanico Bartolomeo Maranta665 e il suo amico e collabo­ ratore, lo speziale Ferrante Imperato, del quale torneremo a parlare, e forse anche il giovane Della Porta, che si ispirò probabilmente ad essa nel fondare, alcuni anni dopo, la sua Accademia de' Secreti della Na­ tura. Intorno alla metà del secolo passarono inoltre per Napoli anche Secreti nuovi di meravigliosa virltì del signor leronimo Ruscelli i quali contino· vando a quelli di don no Alessio, cognome finto del detto Ruscellz; conte11gono cose di rara esperien1.11 e di grafi giovamento, Venezia 1 567: cfr. M. Marra, Girola mo Ruscelli Proemio ai Secreti nuovi di maravigliosa virtù (Vinegia 1 567), risorsa online ( www. le­ vity.com ). Secondo W. Eamon (La Scienza t' i Segreti della Natura, ed. ECIG, Geno­ va 1 988, pp. 222 ss. ) il Principe dell'Accademia sarebbe stato Ferrante Sanscverino, principe di Salerno, amico del marchese d'Avalos e accanito avversario del viceré Don Pedro da Tolcdo; I'Eamon suggerisce inoltre che ai lavori dell'Accademia, che si protrassero fino al 1 552, abbiano potuto partecipare i giovani fratelli Della Porta. 664

665 Bartolomeo Maranta ( 1 500- 1 57 1 ), botanico, medico e fisico, nato a Venosa, studiò a Napoli e a Pisa, dove fu allievo del botanico Luca Ghini, fondatore dell'Orto Botanico di Firenze e dove conobbe Johannes Oporinus, discepolo di Paracelso; la­ vorò poi nell'Orto Botanico di Napoli nel l554· 1 555; è autore dei Mt•thodi cognoJCl'll · dorum simplicium medicamentorum libri tres ( Venezia 1 559), di un Novum Herbarium (Venezia 157 1 ) e di un testo sugli antidoti contro il morso dei serpenti velenosi (Della Thenaca et del Mithridato, Venezia 1 572 ) che fu aspramente criticato dai medici della scuola padovana soprattutto in quanto scritto in volgare e non in latino e per aver avvicinato la figura del medico a quella dello speziale.

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alcuni noù alchimisti, come il medico Leonardo Fioravanti1161\ perso­ naggio avventuroso e singolare che, come Paracelso, riteneva che il medico dovesse essere anche speziale e alchimista, in modo da prepa­ rare da sé i farmaci utilizzando i metodi spagirici, o come l'umanista Antonio AllegrettiM7 che risiedette per alcuni anni a Scisciano, presso Nola, dove compose, intorno al 1550, la sua opera De la Trasmutazio­ ne de' metalli. CONTINUITÀ DELLA TRADIZIONE ERMETICA RINASCIMENTALE

Per quanto riguarda invece la continuità della cultura umanistica rinascimentale del Pontano e del Sannazaro, con i suoi spunti mito-ermeù­ ci, vanno citati diversi letterati fra i quali, in pri­ mo luogo, Marc'Antonio Epicuro6611 , apprezza666

Leonardo Fioravanti, nato nel 1 5 17 a BoloJtll a , si trasferisce nel 1 548 in Sicilia, dove inizia ad esercitare la professione di medico pur non avendo conseguito alcun titolo; durame il suo so�iorno siciliano intraprende lo studio dell'Alchimia per utiliz­ zare i preparati spagirici nella sua pratica medica; nel 1 549 giunge a Napoli. dove nel 1 55 1 il viccré Don Pedro di Tolcdo lo nomina protomedico della spedizione spagnola in partenza per attaccare la città di Monastir c dove poi rimane fino al 1 55 5 . G razie alla sua abilità e ai rimedi originali dovuti alle sue conoscenze alchemiche, il Fiora­ vanti conquista una notevole fama, sostenendo, come Paracelso, che il medico deve essere capace di seguire l'intero processo terapcutico. dalla diagnosi alla preparazione dci farmaci. alla chirurgia. Fra le sue opere ri\:ordiamo Il tesoro dt'!la vita humana (Venezia 1 570) e Dello specchio di scienZtJ universale (Venezia. 1 583 ) . 667 Antonio Allegretti, nato n el primo decennio del XVI secolo, diventa nel 1 528 segretario del cardinale Giovanni Gaddi c frequenta gli ambienti intellettuali c ar­ tistici di Roma e Firenze, diventando amico di Annibal Caro, Benedetto Varchi e Benvenuto Ccllini ed entrando in contatto con il cardinale Alessandro Farnese; ottie­ ne un certo successo come poeta, componendo opere occasionali ed encomiastiche, inserite in diverse raccolte di rime; intorno al 1 5 50 si trasferisce nel paese di Scisciano, dove compone il suo testo Della Trasmutazione de' mt•talli (ms. Magi, XVI 1 17 della seconda metà XVI secolo, Bibl. Naz. Firenze; pubblicato a cura di M. Gabriele, ed. Mediterranee, Roma 1 98 1 ). 668

Marc'Antonio Epicuro ( 1472- 1 5 5 5 1 . originario della Terra dei Marsi (Abruz­ zo) , agli inizi del XVI secolo si trasferisce a Napoli da dove offre i propri servizi al marchese di Mantova Federico II Gonzaga, inviandogli le iscrizioni della

Cappella Pontano; nel l 528 viene assunto da Antonio Rota come precettore dei suoi figli e instaura con Berardino Rota una duratura amicizia; compone

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to poeta e autore di opere teatrali, ben inserito nell'ambiente intellettuale napoletano dell ' Accademia Pontaniana e del circolo di Vittoria Colonna e promotore, nel 1 546 dell ' Accademia dei Sereni. La sua prima opera teatrale, la " tragicommedia " Cecaria, o Dialogo di tre ciechi, pubblicata a Venezia nel 1 525 , e seguita, nel 1530, dalla Luminaria o llluminazionf!X'9, ha per protagonisti tre ciechi la cui in­ fermità è stata causata dall'amore e che si lamentano della loro infelice condizione invocando la morte, ma che, nella Luminaria, saranno risa­ nati da un Sacerdote dell'Amore: «Ecco che al vostro pur fosco intel­ letto, gratia ne infuse il mio celeste lume»; l'opera, in cui riecheggiano i "lamenti d'amore" della poesia del Sannazaro, si conclude dunque con un'evidente allusione alla Luce iniziatica, riferimento che ritrove­ remo nel rilievo della Cappella Sansevero in cui è raffigurato Cristo che dona la vista al Cieco e che evoca, in tal caso, il rito dell'inizia­ zione massonica. La seconda commedia di Epicuro, la Mirzia6ì11, ha per protagonisti tre pastori innamorati di due ninfe di Diana e della stessa Dea, ed è ambientata in uno scenario bucolico ispirato all'A r­ cadia del Sannazaro; possiamo notare il riferimento a Diana, viene ri­ proposto da Giordano Bruno negli Eroici Furori, dove la visione della Dea rappresenta il momento della sua illuminazione. Inoltre, Epicuro era famoso anche per la sua abilità nel creare Imprese, il che lo colloca nel filone dell'interpretazione simbolica ed allegorica delle immagini, iniziata con la riscoperta dei Geroglifici di Orapollo. Ad Epicuro fanno riferimento come fonte di ispirazione, i poe­ ti Luigi Tansillo e Berardino Rota e lo storico Scipione Am mirato, che furono suoi affezionati amici . Tansill o6ì 1 , uomo d'arme e poeta di

inoltre rime in latino e volgare e numerosi poeti gli dedicano le loro compo­ sizioni o lo citano (cfr. S. Foà, all a voce EPICURO, Mt�rcantrmio, in Dizionario Biografico dt•gli Italiani · Volume 4 3 , 1 993 ) . 669 Cecaria. Tragicomedia del Epicuro Napolitano, intitulata la Cecaria nuo­

vamettte aggiontovi un be//isimo lamento del Geloso co11 la Luminaria non più posta in luce, con ogni deligentia revista, correi/a e ristampata, Venezia 1 535 (altre edizioni a partire dal 1530). 670 Ridotta in prosa e stampata a Parma nd 1582 come Martia, pas/oral comedia di Sclvagg,io dc ' Selvaggi, poi pubblicata a Vicenza nel 1 6 1 3 con il titolo di Trcbatia e attribuita a Fabio Ottinelli, anch'egli appartenente all'Accademia dei Sereni. 67 1 Luigi Tansillo ( 1 5 1 0- 1 568) , nato a Venosa da padre nolano, nd 1536 si arruola al servizio dd viceré Don Pedro di Toledo, mentre nel 1 5 5 1 si imbarca ndla flotta comandata da Don Garda, figlio di Don Pedro, e partecipa all a spedizione contro Tunisi; è autore di diverse opere poetiche. fra cui un carme licenzioso, Il vcndcm-

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ispirazione petrarchesca, ebbe una vita avventurosa le cui esperienze st riflettono nel carattere spesso anticonvenzionale delle sue opere; affiliato nel 1540 all ' Accademia degli UmiI L R O T A 'o' di di Firenze, fu molto apprezzato dai suoi l' l Il. O { o �< L L' l �� r 1\ E s 11. 3 vr contemporanei e Giordano Bruno, che a lui fa spesso riferimento, ha inserito diversi suoi sonetti negli Eroici Furori, evidenziandone il N E L Q..V A L S l i\ A C l O N A 1 )1 1' 1, .: f C profondo valore simbolico ed esoterico. ... -..4 , .,.. . .... "»" .. Bcrardino Rota1172 è stato un elegante po­ _ _ ,.... ..,,... , (uw8 ..u " 'J(.U "t.t O C ..t -\ V I A eta, autore, sulle orme del Sannazaro, di una raccolta di Egloghe Piscatorie, mentre Scipio­ .. ne Ammirato67' , scrittore e storico, ha dato il 1 1(. 1(.. ..t 1' 0 & 1 L X J I, nome dell'amico Berardino Rota al suo tratta­ to sulle lmpresel'7\ redatto in forma di dialogo O



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mi41orc, pubblicato nel 1534 c che fu messo all'Indice, e di un'opera composta per ottenere il perdono dd Papa Paolo IV (Le lacrime di San Pietro), iniziata nel 1 539 c pubblicata nd 1 585 , oltre che di un poema didascalico sull'agricoltura (1/ podere), ispirato all'opera di Columell a .

672

Berardino Rota ( 1 508- 1 57 5 ), appanenente ad una ricca famiglia aristocratica, ebbe come precettore Marc'Antonio Epicuro, restando poi sempre suo amico; fra le sue opere poetiche in latino e in volgare, oltre alle Egloghe Piscatorie, composte nel

1 5 3 3 , va ricordata una raccolta di soneni (Sonetti del signor Berardino Rota in morte della signora Portia Capece sua moglie, a cura di Scipione Ammirato, Napoli, 1 560) composta dopo la mone della moglie Porzia Capece, nipote del capo dell'Accademia Pontaniana Scipione Capece.

673

Scipione Ammirato ( 153 1 - 160 1 ), nato a Lecce in un'agiata famiglia di origine fiorentina, viene a Napoli a studiare diritto, ma preferisce dedicarsi agli studi umani­ stici, frequentando i circoli intellettuali e stringendo amicizia con Berardino Rota e con il poeta e storico Angelo di Costanzo; recatosi a Venezia, collabora con il Ruscelli alla pubblicazione dell ' Orlando Furioso e scrive un Dialogo delle Ingiurie, o Marcmon­ te; nd 1558 fonda a Lecce l'Accademia dei Trasformati, della quale è Principe col nome di Proteo; tornato a Napoli si dedica alla scienza delle Imprese c agli studi sto­ rici, scrivendo testi Delle anliquità del Regno di Napoli, e sulle Famiglie nobili napole­ tane; cura inoltre la pubblicazione di opere dd Rota; trasferitosi nel 1569 a Firenze, dove gode ddla protezione del granduca Cosimo Il, riceve l'incarico di redigere una Storia ddla Toscana (Dell'Istorie Fiorentine libri venti, dal priltcipio della Cillà in/ino all'anno MCCCCXXXIV, Firenze 1600) ; scrive anche dei Discorsi sopra Come/io Taci­ to in cui teorizza l'idea di Ragion di Stato; panecipa alle tornate dell 'Accademia degli Alterati dove, tra l'altro, prende le difese dell'Ariosto.

674 Il Rota overo delle Imprese. Dialogo del signor Scipione Ammiralo, 11el tfuale si ragiona di molte Imprese di diversi eccellenti Autori e di alcune regole, e avvertimenti intorno a quc·sta materia, Napoli 1 562; nuova edizione (Firenze 1598) dedicata a Cri-

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fra lo stesso Rota, Nino de Nini, dotto Vescovo di Potenza, Barto­ lomeo Maranta, definito " Filosofo" in quanto indagatore dei segreti della natura, e Alfonso Cambi, un commerciante con interessi poetici e letterari: la discussione ha luogo durante una gita dei quattro amici e ha inizio quando il Vescovo nota il motto MORS UNA DUOBUS dipinto sulla carrozza del Rota e chiede perché questo motto o Ani­ ma dell'Impresa non sia accompagnato dall 'immagine o Corpo affer­ mando che in tal modo assomiglia ad un fantasma o folletto di cui si ode la voce ma non si vede il corpo; in seguito è sempre il Vescovo a spiegare che le Imprese hanno origine dalla stessa esigenza degli an ­ tichi sapienti di celare i loro segreti al volgo profano, adoperando un linguaggio simbolico fatto di favole e immagini fantasiose, che potesse essere inteso solo dalle persone savie e specifica che: «L'Impresa è una filosofia del cavaliere, così come la poesia è una filosofia del filoso­ fo . . . come il filosofo sotto le favole cominciò a spiegare i segreti suoi meravigliosi e divini per farsi intendere da alcuni e non da tutti, così il cavaliere per ispiegare ad alcuni e non a tutti il suo intendimento ricorse alle fintioni delle imprese. Et l'uno adoperò le parole, l'altro le cose»m . Poi il Rota, a proposito della brevità dei motti e dell'u­ so di citazioni classiche o di proprie invenzioni, ricorda Marcantonio Epicuro, definendolo «maestro e p rincipe delle imprese e precettor mio»6;6• Appare qui evidente che a Mare' Antonio Epicuro, " Principe delle Imprese " , va attribuito il ruolo di ispiratore e maestro nell'uso di quel linguaggio simbolico, proprio della tradizione ermetica, che possiamo ritrovare nelle opere di Rota, Tansillo e Ammirato e, dopo di loro, in Giordano Bruno.

stiana di Lorena, consorte di Ferdinando I de' Medici, granduca di Toscana. 675 Il Rota, ed. 1 5 98, pp. 9- 1 1 . Per quanto riguarda il motto MORS UNA DUO­ BUS, lo si trova inciso due volte sul sepolcro di Porzia Capece, in riferimento al compianto di Berardino Rota per la sua amata sposa; il monumento, posto in San Domenico è costituito da un alto basamento su cui si erge un obelisco con ai lati due medaglioni che riportano i ritratti dei due sposi ( cfr. AA. W. Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze, vol. I, Napoli 1945, p. 305 ) . 676 Il Rota, ed. 1 598, p . 1 1 . Bcrardino Rota aveva dedicato a l suo maestro ed amico Marcantonio Epicuro un'epigrafe sepolcrale che si trovava in Santa Chiara (cfr. Na­ poli e i luoghi celebri, cit. p. 362 ) .

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ARS ET NATURA

Berardino Rota ha però richiamato la nostra attenzione, più che per le sue opere poetiche, per il monumento funebre per lui eretto nella Cappella Rota in San Domenico, che rivela una profonda co­ noscenza del linguaggio simbolico, analogo a quello sapientemente utilizzato nelle Imprese: il sepolcro, opera dell o scultore Giovan Do­ menico d' Auria che lo realizzò intorno al 1 570, presenta un sarcofago, su cui è adagiata la statua del Rota, rivestito di armatura e con la Croce dei Cavalieri di Santiago sul petto; al di sotto del sarcofago, su un alto podio, sono poste le statue del Tevere e dell'Arno, figurazioni simbo­ liche della lingua latina e di quella italiana, mentre ai lati del podio si aprono due nicchie in cui sono poste due statue che rappresentano l'Arte e la Natura677; la prima, dai capelli sistemati in una complica­ ta acconciatura, regge un libro nella destra ed una lira nella sinistra, mentre sulla tunica che la ricopre sono raffigurati la clessidra, la squa­ dra ed il compasso, un doppio quadrato, un astrolabio, una livella ed un oggetto oblungo di difficile identificazione, forse una corda usa­ ta come unità di misura; la statua che raffigura la Natura è invece una donna nuda dai molti seni ( nove), che si appoggia ad un tronco d'albero e reca due colombe nella destra, mentre sulle braccia e sulle gambe sono raffigurati diversi animali (l'elefante, l'unicorno, l 'uccello, il cavallo, il serpente, il leone, il delfino, la lucertola), piante e fiori. La Natura è nuda e coi capelli sciolti, in quanto è semplice e priva di ogni artificioso ornamento: le sue numerose mammelle cariche di latte, come quelle delle statue dell'Artemide di Efeso, significano che nutre e sostenta tutte le cose create, così come una donna nutre i suoi figli; le diverse forme di vita, rappresentate dalle piante e dagli animali sparsi lungo il suo corpo, testimoniano ancora il suo ruolo di dona­ trice di vita; le colombe, tradizionalmente attribuite alle Grandi Dee, come la fenicia Atargatis o la greca Mrodite, simboleggiano la purez­ za, ma anche l'amore e la fecondità; per gli Alchimisti, le Colombe di Diana678 indicano la sublimazione del Mercurio Filosofico, il che vuole dire che la materia iniziale è stata spiritualizzata, così come l'apparire

677 Cfr. S.E.F. Hobel: Il rapporto Arte-Natura e la sua simbologia, in Hiram 1 994.

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678 Ireneo Philalete: lntroitus apertus ad occlusum Rt:gis Palatium, Amsterdam 1667 , ed. frane. RETZ, Paris 1 976, pp. 2 4 c 40; Fulcanelli: Le Dimore Filoso/ali, ed. Medi­ terranee, Roma 1 973, vol. Il, pp. 90 ss.

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del chiarore lunare, nella fase detta Albedo, simboleggia l'illuminazio­ ne dell'intelletto. Al contrario della Natura, l'Arte è vestita ed i suoi capelli sono ordinati in una complessa pettinatura, dal momento che essa rappre­ senta l'opera dell'uomo che, intervenendo sulla Natura, ne modifica l'originaria semplicità, e l'adorna facendo uso degli strumenti e degli attrezzi propri delle varie Arti: notiamo infatti subito la presenza degli strumenti dell'Arte Muratoria (la squadra, il compasso, l' archipen­ dolo) e, accanto ad essi, la clessidra, che allude alla misurazione del tempo, l'astrolabio, che si riferisce alla osservazione dei moti celesti, ed il doppio quadrato che allude alla conoscenza della Geometria; il libro che la statua regge con la destra, indica il prezioso patrimonio della Conoscenza, trasmesso sotto forma di parola scritta; il fatto che il libro sia appena socchiuso, significa però che la Conoscenza non si offre semplicemente ed apertamente a tutti, ma che il ricercatore, lo studioso, dovrà sforzarsi e perseverare per aprire il simbolico libro e penetrarne il senso: ciò che la Natura rivela, il momento di chiarezza simboleggiato dalle candide colombe della casta Diana, è per l'Arte oggetto di studio ed occasione operativa; la lira, creata da Hermes e da lui donata ad Apollo, simboleggia invece l'Arte della Musica, capace di interpretare e tradurre in suoni percepibi­ li le armonie cosmiche ed i rapporti propor­ zionali che governano i corpi celesti, come a suo tempo aveva insegnato Pitagora. La simmetrica disposizione delle due figure allegoriche del sepolcro di Berardi­ no Rota, esprime un profondo desiderio di equilibrio fra l'uomo e l'ambiente naturale, Conficrtlto't�l llrolto iUuilrt mentre il loro discorso simbolico, ricco di , r1 tm#ui, ·c...u.r. S1.f ' citazioni erudite e di riferimenti esoterici, ''""ri- SJJ.u . testimonia quanto la ricerca di questo equi­ Srampac et in librio fosse legata alla conoscenza delle anti­ M. D. UZZ/1.11. che tradizioni sapienziali ed iniziatiche. '

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GIORDANO BRUNO E LA TRADIZIONE EGIZIA

Il personaggio chiave della seconda metà del XVI secolo è senz'al­ tro Giordano Bruno, su cui ci siamo già soffermati, ma di cui voglia­ mo qui evidenziare il rapporto con la tradizione sapienziale egizia.

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Un pensatore come Giordano Bruno, insofferente ai vincoli imposti dal dogmatismo religioso, se da un lato affermava energicamente la sua indipendenza, dall 'altro faceva continuamente riferimento alla sa­ pienza dei Greci e degli Egiziani, mostrando di ben conoscere " scien­ ze occulte " come la Magia , l'Astrologia, l'Alchimia e la Cabala. Per quanto riguarda l'Egitto, troviamo in Bruno numerosi signi­ ficativi riferimenti, come nello Spaccio della Bestia trionfante, in cui ricorda la magia egizia delle statue abitate da divinità, deplorando gli insensati che ai suoi tempi cercano di imitarla o che deridono gli an ­ tichi culti: «perché in fatto vedo, come que' sapienti con questi mezzi erano potenti a farsi familiari, affabili c domestici gli dei che per voci, che mandavano da le statue, gli donavano consegl i, dottrine, divina­ zioni ed instituzioni sopraumane; onde con magici e divini riti per la medesima scala di natura salevano a l'alto della divinità, per la quale la divinità descende sino alle cose minime per la comunicazione di se stessa. Ma quel che mi par da deplorare, è che veggio alcuni insensati e stolti idolatri, li quali, non più che l'ombra s'avicina alla nobilità del corpo, imitano l'eccellenza del culto de l'Egitto . . . Or, per tornare al proposito donde siamo dipartiti, disse Iside a Momo, che gli stupidi ed insensati idolatri non aveano raggione di ridersi del magico e divi­ no culto degli Egizii; li quali in tutte le cose ed in tutti gli effetti, se­ condo le proprie raggioni di ciascuno, contemplavano la divinità»679• Nella stessa opera, parlando del nuovo assetto che gli Dei, riuniti in consesso, vogliono dare all ' Universo, Bruno auspica che Arpocrate, il Dio del Silenzio, prenda il posto della costellazione dei Pesci, sosti­ tuendo il Silenzio all a Ciarla, alla Garrulità e alla Loquacità: «Vedete come da per se medesimo il Silenzio, la Taciturnità, in forma con cui apparve ne l'Egitto e Grecia il simulacro di Pixide, con l'indice appo­ sto alla bocca, va a p rendere il suo loco»6110 • Bruno inserisce dunque il Silenzio al termine del ciclo zodiacale, dopo aver parlato, a proposito dell'Acquario e del Diluvio, della superiorità della tradizione egizia 679 Giordano Bruno, Spaccio della Bestia trionfante, Dialogo III, Parte n. 30 e 37 in Dialoghi italia11i, ed. Sansoni, Firenze 1 985, vol. Il, pp. 777 e 782; in seguito (Dialogo III, parte n . 40, ed. cit. pp. 748-786) Bruno riporta il lamento dell'Asclepio sul tramonto della religione egizia: «0 Egitto, Egitto, delle reli17:ioni tue solamente rimarranno le favole, anco incredibili alle generazioni future, alle quali non sarà altro, che narri gli pii tuoi gesti, che le lettere sculpite nelle pietre». 680 Op. ci t. Dialogo III , Parte Il, 62 (cd. cit. p. 80 1 ). Il termine Pixide adoperato da Bruno potrebbe riferirsi a Pistis, divinità greca che personificava i concetti di Fede e Fedeltà.

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rispetto a quella ebraica, affermando che l'Egitto è stato la culla della civiltà per l'umanità scampata al grande cataclisma del Diluvio: «Ma non inferisca che la sufficienza della magia caldaica sia uscita e derive da la cabala giudaica; perché gli Ebrei son convitti per escremento de l 'Egitto, e mai è chi abbia possuto fingere con qualche verisimilitudi­ ne, che gli Egizii abbiano preso qualche degno o indegno principio da quelli. Onde noi Greci conoscemo per parenti de le nostre favole, metafore e dottrine la gran monarchia de le lettere e nobilitade, Egit­ to»68 t . Bruno s i riferisce dunque inequivocabilmente all ' Egitto come fon ­ t e d i sapienza per i Greci e per gli altri popoli, sostenendo l a netta superiorità della tradizione egizia rispetto a quella ebraica. Resta ora da chiedersi se tale visione si basava solo sull'adesione di Bruno all a cultura ermetica o derivava in modo più diretto da una forma di tra­ smissione iniziatica: se è veramente esistita, a Napoli, una confraterni­ ta segreta a conoscenza degli antichi Misteri, Bruno ne avrebbe fatto certamente parte ed in tal caso risulta evidente che si è assunto, o gli è stato affidato, il compito di rendere manifesti i suoi insegnamenti, sia per quanto riguarda le concezioni cosmiche, filosofiche e religiose, sia per quanto riguarda l' uso della Magia, dell'Arte della Memoria e delle tecniche della meditazione. ll Fiume Segreto della sapienza tradiziona­ le è infatti venuto potentemente alla luce con Bruno che, non a caso, riteniamo, volle mutare il suo nome da Filippo in Giordano facendo riferimento al significato simbolico del Fiume come espressione di ci­ viltà, linguaggio e conoscenza1.sz. Rispetto alla sua iniziazione, lo stesso Bruno, negli Eroici Furori, accenna ad una sua esperienza mistica, presentandola come l 'incontro con «quello ingegno e spirito che si mostrò a Nola, che giace sul piano de l'orizzonte Campano»; in seguito a tale incontro, Bruno afferma di aver volentieri accettato il giogo di Diana «splendor di specie intelle681 Op. cit. Dialogo III, Parte II , 54, cd. cit. p. 799. Nello stesso passo, Bruno assimila le figure di Noè, Dcucalionc c Osiride, mettendolc in relazione con Giove «circa la controversia se lui è stato sin ora in cielo per un padre di Greci, o di Ebrei, o di Egizii o di altri». Nell'Epistola dedicatoria del suo Dc• Immenso et lnnumerahilihus ( Francoforte 1 59 1 ) , Bruno ribadisce l'idea della origine egizia della sapienza e dell'autorità di Ermete Trismcgisto. 682 Lo stesso Bruno, negli Eroici Furori (Argomento e Allegoria del V Dialogo della Parte II in Dialoghi italiani, ed. cit. vol. II, p. 946), parla di «acqui di sapienza, fiumi d'acqua di vita eterna . . fiume che apparve revelato procedente dalla sedia divina, che ave altro flusso che ordinario naturale». .

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gibili , cacciatrice di sé» che lo ha legato a séf>�� 1 • In un passo preceden­ te, rispetto alle frecce di Apollo e Diana , Bruno aveva specificato che Diana «è l'ordine di seconde intelligenze che riportano il splendor ricevuto dalla prima», ovvero da Apollo, il «nume piu principale»1>114 , evidenziando l'analogia fra Apollo e Diana e la coppia di Iside e Osi­ ride, corrispondente ai due livelli iniziatici dei Misteri Egizi . Il luogo in cui Bruno afferma di aver avuta questa prima manifestazione dell a Luce iniziatica è la sua stessa città natale, Nola, e possiamo pensare che l'evento abbia avuto luogo presso le rovine di Castel Cicala, non lontano dalla sua casa paterna. Va notato che Castel Cicala rientra anche nella tradizione della magia virgiliana, dal momento che nella Cronaca di Partenope leggiamo che Virgilio aveva realizzato un tali­ smano contro le mosche e le malattie che esse recavano ai cittadini: si trattava di una Mosca d'oro, grande come una rana, fatta «per arte di nigomanzia» e fatta forgiare «sotto certi pianeti di stelle»; posta in una finestra di Castel Capuano, la Mosca fu poi portata a Castel Cicala, dove però perse il suo poteré115• Possiamo quindi form ulare due ipotesi: la prima è che l'esperienza di B runo sia stata strettamente personale, una visione avuta in un par­ ticolare stato di estasi; la seconda, più intrigante, è che nella campagna nolana si riunisse una confraternita collegata alla tradizione magica virgiliana, che forse praticava un culto di ispirazione egizia sotto il se­ gno di Iside-Diana, come a Benevento, e che Bruno vi sia stato accolto come adepto. Si tratta, naturalmente, di un'ipotesi che non siamo in grado di verificare, mentre con maggiore sicurezza si possono indivi­ duare le persone che hanno esercitato una significativa influenza nella formazione del Nolano: in primo luogo, Luigi Tansillobllb , il poeta ri­ petutamente citato negli Eroici Furori, al quale Bruno si riferisce come 683 Giordano Bruno, Emici Furori, Parte II, Dialogo II. p. 1 1 1 3 . Bruno ricorda la sua prima giovinezza vissuta nei pressi di Castel Cicala nella sua opera De Immenso el Innumerabi/ibus ( 1 591 1 , Libro III, Capitolo l; nel De Magia (in Opt•ra latine con· scripta, vol. lll, Firenze 1 89 1 , p. 43 1 ) Bruno racconta anche che lui stesso, di notte, aveva incontrato degli spiriti che lo avevano fatto oggetto di un lancio di pietre, e che ciò era awenuto sotto una rupe del monte Cicala, presso la cappella di Santa Maria. in un luogo solitario noto anche in tempi più recenti come la Cappella degli Spiriti. 684 Giordano Bruno, Eroici Furori, Parte II, Dialogo I, IX, ed. cit. p. 1 099. 685 Crmtactl di Partenope, Cap. 18, ed. cit. pp. 7 1 s. 686 Nato a Venosa da padre nolano, considerò sempre Nola la sua patria d'ele-.lione c vi soggiornò a più riprese, per cui è verosimile che Bruno lo abbia conosciuto già da giovanissimo.

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ad un suo ispiratore e maestro; quindi l'aristotelico Giovan Vincenzo de Colle, detto il Sarnese, che insegnava Lettere, Logica e Dialettica nell'Università di Napoli, ma soprattutto Teofilo da Vairano, un fra­ te Agostiniano presso il quale Bruno studiò privatamente la Logica e verso il quale nutrì sempre il massimo rispetto, definendolo il suo «principale maestro» di Filosofia, colui che forse lo introdusse al Ne­ oplatonismd>ll7 . Inoltre il pensiero di Bruno fu certamente influenzato anche dalla Filosofia della Natura di Telesio. Notiamo infine che l'interesse di Bruno per l'Arte della Memoria fu destato, quando era ancora fanciullo, dall a lettura di un testo di Pietro da Ravenna1.!1H alla quale fece seguito lo studio delle opere di Raimondo Lullo; la sua interpretazione e le mnemotecniche esposte nelle sue opere si arricchiscono di una componente decisamente ma­ gica basata sull'idea che attraverso l 'esercizio della memoria si possa agire sulla propria anima e, in un certo senso, ristrutturarla: un con ­ cetto, questo, che sembra riproporre la tecnica elaborata dagli anti­ chi Egizi per quanto riguarda la memorizzazione della struttura del Regno dei Morti con i suoi diversi ambienti, i personaggi che vi si trovano, le prove da superare e le formule da pronunciare nel corso del viaggio ultraterreno.

I SEGRETI DI GIAN BATTISTA DELLA PORTA

Più anziano di qualche anno rispetto a Bruno, Gian Battista Della

Porta è stato l'altro grande esponente della cultura esoterica napoleta­ na: nato in una famiglia ricca e prestigiosa, studiò privatamente e fra

i suoi precettori vengono ricordati l'alchimista Domenico Pizzimenti,

687 Cfr. V. Spampanato, Vita di Giordano Bruno, Messina, 1 92 1 , Vol. il, p. 65 1 . L'ammirazione per Teofilo d a Vairano, trova riscontro anche nel fatto che Bruno ne fece uno dei protagonisti dei suoi Dialoghi cosmologici (lA cena delle Ceneri, De la causa principio c' uno, De l'infinito universo e mondi) pubblicati t1 Londra fra il 1 584 e il 1 585. Di Teoji/o da Vairatto si sa che studiò 11el convento 11apo/etano degli Agostùtiani e vi tenne poi lezioni fino al 1 566, quando fu trasferito all'Università Agostiniana di Firenze e poi alla Sapienza di Roma. 688

Cfr. Giordano Bruno, Exp/icatio trigittta sigi//orum, in Opera latine conscripta, vol. II, parte II, Firenze 1890, p. 1 3 0 (vedi anche Giordano Bruno, Opere mnemotec­ ttiche. ed. Adelphi, Milano 2009, tomo II, p. 1 1 5 ) . D testo in questione è lo scritto di Pietro Tornai da Ravenna, Phoenix, sive artificiosa memoria, pubblicato a Venezia nel 1491 c divenuto un classico dell'Arte della Memoria.

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traduttore di testi alchemici�>��'� , il medico Donato Antonio Altomare, sostenitore delle pratiche mediche di origine araba, e Giovanni An­ tonio Pisano, anch'egli medico. Influenzato probabilmente dai suoi precettori, fin da giovanissimo Della Porta si interessò all'Alchimia, alla Magia e alle scienze della natura, pubblicando a soli ventitré anni il suo testo sulla Magia Naturale"90• Pochi anni dopo, verso il 1 560, Della Porta fondò la sua Accade­ mia dei Segreti (Academia Secrctorum Naturae) , che può essere con­ siderata la prima Accademia scientifica d'Europa, alla quale non era ammessa persona «che celebre non si fosse resa per le esperienze già fatte e che non vi portasse qualche secreto maraviglioso, e sopra l'in­ tendimento com unale del volgo»69 1 • Il riferimento a «qualche secreto meraviglioso» lascia intendere che gli Accademici Segreti non si do­ vevano necessariamente limitare ad applicare un metodo d'indagine " scientifico " , ma fossero aperti anche agli aspetti più meravigliosi e singolari dell a sperimentazione in rapporto a " scienze occulte " come l'Alchimia e la M agia (Tavola l la). L e riunioni dell'Accademia avevano luogo nella vill a d i Della Por­ ta, che si trovava all'esterno delle mura cittadine, nei pressi dell'attua­ le Salita Due Porte all'Arenella; la villa è ormai scomparsa e nell'area in cui sorgeva è stato costruito un moderno palazzo che però ci riserva una sorpresa: dai suoi scantinati si può infatti accedere ad una miste­ riosa struttura sotterranea scavata nel tufo e composta da più ambienti che presentano un 'antica decorazione con nicchie e colonne ricavate dal blocco tufaceo e tracce di affreschi692• Al termine di un cunicolo lungo una decina di metri, al di sopra di un arco, si vede un dipinto di ispirazione egizia in cui è raffigurata lside seduta che allatta Horus e 689 Fra le opere di Domenico Pizzimenti, ricordiamo la raccolta di testi alchemici greci pubblicata col titolo DemocrituJ Abderila. De arte magna, siue De rebus naturali­ bus, Nec non Syneszi, & Pe/agii, & Stephani Alexandrinz; & Michaelis Pselli in eundem comm entario, Padova 1 573 . 690 Magia Naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri IV, Napoli 1 558; in seguito Della Porta ha ripubblicato il testo in una versione ampliata ( Ma­ gioe Naturalis libri vigùtti, Napoli 1 589; altra ed. Francoforte 1591 ). 69 1 Cfr. Lorenzo Crasso, Elogi d'uomini /el/era/i, Venezia 1656, cit. in M. Maylen­ der, Storia delle Accademie d'Italia, Bologna 1 926- 1 930, vol. V, p. 150. 692 Si veda la relazione redatta dall'Ing. Clemente Esposito, Presidente dd Centro Speleologico Meridionale, in data 04/ 1 0/2004 in merito al sopraluogo effettuato nel sonosuolo dell'immobile sito in via Cattaneo n. 78 (cavità C0704), pubblicata online (www,napoliunderamund.ora) .

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che regge un lungo bastone terminate con un disco solare, mentre di fronte alla Dea, un altro personaggio, sempre abbigliato all'egiziana, reca un'offerta. Anche se ri­ sulta difficile datare con certezza questa immagine, la sua presenza consente di ritenere che la struttura sotterranea fosse destin ata ad un culto di carattere inizia­ tico collegato alla tradizione egizia. QueDm&,,.,.. .,,.Jo.,.. iz* c.,. ,, ' "· sta ipotesi sembra trovare conferma in un ambiente successivo, in cui un 'intera parete è formata da una specie di grande faccia, la cui bocca aperta serve da porta per un ulteriore locale: appare evidente l'allusione alla bocca dell'Orco, all'ingresso negli Inferi, momento cruciale di un rito iniziatico di morte e rinascita. Risulta pertanto attendibile la suggestiva ipotesi che questi ambienti sotterranei ospitassero le riunioni segrete di una confraternita guidata, forse, dallo stesso Della Porta e composta dai membri dell'Accademia dei Segreti. Quali che fossero le attività svolte dall'Accademia dei Segreti, essa suscitò comunque i sospetti delle autorità e dell'Inquisizione e fu per­ tanto soppressa nel 1579 nel quadro della politica conservatrice di Papa Gregorio XIII ; lo stesso Della Porta, in seguito alla Bolla Coeli et terrae emanata da Papa Sisto V nel 1586, in cui si condannavano le pratiche magiche e astrologiche, dovette difendersi dall'accusa di stregoneria, che venne però riconosciuta infondata; ebbe così la pos­ sibilità di proseguire i suoi studi ed i suoi esperimenti, dedicandosi, fra l'altro, alla pratica alchemica693 , mentre intorno a lui continuava a gravitare un circolo di intellettuali e ricercatori, fra i quali emergono le figu re di Ferrante Imperato e Colantonio Stigliola. Ferrante lrnperato694, affermato speziale e farmacista, creatore di un M useo Naturalistico (Tavola l l c ) , probabilmente il primo del ge•.

693 Le ricerche alchemiche di Gian Battista Della Porta sono esposte nei suoi testi De Distilla/ione Libri IX, Roma 1 608, e De Aeris transmulalionihus Libri IV (Roma 1 6 1 4 ) , nonché nel Libro V (De metallorum lrasmutar.ione) e nel X (De exlrahendis rerum essentiis) del Magiae Natura/is Ubri XX (ed. 1 589). 694 Ferrante Imperato (ca. 1 525- 1 6 1 5 ? ) inizia la sua attività di farmacista e speziale intorno al 1554 e si dedica alla raccolta di un grande n u m e ro di oggetti appartenenti 11i t re regni, animale, veget al e e mine ra l e ( animali imbalsamati o vivi, piante, semi cd erbe disseccate, oli, profumi, fossili, cristalli, gemme, ecc.) e di manufatti collegati alla ricerca naruralistica, creando, nella sua casa, il suo famoso Museo naturalistico,

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nere, è stato un convinto assertore del metodo sperimentale e della libertà di ricercare; attento osservatore delle proprietà di piante, erbe, minerali, metalli e animali, in funzione dell a farmacopea, sosteneva l 'esistenza di un rapporto tra il clima e la salute dell ' uomo e aderiva alle concezioni della latrochimica, secondo la quale i fenomeni vitali sono espressione di reazioni chimiche ( fermentazione, distillazione, volatilizzazione) e vanno studiate al fine di produrre il " rimedio uni­ versale" , un obiettivo non diverso rispetto alle ricerche alchemiche volte ad ottenere l'Elisir o " Medicina Universale" . Nel 1 599 Ferrante Imperato pubblicò la sua Historia Naturale, che fu stampata nel 1599 nella tipografia di Colantonio Stigliola e nel·1 , la cui stesura si avvalse della collaborazione ' dei suoi amici e sodali, fra cui cita Bartolo\H E R l A E· E T meo Maranta, Fabio Colonna e soprattutto >M I T ,H R J D A T I A N I CO L A ! S T E L L I O L AB Colantonio Stigliola, «professore di scienze N O L A N I L r t llL L V .._ IH QYO recondite con cui ho comunicato la maggior · ��:;:.�.��:· · parte delle mie cose date in luce nella pre....�� ....::�7=!!:·" :_ :sente opera»695; e va detto che il Libro XXI è int�r�ente ded�ca�o ad u na sistematica . .. . . • esposiZione de1 pnnc1p1 e delle operazioni dell 'Alchimia tradizionale, che Imperato mo­ stra di conoscere perfettamente sia sul piano simbologico che su quello operativo696•

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che possiamo vedere raffi�urato in alcune tavole inserite nella sua opera Dcll'Hisloria Libri XX VIII ( Napoli 1 599). Profondamente stimato per le sue \'aste cono­ scenze teoriche c pratiche. Impenno collabora strettamente con Bartolomeo Muranta e Colantonio Stigliola e la sua botteJ.la e il Museo son o frequentati anche da numerosi altri ricercntori. come il Della Porta, Giuseppe Donzelli, medico e studioso di bota­ nica c farmacologia. il medico anatomista Marcaurelin Severino. Fabio Colonna, stu­ dioso di botanica, c Federico C� e il giovane Ignazio Cia­ ia7M ; frequenti erano inoltre gli incontri di Lauberg e dei suoi amici con l'ambasciatore francese, il mercante ginevrino Michele Vissieux e la Loggia costituita da Francesi residenti a Napoli. Nell 'inverno del 1 793 ebbe luogo una cena a Posillipo, nella quale Carlo Lauberg, in seguito a contatti avuti con l'amm iraglio francese Latuche-Tréville761', riunì un gruppo di cospi ratori fìlofrancesi per getcipò alla fondazione della Società Patriollica di Napoli; ncl 1 794 , abbandonato l'abito talare, fu costretto a fu��ire, ma tornò a Napoli al sc�uiw delle armate francesi del generale Championnet nel 1798 c fu nominato presidente del governo provvisorio della Repubblica Napoletana. ruolo in cui fu sostituito il 25 febbraio 1 799 da Ignazio Ciaia; abbandonata la politica, si trasferì in Francia, dove esercitò la sua professione di farmacista. Secondo il Francovich (M.moneria ,. rivoluzione francese, in Ritoista Ma.uonica n. 9, 1 978, p. 606 ss. ) Lauberg non risulterebbe in alcun piedilista masso­ nico, malgrado che i suoi inquisitori lo definissero un antico massone; riguardo alla sua appartenenza alla Massoneria, si veda la relazione di A. Mola in Ani del convegno Massoneria e cultura nel Regno di Napoli del Sel/ecento, p. 1 1 8. 763 Teodoro Monticelli ( 1 7 59- 1 845 ) , dopo aver compiuto studi umanistici c scienti­ fici a Lecce, entrò nell'Ordine dci Celestini; giunto a Napoli nel 1 792 , ottenne l'inca­ rico di professore di filosofia e prese a frequentare i circoli giacobini e ad ospita me le riunioni nella casa dei padri Celestin i a Capodimonte. per cui fu am."Stato nel 1 7 94 e di nuovo nel 1 795 e mandato in esilio a Favignana. dove rimase fino al 1 801 dedicandosi ai suoi studi; dopo essere stato liberato, fu nominato abate e durante il rc�no di Giuseppe Bonaparte ottenne la cattedra di etica e fu nominato segretario della Real Accademia delle Scienze, cariche che conservò anche dopo il ritorno di Ferdinando di Borbone. Insigne figura di scienziato, scrisse importanti trattati sui problemi idrogeologici e sulle eruzioni del Vesuvio. 764 Francesco Saverio Salfi ( 1 7 59- 1 832 ) . illuminista di origine calabrese, poeta e librcttista, si stabilì a Napoli nel 1787 entrando in contatto con l'ambiente massonico e giacobino e partecipando alla Società Patriottica; nel 1794 riuscì a sfuggire all'ar­ resto e rientrò a Napoli nel l798 col generale Championnet, assumendo la carica di segretario del governo provvisorio; dopo la sostituzione di Lauberg, andò anche lui in Francia; rientrato in Italia, diventò consi�lierc di Gioacchino Murat finché. nel l 8 1 5. si ritirò definitivamente in francia. 765 Ignazio Ciaia ( 1 766- 1799 ) , giunto a Napoli dalla Puglia, diventò amico del Lau­ berg e collaborò con lui nella costituzione della Società Patriottica; arrestato nel 1795 c poi liberato, partecipò alla Repubblica Napoletana c sostituì Lauber� alla sua guida; fu �iustiziato con �li altri patrioti dopo la caduta della Repubblica. 766 La flotta francese, comandata dall'ammiraglio Latuche-Tréville era giunta a Na­ poli nel dicembre del 1 792 , accolta con entusiasmo dai Massoni giacobini napoletani.

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tare le basi di una nuova forma organizzativa d'ispirazione giacobina: abolite le Logge, i Massoni-Giacobini si sarebbero dovuti riunire in Clubs di non più di 1 1 persone e si formò una nuova associazione, che prese il nome di Società Patriottica Napoletanau'7• Nel 1 7 94 il mo­ vimento cospirativo awiato dalla "Cena di Posillipo" fu scoperto, e iniziò una durissima repressione: numerosi cospiratori, o presunti tali, furono arrestati e subirono pesanti condanne, e tre giovani ven­ nero condannati a morte: di Emanuele de Deo, giustiziato insieme a Vincenzo Galiani e Vincenzo Vitaliani, si ricorda la serena fermezza mostrata di fronte alla morte nell'ultimo, drammatico incontro avuto col padre, entrambi, padre e figlio membri di una Loggia massonica7M La durezza e l'inutile crudeltà mostrata dal governo borbonico nel­ lo schiacciare questa "congiura", che di fatto era priva di qualsiasi reale consistenza, ebbe l'effetto di far crollare definitivamente le speranze dei moderati in una politica di riforme, e a spingere l'élite intellettuale ver­ so soluzioni rivoluzionarie e repubblicane. Dopo il 1794 la Massoneria, disciolta e vietata, non svolse più alcun ruolo in quanto tale; ma i singoli Massoni, cresciuti nel dibattito ideale delle Logge, e ora incarcerati o co­ stretti all'esilio o ad un lavoro clandestino, dettero vita ad un ampio mo­ vimento ideale e politico, continuando a propugnare gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità propri della Massoneria. E tutti si ritrovarono nella Repubblica Napoletana, Mario Pagano, Carlo Lauberg, Domeni­ co Cirillo , Giuseppe Albanese, Ignazio Ciaia, Pasquale Baffi , Francesco Saverio Salfi e Giuseppe Albanese, insieme a Emanuele Mastelloni76'1, a 767 Successivamente i Clubs divennero due: ROMO (Repubblica o Morte) e LOMO (Libertà o Morte l. Un altro circolo si formò a casa di Vincenzo Gugliotti, c ne faceva parte il marchese Giovanni Leùzia, fondatore di una Loggia a Capodichino, che fun­ zionò come anello di congiunzione fra i circoli giacobini e gli ambienti aristocratici e intellettuali, e analoghi contatti avevano luogo in una Loggia che si riuniva in casa Pignatelli-Strongoli. 768 Sull'incursione poliziesca nella Loggia della quale Emanuele de Dco era membro in­ sieme al padre Vincenzo, dr. R di Castiglione (op. cit. pp. 126-27); vedi anche O. Dito, Massonena, Carboneria e altre Società Segrete nella storia dt•l Risorgimento italiano, Tori­ no-Roma 1905 , ricd. Bologna 1978; G. Gamberini, Mrlle volti di Massoni, pp. 58 e 69; T. Pedio, Massoni e Giacobini nel Regno di Napoli Emmanuele de Deo e la amgiura del l 794, Matera 1 976, p. 104. 769 Emanuele Mastelloni ( 1 750- 1 83 5 ) , proveniente da una famiglia della nobiltà napoletana, intraprese nel 1 785 la carriera di magistrato; nell'anno seguente, in se­ guito all ' incontro con Miinter, entrò a far parte della Loggia di Mario Pagano e nella Repubblica Napoletana ricoprì la carica di ministro di Giustizia e Polizia; dopo la caduta della Repubblica fu imprigionato e condannato a morte, ma ottenne la com-

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Ettore Carafaììn, al prete Nicola Pacifico77 1 , a Michele Natale, Vescovo di Vico Equense, e a tanti altri, impegnati a costruire nell a realtà ciò che per anni avevano potuto solo teorizzare e sognare. Quasi tutti caddero, vittime della feroce reazione borbonica, nel tragico epilogo della Repubblica, a cominciare dall'ammiraglio Fran­ cesco Caracciolo, fatto giustiziare con sorprendente fretta e crudeltà da Nclson, che avrebbe dovuto avere nei suoi confronti spirito più umano e fraterno, visto che entrambi erano stati iniziati Liberi Mu­ ratori, Nelson a Londra e Caracciolo, nel 1770, nella Loggia di obbe­ dienza inglese La Per/etta Unione772• IL REGIME DI NAPOLI E GLI ARCANA ARCANORUM

La Massoneria napoletana, duramente colpita dalla repressione della Repubblica, ebbe la possibilità di riprendere ufficialmente i suoi lavori nel 1 806, quando il Regno di Napoli fu occupato dalle truppe francesi e Giuseppe Bonaparte fu incoronato re di Napoli e, contem ­ poraneamente, eletto Gran Maestro del ricostituito Grande Oriente di Napoli: si trattava di un'istituzione che praticava il Rito Francese Ri­ formato771 e che era strettamente legata al potere napoleonico, situa­ zione che proseguì anche quando, dopo due anni, fu nominato re di Napoli Gioacchino Murat, che pose il Grande Oriente sotto il con­ trollo di un Supremo Comiglio del Rito Scozzese Antico ed Accettato, mutazione della pena e andò in esilio in Francia dove ricoprì diverse cariche; ritornato a Napoli nel 1 8 1 4 , fu nominato consigliere dell a Suprema Corte Ji Giustizia. 770 Ettore Carafa, Duca d'Andria e Conte di Ruvo ( 1767- 1799) , già arrestato per cospirazione nel 1785 , nel 1 799 aderì alla Repubblica e assediò la sua città natale, Andria, che si era schierata coi Borbone; fu ghigliottinato dopo la caduta della Re· pubblica. 77 1 Nicola Pacifico ( 1734- 1 799) , prete giacobino. studioso di botanica c scienze na· rurali, entrato in Massoneria negli anni 79, fu fra i fondatori della Loggia La Philan­ tropia c durante la repressione del 1 794 nascose c aiutò a fuggire Francesco Savcrio Salfi; durante la Repubblica fu nominato capitano della Guardia Nazionale, per cui, dopo il ritorno dei Borbone, fu condannato a morte. 772 Cfr. R. di Castiglione, op. cit. p. 1 28: A. Luzio, La Massoneria e il Risorgimento italiano, Bologna 1 925; ried. Bologna 1 978, vol. II, p. 259; G. Capruzzi, Ne/son e Caracciolo, in Hiram n. 5 , ottobre 1 980. 773 Il Rito Francese Riformato o Moderno era stato creato nel 1786 cd era composto da sette Gradi: i tre Gradi Simbolici o Turchini ai quali erano stati aggiunti quattro Alti Gradi: Eletto, Scm:use, Cavaliere d'Oriente• c Rosa Croce.

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in cui lui stesso assunse la canea di Sovrano G ran Commendatore. Sappiamo inoltre che fin dal 1 805 esisteva in Abruzzo il Rito di Misraiin, articolato in 90 Gradi, probabilmente nell'ambito del Capitolo Rosacroce >, il che va riferito all'auspicio di trasformare se stesso in uno Spirito del Fuoco. Simbolo alchemico della Pietra fissata al Rosso e dello Zolfo incombustibile, ovvero di quel Sale centrale incombustibile e fisso che conserva la propria natura an­ che nelle ceneri dei metalli calcinatiR01 , la Salamandra, come la Fenice, rappresenta la rigenerazione dell'uomo interiore, il suo trionfo sul­ la corruttibilità della materia. Ed è a tale possibilità di rigenerazione che è dedicato il sistema simbolico della Cappella che rappresenta, in tal senso, una versione " moderna " delle antiche concezioni egizie del post- mo rtem e del percorso dell'anima nell'Aldilà. Lo stesso senso ha anche la leggenda popolare, riportata da Croce, secondo la quale il Principe, volendo risorgere dopo morto, si fece tagliare in dodici pezzi da uno schiavo moro e deporre in una cassa dalla quale sarebbe dovuto balzar fuori integro dopo un periodo di tempo stabilito1102: in questa storia, che ricalca il mito della morte e resurrezione di Osiri­ de, ritroviamo l'immagine del corpo fatto a pezzi presente in alcuni testi alchemici per indicare una specifica operazione finalizzata alla sua rigenerazione, come possiamo vedere nel testo rosacrociano delle Nozze ChimicheH03•

800 Let1ert1 Apologetica, p. 9 9 ; Supp lica umiliata, pp. 2 5 , 3-1 e 1 22-25. Paracdso parla dell e Salamandre nel suo L iber de N)•mphis. S,·lphis, Pygmaeis et Salamandris et de caeteris Sp in't ibus (ed. a cura di R. Blaser, Berna 1 960; trad. it. in Paracdso, Seri/li alchemici e magici, ed. Phoenix, Genova 1 99 1 ): N.P.I I. Montfaucon de Villars, Il Con­ le di Gaba!t: ovvero &giona menti sulle Sciem:e Segrete, tradollo dal francese da una Dama Italiana; à quali è a�iunto in fine il Riccio rapito, poema del Signor Alt•ssandro Pope, tradolto d'inglese dal Signor Antonio Conti Patrizio Ven eto, Londra, Pickard 1 75 1 (pubblicato a Napoli nell a stamperia del Principe 80 1

di Sansevero ) .

Cfr. Fulcanelli: Misteri, c i t . p. 86: Pernety: DictiolllltiÌrt', c i t . p. 3 2 5 ; M. Maier:

Atalanta /ugiens. cit. p. 229. 802 B. Croce, Storie e leggmde napoletane, ried. Adelphi, Milano 1 990. p. 329. 803 Cfr. V. Andreae, Le Nozze Cbimicbe di Cbristian Rosenkrt•utz. A nno 1 4 59, Stra­ sburgo 1 6 1 6 . ed. it. Atanòr, Roma 1 97 5 , p. 90: vedi anche S. Trismoisin: Le Toiso11

d'Or ou la Flmr dt•s trésors ( Parigi 1 6 1 2 , p. 73 ), ed. Retz, Parigi 1 97 5 , pp. 9 1 ss. ; da notare che nei testi in questione viene in g enere precisato che col ui che decapita o fa a pezzi i corpi è un Negro, così come un moro sarebbe stato lo schiavo che secondo la leggenda aveva fatto a pezzi il Principe di Sanst.'Vero.

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Nell'immaginario popolare, la storia di una presunta immort al i ­ t à conquistata dal Principe, è stata anche collegat�t al monumento J i Cecco d i Sangro che era comunemente ritenuto il luogo i n cui il cor­ po del Principe sarebbe stato deposto dopo la morte, pronto a bal­ zar fuori dalla tomba, allo stesso modo in cui, armato di tutto punto, era raffigurato il suo antenato804: va notato che la pelle di leone che fuoriesce dalla cassa e sulla quale sarebbe stato deposto il guerriero, corrisponde alla pelle leonin a su cui era deposto il corpo del defunto egizio durante i riti volti ad assicurare la prosecuzione della sua vita dopo la morte. Come si può constatare, anche se il linguaggio simbolico del Prin­ cipe di Sansevero appare ispirato soprattutto alla visione alchemica e rosacrociana, non mancano tuttavia precisi riferimenti alla tradizione egizia, per cui non appare affatto inverosimile che questo grande pro­ tagonista della storia esoterica partenopea possa aver contribuito in modo decisivo alla creazione del Rito Egizio napoletano. IL RITO EGIZIO NAPOLETANO FRA LA FINE DEL SETTECENTO E L'OTTOCENTO

Dopo la scomparsa di Raimondo di Sangro, nel 1 77 1 , il titolo di Principe di Sansevero passò al figlio Vincenzo ed abbiamo notizia che nel 1767 era attiva una Loggia diretta dal «Duca di Sansevero» (os­ sia da Vincenzo di Sangro, Duca di Torremaggiore) , definito «Gran Priore ovvero Supremo Architetto della società nei Regni di Napoli e Sicilia»805: si trattava certamente della Loggia Perfetta Unione, che operava in modo indipendente e che, a quanto abbiamo letto nella "Tavola Barbaia " , praticava il «Rito Tempiare di Mizra iin» fin dalla sua fondazione, per cui è verosimile che abbia continuato a praticarlo an­ che sotto la direzione di Vincenzo di Sangro: abbiamo inoltre appreso che, nel 1 776, la Perfetta Unione, diretta dal di Sangro, aderì alla Gran Loggia Nazionale del Principe di Carmanico, ma dovette distaccarse­ ne ben presto, assumendo di nuovo una posizione di completa indi-

804 Cfr. E Colonna di Stigliano, La Cappella Sa11Ievero, in Napoli Nobilissima , vol . IV, Napoli 1 895 , p. 1 1 8. 805 Dc Castro, Il mondo segreto, cit. vol. VI, p. 93 .

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pendenza: di questa Loggia fecero parte il Cavaliere Luigi d'Aquino e anche Cagliostro che, nel 1783 , ne resse il magi ietto per due mesi806• Friedrich Munter, nei suoi Diari, conferma che nel 1 785 esisteva a Napoli una Loggia indipendente (sempre la Perfetta Unione) diretta da Vincenzo di Sangro, che operava con una Patente inglese che Vin­ cenzo avrebbe ereditato dal padre807, mentre da Rinieri apprendiamo che nel 1788-89 la Loggia romana della Riunione degli Amici Sinceri, ebbe diversi contatti con la Perfetta Unione del Principe di Sansevero, definito «Gran Maestro della Primaria Loggia di Napoli»AAR. Nel 1790, a due mesi di distanza dall 'arresto di Cagliostro, moriva Vincenzo di Sangro e nel 1794 i lavori della Perfetta Unione furono interrotti da un'irruzione della polizia in seguito alla quale fu giustiziato il Fratello Emmanuele De Deo. La Loggia venne poi ricostituita nel 1 80 1 come Loggia militare e come tale operò fino al 1 8 1 1 . Nel 1 8 1 5 Lorenzo di Montemayor111N , ufficiale dell'esercito napo­ leonico iniziato alla Massoneria Egiziana ( Rito di Cagliostro) , era il «Grande Cofto Fondatore e Gran Maestro dell 'Alta Massoneria Egi­ ziana in tutte le parti Orientali ed Occidentali del Globo», e come tale, accogliendo la richiesta dei Fratelli di una Loggia napoletana, ne autorizzò la costituzione come «Loggia Egiziaca e Loggia Madre per tutto l'Oriente, ed Occidente», con il Titolo distintivo della Sapienza Trionfante; nello stesso anno risultano appartenenti alla Massoneria Egiziaca anche un'altra Loggia napoletana, la Loggia mista d'adozio806 Cfr. R di Castiglione, Alle sorgenti, cit. pp. 1 24 ss. 807 lvi, p. 1 0 1 : si tratta probabilmente della Patente rilasciata nel l728 che autoriz· zava la fondazione della Perfetta Unione. 808 l. Rinieri, op. cit. pp. 4 3 5 -4 3 7 . Le informazioni del Rinieri si basano sul Processo informativo /abbrù:ato con tro i Frane Maçons della Loggia in/rodo/la a Roma, un pro­ memoria redatto nel l 790 da Giovanni Barbieri (segreta rio nel processo intentato dal Santo Uffìzio a Cagliostro) per il Cardinale Zdanda, Segretario di Stato. Nel testo di Rinicri (p. 4 3 7 ) leggiamo anche che nel 1 789 era rientrato nella Loggia di Sanscvero il Fratello Palomba e ci chiediamo se non sia quel «Patriarca Palambola» che avrebbe elevato al 90° G rado dd Rito di Misra ii11 Mare Bédarride all 'inizio dell'Ottocento. 809 Lorenzo di Montemayor ( 1 764- 1 84 1 ) , nato a Napoli, dopo aver servito come uffi c iale nell'esercito borbonico, aderì alla Repubblica Napoletana e prese parte alla sua difesa, per poi riparare in Francia c militare nell'esercito napoleonico in cui venne promosso al grado di colonnello; nominato barone nel 1 8 1 1 , nel 1 8 1 5 era a comando della fortezza di Ancona e organizzò la difesa di Gaeta, mentre nel 1 8 1 9 comandava la piazza di Taranto e nel 1 82 1 ebbe il comando di una brigata di fanteria (cfr. M. D'Ayala, Le vite de' pitì celebri capitani e soldati napoletani dalla giornata di Bitonto fino a' nostri giorni, Napoli 1 84 3 , pp. 495 ss. ) .

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ne denominata La Vigilanza, nella quale Montemayor aveva ele\'ato Pietro Collettax10 al Grado di Maestro, e una Loggia di Ancona, de­ nominata L'Ercole alla Cittadella81 1 • Sempre nel 1 8 15 , a dicembre, si svolse a Fano, presso la Loggia Folgore, una tornata alla quale parte­ ciparono Logge Egiziane provenienti da diverse città italiane ( Milano, Bologna Forlì, Firenze, Pesaro) fra cui anche la Perfetta Unione di Napoli, rappresentata da Pietro Colletta. Dopo l'Editto di Ferdinando IV del 1 8 1 6 che ordinava lo sciogli­ mento di tutte le organizzazioni segrete, anche la Massoneria Egizia del Rito di Cagliostro fu disciolta e anche della Perfetta Unione non si hanno più notizie8 1 2• Malgrado il decreto di Ferdinando IV i circoli massonici, insieme alla Carboneria, continuarono la loro attività im­ pegnandosi nella lotta per la conquista delle libertà politiche, e nel 1 820 organizzarono un'insurrezione con lo scopo di ottenere che il sovrano concedesse la Costituzione. Abbiamo già visto che nel 1 860 il Rito di Misrai'm era presente sia a Napoli che a Palermo e che anche il Rito di Memphis era presente nel Regno delle due Sicilie; nel 1 863 alcuni Fratelli della Loggia Sebezia di Domenico Angheràw dettero vita al Rito di Memphis e Misrai1n, fondando il Grande Oriente Egi­ zio - Scala di Napoli, mentre dall a "Tavola Barbaia " abbiamo appreso che la Perfetta Unione venne ricostituita nel 1 885 all'obbedienza del Supremo Consiglio di Torino. Notiamo inoltre che il richiamo all a tradizione egizia doveva essere ben vivo anche nella Carboneria, dal momento che a Pozzuoli esisteva 8 1 0 Cfr. V. Vanni, Pietro Colle/la e la Massoneria Egi:.ùma ( risorsa online: eso11et. it). Pietro Colletta ( 1775 - 1 83 1 ), ufficiale dell'esercito borbonico, aderì nel l 799 all a Re­ pubblica Napoletana e al ritorno dei Borbone fu imprigionato ma riuscì a sfuggire alla pena capitale; durante il regno di Giuseppe Bonaparte fu reintegrato nell'esercito e nel l 8 12 fu promosso generale c conservò il suo grado anche dopo la restaurazione del regno borbonico; imprigionato di nuovo nel l 82 1 , due anni dopo andò in volon­ tario esilio a Fi renze, dove si dedicò a studi storici e letterari , scrivendo la sua famosa Storia del Reame di Napoli dal 1 7 J4 al 1 82 5 , pubblicata postuma nel 1834. 8 1 1 Cfr. C. Vanni, Il simbolismo massonico, cit. pp. 1 5 ss. I verbali di Loggia da cui sono desunte queste informazioni si trovano presso l 'Archivio di Stato Nazionale di Napoli ( Archivio Borbone) sotto il titolo di Travagli di Massoneria del generale Mon­ temayor, fs. 1 883 , libercolo n. 0 l . 8 1 2 Cfr. G . Gabrieli, La Massoneria 1 979.

Egiziana in Rivista Mass01tica, nn. 3 -4 e 9 , Roma

8 1 3 Domenico Angherà ( 1 803 · 1 87 3 ) : a rciprete, massone e patriota, nel 1 846 fondò a Catanzaro una Società Evangelica, dal motto Religione e Libertà; arrestato nel l847, andò in esilio a Malta e dopo il 1 860, tornato a Napoli, vi fondò la Loggia St•hezia.

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una Vendita Carbonara costituita sotto il titolo distintivo de I Figli di Arpocrate di Pozzuoli. Nell'ottobre 1 886 furono infatti rinvenuti in questa città due sigilli di bronzo e tre decorazioni di bronzo dorato, poi acquistati da G. De Criscio per il suo " Gabinetto d'antichità " e che sono state così descritte in un giornale locale: