Il Testo Dell'erissia: Storia Della Tradizione 389665974X, 9783896659743

Dieses Buch bietet einen vollstandigen Uberblick uber die antike und byzantinische Uberlieferung des pseudoplatonischen

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Table of contents :
Cover
La tradizione antica
L’Erissia, l’Appendix Platonica e l’attribuzione a Eschine
Trasillo, le tetralogie, l’Appendix Platonica
L’attribuzione a Eschine
Da Clemente Alessandrino alla fine dell’antichità
Clemente Alessandrino e Timeo Sofista
Gli excerpta dello Stobeo
La pergamena di Vienna
La tradizione bizantina
Elenco dei manoscritti
Ac
A3
A2 e A4
A5
La discendenza di A
O: Vaticanus graecus 1
Par: Parisinus graecus 1808
La discendenza di O
J: Vaticanus graecus 1031
K: Marcianus graecus Z 188
(coll. 1022)
Z: Parisinus graecus 3009
Esc: Escorialensis Ψ Ι 1
(421 de Andrès)
L: Laurentianus 80, 17
R: Vaticanus graecus 1029
Vind: Vindobonensis supplementum graecum 20
(olim 56)
La discendenza di Par
Ang: Angelicanus graecus 107
(olim C.1.4)
Θ: Vaticanus graecus 226
Urb: Vaticanus Urbinas graecus 32
C: Parisinus graecus 1809
Mal: Malatestianus D 28, 4
U: Marcianus graecus Z 186
(coll. 601)
Barb: Barberinianus graecus 270
a: Laurentianus 59, 1
c: Laurentianus 85, 9
S: Marcianus graecus Z 189
(coll. 704)
Excerpta
Voss: Leidensis Vossianus graecus Q° 54
Lond: Londiniensis Royal 16 C XXXV
Matr: Matritensis 4573
(olim N. 36; 30 Andrès)
I compendi di Planude
Stemma codicum
Verso l’età moderna
Le traduzioni e le prime edizioni a stampa
Bibliografia
Indice dei passi citati
L’Erissia
Altri passi
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Il Testo Dell'erissia: Storia Della Tradizione
 389665974X, 9783896659743

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Diotima. Studies in Greek Philology

Marco Donato

Il testo dell’Erissia: storia della tradizione

ACADEMIA

https://doi.org/10.5771/9783896659750

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Marco Donato

Il testo dell’Erissia: storia della tradizione

https://doi.org/10.5771/9783896659750

Diotima. Studies in Greek Philology Edited by Mauro Tulli

Volume 6

Editorial Board Christian Brockmann (Hamburg) | Tiziano Dorandi (Paris) | Michael Erler (Würzburg) | Jürgen Hammerstaedt (Köln) | Philippe Hoffmann (Paris) | Olimpia Imperio (Bari) | Walter Lapini (Genova) | Irmgard Männlein-Robert (Tübingen) | Roberto Nicolai (Roma) | Stefan Schorn (Leuven) | Giuseppe Zanetto (Milano)

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Diotima. Studies in Greek Philology

Marco Donato

Il testo dell’Erissia: storia della tradizione

ACADEMIA https://doi.org/10.5771/9783896659750

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Coverpicture: The beginning of the Eryxias in the oldest surviving medieval manuscript: Paris, Bibliothèque Nationale, Gr. 1807 (9th century). Published with the support of the Institute of History of Philosophy (IHP) and the University of Aix-Marseille.

The Deutsche Nationalbibliothek lists this publication in the Deutsche Nationalbibliografie; detailed bibliographic data are available on the Internet at http://dnb.d-nb.de ISBN

978-3-89665-974-3 (Print) 978-3-89665-975-0 (ePDF)

British Library Cataloguing-in-Publication Data A catalogue record for this book is available from the British Library. ISBN

978-3-89665-974-3 (Print) 978-3-89665-975-0 (ePDF)

Library of Congress Cataloging-in-Publication Data Donato, Marco Il testo dell’Erissia: storia della tradizione Marco Donato 147 pp. Includes bibliographic references and index. ISBN

978-3-89665-974-3 (Print) 978-3-89665-975-0 (ePDF)

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1st Edition 2022 © Academia Verlag within Nomos Verlagsgesellschaft, Baden-Baden, Germany 2022. Overall responsibility for manufacturing (printing and production) lies with Nomos Verlagsgesellschaft mbH & Co. KG. This work is subject to copyright. All rights reserved. No part of this publication may be reproduced or transmitted in any form or by any means, electronic or mechanical, including photocopying, recording, or any information storage or retrieval system, without prior permission in writing from the publishers. Under § 54 of the German Copyright Law where copies are made for other than private use a fee is payable to “Verwertungs­gesellschaft Wort”, Munich. No responsibility for loss caused to any individual or organization acting on or refraining from action as a result of the material in this publication can be accepted by Nomos or the author. Visit our website academia-verlag.de

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Sommario

Premessa di Antonio Carlini

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Prefazione

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La tradizione antica

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L’Erissia, l’Appendix Platonica e l’attribuzione a Eschine Trasillo, le tetralogie, l’Appendix Platonica L’attribuzione a Eschine

11 13 17

Da Clemente Alessandrino alla fine dell’antichità Clemente Alessandrino e Timeo Sofista Gli excerpta dello Stobeo La pergamena di Vienna

18 18 19 22

La tradizione bizantina

23

Elenco dei manoscritti

24

Il testo di A

26

A: Parisinus graecus 1807 Ac A3 A2 e A4 A5

26 31 33 34 41

La discendenza di A O: Vaticanus graecus 1 Par: Parisinus graecus 1808

43 43 46

La discendenza di O J: Vaticanus graecus 1031 K: Marcianus graecus Z 188 Z: Parisinus graecus 3009 Esc: Escorialensis Ψ Ι 1 L: Laurentianus 80, 17 R: Vaticanus graecus 1029

53 53 57 60 66 69 72

5 https://doi.org/10.5771/9783896659750

Sommario

Vind: Vindobonensis supplementum graecum 20

76

La discendenza di Par Ang: Angelicanus graecus 107 Θ: Vaticanus graecus 226 Urb: Vaticanus Urbinas graecus 32 C: Parisinus graecus 1809 Mal: Malatestianus D 28, 4 U: Marcianus graecus Z 186 Barb: Barberinianus graecus 270 a: Laurentianus 59, 1 c: Laurentianus 85, 9 S: Marcianus graecus Z 189

79 79 83 86 89 92 95 102 105 108 110

Excerpta Voss: Leidensis Vossianus graecus Q° 54 Lond: Londiniensis Royal 16 C XXXV Matr: Matritensis 4573

112 112 114 114

I compendi di Planude

115

Stemma codicum

117

Verso l’età moderna

118

Le traduzioni e le prime edizioni a stampa

118

Bibliografia

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Indice dei passi citati

141

L’Erissia

141

Altri passi

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Premessa

Confinato tra gli adespota, dialoghi di autore non conosciuto, anzi con lo stigma della non genuinità decretata unanimemente già dai dotti antichi, l’Erissia è vissuto pur sempre al margine del corpus tetralogico di Platone, condividendone le sorti dall’antichità fino alle prime edizioni a stampa. Anche l’attribuzione alternativa, presente in alcune fonti, a Eschine di Sfetto è del tutto implausibile. La sua composizione senza dubbio è più tarda e molto probabile è il collegamento con la storia antica dell’Accademia fondata da Platone. L’Erissia, con gli altri dialoghi della cosiddetta Appendix, è ospitato nei due più antichi manoscritti conservati del corpus, il Parigino greco 1807 del secolo IX e il Vaticano greco 1 della fine del IX secolo, due testimoni autorevoli del primo Umanesimo bizantino. Il Parigino greco 1807, arrivato precocemente in Occidente, fu anche nelle mani di Francesco Petrarca, che non era in condizione di utilizzarlo perché non conosceva il greco, ma che certo riuscì a farsi un’idea del suo ricco contenuto di dialoghi, se fu capace di tenere testa a quattro filosofi averroisti che ritenevano l’opera di Platone limitata a uno o due libri di fronte alla sterminata produzione aristotelica. Un lettore attento dell’Erissia, come dei dialoghi maggiori, fu invece Massimo Planude, che ne isolò quattro passi, dalla seconda parte del dialogo, e li trascrisse nel suo esemplare dei compendia. Solo chi ha studiato a fondo tutti i problemi e i nodi della tradizione del corpus può poi con pieno diritto focalizzare la sua attenzione su singoli dialoghi: Marco Donato, pur con l’obiettivo sempre puntato sull’Erissia, fa osservazioni importanti che investono tutto il corpus, soprattutto la seconda parte, le tetralogie VIII e IX. Antonio Carlini

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Prefazione

Questo lavoro nasce da una profonda indagine in vista di una nuova edizione critica con traduzione e commento dell’Erissia pseudoplatonico. La revisione complessiva della storia del testo dell’Erissia è stata necessaria al fine di fondare su un nuovo e più solido quadro la constitutio textus, nell’intenzione di superare le precedenti edizioni di John Burnet (1907) e Joseph Souilhé (1930). Le pagine che seguono si propongono di offrire una ricostruzione delle vicende di questo dialogo dall’antichità alle soglie dell’età moderna, concentrandosi in particolare sulla tradizione bizantina. Le informazioni qui raccolte permetteranno di ricostruire con maggiore precisione la storia di una parte spesso negletta del corpus fino alle soglie delle prime edizioni a stampa. Tutti i codici sono stati esaminati prima in riproduzione e – fatta eccezione per il Vindobonensis supplementum graecum 20, l’Escorialensis Ψ I 1 e per i tre codici di estratti – sono stati in seguito oggetto di un controllo attento sull’originale. Ringrazio il personale al lavoro presso le diverse biblioteche di conservazione, nonché presso il parigino Institut de Recherche et Histoire des Textes del CNRS, per aver garantito allo svolgimento del mio lavoro condizioni sempre favorevoli. In particolare voglio ringraziare Christian Förstel, per aver accettato, con la squisita disponibilità che lo contraddistingue, di aprire le porte della Bibliothèque Nationale de France a un giovane ancora straniero a Parigi. Parte dei risultati qui presentati sono stati raggiunti durante gli anni della mia formazione dottorale, svolta presso l’Università di Pisa, in cotutela con l’École Pratique des Hautes Études di Parigi: a Mauro Tulli va il mio grazie più caloroso, per lo sguardo sempre attento e benevolo con cui ha accompagnato e guidato il mio lavoro, e per aver voluto infine accogliere i suoi frutti nella collana da lui diretta. Con generosità, Philippe Hoffmann ha voluto accogliermi nel suo fertile seminario parigino e fornire per lo sviluppo della mia ricerca un appoggio concreto, con parole di consiglio sempre preziose. In questi stessi anni ho peraltro potuto trarre giovamento da un confronto fertile con Bruno Centrone, Carlos Lévy e Brigitte Mondrain: delle loro osservazioni, in sede di discussione della tesi di dottorato, ho fatto tesoro. Importante è stato il confronto, fitto e continuo, con Andrea Beghini, i cui risultati sulla tradizione dell’Assioco sono spesso armoniosi con quanto qui ricostruito. Il percorso dei miei studi mi ha permesso

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Prefazione

di incontrare colleghi e amici con i quali il dialogo prosegue nel tempo, e cui questo lavoro deve molto. Un grazie a parte va a Tiziano Dorandi e a Stefano Martinelli Tempesta, per i loro insegnamenti e per la benevolenza di aver voluto leggere queste pagine in una versione preparatoria, fornendo utili consigli per il loro miglioramento. Cela étant dit, tutte le imprecisioni, le omissioni, tutti gli errori che siano rimasti a viziare il lavoro sono ovviamente da attribuire a chi scrive. Dedico questo lavoro alla mia famiglia, per il sostegno e per l’affetto, per la pazienza e la dolcezza, nei mesi sereni come nei più difficili. Lione, il 16 ottobre 2021

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La tradizione antica

L’Erissia, l’Appendix Platonica e l’attribuzione a Eschine L’Erissia, dialogo in cui Socrate discute con Erasistrato, Erissia e Crizia sul rapporto tra ricchezza e virtù, è un testo fortemente enigmatico. Esso fa parte di una serie di scritti del corpus Platonicum di cui gli antichi rifiutavano l’attribuzione a Platone. Per questa ragione, al fine di introdurre le vicende della trasmissione dell’Erissia nell’Antichità, per quel che se ne può desumere dagli scarsi dati in nostro possesso, è indispensabile considerare in prima battuta – sia pure brevemente e senza pretese di esaustività1 – alcune questioni generali relative alla tradizione antica del corpus legato al nome di Platone. La formazione di questo corpus, come la critica ormai ammette senza tendenziali riserve, è legata all’impegno dell’Accademia, nei decenni successivi alla morte di Platone: se è indubbio che alcuni tra i dialoghi avessero una circolazione libraria autonoma già nel quarto secolo,2 è chiara l’importanza per la prima organizzazione del corpus di un raggruppamento operato all’interno della scuola, un raggruppamento ispirato da Platone stesso, che aveva cominciato a ordinare alcuni dei suoi dialoghi in sequenze trilogiche e tetralogiche pur non sempre portate a termine (Teeteto-Sofista-Politico-Filosofo e Timeo-Crizia-Ermocrate). Sulla struttura e sulla forma di questa ‘edizione’ accademica, la cui esistenza sembra ormai un dato acquisito,3 non possediamo molte informazioni, e il dibattito resta aperto anche

1 Per una trattazione più distesa si rinvia al quadro ancora fondamentale di Carlini (1972), 3–30, e, in particolare per gli spuria, all’introduzione di Aronadio (2008), 9– 32, oltre che alla bibliografia sui singoli problemi presentata nelle note successive. 2 La circolazione contemporanea di singoli dialoghi è testimoniata dalle riprese degli autori comici di quarto secolo, come il celebre frammento dell’Ἡδυχάρης di Teopompo (fr. 16 K. – A.) citato da Diogene Laerzio (III 26, rr. 291-293 Dorandi) in cui è parodiato un passo preciso del Fedone (96e6–97b7); cf. Farmer (2017), 19–22. 3 La fonte principale è Antigono di Caristo, in un frammento della Vita di Zenone (fr. 39 Dorandi), salvato da Diogene Laerzio (III 66, rr. 730–732 Dorandi). L’interpretazione del passo ha suscitato un ampio dibattito: rinvio qui alle pagine di Dorandi (2007), 104–105, e (2015), 38–39.

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La tradizione antica

in merito alla sua datazione.4 Ripercorrendo le fonti sulla storia più antica del corpus un dato, su tutti, può colpire: fin dalla morte di Platone, sulla sua raccolta si staglia per noi l’ombra della pseudepigrafia. Già l’ultima fase editoriale dell’ultima opera di Platone è associata dalla critica antica a una mano altra rispetto a quella dell’autore: Diogene Laerzio (III 37, rr. 416– 417 Dorandi) ci informa che le Leggi, lasciate da Platone in uno stato incompiuto,5 erano state terminate da Filippo di Opunte, un membro dell’Accademia.6 Lo stesso Filippo, continua Diogene, era noto come l’autore del dialogo intitolato Epinomide:7 poco dopo la morte di Platone, in continuità con le Leggi, vediamo nascere il primo dialogo ‘spurio’ di cui l’antichità ci offra notizia. Lo sforzo di conservazione e di fissazione per il corpus sembra associarsi quindi, fin dalle sue origini, all’esigenza di integrazione, di produzione autonoma, in armonico e organico rapporto con l’opera del maestro, che a sua volta nella scuola e con il contributo della scuola era nata. La presenza di dialoghi spuri o almeno sospetti nella circolazione più antica del corpus è confermata dalla notizia sull’ordinamento in trilogie degli scritti di Platone proposto, ad Alessandria, da Aristofane di Bisanzio:8 in esse figura, oltre all’Epinomide, un altro dialogo di cui l’autenticità è ormai 4 La critica ha ritenuto plausibile connettere questa impresa all’Accademia di Arcesilao – cf. su tutti Pasquali (19522), 261–262, Carlini (1972), 28, Mansfeld (1994), 198–199, e Rispoli (2000), 505–510 –, ipotesi che appare convincente a chi scrive: cf. già le conclusioni in Donato (2021). Ma una collocazione cronologica più alta, risalente all’epoca di Senocrate, terzo scolarca dell’Accademia, era già stata affermata da Alline (1915), 45–50, nonché più recentemente esplorata da Müller (1975), 24, n. 1, Barnes (1992), 123–124, Brisson (1992), 3720, Lafrance (1994), 44–51, e Aronadio (2008), 12–14. 5 Cf. anche la testimonianza di Anon. Prol. 24, 10–15 Westerink2. Le Leggi erano in uno stato ancora preparatorio, per cui Diogene utilizza l’espressione metaforica ἐν κηρῷ, «su cera»: per l’interpretazione di questa formula si vedano Dorandi (2007), 22, e Tarrant (2020), 209–212. 6 Sulla figura di Filippo si vedano Tarán (1975) e Dorandi, Roux (2012). 7 L’attribuzione a Filippo è in generale accettata dalla critica: si veda di recente Aronadio (2013), 173–178; contra, cf. Brisson (2005), 151–153. 8 Aristoph. Byz. fr. 403 Slater, ap. D. L. III 61, rr. 673–679 Dorandi. Si noti che le trilogie contengono, oltre a Minosse ed Epinomide, anche una raccolta di Lettere: che almeno alcune di esse siano tra quelle contenute nella silloge che i nostri manoscritti trasmettono è ipotesi più che verosimile; anche queste sarebbero quindi una testimonianza alta di introduzione nel corpus di scritti inautentici. La classificazione di Aristofane non fa necessariamente riferimento a un’edizione curata dal filologo alessandrino: un lavoro su Platone a Alessandria ci fu, come testimoniano i σημεῖα che la tradizione ci riporta (cf. soprattutto D. L. III 65–66), ma è probabile sia stato posteriore – come sostengono Carlini (1972), 17–12, Solmsen (1981), 106–

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L’Erissia, l’Appendix Platonica e l’attribuzione a Eschine

contestata, il Minosse.9 Per il Teage, un altro dei dialoghi oggi ritenuti spuri,10 un’associazione precoce al corpus è suggerita dalla circolazione in Egitto, nella prima metà del II sec. a. C.11

Trasillo, le tetralogie, l’Appendix Platonica Ma la sistemazione che garantì la sopravvivenza dell’intera opera di Platone, rispecchiata ancora nei più importanti dei nostri manoscritti bizantini, è costituita dall’ordinamento in nove tetralogie, di cui la prima descrizione è dovuta a Trasillo, filosofo e astronomo legato alla corte dell’imperatore Tiberio,12 e preservata ancora da Diogene Laerzio (III 57–62 = Thrasyll. T22 Tarrant). Sull’origine di tale sistemazione il dibattito è ancora aperto, ma è opinione plausibile che essa sia più antica di Trasillo.13

9 10 11 12 13

108, e Aronadio (2008), 15–16 – forse per mano del grande Aristarco, come ipotizza Schironi (2005). Un intervento di sistemazione filologica del corpus in ambiente alessandrino è anche suggerito dal confronto con i papiri tolemaici del Fedone (PPetrie I 5–8)[CPF I 1*** 80, 40 = MP3 1388 = LDAB 3835] e del Lachete (PPetrie II 50)[CPF I 1*** 80, 23 = MP3 1409 = LDAB 3836], testimoni di uno stato del testo di Platone ancora soggetto a variazioni e interpolazioni. Per il problema si vedano Carlini (1972), 11–22, e (2014), 222–226. Sull’inautenticità di questo dialogo si veda su tutti la messa a punto di Brisson (2011). Cf. Joyal (2000), 121–134. Possediamo due frammenti di papiro databili al II sec. a. C., ossia PBingen 2 (PLefort inv. s.n.) e PKöln VII 307 [CPF I 1*** 80, 81], probabilmente provenienti dallo stesso rotolo [MP3 1426.01 = LDAB 2370]: cf. Schmidt (2000) e Joyal (2002). Sulla figura di Trasillo si vedano Tarrant (1993), e Follet, Goulet, Chase (2016). Importante è la testimonianza di Varrone (De lingua latina VII 37), che cita il Fedone con l’espressione Plato in quarto, posizione che corrisponde a quella del dialogo nell’ordine tetralogico: cf. su tutti Alline (1915), 106–124, Carlini (1972), 24, e Aronadio (2008), 19–20, e le riserve di Tarrant (1993), 72–76, che sospetta una corruttela nel testo di Varrone. Non è da escludere che Trasillo abbia sistematizzato ed esteso un ordinamento che già trovava in parte applicato: si è visto che trilogie e tetralogie erano già state immaginate da Platone; è l’ipotesi ultima di Tarrant (2013), che sostiene Trasillo abbia potuto contare su fonti accademiche per strutturare l’ordine tetralogico. Complica il quadro, invece di semplificarlo, la menzione Dercillide, associato alle tetralogie insieme a Trasillo da Albino (Prol. 149, 12–13 H. = Derkyll. T 1 Lakmann), dal momento che non possediamo informazioni sicure sulla cronologia di questo personaggio: cf. Mansfeld (1994), 64– 66. Un’ipotesi autorevole propone di far risalire l’ordinamento tetralogico all’edizione accademica: essa fu avanzata in primis da Wilamowitz-Moellendorff (19202), 326, e poi perfezionata da Bickel (1944), 129–134, e da Carlini (1972), 24–28; cf. anche Rispoli (2000), 509–511. Significativa è l’attestazione portata da un fram-

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La tradizione antica

Quel che è sicuro è che l’adozione delle tetralogie, oltre a conferire al corpus una struttura stabile fondamentale ai fini della sua conservazione quale intero, portò alla prima distinzione forte in antico tra scritti autentici e inautentici:14 accanto all’esposizione dei nove gruppi degli γνήσιοι, Diogene, probabilmente attingendo ancora a Trasillo,15 offre un elenco di dialoghi ritenuti invece νόθοι, per cui l’esclusione dal corpus si fonda sull’accordo comune. È in questa lista che troviamo la prima menzione antica del

mento di commento anonimo al Teeteto conservato nel POxy LXXIII 4941 [CPF II 1* 24 = MP3 2561.01 = LDAB 117821], di II sec. d. C., in cui il dialogo è evidentemente inserito nel gruppo della seconda tetralogia, insieme a Cratilo, Sofista e Politico. Il testo è assegnato da Sedley (2009) a Trasillo in persona, ma l’attribuzione è tutt’altro che sicura: gli argomenti di Sedley sono ora discussi da Martinelli Tempesta (2019a), che non esclude l’ipotesi di una fonte comune a Trasillo e all’autore del commento. Il rapporto tra le tetralogie e le trilogie di Aristofane è a sua volta assai problematico: si vedano Pasquali (19522), 264–266, Carlini (1972), 24–28, e Lucarini (2011), 352–357. 14 Questa caratteristica distingue le tetralogie dagli altri ordinamenti attestati in antico per Platone. Per fare un esempio, l’esclusione dalle trilogie di Aristofane non impediva che i dialoghi classificati dal grammatico καθ’ ἕν καὶ ἀτάκτως (D. L. III 62, rr. 678–679 Dorandi) fossero ritenuti autentici, mentre l’ordine tetralogico si presenta come criterio distintivo tra γνήσιοι e νόθοι, sancito da un numero ‘chiuso’, 36, e da una strutturazione non aliena a elementi aritmologici: nove gruppi di quattro corrispondono alla moltiplicazione del quadrato del primo numero pari con quello del primo numero dispari (22 x 32); cf. Mansfeld (1994), 65–68. Ma i criteri che portarono all’esclusione di questo specifico gruppo di νοθευόμενοι dal sistema tetralogico rimangono avvolti nell’oscurità: cf. Aronadio (2008), 28–29. La critica moderna da tempo è cosciente del fatto che la distinzione impostata da Trasillo-Diogene tra corpus tetralogico e νοθευόμενοι non può essere sufficiente per individuare e contrapporre i dialoghi autentici a quelli nati nell’Accademia dopo Platone e sulle orme di Platone. Nelle maglie delle tetralogie ritroviamo alcuni dialoghi considerati spuri: oltre ai già citati Teage, Minosse ed Epinomide, si ricordino opere oggi considerate spurie e già dubitate in antico, come l’Alcibiade secondo, sospetto per una tradizione confluita in Ateneo, e di cui esisteva un’attribuzione alternativa a Senofonte (XI 506c1–5), l’Ipparco, per cui dubbi sono attestati da Eliano (VH VIII 2) e gli Anterastai, dubitati dallo stesso Trasillo (D.L. IX 37 = Thrasyll. T19c Tarrant). Si può aggiungere il Clitofonte, nonostante l’assenza di dubbi antichi e la recente difesa di Slings (1999): cf. Rowe (2005), Erler (2008) e Brisson (2014), 85–91. Più incerta la situazione per l’Alcibiade primo, forse l’ultimo vero dubium del corpus, un caso di recente studiato da Renaud, Tarrant (2015). 15 Così Carlini (2005) 26. L’ipotesi è a mio avviso probabile, ma si vedano i dubbi di Müller (1975), 33, n. 1. Si esprime con cautela Beghini (2020), 193.

14 https://doi.org/10.5771/9783896659750

L’Erissia, l’Appendix Platonica e l’attribuzione a Eschine

nostro Erissia, accompagnato dal titolo alternativo Erasistrato16 (D.L. III 62, rr. 683–686 Dorandi): νοθεύονται δὲ τῶν διαλόγων ὁμολογουμένως Μίδων ἢ Ἱπποτρόφος, Ἐρυξίας ἢ Ἐρασίστρατος, Ἀλκυών, Ἀκέφαλοι, Σίσυφος, Ἀξίοχος, Φαίακες, Δημόδοκος, Χελιδών, Ἑβδόμη, Ἐπιμενίδης. La trasmissione di questa zona del corpus mostra un’instabilità maggiore rispetto ai dialoghi inseriti nelle tetralogie: solo una parte dei titoli menzionati da Diogene-Trasillo corrisponde a testi a noi pervenuti tramite la tradizione bizantina, 17 in una sezione collocata abitualmente in seguito alla nona tetralogia, cui la critica, almeno a partire dagli studi di Carl Werner Müller,18 assegna il nome di Appendix Platonica. La relazione tra Appendix e tetralogie è evidente, dato che l’isolamento di questo canone di spuria dipende strettamente dalla loro esclusione dal canone tetralogico: la definizione dei due gruppi si dovrà quindi far risalire allo stesso momento e alla stessa iniziativa.19 Ciò non esclude che anche i dialoghi contenuti nell’Appendix siano da far risalire all’attività dell’Accademia antica: al contrario, questa ipotesi è la più diffusa tra gli interpreti.20

16 Sul doppio titolo, che ritorna nella Suda e nella tradizione bizantina, rinvio alle considerazioni sviluppate in Donato (2022, in c.d.s.). 17 Si tratta, oltre che dell’Erissia, di Sisifo, Demodoco, Alcione e Assioco. Nei due dialoghetti De iusto e De virtute, salvati dalla tradizione manoscritta, sono riconosciuti solitamente gli Ἀκέφαλοι menzionati da Trasillo-Diogene, sulla scorta di Müller (1975), 39, n. 1. L’identificazione è plausibile, per quanto speculativa, ma non credo si debba seguire Müller nel raggruppare tra gli Ἀκέφαλοι le ultime tre sezioni del Demodoco (II-III-IV), come fa tra gli altri Aronadio (2008), 62–68 e 81–83, poiché – se pure si ammette che siano nate in momenti diversi rispetto alla prima parte del testo – non si può escludere che la veste testuale a noi trasmessa fosse anteriore a Trasillo-Diogene. Non abbiamo alcuna traccia degli altri dialoghi menzionati nella lista: per un tentativo di ricostruzione si vedano Müller (1975), 38, n. 1, e Brisson (2014), 11–13. La perdita è probabilmente già antica, dal momento che la lista di νόθοι reperibile nei Prolegomena anonimi di sesto secolo (26, 1–6 Westerink2), appare ormai ridotta a dialoghi conservati (Sisifo, Demodoco, Alcione, Erissia). 18 Müller (1975). Il nome di Appendix Platonica, prima di Müller, era già stato usato da Hermann (1853), per designare un’appendice alla propria teubneriana di Platone, ma di contenuto ben diverso: si trattava degli scritti esegetici di età imperiale (tra cui Albino, Alcinoo e gli anonimi Prolegomena di VI sec.). 19 Cf. Aronadio (2008), 30–32. 20 Si vedano, in generale, Müller (1975), 9–44, Aronadio (2008), 23–32; sull’Assioco, cf. ora Beghini (2020), 67–81.

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La tradizione antica

Per quanto riguarda l’Erissia, in particolare, appare plausibile, alla luce di considerazioni di fondamento storico-filosofico che mi propongo di sviluppare in altra sede,21 difendere l’attribuzione, già avanzata,22 alla produzione della scuola sotto la guida di Polemone (314 – 276 a. C.).23 Corrobora quest’ipotesi il terminus post quem che la critica individua nella menzione, all’interno del dialogo, di un γυμνασίαρχος, magistratura nota ad Atene a partire dal terzo quarto del IV secolo a. C.24 Possiamo comunque ormai sostenere con buona sicurezza che il dialogo era già stato scritto nel primo secolo della nostra era, all’epoca di Trasillo. La menzione nella lista dei νοθευόμενοι costituisce probabilmente la più antica traccia tout court dell’esistenza del dialogo in antico. La possibile eco del dialogo in Filone d’Alessandria (Plant. 171) resta infatti alquanto dubbia:25 non è scontato, anzi sembra in generale poco probabile, che l’osservazione contenuta nel testo di Filone secondo cui le ricchezze, come il vino, sarebbero causa di bene per i buoni e di male per i cattivi (ἐπεὶ καὶ χρήματα αἴτια μὲν ἀγαθῶν ,26 κακῷ δέ, ὡς ἔφη τις, κακῶν) sia da ricondurre all’argomentazione sostenuta da Prodico nel nostro dialogo (397e5–7). L’argomento è ricorrente per giustificare la concezione stoica degli ἀδιάφορα e proprio da una fonte stoica pare derivare tutta questa sezione del De plantatione.27 Ma la notizia di Trasillo, con l’asse-

21 22 23 24

Cf. Donato (2022, in c.d.s.). Cf. Aronadio (2008), 74, e Dillon (2015), 52. Sulle date dello scolarcato di Polemone, cf. Dorandi (1991), 3–6. Il primo a valorizzare questo elemento fu Schrohl (1901), 42–43, ma si vedano poi Souilhé (1930), 88, nonché Aronadio (2008), 348–349, n. 18; per una trattazione dettagliata del problema, nel confronto con i dati epigrafici che attestano l’evoluzione della figura del γυμνασίαρχος da liturgia a magistratura nell’Atene ellenistica, si vedano Culasso Gastaldi (2009) e le pagine dedicate alla datazione dell’Erissia in Donato (2022, in c.d.s.). 25 L’individuazione parte da una nota nell’apparato dell’edizione di Wendland (1897), 168, «[Platonis] Eryxias p. 397E», forse da intendere come semplice indicazione di un parallelo, ma di «very loose allusion» parla Runia (1997), 267–268, e la notizia giunge nell’indice di Lincicum (2013). Per un’analisi più dettagliata del problema mi permetto di rinviare a Donato (2016); il legame è ancora plausibile per Geljon, Runia (2019), 289–290, che accordano tuttavia, rinviando a chi scrive, che esso sia «not necessary». 26 Per il testo del passo, cf. Runia (1997), 267–269. 27 La conclusione dell’argomento di Filone, a Plant. 176–177, è costituita da un sillogismo attribuito da Seneca a Zenone (Ep. 83, 9 = SVF I 229), e in generale i tasselli della sezione trovano paralleli stoici, cf. e.g. la discussione a Plant. 154, che amplia la formulazione stoica secondo cui il sapiente οἰνωθήσεσθαι μέν, οὐ μεθυσθήσεσθαι δέ (D.L. VII 118, r. 901 Dorandi); cf. Donato (2016), 75–77.

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L’Erissia, l’Appendix Platonica e l’attribuzione a Eschine

gnazione al corpus di Platone, sia pure nel gruppo dei νοθευόμενοι, era concorrente già in antico di una diversa attribuzione, a un altro socratico: Eschine di Sfetto.

L’attribuzione a Eschine Nel POxy XVII 2087 [CPF I.1*** 80,89 = MP3 2120 = LDAB 4806], un frammento di glossario di parole in α datato al II sec. d.C., alla voce ἀλαζόνα è citato un breve passo dell’Erissia sul sofista Prodico (399c3), accompagnato dall’attribuzione Αἰσχίνης ἐ(πὶ) Πρ[ο]δίκου (col. II, rr. 29–30). Il testo presenta peraltro due varianti rispetto alla tradizione manoscritta bizantina: un γάρ inserito dopo μέν, che aggiunge una sfumatura causale forse non inopportuna, e il verbo ἡγοῦνται al presente, dove i codici hanno ἡγοῦντο che dà senso migliore nel contesto. Il papiro, oltre a costituire la prima traccia dell’Erissia successiva a Trasillo, testimonia l’antichità di una notizia poi raccolta dalla Suda. Sotto la voce Αἰσχίνης (αι 346 Adler), cinque righi riassumono la figura letteraria di Eschine di Sfetto, il discepolo di Socrate menzionato da Platone nell’Apologia e nel Fedone,28 autore di dialoghi socratici apprezzati nell’antichità e di cui si conserva un numero non infimo di frammenti (SSR VI A 41–100 = T 64–87 Pentass.). La maggior parte della voce è costituita da un elenco delle opere (SSR VI A 25 = T 39 Pentass. ap. Suda αι 346 Adler): Χαρίνου, ἀλλαντοποιοῦ, φιλόσοφος Σωκρατικός. τινὲς δὲ Λυσανίου παῖδά φασιν, Ἀθηναῖον, Σφήττιον. διάλογοι δὲ αὐτοῦ Μιλτιάδης, Καλλίας, Ῥίνων, Ἀσπασία, Ἀξίοχος, Τηλαύγης, Ἀλκιβιάδης καὶ οἱ καλούμενοι ἀκέφαλοι, Φαίδων, Πολύαινος, Δράκων, Ἐρυξίας, Περὶ ἀρετῆς, Ἐρασίστρατοι, Σκυθικοί. Nella lista della Suda sono presenti due titoli separati Ἐρυξίας e Ἐρασίστρατοι, che celano con ogni probabilità una corruttela della sequenza Ἐρυξίας ἢ Ἐρασίστρατος, titolo dell’Erissia già nell’elenco dei νόθοι di Trasillo, con una semplice perturbazione dell’elenco. Tuttavia, l’attribuzione a Eschine, come già quella a Platone, è implausibile: il terminus post quem poco sopra citato, costituito dalla presenza del γυμνασίαρχος, non offre appoggio all’ipotesi antica, confluita nel POxy 2087 e nella Suda. La motivazione di tale attribuzione è probabilmente fondata su somiglianze letterarie e su effettive riprese di Eschine da parte 28 Per la figura di Eschine, si veda ora Pentassuglio (2017), 21–52.

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La tradizione antica

dell’autore dell’Erissia, un problema che esula dai nostri intenti presenti e sul quale mi riprometto di tornare in altra sede.29

Da Clemente Alessandrino alla fine dell’antichità Clemente Alessandrino e Timeo Sofista Dopo il POxy 2087 non molto si può dire della fortuna dell’Erissia in antichità. Non è improbabile che il suo statuto di νοθευόμενος abbia ostacolato la sua diffusione o semplicemente cagionato uno scarso interesse. L’unica traccia di una qualche fortuna del dialogo, prima degli excerpta raccolti dallo Stobeo, è una probabile allusione che la critica ha reperito nel Quis dives salvetur di Clemente Alessandrino.30 Se in linea di massima sono validi gli scrupoli manifestati per la presunta allusione in Filone, vista la relativa banalità delle argomentazioni coinvolte, per Clemente un legame diretto con l’Erissia è reso più probabile per la presenza di un gioco etimologico tra χρήματα, χρήσιμα e κτήματα, simile a ciò che troviamo nella seconda parte del dialogo (cf. e.g. 400e10–12). In particolare, in un passo di Clemente il gioco è impiegato per fornire una definizione di χρήματα, proprio come nel nostro dialogo (QDS 14, 1: κτήματα γάρ ἐστι κτητὰ ὄντα καὶ χρήματα χρήσιμα ὄντα καὶ εἰς χρῆσιν ἀνθρώπων ὑπὸ τοῦ θεοῦ παρεσκευασμένα). La sensazione è di trovarsi di fronte a una ripresa deliberata: un qualche interesse dell’alessandrino per i νοθευόμενοι è peraltro testimoniato dalla citazione, negli Stromata, dell’Assioco (VI 17, 5 = 367b8-c2), delle Definizioni (II 9, 4 = 414b10-c2; II 16,1 = 413c4–5; II 27, 2 e II 41, 1 = 416a21; II 45, 6 = 414b7–9) e dalla menzione del Demodoco (I 93, 1), anche se il passo citato qui appartiene in realtà agli Anterastai (137b2–5), la cui citazione, come per gli altri dialoghi oggi ritenuti spuri trasmessi nelle tetralogie, non sorprende.31 Per il resto, che l’Erissia in età imperiale continuasse a circolare associato al corpus di Platone si può desumere dalla glossa σίσυρα nel lessi-

29 Si veda la sezione dedicata alla questione in Donato (2022, in c.d.s.); sul problema cf. già Gartmann (1949), 68–74, e Pentassuglio (2017), 180–184. 30 Cf. Nardi, Descourtieux (2011), 136, n. 1. 31 Clemente cita o allude regolarmente ai dialoghi spuri inseriti nel corpus tetralogico: sicura è la presenza dell’Alcibiade secondo (Strom. VII 44, 2 ≈ 150d6-e4), del Teage (Strom. I 133, 3 = 128d2–5), del Minosse (Protr. 116, 1 ≈ 318a) e dell’Epinomide (Strom. I 166, 1 ≈ 977b; III 20, 3 = 973d1–974a1; V 7, 6 = 973c3–6); cf. Piccione (2005), 201–203. Non sono riuscito a reperire la citazione dell’Erissia negli Stromata menzionata dalla studiosa: è possibile si tratti di una svista fondata sul frain-

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Da Clemente Alessandrino alla fine dell’antichità

co platonico di Timeo Sofista (σ 4 Valente), l’unica sicuramente riferita al nostro dialogo (400e6).32

Gli excerpta dello Stobeo Questa continuità nella trasmissione accanto al corpus spiega la situazione che troviamo nello Stobeo, il solo testimone importante per la tradizione indiretta dell’Erissia. Nel quarto libro dell’Anthologion troviamo ben cinque consistenti excerpta del dialogo, distribuiti in tre sezioni dedicate al tema del πλοῦτος, considerato sotto varie luci.33 Di per sé il dato non deve sorprendere: la raccolta dello Stobeo riflette un evidente interesse per i testi del corpus platonico, compresi quelli considerati spuri in antichità.34 I cinque estratti non sono tuttavia sempre distinti tra di loro, ma in due casi sono raggruppati in ‘blocchi’, in una disposizione che mostra da parte del compilatore una notevole libertà nella giustapposizione di passi distanti dell’opera, alla luce di una presunta coerenza argomentativa.35 La situazione si può riassumere nel seguente schema: Stob. IV

32 33 34

35

[1.] 31b, 51–52

=

Erx. 396e4–397b7 + 403a6-c6

[2.] 31d, 117

=

Erx. 397e3–12

[3.] 33, 33–34

=

Erx. 401b1–402c4 + 405c6–406a3

tendimento dell’indice di Stählin, che accanto ai singoli passi indica prima in numero romano il tomo dell’edizione, seguito da pagina e linea; nel caso specifico può aver ingannato l’indicazione III 168, 24, che fa riferimento all’allusione rintracciata nel Quis dives salvetur, che si trova nel tomo terzo, a p. 168, e al r. 24. Cf. Valente (2012), 44–45. 31b (περὶ πλούτου. ὅσα πλοῦτος ποιεῖ διὰ τὴν τῶν πλείστων ἄνοιαν), 31d (περὶ πλούτου. ὅτι τὰ χρήματα ἀβλαβῆ συμμέτρως καὶ δικαίως πορισθέντα, καὶ ὅτι τῶν μέσων ὁ πλοῦτος), 33 (σύγκρισις πενίας καὶ πλούτου). Sulle citazioni di Platone nell’Anthologion si veda il quadro accurato di Curnis (2011). Tutte le citazioni da dialoghi dell’appendix riportate dallo Stobeo si trovano nei libri terzo e quarto della raccolta, ovvero nel cosiddetto Florilegium, con unica eccezione un passo tratto dall’Assioco (371a-372b) in Stob. I 49, 47; cf. Piccione (2005), 189 e 208–210, e Beghini (2020), 136–137. Per la disposizione degli excerpta dell’Erissia, si veda in dettaglio Piccione (2005), 191–199.

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La tradizione antica

Si noti che l’edizione di Hense36 nei casi degli estratti [1.] e [3.] divide in due (51–52 e 33–34) senza che il testo del compilatore offra alcun segno di una cesura, ma in ossequio all’osservazione di una frattura nella continuità del testo citato. La situazione è resa ancora più complessa dalla problematica tradizione manoscritta della sezione. I codici a nostra disposizione per la constitutio di questa parte dell’Anthologion sono tre, ossia il Vindobonensis philosophicus graecus 67, di X sec. (S), il Parisinus graecus 1984, di XII sec. (A) e l’Escorialensis Σ II 14, di XII sec. (M). Ora, la prima parte dell’estratto [3.], ossia la pericope 401b1–402c4, è riportata per intero soltanto da S, mentre gli altri due codici si arrestano a 401e6; tuttavia, la seconda parte dell’estratto, ossia 405c6–406a3, è assente in S e si trova invece in A e M. La critica immagina più plausibile una perdita di un’interpolazione,37 ma lo stato del testo dello Stobeo resta problematico, e la difficoltà si ripercuote parzialmente anche sul lavoro dell’editore dell’Erissia. Il testo dell’Erissia trasmesso nel Florilegium presenta diffuse differenze rispetto da quello della tradizione diretta bizantina rappresentata per noi, come vedremo, dal Parisinus graecus 1807 (A di Platone). Elenchiamo di seguito i principali errori che la tradizione di Stob mostra nel confronto con APl, a partire dall’apparato di Hense: 396e11

ἄν om. Stob

397b2

ἀπέχεσθαι om. Stob

397b6

ἐξαμαρτάνειν APl : διαμαρτάνειν Stob

397e12

τοῖ’ ὁκοίοις APl : τοι’ ἄοκοι οἶς Stob

401b8-c1

πάντα μὲν γὰρ ἴσως χρήσιμα om. Stob

401c5

ἔχοιμεν ἂν APl : ἔχοιμ’ ἂν Stob

401c8

ἡ om. Stob

401e3

μηδείς γε APl : μὴ δή γε StobAS, μηδή γε StobM

401e6

δεώμεθα APl StobS : δεόμεθα StobAM

401e7

κτῆσις APl : χρῆσις Stob

401e10

φαίνεται om. Stob

402a1

πότερον ἂν APl : πότερ’ ἄν Stob

402a5

εἴημεν APl : ἦμεν Stob

36 Hense (1912). 37 Piccione (2005), 194–195.

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Da Clemente Alessandrino alla fine dell’antichità

402b6

σιτίοις APl : σίτοις Stob

403a8

χρήσασθαι APl : χρῆσθαι Stob

403b1

ἄρα APl StobM : ἆρα StobA, τοίνυν StobS

403b3

αὐτοῖς A : τούτοις Stob

403b4

τοῦ om. Stob

403b5

τε APl : γε Stob

403b8

μόνον … μόνοις APl : μόνον … μόνον Stob

403c2

ἄν om. Stob

405d1

βελτίων APl : βελτίω Stob

405d4

τί δέ APl : ἔτι δέ Stob

405d5

ποτέρως APl : πότερον Stob

405e7

ἡσύχως APl : ἥσυχος Stob

405e11

ἔνδειαι APl : ἔνδεια Stob

405e12

μηδὲν ἢ APl μηδέν πως ἤ StobM, μηδὲν πῶς ἤ StobA

Ma lo Stobeo presenta talora nella sua tradizione anche buone lezioni che nel parigino risultano banalizzate o corrotte, o comunque lezioni di qualche utilità per la constitutio: 401c1

ὅσοις γε Stob : ὅσα γε Α

401e4

βουλόμεθα … ἐξικοίμεθα Stob : βουλοίμεθα … ἐξαρκοίμεθα APl

405c8

ὁποτέρα StobA : ὁπότερα StobM, ὁποτέραν A

405e1

πρὸς τὰς ἡδονάς Stob : πρὸς ἡδονάς APl

Un esempio a parte, ma particolarmente significativo e oscurato dall’edizione oxoniense del Burnet38 per un errore nella collazione di APl, si trova a 402b8–9: qui il manoscritto riporta il testo οὐκ ἂν ἡμῖν οὐδὲ χρήματα φαίνοιτο πρός γε τούτου ἀργύριόν τε καὶ ÷ χρυσίον. Oltre alla difficoltà sintattica di πρός γε τούτου è evidente che qui c’è bisogno di χρήσιμα, come mostra la successiva battuta di Socrate: οὐκ ἂν ἄρα οὐδὲ χρήματα ἡμῖν ταῦτα φανείη εἰ μηδὲν χρήσιμα (402c2–3). Risolve ambedue i problemi lo Stobeo, che a 402b8–9 riporta οὐδὲ χρήσιμα γένοιτο πρός γε τοῦτο τἀργύριόν τε καὶ τὸ χρυσίον, un testo migliore, salvo che per γένοιτο, lectio facilior rispetto a

38 Burnet (1905); nessuna modifica è apportata in merito da Burnet (19142).

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La tradizione antica

φαίνοιτο. Si osservi che il testo stampato dagli editori è proprio χρήσιμα φαίνοιτο πρός γε τοῦτο, nonostante le segnalazioni in apparato siano errate: in Burnet il τοῦτο è indicato come congettura di Fischer, mentre χρήσιμα passa per lezione di APl come poi anche nella CUF di Souilhé.39 Al di là dell’apporto alla constitutio, è in generale interessante riscontrare come l’Erissia continuasse ad avere una circolazione ai tempi dello Stobeo e fosse una miniera plausibile per una raccolta di estratti relativi al πλουτεῖν. Che questa circolazione avvenisse all’interno del corpus di Platone è sicuro: la stessa indicazione Πλάτωνος premessa a tutti e tre gli estratti, ben più che di un tentativo di attribuzione, testimonia di una tradizione ‘chiusa’, legata a stretto filo a quella delle opere autentiche.

La pergamena di Vienna Probabilmente la medesima situazione si trova alle spalle del PVindob G 39846 [CPF I 1*** 80, 8 = MP3 1429 = LDAB 3828],40 foglio di pergamena di IV sec., frammento di un codice che forse conteneva il corpus di Platone nella sua interezza.41 Il frammento oggi conservato offre sul recto le tracce di una breve sezione verso la fine dell’Erissia (405e1–5) e sul verso il principio del Demodoco (380a1–4).42 Unico testimone della tradizione diretta antica, il frammento di codice è più rilevante per la storia del testo che per la constitutio. Il poco che si può leggere non si allontana dalla tradizione bizantina, se non per un caso di accordo con lo Stobeo: 405e1

πρὸς τὰς ἡδονάς Π Stob : πρὸς ἡδονάς A

All’interno del corpus, l’Erissia giunse infine all’ascendenza del nostro testimone bizantino più antico, nonché unico portatore di tradizione per questa sezione dell’opera platonica, il già menzionato Parisinus graecus 1807 (A), da cui deriva il resto della tradizione manoscritta a noi pervenuta.

39 40 41 42

Souilhé (1930). Edizione in Hunger (1961) e poi in Carlini, Violante (1999). Così Luzzatto (2010), 87–92. L’ordine è diverso rispetto a quello dei nostri codici medievali, a testimoniare una trasmissione meno ordinata per gli spuria: cf. Carlini (2005), 28–31.

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La tradizione bizantina

In età bizantina, l’Appendix, ha ricevuto – non sorprendentemente – meno attenzione del resto del corpus, fatta eccezione per l’Assioco, dialogo di eccezionale fortuna tra i νόθοι già nella stessa antichità. Tale sfortuna spiega e giustifica una situazione tradizionale del tutto particolare, che si differenzia dal resto delle opere di Platone e attribuite a Platone. Per l’Appendix – fatta eccezione per l’Assioco43 e per l’Alcione44 – tutta la tradizione rimonta al secondo tomo di un’edizione bizantina di valore, che salva probabilmente la memoria della scuola neoplatonica tardoantica. Si tratta del codice oggi conservato a Parigi, alla Bibliothèque Nationale de France, con la segnatura Parisinus graecus 1807, datato al terzo quarto del IX secolo, cui viene, non casualmente, attribuito dagli studiosi di Platone, già a partire dal Bekker, il siglum A. Che questo codice sia l’unico testimone diretto indipendente per la maggior parte dei dialoghi spuri fuori dalle tetralogie, e che quindi la situazione tradizionale di buona parte dell’Appendix sia da classificare tra quelle dette di ‘archetipo conservato’ o di ‘codex unicus secondario’,45 è stato dimostrato da tempo dalla critica: in particolare, gli studi di Levi Arnold Post, che tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso si incaricò di un’indagine dettagliata del da poco riscoperto Vaticanus graecus 1 (O),46 hanno mostrato come – per la parte successiva a Leggi V 746b8 – la tradizione di corpus sia confinata ad A, di cui O diviene copia fedele.47 Gli studi di Post, tuttavia, lasciano indeterminati alcuni punti per quanto riguarda gli spuria: risulta quindi interessante, anche al netto delle acquisizioni nel frattempo raggiunte dalla critica sulla tradizione di Platone e sui singoli codici, riprendere in mano la trasmissione bizantina di questa sezione del cor-

43 Sulla tradizione dell’Assioco, si veda il ricco quadro offerto da Beghini (2020), 89– 134, che integra e rivede i risultati già raggiunti da Post (1934), 62–64, e da Menchelli (2015), 77–84 [=(2016), 94–102]. 44 L’Alcione è presto ‘migrata’ nella tradizione del corpus lucianeo: sul problema, cf. Müller (1975), 272–275, e Carlini (2014), 230. 45 La definizione di ‘codex unicus secondario’ quale «unico testimonio che sopravvive all’eliminazione di tutti gli altri» è di Montanari (2003), 21 (§ 3.9.2) e 330 (§ 109.2.1). 46 Per la riscoperta di O, si vedano più sotto le pagine dedicate al manoscritto. 47 Il dato venne inizialmente divulgato in Post (1928), e poi meglio argomentato in Post (1934), 9–14.

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La tradizione bizantina

pus e analizzarla più a fondo. L’indagine sull’Erissia si situa in questa cornice generale e fornisce un risultato plausibile per buona parte del resto dei νοθευόμενοι, portando nella maggior parte dei casi a risultati chiari e netti, anche grazie alla lunghezza relativa del dialogo (15 pagine Stephanus), che permette evidentemente di raccogliere un numero cospicuo di dati. Non sorprende riconoscere che, in generale, il quadro di Post48 viene confermato da una saggiatura sistematica, ma insieme anche rafforzato, meglio precisato, in particolare per i recentiores e per le tracce di contaminazione. Nelle pagine successive, si offrirà – dopo un conciso elenco – una descrizione sistematica dei manoscritti che contengono l’Erissia, con la presentazione dei dati che permettono di costruire uno stemma codicum più o meno dettagliato per il dialogo.

Elenco dei manoscritti cesena, Biblioteca Malatestiana Malatestianus D 28, 4, XIV s. (Mal) città del vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana Barberinianus graecus 270, XIV s. (Barb) Vaticanus graecus 1, IX s. ex. (O) Vaticanus graecus 226, XIII s. ex.-XIV s. in. (Θ) Vaticanus graecus 1029, XIV s. in. (R) Vaticanus graecus 1031, XIV s. in. (J) Vaticanus Urbinas graecus 32, XV s. in. (Urb) el escorial, Real Biblioteca del Monasterio de San Lorenzo Escorialensis Ψ Ι 1, a. 1462 (Esc)

48 Sugli spuria cf. Post (1934), 52–64, con stemma alla p. 54; risultati simili sono raggiunti nel tentativo di collazione di De iusto e De virtute operato da Taki (2015), pur non esente da imprecisioni e carenze e viziato da una preseitazione in generale poco sistematica dei dati.

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Elenco dei manoscritti

firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana Laurentianus 59, 1, XIV s. in. (a) Laurentianus 80, 17, XIV s. (L) Laurentianus 85, 9, XIV s. (c) leiden, Universiteitsbibliotheek Leidensis Vossianus graecus Q° 54, XV s. ex-XVI s. in. (Voss) london, British Library Londiniensis Royal 16 C XXXV, XV s. ex-XVI s. in. (Lond) madrid, Biblioteca Nacional de España Matritensis 4573 (olim N. 36, 30 Andrès), XV s. (Matr) paris, Bibliothèque Nationale de France Parisinus graecus 1807, IX s. (A) Parisinus graecus 1808, XI s. (Par) Parisinus graecus 1809, XIV s. in. (C) Parisinus graecus 3009, XV s. ex. (Z) roma, Biblioteca Angelica Angelicanus graecus 107 (olim C.1.4), XIII s. ex.-XIV s. in. (Ang) venezia, Biblioteca Nazionale Marciana Marcianus graecus 186, XV s. (U) Marcianus graecus 188, XIV s. (K) Marcianus graecus 189, XIV s. (S) wien, Österreichische Nationalbibliothek Vindobonensis supplementum graecum 20, a. 1468 (Vind)

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A: Parisinus graecus 1807 [n° 127 Wilson49], ff. 334v-341r

IX s., membranaceo,50 appartenente alla cosiddetta ‘collezione filosofi Vergato a Costantinopoli, vi resta almeno fino al X s.: viene in parte c to dal Vaticanus graecus 1 (O) ed è oggetto di attenzioni di una mano cessiva, attiva su apografo e antigrafo (A3/O3). L’ipotesi di un viaggi codice in Armenia, dove sarebbe stato modello per la traduzione arm

49 I riferimenti alla numerazione di Wilson sono tratti dal catalogo dei codici d tone offerto dallo studioso in Wilson (1962), che integra la ricognizione d (1934), 65–92. La lista in seguito approntata da Brumbaugh, Wells (1968) grado alcuni perfezionamenti, comporta per l’Erissia inesattezze anche grav saranno evidenziate caso per caso nelle note. 50 Per una descrizione dettagliata del manoscritto si rimanda a Perria (1991a 62; sulla storia del codice si vedano Saffrey (1997) [=(2000), 255–266], S (2007) e Carlini (2020), 1–7. 51 Si tratta, com’è noto, di un gruppo di manoscritti per cui la forte affinità su no paleografico e codicologico ha portato a postulare l’origine nel quadro impegno comune: cf. già Allen (1893), con risultati poi perfezionati da F (1982) e soprattutto Perria (1991a); al catalogo fissato in quest’ultimo contr sono da aggiungere ad esempio il Casanatensis 241 (G VI 6), con Perria (1 26–28, e il Parisinus graecus 2575, con Cataldi Palau (2001) [=(2008b), 69– Nonostante la recente comparsa di voci scettiche, su tutte Ronconi (20 (2013), resta salda tra gli studiosi la convenzione di un progetto unitario alle le della ‘collezione’: si veda in particolare Marcotte (2014), con uno status stionis aggiornato; tenta un bilancio ora Cavallo (2017). Più difficile indivi per la produzione un contesto preciso. Le difficoltà nella ricostruzione non no impedito alla critica di moltiplicare le ipotesi: il legame con la cerchia d triarca Fozio, difeso tra gli altri da voci quali Diller (1954), 45–50 [=(1983 44], Irigoin (1962), 299–300 [=(2003), 216–218], e Carlini (1972), 146, è stato so in dubbio già dai tempi di Lemerle (1971), 215–216, ma si vedano le cons zioni di Losacco (2017), 108–112; tra le ipotesi più recenti spicca quella di R (2002), 713–717, che individua nel progetto della collezione un legame con forma dell’insegnamento superiore a Costantinopoli voluta dal cesare Bard contesto poco probabile per Cavallo (2017), 28–30. Sulla ‘collezione’ si v ora anche i saggi raccolti da Bianconi, Ronconi (2020).

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delle Leggi di Platone, non è sicura;52 certo esso entrò poi in possesso di Costantino, metropolita di Ierapoli (Cilicia) nel XII s., come dalla sottoscri-

52 L’ipotesi è di Saffrey (2007), 5–14; il codice avrebbe servito nel XI s. da modello per la traduzione armena di Timeo e Leggi, attribuita a Gregorio Magistro. La ricostruzione si scontra con alcune difficoltà di non scarso rilievo. In particolare, sorprende il diverso trattamento delle due grandi lacune nel quinto e sesto libro delle Leggi: cf. già Clark (1918), 398. La traduzione armena, infatti, presenta la sezione Lg. V 745a2-c2 e omette VI 783b2-d4: in A, ambo i passi sono integrati in margine da A3, e quindi in linea di massima il traduttore avrebbe dovuto comportarsi nello stesso modo nei due casi, traducendo entrambe le sezioni o omettendole. La spiegazione di Saffrey poggia su una distinzione tra le due pericopi interessate: se la prima appare indispensabile, la seconda sembra più futile, e ciò sarebbe corroborato dalla formula con cui A3 introduce il secondo intervento, ἔν τισι τῶν ἀντιγράφων φέρεται καὶ ταῦτα (f. 215r), interpretata come una considerazione sulla non indispensabile funzione del supplemento. L’ipotesi attribuisce al traduttore armeno un’attenzione forte al diverso ruolo e alla diversa utilità dei due supplementi; di per sé ciò non è impossibile, ma esiste una soluzione ben più semplice che dà miglior conto della situazione riscontrata nella versione armena. La prima delle due lacune ricorre in una sezione delle Leggi in cui O non è ancora copia di A; ebbene, non sarà sorprendente a questo punto osservare che su O il testo della pericope è riportato nella colonna, dalla prima mano. Proprio da qui A3, che collaziona O, recupera il testo da integrare al f. 201r di A; nel secondo caso, invece, il testo era assente tanto da O quanto da A, e A3/O3 integra a partire da una fonte diversa. Ecco quindi spiegato ἔν τισι τῶν ἀντιγράφων φέρεται καὶ ταῦτα, ed ecco spiegata, forse, anche la peculiarità del testo armeno delle Leggi: la situazione che vi si riscontra è esattamente ciò che si trova in O prima del passaggio di O3. Senza una nuova ricognizione sistematica del testo armeno è difficile procedere oltre, ma si noterà che una vicinanza con O è già stata da tempo osservata dalla critica: oltre alle osservazioni di Clark, cf. Des Places (1951), ccxvi. Indizi ben più puntuali, sui quali non possiamo ora soffermarci, sono portati da Finazzi (1974). Ha certo ragione Saffrey quando osserva che «a priori, le manuscrit O est indisponible en vue d’une traduction arménienne» (p. 7), vista l’enorme filiazione del vaticano e la necessità conseguente di immaginarlo a Constantinopoli per almeno altri tre secoli. Ma in Armenia potrebbe essere arrivata una sua copia, realizzata prima dell’intervento di O3, ossia una copia in cui la seconda lacuna, ereditata da A, non era ancora integrata; forse, una copia su cui era avvenuto un intervento di διόρθωσις che spiegherebbe la bontà di alcune lezioni della versione armena contro l’intera tradizione greca: cf. Bolognesi (1977), 47–50 [=(2000), 314– 316]. Anche per il Timeo, peraltro – assente in O almeno nella forma in cui esso è giunto a noi (cf. infra per le cadute materiali subite dal codice) – la critica ha messo in forte dubbio una relazione con A: la dipendenza diretta è esclusa da Dragonetti (1988), alla luce delle numerose divergenze (ben 188!), un quadro confermato da Jonkers (2017), 390–393. per una posizione fortemente scettica nei confronti della ricostruzione di Saffrey si veda anche Tinti (2012), 262–267, che si sofferma anche sulla problematica datazione delle traduzioni platoniche in armeno; l’ipotesi di un passaggio in Armenia per A è «da mettere in discussione», se non ad-

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zione all’ultimo folium (344v).53 Il codice giunse poi in occidente molto presto, probabilmente nel quadro degli scambi tra la corte papale romana e la Cilicia intercorsi a partire dalla conquista di Costantinopoli e alla fondazione dell’Impero Latino (1204): il segnale più chiaro di questo passaggio è l’indicazione di una mano latina di XIII s., che al f. 128r segnala, in corrispondenza di Tim. 53c4, che qui si concludeva la traduzione di Calcidio (finis translationis).54 Fu poi in possesso del Petrarca, che lo descrive in una lettera del 10 gennaio 1354 a Nicola Sygeros (Fam. XVIII 2) e più in dettaglio nel De sui ipsius et de multorum ignorantia (166–167);55 dopo la morte del Petrarca (1374), il codice passò insieme agli altri suoi libri a Francesco da Carrara ed entrò poi nella biblioteca dei Visconti,56 dove fu visto e parzialmente copiato da Giorgio Valla (RGK III 91) nei due codici estensi Mutinensis α. Q. 5. 18 (gr. 89) e α. P. 5. 7 (gr. 114);57 forse tramite Valla il codice passò per le mani di Giano Lascaris, della cui mano sono riconoscibili numerosi interventi, che mostrano il segno di una collazione con il Laurentianus 80, 17 (L).58 A Parigi, A fu copiato da Georgios Hermonymos (RGK I 61), che vi esemplò il Vossianus graecus F° 74, su commissione di Guillaume Budé,59 ma è possibile, in presenza di altri casi analoghi, che il manoscritto sia stato prestato da Lascaris allo stesso Budé.60 In Fran-

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dirittura «da far cadere», per Cavallo (2017), 30. Si vedano anche le cautele di Carlini (2020), 4–5, n. 10. ὠρθώθη ἡ βίβλος αὕτη ὑπὸ Κωνσταντίνου μητροπολίτου Ἱεραπόλεως τοῦ καὶ ὠνησαμένου, cf. Saffrey (1997), 295–296 [=(2000), 256–258]. Di recente l’identificazione canonica con il Costantino di Ierapoli altrimenti noto, vicino a Nerse di Lambrone, è stata tuttavia messa in discussione su basi paleografiche da Menchelli (2015), 133–134, con argomenti poi ripresi da Benati (2018), 70; cf. anche Carlini (2020), 5 e n. 10. Si veda la ricostruzione dettagliata di Saffrey (1997), 296–304 [=(2000), 258–264], e, più brevemente, Saffrey (2007), 14–15, e Carlini (2020), 6. Almeno una parte dei codici della ‘collezione filosofica’ giunse in Italia probabilmente attraverso Nicola d’Otranto: cf. Rashed (2002), 703–713. L’identificazione è opera di Diller (1964) [=(1983), 349–351]; cf. poi Saffrey (1997), 304–305 [=(2000), 264–265], e soprattutto (2007), 16–23, nonché Carlini (2020), 6–7. Il codice è identificato da Pellegrin (1955), 98 e 310, negli inventari dell’a. 1426 (=A120) e dell’a. 1459 (=B463). Si veda la puntuale analisi di Pagani (2008b), 1046–1051; cf. anche Carlini (2020), 9–10. Sul lavoro di Lascaris sui folia di A si veda ancora Pagani (2008b), in particolare 1030–1044 e 1051–1052; cf. anche Speranzi (2013), 90, n. 218. Cf. Martinelli Tempesta (2020), 240-241 (n°47). È l’ipotesi di Mondrain (2000), 419, corroborata da Pagani (2008b), 1046–1047, n. 33; si veda ora anche Martinelli Tempesta (2019b), 5–11.

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cia il codice ritornò, dopo il passaggio da Lascaris alla biblioteca del cardinale Ridolfi per giungere nelle mani di Pietro Strozzi e, infine, della cugina Caterina de Medici, da cui giunse alla biblioteca regia francese.61 La datazione al terzo quarto del secolo IX fa di A il più antico manoscritto bizantino in nostro possesso per le opere di Platone in esso contenute, ossia le tetralogie VIII e IX seguite da Definizioni e Spuria. Il codice costituisce il secondo tomo di un’edizione complessiva del corpus ordinata secondo la classificazione tetralogica, e la cui prima metà è da tempo individuata nell’ascendenza del marciano T (Marcianus graecus, appendix classis IV, 1),62 datato al X secolo.63 Le caratteristiche materiali dell’antigrafo da cui fu copiato A sono ricostruite, pur con la necessaria approssimazione, dagli studiosi della tradizione di Repubblica, Timeo, Crizia, Minosse e Leggi:64 si tratta con ogni probabilità di un esemplare antico in maiuscola, proveniente dalla biblioteca di una scuola neoplatonica tardoantica. Un legame con la scuola di Alessandria resta plausibile,65 e può forse essere esteso – almeno in parte – alle fonti del resto della ‘collezione’, nonostante la varietà dei testi copiati e la scarsità dei dati in nostro possesso suggeriscano prudenza.66 A Costantinopoli A passò tra le mani di uno o più correttori (Ac/A2) e ver-

61 Si veda già Baladié (1975) – ripreso da Saffrey (1997), 305–306 [=(2000), 265], e (2007), 26–27 – ma soprattutto Muratore (2009), 325–330; cf. anche Carlini (2012), 13–14. 62 Cf. e.g. Carlini (1972), 145–146; Irigoin (1986b), 684–698 [=(1997), 151–169]; Martinelli Tempesta (1997), 28, n. 2; agile sintesi ora in Carlini (2012), 6–7. 63 Per la datazione cf. Diller (1980). La parte antica di T si conclude a R. III 389d7, anche se in origine il manoscritto doveva contenere tutto il corpus: cf. ancora Diller (1980), 323–324; per la prima parte della Repubblica il codice dipende, forse tramite un intermediario, da A, come pensa Boter (1989), 111–118, mentre il resto della Repubblica, il Timeo e il trattato di Timeo Locro fanno parte di un’integrazione successiva, di XV secolo: il Timeo è copiato da Cesare Stratego (RGK II 292), cf. Jonkers (2017), 281–282, mentre Timeo Locrio è copiato da Ioannes Rhosus (RGK I 178, II 237, III 298). 64 Cf. Boter (1989), 80–81 (Repubblica); Jonkers (2017), 149–150 (Timeo); Benati (2018), 61–62 (Minosse); Post (1934), 6 (Leggi); Moore-Blunt (1985), vi (Lettere); Beghini (2020), 91 e n. 211 (Assioco); considerazioni generali anche in Irigoin (1986a), 12–13 [=(2003), 93–94]. 65 Così Westerink, Combès (1986), lxxiii-lxxx, e Westerink (1990); per il testo di Platone, la prova più importante è la presenza in A del titolo plurale Πολιτεῖαι, messa in luce già da Westerink (1981), ma il dato non è dirimente, come mostra Boter (1992), che riscontra come l’uso non sia esclusivo della tradizione alessandrina e trovi fondamento plausibile già sulla base dell’ordinamento tetralogico descritto da Trasillo. 66 Si vedano in merito le considerazioni di Hoffmann (2000), 621–624 [≈(2007), 145–149], Cavallo (2005), 259–263 [=(2007), 155–161], e Goulet (2007), 54–57.

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so la fine del secolo divenne esemplare per la seconda parte del Vaticanus graecus 1 (O). Nel medesimo scriptorium fu oggetto, già nel secolo X, delle attenzioni di un altro correttore, attivo su antigrafo e apografo (A3/O3).67 Varie altre mani sono state rintracciate sul manoscritto: A4 (ancora di X sec.)68, A5 (o a, la mano di Costantino di Ierapoli), A6 (la mano di Giano Lascaris, all’opera solo su Timeo e Leggi)69. Il testo dell’Erissia occupa in A lo spazio di sette folia (da 334v a 341r) ed è corredato di scolii e marginalia apposti in semionciale dalla stessa mano che verga le colonne e che inserisce le prime correzioni (A/Ac)70. Fin da un colpo d’occhio si nota che le correzioni sono piuttosto rade, e le carte in questione appaiono alquanto ‘pulite’, ben più di quelle del vicino Assioco o della prima parte del codice. Piuttosto rilevante sembra in particolare l’assenza di A3, se non per un intervento incerto (rasura), per cui si veda poco sotto;71 per gli altri correttori si può offrire ora un quadro più dettagliato.

67 Su questa mano e sulla sua importanza si veda ora il quadro di Menchelli (2015), 131–133; cf. anche Carlini (2020), 8–9. L’attribuzione ad Areta di Cesarea avanzata da Lenz (1933) – cf. poi Des Places (1946), 26–27, e (1951), ccxii-ccxiv, e Boter (1989), 46 – era stata messa in dubbio già da Post (1934), 9 – ma si veda anche il giudizio di Charles Astruc apud Lemerle (1971), 168, n. 73, e 215, n. 34 – ed è oggi in genere caduta in sospetto e ritenuta errata: cf. Luzzatto (2008), 34, n. 13, Cufalo (2011), 15–16, e Menchelli (2015), 135–138. 68 La mano è individuata sui folia della Repubblica da Boter (1989), 85–86; cf. anche Jonkers (2017), 156 (Timeo), Benati (2018), 58–59 (Minosse), e e in generale Menchelli (2015), 133. 69 Cf. Pagani (2008b), che attribuisce a Lascaris anche gli interventi minori siglati da a2 e a3 da Post (1934), 7; sulla questione si veda ora Carlini (2020), 9. 70 Che gli scoli siano vergati dalla stessa mano che scrive le colonne era già evidente per Schanz (1878), 305–306, ed è confermato sia da Boter (1989), 81 («that the hand of the scholia is identical with A2 appears from the fact that the ink of the scholia has the same colour as the A2 readings») che da Jonkers (2017), 150–156. Per gli studiosi A2 e A sono la stessa mano all’opera in tempi diversi e con inchiostri diversi: sul problema della distinzione fra A, Ac e A2 si veda più sotto. In attesa del completamento da parte di Domenico Cufalo del secondo tomo dei suoi Scholia graeca in Platonem, che conterrà i marginalia relativi alla seconda parte del corpus (tetr. VII-IX e spuria), l’edizione di riferimento per gli scoli di A all’Erissia rimane ancora quella di Greene (1938), 407–408. 71 La situazione non sarebbe peraltro isolata: A3 non interviene nei folia contenenti il Crizia, come osserva Jonkers (2017), 326, né in quelli contenenti il Minosse, per cui cf. Benati (2018), 58.

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Ac Il primo ordine di correzioni rintracciabili su A è dovuto alla mano dello stesso copista, che ripassa in un secondo momento il testo così da apporre i diacritici: spiriti, accenti e le paragraphoi in margine corrispondenti ai dicola apposti durante la copiatura per indicare il cambio di interlocutore.72 Si spiegano così i casi in cui uno dei due elementi manca. Nell’Erissia questo fenomeno si verifica solo quattro volte: – solo dicolon, no paragraphos: 405b7 (cambio errato); – solo paragraphos, no dicolon: 405d2; – no paragraphos, né dicolon: 404b5 (paragraphos aggiunta da A4), c1. Ancora alla stessa mano vanno ricondotti gli scoli, vergati nella stessa semionciale di inscriptiones e subscriptiones, e la presentazione dei πρόσωπα del dialogo. Mentre per la Repubblica e per il Timeo-Crizia l’inchiostro di Ac è sensibilmente differente da quello della colonna,73 nella sezione degli spuri la distinzione appare più difficile, così da rendere meno chiaro se un intervento sia inserito sul codice già durante la copiatura o al momento della prima revisione del testo. La διόρθωσις di Ac è in generale di grande rilevanza per la constitutio, dal momento che la critica ha individuato la fonte di varianti e correzioni in un esemplare perduto, cui è attribuito il valore di testimone indipendente;74 nell’Erissia gli interventi sono tuttavia piuttosto radi e spesso si limitano a correggere errori e lapsus calami. La ca-

72 Su questi segni si veda Andrieu (1954), 288–293. Un ulteriore diacritico apposto da Ac è il cosiddetto hyphen, a sottolineare l’unitarietà di parole lunghe o composte (e.g. 392a3, a5, 393e1 Ἐρασίστρατος; 394e7 τοιουτοτρόπων, 395a3 Ἱππονίκου). Vi è incertezza sull’identificazione della mano che allunga talora il punto inferiore del dicolon in segno di interrogazione (;). Per Boter (1989), 85, può trattarsi di A4, alla stessa mano del copista pensa invece Taki (2013); a me pare che, a seconda dei casi, abbiano ragione entrambi, e che si debba in più riconoscere un’attività di Costantino, di cui si trova un esempio chiarissimo al f. 325v (DI 374d6–8, dove peraltro gli editori scelgono di non indicare domanda). Sull’interpunzione dei codici della ‘collezione filosofica’ cf. Perria (1991b). 73 Il fatto è notato da Boter (1989), 81–84; cf. Jonkers (2017), 150–151; la differenza è visibile ancora nei primi libri delle Leggi ed è alla base della distinzione fra Ac e A2 operata da Des Places (1951), ccix-ccxii, per cui si veda poco oltre. 74 L’ipotesi è ancora attraente per Boter (1989), 88–91, che tuttavia rivendica valore primario agli interventi in primo luogo per la loro antichità, pari almeno a quella di A; per il problema si veda anche Jonkers (2017), 159–162. Per l’Erissia una testimonianza di collazione con esemplare di altra famiglia potrebbe forse essere vista nel secondo titolo, Ἐρασίστρατος, aggiunto in margine con la dicitura ἐν ἄλλῳ, ma è verosimile che la nota fosse già presente nell’antigrafo. Si veda anche, per l’Assioco, lo scetticismo di Beghini (2020), 92–93. Una parte degli interventi del

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ratteristica più vistosa di Ac è la vivace tendenza all’alternanza di maiuscola e minuscola. La stessa semionciale degli scoli è utilizzata, assieme alla minuscola, nelle correzioni, sia marginali sia nella trama delle colonne: la situazione riguarda l’intero codice e non sembra peraltro si possa impostare una distinzione tipologica coerente per le correzioni in maiuscola e in minuscola.75 Va detto che gli interventi in maiuscola appaiono leggermente meno frequenti e più diffusi nel margine, non però assenti dai righi della scrittura, dove il caso più tipico è l’integrazione supra lineam dello ι ascritto dimenticato nelle desinenze del dativo o in altri casi di dittongo lungo.76 Pochi invece nel dialogo gli interventi in minuscola a margine, non sempre perspicui e talora fraintesi dagli editori,77 mentre nel rigo troviamo una maggiore varietà di ritocchi, non di rado in rasura: il più comune, osservato già da Boter nella Repubblica, è la trasformazione sistematica di τί δέ in τί δαί.78 Nei casi di correzione in rasura non sempre è facile individuare il testo originario, ma le poche volte in cui rimangono tracce la natura dell’intervento si caratterizza come correttiva di sviste dovute ad itacismo o assonanze in generale,79 omissione,80 errata divisione di parola: ri-

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correttore possono essere considerati di origine congetturale: cf. Carlini (2020), 8, n. 14, che sottolinea come il copista del nostro codice sia correttore abile, come mostrato dalla sua attività sul Marcianus graecus 246 di Damascio. Cf. Boter (1989), 83 (Repubblica); Jonkers (2017), 150–154 (Timeo); Benati (2018), 58 (Minosse). Nell’Erissia accade a 392d5, 392e10 (perperam ἀιδολεσχήσοντα), 393a4, b3, b5, d3 (προήιρετο cum η in rasura), 396b3 (perperam διαφερομένωι sed ι punct. not. eadem manus), 397c7 (πρώιην), 398b7, c5 (δοκῆι), 402e1 bis, 403c3, d7 (ἄιδουσιν) 404e6, 405e6. All’interno della linea, negli spazi, l’integrazione avviene solo una volta (392c2). Rimangono piuttosto oscuri il minuscolo ου a margine di 392d5 e του a margine di 396b1 (per τούτου τί?), ma ὡς a 396a8 è sicuramente una correzione (o una variante) per sostituire l’insensato οὖν a testo e non ha alcuna relazione con l’avverbiale μεγάλα (396b4), come credono Burnet (19142) (app. ad loc.) e Greene (1938), 408. La supposizione errata si fonda sull’innovazione μεγάλως del codice Parisinus graecus 3009 (Z), ritenuto da Burnet testimone primario, e in realtà discendente del Marcianus graecus 188 (K); cf. Post (1934), 18–22, e oltre in queste pagine. Cinque i casi: 393a1, 396e7, 397a7, 401e13, 405d4. Simile operazione si riscontra talora in B2, correttore del Bodleianus Clarkianus 39 – cf. Martinelli Tempesta (2003), 15, n. 10 – ma l’oscillazione è comune. Da Burnet in poi, la convenzione è quella di accettare δέ pressoché in ogni caso. Sul problema cf. KG II 134, Denniston (19542), 262–263, Bluck (1961), 215, De Strycker, Slings (1994), 300, Joyal (2000), 230. Cf. e.g. 398e2 (διημαρτικώς A, διημαρτηκώς Ac), 399d5–6 (εἴσεσθαι … δύνασθαι A, εἴσεσθε … δύνασθε Ac). Cf. e.g. 403a5 (επιστήμοσι [sic] A, επιστήμοσι Αc s.l.).

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tocchi facili già in un secondo confronto con il medesimo esemplare, e talora presupposti da un elementare senso della lingua; in questi casi talora l’accentazione non presenta segni di modifica, suggerendo un intervento precedente o contemporaneo rispetto all’apposizione dei diacritici.81 Per le eliminazioni in rasura di parola intera, il correttore ricorre anche per l’Erissia all’uso del segno ÷, osservato già nel Timeo da Jonkers82 e nel Minosse da Benati83 (va notato che il segno non si riscontra per singole lettere erase, cfr. e.g. 403d1 δι*ετέλεσας). A3 Prima di passare al più problematico A2, qualche parola sulla mano di decimo secolo che opera su A e su O. Questo correttore, come già abbiamo detto, non sembra aver prestato attenzione all’Erissia.84 Se, in generale, è stato osservato che questa mano opera principalmente su O, e molto meno sull’antigrafo, anche nel codice vaticano al di là della copiatura degli scoli non si registrano interventi di particolare spessore. Nel parigino la grafia di A3 non si riconosce su nessuna delle carte che contengono il dialogo. L’unico caso in cui si può chiamare in causa l’intervento del correttore è incerto, poiché si tratta di una rasura. A 400e5–6, il testo originario di A, come di O, parrebbe ἤπερ ἐσισύραν: ambo i manoscritti eliminano in rasura ἐ, che rimane tuttavia in parte visibile, specialmente nel parigino. La presenza di uno stesso intervento in ambo i manoscritti può far pensare ad A3/O3: il correttore potrebbe essersi accorto dell’errore copiando su O lo scolio, in cui la parola, σισύρα, è presente nella grafia corretta, ma questo lascia anche spazio all’ipotesi di una correzione successiva, verificatasi indipendentemente in ambo i codici.85

81 Cf. e.g. 395d8 τοιγαρον (sic) A, τοιγαροῦν Ac (ῦ s.l.); 397d6 ειπερ (sic) A, ἤπερ Ac; 399e7 τουτων (sic) A, τοῦτον Ac. 82 Jonkers (2017), 155–156. Nell’Erissia lo troviamo in tre casi: 396b7, 401c4 (ripetuto tre volte), 402c1. 83 Benati (2018), 60, n. 10. 84 La mano di A3 non è tuttavia assente dalla sezione degli spuri: importante la sua presenza nell’Assioco, come mostrano Menchelli (2015), 78–79 [=(2016), 95–96] e Beghini (2020), 94. 85 Un caso simile si riscontra a Ep. 7, 353e1 per un ἐὰν περί mutato in rasura in ἐάνπερ su A e su O, correzione che Moore Blunt (1985) (app. ad loc.) sospetta indipendente nei due manoscritti assegnandola a A2 e O2.

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A2 e A4 Al di là dell’individuazione di Ac, A3 e A5, la stratigrafia delle mani sul codice parigino rimane non priva di elementi problematici, che trovano il principale perno intorno alla definizione del correttore siglato A2. Se non soddisfa più l’impostazione del Burnet, che compattava in A2 tutte le correzioni rinvenute sul parigino e non attribuibili a Costantino, ipotizzando un correttore solo e identificandolo peraltro con la mano dello scriba stesso,86 le analisi successive, che hanno interessato varie porzioni del manoscritto se pure non la sezione dei νοθευόμενοι, hanno portato ad una situazione di difficile interpretazione, tanto che il dibattito non è ancora chiuso.87 Burnet non conosceva O, le cui lezioni recuperava dalla collazione di Immanuel Bekker,88 e perciò non solo non dava peso ad A3/O3, ma neppure poteva porsi correttamente il problema del rapporto fra le correzioni su A e il testo di O. Dopo i risultati di Post, la stratigrafia degli interventi su A si fornì di un prezioso specchio per la parte copiata da O. Il principio è chiaramente formulato dallo studioso americano: «since O is almost as old as A, its readings after 746b8, where it begins to be copied from A, will decide whether any correction in A is by the first hand or later».89 L’indicazione, sul piano metodologico impeccabile, fu recepita dall’editore francese delle Leggi, Edouard Des Places, che introduceva per primo la distinzione fra Ac e A2, usando il primo siglum per indicare le correzioni operate dallo scriba ed il secondo per gli altri interventi, non attribuibili ad A3 o a Costantino (A5/a) e non riscontrati sui folia del vaticano. In realtà la distinzione operata dal Des Places non è soltanto e neppure eminentemente analitica: ad A2 egli riconosce una serie di caratteristiche sul piano paleografico, arrivando alla conclusione che si tratti di una vera e propria mano unitaria all’opera su tutti i libri delle Leggi e dell’Epinomide,90 e trasgredisce talora in questa identificazione il criterio stesso enunciato da Post, scoprendo non di rado A2 in accordo con O (!). La forte somiglianza fra Ac e A2

86 Burnet (1905), iii-v e index siglorum: «A2 = idem post diorthosin (ab eadem manu ut videtur)»; simile criterio è adottato per gli spuria da Souilhé (1930). 87 «(…) it should be said at the outset that this is a matter in which no two persons who have worked on A are likely to attain complete agreement» scriveva Slings (1989), 193, considerazioni ancora oggi valide. 88 Si veda la sezione dedicata a O, poco oltre. 89 Post (1934), 6–7. 90 L’editore parla in particolare di «minuscules plus ramassées» e di una «certaine négligence à accentuer»: Des Places (1951), ccix; ma sono caratteristiche che si trovano non di rado nei marginalia di Ac.

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così individuati ha certo contribuito nello spingere gli editori successivi a ripensare daccapo la distinzione su fondamento esclusivamente analitico: la svolta è sancita dalla praefatio dell’Epinomide di Tarán,91 e la medesima scelta, certo la più prudente sulla base dei dati raccolti da Des Places, resta sottesa alla più recente edizione del dialogo.92 In questa lettura, quindi, A2 non è una vera mano, ma piuttosto un contenitore di correzioni successive alla copiatura di O, ma non identificabili con A3 o A5. In parallelo, tuttavia, la revisione del parigino operata da Boter per la Repubblica e proseguita da Jonkers per Timeo e Crizia ha portato ad una classificazione differente,93 affermata in polemica aperta con le considerazioni di Des Places: Boter in particolare nega la possibilità di una distinzione tra Ac e A2 e indica con il secondo siglum tutte le correzioni di prima mano, che mostrano un inchiostro vicino a quello di spiriti e accenti e una grafia indistinguibile da quella delle colonne. Inoltre, come abbiamo anticipato, individua le tracce di un quarto correttore, indicato come A4, ben distinguibile da A2 (=Ac) sul piano paleografico e posteriore ad A3 per quanto anteriore a Costantino (A5):94 usa un inchiostro piuttosto chiaro e mostra alcune idiosincrasie, come il cambio di desinenza della seconda persona del medio indicativo da -ει a -ηι.95 Trascurare O permette a Boter di non soffermarsi a lungo sul problema affrontato dagli editori della nona tetralogia. Ciò nonostante l’approccio di Des Places è criticato esplicitamente.96 Sarà utile riportare le due principali obiezioni:

91 Tarán (1975), 171–172; si noti che l’editore rinuncia inoltre per l’Epinomide a distinguere A2 da A3, scelta curiosa, anche se a dire il vero non di grande effetto, dato che l’unico intervento di A3 sulle carte che contengono il dialogo è la correzione in margine ἡ δ’ εἶς a 991a3. 92 Aronadio, Petrucci, Tulli (2013); per la discussione del problema si veda in particolare Petrucci (2013), 179–182. 93 Per il Timeo una nuova classificazione delle mani, che riconosce il ruolo di un correttore A2 ben distinto da Ac, è ora proposta da Federico Petrucci, nella nota al testo della sua nuova edizione del dialogo, in corso di stampa. Ringrazio l’amico Federico per avermi offerto la possibilità di leggere una versione preparatoria del suo testo. 94 Sull’anteriorità rispetto all’intervento di Costantino si veda anche Benati (2018), 59. 95 Boter (1989), 81–86; agli stessi risultati giunge Jonkers (2017), 156. L’identificazione di A4 e A5 ipotizzata da Slings (2003), vii, n. 6, appare invece difficilmente sostenibile: sia l’inchiostro che il tratto divergono sensibilmente. Si può inoltre a ciò aggiungere l’acquisizione offerta dagli spuri per il rapporto con Par, per cui si rinvia alle pagine successive. 96 Boter (1989), 84.

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a) nei casi di rasura semplice, quando O conservi un elemento che eraso in A, è impossibile assegnare l’intervento ad una mano A2 più che ad un’altra delle mani successive identificate sul manoscritto;97 b) nei casi di varianti o correzioni aggiunte a margine o supra lineam, il fatto che O riporti il testo di A trascurando l’innovazione non implica che essa non fosse presente al momento della copia: non è escluso sia stata trascurata dal copista. Chi si trovi a operare una nuova stratigrafia delle mani su A, e su una porzione del manoscritto come quella contenente la sezione dei νοθευόμενοι, per cui le acquisizioni della critica si fermano al quadro sommario di Burnet e Souilhé, si vede di fronte l’ingrato compito di tentare di conciliare i due diversi approcci e i due diversi resoconti, cercandone il riscontro nei folia del manoscritto. È inevitabile che un’impresa del genere, condotta su una parte di testo limitata, rimanga destinata a un risultato parziale e con margini d’incertezza, ma è altresì inevitabile che tale operazione porti a farsi un’idea generale sulla problematica nel suo complesso. Si cercherà qui di offrire un quadro puntuale di quanto si trova nei folia che contengono l’Erissia, estendendo in seguito il discorso all’Appendix nel suo complesso e di discutere – sia pure con prudenza – il problema della ricostruzione d’insieme. Nell’Erissia la correzione della seconda persona dell’indicativo presente medio da -ει a -ηι si trova quattro volte (395e2, 395e7, 398d4, 398e9): in questi casi, il confronto con le carte che Boter indica per A4 nella Repubblica porta alla certezza che si tratti della stessa mano, che quindi appare attiva anche su folia lontani da quelli di Repubblica e Timeo. Allo stesso tratto tenue si devono assegnare non pochi interventi minuti, principalmente modifiche nei diacritici, oltre ad un’infelice correzione supra lineam a 393b2, che trasforma ον, copiato nella stessa forma non accentata98 da O, in οὖν. Tutti gli interventi che vogliamo assegnare ad A4 appaiono successivi alla copia di O, e non trovano perciò riscontro sul codice vaticano, quin-

97 Boter include fra le mani possibili A3, ma questo caso sembra improbabile: una rasura introdotta da A3 troverebbe con ogni verosimiglianza un corrispettivo in O3, tanto più che tendenzialmente la mano A3/O3 lavora più su O. Per quanto riguarda la mano di Costantino (A5), quando applica rasure, ricalca spesso con il riconoscibile inchiostro rossiccio le lettere circostanti sbiadite (come accade ad esempio a 392d7 τε A : del. A5 ras). 98 Errato l’apparato di Burnet (seguito da Souilhé) che registra ὄν su O. L’errore è travasato dalla collazione del Bekker, troppo zelante nella pratica del τονίζειν, tanto da attribuire ὄν anche ad A: cf. Bekker (1823), 301.

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di andrebbero indicati con il siglum A2 sulla base del confronto analitico di Post e Tarán.99 Un ulteriore dato di rilievo è fornito dal confronto con il secondo discendente di A, il Parisinus graecus 1808 (Par), che sarà esaminato con più attenzione nelle pagine successive. Va tuttavia anticipato che quasi tutti gli interventi che si possono attribuire ad A4, non recepiti in O, trovano riscontro in Par, che non presenta però gli interventi di Costantino (A5): 395e2

εἰσηγῆι A4 ras Par : εἰσηγεῖ A O

395e7

ἡγῆι A4 ras Par : ἡγεῖ A O

396a4

ἦν A4 Par : ἦι A O

398d4

εὔχηι A4 ras Par : εὔχει A O

398e9

δυνήσηι A4 ras Par : δυνήσει A O

401a4, b2

ποτ’ ἐστὶ A4 ras Par : ποτ’ ἔστι A O

402d1, 404d4, 405c2

ἐστὶν A4 ras Par : ἐστιν A O

403c2

ἆρα A4 fecit sl Par : ἄρα A O

Lo stesso accade per una paragraphos apposta da A4 a 404b5: il cambio di battuta non è segnalato in O, mentre in Par troviamo l’indicazione completa di paragraphos e dicolon. Interessante è anche il caso dell’indicazione Κριτ(ίας) a 395e8, apposta sul margine sinistro del f. 336 r: queste indicazioni sono riportate solitamente dalla stessa mano che verga gli scoli, la mano di A e Ac, e segnalano la prima comparsa del personaggio nel dialogo. Ma nell’Erissia l’ingresso di Crizia è segnalato a margine due volte: qui e al principio dell’ultima sezione, a 403c8 (f. 339v). Un controllo attento chiarisce che la prima delle due note è opera di A4: l’inchiostro è lo stesso delle due correzioni visibili nella stessa carta (395e2, e7), il confronto con O e Par porta ulteriore conferma; sul primo troviamo soltanto la seconda nota, sul secondo ambedue. Gli unici casi in cui la correzione di A4 appare ignorata da Par riguardano l’accentazione di τότε (404b4–5, laddove A4 modifica sempre in τοτὲ) e di σίτων (397b2, 401d4), dove Par sembra ripristinare

99 Alla possibilità di una ritrovata identificazione fra A2 e il ‘nuovo’ A4 accennava già Slings (2003), vii: «monendum est editores saepe correctiones leviusculas manui A2 adscripsisse, quae re vera posterae manui debentur, cui Boter A4 siglum dedit». Va detto che A4 condivide con Ac l’alternanza fra uso di maiuscola (395e7, 398e9) e minuscola (395e2, 398d4). Si noti che Moore Blunt (1985), vi, enumera fra le caratteristiche di A2 proprio la correzione di -ει in -ηι che Boter riconosce come tipica di A4.

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il σιτῶν di A (il cui circonflesso è qui ancora oggi ben visibile sotto la rasura), nonché l’assenza del doppio spirito sul gruppo -ρρ- (397c5), oltre alla modifica supra lineam già menzionata: 393b2

ὅτωι ον … τάλαντα A O (οὖν A4 sl) : ὅτωι ὂν … τάλαντα Par

οὖν è qui tentativo del tutto insoddisfacente di A4 di risolvere un problema testuale e non sorprende che Par lo abbia ignorato, data peraltro la facile lettura del testo originario di A. La relazione di Par con le correzioni di A4, oltre ad offrirci una datazione più precisa per quanto riguarda l’attività del correttore, che quindi va collocato tra la copiatura dei due apografi, ci fornisce un criterio di confronto importante per i casi di correzioni non recepite in O e di incerta attribuzione, quali rasure o correzioni in seguito ricalcate dall’inchiostro di A5. In questi casi, il riscontro in Par suggerisce come probabile candidato A4: 394d8

οἰκιδίωι A4 ras (ref. A5) Par : οἰκειδίωι A O

394e5

πρίασθαι A4 ras Par : πριᾶσθαι A O

395a6

πλουσιώτερος A4 ras Par : πλουσιώτερός A O

395b1

παιδιὰν A4 ras (ref. A5) Par : παιδείαν A : παιδειὰν O

399c8

ὁποστιοῦν A4 ras (ref. A5) : ὅπως τὶ οὖν A O

401e6

ἑκάστοτε A4 ras Par : ἐν ἑκάστοτε Ac O : ἐν ἑκάστω τε A

405c2

ταυτά A4 ras Par : ταὐτά A O

Più complessa la situazione a 403e5, dove O copia αὐτοῖς, ma su A troviamo eraso il ς e leggiamo un αὐτοὶ recepito da Par: l’assegnazione ad A4 è plausibile, tuttavia la rasura su A non interessa la zona superiore del rigo, dove si sarebbe trovato il circonflesso di αὐτοῖς, e l’accento acuto porta la forma e l’inchiostro di quelli apposti dalla prima mano di A. Resta la possibilità che qui si trovasse un insensato αὐτοὶς con accento grave, corretto da O, ma anche la poligenesi, attratta dal precedente οἷς, è da considerare: in questo caso la rasura sarebbe da restituire ad Ac. Il risultato di questo riesame sui folia che contengono l’Erissia è che sembrano da assegnare ad A4 tutte le modifiche che non hanno un riscontro in O. Nell’Erissia, in conclusione, non esiste alcun intervento analiticamente classificabile A2 che non sia plausibile assegnare ad A4.

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Una ricognizione a campione sui folia contenenti gli spuri, ancora nel confronto con O e con Par, offre, pur nella scarsità degli interventi complessivi, un quadro non dissimile:100 gli interventi non recepiti in O, escludendo dall’indagine i marginalia la cui presenza può essere stata ignorata dal copista del vaticano, in generale si trovano in Par. Quando vi siano tracce d’inchiostro è sempre possibile accertare l’assegnazione ad A4. Offro solo alcuni esempi: DI 374b4

ἡγῇ A4 Par : ἡγεῖ A O

DV 379c2

γίγνοιντ’ A4 Par : γίγνοιτ’ A O

Sis. 389c3

κάλων A4 ω sl Par : κάλον A O

Sis. 391d2

πρὸς τί A4 ras Par : πρὸς τίνα A O

Questo dato si può anche interpretare alla luce della generale scarsità di correzioni cui sono sottoposte le pagine dei νοθευόμενοι, e ritenere quindi che A2 abbia limitato la sua attività alle carte contenenti la nona tetralogia, trascurando l’Appendix; l’ipotesi di principio è plausibile, ma il fatto che A4 non sia mai stato cercato nelle Leggi e nell’Epinomide dà adito a qualche dubbio, alimentato da una pur cursoria ricognizione a campione sul testo dei due dialoghi e delle Lettere. Il confronto con Par non è qui possibile, perciò le rasure non possono essere prese in considerazione nel nostro argomento: il quadro tuttavia non sembra essere molto distante da quello tracciato per gli spuri. Confrontandosi con l’Epinomide e con il criterio analitico ‘puro’ adottato dagli editori recenti, una ricognizione mostra che gran parte degli interventi classificati dagli editori come A2 è da attribuire sulla base del confronto paleografico alla mano di A4: 974a7

τυγχάνει A4 ras O2 : τυγχάνῃ A O

974d8

ἴδωμεν A4 ras O2 : εἴδωμεν A : εἰδῶμεν O

(visibili le tracce di A4 che riscrive in parte ι) 978a7

ἄρρυθμος A4 O2 : ἄρυθμος A O

983c8

ἐρεῖ A4 O2 : αἰρεῖ A O

Mentre vi è almeno un caso in cui la correzione assegnata ad A2 è in realtà opera di A5 (Costantino): 976b7

μανθάνει A5 : μανθάνῃ A O

Il fatto che spesso le correzioni di A4 siano recepite da O2 non deve creare difficoltà, dal momento che O2, come ha mostrato di recente Petrucci,101 è da identificare con O4 e da assegnare alla seconda metà del secolo XI: le correzioni non erano presenti né su A né su O quando i codici furono corretti da A3/O3. Un’influenza di A4 su O2/4 è plausibile: accertarla significherebbe almeno in parte riscrivere la storia di A. Certo porterebbe in questa direzione il dato

100 Più difficoltosa è la ricostruzione per l’Assioco, dove l’assenza di O rende problematico il raffronto: si veda la prudenza di Beghini (2020), 91–92, n. 213. 101 Petrucci (2013), 183–191.

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La tradizione bizantina che negli spuri, dove O2/4 non opera, sul vaticano non vi sia la minima traccia delle correzioni di A4. Al di là di ciò, per le carte che contengono l’Epinomide, si può in generale osservare come, lasciando da parte le rasure, A2 indichi correzioni in realtà da assegnare ad A4 o A5 ed una piccola serie di interventi di Ac che la prima mano di O poteva ignorare, in quanto marginalia o correzioni supra lineam (e.g. 990c2–3, 992c1). Proseguendo l’indagine, ci si confronta con le Leggi e con l’impostazione di Des Places, che crea problemi in parte diversi: per A2, come abbiamo visto, l’editore ha pretese di individuazione paleografica. Lo sforzo è ben motivato: Des Places deve rendere conto dell’attività di una mano A2 anche nelle parti delle Leggi in cui il criterio analitico è indisponibile in quanto O non è ancora copia di A, ovvero i primi quattro libri e il quinto fino a 746b8. La revisione delle mani su A nelle Leggi è un’impresa lontana dagli obiettivi di questo studio: inevitabile limitarsi ad un campionario che possa dare lo spunto per una nuova ricognizione sistematica. Gli interventi su cui Des Places imposta la propria analisi paleografica di A2 sono indicati nella praefatio.102 È motivo di sorpresa la scoperta che essi si possono assegnare alla prima mano di A, che nelle carte che contengono le Leggi, specialmente nei primi libri, mostra la differenza fra inchiostro delle colonne ed inchiostro di diacritici e correzioni osservata da Boter e Jonkers; proprio la «négligence à accentuer» che l’editore nota per gli interventi selezionati, è invero tratto tipico delle correzioni minuscole a margine di Ac in tutto il manoscritto, laddove i marginalia maiuscoli, specialmente gli scoli, mostrano una maggior cura. Ma soprattutto la grafia è certamente la stessa, come si nota in particolare per αυ supra lineam a III 699b2 (e non 699d2 come indicato), per ὑπο πολανσαποριας in margine a VI 780b6, per ειπορι a VI 780e1: tutti questi interventi sono di difficile comprensione, ma non più di alcuni marginalia di Ac che troviamo nell’Erissia, come il citato ου a 392d5. Che la mano descritta da Des Places corrisponda con Ac è evidente dal fatto che, nella parte successiva al cambio di antigrafo da parte di O, l’editore è talora costretto a tradire il criterio di Post e ad assegnare ad A2 interventi che trovano ricezione nella prima copiatura del vaticano: si trova quindi in apparato l’indicazione A2 et O (e.g. VI 754b2). Tuttavia lo sconcerto si attenua con la scoperta che in casi simili si tratta evidentemente della prima mano. Poiché Ac e A2 sono indistinguibili, Des Places ha poi un motivo in più per classificare come A2 tutti i marginalia e i supra lineam di Ac non recepiti da O, anche quando il motivo della loro assenza sul vaticano è spiegabile, come nel caso di VI 753b1, dove Ac muta νῦν in οὖν con un ο puntiforme ed uno spirito dolce sopra il rigo, modifica che ad uno sguardo veloce si presta a essere tralasciata. Non mancano neanche nelle Leggi, tuttavia, casi in cui il raffronto analitico supera la necessità di individuazione paleografica e A2 di Des Places è assegnabile alle mani successive ad A3 individuate dalla critica: nel campione preso in esame vi è almeno un’occorrenza significativa in cui una correzione è attribuita ad A2 nonostante sia evidentemente opera dell’inchiostro rosso di A5: si tratta di Lg. VII 800a3 οὖν A5 O2, οὐ A O. Proseguendo l’indagine non dubito si possano trovare anche interventi di A4, anche se Des Places tende a non segnalare in apparato le divergenze minute di carattere ortografico che costituiscono gran parte dei ritocchi di questa mano. Infine, qualche parola sulle Lettere, per cui simile è la situazione sulle carte di A, ma diversa l’impostazione data al problema dall’editrice Jennifer Moore Blunt: le correzioni su A non attribuibili ad A3 sono tutte assegnate ad A2, che comprende così sia gli interventi di prima mano, sia «alia quoque a scriba eiusdem vel posterioris aetatis scripta».103 Il criterio analitico e il raffronto con O non sembrano qui entrare in gioco, ma uno sguardo all’apparato ne rivela la

102 Des Places (1951), ccix-ccx. 103 Moore Blunt (1983), vi.

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A: Parisinus graecus 1807 traccia: il siglum A2 è sempre usato per le correzioni non recepite da O. Anche qui è spesso possibile riconoscere A4, come si vede da una campionatura parziale: I 309a3

ἥιδειν A4 O2 : ἥιδη A (ut vid.) O

I 309d4

εὔξῃ A4 O2 : εὔξει A O

I 310a3

κακῶς A4 O2 : καλῶς A O

X 358d4

τεινούσας A4 O2 : τεινούσα Ac O : τινούσα A

Per concludere e riassumere i risultati della nostra indagine parziale, la stratigrafia delle mani su A per le opere della nona tetralogia andrebbe rivista interamente alla luce delle nuove acquisizioni e del nuovo quadro tracciato da Boter, un impegno lungo e paziente, ma che certo sarà in grado di offrire qualche nuovo elemento per definire i rapporti reciproci fa A e O e la storia di A, e forse sarà foriero di una precisazione ed insieme di una semplificazione del resoconto offerto dagli editori ad oggi.

Tuttavia, a prescindere da queste considerazioni generali, la situazione nell’Erissia è alquanto chiara: gli interventi su A non recepiti da O, quando non siano ignorabili e plausibilmente, se non anche paleograficamente, assegnabili ad Ac, sono tutti da attribuire ad A4 o ad A5. A5 Seguendo Boter,104 si indica con il siglum A5 (in luogo di a)105 la mano di Costantino, vescovo di Ierapoli (Cilicia), vissuto nel XII sec.;106 l’attribuzione – come abbiamo visto – è sicura grazie ad una sottoscrizione apposta in margine alla fine del codice (f. 344v), la mano riconoscibile per la corsiva stretta, per l’inchiostro rosso. Nel nostro dialogo come altrove A5 si scopre indaffarato a ripassare lettere, legature e diacritici sbiaditi,107 a ricalcare gli interventi di Ac e di A4, e ad aggiungere o modificare segni di interpunzio-

104 Boter (1989), 85–86, poi seguito da Jonkers (2017), 156. 105 Il siglum a, introdotto dal Burnet, può vantare una salda tradizione nelle edizioni (è adottato fra gli altri da Des Places per Leggi ed Epinomide, da Souilhé per gli spuri, da Tarán e da Tulli per l’Epinomide), nonostante rimanga poco pratico e potenzialmente foriero di ambiguità: la decisione di seguire Boter operata da Jonkers, Slings, Benati (2018), 59, e Beghini (2020), 94–95, mi incoraggia nella scelta. 106 Sull’identificazione del personaggio si veda anche sopra, nella sezione sulla storia del codice (p. 24, con n. 55). 107 Tipica l’accentuazione del tratto verticale negli spiriti, in particolare aspri; talora per gli accenti la sovrapposizione dei tratti non è precisa, fino a fenomeni di doppia accentazione (caso frequente il doppio grave in μέν, e.g. 399c3, d4); casi

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ne e accenti, a rivedere ortografia e divisioni di parola;108 tuttavia, il lavorio di Costantino porta qualche frutto per l’editore nelle colonne dell’Erissia, in generale, s’è visto, povere di διόρθωσις. Spesso le modifiche apportate hanno se non altro valore diagnostico: così ad esempio la rasura dell’insensato τε a 392d8, senz’altro errore di maiuscola per γε, la correzione di Λυκίῳ in Λυκείῳ (397c7) o l’annotazione in margine all’attributo Κῖος per Prodico (397d1), che sospetta corruttela per Κεῖος, un contributo più utile di quello offerto dallo scolio di Ac che vorrebbe il sofista nativo di una citta della Misia.109 Talora A5 pone rimedio a lapsus calami del primo correttore, ad esempio per lo ι s.l. della desinenza di πεινῶι (401d4); il confronto con Par porta inoltre ad assegnare ad A5 la rasura di ἐ in ἐκομισαίμεθα a 400c9. In generale per quanto riguarda il dialogo appare riduttiva la valutazione del Cobet, per cui Costantino «unus est ex illis correctorculis, qui ea quae emendare conantur depravare solent».110

palesi di accenti non ricalcati ma aggiunti direttamente da A5 si trovano per esempio a 395a3 (circonflesso su τἀληθῆ dimenticato da Ac) e 395b1 (grave su τὲ). 108 Fra i segni di interpunzione chiaramente aggiunti da A5 possiamo citare come esempio la virgola fra ἢ e εἰ a 396a8. Per la divisione di parola fra un rigo e l’altro troviamo un esempio della modifica da ὥ | σπερ a ὥσ | περ (395b2) già nota come idiosincrasia di Costantino: cf. Boter (1989), 86; su questo ritocco inciampa peraltro il Souilhé, che non legge il piccolo σ eraso abbarbicato al π di περ e segnala in apparato ὥπερ quale lezione originaria di A. Sulla rifinitura da parte di Costantino delle correzioni di A4 si vedano gli esempi citati nella sezione relativa a questa mano. Ad A5 si deve fra l’altro la sistematica correzione di παρὰ χρῆμα in παραχρῆμα realizzata allungando l’occhiello superiore sinistro di χ fino a coprire l’accento grave di A (394c6, 398e9, 401c7). 109 In A, l’unica altra occorrenza dell’aggettivo, legata ancora al sofista Prodico, è nel decimo della Repubblica (X 600c7, f. 105r), ancora una volta Κῖος, ancora una volta corretta da A5; in ambo i casi, nella Repubblica come nell’Erissia, anche lo scolio riporta la forma Κῖος. Nell’Erissia esso si produce in una spiegazione infelice dell’aggettivo: Κῖος πόλις Μυσίας, ἐξ ἧς οὗτος (f. 337r). Questa Κῖος (più correttamente Κίος) di Misia esiste ed è menzionata da Erodoto (V 122) e Senofonte (HG I 4, 7), ma non ha ovviamente alcuna relazione con Prodico. Nella colonna dell’Erissia Costantino non interviene, forse proprio per l’insistenza sul toponimo rinvenuta nello scolio, ma fa presente il proprio dubbio sul margine destro della colonna successiva: Κῖος ἄνθρωπος. εἰ μὲν ἀπὸ τῆς Κίου, διὰ τοῦ ι, εἲ δὲ ἀπὸ τῆς Κέω διὰ διφθόγγου. 110 Cobet (1875), 159; non diversamente si esprimeva Burnet (1905), vi, che descriveva Costantino come «correctiunculis ineptis librum deformans»; un tentativo di rivalutazione è già espresso da Boter, la qualità degli interventi nel Timeo e nel Crizia delude tuttavia Jonkers (pagine citate nelle note precedenti).

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La discendenza di A

Come abbiamo visto, da A discendono per l’Erissia due codici: il Vaticanus graecus 1 (O), copia diretta, e il Parisinus graecus 1808 (Par), forse tramite un intermediario.

La discendenza di A O: Vaticanus graecus 1 [n° 192 Wilson], ff. 183r-189v IX s. ex.,111 membranaceo.112 Copiato a Costantinopoli, in parte sul modello di A, subisce presto una mutilazione al principio (ben 23 quaternioni),113 mentre solo più tardi si registra la caduta di tre folia alla fine.114 Il codice fu a Chora nella seconda metà del XIII s., come mostra l’attività di Planude, che inserisce uno scolio al f. 2r (a Lg. I 627b1–2, p. 301 Greene),115 e proprio a Chora divenne modello per una parte del Laurentianus 59, 1 (a)116 e – forse per tramite di un intermediario – del Vaticanus graecus 1029 (R).117 Non molto è noto della storia successiva del codice. Esso fu esaminato a Parigi, nel 1811, da Immanuel Bekker, che se ne servì per la propria edizione di Platone, siglandolo Ω e indicandolo – erroneamente – con la

111 Per la datazione, in verità, la critica non trova un vero accordo: si veda la rassegna di posizioni in Bianconi (2014), 200, n. 4. 112 Sulle caratteristiche codicologiche del manoscritto si veda Fonkič (1982), 105– 106 e Perria (1990), 72–75; resta dubbia l’identificazione del copista con quello del Parisinus graecus 2935, proposta da Wilson (1960), 200–202, e accettata da Diller (1983), 253, n. 11. 113 Il dato si ricava da un’indicazione marginale ΚΗ al f. 33r: il manoscritto poteva contenere la seconda parte del corpus fin dalla settima tetralogia – cf. Rabe (1908), 238; Post (1934), 8; Lemerle (1971), 168–169 e 214; Irigoin (1986b), 691 – mentre oggi inizia con le Leggi; l’ipotesi di Lenz (1933), che immaginava un legame con il Bodleianus Clarkianus 39 (B) e, quindi, con Areta di Cesarea, nonostante una lunga fortuna, per cui cf. tra gli altri Lemerle (1971), 214, è ora fortemente messa in dubbio, come abbiamo già accennato affrontando la mano A3/O3: cf. Luzzatto (2008), 29–30, n. 2. 114 Terminus post quem per la caduta finale è secondo Post (1934), 8, la copia del Vindobonensis supplementum graecum 20 (olim 56)(Vind), datata al 1468, ma non è da escludere che il codice di Vienna dipenda da O tramite un intermediario: si vedano le pagine dedicate a Vind. 115 L’identificazione della mano di Planude è operata da Bianconi (2014), 202–207. 116 Cf. poco sotto, le pagine dedicate ad a. 117 Cf. poco sotto, le pagine dedicate a R.

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segnatura «Vat. gr. 796»; il codice non proveniva, apparentemente, dalla Biblioteca Vaticana e non fece parte dei 101 Vaticani graeci consegnati alla Francia nel luglio 1797 dopo il trattato di Tolentino, ma era entrato in una data successiva, il 25 luglio 1799, alla Bibliothèque Nationale de France, probabilmente dalla biblioteca sforziana. Il codice fu offerto alla Vaticana come indennizzo per la mancata restituzione di due manoscritti latini del secolo XI e dell’ex Vaticanus graecus 997 (attualmente Parisinus supplementum graecum 352). In seguito all’arrivo in Vaticana, il cardinale Angelo Mai assegnò al codice la segnatura Vaticanus graecus 1, ‘vacante’ perché occupata in verità da uno stampato.118 Questa circostanza, in combinazione con l’errore di segnatura commesso da Bekker, fece sì che il codice divenisse introvabile per gli editori successivi di Platone, fino alla riscoperta da parte di Hugo Rabe, al principio del secolo scorso,119 e agli studi di Post più volte menzionati. Il codice doveva inizialmente contenere tutta la seconda parte del corpus di Platone, a partire forse dalla VII tetralogia; attualmente inizia con le Leggi e si termina, a causa della caduta finale, al principio dell’Assioco (364b2, a metà della parola ἀπαν|τᾶν). Come abbiamo già più volte anticipato, Post scoprì presto120 che il manoscritto – testimone indipendente per la prima parte delle Leggi – diviene copia di A a partire da Lg. V 746b8, con il cambio di modello segnalato da un cambio di colore nell’inchiostro su O. Nello stesso scriptorium di A il manoscritto rimase ancora per diversi decenni, come mostra l’attività di A3/O3, di cui abbiamo già parlato. Ancora a Costantinopoli, O ricevette le cure editoriali di un terzo correttore, cui sono da attribuire gli interventi distribuiti fra i sigla O2 e O4 da Post:121 questa importante mano che fra correzioni e marginalia si produce in un vero e proprio lavoro ecdotico sul testo e porta a risalire forse alla storia più anti-

118 Per le vicende del codice dal suo arrivo in Francia alla sua risistemazione all’interno della collezione dei Vaticani graeci si veda la messa a punto di Lilla (2004), 90–91, con ricca bibliografia e rassegna completa delle fonti documentarie. 119 Rabe (1908), appena un anno dopo l’uscita dell’edizione di Burnet (1907); la scoperta è registrata da Burnet (19142), iv, che tuttavia ammette di non aver potuto comunque trarre giovamento: «nuper repertus est codex O (Vaticanus graecus I, perperam olim numero 796 insignitus), sed nondum denuo collatus». 120 Post (1928), e poi (1934), 9–14. 121 Post (1934), 8–10. L’identificazione di O2 e O4 è recente proposta di Petrucci (2013), 183–191.

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ca dell’attività filologica sul corpus,122 terminano però all’altezza delle Definizioni e non riguardano l’Appendix.123 La collazione dei folia dell’Erissia operata conferma i risultati già acquisiti da Post.124 Tutti gli errori di A sono in O, che copia talora in modo meccanico, e aggiunge una piccola serie di innovazioni: 392c5

ὀργίζοιντο A : ὀργίζοιτο O

394b6

πάθοι ἂν A : πάθοιεν ἂν O

394d1

εἴ γε τοιοῦτοι A : εἴ γε τοι οὕτοι O

400a2

μάλιστα A : τὰ μάλιστα O

400b4

Αἰθιοπία A : Αἰθιπία O

401e12

συνέφη…χρήματα om. O

401d5

διψῷ A : διψᾷ O

404c7

διὰ λόγου A : διαλόγου O

Gli scoli, corrispondenti a quelli di A, sono riportati in margine da O3, che inoltre si preoccupa di ricalcare i diacritici ed integrare sul rigo ed in margine omissioni brevi e lunghe: 394b1

τὴν om. O add. O3 sl

397a4

μὴ om. O add. O3 sl

398d2

ὅτ’ ἂν A : τ’ἂν O : ο add. O3 sl | ὅτ’ἂν om. O add. O3 sl

404a2

ἀνάγκη πάντα ταῦτα om. O, add. O3 im

Le poche altre correzioni, trattandosi perlopiù di rasure, sono di difficile attribuzione: non aiutano nella distinzione gli apografi, che portano le

122 È la teoria di Luzzatto (2008), ma si vedano tuttavia i problemi evidenziati da Petrucci (2013), 193–195. Una descrizione dettagliata degli interventi sui folia contenenti l’Epinomide è fornita da Petrucci (2013), 195–201, che sottolinea il valore filologico dell’operazione svolta da O2/O4. 123 Luzzatto (2008), 30; Petrucci (2013), 187–188; ma già della ‘scomparsa’ si era accorto Post (1934), 52 (unico intervento assegnato dallo studioso a O4 è un ἐπιsupra lineam ad Ax. 364a3); per il problema della presenza di O4 nell’Assioco, di difficile riscontro vista la caduta della maggior parte dei folia contenenti il dialogo, si veda Beghini (2020), 101–102. 124 Peraltro, uno degli argomenti di Post per dimostrare la dipendenza di O da A proviene proprio dall’Erissia: 398d4 ἐγὼ A (γε Ac im), ἔγωγε O, dove il γε aggiunto a margine da Ac è correzione dell’insensato ἐγὼ non compresa da O.

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tracce di tutti gli interventi sul manoscritto. Per questi casi la classificazione deve restare ipotetica: un tentativo può essere quello di distinguere fra rasure che ripristinano il testo di A da corruttela e interventi che allontanano O da A. Rientrano nel primo caso: 395e9

εἶναι ὅστις A : εἶναι**ὅστις Οpc

396b1

ὁμολογοῖτε τουτὶ A : ὁμολογοῖτε**τουτὶ Opc (fort. ex τούτου τί)

Questi interventi possono essere dovuti al lavoro di normalizzazione di O3, ma potrebbero anche essere iniziativa immediata del copista di O; la distinzione è pressoché impossibile e la scelta più prudente è quella di usare nell’incertezza il siglum generico Oc. Differente il discorso per un’altra serie di rasure, che allontanano O da A, spesso in modo arbitrario, e che sono da attribuire con ogni probabilità ad un correttore successivo a O3, che chiameremo per convenienza O5, e che forse è da identificare con la mano riconosciuta dalla critica ed operante soltanto negli spuri.125 In due soli casi O5 migliora il testo di A: cancellando un insensato ἔγωγε frutto per O del cattivo intendimento di una correzione a margine di Ac (γε per ἐγώ, a 398d4), rimuovendo l’articolo τὸ di fronte a μειράκιον (397d3). Altre, meno fortunate rasure, sono ἄρα (398a5), οὐκ (399d1), e τι (401a6). La loro presenza permette di individuare con sicurezza i discendenti di O, che omettono sistematicamente queste parti di testo. Prima di passare in esame la discendenza di O, sarà tuttavia utile occuparsi del capostipite del secondo ramo tradizionale che si stacca da A, ossia il Parisinus graecus 1808 (Par).

Par: Parisinus graecus 1808 [n° 128 Wilson], ff. 348r-353v XI s.,126 cartaceo, vergato a Costantinopoli nell’ambito della cancelleria imperiale.127 Il codice restò nella capitale fino alle soglie del XIV s., come suggerisce il fatto che costituì il modello per le citazioni di Platone contenute

125 Cf. Petrucci (2013), 187–188 e n. 22. 126 La retrodatazione di Brockmann (1992), 162, è ormai unanimemente accettata, contro l’ipotesi originaria (XIII s.): la stessa mano verga il Vind. phil. gr. 315 dei Magna Moralia: cf. Brockmann (1993), 53. 127 Cf. Pérez Martin (2005), 116–117.

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nelle Eclogae di Thomas Magister;128 un passaggio per Chora è poi suggerito dall’uso che ne fece Planude per i compendia platonici presenti nella Συναγωγή.129 Un secolo più tardi lo ritroviamo al monastero di Prodromo Petra, dove Georgios Baiophoros (RGK I 55, II 74, III 90)130 ne verga il πίναξ (f. Av) e interviene a restaurare il testo ai ff. 350v-369r; giunse poi a Venezia, nella biblioteca di Domenico Grimani,131 prima di essere acquistato da Jean Hurault de Bostaillé nel 1562, che lo ricevette da Nicolao Turrisano (RGK I 319, II 438, III 520).132 Come il resto della collezione dell’ambasciatore, dopo essere passato al cugino Philippe, nel 1622 entrò infine a far parte della biblioteca reale francese.133 Il codice contiene le prime sette tetralogie, vergate a partire dal veneto T, con ogni probabilità senza passaggi intermedi,134 più l’Appendix (senza le Definizioni). I νοθευόμενοι seguono il Menesseno alla metà del f. 340v. Unico spartiacque, prima dell’inscriptio della sezione degli spuri, l’indica-

128 La vicinanza è registrata da Carlini (1972), 166–168, e corroborata da Ferroni (2015), 68–69. Non molte informazioni ci offre la curiosa presenza di annotazioni cirilliche di XII-XIII s. a margine dei ff. 25r-34v (Phd. 64b4–89b10), riproducenti spezzoni del testo di uno sticherario mediobulgaro per il mese di settembre: cf. Bruni (2016). 129 Il primo a sostenere la dipendenza della Συναγωγή da Par fu Diller (1937) [=(1983), 342–347]; la situazione in verità è più complessa e coinvolge altre fonti e altre linee tradizionali, ma il ruolo del codice parigino sembra comunque centrale: si veda il quadro dettagliato ricostruito da Ferroni (2015), 72–81. 130 Cf. Cataldi Palau (2008), 275 [=(2008b), 293] [n° 15]. 131 Jackson (2008), 168 [n° 374]. 132 Jackson (2004), 239 [n° CLXVIII (27)]; nota al fr. 1r, ex bibliotheca J. Huralti Boistallerii emptus aureis 35 a Nicolao Graeco 1562. 133 Cf. Laffitte (2008), 42–47 e 54 [n° 53]. 134 La dipendenza di Par da T è accertata dagli studiosi a partire da Schanz (1877), 47–52. Sui singoli dialoghi si vedano poi Nicoll (1966), 76 (Apologia); Berti (1969), 412–413 (Critone), Carlini (1972), 166–167 (Fedone), Philip (1968), 292– 293 (Sofista), Moreschini (1965), 179 (Parmenide), Brockmann (1992), 162–167 (Simposio), Moreschini (1966), 14 (Fedro), Carlini (1964), 17–19 (quarta tetralogia), Joyal (1998), 10–11 (Teage), Murphy (1990), 318 (Carmide); Martinelli Tempesta (1997), 32–36 (Liside), Díaz de Cerio, Serrano (2005), clii-clv (Protagora), Díaz de Cerio, Serrano (2001), 335–338 (Gorgia), Vancamp (2010), 20–21 (Menone), Vancamp (1995), 18–21, e (1996a), 37–38 (i due Ippia), Ferroni (2006), 22– 27, e Ferroni (2018), li (Ione). Sulla presenza di un passaggio intermedio la critica tuttavia si divide e la questione rimane aperta: una rassegna ragionata delle posizioni è in Martinelli Tempesta (1997), 34–35, e (2003), 46–47 (con n. 170), cui andranno però confrontati gli argomenti di Ferroni (2015), 68, che sottolinea accordi in errore con le altre due ‘famiglie’ della tradizione platonica nel Fedone.

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zione τέλος τοῦ πρώτου βιβλίου, recepita da T, che a sua volta la trovava nel suo modello (il primo tomo, perduto, di A). La fonte per il testo degli spuri, ad oggi poco indagato, è secondo Schanz135 lo stesso A. L’ipotesi è poi ripresa da Post,136 che tuttavia mostra ricorrenti incertezze in proposito.137 Se Par è copia parziale di T e di A, possiamo riconoscere nel progetto del codice un tentativo di ‘ricomporre’ l’edizione in due tomi cui ambo i manoscritti fanno capo, ma con una variazione importante nella disposizione del materiale. L’innovazione di Par si può spiegare in vari modi: si può pensare che lo scriba, volendo confezionare una raccolta completa dell’opera di Platone, sia giunto al Menesseno e abbia inserito gli spuria come riempitivo, prima di vergare l’ottava tetralogia in un secondo tomo per noi perduto (o mai esistito); in alternativa si può immaginare che il codice escludesse ottava e nona tetralogia perché erano già disponibili in un altro manoscritto in possesso del committente; in ambo i casi, si tratta di speculazioni e non molto si può dire, se non che la disposizione peculiare del contenuto di Par è un indizio utile per individuarne la discendenza: certo tutti i codici che presentano la sequenza Tetr. I-VII + Spuria si dovranno ricondurre – direttamente o indirettamente – al nostro parigino.138 Per quanto riguarda la dipendenza da A della seconda parte, contenente i νοθευόμενοι, gli argomenti portati da Post sono in generale convincenti. L’esame dell’Erissia è del tutto coerente con il quadro disegnato dallo studioso, che proprio dall’Erissia traeva peraltro le prove più forti sulla dipendenza di Par da A e sulla sua indipendenza da O. In particolare è significativa la disposizione dell’inscriptio. Il titolo alternativo ἢ Ἐρασίστρατος, che in A compare a margine sovrastato dalla nota ἐν ἄλλῳ, porta allo scioglimento ἢ Ἐρασίστρατος ἐν ἄλλῳ in O e a quello ἐν ἄλλῳ ἢ Ἐρασίστρατος in Par (negli apografi modificato variamente, di regola con l’omissione di ἤ o con la sua trasposizione prima di ἐν ἄλλῳ). La lontananza da O è peraltro confermata dal fatto che quasi nessuno degli errori singolari di O si ritrova in Par. Quasi nessuno, dal momento che vi sono due eccezioni a prima vista inquietanti: 1) a 398d4, ἔγωγε di Par ripete l’errore di O, l’incomprensione di una correzione di Ac sul margine: γε da sostituire all’insensato ἐγώ. 135 Schanz (1879), 363–364. 136 Post (1934), 52–55; cf. anche Menchelli (2015), 79 [=(2016), 96], che si esprime più prudentemente e indica Par come «riconducibile ad A, per quanto riguarda gli spuri, indipendentemente dalla linea tradizionale di O» (corsivo mio). 137 Si veda Post (1934), 53: «alternatively B [scil. Par. gr. 1808] may derive from a manuscript very close to A, but not from A itself». 138 Cf. ancora Post (1934), 53.

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2) sia in O sia in Par è omessa la pericope συνέφη μὲν ταῦτα εἶναι χρήματα, a 401e12, che è conservata dal solo A. Come spiegare questi due casi, dal momento che il resto della situazione su Par non è compatibile con una derivazione da O, e siamo peraltro sicuri dell’assenza di un intermediario tra A e O che possa aver fatto da modello comune a O e Par e in cui si siano verificate queste due corruttele? Le pagine di Post offrono soluzioni parziali, o poco argomentate. Vale la pena di fare un tentativo ulteriore, pur nella consapevolezza che nessuna ricostruzione sia davvero al riparo dal dubbio. 1) come abbiamo accennato poco sopra, trattando degli errori di O, ἔγωγε deriva dalla scorretta interpretazione di una nota marginale di Ac, un γε da sostituire all’insensato ἐγὼ nel rigo. Se in Par troviamo la stessa situazione si può pensare, come fa Post,139 a una poligenesi, ma non è l’unica via. Abbiamo visto che A e O furono conservati a lungo nello stesso scriptorium. Il copista di Par, o del suo modello (su questo torneremo a breve), può essersi fatto lo scrupolo di verificare su O al fine di comprendere il senso di una nota marginale che non capiva sul suo antigrafo principale. Sul folium di O ἔγωγε è eraso, e non si trova negli apografi, ma può darsi fosse ancora presente al momento della copiatura di Par (o del suo modello): è una delle rasure che abbiamo attribuito a O5, correttore con ogni verosimiglianza successivo ad A3/O3 ma intervenuto prima della copia dei primi apografi. Se ἔγωγε era su O, il copista di Par (o del suo modello), ignaro dei rapporti genealogici, avrebbe potuto interpretare il γε di Ac come un’indicazione volta a ripristinare ἔγωγε: certo sorprende, per una mano tanto attenta da spingersi ad una collazione, la totale mancanza di preoccupazione per il senso. 2) Non certo di contaminazione può trattarsi per la lacuna a 401e12. Per spiegare questo dato, tenendo ferma l’ipotesi di lavoro fondamentale, l’unica strada è la poligenesi, strada peraltro già percorsa da Post, che indica il passo come caso esemplare di poligenesi nel saut du même au même.140 Il fatto che la mise en page di A non permetta di corroborare l’interpretazione portando sul tavolo motivi ‘meccanici’ quali il salto di un rigo non deve turbare eccessivamente. Infatti, si tratta di ben più di 139 Post (1934), 52: «this is a useful warning that omissions, when there is homoioteleuton as here, do not afford conclusive proof of the connection of manuscripts»; sull’homoioteleuton torneremo poco oltre, si noti tuttavia che Post non esclude una forma di contatto con O, e continua «but perhaps this should be added to the evidence that B is influenced by O». Una contaminazione da O o da un suo discendente è ipotizzata ora anche da Beghini (2020), 108–109. 140 Cf. nota precedente.

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un «homoioteleuton», come dice Post: la sequenza interessata comprende ben tre parole, ταῦτα εἶναι χρήματα. Sarà utile, per chiarezza, riportare il passo intero, sottolineando la parte caduta veramente nel salto (401e10–12): “φαίνεται ἄρα ἡμῖν, ὡς ἔοικεν, τὰ πρὸς ταύτην τὴν πραγματείαν χρήσιμα τῶν πραγμάτων ταῦτα εἶναι χρήματα”. συνέφη μὲν ταῦτα εἶναι χρήματα. Se in generale nella ricostruzione stemmatica l’ipotesi poligenetica è inevitabilmente sospetta, tanto più per innovazioni significative quali le omissioni, in presenza di dati tra di loro coerenti e orientati in una direzione precisa il critico dovrà rassegnarsi ad ammettere la plausibilità di un accadimento testuale di per sé non ingiustificato, per quanto certamente singolare.141 Della dipendenza da A, non mediata da O, si è detto. Come ci si attende, Par presenta gli errori di A e ne aggiunge di propri, di cui alcuni particolarmente importanti per individuarne la discendenza: 393a5

ἐρωτᾶν A O : ἐρωταῖν Par

393b4

τυγχάνοι A O : τυγχάνει Par

395b4

ἀντιφέρωσιν A O : ἀντιφέρουσιν Par

398e5

οἶσθα A O : ἦσθα Par

399b2

διελέχθαι A O : διειλέχθαι Par

399e2

ὁ φάσκων A O : om. Par

401a1

ἦ A O : ἧ Par

403b7

ἐπιστήμονες A O : ἐπιστημόνως Par

403b8

μόνον … μόνοις A O : μόνοις … μόνον Par

405d4

ἐστὶν A O : om. Par

Abbiamo già avuto modo di osservare142 come su Par si trovino quasi tutte le correzioni di A4. Oltre a recepire le modifiche su A, il copista di Par presenta piccoli ma costanti miglioramenti al testo del proprio modello, ta-

141 Un’alternativa sarebbe immaginare che il copista di Par (o del suo modello) abbandoni temporaneamente A per seguire, per poco, O come antigrafo principale. Ma per quale motivo? E per quale estensione? A 401d5, pochi righi prima, Par non riproduce l’errore di O, διψᾷ, ma presenta il corretto διψῷ, che si trova su A. Non è certo una spiegazione più facile, né di principio più verosimile. 142 Cf. supra.

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La discendenza di A

lora modificandone lievemente il dettato. Troviamo sempre τί δέ in luogo di τί δαί di Ac ed altre piccole sistemazioni grafiche su nomi propri (397c7: Λυκείῳ Par, Λυκίῳ A O; 397d1: Κεῖος Par, Κῖος A O)143 e forme verbali.144 La derivazione da A è quindi ormai, credo, solidamente provata, con l’indipendenza da O. Bisogna tuttavia evitare di dare per scontato che tale derivazione sia diretta. Di massima le circostanze possono portare verso un’altra ipotesi di lavoro. Se T originariamente conteneva l’opera di Platone per intero,145 inclusi gli spuria, Par poteva aver continuato a usare il medesimo modello, anticipando i νοθευόμενοι per una delle ragioni indicate sopra. L’ipotesi, che è esplicitata da Diller,146 non è stata percorsa a fondo dalla critica: essa potrebbe dare ragione di alcune peculiarità nell’Appendix, come la versio auctior dello scolio a De iusto 374a8-b1 (spiegazione del proverbio πολλὰ ψεύδονται ἀοιδοί e fonte della sua attribuzione a Solone), che si trova solo su Par (f. 341r) e non su A (f. 325v), che riporta una nota marginale molto più succinta. La tendenza ad aggiungere materiale erudito – in particolare di origine paremiografica – si riscontra in T per i folia del Clitofonte e del principio della Repubblica,147 dove, come s’è detto, il modello è A; ciò spinge a considerare la possibilità che Par trovasse in T la versio auctior che riporta e che, quindi, anche gli spuria siano copiati da T, o meglio dalla seconda parte di T che noi non possediamo (T2). Una situazione del tutto simile si riscontra peraltro per alcuni scoli all’Assioco.148 Non è questa l’unica spiegazione possibile, tuttavia, e il materiale può essere giunto su Par

143 La correzione di Στιριεύς in Στειριεύς (392a2) nasce forse dal confronto con lo scolio, in cui troviamo Στειριεῖαι (p. 407 Greene). 144 392a2: προσηλθέτην Par, προηλθέτην A O (correzione operata indipendentemente anche dalla seconda mano del vaticano J, cf. Post (1934), 25–27, e poco sotto le pagine dedicate a J); 392d10: ἀδολεσχήσοντα Par, ἀιδολεσχήσοντα Ac; 393b1: ἠρόμην Par, ἠιρόμην A; 397e1: ἐγὦιμαι Par, ἐγὦμαι A. Cf. anche 395c2 (ὥσπερ εἰ Par : ὡς περὶ A) Che su Par si intravedano le tracce di un intervento dotto bizantino è già notato da Carlini (1972), 166–168; su una interessante quanto infelice congettura di Par all’Assioco (370c1) si sofferma Menchelli (2015), 84–90 [=(2016), 102–108]. 145 Così pensa Diller (1980), 324 e n. 10, con il calcolo dei folia che avrebbero potuto contenere in T il secondo tomo. 146 Cf. Diller (1983), 255. 147 Cf. Diller (1980), 324. 148 Cf. Beghini (2020), 107–108, n. 277. Per l’Assioco manca tuttavia la testimonianza di O, che non è forse ignorato dal copista di Par (si veda poco sopra, per 398d4, ἔγωγε): come abbiamo visto, un lavoro di O2/O4 sull’Assioco non è impossibile, visto l’interesse che il dialogo suscitò in epoca bizantina, e il materiale scoliografico si disperde fortemente negli apografi del Vaticano; cf. supra.

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La tradizione bizantina

anche per iniziativa del copista di Par, ma certo la ricostruzione è attraente e di conseguenza porterebbe a restituire a T2 almeno una parte delle innovazioni (in positivo e in negativo: ad esempio la lacuna sopra citata) che troviamo sui folia di Par, nonché il rapporto con A4 che abbiamo osservato.149 Purtroppo, si tratta di una restituzione fortemente speculativa, visto che non sappiamo neppure se T2 esistesse e cosa contenesse di preciso. Vi è, peraltro, anche qualche indizio contrario che non va ignorato. Un esempio singolare è a De virtute 379c2: qui il copista di A scrive γίγνοιτ’ (f. 327v), ma A4 interviene a mutare in γίγνοιντ’ inserendo con il suo tratto chiaro un ν lungo e strettissimo, quasi invisibile, nel rigo, fra ι e τ. Il copista di Par (f. 343r), inizialmente, non si accorge della correzione, e sta scrivendo τ: all’improvviso resosi conto del ritocco di A4 modifica il τ in ν e va avanti, senza cancellare nulla. Le tracce del ripensamento sono ben visibili. Immaginare un intermediario significherebbe pensare che la situazione su A abbia creato problemi già al copista di T2, problemi che poi si sono ripercossi su Par. Non è impossibile, ma certo costituisce spiegazione meno semplice della situazione sul parigino di quanto non sarebbe un accesso diretto ad A. Possiamo lasciare in una certa misura aperto il problema legato alla fonte, che non mette in dubbio le acquisizioni fondamentali raggiunte sull’ascendenza di Par, ossia la dipendenza da A e l’indipendenza da O, e per la cui soluzione non si trovano nel testo dell’Erissia indizi dirimenti. Per l’Erissia, le carte di Par presentano inoltre una serie di interventi volti a ripristinare il testo di A da corruttele lievi generate durante la copiatura. Il problema della distinzione delle mani successive sul codice è complesso, anche a causa di una certa somiglianza degli inchiostri e dell’esiguità della maggior parte degli interventi; peraltro, la critica ha osservato che la situazione è differente di dialogo in dialogo, così che è difficile avanzare considerazioni complessive.150 Sono tuttavia individuabili una serie di interventi molto vicini alla copiatura, normalmente indicati con il siglum Par2, di cui si trova traccia in tutti gli apografi, nonché alcuni altri, siglati Par3, opera di un correttore intervenuto in un secondo tempo, e reperibili solo in alcuni dei discendenti. Nei folia dell’Erissia tanto la distinzione analitica quanto l’osservazione paleografica permettono di isolare un solo intervento sicuramente opera di Par3, ossia la trasformazione di τυγχάνει in τυγχάνοι a 394d4: il ritocco, che mostra un inchiostro più scuro e grigiastro

149 Giunge a conclusioni convergenti, per l’Assioco, Beghini (2020), 109–110. 150 Le proposte più approfondite per una stratigrafia scrupolosa delle mani correttrici su Par restano quelle di Martinelli Tempesta (2003), 48–53, e Díaz de Cerio, Serrano (2001), 338–341.

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La discendenza di O

rispetto a quello del copista (e di Par2, che forse è il copista stesso) si riscontra solo nella linea del Parisinus graecus 1809 (C) e nel Laurentianus 59, 1 (a), ossia i codici dell’Erissia che fanno parte anche per altri dialoghi del gruppo copiato da Par dopo Par3. I dettagli saranno discussi durante la trattazione dei singoli manoscritti. Invece, la correzione su Par di τούτοις in τούτους a 393e7, che ripristina il testo di A da una corruttela distintiva del ramo, non è recepita da alcuno degli apografi ed è di conseguenza difficilmente assegnabile ad una mano o a un periodo.

La discendenza di O Derivano da O direttamente J, R e Vind. Da J derivano, indipendentemente, K e L; da K, infine, tramite intermediari, derivano Z ed Esc.

J: Vaticanus graecus 1031 [n° 210 Wilson], ff. 156r-163v XIV s. in., cartaceo, forse dalla biblioteca del Patriarcato, come suggerisce l’identificazione della mano di Georgios Galesiotes in alcuni folia incoerenti con il resto del codice (ff. I-II e 113r-v);151 appartenne a un membro non meglio precisato della famiglia Crisolora come attestato al f.6r dalla nota di possesso Xρυσολωρᾶ.152 Il codice, terribilmente rovinato dall’umidità, è stato sottoposto a un restauro che ha causato la perdita di buona parte dei margini. Il contenuto è il medesimo di O, fatta eccezione per la trasposizione dell’Assioco al principio della sequenza dei νοθευόμενοι, operazione che riflette la rinnovata fortuna del dialogo in età paleologa.153 La dipendenza da O per le Leggi è me-

151 Bianconi (2005a), 169–171. 152 Post (1934), 17, pensava a Giovanni Crisolora, nipote di Manuele e patrigno di Francesco Filelfo, forse sulla scorta di Mercati (1931), 102, n. 4; l’informazione è ripetuta da Berti (1992), 72. Pontani [A.] (1999), 264, suggerisce invece si tratti di una nota di possesso di Manuele, ma non autografa. 153 Sulla fortuna dell’Assioco a Bisanzio, cf. Beghini (2020), 141–143. Lo stesso spostamento avviene nel ramo di Par, nel codice Vind. phil. gr. 21 (Y), dove peraltro l’Erissia non è copiato, come accade in uno degli apografi di J, il Laurentianus conventi soppressi 78 (g); cf. Menchelli (2014), 179. La caduta del dialogo in questi codici è da ritenersi con ogni probabilità poligenetica: cf. Beghini (2020),

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La tradizione bizantina

ticolosamente argomentata da Post.154 Per l’Erissia la derivazione è evidente. In primo luogo, J non presenta a testo le parole che sui folia di O sono omesse o cancellate in rasura: 395b8 (μὲν τοιαῦτα), 397b3 (2τῶν), 397c7 (ἐγὼ), 397d3 (τὸ), 398a5 (ἆρα), 398d4 (ἔγωγε), 399d1 (οὐκ). Gli errori di O ritornano quasi tutti155 sui fogli di J: 392c5

ὀργίζοιντο A : ὀργίζοιτο O J

394b6

πάθοι ἂν A : πάθοιεν ἂν O J

401d5

διψῷ A : διψᾷ O J (corr. J2 s.l.)

404c7

διὰ λόγου A : διαλόγου O J (corr. J2)

J aggiunge poi una serie di innovazioni proprie, tra cui alcune omissioni cui rimedia talora il copista stesso (Jc): 392d7

αὐτὴ A O : αὐτοὶ J (corr. J2 s.l.)

392c5

τούτων om. J (add. Jc i.m.)

393b2

ὅτῳ ον A O : ὅτῳ ὄντα J

393b6

ὅσου A O : ὅσον J

393e5

δοκεῖ om. J

394d3

ἔχοι A O : ἔχει J

394e7

τοιουτοτρόπων A O : τοιοτοτρόπων J

395a1

ὑποβλέψας A O : ὑποκλέψας J (corr. J2 s.l.)

395c7

ἔφη A O : ἔφην J

396a7

οἷός τ’ ᾖ A O : οἷός τ’ ἦ J

397d7

ἔχοις A O : ἔχεις J

111, n. 285, e 121, n. 314. Su J si riscontra poi l’aggiunta, tra le Epistulae e gli Ὅροι (f. 192v-193r), di un corto estratto di Aezio Amideno (III 164): la scoperta è di Beghini (2020), 103, n. 257. 154 Post (1934), 15–18; cf. anche Moore-Blunt (1985), viii (Lettere), Petrucci (2013), 201 (Epinomide), Menchelli (2015), 78, n. 113 [=(2016), 95 n. 25], e Beghini (2020), 103 (Assioco). 155 Fa eccezione la correzione banale di Λυκίῳ in Λυκείῳ su J a 397c7; la lezione corretta φαίνονται (400c3) a fronte di φαίνωνται di O è probabilmente da interpretare non come congettura ma come fortunato esito di un errore simile a quelli a 394d3 e 401c5.

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La discendenza di O

398a5

εἰ ... ποιήσειεν om. J (add. Jc i.m.)

399b3

ἀντιλέγοντα A O : λέγοντα J (ἀντι add. Jc s.l.)

400d4

2τῶν

400e9

ἐκομισαίμεθα A O : ἐκομισάμεθα J (corr. J2 s.l.)

400e9

ὅσων A O : ὅσον J

om. J (add. J2 s.l.)

401a6

τι om. J

401c5

ἔχοιμεν A O : ἔχομεν J

401d3

εἰ om. J (add. J2 s.l.)

401d8

ἐνδεεῖς A O : ἐνδεῆς J

402c3

ἡμῖν om. (add. Jc i.m.)

402c4

ἀλλὰ ... χρήσιμα om. J (add. Jc i.m.)

402e4

ἐκπορίζονται A O : ἐκπορίζωνται J (corr. Jc in ras.)

403b8

εἴ γε A O : εἰ δέ γε J

404a4

ὑπάρχοι A O : ὑπάρχει J (corr. Jc s.l.)

404d1

τὸ ἀκούειν A O : τοῦ ἀκούειν J

404d2

τῷ ἀκούειν A O : τὸ ἀκούειν J

404d6

διὰ τῆς A O : διδακτῆς J

405b5

δυσπίστως A O : δ’ ἀπίστως J

Su J sono reperibili alcune correzioni, ad opera di una seconda mano (J2) che si incarica anche di copiare i marginalia. Come è stato mostrato da Post, esse intervengono dopo la copiatura del primo apografo, il Marc. gr. 188 (K), che non le recepisce, ma prima di quella del Laur. 80, 17 (L)156 e del Laur. conv. soppr. 78 (g).157 Almeno quattro di esse sono preziose, in quanto correggono errori già presenti in A: 392a2

Στιριεύς A O J : Στειριεύς J2 s.l.

392a2

προηλθέτην A O J : προσηλθέτην J2 s.l. (158)

392d9

ἁπλᾶ τὰ A O J : ἄπλετα J2 s.l.

156 Post (1934), 24–28, con altri casi simili negli altri dialoghi. 157 Come già accennato, g non ha l’Erissia, tuttavia la ricezione delle correzioni di J2 è riscontrabile sui folia del codice contenenti l’Assioco, un dato non registrato da Post: cf. Beghini (2020), 111, n. 285. 158 Il σ supra lineam si intravede appena, a causa dello stato pessimo della carta.

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La tradizione bizantina

398e11

ἀμυνόμενος A O J : ἀμυνούμενος J2 s.l.

Altrove la mano si limita a ripristinare falle e omissioni sopravvenute nella copia di O e di J: 392d7

αὐτὴ A O : αὐτοὶ J (corr. J2 s.l.)

395a1

ὑποβλέψας A O : ὑποκλέψας J (corr. J2 s.l.)

400d4

2τῶν

400e9

ἐκομισαίμεθα A O : ἐκομισάμεθα J (corr. J2 s.l.)

401d5

διψῷ A : διψᾷ O J (corr. J2 s.l.)

om. J (add. J2 s.l.)

Queste correzioni sono testimonianza per J2 di una certa erudizione, il cui esempio più chiaro è tuttavia da riscontrarsi nello scolio a 396a7, οἷός τ’ ἦ (innovazione di J per οἷος τ’ ᾖ di O). Alla nota ἀντὶ τοῦ οἷός τ’ εἰμί, che fa parte della tradizione di A, J2 aggiunge la citazione dei vv. 76–77 del Pluto di Aristofane, introdotta dalla stringa ‘οἷός τε ἦν’, καὶ παρὰ τῷ Ἀριστοφάνει. Il riferimento è alquanto brachilogico, ma si può scorgere una spiegazione plausibile, già intravista da Post.159 J2 spiega la forma οἷός τ’ ἦ nel senso di οἷός τ’ ἦν, interpretando ἦ – quale che sia la sua vera origine nel folium di J – come forma attica della prima persona singolare dell’imperfetto: come sappiamo dagli scoli ad Aristofane, una forma simile di oscillazione era presente proprio nel passo indicato da J2 per ἦν, nell’espressione ἅ κρύπτειν ἦν παρεσκευασμένος: il verbo era riportato anche nella forma ἦ (Sch. vet. in Ar. Pl. 77α, β, γ, p. 22 Chantry; cfr. anche Sch. rec. in Ar. Pl. 77d, p. 29 Chantry, con la spiegazione dei grammatici bizantini). Come abbiamo già anticipato, J si configura come uno snodo importante nella tradizione della sezione di corpus che contiene: per l’Erissia si contano due apografi, rispettivamente il Marcianus graecus 188 (K) e il Laurentianus 80, 17 (L).

159 Post (1934), 26.

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La discendenza di O

K: Marcianus graecus Z 188 (coll. 1022) [n° 228 Wilson], ff. 145r-152v XIV s.,160 cartaceo, appartenuto a Giorgio Gemisto Pletone, cui sono attribuibili alcuni interventi di correzione e numerose rasure,161 e poi al Bessarione,162 entrò a far parte del fondo più antico della Biblioteca Marciana.163 Il codice ha subito numerosi danni, tra cui una precoce esposizione all’acqua164 e la caduta di un quaternione, contenente l’ultima parte dell’Epinomide (da 988b1), gli interi Assioco, De iusto e De virtute, e la prima parte del Demodoco (fino a 380a7).165 I contenuti di K sono gli stessi di J, di cui il codice marciano segue anche l’ordine di presentazione degli spuria, l’Assioco in testa. Proprio la sezione contenente l’Assioco e i dialoghetti De iusto e De virtute è interessata dalla caduta di fascicoli summenzionata. Come è stato notato,166 K è copia diretta di J prima dell’intervento di J2. Il valore assegnato agli interventi del correttore chiamato K2 o Kc è stato in parte ridimensionato in seguito all’identificazione della mano di Pletone.167 Per l’Erissia la dipendenza da J

160 Cf. Mioni (1981), 300, Pagani (2006), 13, n. 25, e Petrucci (2013), 201. 161 L’attribuzione è merito di Pagani (2006); un’analisi sistematica delle rasure di Pletone, con un tentativo di ricostruzione delle loro ragioni, si trova in Pagani (2008a), 23–27, e (2009), 176–199. Lo studioso, tuttavia, non prende in considerazione l’Appendix: elementi di una recensio pletoniana nel De virtute erano esaminati, prima dell’identificazione della mano su K, da Müller (1979) [=(1999), 630–648], sulla base della testimonianza del Par. gr. 3009 (Z), per cui cf. infra. Gli interventi sui folia dell’Epinomide sono poi indagati da Petrucci (2013), in particolare 288 e 293–295. 162 Cf. Mioni (1976), 280. 163 A 421 = B 528 = C 121 = D 163 Labowsky. 164 Che il contatto con l’acqua sia avvenuto in una fase molto antica della vita del codice è argomentato da Pagani (2006), 13, n. 25, che osserva come i folia integrati dal Bessarione non presentino danneggiamenti. 165 Le sezioni mancanti dell’Epinomide e del Demodoco sono state poi aggiunte dal Bessarione tramite l’inserzione di un bifolio; cf. Mioni (1976), 280 e (1981), 300; cf. anche Petrucci (2013), 201. 166 Cf. Post (1934), 18–19, e Des Places (1936), 241–243 (Leggi); Moore-Blunt (1985), viii-ix (Lettere); Beghini (2020), 111–112 (Assioco). 167 Le correzioni erano state già notate da Post (1934), 20–22 e 105–107; la loro importanza è riaffermata dalla critica, cf. Des Places (1936), 241–243, e (1946), 28; Tarán (1975), 173–174; Moore-Blunt (1985), viii-ix; un bilancio è offerto ora da Petrucci (2013), 202–203, che sottolinea il peso dell’attribuzione sulla valutazio-

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La tradizione bizantina

è facilmente dimostrabile. Sui folia di K troviamo infatti le peculiarità del padre,168 compresi gli errori in seguito corretti su J dalla seconda mano:169 392d7

αὐτὴ A O : αὐτοὶ J K

393b2

ὅτῳ ον A O : ὅτῳ ὄντα J K

393b6

ὅσου A O : ὅσον J K

393e5

δοκεῖ om. J K

394d3

ἔχοι A O : ἔχει J K

395a1

ὑποβλέψας A O : ὑποκλέψας J (corr. J2 s.l.) K

395c7

ἔφη A O : ἔφην J K

397d7

ἔχοις A O : ἔχεις J Κ

400c3

φαίνωνται A O : φαίνονται J K

400e9

ἐκομισαίμεθα A O : ἐκομισάμεθα J (corr. J2 s.l.) Κ

400e9

ὅσων A O : ὅσον J K

401a6

τι om. J K

401c5

ἔχοιμεν A O : ἔχομεν J K

401d3

εἰ om. J (add. J2 s.l.) K

401d5

διψῷ A : διψᾷ O J (corr. J2 s.l.) K

401d8

ἐνδεεῖς A O : ἐνδεῆς J K

404d1

τὸ ἀκούειν A O : τοῦ ἀκούειν J K

404d2

τῷ ἀκούειν A O : τὸ ἀκούειν J K

404d6

διὰ τῆς A O : διδακτῆς J K

405b5

δυσπίστως A O : δ’ ἀπίστως J K

ne degli interventi: essa «conferisce loro un forte interesse storico, ma al contempo indebolisce la loro credibilità (a fronte della tradizione offerta da A) nel quadro della constitutio textus: con ogni probabilità ampiamente congetturale, la διόρθωσις pletoniana deve essere di volta in volta sottoposta a vaglio critico, e molto difficilmente può rivendicare validità tradizionale». 168 Per ragioni di sintesi non darò conto, qui e per gli altri apografi di J, della ricezione delle peculiarità comuni alla linea di O. 169 K scrive tuttavia correttamente τοιουτοτρόπων (394e7) a fronte di τοιοτοτρόπων di J, ma la correzione è estremamente banale; più curiosa l’omissione di γε, aggiunto in J, dopo εἰ δὲ (403b8), ma per particelle di questo genere l’instabilità non sorprende.

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La discendenza di O

K aggiunge poi i seguenti errori propri: 394a4

καὶ εὐδαιμονέστατοι καὶ πλουσιώτατοι A O J : καὶ εὐδαιμονοῦντες καὶ πλουσιώτατοι καὶ εὐδαιμονέστατοι K

395a4

ὁμολογήσαις A O J : ὁμολογήσης K

395c3

τοῦ A O J : οὐ K

396a2

ἐφαίνετο A O J : ἐφαίνητο K

396a5

αὐτὸς … ἱππικὸς A O J : αὐτοῖς … ἱππικοῖς K

397b6

ἐξαμαρτάνειν A O J : διαμαρτάνειν Κ

398b2

ταῦτα A O J : τοιαῦτα K

399b6

δοκῶν A O J : δοκοῖ K

399c1

δοκοῖ A O J : δοκεῖ K

399c7

δοκεῖ A O J : δοκεῖς K

401e4

ἕνεκεν A O J : ἕνεκε K

401e10

φαίνεται A O J : φαίνηται K (bis)

402b1

φαίνεται A O J : φαίνηται K

402b7

ἐνδείας A O J : αἰτίας K (γρ. ἐνδείας)

403e1

οἰκοδομικοῖς A O J : οἰκοδομοῦσι K (γρ. οἰκοδομικοῖς)

405e12

ἕξει A O J : τάξει K

406a12

φαίνεται A O J : φαίνηται K

Pletone non sembra essersi interessato affatto dell’Erissia, un dato che non sorprende e che si colloca nella generale sfortuna del dialogo in età bizantina: sui folia dell’Erissia non vi sono interventi che si possano assegnare alla sua mano.170 Si può riscontrare soltanto una sporadica attività diortotica da parte del copista stesso (Kc), peraltro non sempre molto felice: 396c5

διαφέρεσθε A O J K : διαφέρεσθαι Kc αι s.l.

399d6

δύνασθε Ac O J K : δύνασθαι Kc αι s.l.

La medesima mano segna a margine i due γράφεται che recuperano la lezione corretta del modello a 402b7 e 403e1 (ἐνδείας e οἰκοδομικοῖς, per le

170 Un intervento sull’Assioco si può invece ricostruire sulla base degli apografi: per la complessa ricostruzione si veda Beghini (2020), 113–115.

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La tradizione bizantina

lezioni errate αἰτίας e οἰκοδομοῦσι). In generale, per la constitutio il contributo di K è quindi del tutto trascurabile. Tuttavia, come la critica ha mostrato, il codice è foriero di una notevole discendenza; gli unici due esemplari che ci interessano nel gruppo che a K fa capo sono il Parisinus graecus 3009 (Z) e l’Escorialensis Ψ I 1 (gr. 240)(Esc), in quanto si tratta degli unici testimoni contenenti l’Erissia.171

Z: Parisinus graecus 3009 [n° 147 Wilson], ff. 219r-230r XV s. ex.,172 cartaceo. Il codice conserva Platone (ff. 176r-235r, 239r-253v) insieme ad altri testi (tra cui le orazioni del corpus dioneo e l’Encomio di Elena di Gorgia). Copiato da due mani (a e b), di cui a verga soltanto i ff. 1r-30v, ossia i primi tre discorsi di Dione di Prusa e parte del quarto.173 La provenienza del codice è ancora imprecisata, anche se un legame con la terra d’Otranto e in generale con l’Italia meridionale è stato immaginato dalla critica.174

171 L’indagine di Müller (1979) [=(1999), 629–648], incentrata sul Περὶ ἀρετῆς, rintracciando una serie di interventi eruditi, ricostruisce la discendenza di K, attraverso un esemplare perduto (ψ) che avrebbe a sua volta generato due rami, da cui discendono da una parte Esc e il Monacensis graecus 490 (Mo), dall’altra Z e il Laurentianus 28, 29 (z): Beghini (2020), 112–113 (e note), aggiunge, per l’Assioco, il Vaticanus graecus 2236, di cui z sembra essere copia per il dialogo. Grazie agli studi di Martinelli Tempesta (2005) e di Pagani (2006) sappiamo che tanto la ‘redazione ψ’, quanto – e lo abbiamo già visto – le correzioni su K sono da attribuire alla ‘cura’ di Giorgio Gemisto Pletone. 172 Per la datazione, fondata sull’analisi delle filigrane, si vedano Menchelli (1995), 118, n. 33, e (2008), 115–116; ciò mette in discussione l’ipotesi tradizionale del XVI s., ancora seguita e.g. da Donadi (2016), xxxix, ed evidenzia la parentela con il Vaticanus palatinus 117, codice P di Dione, nato probabilmente nel medesimo milieu. 173 Cf. Verrengia (1999), 24 e n. 57. Descrizione completa in Menchelli (2008), 290. 174 Cf. Menchelli (2000b), 72, n. 55, che osserva abbreviazioni tipiche dei copisti otrantini, ma al tempo stesso somiglianze con la mano di Giano Lascaris, cui tuttavia la copia di Z non può essere attribuita a causa dello scarso livello del greco; cf. anche Menchelli (2008), 116, n. 67.

60 https://doi.org/10.5771/9783896659750

La discendenza di O

Le opere platoniche contenute sono l’epitafio del Menesseno,175 l’Epinomide,176 gli spuria nell’ordine del ramo di J, quindi con l’Assioco in testa,177 le Definizioni e alcune Lettere. La dipendenza indiretta da K individuata per il De virtute178 è confermata dai dati che si possono raccogliere per le Lettere179 e per l’Epinomide;180 in generale è vero che Z dipende dal testo di K prima della caduta del quaternione contenente la sezione da Epinomide (988b1) a Demodoco (380a7), così che per i dialoghi interessati dalla caduta, il manoscritto può essere utile a ricostruire l’intervento di Pletone.181 Peraltro, il codice è, secondo la ricostruzione di Müller, ‘cugino’ di Esc, dal momento che ambo i rami derivano da una copia di K realizzata probabilmente nella cerchia di Pletone (ψ). A conclusioni convergenti giunge l’analisi dello stato del testo di Z ed Esc sull’Assioco.182 Non sorprende che per l’Erissia il quadro tracciato per il De virtute sia sostanzialmente confermato (pur al netto del fatto che non esistono palesi interventi di Pletone nel nostro dialogo, come possiamo verificare direttamente su K). Per comodità si anticiperanno qui i risultati che coinvolgono anche Esc, al fine dimostrare la derivazione di ambo i codici da K ed eventuali tracce dei passaggi intermedi che la critica ha rintracciato. Il primo dato che va presentato è che ambo i codici presentano lacuna a 401e9–10, da ἂν a ὡς, in esatta corrispondenza di un rigo di K (f. 150r). La collazione di Z e di Esc mostra peraltro tendenziale presenza degli errori singolari di K, nonché degli errori di J, compresi quelli poi corretti da J2 (come vedremo, assenti in L): 392d7

αὐτὴ A O J2 L : αὐτοὶ J K Z Esc

393b2

ὅτῳ ον A O : ὅτῳ ὄντα J Κ Ζ Esc

175 Al f. 176r la rifilatura ha eliminato una parte di testo sopra l’inscriptio Ἐπιτάφιος Πλάτωνος πρὸς (sic!): le tracce sono di non facile interpretazione, ma suggeriscono che la sezione platonica fosse in qualche modo introdotta. 176 L’associazione dell’Epinomide all’Epitafio è singolare; ci sarebbe da chiedersi se non entri in ballo una forma di criterio alfabetico alle spalle di Z. 177 Il titolo, non rubricato, è però qui Κλεινίας (f. 198v). La sezione dei νόθοι segue l’Epinomide senza soluzione di continuità, e i titoli di De iusto, De virtute, Demodoco e Sisifo non sono riportati, per mancato intervento del rubricator (si salta anche qualche lettera incipitaria, come nel caso del Sisifo). Del Sisifo è tuttavia presente la subscriptio (f. 217r), e da qui in poi ritroviamo tutto. 178 Müller (1979) [=(1999), 629–648]. 179 Cf. Moore Blunt (1985), ix. 180 Cf. Post (1934), 18–19. 181 Cf. Petrucci (2013), 203. 182 Cf. Beghini (2020), 113–114, con note.

61 https://doi.org/10.5771/9783896659750

La tradizione bizantina

393b6

ὅσου A O : ὅσον J K Z Esc

393e5

δοκεῖ om. J K Z Esc

394a4

καὶ εὐδαιμονέστατοι καὶ πλουσιώτατοι A O J : καὶ εὐδαιμονοῦντες καὶ πλουσιώτατοι καὶ εὐδαιμονέστατοι K Z Esc

394d3

ἔχοι A O : ἔχει J K Z Esc

395a1

ὑποβλέψας A O : ὑποκλέψας J (corr. J2 s.l.) K Z Esc

395a4

ὁμολογήσαις A O J : ὁμολογήσης K Z Esc

396a5

αὐτὸς … ἱππικὸς A O J : αὐτοῖς … ἱππικοῖς K Z Esc

396c5

διαφέρεσθε A O J K : διαφέρεσθαι Kc αι s.l. Z Esc

397b6

ἐξαμαρτάνειν A O J : διαμαρτάνειν Κ Ζ Esc

399c1

δοκοῖ A O J : δοκεῖ K Ζ Esc

399d6

δύνασθε Ac O J K : δύνασθαι Kc αι s.l. Ζ Esc

400c3

φαίνωνται A O : φαίνονται J K Z Esc

401a6

τι om. J K Z Esc

401c5

ἔχοιμεν A O : ἔχομεν J K Z Esc

401d5

διψῷ A : διψᾷ O J (corr. J2 s.l.) K, διψᾶ Z Esc

401d8

ἐνδεεῖς A O : ἐνδεῆς J K Z Esc

402b7

ἐνδείας A O J : αἰτίας K Ζ Esc (γρ. ἐνδείας Κ i.m. Z i.m. Esc s.l.)

403e1

οἰκοδομικοῖς A O J : οἰκοδομοῦσι K Z (γρ. οἰκοδομικοῖς K Esc

i.m.

Z

i.m.)

404d1

τὸ ἀκούειν A O : τοῦ ἀκούειν J K Z Esc

404d2

τῷ ἀκούειν A O : τὸ ἀκούειν J K Z Esc

404d6

διὰ τῆς A O : διδακτῆς J K Z Esc

405e12

ἕξει A O J : τάξει K Z Esc

Si riscontrano poi, sia in Z che in Esc, alcune lezioni corrette a fronte di errori di K o di J, che devono quindi rimontare all’ascendenza comune, siglata ψ da Müller: si tratta di τοῦ Σωκράτους in luogo di οὐ Σωκράτους di K (395c3), ταῦτα in luogo di τοιαῦτα (398b2), δοκῶν in luogo di δοκοῖ (399b6), e ancora φαίνεται per l’errato φαίνηται di K (402b1). La presenza su Z, ma non su Esc, di εἰ omesso già da J a 401d3, sarà da assegnare invece all’antigrafo diretto di Z, mentre su ψ la particella era probabilmente assente. A ψ sono da assegnare poi sicuramente le seguenti innovazioni di cui si trova traccia sia in Z che in Esc:

62 https://doi.org/10.5771/9783896659750

La discendenza di O

393a2

οὗτος A J K Esc p.c. : οὕτως Z Esca.c.

393a5

νομίζει A O J K : νομίζειν Z Esc

393b4

τυγχάνοι A O J K : τυγχάνει Z Esc

394e7

τεχνῶν om. Z Esc

396b2

ἐχθρὼ A O J K : ἐχθρῶν Esc, ἐχθρὼν Z

396b4

μεγάλα A O J K : μεγάλως Z Esc

396c4

σπουδάζετε A O J K : σπουδάζεται Z Esc ( 183 )

396d5

ὅπως ἔχῃ A O J K : ὅπως τ’ ἔχῃ Z Esc

398c6

ἂν ante εὐχόμενος add. Z Esc

399b8

τυχὸν A O J K : τυχὼν Z Esc

399d1

ἐπεὶ A O J K : ἐπὶ Z Esc

400a1

νομίσματι A O J K : νομίσμασι Z Esc

400a2

τὸ μέγεθος A O J K : τὸ μέγιστος Z Esc

400d7

λυκνίτου A O J K : λικνίτου Z Esc

401b3

κτῆσις A O J K : χρῆσις Z (ἐν ἄλλῳ κτῆσις Z i. m.) Esc

401d4

πεινῷ A O J K : πινᾶ Z Esc

401e11

πραγματείαν A O J K Esc p.c. : πραγματίαν Z Esc a.c.

402d6

οἱ A O J K Esc : ἢ Z Esc s.l. (184)

402d7

ἐκπορίζονται A O J K : ἐκπορίζωνται Z Esc

402d7

τούτων A O J K : τούτον (sic!) Z, τοῦτον Esc

402e4

ἐκπορίζονται A O Jc ras. K : ἐκπορίζωνται Z Esc

403a7

τούτῳ A O J K : τοῦτο Z Esc

404d6

πορισθείη A O J K : προσθείη Z Esc

405b5

σφόδρα δυσπίστως A O : σφόδρα δ’ ἀπίστως J K, σφοδρ’ ἀπίστως Z Esc

405e5

τότε ante οὕτω add. Z Esc

183 Non è chiaro se si tratti di una correzione deliberata o di un errore, ma la lezione è congettura del Bessarione sul Marc. gr. 186 (U): si veda infra la sezione dedicata a questo codice. 184 La situazione fa pensare che in ψ fossero presenti ambo le lezioni, con οἱ in testo e ἢ in margine o, come su Esc, supra lineam, e che il copista di Z (o del suo antigrafo) abbia inteso la nota come una correzione.

63 https://doi.org/10.5771/9783896659750

La tradizione bizantina

Che Esc non possa essere copia di Z è mostrato dalla situazione disastrosa sui folia di quest’ultimo.185 La mano all’opera su Z mostra infatti, in generale, una certa trascuratezza. Si riscontrano così lacune ulteriori sul parigino a 393d3–4, da οὐ γὰρ a χρημάτων (per un saut du même au même tra οὐ γὰρ di 393d3 e la risposta di Erasistrato, οὐ γὰρ, al rigo seguente), a 400e8– 9, da χρήματα a δεόμεθα, senza apparente motivo, forse dovuta a un salto di rigo nel modello. Il copista aggiunge poi una notevole serie di errori singolari – tra cui alcuni monstra – solo raramente corretti dalla stessa mano:186 392c5

σμικρῶν A O J K Esc : σμικρὸν Z

392d9

ἵπποι A O J K Esc : οἴπποι (sic!) Z

394e7

καλῶς A O J K Esc : κακῶς Z

395b5

οἴει μὲν A O J K Esc : οἴομεν Z

395c2

δυ’ ἀνθρώπω A O J K Esc : δ’ ἀνθρώπω Z

395d2

μηδένα τῶν παρόντων A O J K Esc : τῶν παρόντων μηδένα Z (β, α not. Zc s.l.)

395e2

εἰσηγεῖ A O J K Esc : εἴη σιγῆ (sic!) Z

395e3

δοκεῖ ἀγαθόν A O J K Esc : ἀγαθὸν δοκεῖ Z (β, α not. Zc s.l.)

395e7

ὦ A O J K Esc : τῷ Z

396a7

καθ’ ὅσον A O J K Esc : καθόνσον (sic!) Z

397c3

αὐτῷ Α Ο J K Esc : αὐτὸ Z

397d7

ἀπαγγεῖλαι A O J K Esc : ἀπαγγῆλαι Z

397e1

ὡδὶ A O J K Esc : ὡσδὶ (sic!) Z

397e6

δεῖ A O J K Esc : δὴ Z

397e7

κακόν A O J K Esc : πονηρόν Z, κακὸν Zc s.l.

398e4

αἰτεῖς A O J K Esc : αἰτοῖς Z

399a7

φιλοσοφίαν A O J K Esc : σοφίαν Ζ, φιλο- add. Zc s.l.

185 Anche il contrario non è possibile, visto che Esc mostrerebbe le tracce di un passaggio intermedio almeno nella correzione di alcuni errori di Z, oltre a una serie (non enorme ma neppure trascurabile) di lezioni singolari non reperibili in Z: si veda poco sotto per i dettagli. 186 Una parte forse sono dovuti al possibile intermediario tra ψ e Z, un passaggio argomentato da Beghini (2020), 114, n. 296, ma per l’Erissia nulla si può dire di certo in merito, siccome Z è l’unico rappresentante del ramo, che per l’Assioco comprende anche il Vat. 2236.

64 https://doi.org/10.5771/9783896659750

La discendenza di O

399a8

μαίνεσθαι A O J K Esc : μένεσθαι Z

399a8

ἐδόκει ἄν A O J K Esc : ἂν ἐδόκει Z (β, α not. Zc s.l.)

399c5

ὁποῖοί τινες A O J K Esc : ὁποῖα οἵτινες Ζ

401d6

ἐκπορίζηται A O J K Esc : ἐκπορίζεται Z

401e4

ἡμῖν om. Z

402c7

ἡμῖν ἐστιν A O J K Esc : ἐστὶν ἡμῖν Z (β, α not. Zc s.l.)

402d1

τὰ ante χρήσιμα om. Z

402e9

αὐτὴν om. Z

403b4

πρότερον A O J K Esc : πρότως Z

405c8

σκοποῖτο A O J K Esc : σκοπεῖτο Z

406a9

πλεῖστα om. Z, add. Zc s.l.

406a15

ἐφαίνετο A O J K Esc : ἐφένετο (sic!) Z

Un’altra peculiarità di Z è costituita dalla situazione dei marginalia: se in generale gli scoli mancano, fatta eccezione per quello a 405b8, λίθον ἑψῆσαι, vi si possono reperire, come abbiamo visto, ambo i γράφεται di K, nonché un’ulteriore nota che deriva forse al codice dalla sua ascendenza: si tratta dell’indicazione ὅροι al f. 225r, in corrispondenza di 399c6, ossia poco prima dell’inizio della parte definitoria del dialogo. Essa è assente da tutto il resto della tradizione, anche se la sua interpretazione non è univoca, e non è detto che faccia capo a un tentativo di dividere il testo in capitoli.187 Si trovano poi alcuni ση(μείωσαι): f. 220 r, in corrispondenza della prima definizione di πλοῦτος offerta da Socrate (393c1–4); f. 222r, in corrispondenza dell’osservazione di Socrate sull’importanza conferita dai padri al πλουτεῖν nell’educazione dei figli (396b7-c3, con la massima ἂν μέν τι ἔχῃς, ἄξιός του εἶ, ἐὰν δὲ μή, οὐδενός); f. 222v, in corrispondenza della fine dell’argomento di Crizia sulla ricchezza degli ἄδικοι (396e12–397a1); f. 223v, in corrispondenza della γνώμη di Prodico (397e5–7); f. 224r, bis, ai due lati della colonna e ambo le volte riferito alla questione sull’insegnamento della virtù (398c4–5); f. 225r, bis: per la fine del commento di Socrate all’episodio di Prodico (399c4–6) e, in fondo, per la moneta dei Cartaginesi (399e10–400a1); f. 225v, bis, per le monete di Lacedemoni (400a8-b1) ed Etiopi (400b4); f. 226r, ter: l’introduzione dell’argomento sull’utilità

187 La stessa indicazione ὅροι si trova e.g. al f. 195r, in corrispondenza di Epin. 988a (trasmesso su K al f. 136v, dove la nota non si trova, il che fa pensare non si tratti di un intervento di Pletone).

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La tradizione bizantina

(400e1–2), la definizione di χρήματα legata al χρήσιμον (400e10–12), la funzione della medicina (401b3); f. 226v, per la frase τὰ πρὸς τίνα χρείαν χρήσιμα χρῆσθαι χρήματά ἐστιν (401b7-8); f. 228r, per l’argomento secondo cui donare una conoscenza a un uomo significa renderlo più ricco (403c4– 6); f. 228v, per l’estensione indeterminata del concetto di χρήσιμον (403e5– 7); f. 229v, in corrispondenza del paradosso per cui i mali sono utili per il loro contrario (405a5–7); f. 230r, bis: per l’introduzione dell’argomento finale (405c4–6) e per l’assunto secondo cui desideri e bisogni sono più numerosi nel malato che nel sano (405d5–7).

Esc: Escorialensis Ψ Ι 1 (421 de Andrès) [n° 15 Wilson], ff. 201v-205v (188) a. 1462, cartaceo. Copiato a Corfù da Demetrios Trivolis (RGK I 103, II 135, III 169; Álbum de copistas I 99), intellettuale e bibliofilo di origine spartana, in contatto con l’ambiente di Mistrà e poi collaboratore di Bessarione;189 il nome del copista, così come luogo e data, si desume dalla subscriptio (f. 207v).190 Il codice giunse probabilmente a Roma insieme a Trivolis, che si trovava nella Capitale nel 1469, data della copia del codice dell’Odissea oggi a Cracovia (Jagellonska Bibliotheka 543),191 e passò già poco dopo al Vaticano se è corretta l’identificazione con il n. 230 dell’inventario del 1481;192 in ogni caso si trovò nella biblioteca almeno fin dal principio del XVI sec., come testimoniato dalla sua presenza negli inventari dell’epoca;193 non sembra si possa trovarne traccia dal 1533 in poi,194 il

188 E non 196v-200v come indicato in Brumbaugh, Wells (1968), 140: su questi folia si trovano altri dialoghi dell’Appendix, dal De iusto (che invero inizia a 196r) al Sisifo. L’errore è quantomai strano, vista la correttezza dei dati registrati in Andrès (1967), 1, e non viene corretto in Brumbaugh (1990). 189 Mioni (1976), 212–213. 190 Cf. Andrès (1967), 1–2; su Trivolis si vedano Oleroff (1950) e Pontani [F.] (2005), 415–421. 191 Cf. Pontani [F.] (2015), 415. 192 Così Cardinali (2015), 181; l’inventario è pubblicato da Devreesse (1965), che tuttavia proponeva un’identificazione del n. 230 con il Vat. gr. 1030 (p. 92). 193 Come in quello di Fabio Vigili (n. 125), cf. Cardinali (2015), 181, e in quello del 1518 (n. 265), cf. Sosower, Jackson, Manfredi (2006), 35. 194 Sembrerebbe assente dall’inventario del 1533 di Nicola Maiorana pubblicato da Dilts, Sosower, Manfredi (1998).

66 https://doi.org/10.5771/9783896659750

La discendenza di O

che potrebbe testimoniare di una sua uscita dalla Vaticana; a partire dalla metà del secolo entrò in possesso di Antonio Agustín, arcivescovo di Tarragona (nota di possesso al f. 1r), che poteva averlo acquistato durante il suo soggiorno romano, e poco dopo la morte del prelato (1586) passò alla biblioteca del convento di El Escorial.195 Sul rapporto stemmatico con K per le opere ivi contenute ci siamo già in parte diffusi: Esc deriva da un apografo della recensio pletoniana che da K discende, e quindi – come Z – si allontana dal suo modello conservato per due passaggi; esso è gemello del Monacensis graecus 490 (Mo) per i dialoghi contenuti in entrambi i codici.196 La differenza rispetto al ramo da cui dipende Z è principalmente la completezza della copia rispetto alla recensio pletoniana: in ε, antigrafo di Mo ed Esc, doveva esserci un notevole numero di dialoghi di Platone. Esc contiene infatti una buona parte del corpus: vi leggiamo l’intera prima tetralogia, seguita da Cratilo, Fedro, Gorgia, Menone, Teeteto, Sofista, Politico, Parmenide, Timeo, Filebo, Simposio, l’intera quarta tetralogia, Clitofonte, gli spuri, ancora nell’ordine del ramo di J, con l’Assioco in testa, Definizioni, Repubblica, Leggi, Epinomide, Menesseno e Lettere. La situazione è piuttosto complessa. Per il Simposio, per la quarta tetralogia e per Clitofonte e Repubblica, l’ascendenza di Esc sembrerebbe rimontare al Marcianus graecus 185 (D),197 per il Menone la critica individua una derivazione dalla famiglia di W, con contaminazioni dal ramo di T discendente da Par,198 mentre per il Timeo è stata individuata piuttosto una parentela con il Tubingensis Mb 14 (Tu), pur al netto di una notevole contaminazione.199 Per molti dialoghi il codice deve essere ancora studiato a dovere. La posizione per quanto riguarda le opere già contenute in K, come osservavamo, è invece piuttosto chiara; i risultati della nostra collazione dell’Erissia non portano che conferme. Al passaggio a monte di Esc, che con Müller sigliamo ε, saranno forse da assegnare alcune correzioni di errori di Z e K. Alcuni esempi:

195 Cf. Graux (1886), 297–303, e Martínez Manzano (2016), 276; in generale sulla biblioteca di Agustín si veda Mayer (1997). 196 Si veda la messa a punto di Martinelli Tempesta (2005), 131–135, e Pagani (2006), 9–11, ma già Müller 1979 [=(1999), 629–648]. Già i pochi dati di Post (1934), 22 e 89, facevano propendere per una dipendenza da K; si veda anche Moore Blunt (1985), ix. 197 Cf. rispettivamente Brockmann (1992), 100–104, Carlini (1964), 27–28, Slings (1981), 262, e Boter (1989), 31 e 174–176. 198 Vancamp (2010), 82–83. 199 Così Jonkers (2017), 49 e 222–223.

67 https://doi.org/10.5771/9783896659750

La tradizione bizantina

395c7

ἔφη A O Esc : ἔφην J K Z

396a2

ἐφαίνετο A O J Esc : ἐφαίνητο K Z

397d7

ἔχοις A O J Esc : ἔχεις K Z

401e4

ἕνεκεν A O J Esc : ἕνεκε K Z

406a12

φαίνεται A O J Esc : φαίνηται K Z

La trasformazione di οὕτως in οὗτος a 393a2 è invece opera della stessa mano di Esc, che corregge un’innovazione di K, come a 401e11, l’ε supra lineam che trasforma πραγματίαν (errore di ψ presente anche in Z) in πραγματείαν. Al quadro che abbiamo già tracciato nelle pagine precedenti dovremo aggiungere le innovazioni singolari che si possono rintracciare sui folia di Esc. In primo luogo va citata la lacuna a 402a6–7 (πυρὸς … δεοίμεθα), dovuta a un saut du même au même cagionato dalla doppia occorenza di δεοίμεθα, oltre alle seguenti innovazioni minori: 392b3

καθιζώμεθα A O J K Z : καθιζόμεθα Esc

392d5

γε A O J K Z : δὲ Esc

396b2

φίλων A O J K Z : φίλον Esc

396d2

συγγενεῖς A O J K Z : ξυγγενῆ Esc

396e9

μοιχεύοι A O J K Z : μηχεύοι Esc

397e12

ὁκοίοις A O J K Z : ὁκοίοισιν Esc

398a1

τις A O J K Z : τι Esc

398a7

εἰ om. Esc

399e6

εἶναι A O J K Z : οἶμαι Esc

403c8

ἔφη A O J K Z : ἔφην Esc

404b2

ταῦτα ἀχρεῖα om. Esc, add. Escc s.l.

404e6

καὶ ante τῷ add. Esc

404e10

ἂν A O J K Z : κἂν Esc

405c5

εἰ A O J K Z : εἰς Esc

406a13

τυγχάνει A O J K Z : τυγχάνοι Esc

406a17

καὶ om. Esc

Troviamo anche in Esc alcune note ση(μείωσαι), ma non sempre in corrispondenza degli stessi passi segnalati in Z: esse sono leggibili ai margini del f. 203r, bis, per indicare l’inizio del racconto dell’episodio di Prodico

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La discendenza di O

(397c7-e1) e la massima di Prodico (397e5–7); f. 203v, per la domanda sulla possibilità di rendere ἀγαθά i πράγματα (398b3–6); f. 204r, la moneta dei Cartaginesi (399e10–400a1).

L: Laurentianus 80, 17 [n° 29 Wilson], ff. 290v-303r XIV s., cartaceo. Vergato in ambiente tessalonicese dal cosiddetto scriba F attivo in numerosi altri codici,200 fu già a Firenze nella disponibilità del Ficino, che se ne servì per la propria traduzione di Platone (e per postillare il suo modello principale, il Laur. 85, 9, c).201 Il manoscritto fu poi usato, per annotare A, da Giano Lascaris,202 che probabilmente lo vide a Firenze nella biblioteca dei Medici.203 Il manoscritto riproduce il contenuto di J, che si rivela essere il suo antigrafo: L in particolare fu copiato dopo gli interventi dotti di J2, come mostrato dal fatto che le correzioni di questa mano vi sono reperibili a testo.204 I folia contenenti l’Erissia, in parte già collazionati da Post, non riservano sorprese e portano conferma ad una dipendenza dopo il passaggio di J2: 392a2

Στιριεύς A O J : Στειριεύς J2 s.l. L

392a2

προηλθέτην A O J : προσηλθέτην J2 s.l. L

392d9

ἁπλᾶ τὰ A O J : ἄπλετα J2 s.l. L

393b2

ὅτῳ ον A O : ὅτῳ ὄντα J L

393b6

ὅσου A O : ὅσον J L

393e5

δοκεῖ om. J L

394d3

ἔχοι A O : ἔχει J L

395c7

ἔφη A O : ἔφην J L

397d7

ἔχοις A O : ἔχεις J L

200 Sulla datazione e l’attribuzione si veda Bianconi (2005a), 168–169. 201 Cf. Carlini (1999), 21–22 [≈(2006), 45–46]; per la traduzione di Ficino e il legame con c si veda poco sotto la scheda dedicata al codice. 202 Pagani (2008b), 1030–1044; cf. anche Speranzi (2013), 89–90, n. 18. 203 Cf. Fryde (1996), 363–364. 204 Cf. Post (1934), 22–28; per le Lettere si veda anche Moore-Blunt (1985), ix-x, per l’Assioco cf. Beghini (2020), 111–112, n. 286.

69 https://doi.org/10.5771/9783896659750

La tradizione bizantina

398e11

ἀμυνόμενος A O J : ἀμυνούμενος J2 s.l. L

400e9

ὅσων A O : ὅσον J L

401a6

τι om. J L

401c5

ἔχοιμεν A O : ἔχομεν J L

401d8

ἐνδεεῖς A O : ἐνδεῆς J L, corr. Lc in ras.

403b8

εἴ γε A O : εἰ δέ γε J L

404a4

ὑπάρχοι A O : ὑπάρχει J L (corr. Jc s.l.)

404d1

τὸ ἀκούειν A O : τοῦ ἀκούειν J L

404d2

τῷ ἀκούειν A O : τὸ ἀκούειν J L

404d6

διὰ τῆς A O : διδακτῆς J L

405b5

δυσπίστως A O : δ’ ἀπίστως J L

L inoltre copia tutti i marginalia di J2, compresa la versione auctior dello scolio a 396a7, che abbiamo visto sopra, con la citazione di Aristofane. Il copista di L aggiunge una serie sparuta di innovazioni: 392b1

καὶ σύ γε A O J : καὶ σὺ δὲ L

392b2

καὶ πάνυ A O J : καὶ πάνυ γε L

394a3

τε om. L

394d2

τοῦ om. L

398d4

εὔχει A O J : εὔχῃ L

400b7

δοκοῖ A O J : δοκεῖ L

403e4

λίθους A O J : καὶ λίθους L

404d5

τὴν om. L

405a4

τὰ τοιαῦτα A O J : ταῦτα L, corr. Lc in ras.

Su L è al lavoro un correttore, che rimedia a errori del copista o ereditati dall’ascendenza; si tratta di una seconda mano, individuabile per un inchiostro leggermente più chiaro e una scrittura fortemente compendiata (L2). Plausibilmente al medesimo correttore sono da imputare i ritocchi in rasura; gli interventi sembrano talora suggerire il contatto con un’altra fonte: 394a3

τε om. L, int. L2 s.l.

394b6

πάθοιεν ἂν O J L : πάθοι ἂν A L2 ras.

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La discendenza di O

394d2

τοῦ om. L, int. L2 s.l.

395c2

ὥσπερ εἰ Par : ὡς περὶ Α O J L, ι fecit ει L2

395c7

ἔφην J L : ἔφη A O L2 ras.

404d5

τὴν om. L, int. L

La stessa mano riporta a margine una serie cospicua di notabilia parafrastici di scarso interesse, quali e.g. f. 291r, ὁ μείζω καὶ πλείω κεκτημένος πλουσιώτερος (a 393b4–6); f. 291v, ὁ πλείστου ἄξια κεκτημένος πλουσιώτατος (a 393c2–4), ὑγιαίνοντες (a 393c4–5), ὑγιαίνειν (a 393c7), εὐδαιμονία πλείστου ἄξιον (a 393e5–6), εὐδαίμονες οἱ εὖ πράττοντες (a 393e7–8); f. 292r, εὖ πράττοντες ἐλάχιστα ἀμαρτάνουσι (a 393e9–11), οἱ ἐπιστάμενοι τὰ πρακτέα (a 393e12–394a1), σοφοὶ εὐ (δαίμονεστατοι) καὶ πλουσ(ιώτατοι)(a 394a3–5); f. 292v, τῆς δὲ σοφίας ἡ χρεία πλείστου ἀξία (a 394d8-e1); f. 293v, οὐ πᾶσιν ἀγαθὸν τὸ πλουτεῖν (a 395e10–396a2); f. 294v, τὸ ἀδικεῖν κακόν (a 396e7–8), πλούσιος μοιχεύων ἐπ’ ἀργυρίῳ ἀδικεῖ (a 396e8– 10), τὸ νοσεῖν κακόν (a 397a6); f. 295r, Πρόδικος (397c7), τοῖς ἀγαθοῖς ἀγαθὸν τὸ πλουτεῖν, τοῖς δὲ μοχθηροῖς τὸ πλουτεῖν κακόν (a 397e5–7); f. 295v, δίδακτον ἡ ἀρετή (a 398c4–5); f. 297r, ὅτι Καρχηδόνιοι δέρμασι νομίζουσιν (a 399e9–400a4), Λακεδαιμόνιοι σιδήρῳ νομίζουσιν (a 400a8b1); f. 297v, Αἰθίοπες λίθοις γεγλυμμένοις (a 400b4); f. 298r, τὰ χρήσιμα ἑκάστοις χρήματά ἐστιν (a 400e1–2), ποῖα χρήσιμα χρήματα (a 401a7-b4), πρός τι εὕρηται χρήματα (a 401b2); f. 298v, τὰ πρὸς τίνα χρείαν χρήσιμα χρήματά ἐστιν (~ 401b7–8), ἰατρική (a 401c4); f. 299r, τῶν χρημάτων χρῆσις ἐστι πρὸς τὴν τοῦ σώματος θεραπείαν (a 401e7–8), οὐ δεόμεθα εἶναι τὰ χρήματα (a 402b4-c3); εἰ μὴ δεοίμεθα ἀργυρίου καὶ χρυσίου οὐδ’ ἂν εἴη ταῦτα χρήματα (a 402c3–5); f. 300r, ὥστε καὶ οἱ διδάσκαλοι πλουσιώτεροι (a 402e10–11), ὅτι δεῖ τὰ χρήματα χρήσιμα (a 403a2–5); f. 300v, ὅταν κεκτημένον διδάξας τι χρῆσθαι ἐπλούτισε (a 403b9-c6), οἰκοδομικοῖς αὐτὰ χρήσιμα (a 403e1–2); f. 301r, τὰ πρὸς ἐργασίαν αὐτῶν χρήσιμα (a 404a2–3), τὸ μοχθηρὸν πρὸς πράγματα ἀγαθὰ οὐ χρήσιμον (a 404c2–4); f. 301v, ἀγαθὰ ἅ δι’ ἀρετὴν πράττομεν (a 404c4–5), ὁ μὴ ἀκούων οὐ μανθάνει (a 404c6–8), δεῖ τὸ ἀκούειν τῷ μανθάνοντι ἀρετήν (a 404c8-d3), εἰ τὴν ἰατρικὴν ἀντὶ χρήματα πορισαίμεθα, τὰ χρήματα χρήσιμα (i.e. πρὸς ἀρετήν: a 404d7-e1), τὰ δι’ ὧν ποριζόμεθα τὰ χρήματα οὐ πάντα πρὸς τὰ ἑκάστα χρήσιμα (a 404e8–10, con qualche confusione); f. 302r, ὧν ἄνευ μὴ οἷός τε γίνεσθαι οὐδ’ ἂν πρὸς ταῦτα χρήσιμα (a 405b1–5); f. 303r, οἱ πλουσιώτατοι μοχθηρότατοι (a 406a16–17). Infine una mano posteriore, a matita, ha indicato saltuariamente le pagine Stephanus, come in molti dei folia delle Leggi. Per l’Erissia, L non ha progenie.

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La tradizione bizantina

R: Vaticanus graecus 1029 [n° 208 Wilson],205 ff. [B]502r-512v XIV s. in., membranaceo.206 Il codice, originariamente unitario, è oggi diviso in due volumi (A e B), in seguito a un restauro sotto il pontificato di Paolo V, e più precisamente tra il 1609 e il 1618. Nel codice è possibile rintracciare una sezione ad opera di un primo copista (a), che corrisponde ai ff. [A]1r-352v, e una seconda – più ampia – dovuta ad un’altra mano (b), che comprende i ff. [A]353r-488v e [B]1r-519r (ossia l’intero secondo volume). Il manoscritto è un prodotto del monastero di Chora, come mostrato dagli interventi rinvenuti nei folia del vol. A per la mano di Niceforo Gregora;207 il passaggio per le mani di Ioannes Argyropoulos, attestato dalla presenza di monocondilo al f. [B]517v, è stato messo in dubbio,208 e la storia del codice dalla sua uscita da Chora al suo approdo in Vaticana rimane in gran parte sconosciuta. R costituiva una raccolta integrale del corpus di Platone, esclusi Crizia e Minosse. Il codice è copia del Lobcovicianus Roudniciensis VI Fa 1 (Lobc), a sua volta copia del vindobonense W, per i dialoghi delle prime otto tetralogie209 (fatta eccezione per Alcibiade II e Clitofonte, assenti nel lobcoviciano),210 mentre per l’ultima sezione, contenente Leggi, Epinomide, Lettere e

205 Singolarmente omesso nella lista dei testimoni dell’Erissia in Brumbaugh, Wells (1968), 54 e 140; anche in questo caso, non vi sono correzioni in merito in Brumbaugh (1990). 206 Per la descrizione dettagliata del codice si veda ora Petrucci (2014). 207 Cf. Pérez Martín (1997), 218–219, e (2005), 129. 208 Il problema principale è cronologico, e consiste nell’armonizzare l’associazione ad Argyropoulos e l’identificazione di R con il manoscritto prestato a Isidoro di Kiev sotto il pontificato di Nicolò V, proposta da Devreesse (1965), 38 [n° 377]; cf. Martinelli Tempesta (2003), 65; Lilla (2004), 7, n. 38; Petrucci (2014), 357– 360. Per l’esistenza di diversi personaggi dal nome di Ioannes Argyropoulos, cf. Bianconi (2008), 280–288. 209 Eutifrone, Manfrin (2017), 16–17; Simposio, Brockmann (1992), 237–247; Teage, Joyal (1998), 37–39 (con incertezze); Carmide, Murphy (1990), 332–334; Liside, Martinelli Tempesta (1997), 124–141 (con ricca discussione delle posizioni precedenti); Protagora, Díaz de Cerio, Serrano (2005), clii-clv; Menone, Vancamp (2010), 44; Ippia maggiore e Ippia minore, Vancamp (1995), 45–47, e (1996a), 43– 44; Repubblica, Boter (1989), 52–53 e 165–167; Timeo, Jonkers (2017), 77 e 236– 237. Uno sguardo complessivo si può trovare in Berti (1992a). Agile sintesi in Petrucci (2014), 352–353. 210 Per ambo i dialoghi la critica ha individuato un’ascendenza – forse diretta – in T: cf. Carlini (1964), 28, n. 56, e Slings (1981), 264–272.

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La discendenza di O

Appendix esso discende da O, come già peraltro visto da Post.211 L’assenza di Crizia e Minosse, per quanto oscura sul piano progettuale, vista la presenza di ambo i dialoghi nel lobcoviciano,212 è probabilmente connessa al passaggio da una fonte all’altra. Per l’Erissia la collocazione nel ramo di O è confermata dal fatto che R non presenta le parti di testo che il copista di O ha omesso o cancellato in rasura a 395b8 (μὲν τοιαῦτα), 397b3 (2τῶν), 397c7 (ἐγὼ), 397d3 (τὸ), 398a5 (ἆρα), 398d4 (ἔγωγε), 399d1 (οὐκ). Sono presenti alcuni accordi in errori singolari di O: 392c5

ὀργίζοιντο A Par : ὀργίζοιτο O R

394b6

πάθοι ἂν A Par : πάθοιεν ἂν O R

401d5

διψῷ A Par : διψᾷ O διψᾶ R

La tendenza generale di R è di collocarsi accanto a O (e ad A) nei casi in cui Par mostri i segni di un intervento diortotico. In tutte le occorrenze troviamo τί δαὶ in luogo di τί δὲ, ma si possono menzionare altri esempi più specifici: 396d2

συγγενεῖς A O R : συγγενέε Ac O3 Par

397c7

Λυκίῳ A O R : Λυκείῳ A5 Par

398e9

δυνήσει A O R : δυνήσῃ A4 Par

400e9

ἐκομισάμεθα R ἐκομισαίμεθα A O : ἐκκομισαίμεθα Par

401e6

ἐν ἑκάστοτε A O R : ἑκάστοτε A4 Par

403b8

μόνον ... μόνοις A O R : μόνοις ... μόνον Par

403e5

αὐτοῖς A O R : αὐτοὶ A4 Par

Come ci attenderemmo, nessuno degli errori importanti distintivi della linea di Par si riscontra in R. Tuttavia esiste una serie non trascurabile di ritocchi (più o meno felici) e correzioni in cui si possono individuare le tracce di un contatto e di una contaminazione:

211 Post (1934), 34–35; si vedano poi, per le Lettere Moore-Blunt (1985), x, e Berti (1992b), 73; per l’Epinomide, Petrucci (2014), 353–355; per l’Assioco, Beghini (2020), 103–105. 212 Si vedano le aporie in Petrucci (2014), 361–362.

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La tradizione bizantina

392a2

Στειριεὺς ... προσηλθέτην Par R : Στιριεὺς … προηλθέτην A O

393b4

τυγχάνει Par R : τυγχάνοι Α Ο

394d4

τυγχάνοι Par3 R : τυγχάνει A O

395c2

ὥσπερ εἰ Par R : ὡς περὶ A O

395e2

εἰσηγῇ A4 Par R : εἰσηγεῖ A O (213)

396a7, d4 οἷός τ’ ἦν Par R : οἷός τ’ ᾖ A O 396d5, e3 ἔχει Par R : ἔχῃ A O 400c3

φαίνονται A5 Par2 R : φαίνωνται A O

405d4

ὑγιαίνοντος A Par R : ὑγιαίνον O

Su R si trovano peraltro tracce di interventi congetturali: se la correzione di ἑτέρου τινοσοῦν in ἑτέρου οὑτινοσοῦν (396a8) è facile e ricorre variamente nella tradizione, la soluzione che R trova per il testo di 393b2 è più interessante: ὄν (ον su O) viene trasformato in οὐ, e sul codice si legge quindi ὅτῳ οὐ τυγχάνει τάλαντα ἀργυρίου, che risolve il problema creato per il senso dall’indeterminatezza della quantità dei τάλαντα. La proposta – per quanto fuori strada214 – è ingegnosa. Non manca, poi, su R, una gran quantità errori singolari, con frequenti omissioni e alterazioni dell’ordo verborum: 392a3

τε om. R

392b8

κατὰ σμικρὸν A O : κατὰ μικρὸν R

392c2, d2 Συρακόσιοι A O : Συρρακούσιοι R 393c6

χρήματα A O : κτήματα R (γρ. χρήματα im)

394e2

περὶ τῶν μεγίστων A O : περὶ τῶν τοιούτων R (γρ. μεγίστων im)

394e5

δεομένους τε καὶ βουλομένους A O : βουλομένους τε καὶ δεομένους R

213 Tuttavia poco dopo a 395e7 troviamo ἠγεῖ su R (con A e O) contro ἠγῇ di Par (e già A4). Ma questo genere varianti ortografiche è vittima di continua oscillazione, e il dato non sarebbe di per sé prova di nulla da solo: eguale trattamento della desinenza si trova in J, che non mostra alcun contatto con la linea di Par. 214 La situazione del testo in A è invero riconducibile ad un mancato scioglimento del compendio per la desinenza -ον (\) di τάλαντον – l’intuizione è di Post (1934), 26 – errore che il copista di A commette anche a Lg. IV 709d2 (παρ’ per παρόν, da un originario παρ\). Si dovrà leggere perciò ὅτῳ ὂν τυγχάνει τάλαντον ἀργυρίου, come congetturato dal copista del laurenziano c, cf. infra.

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La discendenza di O

395a3

σε om. R

395e4

δοκοῦσι σοι A O : σοι δοκοῦσι R

396a5

ἄν τις om. R

396e6

ἄδικοι καὶ δίκαιοι A O : δίκαιοι καὶ ἄδικοι R

396e8

2δοκεῖ

397a4

μᾶλλον μὴ εἶναι A O : μὴ εἶναι μᾶλλον R

397e10

καλῶς δ’ ἔφη, δοκεῖ μοι A O : καλῶς δέ μοι δοκεῖ R

398a1

καὶ ante τὸ μειράκιον add. R

398c2

ἔργον εἶναι A O : εἶναι ἔργον R

398e2

τυγχάνει A O : τυγχάνοι R

398e7

γραμματιστοῦ A O : γραμματικοῦ R

A O : δοκοῖ R

400a3

ἐναποδεδεμένον A O : ἀποδεδεμένον R

400c5

γε om. R

400e1

ὅτι om. R

400e2

ἐν τοῖς A O : ἐν ταῖς R

400e9

ἐκομισαίμεθα A O : ἐκομισάμεθα R

401a2–3

ἆρα ἡμῖν ταῦτ’ ἂν εἴη χρήματα A O : ἆρ’ ἂν ἡμῖν εἴη ταῦτα χρήματα R

401a3

οὐκ αὖ A O : οὐκοῦν R

401a6

σχηδόν τι A O : σχηδόν γε R

401e4

χρήματα om. R

402e2

ἀχρεῖον A O : ἄχρεστον R (γρ. ἀχρεῖον im)

403a6

ἔφην A O : ἔφη R

403d4

δὴ A O : νῦν R

404d7

εἰ A O : εἰς R

405b2

ὅσων A O : ὅσον R

405b6

χρήματα A O : χρήσιμα R

405e1

πλείστων A O : πλεῖστον R

406a6

μέλλει A O : μέλλοι R

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La tradizione bizantina

La situazione in generale può far pensare per l’Erissia a un anello intermedio perduto tra O e R, in cui si registra contaminazione con la linea di Par.215

Vind: Vindobonensis supplementum graecum 20 (olim 56) [n° 258 Wilson], ff. 256r-265v a. 1468, cartaceo. Vergato a Firenze da Giovanni Scutariota (RGK I 183, II 242, III 302; Álbum de copistas I 88, II 65)216 come da subscriptio al f. 270v; è stata osservata la presenza di numerosi notabilia a margine attribuiti a Janos Zsamboky (latine Sambucus),217 ma tale identificazione è stata di recente messa in discussione, con la proposta di assegnarli a Philipp Gundell (latine Gundelius).218 Sappiamo per certo che il codice fu acquistato nel 1656 da Johann Joachim Enzmilner (ex libris) e che giunse infine alla kaiserliche Hofbibliothek di Vienna nel 1784. Il codice, mutilo di due folia al principio, contiene le Leggi a partire da I 628a7, διανομοθετοῖ, seguite da Epinomide, Lettere, Definizioni e Appendix. Per le Leggi, secondo l’esame di Post, è copia di O indipendente da R e da J, ma non è chiaro se lo studioso pensi ad una derivazione diretta,219 che ci offrirebbe il dato di una presenza di O a Firenze verso la metà del XV s.220 Per gli spuria la situazione è verosimilmente la stessa: una dipendenza da J o dal suo ramo è esclusa, oltre che per l’assenza degli errori distintivi,221 dall’ordine dei dialoghi, che segue su Vind la successione ‘canonica’ di A

215 Pensa a un passaggio intermedio tra O e R anche Beghini (2020), 105. 216 Sulla scrittura di Scutariota si veda Martinelli Tempesta (2010); utile elenco dei pochi codici datati a pp. 171–172, n.2 (Vind vi figura come [9]). 217 Così Hunger (1957), 22, e Hunger, Hannick (1994), 41. 218 Così Gastgeber (2014), 164, n. 625, con bibliografia aggiornata sul Gundelius. 219 Post (1934), 45. 220 Cf. Diller (1983), 253: «it (scil. O) was in Florence in 1468, when Vind. suppl. gr. 20 was copied from it». 221 ὅσον per ὅσου a 393b6, su Vind e su J (ma non su R) è probabilmente poligenetico, vista la forma un poco ingannevole dell’υ su O. Simile situazione a 405b5 per δ’ ἀπίστως, su Vind e J (ma non su R) per δυσπίστως di O, che presenta un σ minuto e schiacciato sotto il π, nonché un υ quasi chiuso in alto nella parte in legatura con δ, a rassomigliare a un α. Se si immagina un intermediario tra O e Vind, ambo le corruttele saranno da assegnare a questo primo passaggio.

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La discendenza di O

con l’Assioco in fondo.222 Una dipendenza da R è altrettanto da escludere, vista l’assenza delle peculiarità di R su Vind (in particolare le inversioni e le perturbazioni dell’ordo verborum, di cui abbiamo visto diversi casi). La discendenza da O è invece verificabile per l’assenza delle parole erase o omesse sul Vaticanus: 395b8 (μὲν τοιαῦτα), 397b3 (2τῶν), 397c7 (ἐγὼ), 397d3 (τὸ), 398a5 (ἆρα), 398d4 (ἔγωγε), 399d1 (οὐκ). Gli errori di O sono riprodotti da Vind: 392c5

ὀργίζοιντο A : ὀργίζοιτο O Vind

394b6

πάθοι ἂν A : πάθοιεν ἂν O Vind

400c3

φαίνονται A : φαίνωνται O Vind

401d5

διψῷ A : διψᾷ O Vind

404c7

διὰ λόγου A : διαλόγου O Vind

Si trovano poi diversi errori singolari, talora corretti dalla stessa mano del copista, ma la cui quantità potrebbe suggerire un intermediario perduto tra O e Vind. Le peculiarità si diradano nell’ultima parte del dialogo: 393b5

τῷ A O : τὰ Vind

394b7

Πουλυτίωνος A O : πολυτίωνος Vind

394c7

οἱ ὄντες A O : οἷόν τε Vind

396a2

ἐφαίνετο A O : φαίνεται Vind

396a3

τοι A O : σοι Vind

396d2

συγγενεῖ A O (-έε s.l.) : συγγένε Vind

396e9

μοιχεύοι A O : μοιχεύοιτο Vind

397a4

λυσιτελοῖ A O : λυσιτελεῖ Vind

397b3

ἡδέων δοκούντων εἶναι A O : δοκούντων ἡδέων εἶναι Vind

397e5

ἀγαθόν A O : ἀγαθοῖς Vind

398a1

ποιοῖ A O : ποιεῖ Vind

398c5

δοκῇ A O : δοκεῖ Vind

222 Un contatto con L è immaginato tuttavia da Carlini (1999), 21–22 [≈(2006), 45– 46]; lo segue con prudenza Bianconi (2005a), 168 («forse»). La dicitura Ἐπιστολαί ιβ΄ su Vind (f. 207v), evocata da Carlini (1999), 14, n. 36 [≈(2006), 37, n. 36], di per sé, non prova dipendenza da L: stesso titolo si trova già in O (f. 147r).

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La tradizione bizantina

399d5

εἴσεσθε Ac O : εἴσεσθαι Vind (-ε s.l. Vindc)

400a4

νομίζουσιν A O : νεάζουσιν Vind

400a5–7 οὗτος ... κεκτημένος om. Vind (saut du même au même) 401a6

σχεδόν τι A O : σχεδόν ἐστι Vind

401e4

νυνὶ om. Vind

401e7

οὐδὲν ἂν A O : οὐδ’ ἂν ἂν Vind

403d4

νῦν post τυγχάνεις add. Vind

405d4

κρείττων A O : κρεῖττον Vind

I folia di Vind presentano poi a margine una serie di notabilia e commenti in greco e in latino, sulla cui attribuzione – come abbiamo anticipato – la critica non è concorde. Ne fornisco un resoconto parziale: f. 256r Siculoru(m) affectio in Athenienses (a 392b5-d1), divitiae (a 392d5–9); f. 256v de opulentia (in testa alla carta), dives pravus (a 393a7-b1?), sanitas – pecunia, con segno ※ (a 393c5–6, frase sottolineata nel rigo); f. 257r εὐδαιμονία (a 393e5), boni – felices (a 393e9–11, frase sottolineata nel rigo), σοφία preciosissima possessio (a 394a5); f. 257v de divitiis (in testa), ἡ σοφία (a 394d2); f. 258r, utrum bonum dites esse (a 395d7); f. 258v, an bonum ὁ πλοῦτος (in testa), vota parentum (a 396b7-c3); f. 259r, utilitas egestatis (in fondo, ma riferito forse a 397a3–5, sottolineato); f. 259v, opulentia (in testa), Prodicus irrisus ab adulescente (a 397c7-d7), Prodici oratio de divitiis (a 397e3–12); f. 260r, ἠ (sic) διδακτὸν ἡ ἀρετή (a 398c4); f. 260v, divitiae (in testa); f. 261r, quid divitiae (a 399d4–5), Carthaginense nomisma mirum (a 399e10–400a6), Lacedaemonium nomisma (a 400a8-b3), Aethiopicus nummus (a 400b4–5), Scytharum opes (a 400b5-c1); f. 261v, λυκνίτης λίθος (a 400d7), Domus Scytharum nullae (a 400e2–6), χρήματα (in fondo alla carta); f. 262r, χρήματα χρήσιμα in alto a destra, riferimento generico alla sezione, ripetuto in alto al f. 262v; al f. 263r cessano del tutto, probabilmente insieme alla pazienza del lettore, messa a dura prova dall’argomentazione serrata e ripetitiva della parte definitoria. Una mano diversa (ε più tondo, nessuna appendice al ρ), probabilmente più antica e – colore dell’inchiostro a parte – somigliante a quella di Scutariota,223 ha vergato in rosso altri notabilia, nell’Erissia, due in tutto: al f. 261r chiosa l’introduzione dell’excursus numismatico (399e10–400a1) con la frase ἔθος τῶν χρημάτων ποικίλων, al f. 261v la definizione di χρήματα (400e10–12) è segnalata con χρήματα τί ἐστιν.

223 Probabilmente è a queste note che si riferiscono Hunger, Hannick (1994), 41 («gelegentlich Textergänzungen und Scholien von erster Hand in Braunrot»).

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La discendenza di Par

La discendenza di Par La discendenza di Par, come si è già anticipato, è notevolmente abbondante, tanto per i dialoghi delle prime sette tetralogie quanto per gli spuri:224 per l’Erissia, tuttavia, l’assenza del ramo dipendente da Y (Vind. phil. gr. 21), dovuta alla mancata copiatura nel vindobonense del dialogo, passato in ultima posizione in seguito alla trasposizione dell’Assioco all’inizio dell’Appendix,225 fa sì che i testimoni si riducano a poco più di una decina. Il loro valore per la constitutio è alquanto limitato, fatta eccezione per i codici del Bessarione (Marc. gr. 189 e, in particolare, 186), ricchi di interventi congetturali e alle spalle della vulgata. Su quest’ultimo argomento ci riserviamo di tornare con più dettagli nella sezione dedicata alle prime edizioni a stampa del dialogo: ci limiteremo per il momento a fornire alcune informazioni sui manoscritti della famiglia che fa capo a Par, al fine di corroborare il quadro generale già esposto al principio.

Ang: Angelicanus graecus 107 (olim C.1.4) [n° 162 Wilson], ff. 348r-353v XIII s. ex.-XIV s. in.,226 cartaceo, entrato a far parte della biblioteca del cardinale Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora (1518–1564); tra il 1698 e il 1708 i libri di Sforza passano nelle mani del cardinale Domenico Silvio Passionei (1682–1761) e infine perlopiù confluiscono nel fondo della Biblioteca Angelica.227 Il codice è di consultazione faticosa, a causa dei danni provocati dall’umidità: su ciascuno dei folia contenenti l’Erissia la parte in-

224 Cf. Post (1934), 55–59. 225 Post (1934), 58. 226 La datazione al XIV s. è di Allen (1890), 41, poi ripresa da Post (1934), 55, e infine precisata – prima metà del secolo – da Brockmann (1992), 28; cf. anche De Gregorio, Prato (2003), 83, n. 55, che accostano il codice a C (Par gr. 1809) individuandovi due esempi di scrittura arcaizzante di prima età paleologa, sia pure «mitigata dall’inserto di numerosi tracciati moderni», come la cosiddetta ‘Fettaugenmode’: cf. già Martinelli Tempesta (1997), 97–98; rimane isolata la retrodatazione al XII s. proposta da Mercati (1952), 61. Propende per il XIII s. Martinelli Tempesta (2003), 58 n. 226, in considerazione del fatto che Ang, pur copia diretta, non riflette le correzioni di Par3, mano probabilmente databile alla seconda metà del XIII s. 227 Cf. Sciarra (2009), 265–275.

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La tradizione bizantina

feriore della colonna è pressoché svanita; alcune carte appaiono poi sfigurate da vistose macchie che rendono alquanto difficile la lettura, in particolare nella riproduzione digitale. I primi ingressi dei personaggi sono segnalati in margine, ma il cambio di battuta è segnalato con il solo dicolon, senza paragraphos. Il manoscritto è copia diretta di Par per i dialoghi delle tetralogie;228 il contenuto è il medesimo di Par, dato che spinge a immaginare una dipendenza dal codice parigino anche per gli spuria.229 L’intuizione è confermata dalla collazione dei folia contenenti l’Erissia: Ang riproduce gli errori e le peculiarità di Par, su tutti l’inscriptio Ἐρυξίας ἢ περὶ πλούτου ἐν ἄλλῳ ἢ Ἐρασίστρατος e la lacuna a 399e2 (ὁ φάσκων), e risulta copiato prima dell’intervento del correttore designato come Par3, situazione che la critica riscontra per gli altri dialoghi,230 ma dopo i primi interventi di correzione, probabilmente della mano stessa del copista di Par (Par2).231 Alcuni esempi di errori e peculiarità condivisi dai due codici:232

228 Critone, Berti (1969), 426; Sofista, Philip (1968), 395; Parmenide, Moreschini (1965), 180–181; Simposio, Brockmann (1992), 168–177; quarta tetralogia, Carlini (1964), 39–40 (che confuta l’ipotesi di un intermediario avanzata da Schanz); Teage, Joyal (1998), 22–23; Carmide, Murphy (1990), 320; Liside, Martinelli Tempesta (1997), 97–101; Protagora, Díaz de Cerio, Serrano (2005), clix; Gorgia, Díaz de Cerio, Serrano (2001), 349–350; Menone, Vancamp (2010), 36–37; Ippia maggiore e Ippia minore, Vancamp (1995), 29–30, e (1996a), 43; Ione, Ferroni (2006), 71–74, e Ferroni (2018), liv. 229 Post (1934), 55–56, e, per l’Assioco, Beghini (2020), 117 n. 303. 230 Cf. e.g. Martinelli Tempesta (1997), 100, e Vancamp (2010), 37. 231 Nell’Erissia questo è mostrato, per esempio, da 394c2 (τούτων Par : τοῦτον A Par2 Ang) e 394e4 (πεντελέθων Par, πεντελέκων Par2 s.l. : πεντελίθων Ang, πεντελίκων Ang2 s.l., una riproduzione della situazione sull’antigrafo sia pure con lieve ritocco), 396b5 (ἢ Par : καὶ Par2 Ang), 399a3 (κέλευεν Par : ἐκέλευεν Par2 s.l. Ang), 400a4 (τοιαῦτα om. Par, rest. Par2 i.m., praeb. Ang). 232 La situazione a 398d4 ancora si spiega in questo contesto: su Ang si legge l’insensato ἔγωγε, nato dalla confusione trovata da Par (e da O) sui folia di A (cf. supra), ma Ang non può aver trovato questo testo su O, dal momento che sul codice vaticano la forma è erasa da un correttore successivo – e la precocità della rasura è mostrata dall’assenza di ἔγωγε in tutta la discendenza di O. Ai tempi in cui fu copiato Ang, ἔγωγε era un errore congiuntivo con il ramo di Par e separativo rispetto al ramo di O. Per quanto non ci dica molto di preciso, non ci sorprende l’accordo costante nelle lezioni buone con Par contro A, come ad esempio a 392a2 (Στιριεύς A : Στειριεύς Par Ang | προηλθέτην A : προσηλθέτην Par Ang), 392d8 (τε A : γε Par Ang), 395c2 (ὡς περὶ A : ὥσπερ εἰ Par Ang), 397c7 (Λυκίῳ A : Λυκείῳ Par Ang), 397d1 (Κῖος A : Kεῖος Par Ang), e via dicendo.

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La discendenza di Par

393e7

τούτους A : τούτοις Par Ang

395b4

ἀντιφέρωσιν A : ἀντιφέρουσιν Par Ang

396e9

μοιχεύοι A : μοιχεύει Par Ang

398e5

οἶσθα A : ἦσθα Par Ang

399e2

ὁ φάσκων om. Par Ang

403b3

ἐπιστήμονες ὡς A : ἐπιστημόνως Par Ang

403b8

μόνον ... μόνοις A : μόνοις ... μόνον Par Ang

405b8

καὶ ante τούτους add. Par Ang

Il copista di Ang aggiunge peraltro errori singolari, che danno talora mostra di notevole negligenza. Il più significativo è la consistente lacuna a 402c8–d1, cagionata da un saut du même au même, ma vi sono anche numerosi errori più lievi. Ad essi talvolta – ma non spesso – rimedia una seconda mano (inchiostro più scuro, rossiccio), ritrovando la lezione corretta, probabilmente nello stesso antigrafo (o nel proprio buon senso):233 392c7

τι A Par : γε Ang

393d3

ὑγίειαν A Par : ὑγίαν Ang (corr. Ang2)

394a6

τί ἄν A Par : ἔτι ἄν (corr. Ang2)

395e2

καλὸν A Par : καλλὸν Ang

396a5

ἱππεύοι A Par : οἱππεύοι (sic!) Ang

396a7

καθ’ ὅσον οἷός τ’ ἦν Par : καθ’ ὅ οἷός τ’ ἦν Ang

233 Sul correttore di Ang si veda in particolare Martinelli Tempesta (1997), 99, che osserva come, salvo rari casi, la fonte degli interventi diortotici sia il modello stesso: nell’Erissia non è in generale possibile riscontrare un contatto con altri rami della tradizione. In un caso tuttavia Ang2 presenta una correzione di rilievo non dipendente da Par: si tratta dell’accentazione della parola σισυρα (400e6), che si trova quale proparossitona (σίσυρα) tanto in A quanto in Par, ma è corretta da Ang2 a favore della grafia parossitona (σισύρα), oggi considerata etimologicamente preferibile (cf. DELG s.v.). L’oscillazione attestata nell’accentazione della parola e la minuzia del dettaglio non consentono a mio parere di chiarire se l’origine dell’intervento sia da ricondurre alla collazione di altri manoscritti dell’Erissia riportanti la grafia σισύρα o se provenga in generale da un bagaglio di conoscenze o di reminiscenze del correttore. La stessa mano integra lo scolio a 405b8, λίθον ἔψειν (p. 408 Greene), al f. 353r, non trascritto dal copista; simile noncuranza nella copia dei marginalia è riscontrata da Carlini (1964), 40.

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La tradizione bizantina

396a8

ἑτέρου τινὸς οὖν A : ἑτέρου τινοσοῦν Par : ἑτέρου τονοσοῦν (sic!) Ang (234)

397c2

ἐκώλυεν A Par : ἐκώλυσεν Ang

397d4

αὐτὸν A Par : αὐτοὶ Ang (corr. Ang2)

400a7

εἰ om. Ang

402c8–d1

ἐστιν, καὶ ὅτι τῶν χρησιμωτάτων ἐστὶν πρὸς τοῦτο χρήματα om. Ang. (235)

404d2

καὶ αὐτῷ A Par : καὶ τῷ Ang

La divergenza occasionale di Ang da Par si può spiegare comunque a partire dai folia del parigino: a 393b5, il copista di Ang ha preferito τινὶ (supra lineam in Par, già a margine in A) a τῳ, che tuttavia ha riportato supra lineam, invertendo di fatto la situazione trovata nel suo antigrafo. Per l’Appendix, al contrario di quanto accade per altri dialoghi,236 Ang non sembra avere discendenza.

234 Lo ι di τινοσοῦν in Par (f. 349v) è coperto nella parte superiore da un buco: non è impossibile che la situazione fosse già tale – o simile – ai tempi della copiatura di Ang, e che questo abbia trascinato il disattento copista verso la vox nihili. L’ipotesi sembra confermata dal fatto che lo stesso errore si ripete in un altro apografo di Par, indipendente da Ang, ossia il vaticano Θ (si veda poco più in basso per la scheda). 235 Non sembra però che abbia contribuito al salto la mise en page di Par, dal momento che il testo omesso si distribuisce su due righi successivi e le due occorrenze di χρήματα non sono immediatamente sovrapposte l’una all’altra. 236 Cf. e.g. per la quarta tetralogia Carlini (1964), 41 (Par. gr. 1814), per il Liside Martinelli Tempesta (1997), 101–104 (Ott. 177).

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La discendenza di Par

Θ: Vaticanus graecus 226 [n° 196 Wilson], ff. 211v-222r XIII s. ex.-XIV s. in.,237 membranaceo, seconda parte di un codice inizialmente integro, di cui la prima parte corrisponde al Vat. gr. 225 (Δ).238 Il manoscritto passò tra le mani di Manuele Gabala/Matteo di Efeso (RGK I 270, II 370, III 445), che vi copiò il Didaskalikos di Albino (Δ, ff. 1r-12r) e un πίναξ (Δ, f. 13v);239 il πίναξ al terzo foglio di Θ è opera di Manuel Tzykandyles (RGK I 255, II 351, III 419). Il codice fece poi parte della biblioteca di Manuele Crisolora.240 In seguito tornò forse a Costantinopoli dopo lo smembramento di quest’ultima, per poi fare ritorno definitivamente in Italia, portato da Cristoforo Garatone (1398 ca-1448), nunzio del papa Eugenio IV (regnante dal 3 marzo 1431 al 23 febbraio 1447); prima del passaggio alla Biblioteca Vaticana lo troviamo, probabilmente già diviso, nella biblioteca di Niccolò V (regnante dal 6 marzo 1447 al 24 marzo 1455).241 ΔΘ contiene, in ordine fortemente perturbato, dialoghi tratti dalle prime sette tetralogie, nonché quasi tutta l’ottava (Clitofonte, Repubblica, Timeo) e gli spuri. Le fonti di questo materiale sono molteplici: è stata individuata una dipendenza, per alcuni dialoghi contenuti nelle prime sei tetra-

237 La datazione del codice è stata invero assai dibattuta: al quadro riassuntivo offerto da Martinelli Tempesta (1997), 11–12, n. 21, che propende per una collocazione in prima età paleologa, va ora aggiunto il contributo risolutivo di De Gregorio, Prato (2003), 62–69, situante il codice all’interno di una produzione arcaizzante tipica della suddetta epoca; la datazione è ripresa e confermata tra gli altri da Ferroni (2006), 75, Vancamp (2010), 14, e Jonkers (2017), 74–75. 238 Impiego anch’io i sigla Δ e Θ, apposti dal Bekker, dal momento che V di Schanz, per quanto impiegato per i dialoghi delle prime tetralogie (e quindi principalmente per quello che oggi è il Vat. gr. 225), non sembra davvero aver preso piede tra gli studiosi, e può creare qualche confusione; i sigla bekkeriani hanno peraltro il pregio di una maggiore concisione rispetto ad abbreviazioni più esplicite (Vat. 225, o Vat. 226). 239 Cf. Menchelli (2013), 844. 240 La scoperta è di Pontani [A.] (1995), 357–359; si vedano poi Berti (1995), 291– 293, e Martinelli Tempesta (1997), 12–13. La prima parte del manoscritto, ossia l’attuale Δ, è fonte della traduzione latina della Repubblica ad opera di Crisolora e Uberto Decembrio: cf. Gentile, Speranzi (2010), 17. 241 Cf. Martinelli Tempesta (1997), 11–13; sul Garatone si veda Moro (1999). L’acquisto del codice (o dei codici, se si deve immaginare fossero già separati nella biblioteca del Crisolora) potrebbe essere avvenuto anche in Italia, cf. Gentile, Speranzi (2010), 17–19.

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La tradizione bizantina

logie, dal Bodleianus Clarkianus 39 (B),242 mentre per altri è evidente un’appartenenza alla terza famiglia (δ) e uno statuto di testimone indipendente.243 Per i dialoghi della seconda parte del corpus (Clitofonte, Timeo, Repubblica) la critica ha individuato una dipendenza dall’Escorialensis y I 13.244 Infine, una derivazione da Par, forse tramite un intermediario, sembra imporsi per la settima tetralogia (assente in B).245 È chiaro che tra queste fonti testuali, l’unica plausibile per gli spuria e l’ultima: l’inscriptio Ἐρυξίας ἢ περὶ πλούτου ἐν ἄλλῳ ἢ Ἐρασίστρατος e la lacuna a Erx. 399e2, ὁ φάσκων, sono elementi sufficienti a sistemare Θ in questa parte dello stemma.246 Il resto della collazione porta conferme alla dipendenza da Par, ancora una volta prima dell’intervento di Par3; l’assenza delle innovazioni di Ang, in particolare della grossa lacuna a 402c8–d1, esclude una dipendenza da quest’ultimo codice.247 Gli errori di Par, invece, ci sono tutti:248 393e7

τούτους A : τούτοις Par Θ

395b4

ἀντιφέρωσιν A : ἀντιφέρουσιν Par Θ

396e9

μοιχεύοι A : μοιχεύει Par, μηχεύει Θ

398e5

οἶσθα A : ἦσθα Par Θ

399e2

ὁ φάσκων om. Par Θ

242 Simposio, Brockmann (1992), 85–88; quarta tetralogia, Carlini (1964), 26–27; Teage, Joyal (1998), 6–7; Carmide, Murphy (1990), 318; Liside, Martinelli Tempesta (1997), 16; Protagora, Díaz de Cerio, Serrano (2005), clix; Gorgia, Dodds (1959), 37; Menone, Vancamp (2010), 14–16. 243 In particolare per la prima tetralogia l’indipendenza di Δ e la sua appartenenza alla terza famiglia è dato ormai evidente per la critica: cf. Duke et alii (1995), viii-ix; in particolare sull’Eutifrone, cf. Manfrin (2017), 2–11, sull’Apologia cf. Nicoll (1966), sul Critone, Berti (1966), 211–212, e sul Fedone Carlini (1966), 200– 209 e (1972), 187–195. 244 Slings (1981), 272 e (1987), 40; Boter (1989), 157–161; Jonkers (2017), 74. 245 Per i due Ippia cf. Vancamp (1995), 30–31, e Vancamp (1996a), 42; per lo Ione Ferroni (2006), 74–77, e (2018), liv. 246 Anche in Θ, come in Ang, il cambio di battuta non è segnalato da paragraphos, ma solo da dicolon, inserito peraltro con una certa imprecisione, anche all’interno di sequenze di testo continue e da assegnare al medesimo personaggio. I folia di Θ contenenti l’Erissia sono del tutto privi di marginalia. Stesse conclusioni si possono trarre a partire dal testo dell’Assioco, come mostra Beghini (2020), 118– 119 (e n. 307). 247 Un’influenza della linea tradizionale di Ang è supposta per lo Ione da Ferroni (2018), liv. 248 Come per Ang, si riscontra anche accordo nelle lezioni buone di Par contro A, che non è il caso di elencare di nuovo.

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La discendenza di Par

403b3

ἐπιστήμονες ὡς A : ἐπιστημόνως Par Θ

403b8

μόνον ... μόνοις A : μόνοις ... μόνον Par Θ

405b8

καὶ ante τούτους add. Par Θ

Alquanto numerose, forse a causa del passaggio intermedio, sono le innovazioni peculiari di Θ, di cui alcune corrette dalla stessa mano249 durante la copiatura (Θ2): 393a8

εἶναι om. Θ

393b3

δυοῖν ταλάντοιν A Par : δυοῖν ταλάντοι Θ

393c5

ὑγίεια A Par : ὑγία Θ

393c6

τὰ A Par : κατὰ Θ

394c3

αὐτίκα A Par : αὐτοίκα Θ

395b6

οὐδέν τι μᾶλλον A Par : οὐδέν τοι μᾶλλον Θ

396a8

ἑτέρου τινὸς οὖν A : ἑτέρου τινοσοῦν Par : ἑτέρου τονοσοῦν (sic!) Θ (250)

396c3

μέν τι A Par : μέντοι Θ

396e9

μοιχεύει Par : μηχεύει Θ

397b3

μὴ bis Θ

397c1

ᾐσχύνετο A Par : αἰσχύνετο Θ

397e12

τοῖα A Par : τοιαῦτα Θ

400a8

ἐν δὲ Λακεδαίμονι A Par : ἐν δὲ Λακεδαίμοσι Θ

400d5

τὰ ante χίλια τάλαντα add. Θ

400e5

ἤπερ A Par : εἴπερ Θ

401e9

δεοίμεθα A Par : δεήμεθα Θ, corr. Θ2 s.l.

402e10

δῆλον bis Θ

404b7

τοῦτο A Par : ταῦτα Θ, corr. Θ2 s.l.

249 In alcuni casi, come nella rasura a 396a3 ἐ**γώ, non è facile assegnare l’intervento, ma il riscontro delle correzioni sul figlio di Θ, ossia Urb, porta a pensare tutti gli interventi sul manoscritto siano più o meno coevi. 250 Lo stesso errore è commesso da Ang, ma non deve considerarsi congiuntivo: i due manoscritti non condividono altre innovazioni e il motivo dell’errore si cela probabilmente nel folium di Par, dove un buco copre parte dello ι (f. 349v); si veda già poco sopra, nella scheda di Ang.

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La tradizione bizantina

404c5

πράττει A Par : πράττοι Θ

405d4

ἐστὶν om. Θ

405e12

μηδὲν A Par : μὴ ἐν Θ

406a5

τούτων A Par : τοῦτον Θ

In un solo punto il copista di Θ presenta lezione migliore di Par, ma si tratta di correzione facile (e forse ereditata dall’intermediario): si tratta di 394e4, Πεντελίκων (non tuttavia Πεντελικῶν) a fronte di Πεντελέθων (/ Πεντελέκων) di Par.

Urb: Vaticanus Urbinas graecus 32 [n° 186 Wilson], 15r-27v XV s. in.,251 membranaceo, vergato dallo stesso copista dell’Urb. gr. 33 e del Bodm. 136 (ante 1404); l’identificazione di questa mano con quella di Leonardo Bruni (RGK III 381)252 è stata lungamente dibattuta, senza che si sia giunti a conclusioni definitive.253 Indiscutibile sembra per Urb la derivazione da un codice di Crisolora, per il titolo bilingue e per l’evidente mimesi della grafia ‘crisolorina’. Il manoscritto fu acquisito, insieme all’Urb. gr. 33, dalla biblioteca urbinate su spinta di Federico di Montefeltro, probabilmente dopo il 1465.254 Urb contiene gli spuri, nell’ordine canonico ma a partire dal De virtute, cui aggiunge poi altri dialoghi (Clitofonte, i due Ippia, la quinta tetralogia escluso il Carmide, e l’Eutidemo). A conferma di quanto detto sul rapporto con Crisolora, è ormai dimostrata la sua dipendenza probabilmente diretta

251 Nuova descrizione in Martinelli Tempesta (1997), 21–22. 252 L’attribuzione è dovuta a Ruth Barbour, cf. Berti (1978), 127. 253 Un riesame dei dati, di impronta possibilista, si trova ora in Gentile (2002), 415– 423; ma si veda ancora l’utile disamina in Berti (1995), 289–294. Scettica è la conclusione di Hankins (2013), 85, che rileva come il ductus dello scriba dei tre mss. sia troppo costante e ordinato per appartenere a Bruni, che mostra una forte tendenza all’irregolarità tanto nella scrittura latina quanto nell’unico specimen certo della sua scrittura greca, ossia le note nel Laur. 49, 18; dello stesso parere Bandini (2019), 22. 254 Così Berti (1995), 288, n. 21, sulla base delle miniature e degli stemmi federiciani presenti al principio dei due codici; sulla biblioteca platonica di Federico si veda Hofmann (2008), 12–14 (e n. 41).

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La discendenza di Par

da Θ per i dialoghi delle tetralogie.255 Un simile quadro è stato già supposto per l’Appendix,256 e la collazione dell’Erissia non fa che portare conferme. Gli errori e le peculiarità di Θ sono presenti su Urb (tralascio in quest’occasione di indicare le innovazioni risalenti a Par): 393a8

εἶναι om. Θ Urb

393c5

ὑγίεια A Par : ὑγία Θ Urb

393c6

τὰ A Par : κατὰ Θ Urb

394c3

αὐτίκα A Par : αὐτοίκα Θ Urb

394e4

Πεντελέθων Par Πεντελέκων Par2 s.l. : Πεντελίκων Θ Urb

395b6

οὐδέν τι μᾶλλον A Par : οὐδέν τοι μᾶλλον Θ Urb

396a8

ἑτέρου τινὸς οὖν A : ἑτέρου τινοσοῦν Par : ἑτέρου τονοσοῦν (sic!) Θ Urb

396c3

μέν τι A Par : μέντοι Θ Urb

396e9

μοιχεύει Par : μηχεύει Θ Urb

397b3

μὴ bis Θ Urb, tum primum μὴ punct. not. Urb2

397c1

ᾐσχύνετο A Par : αἰσχύνετο Θ Urb

397e12

τοῖα A Par : τοιαῦτα Θ Urb

400a8

ἐν δὲ Λακεδαίμονι A Par : ἐν δὲ Λακεδαίμοσι Θ Urb

400d5

τὰ ante χίλια τάλαντα add. Θ Urb

400e5

ἤπερ A Par : εἴπερ Θ Urb

404c5

πράττει A Par : πράττοι Θ Urb

405d4

ἐστὶν om. Θ Urb

405e12

μηδὲν A Par : μὴ ἐν Θ Urb, corr. Urb2 s.l.

406a5

τούτων A Par : τοῦτον Θ Urb, corr. Urb2 s.l.

Gli errori corretti da Θ supra lineam sono invece assenti, così come la ripetizione di δῆλον (402e10). Alcuni errori di Urb possono essere stati condizionati da singolarità di Θ: sembra questo il caso di δυοῖν ταλάντων

255 Teage, Joyal (1998), 7–8; Liside, Martinelli Tempesta (1997), 13–17 e 22–23; Ippia maggiore e Ippia minore, Vancamp (1995), 30–31, e (1996a), 42; Clitofonte, Slings (1981), 271–272. 256 Post (1934), 59, principalmente sulla base di Ax. 365b2 ἐπιλογιῇ] ἐπιλοκῇ Θ Urb e 366a8, διψᾷ] διεψᾷ Θ Urb. Si veda ora un quadro più ampio, sull’Assioco, in Beghini (2020), 121, n. 313.

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La tradizione bizantina

(393b3), forse un tentativo di recuperare la forma genitiva a fronte dell’errore di Θ, δυοῖν ταλάντοι; ancora, τυγχάνοι τὰ di Urb a 393b4–5 può essere stato cagionato dalla forma dell’ω su Θ, che può essere qui scambiato per un α, complice la copertura dell’asta orizzontale del τ (f. 212v). Si riscontrano poi le seguenti peculiarità di Urb, talora corrette dal copista stesso (Urb2): 393c7

μᾶλλον ante ὀλίγον add. Urb, tum punct. not. Urb2

394a6

ὁ Ἐρασίστρατος om. Urb

394c3

κωλύει] κολύει Urb

395a4

πλουσιώτερος] πλουσιότερος Urb, corr. Urb2 s.l.

395d6

2 ὁπόθεν]

395e7

εἰπέ μοι] ὑπέμοι Urb

397b4

ἀκράτειαν] ἀκράτιαν Urb

397d2

δῆτα] δεῖτα Urb

400b4

Αἰθιοπίᾳ] Αἰθιοπείᾳ Urb, tum ε punct. not. Urb2

402a1

φήσαιμεν] φήσμαιν Urb, corr. Urb2 s.l.

403a5

ἀνεπιστήμοσιν] ἀνεπιστώμοσιν Urb, corr. Urb2 s.l.

403b3

καλοῖς] κακοῖς Urb, corr. Urb2 s.l.

403c1

ἀνεπιστήμονα] ἐπιστήμονα Urb, corr. Urb2 s.l.

404a4

κωλύει] κολύει Urb

405d6

κάμνωμεν … ὑγιαίνωμεν] κάμνομεν ... ὑγιαίνομεν Urb, corr. Urb2 s.l.

ὁπότεν Urb

Sul codice sono poi riscontrabili varie altre correzioni, apparentemente della stessa mano (ma talora con inchiostro leggermente più chiaro): a 393a7 supra lineam τούτοις – ereditato da Par – è corretto in τούτους; viene ripristinata in rasura la lezione corretta αὐτοὺς di 393e10, forse correggendo un αὐτοῖς, e salvato, sempre in rasura, πάντων παρόντων (398c1) da un errore di cui non si trova più traccia nel codice; alcuni interventi sono meno felici, come la modifica supra lineam di ἀντιβολοίης (398e7) in ἀντιβουλοίης, o il ritorno, ancora supra lineam, dell’errato φαίνωνται di A a 400c3 (con εἴπερ, corretto in Par), ‘ritocco’ che suggerisce collazione di un esemplare del ramo di O, dove la lezione si perpetra (dallo stesso esemplare può essere stato tratto il corretto μηδὲν, supra lineam per μὴ ἐν di Θ a 405e12).

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La discendenza di Par

C: Parisinus graecus 1809 [n° 129 Wilson], 303r-308r XIV s. in.,257 membranaceo. Proveniente dal Monte Athos (monastero di Vatopedi, come da f. 1r: ἡ βίβλος τοῦ βατοπεδίου), e acquistato nel 1687 dall’ambasciatore francese Pierre Girardin (in carica dal 1685 fino alla sua morte nel 1689), presso la Biblioteca del Serraglio di Istanbul.258 Resta incerta l’identificazione del copista di C, con quello del suo apografo Barb, quest’ultimo identificato con Georgios Galesiotes (RGK I 57, II 77, III 97).259 C riproduce il contenuto di Par, sia pure con l’aggiunta recenziore del Clitofonte, mutilo (fino a 408c3) alla fine, dopo il Carmen aureum pitagorico.260 È prolifico discendente di Par per i dialoghi contenuti nelle prime

257 L’ipotesi di datazione, già argomentata da Brockmann (1992), 209–210 e Martinelli Tempesta (1997), 106–107, è ancora una volta confermata da Di Gregorio, Prato (2003), 83, n. 55; cf. ora anche Ferroni (2006), 34–35. Beghini (2020), 117, n. 305, non esclude una datazione più alta, al XIII s. 258 Ne siamo informati dallo stesso Girardin, in una lettera del 10 marzo 1687 al ministro François Michel le Tellier de Louvois, edita in Omont (1902), 252–256: il codice, in un gruppo di sedici, fu acquistato presso un «rénegat italien, homme d’esprit», un livornese che ebbe a disposizione un gran numero di codici greci provenienti dalla biblioteca del sultano Mustafà I, di cui un’altra parte confluì nella Biblioteca Universitaria di Bologna: cf. Bernasconi (2006). Più incerta pare l’identificazione con il codice appartenuto a Giovanni Aurispa – lettera del 27 agosto 1424 ad Ambrogio Traversari, ora n° VII in Sabbadini (1931), 10–15 – proposta già dubitosamente da Diller (1983), 256: cf. Martinelli Tempesta (2003), 53, n. 191. 259 Cf. Pérez Martín (2005), 122–123. La studiosa non affronta il problema dell’identificazione dei copisti di Barb e C, che risale a Wohlrab (1887), 679; più prudente Diller (1983), 256 («said to be copied from Paris. 1809 by the same hand»); contra Martinelli Tempesta (2003), 53 e, soprattutto, 59, n. 234. 260 Fonte testuale per il Clitofonte è, per Slings, un manoscritto derivato da A ma contaminato con una linea tradizionale indipendente: Slings (1981), 269–270 e (1999), 341–342; tuttavia, le considerazioni di Slings derivano dalla collazione del Bekker: cf. Slings (1981), 269; nessuna nota in Slings (1999) suggerisce una revisione autoptica o su microfilm del parigino.

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La tradizione bizantina

sette tetralogie,261 non è chiaro se in presenza di un intermediario.262 Il mancato intervento del rubricator priva i dialoghi del titolo e dell’iniziale: l’inscriptio è aggiunta da un’altra mano, di poco successiva, come suggerisce la titolatura dei dialoghi negli apografi, mentre la prima lettera perlopiù manca. Nell’Erissia la forma dell’inscriptio aggiunta è quella della linea di Par, con ἐν ἄλλῳ prima di Ἐρασίστρατος, ma manca ἢ.263 La collazione dell’Erissia conferma la dipendenza: gli errori di Par sono tutti riscontrabili sui folia di C (così come le correzioni del testo di A): 393e7

τούτους A : τούτοις Par C

395b4

ἀντιφέρωσιν A : ἀντιφέρουσιν Par C

396e9

μοιχεύοι A : μοιχεύει Par C

398e5

οἶσθα A : ἦσθα Par C

399e2

ὁ φάσκων om. Par C

403b3

ἐπιστήμονες ὡς A : ἐπιστημόνως Par C

403b8

μόνον ... μόνοις A : μόνοις ... μόνον Par C

405b8

καὶ ante τούτους add. Par C

Per gli altri dialoghi, la differenza maggiore rispetto a Ang e Θ consiste nel fatto che C appare copiato dopo l’intervento di Par3. Per l’Erissia questo è riscontrabile con certezza solo a 394d4, dove C porta τυγχάνοι, correzione su Par per τυγχάνει (uguale su Ang e Θ), e assegnabile a Par3. Altrove, a 394e4, C riporta soltanto Πεντελέκων, la lezione di Par2 supra lineam, e co-

261 Critone, Berti (1969), 427–429; Sofista, Philip (1968), 296; Parmenide, Moreschini (1965), 179–180; Simposio, Brockmann (1992), 168–177; quarta tetralogia, Carlini (1964), 32–33; Teage, Joyal (1998), 11–12; Carmide, Murphy (1990), 327–328; Liside, Martinelli Tempesta (1997), 104; Protagora, Díaz de Cerio, Serrano (2005), clix; Gorgia, Díaz de Cerio, Serrano (2001), 361–363; Menone, Vancamp (2010), 22; Ippia maggiore e Ippia minore, Vancamp (1995), 21–22, e (1996a), 38– 39; Ione, Ferroni (2006), 35–36, e Ferroni (2018), lii. Si veda già Post (1934), 57– 58, che individua su C due salti di rigo di Par (Tht. 188c7–9; Phdr. 268a1–2); cf. anche Diller (1983), 255–256 («contents the same as in 1808, from which it was copied»). La posizione è confermata da Beghini (2020), 117, n. 305, per l’Assioco. 262 Un passaggio intermedio è immaginato da Post (1934), 58 (per le tracce in De virtute e Assioco della recensio del vindobonense Y), e Martinelli Tempesta (1997), 104–105. 263 Ἐρυξίας ἢ περὶ πλούτου ἐν ἄλλῳ Ἐρασίστρατος C : Ἐρυξίας ἢ περὶ πλούτου ἐν ἄλλῳ ἢ Ἐρασίστρατος Par.

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La discendenza di Par

pia τινοσοῦν a 396a7, dove Ang e Θ hanno il monstrum τονοσοῦν.264 Si segnala, tuttavia, una piccola serie di errori congiuntivi con Θ: 392b3

καθιζώμεθα A Par : καθεζώμεθα C Θ

392c2

Συρακόσιοι A Par : Συρακούσιοι Θ, Συρρακούσιοι C

396c3

μέν τι A Par: μέντοι C Θ

Questa situazione, vista la presenza di numerosi errori separativi (su Θ e non su C), si potrebbe forse spiegare ipotizzando un’identità tra il modello di Θ e quello di C, che costituirebbe, quindi, un passaggio intermedio tra Par e i due codici; gli errori di C non in Θ e viceversa sarebbero da assegnare ai due rispettivi copisti. Tuttavia, una simile ricostruzione non sembra congruente con quanto visto per gli altri dialoghi, e non è da escludere la poligenesi (in particolare, l’oscillazione tra Συρακόσιοι e Συρακούσιοι è triviale, e ricorre anche in Ang). In ogni caso, il copista di C aggiunge pochi errori propri: 393b4

τυγχάνοι A Par : τυγχάνει C

394c5

ταῦτα iter. tum del. C

394d3

ἔχοι A Par : ἔχει C

396e12

τυγχάνοι A Par : τυγχάνει C

397a4

λυσιτελοῖ A Par : λυσιτελεῖ C

405d4

ἔστιν om. C

La rarità degli errori testimonia una particolare cura di C nel copiare il proprio modello, una cura che si associa alla produzione di un manufatto elegante e di lusso quale è il parigino, e spinge a escludere la presenza di un intermediario tra Par e il codice. L’aspetto del manoscritto e la sua bella e chiara scrittura furono probabilmente tra gli elementi che contribuirono alla sua fortuna quale padre di diverse altre copie. Per l’Erissia, si posso-

264 Quest’ultimo dato potrebbe suggerire che l’eventuale intermediario tra Par e C sia stato copiato prima che si generasse su Par il guasto materiale che pare aver traviato i copisti degli altri due apografi; ma questo è contraddetto dal fatto che sia Ang che Θ riportano ad uno stato del testo precedente al passaggio di Par3, laddove C invece ne riporta le correzioni. Probabilmente il copista di C è stato, semplicemente, un poco più attento.

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La tradizione bizantina

no individuare due apografi: il Malatestianus D 28, 4 (Mal) e il Barberinianus graecus 270 (Barb).

Mal: Malatestianus D 28, 4 [n° 8 Wilson], ff. 301r-306r XIV s.,265 cartaceo; vergato a Costantinopoli, come appare probabile dagli interventi su alcuni folia del primo copista del Laur. 59, 1 (a), da cui in parte Mal discende.266 Il codice appartenne probabilmente ad Antonio Cassarino, che lo ottenne a Costantinopoli dal suo maestro Ioannes Eugenikos,267 per passare poi – dopo la morte dell’umanista siciliano – all’amico Pietro Perleone e giungere con quest’ultimo a Venezia;268 l’arrivo in Malatestiana è mediato probabilmente dal passaggio alle mani dell’antiquario Giovanni Marco da Rimini, che lasciò in eredità il proprio patrimonio alla biblioteca alla sua morte nel 1474.269 Mal contiene le opere di Platone quasi per intero: manca soltanto una parte della nona tetralogia (Leggi, Epinomide e Lettere), nonché le spurie Definizioni. La varietà di fonti testimonia una ricerca simile a quella che porta, nello stesso periodo e in un ambiente probabilmente non distante, alla confezione del Laur. 59, 1 (a): proprio di a il codice è copia – forse indiretta – per una serie di opere, in particolare Clitofonte,270 Timeo e Crizia,271

265 Per la datazione si vedano Martinelli Tempesta (1997), 106–107, e Azzarà (2002), 168, n. 16. 266 Cf. Pérez Martín (2005), 122. Sull’origine costantinopolitana del Laur. 59, 1 (a) si veda la scheda del codice, poco sotto. 267 Così Hankins (1990), II, 427–428, che individua in Mal il codice a lungo richiesto nel 1463, dopo la morte di Piero Perleone, al fratello Giacomo da Francesco Filelfo; tuttavia, le considerazioni di Boter (1989), 268–270, mettono in dubbio l’ipotesi secondo cui Mal sarebbe stato modello della traduzione della Repubblica ad opera del Cassarino. Per la traduzione dell’Erissia operata da Cassarino, e conservata oggi nel solo Vaticanus latinus 3349, si veda infra, 118. 268 Per la figura di Perleone e i suoi rapporti con il circolo veneziano di Iacopo Antonio Marcello, si veda Hankins (1990), II, 415–417. 269 Così Zazzeri (1887), 180–181 e 236–238. Nonostante lo scetticismo di Mioni (1964), 65–66, che evidenzia l’assenza di note di possesso del riminese, la ricostruzione è accolta, pur con cautela, dalla critica più recente: cf. Hankins (1990), II, 428; Martinelli Tempesta (1997), 60; Reis (1999), 218–219, Jonkers (2017), 47. 270 Slings (1981), 267–268. 271 Jonkers (2017), 303–307 e 341–343.

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La discendenza di Par

Minosse,272 nonché, forse, per la Vita di Platone.273 Per la Repubblica Mal sembra copia indiretta di A, nonché gemello di γ (Laur. conv. soppr. 42);274 la critica è concorde poi a riconoscere in C l’antigrafo (diretto o indiretto) per i dialoghi delle prime sette tetralogie.275 Il testo di C è migliorato da una serie di correzioni e di interventi, forse della mano stessa del copista,276 che offrono le prove di un contatto con altri rami della tradizione: il vaticano R è la fonte più probabile tra quelle vagliate dalla critica.277 Anche per l’Erissia la situazione è simile a quella descritta da Martinelli Tempesta per il Liside: Mal è con ogni probabilità una copia di C sulla quale sono state introdotte correzioni derivanti dalla collazione con un altro esemplare. La direzione della relazione è assicurata, come nel Liside, dalla presenza su Mal di una selezione degli scoli di Par, presenti nella loro totalità su C. Al lavoro su Mal sulle carte che contengono l’Erissia si possono ritrovare due mani apparentemente diverse, l’una caratterizzata da un inchiostro bruno alquanto scuro, l’altra da un inchiostro ocra leggermente più chiaro di quello della colonna; per comodità si assegna qui alle due mani rispettivamente il siglum Mal2 (scuro) e Mal3 (chiaro), senza tuttavia voler stabilire una sequenza diacronica tra le due serie di interventi. Che il testo di partenza sia quello di C sembra evidente in particolare in alcuni casi:

272 273 274 275

Benati (2017), 15–22. Cf. Dorandi (2009), 123–124. Questo almeno il quadro di Boter (1989), 111–125. Critone, Berti (1969), 430–431 (che pensa tuttavia a un intermediario); Simposio, Brockmann (1992), 207–219; Teage, Joyal (1998), 12–14; Carmide, Murphy (1990), 328; Liside, Martinelli Tempesta (1997), 107–111; Protagora, Díaz de Cerio, Serrano (2005), clix; Gorgia, Díaz de Cerio, Serrano (2001), 361–363; Menone, Vancamp (2010), 23–24; Ippia maggiore e Ippia minore, Vancamp (1995), 22– 23, e (1996a), 39; Ione, Ferroni (2006), 36–37, e Ferroni (2018), lii. La dipendenza è probabile anche per la quarta tetralogia, come suggeriscono le osservazioni di Carlini (1964), 35, che tuttavia riteneva Mal gemello di C; similmente per il Parmenide, cf. Moreschini (1965), 180. Per gli spuria la conferma giunge dalla collazione dei folia contenenti l’Assioco: cf. Beghini (2020), 124 e nn. 329–330. 276 La stratigrafia delle mani su Mal è dibattuta: si veda lo status quaestionis in Martinelli Tempesta (1997), 109, n. 343, e le considerazioni in Ferroni (2006), 38– 39. 277 Così Brockmann (1992), 212–213 (Simposio), Martinelli Tempesta (1997), 107– 111 (Liside), Vancamp (2010), 24–26 (Menone), Vancamp (1995), 22–23 (Ippia maggiore), Ferroni (2006), 37, e Ferroni (2018), lii, n. 22 (Ione), Slings (1981), 268 (Clitofonte), Jonkers (2017), 307 (Timeo), e Beghini (2020), 124–125 e note (Assioco).

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La tradizione bizantina

392b3

καθεζώμεθα C Mal : καθιζώμεθα Mal2 ι s.l.

394e4

Πεντελέκων C Mal : Πεντελίκων Mal2 ι s.l.

396e12

τυγχάνοι A Par : τυγχάνει C Mal

405d4

ἐστὶν om. C : ἐστὶν τῆς om. Mal, int. Mal3 s.l.

In sparuti casi, la prima mano di Mal si distacca dalla lezione di C, ma potrebbe trattarsi di congetture (come 397a4, con λυσιτελοῖ di A Par Mal contro λυσιτελεῖ di C). Che la fonte per la maggior parte delle correzioni sia anche qui R, come già appare in altri dialoghi, è alquanto probabile. Per molte di esse si può mostrare un contatto con il ramo di O, come ad esempio per le rasure e dalle espunzioni con cui il correttore (nel caso delle espunzioni si tratta di Mal3, per il colore chiaro dei puntini) rimuove dal testo elementi già espunti o assenti in O: μὲν (395b8), τὸ (397d3), ἆρα (398a5), ἔγωγε (398d4), οὐκ (399d1), καὶ (405b8). Altre correzioni significative che intervengono su errori comuni della linea di Par sono: 398e5

ἦσθα Par C Mal : οἶσθα Mal2 s.l. A O

399e2

ὁ φάσκων om. Par C, int. Mal2 s.l.

Più specificamente ad un contatto con R rinviano i casi di 396a8, dove τινοσοῦν di C è corretto supra lineam da Mal2 in οὑτινοσοῦν, lezione genuina attestata in R, ma soprattutto 401a6, dove su Mal si legge σχεδόν γε, con γε apparentemente in rasura: si tratta di lezione singolare di R, in luogo di σχεδόν τι del resto della tradizione. Infine, a 405b6, Mal3 indica supra lineam, con γρ(άφεται), la variante χρήσιμα di R per χρήματα della tradizione. Il copista di Mal introduce poi alcune innovazioni singolari, corrette talora dal copista stesso con medesimo inchiostro (Malc), talora dalle mani successive: 392d7

αὐτὴ A Par C : αὕτη Mal

393c5

ὑγίεια A Par C : ὑγεία Mal

394d4

τυγχάνοι Par3 C : τυγχάνει Mal (278)

395d3

ἂν om. Mal, int. Malc s.l.

278 L’inferiore τυγχάνει è anche lezione di A, O e Par ante correctionem, ma il resto dei dati raccolti fa pensare ci troviamo qui di fronte ad un caso di poligenesi dell’errore.

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La discendenza di Par

396e4

ὑπεδέξω A Par C : ὑπεδείξω Mal

398e5

σοι om. Mal, int. Mal2 s.l.

400e3

ἕνεκα A Par C : ἕκεκα Mal, corr. Mal2 s.l.

402d7

ἐκπορίζονται A Par C : ἐκπορίζωνται Mal

403b4

εἶναι om. Mal, int. Malc s.l.

404a6

μέλλοι A Par C : μέλλει Mal

L’ascendenza di Mal sembra dunque anche per l’Erissia da individuare nel parigino C; al testo sono stati poi apportati dei ritocchi dovuti a una collazione con R. Per l’Erissia, il malatestiano trova un discendente nel Marc. gr. 186 (U).

U: Marcianus graecus Z 186 (coll. 601) [n° 226 Wilson], ff. 275r-278r (279) XV s.,280 cartaceo. Il codice fu vergato all’interno della cerchia del Bessarione, quale esemplare di lavoro per la realizzazione del Platone ‘intero’ del Marc. gr. 184 (E).281 Sui suoi folia sono stati riconosciuti all’attività sei copi-

279 I folia interessati non sono tre e mezzo, bensì quattro e mezzo, siccome al f. 275 segue un f. 275bis; i ff. 278v e 279r-v sono vuoti. 280 Cf. Mioni (1981), 297–298. 281 Così come anche il Marc. gr. 187 (N), fonte di E per i dialoghi non contenuti in U, cf. Boter (1989), 155 (Repubblica), Jonkers (2017), 340–341 (Crizia), Post (1934), 40–45 (Leggi), Moore-Blunt (1985), xi (Lettere).

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La tradizione bizantina

sti, tra cui Bessarione stesso;282 il codice, parte della donazione alla Repubblica Veneta, entrò a far parte del fondo antico della Marciana.283 U contiene trentotto dialoghi (per completare il corpus mancano la Repubblica, il Crizia e l’intera nona tetralogia), cui segue il De natura mundi et animae di Timeo Locro;284 dopo il Parmenide, l’ordine appare fortemente perturbato rispetto alla sistemazione tetralogica, e si fatica a individuare un criterio coerente. Per una parte consistente del suo contenuto, ossia per buona parte dei dialoghi copiati sui ff. 10r-256r dallo scriba a di Mioni, U trova il proprio modello principale nel Marc. gr. 186 (S), sia pure con la collazione occasionale di altre fonti;285 per i dialoghi della seconda parte, copiati dalle altre mani, la situazione non è altrettanto pacifica. Per il Teage, per il Liside, per il Protagora e per il Clitofonte la critica individua una derivazione da T non attraverso la linea di Par, ma forse per tramite di un

282 Il quadro proposto da Mioni (1976) e ripreso in Mioni (1981), 297–298, va arricchito con ulteriori precisazioni: nello scriba che verga i ff. 280r-350v è stato riconosciuto Demetrios Xanthopulos (RGK I 98, II 132, III 166): l’attribuzione è opera di Brockmann (1992), 133; l’assegnazione di una serie cospicua di scoli e correzioni a Demetrios Sguropulos (RGK I 101, II 134, III 168), proposta da Mioni (1976), 306, è stata rimessa fortemente in discussione, cf. già Martinelli Tempesta (2003), 69, n. 294; essi sono piuttosto da attribuire a Gregorio Ieromonaco (già Anonymus κβ Harlfinger), secondo Martinelli Tempesta, apud Orlandi (2014), 168, n. 21; cf. poi Martinelli Tempesta (2015), 305, n. 110. Tale identificazione è confermata nella lista dei manoscritti copiati o postillati dallo Ieromonaco in Giacomelli, Speranzi (2019), 138 (n°40). 283 A 429 = B 524 = C 116 = D 48 Labowsky. 284 Nella copia del trattato di Timeo Locro interviene la mano di Alessio Celadeno (ex Anonymus δ-καί Harlfinger), che aggiunge il capitolo 8 del manuale di armonia di Nicomaco di Gerasa. L’identificazione è di Martinelli Tempesta: cf. Martinelli Tempesta (2015), 305, n. 110, e Speranzi (2016), 81, n. 24, cui si rinvia per ulteriore bibliografia sul Celadeno; cf. ora anche Speranzi (2017), 140–143 (e n. 17). 285 Per S si veda infra la sezione dedicata al manoscritto; la dipendenza di U da S è dimostrata dagli studi sui singoli dialoghi: Critone, cf. Berti (1969), 424–425; Fedone, Carlini (1972), 164–165; Sofista, Philip (1968), 296; Parmenide, Moreschini (1965), 183; Simposio, Brockmann (1992), 128–133; quarta tetralogia, Carlini (1964), 36–37; Gorgia, Díaz de Cerio, Serrano (2000), 94–97, Menone, Vancamp (2010), 63–65; Ippia maggiore e Ippia minore, Vancamp (1995), 41–42, e Vancamp (1996a), 45–46; Timeo, Jonkers (2017), 81–82 e 291–295; l’Appendix, Erissia escluso, Post (1934), 58–59, e Beghini (2020), 127–128 n. 342. Con buona plausibilità la situazione va estesa agli altri dialoghi contenuti in questa sezione, ossia il resto della prima e seconda tetralogia: cf. già Schanz (1877), 89, n. 3 (con pochi esempi tratti dal Cratilo). Apparentemente anche Ipparco e Rivali (pur non copiati dalla manus a) dipendono da S, o almeno questo si evince dal silenzio di Carlini (1964) in proposito.

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intermediario perduto; 286 per Timeo Locro, assente in S, il modello è invece il Marcianus graecus 517;287 per il Carmide è poi apparente una vicinanza con il Parisinus graecus 1812.288 Infine, un contatto con Mal quale esemplare di correzione è individuato con argomenti convincenti da Martinelli Tempesta per il Liside.289 Per l’Erissia, come mostreremo,290 il marciano S deriva dal Laur. 85, 9 (c), a sua volta derivante da Par attraverso l’intermediario del Laur. 59, 1 (a). La situazione dell’Erissia su U è tuttavia singolare. Il dialogo non è copiato insieme agli altri spuri dell’Appendix, nella sezione vergata dalla manus a: dopo l’Alcione infatti, su U troviamo l’Ippia minore, l’ultimo della sezione; a ciò si aggiunge che l’Erissia rappresenta una vera e propria unità indipendente all’interno del codice: esso costituisce l’unica parte del codice copiata dalla manus b di Mioni, e peraltro dopo di esso una carta e mezza sono bianche (278v-279v). Per il testo l’appartenenza al gruppo di Par è evidente da una serie nutrita di casi in cui la lezione originaria di U si schiera con Par contro il ramo di O: inscr.

Ἐρυξίας ἢ περὶ πλούτου ἐν ἄλλῳ ἢ Ἐρασίστρατος Par : Ἐρυξίας ἢ περὶ πλούτου· ἐν ἄλλῳ Ἐρασίστρατος U : Ἐρυξίας ἢ περὶ πλούτου ἢ Ἐρασίστρατος ἐν ἄλλῳ O

392d8

γε U Par : τε O

393b4

τυγχάνει U Par R : τυγχάνοι O

395b4

ἀντιφέρουσιν U Par : ἀντιφέρωσιν O

286 Così rispettivamente Joyal (1998), 29–30, Martinelli Tempesta (1997), 57–66, Slings (1981), 277–278, e Díaz de Cerio, Serrano (2005), clix. 287 Marg (1972), 38–39. 288 Ometto di indicare il siglum canonico, dal momento che esso varia enormemente in letteratura: inoltre, per esigenze di chiarezza né F (Bekker), né Par (Boter, Jonkers), né J (Ferroni, Vancamp) appaiono qui utilizzabili. La dipendenza di U dal Par. gr. 1812 è riscontrata con certezza nel Carmide e nello Ione: cf. rispettivamente Murphy (1990), 321–322, Ferroni (2006), 64–65, e Ferroni (2018), liii; l’ipotesi era invero già di Schanz (1877), 92–94, che la estendeva de facto a quasi tutta la seconda parte di U. La situazione andrebbe tuttavia verificata per i singoli dialoghi non ancora indagati in maniera approfondita, dal momento che Schanz non ebbe accesso a collazioni di U e fondava la sua indagine sul resoconto di E offerto da Bekker. 289 Martinelli Tempesta (1997), 63–66; il malatestiano, come abbiamo già visto poco sopra, fu probabilmente a Venezia dopo la morte del Cassarino. 290 Cf. infra, la sezione dedicata a S.

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395b8

καὶ ταῦτα μὲν τοιαῦτα A Par : μὲν τοιαῦτα del. Oc, καὶ ταῦτα τοιαῦτα U

395c2

ὥσπερ εἰ U Par R : ὡς περὶ O

396d5, e3

ἔχει U Par : ἔχῃ O

396e9

μοιχεύει U Par : μοιχεύοι O

400e9

ἐκκομισαίμεθα U Par : ἐκομισαίμεθα O

401e6

ἐκάστοτε U Par : ἐν ἐκάστοτε O

Non è possibile tuttavia provare con argomenti solidi che U derivi da Par tramite la linea di a c S. La vicinanza a c si limiterebbe a tre casi, di cui due accordi in lezioni buone (396a8, ἑτέρου οὑτινοσοῦν c S U contro ἑτέρου τινοσοῦν di A e Par, e 402e3, τούτῳ c S U, contro τοῦτο di A e Par) e una – μόνοις ... μόνοις a 403b8 – che può rimontare tanto a c quanto, come già sul folium del suo modello a, a una collazione con un codice del ramo di O. Più specificamente contro la collocazione di U sotto S pesa l’assenza di un qualsivoglia accordo in errore singolare. La notizia fornita da Post, che indica come riscontrabile su U una delle due lacune di S a lui note (403a3– 5)291 si rivela erronea: in U non manca nulla. Di per sé, la presenza della pericope di testo indicata su U non impedirebbe una derivazione da S, dove il passo è reintegrato in margine (così accade anche a 402d5–6). Ma un indizio forte contro la dipendenza di U da S è l’assenza di qualsiasi traccia della lacuna altrettanto consistente – ma non integrata – a 401a6–7 (πάντων … μετίοιμεν). Infine, nessuna delle peculiarità specifiche di S è condivisa da U. Trattandosi in gran parte di errori grossolani, non si può escludere una correzione congetturale o fondata su collazione, ma la situazione generale sarebbe comunque tale da dover postulare perlomeno un passaggio intermedio. Un caso, poi, particolarmente significativo che allontana U dalla filiazione di c è la lezione τάλαντα a 393b2, dove τάλαντον di S (ereditato da c) avrebbe dato un senso migliore; difficile da spiegare anche πεντελέκων λίθων (394e4), emendato nel rigo con uno ι s.l. (probabilmente di U2) e in margine da Bessarione (U3) con la forma corretta per esteso: su S come su c il copista avrebbe trovato πεντελέθων (la lezione di Par) e, a margine, la forma corretta Πεντελικῶν.292 Si può forse immaginare che da S fosse tratta una prima copia, poi corretta (anche talora inoppor-

291 Post (1934), 55; le lacune corrispondono a salti di rigo in c: cf. infra la sezione dedicata a S. 292 Anche per questo dato la presentazione di Post (1934), 54, è imprecisa e fuorviante.

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tunamente) tramite la collazione con una seconda fonte, che per l’Erissia potrebbe essere K, codice a sua volta tra le mani del Bessarione e impiegato dal cardinale come autorità per il testo di Leggi ed Epinomide contro la traduzione latina di Giorgio Trapezunzio.293 Non sembra di per sé inverosimile che per confezionare la copia ‘di lavoro’ costituita da U, nella cerchia del Bessarione fosse incoraggiato uno sforzo di confronto e collazione dei due codici in suo possesso. In questo quadro si potrebbe spiegare la presenza in U di omissioni tipiche della linea di O (anche quando non ‘rientrate’ nella filiazione di Par all’altezza di a): τὸ (397d3), ἆρα (398a5), οὐκ (399d1).294 Un’altra strada sembra tuttavia preferibile. Non riconducibile a S o a K è la lezione di U a 401a6, σχεδόν γε per σχεδόν τι di A: in S il passo cade in lacuna, in K viene omesso τι, seguendo J; la lezione che si trova su U è invece errore peculiare di R, il Vat. gr. 1029, un manoscritto per cui la critica ha seppur timidamente avanzato ipotesi di un passaggio per le mani di Bessarione.295 Esiste però – come abbiamo visto – un altro codice, per cui tale passaggio è stato individuato con più chiarezza,296 e che riporta sui propri folia le tracce di una contaminazione sistematica da R: si tratta di Mal. Per l’Erissia un contatto con Mal è riscontrabile a partire dalla condivisione delle seguenti lezioni singolari: 392d7

αὐτὴ A : αὕτη Mal U

396e4

ὑπεδέξω A : ὑπεδείξω Mal U

396e12

τυγχάνοι A : τυγχάνει C Mal U

402d7

ἐκπορίζονται A : ἐκπορίζωνται Mal U

404a6

μέλλοι A : μέλλει Mal U

Questo dato può autorizzare a ricondurre a Mal anche le vicinanze alla linea di O e più specificamente a R, come il già menzionato σχεδόν γε

293 Si vedano gli esempi addotti da Post (1934), 20–22; cf. anche Pagani (2006), 14, n. 28. 294 L’omissione di ἔγωγε a 398d4, invece, di massima non proverebbe nulla: la parola insensata cade già nella filiazione di a, dove è espunta per il confronto con O, come abbiamo visto sopra; simile discorso per la presenza di ὁ φάσκων (399e2), che può derivare dalla integrazione in a come da un nuovo rapporto con la linea di O. 295 Ferroni (2006), 66. 296 Cf. supra e, per il rapporto tra Mal e la confezione di U, già Martinelli Tempesta (2003), 68–69.

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(401a6) e χρήσιμα (per χρήματα) a 405b6, che su Mal, come abbiamo visto, si trova introdotto supra lineam con un γράφεται.297 Ancora, a Mal – e non a c – potrebbe risalire ἑτέρου οὑτινοσοῦν (396a8), anch’esso corretto supra lineam nel malatestiano sulla base di R. Ma ci si può spingere oltre: vista l’assenza di peculiarità della linea dipendente da a, è possibile immaginare che il primo modello per la copia dell’Erissia su U sia stato proprio Mal. La correzione τούτῳ per τοῦτο, presente soltanto in c e S, potrà essere frutto di congettura. Certo non va sottovalutato un dato ulteriore: già alle spalle di U si individua un lavoro importante sul testo, che coinvolge l’Erissia come molti altri dialoghi del corpus. Già la prima mano, infatti, introduce una serie di interventi che talora sanano guasti dell’intera tradizione, e che potrebbero forse derivare da correzioni congetturali applicate su un intermediario: 398e11

ἀμυνούμενος U : ἀμυνόμενος A Mal

399d6

δύναισθε U : δύνασθε A Mal

405c8

ὁποτέρα U : ὁποτέραν A Mal

Su U l’attività diortotica esercitata da Gregorio Ieromonaco (U2) e da Bessarione stesso (U3) è particolarmente intensa e foriera di congetture di interesse indubbio per la constitutio. Il valore di questi interventi, da tempo riconosciuto dalla critica,298 è talora notevole: in particolare, è il caso di δοκοῖ per δοκῇ (398c5, correzione supra lineam di U3), dell’ottimo τὴν αὐτὴν per τὴν τοιαύτην (402a2, con τοι- cancellato e correzione degli accenti, apparentemente ascrivibile a U3), di ἐκπορίζοιντο per ἐμπορίζοιντο a 403e6, con un κ supra lineam di più difficile assegnazione (ma forse da at-

297 Un dato non è perfettamente congruente con questa ricostruzione: l’inversione δίκαιοι καὶ ἄδικοι (per ἄ. καὶ δ. della tradizione) a 396e6 è peculiare di R e U, ma non è reperibile sui folia di Mal, che resta qui fedele al suo modello, C. Ma su U si trovano numerose inversioni (si veda la lista delle singolarità poco sotto) e non è improbabile si tratti di un caso fortuito di poligenesi. 298 Cf. Carlini (1964), 37–39: «spesso si tratta di correzioni che sanano luoghi corrotti in tutta la tradizione manoscritta e non semplici errori di un amanuense»; Murphy (1990), 232; si vedano anche, tra gli altri, Carlini (1972), 165–166 (sul Fedone), Hoffmann, Rashed (2008), 62–63 (sul Fedro), e Martinelli Tempesta (1997), 67–71 (sul Liside). La qualità degli interventi su U, insieme al fatto che il codice costituisce una delle fonti testuali della vulgata, ha tuttavia contribuito a donare al codice un’auctoritas non sempre meritata, al punto da portare talora a risultati ecdotici infelici: mi sia permesso di rinviare, per un caso significativo nel Cratilo, a Donato (2017).

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tribuire a U2). Alcuni interventi sono tuttavia meno felici: è il caso di σπουδάζεται (-αι U3 s. l.) per σπουδάζετε (396c4), o ancora l’aggiunta – sempre dovuta a Bessarione – di ἄν a 402d6, prima di ἀντὶ, per supposta aplografia. Si segnala poi una serie di innovazioni singolari di U, talora corrette dal copista stesso (Uc) o dalle mani successive, il cui numero corrobora peraltro l’ipotesi di un passaggio intermedio: 393b6

οὗτος om. U, add. Uc s. l.

393c6–7 οὐδείς γ’ ἂν οὖν U2 A : οὐδεὶς γὰρ ἂν οὖν U 394c2

ἡ om. U, add. U3 s. l.

394c4

εἰς τὴν δίαιταν om. U, add.

394e11

γε om. U, add. U3 s. l.

395d5

δεῖν A : δεῖ U, ν add. U3 s. l.

395e3

δοκεῖ ἀγαθὸν A : ἀγαθὸν δοκεῖ U

395e8

γε A Uc : σε U

396a4

ὑμῶν A : ἡμῶν U

397d4

ἐχλεύαζεν A : κατεχλεύαζεν U (κατ del. Uc)

398d4

εὔχει A : εὔχῃ U

398d4

γενἐσθαι A U3 i. m. : εἶναι U

398e3

σὺ om. U

398e7

σοι δοῦναι A : δοῦναι σοι U

399b2

οὕτω A : οὗτος U, corr. U3

399e7

τι om. U

400b7

δοκοῖ A : δοκεῖ U, corr. U3 s. l.

400e5

εἶναι om. U, add. U2 s. l.

400e7

τὸ Καρχηδόνιον A : οἱ Καρχηδόνιοι U, corr. U3

401a3

τὰ ante χρήματα add. U (del. Uc)

402a1

φήσαιμεν A : φήσομεν U, corr. Uc s. l.

402a7

ἡμῖν om. U

402b5

τῶν om. U

402b8

φαίνοιτο om. U, add. U2 i. m.

402c8

ἡμῖν ἀχρεῖα A : ἀχρεῖα ἡμῖν U

402e1

τῇ ἐπιστήμῃ om. U, add. U2 i. m.

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402e6

πρὸς τὸ σῶμα A : πρὸς τὸν βίον U

403b9

ταῦτα om. U

404a2

ἀνάγχη πάντα ταῦτα A : ἀνάγχη ταῦτα πάντα U, corr. U3

404b7

γίγνοιτο A : γένοιτο U, corr. U3

404d1

ἡμῖν om. U, add. U2 i. m.

404e3

ἄν σοι om. U, add. U2 s. l.

405b2

γίγνεσθαι A : εἶναι U, corr. U3 i. m.

405b7

αὐτὸν om. U, add. U3 s. l.

405c1

ἐάσωμεν A : ἐάσομεν U

405e5

τυγχάνoi Α : τυγχάνοι U

406a5

τούτων om. U, add. U3 s. l.

Troviamo, inoltre, alcuni marginalia ad opera del Bessarione che segnalano notabilia, principalmente pericopi di testo o nomi di rilevanza:299 πλείονος ἄξιον τῆς ὑγιείας (f. 275r, riprende 393d2–3), Πουλυτίων (f. 275v), διδακτὸν ἢ ἔμφυτον (f. 275bisv, riprende 398c4), νόμισμα Καρχηδονίου (f. 276), σιδηρῷ σταθμῷ νομίζουσι (f. 276r, riprende 400a8), Αἰθιοπίοις λίθοις (f. 276r), ὡς τὰ χρήσιμα χρήματα, τὰ δ’ ἀχρεῖα οὐ χρήματα (f. 276r in basso, riprende la conclusione di Socrate a 400e10–12), εἰ μὴ πεινῷ μηδὲ διψῷ τις (f. 276v, riprende 401d4). L’Erissia non figura nel Platone ‘intero’ preparato per il Bessarione, il Marc. gr. 184 (E); nel testo di U si può tuttavia riconoscere, come vedremo, la fonte dell’editio princeps Aldina (1513).300

Barb: Barberinianus graecus 270 [n° 173 Wilson], ff. 270r-276v XIV s., membranaceo. La mano del copista è stata identificata con quella di Georgios Galesiotes (RGK I 57, II 77, III 97).301 Fu al convento di San Mar-

299 Lo stesso accade in altri dialoghi, cf. e.g. Ferroni (2006), 63, con lista completa dei notabilia in margine dei ff. 309v-314r, contenenti lo Ione. 300 Per il rapporto con l’Aldina si veda infra, 118–122. 301 Pérez Martín (2005), 122–123; per l’identificazione di Galesiotes con il copista di C si veda poco sopra.

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co a Firenze [n° 1131 Ullman-Stadter] e giunse nella collezione Barberini per tramite di Carlo Strozzi (come da nota di possesso al f. 2r).302 Barb contiene dialoghi delle prime sette tetralogie (tutti fatta eccezione per Simposio, i due Alcibiade, Gorgia e Ippia maggiore), più l’Erissia; è copia di C per i dialoghi delle tetralogie.303 L’Erissia, non collazionato da Post,304 è l’unico degli spuri presente nel codice e si trova in fondo, da solo, dopo il Menesseno: un esempio di selezione atipica. La collazione conferma anche per il dialogo spurio la dipendenza da C, evidente già dalla forma dell’inscriptio senza il secondo ἤ (Ἐρυξίας ἢ περὶ πλούτου ἐν ἄλλῳ Ἐρασίστρατος) e dall’assenza della prima lettera di (ἐ)τυγχάνομεν. Tanto gli errori di Par quanto gli errori di C, che abbiamo visto pochi, sono quasi sempre rintracciabili sui folia di Barb: 392b3

καθιζώμεθα A Par : καθεζώμεθα C Barb

392c2

Συρακόσιοι A Par : Συρρακούσιοι C Barb

393b4

τυγχάνοι A Par : τυγχάνει C Barb

393e7

τούτους A : τούτοις Par C Barb

394d3

ἔχοι A Par : ἔχει C Barb

394e4

πεντελέκων Par2 s.l. C Barb

395b4

ἀντιφέρωσιν A : ἀντιφέρουσιν Par C Barb

396c3

μέν τι A Par: μέντοι C Barb

396e9

μοιχεύοι A : μοιχεύει Par C Barb

396e12

τυγχάνοι A Par : τυγχάνει C Barb

397a4

λυσιτελοῖ A Par : λυσιτελεῖ C Barb

403b3

ἐπιστήμονες ὡς A : ἐπιστημόνως Par C Barb

403b8

μόνον ... μόνοις A : μόνοις ... μόνον Par C Barb

405b8

καὶ ante τούτους add. Par C Barb

405d4

ἔστιν om. C Barb

302 Cf. già Diller (1983), 256. 303 Critone, Berti (1969), 431; Parmenide, Moreschini (1965), 180; Teage, Joyal (1998), 15; Carmide, Murphy (1990), 328; Liside, Martinelli Tempesta (1997), 111–112; Protagora, Díaz de Cerio, Serrano (2005), clix; Ippia minore, Vancamp (1996a), 39; Ione, Ferroni (2006), 41–43, e Ferroni (2018), lii. 304 Post (1934), 60 («it derives from Paris. C elsewhere»).

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In alcuni casi, tuttavia, troviamo in Barb lezione corretta a fronte di errori di C e di Par: se la mancata iterazione di ταῦτα (394c5), ripetuto in C, può spiegarsi per la sua banalità (e per il fatto che già nel parigino il primo ταῦτα è coperto da uno scarabocchio), diverso è il caso di ἑτέρου τινοσοῦν (396a8), su Barb riportato nella forma corretta ἑτέρου οὑτινοσοῦν. La congettura, che corregge un’aplografia già in A, è attestata in altri rami della tradizione305 e non è da escludere la sua presenza in Barb sia conseguente a contaminazione; nello stesso senso si può spiegare il corretto οἶσθα (398e5) a fronte di ἦσθα, errore distintivo del ramo di Par. Galesiotes aggiunge poi una sparuta serie306 di errori propri: 392d2

Συρακόσιοι A Par C : Συρακούσιοι Barb

392d10

ἀδολεσχήσοντα A Par C : ἀδολεσχήσαντα Barb

395e3

ἀγαθὸν εἶναι A Par C : εἶναι ἀγαθὸν Barb

396b7

πρῶτον A Par C : μᾶλλον Barb

399d4

σκέψασθαι A Par C : σχέψασθε Barb

401e12

χρήματα A Par C : χρήσιμα Barb

405c8

παραβάλλων A Par C : περιβάλλων Barb

In due casi, le innovazioni sono accompagnate da note marginali con γράφεται che restituiscono la lezione corretta, redatte in una grafia molto simile e con inchiostro di eguale colore, probabilmente dovute allo stesso Galesiotes: accade per l’inversione εἶναι ἀγαθὸν (395e3; f. 271v γρ. ἀγαθὸν εἶναι τὸ) e per μᾶλλον (396b7; f. 272r, γρ. πρῶτον); l’origine di questi γράφεται può essere lo stesso C, dove si trovano ambo le lezioni corrette, ma si potrebbe trattare anche di un altro esemplare collazionato. In generale, anche il copista di Barb mostra una grande attenzione nella copia del proprio modello, che è da individuare – come per gli altri dialoghi contenuti sul codice – nel parigino C, al netto delle possibili tracce di contami-

305 Le due congetture potrebbero essere il segno di un contatto con l’altro apografo di C, ossia Mal, dove ambo le lezioni corrette sono presenti supra lineam e derivano da R: si veda poco sopra. La congettura si trova anche nel Laur. 89. 5 (c), dove poi giunge al Marc. gr. 189 (S); la sua presenza nel testo del Marc. gr. 186 (U), che forse proprio da Mal la eredita, la traghetta nell’Aldina, di cui è fonte testuale: cf. infra, 118-122. 306 Più negligente si mostra il copista in altri dialoghi, come ad esempio nello Ione, cf. Ferroni (2006), 43.

104 https://doi.org/10.5771/9783896659750

La discendenza di Par

nazione e collazione individuate, che possono suggerire, per altri dialoghi, la presenza di un intermediario perduto.307

a: Laurentianus 59, 1 [n° 22 Wilson]308, ff. 342r-346v XIV s. in.,309 cartaceo. Di origine costantinopolitana,310 giunse in Italia solo nel 1492, e quindi dopo la sua copia, il Laur. 85, 9 (c).311 Fu portato in occidente da Giano Lascaris, che lo acquistò a Creta.312 Sui folia del codice si riconoscono all’opera due copisti, indicati convenzionalmente come A e B, sulla cui identificazione la critica resta incerta.313 a è il più antico manoscritto conservato contenente l’intero corpus di Platone, introdotto dalla Vita Platonis di Diogene Laerzio;314 la distribuzione segue la classificazione tetralogica, pur con qualche perturbazione. La critica riconosce una pluralità di fonti, testimonianza di una ricerca meticolosa al fine della confezione di una raccolta impeccabile e completa;315 una derivazione da Par (dopo l’intervento di Par3) è sicura per alcune opere delle

307 È l’ipotesi di Ferroni (2006), 42–43, per le correzioni sullo Ione. 308 Come R, è omesso nella lista dei testimoni dell’Erissia in Brumbaugh, Wells (1968), 37 e 140; l’errore, a mostra della sua pericolosità, trova una filiazione in Joyal (1998), 16 («the spurious Erx. is not included»). Alcuna correzione si trova in Brumbaugh (1990). 309 Per la datazione si vedano Martinelli Tempesta (1997), 106–107, Menchelli (2000a), 180–185 (con ricca descrizione), Ferroni (2007), 279–280, n. 44. 310 Cf. Menchelli (2000a), 198–203, e Pérez Martín (2005), 120–123. 311 Cf. infra, le pagine dedicate al codice. 312 Cf. Gentile (1984), 29–30, e Fryde (1996), 46. 313 Menchelli (2000a), 183–185. La mano A è stata identificata da Pérez Martín (2005), 122, con il copista K6 del registro patriarcale: cf. già Pérez Martín (1995), 50–53; ma si veda anche Bianconi (2008), 256–257 e 275–277, che vorrebbe riconoscere in questa mano quella di Giorgio Galesiotes. La tentata identificazione della mano B con Massimo Planude, proposta da Bianconi (2005b), 396–400, è stata messa in discussione da Pérez Martín (2005), 119–122; Bianconi (2008), in particolare 280–288, propone di assegnare la mano a un Ioannes Argyropoulos diverso dall’umanista di XV secolo (ma anche dall’autore del monocondilo al f. [B] 517v di R, per cui si veda sopra, nelle pagine dedicate al codice). 314 Cf. Dorandi (2009), 121–123. 315 Una sintesi dei risultati precedenti, nel contesto del progetto generale del codice, è in Menchelli (2000a), 185–191.

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prime sette tetralogie,316 ma un contatto con il Vind. phil. gr. 21 (Y) è tuttavia evidente in una serie di correzioni e marginalia.317 Proprio nel vindobonense la critica individua l’ascendenza di a per il Timeo,318 la cui collocazione stravagante nel codice – prima dell’Alcibiade primo – rispecchia la posizione del dialogo nella fonte e giustifica i sospetti di un utilizzo di Y come modello per la quarta tetralogia.319 Ma Clitofonte e Crizia derivano, forse direttamente, dal Vind. suppl. gr. 39 (F), testimone primario,320 fonte diversa da quella usata per la Repubblica: il codice si inserisce nella famiglia di A come copia indiretta, attraverso il Laur. conv. soppr. 42 (γ).321 Le opere della nona tetralogia (eccezion fatta per il Minosse, per cui modello è ancora F)322 e le Definizioni sono invece copiate da O, probabilmente in assenza di un intermediario.323 Per i dialoghi spuri, a costituisce uno snodo tradizionale particolarmente importante: discendente anche per questa sezione da Par, recupera tuttavia un contatto con la linea di O, probabilmente – come si è detto – con O stesso.324 Per l’Erissia il quadro è confermato: la duplicità della fonte consente al copista di a di supplire alla lacuna che sfigura l’intera famiglia di Par, l’assenza di ὁ φάσκων a 399e2, reintrodotto supra lineam sul laurenziano; ancora a questo contatto è da attribuire la presenza di συγγενεῖς (lezione di O) in margine per συγγενέε di Par (396d2), o l’espunzione – tramite punti – di ἆρα (398a5) ed ἔγωγε (398d4), erasi in O. Un caso di particolare interesse è poi a 403b8, dove la sequenza di μόνον e μόνοις di A (e O) è invertita da Par in μόνοις … μόνον: qui a recepisce la lezione di Par, ma supra lineam in corrispondenza di μόνον scrive οις, un fatto che spingerà la sua discendenza a creare la sequenza

316 Critone, Berti (1969), 427–429; Sofista, Philip (1968), 290; Parmenide, Moreschini (1965), 181; Simposio, Brockmann (1992), 168–177; Teage, Joyal (1998), 16; Carmide, Murphy (1990), 329; Liside, Martinelli Tempesta (1997), 113–114; Protagora, Díaz de Cerio, Serrano (2005), clix; Gorgia, Díaz de Cerio, Serrano (2001), 363; Menone, Vancamp (2010), 25–26; Ippia maggiore e Ippia minore, Vancamp (1995), 23–24, e Vancamp (1996a), 38; Ione, Ferroni (2006), 28–31, e Ferroni (2018), li-lii. 317 Cf. Menchelli (2000a), 188–189, e Beghini (2020), 119. 318 Jonkers (2017), 50–51 e 300–301. 319 Cf. Carlini (1964), 15–17, e Menchelli (2000a), 188. 320 Cf. Slings (1981), 264, e Jonkers (2017), 333–334. 321 Così Boter (1989), 32–33 e 125–132. 322 Benati (2017), 15–22. 323 Cf. Post (1934), 37; per le Leggi cf. anche Des Places (1936), 245–246, per le Lettere, Moore-Blunt (1985), x. 324 Si veda già Post (1934), 36–37, Menchelli (2000a), 191–193, in particolare sull’Alcione, e Beghini (2020), 117–119 (con note).

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μόνοις ... μόνοις. Alcuni errori di Par, meno evidenti, non sono corretti e rimangono sui folia di a: 393e7

τούτους A O : τούτοις Par a

394e4

πεντελέθων Par a : πεντελικων A O πεντελέκων Par2 s.l.

395b4

ἀντιφέρωσιν A O : ἀντιφέρουσιν Par a

396e9

μοιχεύοι A O : μοιχεύει Par a

398e5

οἶσθα A O : ἦσθα Par a

La presenza di τυγχάνοι di Par3 a 394d4 porta conferma all’ipotesi di un a copiato dopo l’intervento di questo correttore; tuttavia a non è sempre ricettivo nei confronti degli interventi diortotici su Par, come mostra ad esempio πεντελέθων (394e4), e la conservazione di ἐχθρῷ (396b2, corretto in ἐχθρὼ da Par2). a aggiunge poi una serie di errori propri, che si ritrovano nella sua discendenza, quando non sono corretti dalla stessa mano: 392a4

δὲ om. a

392c2

ἐξήλῃ A O Par ac : ἐξήλοι a

393d1–5 οἰόμενος … ἄξιον om. a (suppl. ac i.m.) 394b1

μὴ om. a (suppl. ac s.l.)

398b3

δοκεῖ, ἔφη A O Par ac : δοκεῖ φῆ a

398c4

δοκεῖ A O Par ac : δοκῇ a

405c7

εἰ om. a

405e9

τυγχάνοι A O Par : τυγχάνει a

Al f. 344r, al primo rigo, la pericope ἔφη ὁ Ἐρασίστρατος è evidentemente riscritta (o ricalcata) da una mano diversa, con inchiostro più scuro; tuttavia, l’intervento – se di correzione si tratta – deve precedere la copiatura di c. I risultati della collazione per l’Erissia confermano l’importanza di a come snodo tradizionale: nel codice la famiglia di Par recupera un contatto con la linea di O. Questo momento costituisce il più evidente caso di contaminazione nello stemma degli spuria. L’importanza di a è dovuta anche alla sua discendenza, di cui possiamo ora occuparci.

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c: Laurentianus 85, 9 [n° 35 Wilson], ff. 210r-213r XIV s.,325 membranaceo. Copiato a Costantinopoli a poca distanza dal suo modello (a), forse nell’ambiente del monastero di Chora;326 sui suoi folia è stata individuata la collaborazione di tre copisti.327 Giunse in Italia prima del suo antigrafo, probabilmente al seguito dell’imperatore Giovanni VIII in occasione del concilio di Ferrara (1438), occasione in cui fu visto da Ambrogio Traversari; lo stesso Traversari sembra averne compilato la tabula latina copiata al f. 1v, per Cosimo de’ Medici,328 che acquisì il codice e lo consegnò a Marsilio Ficino, il quale vi fondò la propria traduzione latina di Platone, pur nel confronto con altri esemplari.329 Il manoscritto, come è stato ampiamente dimostrato, è copia di a, di cui costituisce una versione ‘di pregio’ contenente a sua volta l’intero corpus.330 Per l’Erissia la dipendenza di c da a è evidente. In primo luogo, sono presenti su c tutti gli errori singolari di a non corretti da ac:

325 Per la datazione si vedano Carlini (1999), 10–12, Menchelli (2000a), 141–165 (con ricca descrizione), Azzarà (2002), e Carlini (2006), 62–63. 326 Cf. Menchelli (2000a), 178–179. Bianconi (2003), 545–547, propone di identificare il copista A di c con un collaboratore di Niceforo Gregora, responsabile di parte del Vat. gr. 1086, contenente anche opere di Gregora. 327 Menchelli (2000a), 157–162. 328 Per questa vicenda si veda ora Carlini (2016). 329 Cf. su tutti Gentile (1984), 28–31, Gentile (1987), 53–84, Fryde (1996), 285–286, Carlini (1999), 5–6 [≈(2006), 27–29]; in particolare per la traduzione del Fedone si veda Berti (2001), e sul Filebo Berti (1996), 131–164. 330 Per i due differenti progetti alle spalle di a e di c si veda Menchelli (2000a), 141– 143. La dipendenza è confermata negli studi sui singoli dialoghi: Critone, Berti (1969), 429; Fedone, Berti (2001), 365–366; Sofista, Philip (1968), 296; Parmenide, Moreschini (1965), 181; Simposio, Brockmann (1992), 230–231; quarta tetralogia, Carlini (1964), 33–34; Teage, Joyal (1998), 16–17; Liside, Martinelli Tempesta (1997), 114–116; Protagora, Díaz de Cerio, Serrano (2005), clix; Gorgia, Díaz de Cerio, Serrano (2001), 364; Menone, Vancamp (2010), 26–27; Ippia maggiore e Ippia minore, Vancamp (1995), 24–26, e Vancamp (1996a), 38; Ione, Ferroni (2006), 31, e Ferroni (2018), li-lii; Clitofonte, Slings (1981), 266–267; Repubblica, Boter (1989), 137–139; Timeo-Crizia, Jonkers (2017), 301–302 e 338; Minosse, Benati (2017), 15–22; Leggi, Post (1934), 39 e Des Places (1936), 246–247; Lettere, Moore-Blunt (1985), x; Assioco, Beghini (2020), 120, n. 311; Vita Platonis, Dorandi (2009), 122–124.

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392a4

δὲ om. a c

405c7

εἰ om. a c

405e9

τυγχάνοι A O Par : τυγχάνει a c

Inoltre, sui folia di c si riscontrano ancora le tracce della contaminazione con O che abbiamo visto sul suo modello: è il caso di συγγενεῖς supra lineam per συγγενέε (396d2), dell’espunzione di ἔγωγε (398d4, puntato in a e direttamente omesso da c), della sequenza μόνοις ... μόνοις (403b8), di cui si è già parlato. ὁ φάσκων (399e2) è correttamente presente nel testo, integrato sulla base dell’intervento supra lineam in a. Non viene tuttavia espunto ἆρα (398a5): forse il copista di c non ha visto i puntini, certo il problema è meno evidente che nel caso di ἔγωγε. I marginalia in c sono in parte copiati con l’inchiostro rosso del rubricator (due i casi: ἀντὶ τοῦ οἷός τ’ εἰμὶ, a 396a7, f. 211r, e ὄρος μέγιστον ἐν τῇ ἀττικῇ, a 400c1, f. 211v). c aggiunge poi tre errori propri significativi: 392b1

γε A a : τε c

392b3

καθιζώμεθα A a : καθιζοίμεθα c

398d6

τυγχάνει A a : τυγχάνοι c

In alcuni casi su c si riscontrano vere e proprie congetture, peraltro validissime per la constitutio: è il caso di τάλαντον (393b2, f. 210r nel rigo e di mano del copista), un ritocco particolarmente felice che precede gli interventi moderni di Cornford e Post,331 come di πεντελικῶν in margine per l’insensato πεντελέθων che a eredita da Par, o per ἑτέρου οὑτινοσοῦν (396a8), una correzione più facile e già ripetuta in altre zone dello stemma,332 o ancora per οἶσθα in luogo di ἦσθα di Par e a (398e5)333 e per τούτῳ a 402e3 (f. 212v, nel rigo e di mano del copista), che ancora corregge un errore dell’intera tradizione (τοῦτο). Per questi interventi il laurenziano c si mostra un inatteso alleato per l’editore. Copia di c per l’Erissia è il Marc. gr. 189 (S).

331 Cf. supra, p. 74,. 214. 332 Ad esempio, come abbiamo visto, nel Vat. gr. 1029 (R), della linea di O, e in Barb. 333 Stesso intervento in Barb, come visto poco sopra.

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S: Marcianus graecus Z 189 (coll. 704) [n° 229 Wilson], ff. 384v-391r XIV s.,334 cartaceo. Vergato da un unico copista, probabilmente in ambiente costantinopolitano,335 appartenne a Giorgio Gemisto Pletone, come mostrano gli interventi riconosciuti dalla critica in diverse carte;336 passò in seguito tra le mani del Bessarione, come mostra tra l’altro la nota al f. 1v, ed entrò infine a far parte del fondo antico della Marciana.337 Per S la critica individua una pluralità di fonti: apparentemente, per alcuni dialoghi della settima tetralogia il codice si colloca accanto a F, da cui sembra tuttavia indipendente.338 Per la gran parte del suo contenuto, gli studiosi riconoscono da tempo una dipendenza da Y (Vind. phil. gr. 21), attraverso la sua copia, il Marc. gr. Z 590 (X).339 Per molti dei dialoghi non contenuti in Y (e quindi in X, che riproduce il contenuto del suo antigrafo) è stata riconosciuta una dipendenza dal laurenziano c, con cui un contatto è evidente anche in altre parti.340 Che S per l’Erissia – l’unico degli

334 Sulla datazione si vedano Mioni (1981), 301; Brockmann (1992), 126; Menchelli (2000a), 150; Ferroni (2007), 279. 335 A ciò porterebbe la dipendenza da c, cf. Pagani (2009), 170, n. 8. 336 La scoperta è di Brockmann (1992), 126–127; sulla natura degli interventi si veda Pagani (2009), 176–199. 337 A 420 = B 56 = C 115 = D 145 Labowsky. 338 Per l’indipendenza, che riguarderebbe in particolare Ippia minore, Ione e Menesseno, si vedano Vancamp (1996a), 30–33, Ferroni (2007), 178–189, Rijksbaron (2007), 29–35, e Ferroni (2018), xlvii-xlix; non è da escludere, tuttavia, una derivazione dallo stesso F, forse tramite un intermediario: si vedano le riserve di Carlini (1997), 100–101, e Menchelli (2000a), 153. Per l’Ippia minore, Venturelli (2020), 53–60, si esprime prudentemente per l’ipotesi della dipendenza da F. Dal canto suo, Slings (1999), 340–341, esclude categoricamente un’indipendenza per il Clitofonte, dove S appare copia di F post correctionem; cf. già Slings (1981), 278–280. 339 Discussione d’insieme in Post (1934), 24–25, e Menchelli (2000a), 150–154; per i singoli dialoghi si vedano Berti (1969), 423 (Critone); Carlini (1972), 162–164 (Fedone); Philip (1968), 295–296 (Sofista), Moreschini (1965), 183 (Parmenide), Brockmann (1992), 126–131 (Simposio), Carlini (1964), 36 (Alcibiade primo e Alcibiade secondo), Díaz de Cerio, Serrano (2000), 91–93 (Gorgia), Vancamp (2010), 62–63 (Menone), Vancamp (1995), 38–41 (Ippia maggiore), Jonkers (2017), 83–84 e 286–291 (Timeo), Beghini (2020), 127–128 e n. 341 (Assioco). 340 Da c vengono copiati su S Ipparco e Anterastai – cf. Carlini (1964), 36–37 –, Teage – cf. Joyal (1998), 17–18 –, Carmide – cf. Murphy (1990), 330–331 –, Liside –

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La discendenza di Par

spuri assente su Y e X – sia copia di c, come peraltro già immaginato,341 è evidente da due grandi lacune sul marciano, rispettivamente a 401a6–7 (πάντων … μετίοιμεν) e a 402d5–6 (παιδεύουσιν … ἐπιτήδεια), solo quest’ultima reintegrata a margine dal copista: ambedue corrispondono esattamente a un rigo di c. Post, che offre delle omissioni un resoconto in gran parte erroneo, non si era accorto della corrispondenza e sosteneva vagamente una derivazione da Par «but not directly nor through Laur. a».342 Il riscontro di una discendenza da c è poi corroborato dalla presenza su S di tutte innovazioni del laurenziano (nonché degli errori di c ereditati da a): 392a4

δὲ om. a c S

392b1

γε A : τε c S

392b3

καθιζώμεθα A : καθιζοίμεθα c S

393b2

τάλαντα A : τάλαντον c S

396a8

ἑτέρου τινοσοῦν A : ἑτέρου οὑτινοσοῦν c S

398d6

τυγχάνει A : τυγχάνοι c S

402e3

τοῦτο A : τούτῳ c S

403b8

μόνοις ... μόνον Par : μόνοις ... μόνον (μόνοις s.l.) a : μόνοις ... μόνοις c S

405e9

τυγχάνοι A : τυγχάνει a c S

A 396d2, S riproduce la situazione su c, con συγγενέε a testo e συγγενεῖς supra lineam. Il copista aggiunge poi alcuni errori propri. Oltre alle due lacune menzionate, se ne riscontra una terza, stavolta dovuta a un saut du même au même (403a3–5: χρήσιμον … χρῆσθαι) e reintegrata dal copista in margine. Si trovano poi alcune innovazioni minori ma distintive:

cf. Martinelli Tempesta (1997), 116–119 – e Protagora – cf. Díaz de Cerio, Serrano (2005), clvii-clviii; da c proviene anche, su S, la Vita Platonis laerziana, come mostra Azzarà (2002), 169–170. Un contatto con c è evidente anche nell’Ippia maggiore, almeno stando alla presentazione dei dati in Vancamp (1995), 39–41, che pensa però ad un anello perduto tra X e S, contaminato con c; tracce di un contatto anche nel Simposio, cf. Brockmann (1992), 128–130. Per il Crizia, tuttavia, S dipende dal Vat. gr. 228 (Vat), secondo Jonkers (2017), 83–84 e 352–353. 341 Nella fattispecie da Reis (1999), 223. 342 Post (1934), 55; lo studioso ignora peraltro l’omissione più importante (401a6– 7, con pericope non restituita in margine) e non riconosce la corrispondenza con la mise en page di c; particolarmente fuorviante è l’informazione sulla presenza di una delle lacune di S (403a3–5) in U (Marc. gr. 186).

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392b6

ἔχουσιν A : ἔχουσαν S

397e10

δοκεῖ μοι bis S

398a5

τι post σοφόν add. S

398b4

ἀγαθά om. S

400b6

τοῖς νομάσιν A : τοῖς ὀνόμασιν S

402a3

τούτου A : τούτῳ S

402e11

ἀπεδεχόμεθα A : ἀπεδεοιχόμεθα S

Come su K, anche su S la mano di Pletone non interviene nei folia contenenti l’Erissia, a testimonio di un certo disinteresse per il dialogo. Il codice poi è tra i materiali oggetto dell’impegno di Bessarione per la preparazione di un Platone intero, passato attraverso le copie ‘di lavoro’ dei Marc. gr. 186 (U) e 187 (N) e culminato nell’impresa del Marc. gr. 184 (E), in cui tuttavia proprio l’Erissia è l’unico dialogo a mancare. Se per la maggior parte dei dialoghi contenuti in S, il codice è antigrafo di U, che a sua volta fornisce una base testuale per l’edizione Aldina del 1513, per l’Erissia, come abbiamo già mostrato,343 questa dipendenza non è plausibile. Non esistono, quindi, per l’Erissia discendenti di S.

Excerpta Fanno parte della discendenza di Par anche i tre codici contenenti excerpta dell’Erissia; tuttavia la loro situazione tradizionale resta piuttosto incerta, il che non rende possibile inserirli con precisione nello stemma.

Voss: Leidensis Vossianus graecus Q° 54 [n° 60 Wilson], ff. 405v-406r XV s. ex.-XVI s. in., cartaceo. Note di possesso al f. 1r ci informano che passò per le mani di Christian Raue (Christiani Rauii Berlinatis),344 a Patrick Young (Patr. Junius) e infine a Gerard e Isaac Vos (Vossius).

343 Cf. supra, le pagine dedicate a U. 344 Cf. Meyier (1955), 172; su questo eccentrico personaggio e sul suo legame con Vossius padre e figlio, esplicitamente interessati alla sua collezione di manoscritti greci, si veda Van Miert (2009), 64–67.

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Excerpta

Il codice è composito e contiene una grande quantità di testi, di natura perlopiù religiosa e liturgica, oltre ad alcune opere filosofiche. Gli excerpta platonici iniziano al f. 431v, dopo alcuni estratti dalla Vita di Diogene Laerzio, e finiscono al f. 460r, dove iniziano estratti di Filone. Per l’Erissia troviamo solo tre estratti, di cui due brevi e uno un poco più lungo, giustapposti l’uno all’altro e distinti soltanto dall’iterazione della maiuscola ornamentale. Sarà utile offrire un breve schema: Voss1 (f. 405v), Erx. 396c3 (ἐὰν μέν τι ἔχῃς, ἄξιός του εἶ, ἐὰν δὲ μή, οὐδενός). Voss2 (f. 405v), Erx. 397e5–10 (τοῖς μὲν καλοῖς κἀγαθοῖς … ἀνάγκη εἶναι). Voss3 (ff. 405v-406r), Erx. 405c3-e2 (πότερον ἂν … ἐσμέν). Il testo estratto non è sufficiente per farsi un’idea precisa sulla posizione stemmatica del manoscritto. La sistemazione del materiale è congruente con quella che troviamo in c (excerpta dai dialoghi delle prime sette tetralogie, poi dagli spuria, poi dalle tetralogie VIII e IX), ma una derivazione da questo codice, sostenuta per gli excerpta della Repubblica345 e per quelli dell’Assioco,346 non è dimostrabile sulla base di evidenze testuali.347 Contro tale ipotesi si potrebbe portare la presenza di εἰ a 405c7, omesso già in a, ma non è indizio di peso sufficiente, dal momento che la congiunzione potrebbe essere ‘rientrata’ per contaminazione in un intermediario. Al di fuori di questi dettagli, non si può dire molto per l’Erissia, se non che la presenza di τί δέ (405d4) fa a sua volta pensare al ramo di Par. Lezioni distintive di Voss sono ἐὰν per ἂν (396c3), δέεται per δεῖται (405d2), ὅτε per τότε (405d7); si segnala poi l’omissione degli inserti narrativi ἔφη (397e9) e γ’ ἔφη (405d2), nonché l’aggiunta – sempre per motivi di scorrevolezza e per trasformare lo scambio di battute in un discorso continuo – di δῆλον ὡς prima di ὅταν κάμνωμεν (405d6), originariamente risposta di Crizia.

345 Boter (1989), 147. 346 Beghini (2020), 125, n. 334. 347 La stessa aporia caratterizza gli excerpta di molti altri dialoghi, e.g. Simposio – cf. Brockmann (1992), 236 –, Teage – cf. Joyal (1998), 33: discendenza di T –, Carmide – cf. Murphy (1990), 338–339: ancora discendenza di T –, Liside – cf. Martinelli Tempesta (2003), 77: linea di Par + Par3 –, Menone – cf. Vancamp (2010), 80–81 –, Ippia maggiore e Ippia minore – cf. Vancamp (1995), 52, e Vancamp (1996a), 48: del secondo Ippia si conserva solo il titolo –, nonché Timeo e Crizia – cf. Jonkers (2017), 58.

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La tradizione bizantina

Lond: Londiniensis Royal 16 C XXXV [n° 64 Wilson],348 f. 58r XV s. ex-XVI s. in., cartaceo. Probabilmente vergato a Messina. Sui folia sono al lavoro due copisti, il cosiddetto «Anonymus 27 Harlfinger», già all’opera sull’Ottobonianus graecus 372, e Filippo Rodio (subscriptio al f. 66v),349 collaboratore di Costantino Lascaris, che verga – tra le altre cose – gli excerpta da Platone. Giunse successivamente nelle mani di Sir Robert Cotton, che lo portò a Londra nel corso del XVII s.350 Per gli excerpta platonici la critica351 individua anche per Lond una derivazione dal laurenziano c. Dall’Erissia il codice riporta solo un estratto al f. 58r, che corrisponde alla chiusa del dialogo (406a12–17). Anche in questo caso, come già per Leid, non vi sono dati sufficienti per determinare la posizione nello stemma, ma nulla impedisce che anche per l’Appendix Lond derivi da c. Il copista omette, forse volontariamente, la sequenza ἄρα φαίνεται κατά γε τοῦτον τὸν λόγον (406a12–13), che fa riferimento a ciò che precede nell’Erissia. Nessun’altra innovazione è rintracciabile.

Matr: Matritensis 4573 (olim N. 36; 30 Andrès) [n° 70 Wilson], ff. 153v-154r XV s., cartaceo. Copiato a Messina nel 1480 da Costantino Lascaris (RGK I 223, II 313, III 362; Álbum de copistas II 35) per la prima parte (ff. 1–148)352 e in seguito integrato dal suo collaboratore Filippo Rodio (ff. 149–157). Il 348 Non è quindi corretta l’affermazione di Boter (1989), 39, secondo cui «this MS is not mentioned in any list of Platonic MSS». Il codice non è tuttavia registrato da Brumbaugh, Wells (1968), né integrato da Brumbaugh (1990). 349 Su questo personaggio si veda Martínez Manzano (1998), 71. 350 Cf. Moraux (1976), 446–447. 351 Così Brockmann (1992), 232–233 (Simposio), e Boter (1989), 148–149 (Repubblica); risultati molto meno chiari, ma compatibili, offrono le collazioni per Teage – cf. Joyal (1998), 33: discendenza da T –, Carmide – cf. Murphy (1995), 165: «nothing militates against this conclusion») –, Liside – cf. Martinelli Tempesta (2003), 78: «nulla impedisce che Lond sia copia di Laur. 85.9» –, Menone – cf. Vancamp (2010), 78–79 –, Ippia minore – cf. Vancamp (1996a), 48–49. Un passaggio intermedio pare suggerito dalla situazione curiosa dell’excerptum ‘fantasma’ dell’Assioco, per cui cf. Beghini (2020), 89, n. 205. 352 Subscriptio al f. 148: cf. Martínez Manzano (1998), 35 (n°28).

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I compendi di Planude

codice passò nel 1494 al patrimonio della Cattedrale di Messina e infine giunse in Spagna tra i libri del Duca di Uceda, fondo poi confluito nella Real Biblioteca.353 Il codice contiene l’intera Repubblica e le Lettere di Platone,354 nella parte copiata dal Lascaris, nonché una serie di excerpta (tra cui anche alcuni dalla Repubblica) per cui la critica individua una relazione con Lond e una comune derivazione da c, ipotesi suggellata dal dato che in ambo i codici gli excerpta sono copiati da Filippo Rodio.355 Anche per l’Erissia la situazione è del tutto simile, visto che tra il f. 153v e il f. 154r troviamo la stessa pericope riportata in Lond, con lo stesso taglio iniziale a 406a12–13. Non sono presenti errori singolari.

I compendi di Planude Per la fortuna bizantina dell’Erissia, qualche parola andrà spesa sui quattro compendi contenuti nella Συναγωγή di Massimo Planude (217–220 Ferroni). Bruno Vancamp, nel suo lavoro sulla tradizione del Menone, propone di considerare Planude alla stregua di un vero e proprio portatore di tradizione indiretta per i dialoghi di Platone.356 Tuttavia, per Planude il contatto con il testo di Platone passa attraverso manoscritti a noi noti, e non sem-

353 Cf. Andrés (1987), 52–54. Sulle vicende della biblioteca di Uceda, cf. Fernández Pomar (1966), 267–284. Si veda anche l’inventario alle pp. 284–288: il nostro codice è il n° 36. Per la biblioteca di Lascaris e l’ingresso dei libri nella Biblioteca Nazionale di Spagna, si veda anche Martínez Manzano (1998), 49–53. 354 Per la Repubblica Matr deriva da c, per tramite di un intermediario, ed è gemello del Vindobonensis philosophicus graecus 1: cf. Boter (1989), 139–142; per le Lettere deriva dal Vaticanus graecus 1353: cf. Moore Blunt (1985), xiii-xiv. 355 È plausibile una dipendenza di Matr da Lond, sostenuta dalla critica per gli excerpta alcuni dialoghi quali Simposio e Ippia minore, in cui il testo di Matr è più corrotto: cf. Brockmann (1992), 232–233, e Vancamp (1996a), 49; compatibile la situazione nel Carmide, dove l’unica innovazione è tuttavia la grafia γινώσκειν (164d4), «not a true error», come nota già Murphy (1995), 166. Risultano meno chiari altri casi, e i critici talora scelgono di non sbilanciarsi: prudenti restano infatti Joyal (1998), 34 (Teage) e Martinelli Tempesta (2003), 79 (Liside); a simili posizioni approda poi anche Vancamp (2010), 78 (Menone); un legame non meglio precisabile è chiaro anche per gli excerpta del Teeteto: cf. ora Curnis (2020), 272–273 e n. 39. Per Boter (1989), 148–149, gli excerpta dalla Repubblica portano a ritenere che Matr e Lond siano in verità gemelli, derivati da una stessa fonte, a sua volta esemplata su c. Sul problema si veda anche Beghini (2020), 89, n. 205. 356 Vancamp (2010), 90–92; cf. anche Ferroni (2015), 81–82.

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La tradizione bizantina

bra che avesse accesso a esemplari per noi perduti: 357 l’unica utilità dei compendia è quindi nella possibilità di accedere a eventuali congetture planudee. Per l’Erissia, ciò non accade. Sarà comunque utile offrire un quadro dei passi del dialogo usati per la redazione dei quattro compendia: Plan. Comp. 217 = Erx. 399e5–6 (parafrasi), 399e10–400a8 (parafrasi, con citazione verbatim di 400a1–3); Comp. 218 = Erx. 401c3–402c4 (parafrasi); Comp. 219 = Erx. 402e12–403c6 (parafrasi); Comp. 220 = Erx. 405d2-e2 (parafrasi). I compendi elaborati da Planude provengono tutti e quattro dalla seconda parte del dialogo, dopo la definizione di χρήματα data da Erissia. Planude isola singoli punti dell’argomentazione e li rende autonomi, talora anche a costo di forzarne il significato. Per un esempio vistoso, nel Comp. 217 il caso della moneta dei Cartaginesi – problema sollevato da Socrate nel corso della definizione dei χρήματα – è citato a prova dell’impossibilità della definizione di πλουτεῖν di Erissia. L’excerptum è infatti consacrato alla dimostrazione ὅτι οὐ τὰ χρήματα πολλὰ κεκτῆσθαι πλουτεῖν ἐστιν, esattamente il contrario di ciò che si afferma in questa sezione del dialogo. Al di là di queste forzature, né nelle parafrasi, né nella citazione verbatim del testo si trovano interventi rilevanti per l’editore dell’Erissia: i quattro compendi restano tuttavia un’interessante testimonianza della lettura del dialogo da parte dell’illustre umanista bizantino.

357 In particolare si è già sottolineato il contatto con Par: cf. supra, 46-47; per le fonti del Planude, si veda Ferroni (2015), 72–81.

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Stemma codicum A

(T2?)

O

Par + Par3

(ȡ?)

(ș?) Ang

C

Ĭ

Barb

a

J + J2

R

Mal

(ȣ?)

c

K

S

ȥ

ȗ

L

İ

Urb U

Ȥ

Vind

ǽ

Ǽsc

Ald

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Verso l’età moderna

Le traduzioni e le prime edizioni a stampa La fortuna dell’Erissia in età umanistica rimane alquanto limitata: la sola traduzione del dialogo prima dell’avvento della stampa è ad opera di Antonio Cassarino,358 cominciata a Costantinopoli negli anni ’20 del XV secolo ed in seguito, giunto il Cassarino a Genova, dedicata ad Antonio Fregoso, nipote del doge Tommaso, fra l’estate del 1439 e l’autunno del 1440. Questa traduzione è conservata dal solo manoscritto Vaticanus latinus 3349 (ff. 194v-205v), accanto alle più note versioni latine di Assioco e Repubblica, a comporre una silloge preparata dall’amico Antonio Panormita.359 Per quanto riguarda il codice usato dal Cassarino,360 è probabile si tratti di Mal, che – come abbiamo visto – per gli spuri discende da Par tramite C. L’Erissia, come tutti i dialoghi dell’Appendix fatta eccezione per l’Assioco, non fu poi tradotto da Ficino. La prima edizione a stampa dell’opera è quindi l’editio princeps in greco degli opera omnia di Platone, comparsa nel 1513 presso la stamperia di Aldo Manuzio e affidata alle cure filologiche di Marco Musuro, Ἅπαντα τὰ τοῦ Πλἀτωνος. Omnia Platonis opera. La sezione dei νοθευόμενοι ha inizio a p. 381 e comprende Assioco, Sul giusto, Sulla virtù, Demodoco, Sisifo, Erissia, Clitofonte, Definizioni: l’Erissia occupa le pagine 397–405.361 Una collazione del testo dell’Aldina permette di rintracciarne agevolmente la fonte testuale, che non sorprende. Tra i codici che la critica riconosce alle spalle del lavoro di Musuro – ossia il Parisinus graecus 1811 (H),

358 Sulla biografia del Cassarino e la sua attività di traduttore da Plutarco e Platone si veda Resta (1959). 359 Cf. Resta (1959), 227–228, e 254–255. 360 Cf. supra, 92. 361 In ambo le copie consultate – Biblioteca Universitaria di Pisa, coll. F k 5.21 e Biblioteca Historica dell’Universitad Complutense di Madrid, Fondo Antico, coll. BH FOA 594 – il titolo corrente delle pp. 402–403 è errato e riporta Πλάτωνος ἐπιστολαί. Le Lettere fanno in verità parte della sezione seguente, che chiude l’edizione (pp. 411–439). La dislocazione del Clitofonte in seguito all’Appendix è frutto di un errore meccanico, come si legge nell’introduzione all’edizione stessa (p. ix), dato che per gli altri dialoghi Musuro segue l’ordine tetralogico reperito in Diogene Laerzio.

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Le traduzioni e le prime edizioni a stampa

XIV s.,362 e i codici ‘di lavoro’ del Bessarione, ossia il Marcianus graecus 187 (N), XV s.,363 e il 186364 – solo l’ultimo, il nostro U, contiene l’Erissia. Anche se è molto probabile si debba supporre un passaggio intermedio, vista l’indisponibilità del codice ad Aldo e l’assenza sui suoi folia di segni del passaggio in tipografia,365 è chiaro che il testo di U sia alla base dell’editio princeps. L’Aldina (d’ora in poi Ald) reca accordo con la prima mano di U in ben venticinque singolarità: 392d7 αὐτὴ] αὕτη U Ald 393c6–7 οὐδεὶς γ’ ἂν οὖν] οὐδεὶς γὰρ ἂν οὖν U Ald 395b8 καὶ ταῦτα μὲν τοιαῦτα] καὶ ταῦτα τοιαῦτα U Ald 396a4 ὑμῶν] ἡμῶν U Ald 396e4 ὑπεδέξω] ὑπεδείξω U Ald 396e6 ἄδικοι καὶ δίκαιοι] δίκαιοι καὶ ἄδικοι U Ald 396e12 τυγχάνοι] τυγχάνει U Ald 398e3 σὺ om. U Ald 398e7 σοὶ δοῦναι] δοῦναι σοὶ U Ald 398e11 ἀμυνόμενος] ἀμυνούμενος U Ald 399d6 δύνασθε] δύναισθε U Ald 399e7 τι om. U Ald

362 Cf. Berti (1971), 453–455 (Critone), Joyal (1998), 48–59 (Teage), Murphy (1990), 321–323 (Carmide), Brockmann (1992), 185–190 (Simposio), Díaz de Cerio, Serrano (2001), 348 (Gorgia), Vancamp (2010), 103–105 (Menone), Vancamp (1995), 53–54 (Ippia Maggiore), Vancamp (1996a), 49–50 (Ippia Minore), Rijksbaron (2007), 52–57 (Ione). 363 Il codice è fonte testuale per Repubblica – Boter (1989), 242–244, Timeo-Crizia – Jonkers (2017), 361–365 – Leggi – Post (1934), 41–44 – ed Epistulae – Moore Blunt (1985), xviii. Si noti che per il Timeo-Crizia N è copia di U secondo Jonkers (2017), 296–297. 364 Per il rapporto con U si vedano Berti (1971), 453–455 (Critone), Brockmann (1992), 185–190 (Simposio), Joyal (1998), 49–50 (Teage), Murphy (1990), 321– 323 (Carmide), Martinelli Tempesta (1997), 183 (Liside), Vancamp (2010), 103– 105 (Menone), Vancamp (1995), 53–54 (Ippia Maggiore), Vancamp (1996a), 49– 50 (Ippia Minore), Rijksbaron (2007), 52–57 (Ione); cf. poi Beghini (2020), 147 e n. 422 (Assioco), e già Post (1934), 58–59, che divinava la derivazione di Ald da U per gli spuri, senza operare una collazione sistematica. Sintesi ora in Ferreri (2014), 151–152; cf. anche Martinelli Tempesta (2014), 39. 365 Cf. Lowry (1979), 231, e Ferreri (2012), 23. Sui segni del passaggio in tipografia si veda, in generale, Hellinga (2014), 37–66.

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Verso l’età moderna

401a3 χρήματα] τὰ χρήματα U ac Ald 401a6 σχεδόν τι] σχεδόν γε U Ald 402a7 ἡμῖν om. U Ald 402b5 ἄλλων τῶν τοιούτων] τῶν ἄλλων τοιούτων U Ald 402c8 ἀχρεῖα ἡμῖν] ἡμῖν ἀχρεῖα U Ald 402e6 πρὸς τὸ σῶμα] πρὸς τὸν βίον U Ald 403b9 ταῦτα om. U Ald 404a2 ἀνάγκη πάντα ταῦτα] ἀνάγκη ταῦτα πάντα U ac Ald 404a6 μέλλοι] μέλλει U Ald 405b6 χρήματα] χρήσιμα U Ald 405c1 ἐάσωμεν] ἐάσομεν U Ald 405c8 ὁποτέραν] ὁποτέρα U Ald 405e5 τυγχάνοι] τυγχάνει U Ald

Più significativo ancora appare l’accordo di Ald con le correzioni di mani successive operanti su U, specialmente per quanto riguarda le congetture di U3, ossia del Bessarione: 394e4 πεντελέκων U : πεντελίκων U2 ι sl Ald 396c4 σπουδάζετε U : σπουδάζεται U3 αι sl Ald 402a2 τοιαύτην U : τὴν αὐτήν U3 Ald 402d6 οἱ ἀντὶ U : οἱ ἂν ἀντὶ U3 add. ἂν sl Ald 402e3 τοῦτο U : τούτῳ U3 ῳ sl Ald Ma vi è una prova definitiva della derivazione diretta di Ald da U. Verso la fine del dialogo, a 405b1–3, la battuta di Socrate è trasmessa da A in questa forma: οὐκ ἂν ἄρα φαίνοιτο ἀναγκαῖον εἶναι, ὅσων ἄνευ μὴ οἷόν τε γίγνεσθαι, ταῦτα καὶ χρήσιμα εἶναι πρὸς τοῦτο. Come abbiamo visto, il copista di U scrive – in luogo di οἷόν τε γίγνεσθαι – οἷόν τε εἶναι (f. 277v). L’errore è facilmente spiegabile se si osserva che nel microcontesto del passo il verbo εἶναι ricorre altre due volte. Ma il risultato è tale da attirare l’attenzione: οἷόν τε εἶναι in questo contesto non dà senso soddisfacente, a meno di non intenderlo, come γίγνεσθαι, retto da un ἐστί

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Le traduzioni e le prime edizioni a stampa

sottinteso, creando una formula comunque singolare quale οἷόν τε (ἐστὶ) εἶναι. Se ne accorge il Bessarione, che probabilmente sulla base del modello o di un altro manoscritto in suo possesso, segna εἶναι con due punti e accanto riporta, per correggere, γίνεσθαι.366 L’intervento segue immediatamente εἶναι, che si trova a fine rigo. Ebbene, nell’Aldina, alla pagina 404, troviamo la forma con espansione οἷόν τε εἶναι γίνεσθαι, che rispecchia la situazione reperita sul folium del codice marciano. Musuro, o il copista che appronta la copia di lavoro usata in stamperia, non comprende il senso dell’intervento, sia che trasponga meccanicamente senza rendersi conto della difficoltà nella costruzione, sia che consideri γίνεσθαι un’integrazione.367 In ogni caso, il punto di partenza per la forma che sulla pagina dell’Aldina si legge è sicuramente il folium del manoscritto marciano, il cui testo è recepito dall’edizione per tutte le singolarità che abbiamo già avuto modo di elencare. Andando ad osservare le divergenze di Ald dal testo riportato da U post correctionem, ci si rende conto che, trascurando i refusi di stampa368 ed alcune divergenze ortografiche,369 si tratta di evidenti errori, principalmente omissioni: 395d6–7 ὁπόθεν…τί ἐστι om. Ald 397c1 τοὺς om. Ald 397c6 τὸν om. Ald 397d2 λέγει] λέγοι Ald 398a7 γραμματικά] πραγματικά Ald (attratto dal vicinissimo πράγματα) 405d6 ὅταν κάμνωμεν om. Ald Oltre a ciò, troviamo almeno due congetture da ascrivere al Musuro, di non grande valore: ὅτῳ δύο τυγχάνει τάλαντα a 393b2 per ὅτῳ ὂν τυγχάνει τάλαντα della tradizione non dà senso migliore nel contesto,370 mentre non sembra necessario sostituire οἵου τε a οἵῳ τε a 404e6 (l’intervento è tuttavia accolto dal Burnet). L’unica divergenza di un qualche peso si rintraccia a

366 La grafia γίνεσθαι in luogo di γίγνεσθαι è diffusa su tutto U. 367 οἷον τε εἶναι γίνεσθαι potrebbe essere stato considerato un infinito assoluto retto da ἀναγκαῖον, forma comunque poco meno sospetta del semplice οἷον τε εἶναι. 368 E.g. 392b7: δουκοῦσι (sic!) Ald. 369 E.g. 393e8: γ’οὖν U : γοῦν Ald; 402b2: γίνεσθαι U : γίγνεσθαι Ald. 370 Supera la congettura del Musuro quella che si trova su c, τάλαντον, per cui cf. supra, 109.

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Verso l’età moderna

395e3. Qui Ald non segue la trasposizione dell’ordo verborum operata dal suo modello: ἀγαθὸν δοκεῖ εἶναι U : δοκεῖ ἀγαθὸν εἶναι A Ald Ma δοκεῖ ἀγαθὸν εἶναι ricompare immediatamente dopo, nella risposta di Erissia a Socrate (395e5): non è da escludere che ci troviamo qui di fronte ad un intervento di normalizzazione da parte del Musuro, che avrebbe inoltre il vantaggio di eliminare lo iato. Al netto di tali piccolezze, si potrà sulla base delle prove illustrate affermare con buona sicurezza che modello dell’Aldina per l’Erissia fu il manoscritto appartenuto al Bessarione ed oggi conservato alla Biblioteca Nazionale Marciana con la segnatura Marcianus graecus 186.371 Dopo l’Aldina, le due edizioni a stampa di Basilea, uscite nel 1534 e nel 1556, la prima a cura di Ioannes Oporinus e Simon Grynaeus, la seconda a cura di Marcus Hopper (latine Hopperius) e Arnout van Eydnhouts (latine Arnoldus Arlenius Peraxilus),372 si mostrano di scarsa utilità per la constitutio. Se la prima è una copia dell’Aldina, la seconda sembra trovare un contatto con almeno due manoscritti della Marciana (T e E), che però non contengono l’Erissia.373 Durante il XVI sec. uscivano ben tre traduzioni degli Spuria: quella dell’umanista tedesco Willibald Pirckheimer (Norimberga, 1523),374 e quella

371 Appare lecito a questo punto avanzare un’ulteriore ipotesi: non il solo Erissia è assente in H e N, ma la stessa situazione accomuna l’intera Appendix, che Aldo stampa, fatta eccezione per l’Alcione. È quindi più che probabile che il testo di U sia servito da fonte indiretta per Musuro egualmente per il resto dei νοθευόμενοι, come già è chiaro per l’Assioco: cf. Beghini (2020), 147 e n. 422. 372 Sulle due edizioni di Basel si vedano tra gli altri Boter (1989), 245–246, Martinelli Tempesta (1997), 189–191 e 197–200, Martinelli Tempesta (2014), 39–41, Jonkers (2017), 366–370, e Beghini (2020), 148. 373 Cf. Martinelli Tempesta (1997), 189–191, e Martinelli Tempesta (2014), 39–41. 374 Dialogi Platonis. Axiochus, vel de morte. Eryxias, vel de diviciis. De Iusto. Num virtus doceri possit. Demodocus vel de consultando. Sisyphus, sive de consulendo. Clitophon, seu admonitorius. Definitiones Platonis, Norimberga 1523 [=38 Hankins]. Sulla figura del Pirckheimer, scrittore e filologo classico bavarese vicino ad Albrecht Dürer, si veda Holzberg (1981). Si noti l’influenza, nell’inclusione nei dialoghi da tradurre, della dislocazione tra gli spuria del Clitofonte iniziata per errore dall’Aldina.

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Le traduzioni e le prime edizioni a stampa

dell’emiliano Sebastiano Corradi (Lione, 1543),375 sono esemplate sull’Aldina, senza un confronto con la tradizione manoscritta;376 diverso spessore e diversa importanza ha la terza, curata da Johann Haynpol (latine Janus Cornarius), stampata nel 1561 ancora a Basilea per i tipi di Hieronymus Froben:377 se anche per Haynpol fondamento della traduzione è l’Aldina, non manca un intervento critico sul testo, di cui il filologo offre resoconto in dieci Eclogae, intercalate nella traduzione alle tetralogie trasillee (la decima riguarda gli spuri e Timeo Locro); per alcuni dialoghi le scelte del Cornarius si fondano sulla collazione con un manoscritto Lobcoviciano perduto,378 ma per l’Erissia il codice non è mai menzionato. Per il resto, le congetture proposte, pur esigue in numero, sono di interesse: almeno una di esse va accettata (πρῴην per παρῆν a 399a8), mentre valore diagnostico ha la proposta γράφειν per βλάπτειν a 401a2.

375 Sex dialogi Platonis e Graeco translati. Lugduni, apud Gryphium, 1543 [=59 Hankins]. Per una biografia del filologo e grammatico nativo di Arceto (Reggio Emilia), si veda De Angelis (1983). La traduzione di Corradi, da subito nata in rapporto complementare con la versione ficiniana, entrerà a far parte del cosiddetto Ficinus auctus di fine XVI sec. 376 Per l’Erissia e.g. 393b2 ὅτῳ ὄν τυγχάνει τάλαντα] ὅτῳ δύο τυγχάνει τάλαντα Ald. = qui argenti talenta duo possidet Pirckheimer; 402a2 τὴν τοιάυτην] τὴν αὐτήν U3 Ald. = eandem Corradi. Di Pirckheimer sappiamo che possedeva una copia personale dell’edizione di Aldo, che fu venduta all’asta a Sotheby’s nel 1925 – cf. Offenbacher (1938), 254. Corradi a 392b2 traduce καλόν τι ἀπὸ Σικελίας ἔχεις λέγειν ἡμῖν; (392b2) come «ecquid novi ex Sicilia affers? An habes pulchri aliquid?», il che è curiosamente affine a una congettura introdotta dalla seconda edizione di Basel, che modifica καλόν in καινόν: ma la dipendenza è impossibile per ragioni cronologiche (l’edizione dell’Hopper uscirà tre anni dopo) e la presenza di pulchri mostra che Corradi leggeva καλόν. Si tratta perciò di un’intuizione indipendente. 377 Platonis Atheniensis, philosophi summi ac penitus divini opera, quae ad nos exstant omnia, per Ianum Cornarium medicum physicum latina lingua conscripta. Eiusdem Iani Cornarii eclogae decem, breviter et sententiarum et genuinae verborum lectionis, locos selectos complectentes. Additis Marsilii Ficini argumentis et commentariis in singulos dialogos: cum indice rerum memorabilium elaboratissimo, Basileae M D LXI [=109 Hankins]. Si vedano Boter (1989), 246–247, Martinelli Tempesta (1997), 200–204, Martinelli Tempesta (2014), 41, Jonkers (2017), 370–373, Venturelli (2020), 68–69, e Beghini (2020), 148–149. 378 Sul problema si veda la sintesi in Martinelli Tempesta (1997), 200–202, che riprende e sviluppa i risultati di Boter (1988). Le Eclogae troveranno rinnovata fortuna nel XVIII sec., riedite per le cure di Johann Friedrich Fischer: Iani Cornarii eclogae in dialogos Platonis omnes nunc primum separatim editae cura Ioh. Frider. Fischeri. Accesserunt praefationes Aldi Manutii, Simonis Grynaei, Marcique Hopperi editioni dialogorum Platonis Venetae et Basileensis utrique premissae, Lipsiae, 1771.

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Verso l’età moderna

L’edizione che diverrà canonica del corpus, pubblicata nel 1578 a Ginevra da Henri Estienne (latine Henricus Stephanus) accompagnata dalla traduzione di Jean De Serres (latine Johannes Serranus),379 trova l’Erissia nel terzo tomo, appunto alle pagine 392–406. Fondamento dell’edizione ginevrina è ancora il testo dell’Aldina, cui vengono apportate alcune modifiche, esclusivamente ope ingenii. Oltre alla numerazione canonica delle pagine ed alla sistemazione di ortografia ed interpunzione secondo canoni ancora oggi adottati nelle edizioni di Platone, dobbiamo allo Stephanus infatti una manciata di congetture, nessuna delle quali peraltro riportata nelle Adnotationes alla fine del tomo. Di esse soltanto una si rivela utile ai fini della constitutio (a 393b5 ἔτι per l’insensato ἐπὶ di A). La versione latina di De Serres in più punti si distacca dal testo dello Stephanus, proponendo un’interpretazione spesso piuttosto libera, in particolare nei luoghi più difficili:380 in alcuni casi le proposte del traduttore sono state mutate in congetture nelle edizioni successive. È il caso di 398c7, dove l’insensato ἤ dei codici è tradotto dal De Serres «si», supponendo corruttela di εἰ, un intervento poi soppiantato dall’ottimo ἥν di Boeckh. L’interesse della traduzione resta ormai eminentemente storico.

379 Πλάτωνος ἅπαντα τὰ σωζόμενα. Platonis opera quae exstant omnia. Ex nova Ioannis Serrani interpretatione, perpetuis eiusdem notis illustrata: quibus & methodus & doctrinae summa breviter & perspicue indicatur. Eiusdem annotationes in quosdam suae illius interpretationis locos. Henr. Stephani de quorundam locorum interpretatione iudicium, & multorum contextus Graeci emendatio. 1578. Excubebat Henr. Stephanus cum privilegio Caes. Maiest. 380 La traduzione latina, acquistata da Estienne prima del lavoro critico sul testo greco, non fu modificata; sul travagliato rapporto tra l’editore e De Serres si veda Reverdin (1956).

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Indice dei passi citati

L’Erissia Tit. : 31 (n. 74); 48; 80; 84; 90; 97; 103 392a2 : 51 (nn. 143; 144); 55; 69; 74; 80 (n. 232) 392a3 : 31 (n. 72); 74 392a4 : 107; 109; 111 392b1 : 70; 109; 111 392b2 : 70; 123 (n. 376) 392b3 : 68; 91; 94; 103; 109; 111 392b5-d1 : 78 392b6 : 112 392b7 : 121 (n. 368) 392b8 : 74 392c2 : 32 (n. 76); 74; 91; 103; 107 392c5 : 45; 54; 64; 73; 77 392c7 : 81 392d2 : 74; 104 392d5-9 : 78 392d5 : 32 (n. 76; 77); 40; 68 392d7 : 36 (n. 97); 54; 56; 58; 61; 94; 99; 119 392d8 : 42; 80 (n. 232); 97 392d9 : 55; 64; 69 392d10 : 51 (n. 144); 104 392e10 : 32 (n. 76) 393a1 : 32 (n. 78) 393a2 : 63; 68 393a4 : 32 (n. 76) 393a5 : 50; 63 393a7-b1 : 78 393a7 : 88 393a8 : 85; 87 393b1 : 51 (n. 144) 393b2 : 36; 38; 54; 58; 61; 69; 74; 98; 109; 111; 121; 123 (n. 376) 393b3 : 85; 88 393b4-6 : 71 393b4-5 : 88 393b4 : 50; 63; 74; 91; 97; 103 393b5 : 77; 82; 124 393b6 : 54; 58; 62; 69; 76 (n. 221); 101 393c1-4 : 65 393c2-4 : 71 393c4-5 : 71 393c5-6 : 78 393c5 : 85; 87; 94

393c6-7 : 101; 119 393c6 : 74; 85; 87 393c7 : 71; 88 393d1-5 : 107 393d2-3 : 102 393d3-4 : 64 393d3 : 64; 81 393e1 : 31 (n. 72) 393e5-6 : 71 393e5 : 54; 58; 62; 69; 78 393e7-8 : 71 393e7 : 53; 81; 84; 90; 103; 107 393e8 : 121 (n. 369) 393e9-11 : 71; 78 393e10 : 88 393e12-394a1 : 71 394a3 : 71 394a4 : 59; 62 394a5 : 78 394a6 : 81; 88 394b1 : 45; 107 394b6 : 45; 54; 70; 73; 77 394b7 : 77 394c2 : 80 (n. 231); 101 394c3 : 85; 87; 88 394c5 : 91; 104 394c6 : 42 (n. 108) 394c7 : 77 394d1 : 45 394d2 : 70; 71; 78 394d3 : 54; 58; 62; 69; 91; 103 394d4 : 52; 74; 90; 94; 107 394d8-e1 : 71 394d8 : 38 394e2 : 74 394e4 : 80 (n. 231); 86; 87; 90; 94; 98; 103; 107; 120 394e5 : 38: 74 394e7 : 31 (n. 72); 54; 58 (n. 169); 63; 64 394e11 : 101 395a1 : 54; 56; 58; 62 395a3 : 31 (n. 72); 42 (n. 107); 75 395a4 : 59; 62; 88 395a6 : 38 395b1 : 38; 42 (n. 107) 395b2 : 42 (n. 108)

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Indice dei passi citati 395b4 : 50; 81; 84; 90; 97; 103; 107 395b5 : 64 395b6 : 85; 87 395b8 : 54; 73; 77; 94; 98; 119 395c2 : 51 (n. 144); 64; 71; 74; 80 (n. 232); 98 395c3 : 59; 62 395c7 : 54; 58; 68; 69; 71 395d2 : 64 395d3 : 94 395d5 : 101 395d6-7 : 121 395d6 : 88 395d7 : 78 395d8 : 33 (n. 81) 395e2 : 36; 37; 64; 74; 81 395e3 : 64; 101; 104; 122 395e4 : 75 395e5 : 122 395e7 : 36; 37; 64; 74 (n. 213); 88 395e8 : 37; 101 395e9 : 46 395e10-396a2 : 71 396a2 : 59; 68; 77 396a3 : 77; 85 (n. 249) 396a4 : 37; 101; 119 396a5 : 59; 62; 75; 81 396a7 : 54; 56; 64; 70; 74; 81; 91; 109 396a8 : 32 (n. 77); 42 (n. 108); 74; 82; 85; 87; 94; 100; 104; 109; 111 396b1 : 32 (n. 77); 46 396b2 : 63; 68; 107 396b4 : 32 (n. 77); 63 396b5 : 80 (n. 231) 396b7-c3 : 65; 78 396b7 : 33 (n. 82); 104 396c3 : 85;87; 91; 103; 113 396c4 : 63; 101; 120 396c5 : 59; 62 396d2 : 68; 73; 77; 106; 109; 111 396d4 : 74 396d5 : 63; 74; 98 396e3 : 74; 98 396e4-397b7 : 19 396e4 : 95; 99; 119 396e6 : 75; 100 (n. 297); 119 396e7-8 : 71 396e7 : 32 (n. 78) 396e8-10 : 71 396e8 : 75 396e9 : 68; 77; 81; 84; 85; 87; 90; 98; 103; 107 396e11 : 20 396e12 : 91; 94; 99; 103; 119 396e12-397a1 : 65

397a3-5 : 78 397a4 : 45; 75; 77; 91; 94; 103 397a6 : 71 397a7 : 32 (n. 78) 397b2 : 20; 37 397b3 : 54; 73; 77; 85; 87 397b4 : 88 397b6 : 20; 59; 62 397c1 : 85; 87; 121 397c2 : 82 397c3 : 64 397c5 : 38 397c6 : 121 397c7-e1 : 68-69 397c7-d7 : 78 397c7 : 32 (n. 76); 42; 51; 54; 71; 73; 77; 80 (n. 232) 397d1 : 42; 51; 80 (n. 232) 397d2 : 88; 121 397d3 : 46; 54; 73; 77; 94; 99 397d4 : 82; 101 397d6 : 33 (n. 81) 397d7 : 54; 58; 64; 68; 69 397e1 : 51 (n. 144); 64 397e3-12 : 19; 78 397e5-10 : 113 397e5-7 : 16; 65; 69; 71 397e5 : 77 397e6 : 64 397e7 : 64 397e9 : 113 397e10 : 75; 112 397e12 : 20; 68; 85; 87 398a1 : 68; 75; 77 398a5 : 46; 54; 55; 73; 77; 94; 99; 106; 109; 112 398a7 : 68; 121 398b2 : 59; 62 398b3-6 : 69 398b3 : 107 398b4 : 112 398b7 : 32 (n. 76) 398c1 : 88 398c2 : 75 398c4-5 : 65; 71 398c4 : 78; 102; 107 398c5 : 32 (n. 76); 77; 100 398c6 : 63 398d2 : 45 398d4 : 36-37; 45 (n. 124); 46; 48-50; 54; 70; 73; 77; 80 (n. 232); 94; 99 (n. 294); 101; 106; 109 398d6 : 109; 111 398e2 : 32 (n. 79); 75 398e3 : 101; 119

142 https://doi.org/10.5771/9783896659750

L’Erissia 398e4 : 64 398e5 : 50; 81; 84; 90; 94; 95; 104; 107; 109 398e7 : 75; 88; 101; 119 398e9 : 36-37; 42 (n. 108); 73 398e11 : 56; 70; 100; 119 399a3 : 80 (n. 231) 399a7 : 64 399a8 : 65 399b2 : 50; 101 399b3 : 55 399b6 : 59; 62 399b8 : 63 399c1 : 59; 62 399c3 : 17; 41 (n. 107) 399c4-6 : 65 399c5 : 65 399c6 : 65 399c7 : 59 399c8 : 38 399d1 : 46; 54; 63; 73; 77; 94; 99 399d4-5 : 78 399d4 : 41 (n. 107); 104 399d5-6 : 32 (n. 79) 399d5 : 78 399d6 : 59; 62; 100; 119 399e2 : 50; 80; 81; 84; 90; 94; 99 (n. 294); 106; 109 399e5-6 : 116 399e6 : 68 399e7 : 33 (n. 81); 101; 119 399e9-400a4 : 71 399e10-400a8 : 116 399e10-400a6 : 78 399e10-400a1 : 65; 69; 78 400a1-3 : 116 400a1 : 63 400a2 : 45; 63 400a3 : 75 400a4 : 78; 80 (n. 231) 400a5-7 : 78 400a7 : 82 400a8-b3 : 78 400a8-b1 : 65; 71 400a8 : 85; 87; 102 400b4-5 : 78 400b4 : 45; 65; 71; 88 400b5-c1 : 78 400b6 : 112 400b7 : 70; 101 400c1 : 109 400c3 : 54 (n. 155); 58; 62; 74; 77; 88 400c5 : 75 400d4 : 55; 56 400d5 : 85; 87

400d7 : 63; 78 400e1-2 : 65-66; 71 400e1 : 75 400e2-6 : 78 400e2 : 75 400e3 : 95 400e5-6 : 33 400e5 : 85; 87; 101 400e6 : 19; 81 (n. 233) 400e7 : 101 400e8-9 : 64 400e9 : 55; 56; 58; 70; 73; 75; 98 400e10-12 : 18; 66; 78; 102 401a1 : 50 401a2-3 : 75 401a2 : 123 401a3 : 75; 101; 120 401a4 : 37 401a6-7 : 98-100; 111 401a6 : 46; 55; 58; 62; 70; 75; 78; 94; 98-100; 120 401a7-b4 : 71 401b1-402c4 : 19-20 401b2 : 37; 71 401b3 : 63; 66 401b7-8 : 66; 71 401b8-c1 : 20 401b9 : 37 401c1 : 21 401c3-402c4 : 116 401c4 : 33 (n. 82); 71 401c5 : 54 (n. 155); 55; 58; 62; 70 401c7 : 42 (n. 108) 401d3 : 55; 58; 62 401d4 : 37; 42; 63; 102 401d5 : 45; 50 (n. 141); 54; 56; 58; 62; 73; 77 401d6 : 65 401d8 : 55; 58; 62; 70 401e3 : 20 401e4 : 21; 59; 65; 68; 75; 78 401e6 : 20; 38; 73; 98 401e7-8 : 71 401e7 : 20; 78 401e9-10 : 61 401e9 : 85 401e10-12 : 50 401e10 : 20; 59 401e11 : 63; 68 401e12 : 45; 49-50; 104 401e13 : 32 (n. 78) 402a1 : 20; 88; 101 402a2 : 100; 120; 123 402a3 : 112 402a5 : 20

143 https://doi.org/10.5771/9783896659750

Indice dei passi citati 402a6-7 : 68 402a7 : 101; 120 402b1 : 59; 62 402b2 : 121 (n. 369) 402b4-c3 : 71 402b5 : 101; 120 402b6 : 21 402b7 : 59-60; 62 402b8-9 : 21-22 402b8 : 101 402c1 : 33 (n. 82) 402c2-3 : 21 402c3-5 : 71 402c3 : 55 402c4 : 55 402c7 : 65 402c8-d1 : 81; 82; 84 402c8 : 101; 120 402d1 : 37; 65 402d2 : 82 402d5-6 : 98; 111 402d6 : 63; 101; 120 402d7 : 63; 95; 99 402e1 : 32 (n. 76); 101 402e2 : 75 402e3 : 98; 109; 111; 120 402e4 : 55; 63 402e6 : 102; 120 402e9 : 65 402e10-11 : 71 402e10 : 85; 87 402e11 : 112 402e12-403c6 : 116 403a2-5 : 71 403a3-5 : 98; 111 403a5 : 32 (n. 80); 88 403a6-c6 : 19 403a6 : 75 403a7 : 63 403a8 : 21 403b1 : 21 403b3 : 21; 81; 85; 88; 90; 103 403b4 : 21; 65; 95 403b5 :21 403b7 : 50 403b8 : 21; 50; 55; 58 (n. 169); 70; 73; 81; 85; 90; 98; 103; 106; 109; 111 403b9-c6 : 71; 97 403b9 : 102; 120 403c1 : 88 403c2 : 21; 37 403c3 : 32 (n. 76) 403c4-6 : 66 403c8 : 37; 68 403d1 : 33

403d4 : 75; 78 403d7 : 32 (n. 76) 403e1-2 : 71 403e1 : 59; 62 403e4 : 70 403e5-7 : 66 403e5 : 38; 73 403e6 : 100 404a2-3 : 71 404a2 : 45; 102; 120 404a4 : 55; 70; 88 404a6 : 95; 99; 120 404b2 : 68 404b4-5 : 37 404b5 : 31 404b7 : 85; 102 404c2-4 : 71 404c4-5 : 71 404c5 : 86; 87 404c6-8 : 71 404c7 : 45; 54; 77 404c8-d3 : 71 404d1 : 55; 58; 62; 70; 102 404d2 : 55; 58; 62; 70; 82 404d4 : 37 404d5 : 70 404d6 : 55; 58; 62; 63; 70 404d7-e1 : 71 404d7 : 75 404e6 : 32 (n. 76); 68; 121 404e8-10 : 71 404e10 : 68 405a4 : 70 405a5-7 : 66 405b1-5 : 71 405b1-3 : 120 405b2 : 75; 102 405b5 : 55; 58; 63; 70; 76 (n. 221) 405b6 : 75; 94; 100; 120 405b7 : 31; 102 405b8 : 65; 81; 85; 90; 94; 103 405c1 : 102; 120 405c2 : 37; 38 405c3-e2 : 113 405c4-6 : 66 405c5 : 68 405c6-406a3 : 19-20 405c7 : 107; 109; 113 405c8 : 21; 65; 100; 104; 120 405d1 : 21 405d2-e2 : 116 405d2 : 32; 113 405d4 : 21; 32 (n. 78); 50; 74; 78; 86; 87; 91; 94; 103; 113 405d5-7 : 66

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Altri passi 405d5 : 21 405d6 : 88; 113; 121 405d7 : 113 405e1-5 : 22 405e1 : 21; 22; 75 405e5 : 63; 102; 120 405e6 : 32 (n. 76) 405e7 : 21 405e9 : 107; 109; 111 405e11 : 21 405e12 : 21; 59; 62; 86; 87; 88

406a5 : 86; 87; 102 406a6 : 75 406a9 : 65 406a12-17 : 114-115 406a12-13 : 114-115 406a12 : 59; 68 406a13 : 68 406a15 : 65 406a16-17 : 71 406a17 : 68

Altri passi V 7, 6 : 18 (n. 31) VI 17, 5 : 18 VII 44, 2 : 18 (n. 31)

Aelianus – Varia historia VIII 2 : 14 (n. 14) Aeschines Socraticus (ed. Pentassuglio) T 39 : 17 T 64-87 : 17 Aetius Amidenus III 164 : 54 (n. 153) Albinus (ed. Reis) 149, 12-13 : 13 (n. 13) Aristophanes – Plutus 76-77 : 56 Aristophanes Byzantius (ed. Slater) Fr. 403 : 12 (n. 8) Antigonus Carystius (ed. Dorandi) Fr. 39 : 11 (n. 3) Athenaeus XI 506c1-5 : 14 (n. 14) Clemens Alexandrinus – Protrepticus 116, 1 : 18 (n. 31) – Quis dives salvetur 14, 1 : 18 – Stromata I 93, 1 : 18 I 133, 3 : 18 (n. 31) I 166, 1 : 18 (n. 31) II 9, 4 : 18 II 16, 1 : 18 II 27, 2 : 18 II 45, 6 : 18 III 20, 3 : 18 (n. 31)

Dercyllides (ed. Lakmann) T 1 : 13 (n. 13) Diogenes Laertius (ed. Dorandi) III 26, rr. 291-293 : 11 (n. 2) III 37, rr. 416-417 : 12 III 57-62 : 13 III 61, rr. 673-679 : 12 (n. 8) III 62, rr. 678-679 : 14 (n. 14) III 62, rr. 683-686 : 15 III 65-66 : 12 (n. 8) III 66, rr. 730-732 : 11 (n. 3) VII 118, r. 901 : 16 (n. 27) IX 37 : 14 (n. 14) Herodotus V 122 : 42 (n. 109) Philo Alexandrinus – De plantatione 171 : 16 176-177 : 16 (n. 27) Planudes – Compendia Platonica (ed. Ferroni) 217-220 : 115-116 Plato – [Alcibiades secundus] 150d6-e4 : 18 (n. 31) – [Axiochus] 364a3 : 45 (n. 123) 364b2 : 44 365b2 : 87 (n. 256) 366a8 : 87 (n. 256) 367b8-c2 : 18 370c1 : 51 (n. 144)

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Indice dei passi citati 371a-372b : 19 (n. 34) – Charmides 164d4 : 115 (n. 355) – [Definitiones] 413c4-5 : 18 414b7-9 : 18 414b10-c2 : 18 416a21 : 18 – [Demodocus] 380a1-4 : 22 380a7 : 57; 61 – [Epinomis] 973c3-6 : 18 (n. 31) 973d1-974a1 : 18 (n. 31) 974a7 : 39 974d8 : 39 976b7 : 39 977b : 18 (n. 31) 978a7 : 39 983c8 : 39 988b1 : 57; 61 990c2-3 : 39 991a3 : 35 (n. 91) 992c1 : 39 – Epistulae I 309a3 : 41 I 309d4 : 41 I 310a3 : 41 VII 353e1 : 33 (n. 85) X 358d4 : 41 – [De iusto] 374a8-b1 : 51 374b4 : 39 374d6-8 : 31 (n. 72) – Leges I 627b1-2 : 43 III 699b2 : 40 III 699d2 : 40 V 745a2-c2 : 27 (n. 52) V 746b8 : 23; 34; 40; 44 VI 780b6 : 40 VI 780e1 : 40 VI 753b1 : 40 VI 754b2 : 40 VI 783b2-d4 : 27 (n. 52) VII 800a3 : 40 – [Minos] 318a : 18 (n. 31) – Phaedo 64b4-89b10 : 47 (n. 128) 96e6-97b7 : 11 (n. 2) – Phaedrus 268a1-2 : 90 (n. 261) – Respublica III 389d7 : 29 (n. 63)

X 600c7 : 42 (n. 109) – [Sisyphus] 389c3 : 39 391d2 : 39 – Theaetetus 188c7-9 : 90 (n. 261) – [Theages] 128d2-5 : 18 (n. 31) – Timaeus 53c4 : 28 – [De virtute] 379c2 : 39; 52 Prolegomena in Platonis philosophiam (ed. Westerink2) 24, 10-15 : 12 (n. 5) 26, 1-6 : 15 (n. 17) Scholia in Aristophanem – in Plutum (ed. Chantry) sch. vet. in Pl. 77α, β, γ, p. 22 : 56 sch. rec. in Pl. 77d, p. 27 : 56 Scholia in Platonem (ed. Greene) in Erx. 392a2, p. 407 G. : 51 (n. 143) in Erx. 396a7, p. 407 G. : 56; 70 in Erx. 405b8, p. 408 G. : 65; 81 (n. 233) in DI 374a8-b1, p. 402 G. : 51 in Lg. I 627b1-2, p. 301 G. : 43 Seneca – Epistulae ad Lucilium LXXXIII 9 : 16 (n. 27) Stobaeus (ed. Wachsmuth – Hense) I 49, 47 : 19 (n. 34) IV 31b, 51-52 : 19-22 IV 31d, 117 : 19-22 IV 33, 33-34 : 19-22 Suda (ed. Adler) αι 346 : 17 Theopompus comicus (ed. Kassel – Austin) Fr. 16 : 11 (n. 2) Thrasyllus (ed. Tarrant) T 19c : 14 (n. 14) T 22 : 13 Timaeus Sophista (ed. Valente) σ 4 : 18-19 Varro – De lingua latina VII 37 : 13 (n. 13)

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Altri passi Xenophon – Hellenica I 4, 7 : 42 (n. 109)

Zeno Citieus (ed. Arnim) SVF I 229 : 16 (n. 27)

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