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Italian Pages 242 Year 2023
Christoph Wulf Forme del sapere e dell’educazione nell’epoca dell’Antropocene
Umweg
Collana diretta da
Federica Buongiorno, Libera Pisano
Umweg | 14
Christoph Wulf Forme del sapere e dell’educazione umani nell’epoca dell’Antropocene
Traduzione dal tedesco di Federica Buongiorno
Titolo originale Bildung als Wissen vom Menschen im Anthropozän, Beltz, Weinheim 2019 (capp. 4, 5, 8, 12).
© 2023, INSCHIBBOLETH EDIZIONI, Roma. Proprietà letteraria riservata di Inschibboleth società cooperativa, via G. Macchi, 94 - 00133 - Roma www.inschibbolethedizioni.com e-mail: [email protected] Umweg ISSN: 2499-6041 n. 14 - ottobre 2023 ISBN – Edizione cartacea: 978-88-5529-442-3 ISBN – Ebook: 978-88-5529-455-3 Copertina e Grafica: Ufficio grafico Inschibboleth Immagine di copertina: Claude Monet, Houses of Parliament, stormy sky, 1904 Palais des Beaux-Arts de Lille
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Tra antropologia e pedagogia: il contributo di Christoph Wulf Introduzione di Federica Buongiorno
Ormai da un decennio i libri di Christoph Wulf, già tradotti da lungo tempo in svariate lingue in tutto il mondo, vengono tradotti sempre più sistematicamente in italiano. Si riconosce così la rilevanza internazionale di Wulf in una serie di aree disciplinari tra loro limitrofe e intrecciate: i suoi studi – in particolare quelli sulla mimesi, sulla gestualità e sui rituali – sono stati pionieristici nei campi della pedagogia e dell’antropologia culturale. Il testo che qui presentiamo in traduzione – una selezione, concordata con l’autore, dei capitoli più importanti del volume edito in tedesco nel 2019 con il titolo Bildung als Wissen vom Menschen im Anthropozän1 – costi
1. C. Wulf, Bildung als Wissen vom Menschen im Anthropozän, Beltz, Weinheim 2019, capp. 4, 5, 8, 12.
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tuisce una sintesi storico-concettuale della ricerca svolta da Wulf, spesso in collaborazione con altri studiosi e ricercatori, a partire dalla fondazione sistematica dell’antropologia pedagogica nel corso degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso. Il volume ricostruisce il lavoro teorico svolto da Wulf e dai suoi colleghi alla Freie Universität di Berlino, con l’istituzione dello “Interdisziplinäres Zentrum für historische Anthropologie” e l’avvio delle prime ricerche collettive con il “Berliner Ritual- und Gestenstudie”, un progetto di ricerca su ritualità e gestualità, e le indagini su Logik und Leidenschaft (Logica e passione), su “Kulturen des Performativen” (Culture del performativo) e su Die Wiederkehr des Körpers (Il ritorno del corpo). La sistematizzazione dell’antropologia pedagogica, nella sua specificità e, dunque, distinzione dalla “Anthropology of Education” di matrice anglofona, è stata senza dubbio un’impresa anzitutto tedesca, fondamentalmente guidata da Wulf e dai suoi collaboratori. La caratteristica essenziale dell’approccio antropologico all’educazione sviluppato nel contesto berlinese è stata l’attenzione rivolta alla corporeità e alla materialità nei processi educativi, nel tentativo
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di ridare spazio a una dimensione marginalizzata da un’indagine tradizionalmente sbilanciata sul versante della teoria pedagogica. La sfera delle pratiche è stata ricollocata al centro delle indagini svolte da Wulf e colleghi, seguendo in ciò una tendenza che, in quegli stessi anni in Germania, caratterizzava molte ricerche filosofiche, antropologiche e teorico-culturali. Un’analoga preoccupazione per la rivalutazione della sfera materiale è visibile, in particolare, nella teoria dei media e della medialità – altra grande tradizione di studi tedesca, incardinata anch’essa a Berlino con il lavoro di Friedrich Kittler, che iniziò a insegnare alla Humboldt Universität nel 1993 –, e specialmente nel lavoro di Sybille Krämer, collega di Wulf alla Freie Universität di Berlino e sostenitrice di una nuova “fisica dei media”, in cui si rimette al centro la materialità del medium tecnico e delle funzioni specificamente mediali di trasmissione2. L’interesse per la dimensione corporeo-materiale si combina (e motiva), nella ricerca di Wulf,
2. Cfr. S. Krämer, Piccola metafisica della medialità. Medium, messaggero, trasmissione, tr. it. di F. Buongiorno, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2020.
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con la considerazione del particolare, dell’unicità storico-culturale che caratterizza sia il ricercatore, sia l’oggetto della sua indagine: si tratta di un ancoraggio ai metodi dell’antropologia storico-culturale, che si esprime, da un lato, nel costante riferimento all’etnografia come laboratorio di osservazione sul campo dei fenomeni indagati e, dall’altro, nella preoccupazione per la dimensione inter- e transculturale della ricerca. Il rifiuto di impostazioni astrattamente generalizzanti, per così dire top down, non poteva che condurre alla consapevolezza della località e specificità (termini prediletti da Wulf, in polemica con troppo facili posizioni di relativismo culturale) dei processi studiati (in particolare delle pratiche di educazione e formazione), e dunque alla valorizzazione comparativa di similitudini e differenze transnazionali e persino transcontinentali3. 3. Si pensi alle due ricerche etnografiche collettive condotte da Wulf e dai suoi colleghi, in cui vengono comparati rispettivamente gruppi di famiglie tedesche e giapponesi allo scopo di individuare analogie e differenze nella definizione del benessere e della felicità familiare, e gruppi di bambini in età scolare in un programma di scambio tra Germania e Francia. Entrambe le ricerche sono discusse nel presente volume. Su questi temi, cfr. F. Buongior-
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Questa consapevolezza è rafforzata dall’attività istituzionale di Wulf nel contesto tedesco e internazionale, come membro di commissioni governative ed europee di monitoraggio e valutazione delle pratiche pedagogiche e dei sistemi di istruzione e educazione nazionali e internazionali: l’ampio e costante riferimento alle risoluzioni della commissione tedesca UNESCO, cui Wulf ha partecipato sin dal 1988 e di cui è stato vice-presidente dal 2008, testimonia l’impegno di traduzione e concretizzazione politica della propria ricerca teorica. L’attività istituzionale ha portato Wulf a un contatto diretto con le aree di maggiore importanza e criticità per una teoria e pedagogia nell’epoca dell’Antropocene e del mondo globalizzato: le grandi questioni della pace, della sostenibilità e della diversità culturale occupano l’ultima parte di questo volume e costituiscono, più in generale, i problemi al centro della ricerca attuale di Wulf. Se il pregio di questo breve testo è primariamente quello di restituire, secondo le linee qui
no, L’età performativa. Intervista con Christoph Wulf, in «doppiozero», 22-12-2015 (https://www.doppiozero.com/ leta-performativa, ultimo accesso 09-06-2023) [N.d.T.].
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accennate, la complessa articolazione storicoconcettuale del pensiero di Wulf, un pregio secondario ma non meno rilevante è rappresentato dall’enorme e ricchissimo apparato bibliografico che esso contiene e in cui si cristallizza la volontà dell’autore di restituire la varietà e la consistenza della ricerca condotta in prima persona e dai suoi collaboratori più o meno diretti. Scorrendo i testi citati si può ricostruire una mappatura dei temi, dei problemi e degli autori impegnati nell’antropologia storico-culturale e pedagogica, a partire dagli anni Ottanta del Novecento e prevalentemente in Germania, luogo del suo primo e più deciso sviluppo, ma anche nel contesto globale. In quest’ottica, il presente volume costituisce anche un prezioso strumento di orientamento nel dibattito sui temi dell’antropologia e della pedagogia contemporanee e una piccola bussola per la delineazione dei futuri orizzonti di ricerca.
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I I fondamenti antropologici dell’educazione
La coscienza del significato del sapere antropologico per la comprensione e l’autocomprensione dell’essere umano e dei suoi processi di formazione nasce già con Johann Gottfried Herder e Wilhelm von Humboldt. Ambedue sono consapevoli del fatto che questo sapere è storicamente e culturalmente determinato. Se entrambi sottolineano la storicità del sapere antropologico, nella sua antropologia comparativa Humboldt sviluppa anche, oltre a ciò, una prospettiva antropologico-culturale o etnografica. Entrambe le prospettive vengono assunte nell’antropologia storico-culturale, che sorge verso la fine del XX secolo, e ulteriormente sviluppate sullo sfondo della società mondiale globalizzata1. Sulla base 1. C. Wulf, Anthropologie. Geschichte, Kultur, Philosophie, Anaconda, Köln 2009; Id. (a cura di), Der Mensch und seine
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di questa prospettiva nasce anche una corrispondente antropologia pedagogica. Martin Heidegger ha colto un tratto caratteristico di questo interesse per il sapere antropologico nel fatto che nessuna epoca come l’odierna ha avuto così tante conoscenze sull’essere umano, sebbene nessuna epoca abbia saputo di meno che “cosa l’uomo sia”2. Se, perciò, l’essere umano appariva ad Arnold Gehlen “teoreticamente non fissabile” e a Helmuth Plessner “concettualmente infondabile”, questa intuizione è fondamentalmente esatta: nell’ambito dell’educazione e della formazione si ridetermina continuamente il modo in cui debba apparire l’essere umano in quanto progettato per l’educazione e per la formazione (homo educandus), l’essere umano che è al tempo stesso educabile (homo educabilis), e il modo in cui possa essere “migliorato”. Senza conoscenza antropologica educazione e forma-
Kultur. Menschliches Leben in Gegenwart, Vergangenheit und Zukunft, Anaconda, Köln 2010; Id., Anthropology. A Continental Perspective, University of Chicago Press, Chicago (IL) 2013. 2. M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, intr. di V. Verra, Laterza, Roma-Bari 2022.
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zione non sono possibili3. Ma come si ottiene il sapere antropologico e come lo si può rendere fruttuoso per l’educazione e la formazione? Affrontare questa questione è estremamente complesso anche solo nel contesto storico e culturale della Germania e dell’Europa: ancor più difficile è trattarla nel quadro dell’odierno mondo globalizzato. Qui non vi sono prospettive e criteri sicuri, in riferimento ai quali determinare in che modo comprendere gli esseri umani. Le differenze nella concezione dell’essere umano tra le culture dell’Occidente e dell’Asia sono considerevoli. In tutte le società e culture vi sono rappresentazioni di cosa sia una vita buona e di una educazione e formazione riuscite. Alcune si sovrappongono, altre hanno poco in comune. Nel seguito si ricostruirà il modo in cui si è sviluppato il campo dell’antropologia pedagogica tedesca a partire dalla metà del XX secolo. Si potranno distinguere più fasi con caratteristiche diverse. La comprensione del carattere 3. C. Wulf, Bilder des Menschen. Imaginäre und performative Grundlagen der Kultur, transcript, Bielefeld 2014; Id., Der Mensch und seine Kultur, cit.
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peculiare dell’antropologia pedagogica in Germania richiede di chiarire la differenza rispetto all’anglosassone “educational anthropology” o “anthropology of education”. Quando si parla di “anthropology of education” si pensa in generale all’etnologia o etnografia dell’educazione. Per quanto importante sia questo ambito, equipararlo all’“antropologia dell’educazione” tedesca ovvero all’“antropologia pedagogica” implica una riduzione a un solo paradigma di antropologia pedagogica. “Anthropology of education” implica in prima battuta l’accesso metodico e specificamente etnografico all’indagine nell’ambito educativo. In seconda battuta, “anthropology of education” indica l’indagine nei campi dell’educazione e delle attività educative all’interno di una cultura straniera. Per molto tempo sono state soprattutto le forme dell’educazione in culture non occidentali a essere indagate. La situazione è cambiata nella misura in cui oggi anche l’indagine rivolta all’educazione nelle culture occidentali è contrassegnata come “anthropology of education” o “ethnography of education”4. Que4. K.M. Anderson-Levitt (a cura di), Anthropologies of Education. A Global Guide to Ethnographic Studies of Learning and Schooling, Berghahn, New York-London 2012.
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sto orientamento corrisponde alla comprensione dell’“antropologia” come “cultural” o “social anthropology”5. Anche in questo caso l’antropologia viene per lo più equiparata all’etnologia, così che a fissare il focus dell’antropologia o dell’antropologia dell’educazione sono la ricerca sul campo con metodi etnografici e l’indagine della componente straniera6. Riducendo il concetto di antropologia e quello di antropologia dell’educazione alla ricerca etnografica sul campo e allo studio dell’alterità, si guadagna una precisione concettuale, ma si perdono di vista molte dimensioni importanti dell’antropologia in generale e dell’antropologia pedagogica, che quest’ultima dovrebbe prendere in considerazione. Per quanto sia importante, in un sistema mondiale globalizzato, studiare l’estraneo e il modo di affrontare l’alterità7, non è sufficiente considerare questo come l’unico compito della ricerca antropologica.
5. C. Wulf, Anthropology, cit. 6. K.-H. Kohl, Ethnologie – die Wissenschaft vom kulturell Fremden. Eine Einführung, Beck, München 1993. 7. C. Wulf, Exploring Alterity in a Globalized World, Routledge, London 2016.
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Ciò si riscontra peraltro anche nell’antropologia culturale; meno, invece, nell’antropologia dell’educazione. Nell’antropologia culturale, ad esempio, da qualche tempo si discute nuovamente dell’“antropologia su quattro campi” di Franz Boas8. Boas, di origini tedesche, ha sviluppato tale antropologia negli Stati Uniti e ha incluso tra le discipline antropologiche, oltre all’etnologia, anche la paleontologia, la linguistica e la scienza storica9. A differenza del contesto scientifico anglo-americano, in Germania sia il concetto di antropologia che quello di antropologia dell’educazione sono intesi in modo più complesso10. Lo stesso avviene in America, 8. M. Bunzl, Boas and Foucault and the “Native Anthropologist”. Notes towards a Neo-Boasnian Anthropology, in «American Anthropologist», vol. 106, n. 3, 2004, pp. 435451; D.A. Segal - S. J. Yanagisako (a cura di), Unwrapping the Sacred Bundle. Reflections on the Disciplining of Anthropology, Duke University Press, Durham-London 2005. 9. F. Boas, Race, Language, and Culture, Macmillan, New York 1896. 10. C. Wulf, Anthropologie der Erziehung, Beltz, Weinheim-Basel 2001; Id., Anthropologie. Geschichte, Kultur, Philosophie, cit.; Id., Der Mensch und seine Kultur, cit.; Id., Anthropology, cit.; J. Zirfas, Pädagogik und Anthropologie. Eine Einführung, Kohlhammer, Stuttgart 2004;
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tanto che oggi, in analogia con una “filosofia continentale” europea non analitica, si parla anche di una “antropologia continentale”. Quest’ultima è caratterizzata da quattro paradigmi e da un quinto integrativo11 ed è evidente, in essa, anche un pronunciato interesse per le questioni interdisciplinari e transculturali. L’antropologia pedagogica parte dal presupposto che l’educazione e la socializzazione non sono possibili senza immagini implicite ed esplicite degli esseri umani e che queste costituiscono perciò un importante campo di ricerca antropologica e pedagogica12. La presentazione, l’interpretazione e l’analisi dell’antropologia pedagogica avvengono in cinque parti, nelle quali deve chiarirsi perché nell’epoca della globalizzazione e dell’Antropocene è necessario un concetto complesso di antropologia pedagogica: 1) modelli storici dell’essere umano e loro effetti su educazione e formazione; 2) lo sviluppo dell’antropologia pedagogica C. Wulf - J. Zirfas, Handbuch pädagogische Anthropologie, Springer, Wiesbaden 2014. 11. C. Wulf, Anthropology, cit. 12. C. Wulf, Bilder des Menschen, cit.
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come parte della scienza dell’educazione; 3) la critica dell’antropologia pedagogica; 4) la svolta verso l’antropologia storico-pedagogica; 5) prospettive.
1. Modelli storici dell’essere umano e loro effetti sull’educazione Oggetto dell’antropologia pedagogica sono l’essere umano e i suoi rapporti in fatto di educazione, formazione e socializzazione. Questi rapporti vengono indagati dal punto di vista specifico dei modelli dell’essere umano in essi implicitamente agenti e delle condizioni culturali e sociali a loro fondamento. Due esempi storici dall’antichità e dall’epoca moderna mostrano in che modo modelli dell’essere umano diversi conducano a differenti rappresentazioni di educazione, formazione e socializzazione. In entrambi i modelli è evidente il condizionamento reciproco di rappresentazioni culturali e sociali e le rispettive rappresentazioni di educazione, formazione e socializzazione. Al tempo stesso i due esempi mostrano che la differenza tra due modelli dell’essere umano conducono anche a
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concezioni, strategie e metodi diversi di educazione, formazione e socializzazione13. Già i presocratici insistono, in nome di un pensiero critico, su uno spazio umano libero nei confronti dello Stato e della tradizione e mettono in discussione le visioni mitiche del mondo di Omero ed Esiodo, invocando razionalità, argomentazione e logica. In Protagora l’essere umano è già diventato “la misura di tutte cose”. Ne è derivato un cambiamento nella comprensione dell’essere umano, in cui si assume che l’uomo possa e debba dare forma alla propria vita. Socrate fa un ulteriore passo avanti mettendo in discussione anche questa capacità umana con l’aiuto del pensiero scettico. Egli sottolinea l’importanza di un agire moralmente corretto e, con l’aiuto della sua metodologia interrogativa (maieutica), evidenzia la necessità dell’autoriflessione e i limiti del sapere. Per Platone la ragione (nous) è la capacità dell’uomo di comprendere il vero, il bene e il bello, le idee “eterne” immutabili e ul13. C. Wulf - J. Zierfas, Homo educandus. Eine Einleitung in die Pädagogische Anthropologie, in C. Wulf - J. Zirfas (a cura di), Handbuch Pädagogische Anthropologie, cit., pp. 9-26.
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traterrene. Lo scopo è la liberazione dell’essere umano dalle tenebre della “caverna” attraverso l’innalzamento alla conoscenza delle idee. A tal fine, Platone sviluppa nella sua Politeia (Stato) un modello di uomo che corrisponde anche a un modello di società e di educazione. Per Platone l’uomo è caratterizzato da tre istanze, alle quali corrispondono le tre classi dello Stato. L’istanza somma è la ragione (nous), seguita dalla volontà/coraggio (thymos) e dalla sensualità/desiderio (epithymia). Le tre classi sociali del filosofo, del guardiano/guerriero e del contadino/artigiano corrispondono a questa triplice divisione, così importante per l’autocomprensione dell’essere umano europeo. Anche l’educazione è concepita secondo questo modello antropologico-politico. In ogni classe, i bambini (ragazzi) e i giovani ricevono l’educazione che dovrebbe consentire loro di adempiere in seguito ai propri doveri sociali. La società e il sistema educativo sono concepiti in modo statico; non c’è alcun tentativo di raggiungere la permeabilità tra le classi in vista di una giustizia educativa14.
14. Platone, La Repubblica, tr. it. di F. Sartori, Laterza, Roma-Bari 2018.
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L’uomo e l’educazione, la cultura e la società sono visti in modo diverso a partire dalla fine del Medioevo e dall’inizio dell’Età Moderna. Decisivo per la storia della scienza dell’educazione in questo periodo di transizione è il pensiero pedagogico di Johann Amos Comenius. Questo, da un lato, affonda le sue radici nel Medioevo e nella Riforma, dall’altro, preannuncia l’era moderna. A questo carattere di passaggio corrispondono l’immagine dell’essere umano e i concetti e metodi educativi su di essa fondati. Nella sua Grande Didattica, il mondo è visto come una creazione di Dio, le cui strutture devono essere comprese e rintracciate nell’intimo dei giovani individui, e in ciò svolge un ruolo centrale il primo libro di testo moderno, lo Orbis Pictus15. L’essere umano è inteso contemporaneamente come creatura e immagine di Dio. Nel loro essere creati, l’uomo e la natura sono opere di Dio sulle quali Dio tiene la sua “mano”. L’educazione è necessaria per aiutare le persone a rendersi consapevoli della somiglianza con Dio. Per Comenio, l’educazione è un servizio
15. J.A. Comenio, Orbis sensualium pictus, ed. quadrilingue, Breuer, Levoča 1685 (16581).
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reso a Dio, cioè un “servizio divino”16. Con la Grande Didattica, Comenio ritiene di aver trovato la strategia per poter insegnare «a tutti gli uomini ogni cosa in modo completo». I destinatari delle sue idee educative sono tutti gli esseri umani, ragazzi e ragazze, donne e uomini, in città e in campagna, in ogni parte del mondo. La realizzazione di questi obiettivi educativi universali, che hanno origine nel protestantesimo e nella sua concezione della necessità antropologica dell’educazione, non è stata ancora raggiunta a livello mondiale. Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e gli Obiettivi di Educazione allo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, adottati a New York rispettivamente nel 2000 e nel 2015, sono un promemoria duraturo di questo compito17.
16. Il termine Gottesdienst significa, in tedesco, “messa” o “funzione religiosa”: qui traduco con “servizio divino” per non interrompere la consequenzialità logica in italiano [N.d.T.]. 17. Cfr. infra, cap. IV.
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2. L’antropologia pedagogica come parte della scienza dell’educazione Nella seconda metà del XX secolo, l’antropologia pedagogica è emersa come campo di lavoro della scienza dell’educazione. In questo processo si possono distinguere due fasi. Una prima fase comprende gli anni Cinquanta e Sessanta, una seconda inizia nei primi anni Novanta e si estende fino al presente. Tra le due fasi si collocano gli sforzi per sviluppare una scienza critica dell’educazione e l’evoluzione della scienza dell’educazione da scienza umana a scienza umana e sociale, i quali hanno un’influenza sulla seconda fase dell’antropologia pedagogica. La prima fase comprende una serie di approcci molto diversi che sono stati sistematizzati in modi differenti18. È opportuno distinguere tre correnti principali in questo periodo. Nella prima si tratta di un’antropologia pedagogica orientata filosoficamente; nella seconda di un’antropologia pedagogica orientata fenomenologicamente e nella terza di un’antropologia pedagogica integrativa. Quest’ultima mirava a integrare nell’an-
18. C. Wulf - J. Zierfas, Theorien und Konzepte der pädagogischen Anthropologie, Ludwig Auer, Donauwörth 1994.
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tropologia pedagogica il sapere antropologico proveniente da altre scienze. La prima e la seconda corrente hanno avuto un’influenza anche sull’antropologia a orientamento fenomenologico. Tuttavia, a oggi, mancano ricerche più dettagliate in merito. 2.1. Antropologia pedagogica filosofica Sebbene l’antropologia pedagogica filosofica non sia sempre facile da distinguere da quella fenomenologica, soprattutto perché entrambe le correnti si sovrappongono nell’opera di autori come Otto Friedrich Bollnow, l’antropologia pedagogica filosofica ha anche un’influenza sull’antropologia pedagogica storica, che si è sviluppata a partire dagli anni Novanta, in quanto la riflessione filosofica costituisce anche qui una parte importante della ricerca antropologica. Cosa caratterizza dunque l’antropologia pedagogica filosofica di questi anni? La maggior parte dei suoi autori, tra i quali Otto Friedrich Bollnow19,
19. O.F. Bollnow, Die anthropologische Betrachtungsweise in der Pädagogik. Der Mensch zwischen Natur, Kultur und Technik, NDS-Verlag, Stuttgart 1965.
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Werner Loch20, Johannes Flügge21 e Josef Derbolav22, sono influenzati dall’antropologia filosofica di Max Scheler23, Helmuth Plessner24 e Arnold Gehlen25. Tutti gli autori concordano sul fatto che l’essere umano ha bisogno di educazione per il proprio sviluppo (homo educandus) e sul fatto che sia educabile (homo educabilis). Per giustificare questo dato di fatto, Arnold Gehlen e altri autori dell’antropologia pedagogica filosofica si rifanno ad esempio alle ricerche biologiche
20. W. Loch, Die anthropologische Dimension der Pädagogik, Neue Deutsche Schule, Essen 1963. 21. J. Flügge, Die Entfaltung der Anschauungskraft, Quelle & Meyer, Heidelberg 1963. 22. J. Derbolav, Pädagogische Anthropologie als Theorie der individuellen Selbstverwirklichung, in E. König H. Ramsenthaler (a cura di), Diskussion pädagogische Anthropologie, Fink, München 1980, pp. 55-69. 23. M. Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo, tr. it., a cura di G. Cusinato, Franco Angeli, Milano 2009. 24. H. Plessner, Conditio Humana, in Id., Gesammelte Schriften, vol. VIII, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1983. 25. A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, tr. it. di C. Mainoldi, a cura di V. Rasini, Mimesis, Milano-Udine 2010.
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e morfologiche di Adolf Portmann26. Queste ricerche sottolineano che il neonato, ampiamente inerme, resta in vita solo se altri esseri umani se ne prendono cura. Come hanno dimostrato le ricerche di René Spitz27, i lavori sui bambini “selvaggi” o cresciuti in isolamento28 e la ricerca sui lattanti29, i bambini piccoli hanno bisogno non solo di nutrimento, ma anche di riconoscimento e attenzione emotiva e di un’educazione basata su questi elementi30. Allo stesso modo, l’antropologia evolutiva ha dimostrato che non solo i bambini, ma anche i neonati e i bambini molto
26. A. Portmann, Biologie und Geist, Rhein Verlag, Zürich 1956. 27. R. Spitz, Vom Säugling zum Kleinkind. Naturgeschichte der Mutter-Kind-Beziehungen im ersten Lebensjahr, KlettCotta, Stuttgart 1996. 28. J. Itard, Victor. Das Wildkind vom Aveyron, Rotapfel, Stuttgart 1965; J. Hörisch (a cura di), “Ich möchte ein solcher werden wie…”. Materialen zur Sprachlosigkeit des Kaspar Hauser, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1979. 29. P. Fonagy, Bindungstheorie und Psychoanalyse, KlettCotta, Stuttgart 2009; D.N. Stern, Die Lebenserfahrung des Säuglings, Klett-Cotta, Stuttgart 2003. 30. B. Althans - F. Schmidt - C. Wulf, Nahrung als Bildung, Juventa, Weinheim 2015.
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piccoli sono altamente educabili e bisognosi di stimoli adeguati al loro sviluppo31. I sostenitori dell’antropologia pedagogica filosofica hanno riconosciuto presto questa dipendenza dei bambini piccoli dalla cura, oggi confermata da svariate ricerche empiriche interdisciplinari, e l’hanno messa al centro della loro attenzione. Allo stesso tempo, hanno osservato che l’azione educativa dell’adulto è un agire caratteristico dell’essere umano, che nei primati non umani si verifica soltanto in forma rudimentale. L’antropologia pedagogica filosofica ha esaminato la questione di cosa significhi per la comprensione dell’essere umano il fatto che gli adulti mostrino, dimostrino, insegnino32 ai bambini qualcosa, che viene poi appropriato dai bambini in modi diversi. In questo rapporto degli adulti con i bambini e delle generazioni tra loro, si è visto il luogo produttivo dal quale emerge e si sviluppa la cultura. Qui, la tradizione e l’innovazione si combinano in un processo complesso, la cui interpretazione dà un contributo importan31. M. Tomasello, The Cultural Origin of Human Cognition, Harvard University Press, Cambridge (MA) 2002. 32. K. Prange, Erziehung als Handwerk. Studien zur Zeigestruktur der Erziehung, Schöningh, Paderborn 2012.
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te all’auto-comprensione e all’auto-definizione dell’essere umano. In varie occasioni si è anche cercato di mettere in relazione i risultati della ricerca antropologica nelle singole scienze con una comprensione globale dell’essere umano. Ciò ha portato anche, ad esempio, al tentativo di sistematizzare l’antropologia pedagogica33. Un simile tentativo era già stato contraddetto dalle considerazioni di Otto Friedrich Bollnow34, secondo il quale la questione dell’essere umano deve essere intesa come una questione aperta. Ne segue che l’antropologia pedagogica è piuttosto un modo di guardare le cose privo di una pretesa sistematica. Poiché oggi, almeno nel mondo occidentale, non esistono quasi più visioni concluse dell’essere umano che rivendichino una validità universale35, ciò dà luogo a una varietà inesauribile di prospettive antropologiche. Pertanto, non può essere compito dell’antropologia pedagogica 33. R. Lassahn, Pädagogische Anthropologie. Eine historische Einführung, Quelle & Meyer, Heidelberg 1983. 34. O.F. Bollnow, Die anthropologische Betrachtungsweise in der Pädagogik, cit. 35. C. Geertz, Kulturbegriff und Menschenbild, in R. Habermas - N. Minkmar (a cura di), Das Schwein des Häuptlings, Wagenbach, Berlin 1992, pp. 56-82.
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quello di fondare una nuova disciplina. Piuttosto, è necessario sviluppare «un modo d’indagine che permei l’intera pedagogia», la quale non è in grado di fornire da sé uno schema di orientamento che permetta di riunire le questioni pedagogiche in modo nuovo in un insieme. In quanto tale, l’approccio antropologico non ha alcuna funzione di costruzione sistematica […]. Ciò che elabora sono sempre e solo singoli aspetti e rapporti antropologici risultanti da determinati aspetti36.
Queste considerazioni sono state importanti anche per l’ulteriore sviluppo dell’antropologia pedagogica, anche quando essa non rifletteva ancora – nel rapporto tra essere umano e educazione – la propria storicità e culturalità, nonché il pluralismo dei suoi approcci teorici. 2.2. Antropologia pedagogica fenomenologica Se si prescinde dalle forme preliminari dell’antropologia pedagogica, cui appartengono ad esempio la Pädagogische Menschenkunde di 36. O.F. Bollnow, Die anthropologische Betrachtungsweise in der Pädagogik, cit., pp. 49-50.
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Herman Nohl del 1929 e la Allgemeine Pädagogik di Wilhelm Flitner del 193337, negli anni Cinquanta si sviluppa un’antropologia pedagogica orientata in senso fenomenologico, grazie agli studi antropologici di Martinus Langeveld e alla trattazione da parte di Otto Friedrich Bollnow di fenomeni esistenziali come lo stupore, lo stato d’animo, l’atmosfera pedagogica, lo spazio e il tempo38. Viene elaborato l’effetto formativo dell’atmosfera nei processi educativi. Bollnow esamina il significato di spazio e tempo nelle situazioni pedagogiche. L’obiettivo è quello di aumentare la consapevolezza dei loro effetti sui processi educativi e formativi. Le esperienze corporee prelinguistiche svolgono un ruolo importante in questo senso. Con riferimento alle ricerche di Maurice Merleau-Ponty39, Paul Ri-
37. W. Flitner, Allgemeine Pädagogik, Klett, Stuttgart 1950. 38. M.J. Langeveld, Studien zur Anthropologie des Kindes, Niemeyer, Tübingen 1964; O.F. Bollnow, Die anthropologische Betrachtungsweise in der Pädagogik, cit. 39. M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, tr. it. di A. Bonomi, a cura di M. Carbone, Bompiani, Milano 2007; Id., Il primato della percezione e le sue conseguenze filosofiche – La natura della percezione, tr. it. di F. Negri e R. Prezzo, Medusa, Milano 2004.
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coeur40 e Bernhard Waldenfels41, trent’anni più tardi anche la corporeità umana viene rivalutata e intesa – nell’antropologia storico-pedagogica – come punto di partenza dei processi educativi e della loro indagine42. 2.3. Antropologia pedagogica integrativa Da questi lavori ispirati alla fenomenologia e all’antropologia filosofica si distinguono, negli anni Sessanta, gli approcci che si sforzano di integrare nella pedagogia o nella scienza dell’educazione le ricerche antropologiche o il sapere antropologicamente rilevante derivante da singole discipline43.
40. P. Ricoeur, Sé come un altro, tr. it., a cura di D. Iannotta, Jaca Book, Milano 2016. 41. B. Waldenfels, Der Stachel des Fremden, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1990. 42. K. Meyer-Drawe, Leiblichkeit und Sozialität. Phänomenologische Beiträge zu einer pädagogischen Theorie der Inter-Subjektivität, Fink, München 1984; Ead., Diskurse des Lernens, Fink, München 2008. 43. H.-G. Gadamer - P. Vogler (a cura di), Neue Anthropologie, 7 voll., Thieme, Stuttgart 1972-1974.
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Le idee guida di questi sforzi sono i criteri della plasmabilità e della determinazione. Dalla plasmabilità stessa dell’essere umano deriva la necessità di determinarla limitandola, cioè di plasmare concretamente l’essere umano attraverso decisioni e azioni pedagogiche. L’obiettivo di questi approcci è quello di selezionare la conoscenza umana, sociale e naturale in rapporto a plasmabilità e determinazione e di renderle fruttuose per il lavoro pedagogico pratico44. Heinrich Roth conduce questo tentativo nella sua Pädagogische Anthropologie in due volumi45, ponendo al centro del suo lavoro il concetto di apprendimento e l’indagine esperienziale della psicologia. Il criterio della “determinazione” mira alla maturità e all’autodeterminazione, che devono essere sviluppate nella pratica dell’educazione. Il principio guida è [l’]immagine teoricamente coerente, empiricamente validata e praticamente considerata dell’essere umano in quanto essere maturo e adulto, che 44. A. Flitner, Wege zur pädagogischen Anthropologie. Versuch einer Zusammenarbeit der Wissenschaften vom Menschen, Quelle & Meyer, Heidelberg 1963. 45. H. Roth, Pädagogische Anthropologie, 2 voll., Schroedel, Hannover 1971.
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si caratterizza per la completezza delle sue possibilità di sviluppo fisiche e mentali, per l’identità e l’auto-riflessività, nonché per l’equilibrio in rapporto a se stesso e al mondo46.
Un altro esempio dello sforzo di integrare il sapere proveniente da altre discipline è offerto dal lavoro di Max Liedtke, che immette la prospettiva teorica evolutiva nell’antropologia pedagogica, tentando di combinare biologia umana e pedagogia47.
3. Critica dell’antropologia pedagogica Non c’è dubbio che l’antropologia pedagogica di questi anni abbia sviluppato importanti evidenze sulla dipendenza degli esseri umani dall’educazione e sui limiti dell’educazione umana. Tutta46. C. Wulf, Bilder des Menschen, cit., p. 52. [La tr. dei passi cit. da opere non disponibili in italiano è mia; N.d.T.] 47. M. Liedtke, Der Aufgabenbereich der pädagogischen Anthropologie, in C. Wulf - J. Zirfas, Theorien und Konzepte der pädagogischen Anthropologie, cit., pp. 176-192; J. Uher, Pädagogische Anthropologie und Evolution, Universitätsbibliothek, Erlangen 1995; A. Scheunpflug, Biologische Grundlagen des Lernens, Cornelsen, Berlin 2001.
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via, nella prospettiva odierna emergono quattro punti critici fondamentali, la cui considerazione è importante per l’ulteriore sviluppo dell’antropologia pedagogica. 1) Nel suo interesse per le caratteristiche universali dell’essere umano nella sua dipendenza dall’educazione, l’antropologia pedagogica odierna finisce per trascurare il proprio carattere storico e culturale. Le manca anche la visione della storicità di tutti i processi educativi concreti. Sotto l’influenza della pedagogia umanistica, i rappresentanti dell’antropologia pedagogica hanno colto l’importanza generale della dimensione storica, ma non l’hanno presa in considerazione nella loro ricerca sull’educazione. Perciò non hanno colto le difficoltà, le resistenze e le contraddizioni che il lavoro pedagogico incontra nella pratica. Ad esempio, nell’auto-comprensione dell’antropologia pedagogica mancava in misura consistente l’inclusione dei conflitti sociali. Questo ha implicato, altresì, che l’antropologia pedagogica perdesse di rilevanza rispetto agli approcci critico-sociali e critico-ideologici degli anni Settanta, orientati alla Scuola di Francoforte48. 48. C. Wulf, Theorien und Konzepte der Erziehungswissenschaft, Juventa, München 1977.
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Da questa critica è nata in seguito l’intuizione della doppia storicità della ricerca antropologica e antropologico-pedagogica. 2) In accordo con la situazione storica di quegli anni, anche gli stessi sostenitori dell’antropologia pedagogica non svilupparono la consapevolezza della condizionatezza culturale della loro ricerca. Così, non si accorsero di quanto la loro ricerca antropologica traesse origine dalla teoria e dalla filosofia dell’educazione tedesca. Non erano nemmeno in grado di riconoscere che altre tradizioni culturali, come quelle sviluppatesi ad esempio in Francia, portavano ad altre conoscenze antropologiche49. Erano così attaccati al carattere culturale della loro ricerca che non avevano coscienza della sua relatività culturale. Di conseguenza, è mancato anche l’interesse per la ricerca sulle culture straniere e sulla loro alterità. 3) Molti rappresentanti dell’antropologia pedagogica hanno pensato di poter combinare le conoscenze acquisite nelle scienze umane in un
49. J. Beillerot - C. Wulf (a cura di), Erziehungswissenschaftliche Zeitdiagnosen: Deutschland und Frankreich, Waxmann, Münster 2003.
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insieme rilevante per l’educazione e la formazione. Ciò corrispondeva alla relativa omogeneità delle conoscenze antropologiche di quegli anni e alla pretesa di poter avanzare enunciati generali sull’essere umano, sul bambino e sull’educazione. La relativizzazione della conoscenza scientifica, quale si è prodotta nella controversia tra positivismo ed ermeneutica50 e nei dibattiti sul postmodernismo51, non era ancora avvenuta. La critica del sapere occidentale, maschilista e borghese, e l’analisi del problema della rappresentazione, prodottasi soprattutto nell’antropologia culturale, erano ancora di là da venire52. Né era ancora avvenuta la relativizzazione delle “grandi narrazioni”53, che ha fatto sorgere un
50. T.W. Adorno et al., Der Positivismusstreit in der deutschen Soziologie, Luchterhand, Darmstadt-Neuwied 1978; H.-G. Gadamer - G. Böhm (a cura di), Seminar Philosophische Hermeneutik, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1976. 51. W. Welsch, Unsere postmoderne Moderne, Akademie, Berlin 2005. 52. E. Berg - M. Fuchs (a cura di), Kultur, soziale Praxis, Text. Die Krise der ethnographischen Repräsentation, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1993. 53. J.-F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, tr. it. di C. Formenti, Feltrinelli, Milano 2012.
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dubbio di fondo sulla legittimità di un sapere universale e di obiettivi universalmente validi per lo sviluppo sociale e culturale54. In altre parole, la pluralizzazione del sapere antropologico (da non equipararsi all’arbitrarietà) non era ancora avvenuta. Nei decenni successivi, questa pluralizzazione del sapere ha svolto un ruolo importante nell’antropologia pedagogica55. 4) Nell’antropologia pedagogica di questi anni non si era ancora sviluppata una critica dell’antropologia che riuscisse a sottoporre ad autocritica la portata dei suoi concetti e dei suoi metodi. Gradualmente è emersa una critica radicale che ha sottolineato i limiti di principio delle antropologie positive e la fecondità delle antropologie pedagogiche negative e decostruttive56.
54. D. E. Brown, Human Universals, McGraw Hill, New York 1991. 55. M. Featherston, Undoing Culture. Globalization, Postmodernism and Identity, Sage, London 1995. 56. M. Wimmer, Dekonstruktion und Erziehung. Studien zum Paradoxieproblem in der Pädagogik, transcript, Bielefeld 2006.
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4. La svolta verso l’antropologia storico-pedagogica L’impulso decisivo al cambiamento nell’antropologia pedagogica è arrivato a metà degli anni Novanta57. Sotto il profilo personale e concettuale, la svolta è stata stimolata dai membri del Centro Interdisciplinare per l’Antropologia Storica della Freie Universität di Berlino58. In quegli anni, in numerose università tedesche si sviluppò un’ampia ricerca sull’antropologia storica, influenzata dalle ricerche condotte nell’ambito dell’École des Annales59. Con l’attenzione alle questioni antropologiche, sono state tema57. K. Mollenhauer - C. Wulf (a cura di), Aisthesis/Ästhetik. Zwischen Wahrnehmung und Bewußtsein, Deutscher Studienbuch Verlag, Weinheim 1996; C. Wulf, Anthropologisches Denken in der Pädagogik 1750-1850, Deutscher Studienbuch Verlag, Weinheim 1996; E. Liebau - C. Wulf (a cura di), Generation, Deutscher Studienbuch Verlag, Weinheim 1996. 58. G. Gebauer et al. (a cura di), Historische Anthropologie. Zum Problem der Humanwissenschaften heute oder Versuche einer Neubegründung, Rowohlt, Reinbek 1989; C. Wulf - D. Kamper (a cura di), Logik und Leidenschaft. Erträge Historischer Anthropologie, Reimer, Berlin 2002. 59. P. Burke, Offene Geschichte. Die Schule der Annales, Wagenbach, Berlin 1991.
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tizzate sia le strutture della realtà sociale sia i momenti soggettivi propri dell’agire degli attori sociali; di conseguenza, si sono resi oggetti di ricerca i comportamenti umani elementari e le situazioni di base. Come in Francia, anche in Germania queste ricerche sono state riprese soprattutto dagli storici interessati alle nuove domande, ai nuovi temi e oggetti di questo paradigma60. La ricerca del Centro Interdisciplinare per l’Antropologia Storica di Berlino aveva alcuni punti in comune con queste indagini, ma per altri versi si differenziava notevolmente. Gli studiosi berlinesi non provenivano dalle scienze storiche e basavano il loro lavoro su un concetto più ampio di antropologia storica, che si concentrava sull’indagine della comprensione (storica) del presente con l’aiuto di ricerche storico- antropologiche. Tra questi studiosi figuravano gli 60. P. Dinzelbacher (a cura di), Europäische Mentalitätsgeschichte. Hauptthemen in Einzeldarstellungen, Kröner, Stuttgart 1993; A. Nitschke, Die Zukunft in der Vergangenheit, Piper, München 1994; G. Dressel (a cura di), Historische Anthropologie. Eine Einführung, Böhlau, Wien 1996; R. van Dülmen, Historische Anthropologie. Entwicklung, Probleme, Aufgaben, Böhlau, Köln 2000; W. Reinhard, Lebensformen Europas. Eine historische Kulturanthropologie, Beck, München 2004.
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scienziati dell’educazione, interessati a questioni antropologiche, come io stesso e Dietmar Kamper, nonché i filosofi Dieter Lenzen61, Konrad Wünsche62 e Gunter Gebauer63, e lo studioso di letteratura comparata Gert Mattenklott64. Nelle scienze dell’educazione, gli sforzi per sviluppare un’antropologia storico-pedagogica sono stati sostenuti da Klaus Mollenhauer65 e da Eckart Liebau, ai quali si sono presto aggiunti Johan61. D. Lenzen, Mythologie der Kindheit, Rowohlt, Reinbek 1985; Id., Melancholie, Fiktion und Historizität, in G. Gebauer et al. (a cura di), Historische Anthropologie, cit., pp. 13-48; Id., Vaterschaft, Rowohlt, Reinbek 1991. 62. K. Wünsche, “Und du verkennst dich doch”. Eine Galerie der Anthropologie, Wallenstein, Göttingen 2007. 63. G. Gebauer - C. Wulf, Mimesis. Kultur – Kunst – Gesellschaft, Rowohlt, Reinbek 1992; G. Gebauer - C. Wulf, Spiel, Ritual, Geste. Mimetisches Handeln in der sozialen Welt, Rowolht, Reinbek 1998. 64. G. Mattenklott, Der übersinnliche Leib. Zur Metaphysik des Körpers, Rowohlt, Reinbek 1982. 65. K. Mollenhauer, Vergessene Zusammenhänge: Über Kultur und Erziehung, Juventa, München 1983; Id., Umwege, Juventa, München 1986; Id., Grundfragen ästhetischer Bildung. Theoretische und empirische Befunde zu ästhetischen Erfahrungen mit Kindern, Juventa, München 1996.
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nes Bilstein, Jörg Zirfas, Meike Sophia Baader, Ursula Stenger, Michael Göhlich, Helga Peskoller, Micha Brumlik, Birgit Althans, Sabine Seichter, Gabriele Sorgo, Kerstin Westphal e Doris Schumacher-Chilla, oltre a numerosi altri colleghi, alcuni dei quali più giovani66. Poiché le ricerche sull’antropologia storica hanno avuto un’influenza centrale sulla concettualizzazione dell’antropologia storico-pedagogica, si cita qui la definizione ampiamente accettata di antropologia storica, quale è apposta sulla copertina della rivista «Paragrana» del 1992: «Antropologia storica» è un termine che designa diversi sforzi transdisciplinari che continuano a esplorare fenomeni e strutture dell’umano dopo la “morte dell’umano”, cioè dopo la fine del carattere vincolante di una norma antropologica astratta. L’antropologia storica si colloca quindi nella tensione tra la storia e le scienze umane. Essa, tuttavia, non si esaurisce in una storia dell’antropologia come disciplina né nel contributo che la storia come disciplina apporta all’antropologia. Piuttosto, cerca di mettere in relazione la storici-
66. C. Wulf - J. Zirfas, Handbuch Pädagogische Anthropologie, cit.; C. Wulf - J. Zirfas, Homo educandus, cit.
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tà delle prospettive e dei metodi con la storicità del suo oggetto. L’antropologia storica può quindi sintetizzare i risultati delle scienze umane, così come quelli di una critica antropologica di stampo storico-filosofico, e renderli fecondi per nuove domande paradigmatiche. Al centro dei suoi sforzi domina un’inquietudine del pensiero, che non può essere sedata. L’antropologia storica non si limita a determinati spazi culturali né a singole epoche. Riflettendo sulla propria storicità, essa è in grado di lasciarsi alle spalle sia l’eurocentrismo delle scienze umane sia l’interesse meramente antiquario per la storia e di privilegiare i problemi aperti del presente e del futuro67.
Allorché l’Antropologia storico-pedagogica si istituì a metà degli anni Novanta, l’Istituto di Berlino aveva già condotto ricerche per più di un decennio e aveva prodotto una serie di antologie sotto il tema generale Logik und 67. «Paragrana. Internationale Zeitschrift für Historische Anthropologie», 1992. Rivista curata dapprima da Carsten Colpe, Gunter Gebauer, Dietmar Kamper, Dieter Lenzen, Gerd Mattenklott, Alexander Schuller, Jürgen Trabant, Konrad Wünsche e Christoph Wulf (direttore); in seguito, da Claudia Benthien, Christiane Brosius, Almut-Barbara Renger, Ludger Schwarte, Holger Schulze, Matthias Warstat, Jörg Zirfas e Christoph Wulf (direttore editoriale).
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Leidenschaft (Logica e passione)68. Quanto al contenuto, lo spettro spaziava da ricerche sul corpo (Die Wiederkehr des Körpers [Il ritorno del corpo]69 e Das Schwinden der Sinne [Lo svanire dei sensi]70) a indagini sulla parvenza del bello (Schein des Schönes)71 e sul destino dell’amore (Schicksal der Liebe)72, fino a studi sul riso (Lachen, Lächeln und Gelächter)73, sul sacro (Das Heilige)74, sull’anima estinta (Erloschene Seele)75, sul tempo morente (Sterben68. C. Wulf - D. Kamper, Logik und Leidenschaft, cit. 69. D. Kamper - C. Wulf (a cura di), Die Wiederkehr des Körpers, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1982. 70. D. Kamper - C. Wulf (a cura di), Das Schwinden der Sinne, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1984. 71. D. Kamper - C. Wulf (a cura di), Der Schein des Schönen, Steidl, Göttingen 1989. 72. D. Kamper - C. Wulf, Das Schicksal der Liebe. Die Wandlungen des Erotischen in der Geschichte, Quadriga, Weinheim 1988. 73. D. Kamper - C. Wulf (a cura di), Lachen – Gelächter – Lächeln. Reflexionen in drei Spiegeln, Syndikat, Frankfurt a.M. 1986. 74. D. Kamper - C. Wulf (a cura di), Das Heilige. Seine Spur in der Moderne, Athenäum, Frankfurt a.M. 19972. 75. D. Kamper - C. Wulf (a cura di), Die erloschene Seele, Reimer, Berlin 1988.
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de Zeit)76 e sul silenzio (Schweigen)77, nonché sulla situazione dell’antropologia dopo la fine del carattere vincolante delle antropologie normative78. Queste indagini erano in larga misura transdisciplinari e transculturali all’interno del continente europeo e hanno riunito più di 200 studiosi provenienti da oltre 10 paesi e da più di 20 discipline. Molti di questi studi riflettono la frammentazione della conoscenza nelle scienze umane e il deliberato abbandono di interpretazioni che pretendano di essere universalmente valide e prive di contraddizioni. Uno dei loro obiettivi era quello di rendere maggiormente consapevoli della complessità e della fondamentale insondabilità di molti fenomeni antropologici79. In queste indagini, il corpo si è
76. D. Kamper - C. Wulf (a cura di), Die sterbende Zeit. Zwanzig Diagnose, Luchterhand, Neuwied 1987. 77. D. Kamper - C. Wulf (a cura di), Schweigen. Unterbrechung und Grenze der menschlichen Wirklichkeit, Reimer, Berlin 1992. 78. D. Kamper - C. Wulf (a cura di), Anthropologie nach dem Tode des Menschen. Vervollkommnung und Unverbesserlichkeit, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1994. 79. C. Wulf, Das Rätsel des Humanen, Fink, München 2013.
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cristallizzato come punto focale della ricerca. Anche in seguito, esso è stato un tema centrale per l’antropologia storico-pedagogica e, inoltre, per le scienze culturali allora in via di sviluppo80. Nell’antropologia storico-pedagogica non si trattava di delineare un’area di ricerca specifica e di rivendicarne la competenza esclusiva, come in una disciplina scientifica. L’obiettivo era piuttosto quello di sviluppare un certo modo di guardare a temi e contesti antropologici, astenendosi consapevolmente da un approccio sistematico81. Numerosi sono gli argomenti di antropologia storico-pedagogica che sono im80. C. Benthien - C. Wulf (a cura di), Körperteile. Eine kulturelle Anatomie, Rowohlt, Reinbek 2001; C. Wulf E. Fischer-Lichte (a cura di), Gesten: Inszenierung, Aufführung, Praxis, Fink, Paderborn 2010; C. Wulf - J. Zirfas (a cura di), Innovation und Ritual, in «Zeitschrift für Erziehungswissenschaft», n. spec. 2, 2004; C. Wulf - U. Frevert (a cura di), Die Bildung der Gefühle, in «Zeitschrift für Erziehungswissenschaft», n. spec. 16, 2012; C. Wulf A.-N. Nohl (a cura di), Mensch und Ding. Die Materialität pädagogischer Prozesse, in «Zeitschrift für Erziehungswissenschaft», n. spec. 25, 2013. 81. O.F. Bollnow, Die anthropologische in der Pädagogie, in E. König - H. Ramsenthaler (a cura di), Diskussion Pädagogische Anthropologie, Fink, München 1980, pp. 36-54.
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portanti sia in termini antropologici che pedagogici e che sono stati quindi trattati. Questo vale, ad esempio, per le questioni del corpo e della natura82, della percezione e dell’estetica83, e per i temi significativi per i processi educativi, come la nascita84, la generazione85, le forme del religioso86, il lavoro e l’educazione87,
82. J. Bilstein - M. Brumlik (a cura di), Die Bildung des Körpers, Juventa, Weinheim 2013; E. Liebau - H. Peskoller - C. Wulf (a cura di), Natur. Pädagogisch-anthropologische Perspektiven, Deutscher Studienbuch Verlag, Weinheim 2003. 83. K. Mollenhauer - C. Wulf (a cura di), Aisthesis/Ästhetik, cit.; G. Schäfer - C. Wulf (a cura di), Bild – Bilder – Bildung, Deutscher Studienbuch Verlag, Weinheim 1999; J. Bilstein (a cura di), Anthropologie und Pädagogik der Sinne, Budrich, Opladen-Farmington Hills 2011. 84. C. Wulf - A. Hänsch - M. Brumlik (a cura di), Das Imaginäre der Geburt. Praktiken, Narrationen und Bilder, Reimer, Berlin 2008. 85. E. Libau - C. Wulf (a cura di), Generation, cit. 86. C. Wulf - H. Macha - E. Liebau (a cura di), Formen des Religiösen. Pädagogisch-anthropologische Annährungen, Beltz, Weinheim-Basel 2004. 87. C. Lüth - C. Wulf (a cura di), Vervollkommnung durch Arbeit und Bildung?, Deutscher Studienbuch Verlag, Weinheim 1997.
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il gioco88, la memoria89, l’amore come condizione fondamentale dell’azione pedagogica90, lo spazio e il tempo nei processi educativi91, le istituzioni pedagogiche92, l’esperienza93, l’amicizia94, il 88. J. Bilstein - M. Winzen - C. Wulf (a cura di), Anthropologie des Spiels, Beltz, Weinheim-Basel 2005. 89. S. Sting - B. Dieckmann - J. Zirfas (a cura di), Gedächtnis und Bildung. Pädagogisch-anthropologische Zusammenhänge, Deutscher Studienbuch Verlag, Weinheim 1998. 90. J. Bilstein - R. Uhle (a cura di), Liebe. Zur Anthropologie einer Grundbedingung pädagogischen Handelns, Athena, Oberhausen 2007. 91. J. Bilstein - G. Miller-Kipp - C. Wulf (a cura di), Transformationen der Zeit, Deutscher Studienbuch Verlag, Weinheim 1999; E. Liebau - G. Miller-Kipp - C. Wulf (a cura di), Metamorphosen des Raums. Erziehungswissenschaftliche Forschungen zur Chronotopologie, Deutscher Studienbuch Verlag, Weinheim 1999. 92. E. Liebau - D. Schumacher-Chilla - C. Wulf (a cura di), Anthropologie pädagogischer Institutionen, Deutscher Studienbuch Verlag, Weinheim 2001; M. Göhlich, System, Handeln, Lernen unterstützen. Eine Theorie der Praxis pädagogischer Institutionen, Beltz, Weinheim-Basel 2001. 93. J. Bilstein - H. Peskoller (a cura di), Erfahrung – Erfahrungen, Springer, Wiesbaden 2013. 94. M. S. Baader - J. Bilstein - C. Wulf (a cura di), Die Kultur der Freundschaft. Praxen und Semantiken in an-
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genere95 e l’alimentazione96. Tutti gli studi sono ricerche collettive, la maggior parte delle quali è stata realizzata, nei loro incontri annuali, dai membri della Commissione di Antropologia Pedagogica della Società Tedesca per le Scienze della Formazione. Accanto a questa ricerca continua, ci sono diversi studi nel campo della pedagogia generale che possono essere inquadrati nell’area dell’antropologia storico-pedagogica. In particolare, va menzionato il pluriennale “Berliner Ritual- und Gestenstudie” (Ricerca berlinese sui rituali e sui gesti), sviluppato nell’ambito del progetto di ricerca “Kulturen des Performativen” (Culture del performativo), più volte sottoposto a valutazione. Si tratta di uno studio particolarmenthropologisch-pädagogischer Perspektive, Beltz, Weinheim-Basel 2008. 95. M. S. Baader - J. Bilstein - T. Tholen (a cura di), Erziehung, Bildung und Geschlecht. Männlichkeiten im Fokus der Gender-Studies, Springer, Wiesbaden 2012. 96. B. Althans - J. Bilstein (a cura di), Essen – Bildung – Konsum. Pädagogisch-anthropologische Perspektiven, Springer, Wiesbaden 2015; B. Althans - F. Schmidt - C. Wulf, Nahrung als Bildung, cit.; S. Seichter, Erziehung und Ernährung, Juventa, Weinheim-Basel 2012.
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te importante per l’antropologia pedagogica in Germania, trattandosi di una ricerca etnografica che presenta molti punti di contatto con le idee di un’antropologia etnografica, quale è predominante nel campo anglo-americano97. In questo studio risulta anche chiaro come una tale ricerca di base, finanziata dall’ente tedesco per la ricerca (Deutsche Forschungsgemeinschaft, DFG), differisca dai molti studi sui rituali che vengono presentati, discussi e pubblicati, ad esempio, nell’ambito del “Council of Education” dell’American Anthropological Association. Il gruppo di Berlino si è concentrato su rituali e gesti nelle quattro sfere di socializzazione costituite da “famiglia”, “scuola”, “cultura dei pari” (Peerkultur) e “media”. La ricerca si è svolta in una scuola elementare berlinese del centro città e nei suoi dintorni98. È stata condotta utilizzando i metodi e le procedure dell’etnografia99 e della ricerca qua97. C. Wulf - J. Zirfas (a cura di), Die Kultur des Rituals. Inszenierungen, Praktiken, Symbole, Fink, München 2004. 98. C. Wulf, Rituale im Grundschulalter. Performativität, Mimesis und Interkulturalität, in «Zeitschrift für Erziehungswissenschaft», vol. 11, n. 1, 2008, pp. 67-83. 99. C. Geertz, Dichte Beschreibung, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1987.
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litativa100: tra questi, ha svolto un ruolo importante il metodo documentario sviluppato da Ralf Bohnsack101. Lo studio ha fissato dei punti focali che possono essere caratterizzati nei seguenti termini: il sociale come rituale, l’educazione e il rituale, la sovversione dell’apprendimento e i gesti nei rituali102. Punto di partenza di questa ricerca sono state tre preoccupazioni che hanno costituito il quadro di riferimento per le indagini. In primo luogo, è stato necessario elaborare una
100. B. Friebertshäuser - A. Prengel (a cura di), Handbuch Qualitative Forschungsmethoden in der Erziehungswissenschaft, Juventa, Weinheim 20132. 101. R. Bohsnack, Rekonstruktive Sozialforschung. Einführung in Methodologie und Praxis, Opladen 1999; Id., Qualitative Bild- und Videointerpretation, Budrich, Opladen-Farmington Hills 2009. 102. C. Wulf - B. Althans et al., Das Soziale als Ritual. Performative Bedeutung von Gemeinschaft, Leske und Budrich, Opladen 2001; Iid. et al., Bildung im Ritual. Schule, Familie, Jugend, Medien, Verlag für Sozialwissenschaften, Wiesbaden 2004; Iid. et al., Lernkulturen im Umbruch. Rituelle Praktiken in Schule, Medien, Familie und Jugend, Verlag für Sozialwissenschaften, Wiesbaden 2007; Iid. et al., Die Geste in Erziehung, Bildung und Sozialisation. Ethnographische Feldstudien, Verlag für Sozialwissenschaften, Wiesebaden 2011.
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rivalutazione storica dei rituali (1). È stato poi esplorato il significato della performatività per i processi educativi e di socializzazione (2). Infine, sono stati sviluppati i contributi all’elaborazione di teorie pedagogiche dell’apprendimento (3). 4.1. Rituale Con l’uso improprio della ritualità al fine di disciplinare le persone sotto il nazionalsocialismo e con la ribellione del movimento studentesco contro molti rituali divenuti stereotipati, i rituali sono stati giustamente considerati in chiave critica come minacce alla spontaneità e alla soggettività. Tuttavia, attraverso l’ampia letteratura dell’antropologia culturale, in cui i rituali sono intesi come “finestre su una cultura”, è emerso chiaramente che la critica, elaborata per le ragioni storiche sopra menzionate, aveva portato a trascurarne l’importanza cruciale per la costituzione, la coerenza e la continuità del sociale e delle comunità103. Senza con ciò funzionalizzare
103. C. Wulf - J. Zirfas, Theorien und Konzepte der pädagogischen Anthropologie, cit.; Iid. (a cura di), Performative Welten. Einführung in die historischen, systematischen
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a questo scopo i risultati della ricerca etnografica, le descrizioni e le analisi dettagliate dei rituali hanno reso evidente la loro straordinaria importanza per l’educazione, l’istruzione e la socializzazione104. 4.2. Apprendimento L’importanza dei rituali e della ritualizzazione per l’apprendimento di bambini e adolescenti nei processi di socializzazione è stata ripetutamente dimostrata. È emerso che nella scuola primaria, in cui si è svolto lo studio, l’apprendimento non si riduceva a prestazioni e conoscenze verificabili. Piuttosto, gli insegnanti hanno cercato di basare il loro lavoro su un concetto globale di apprendimento e di formazione. A tal fine, si sono rivelati importanti quattro campi di apprendimento: il lavoro, la conversazione, il gioco e la festa. L’osservazione (diretta e videoassistita) dei partecipanti ha mostrato come i rituali vengano utilizzati per inscenare processi
und methodischen Dimensionen des Rituals, in Iid. (a cura di), Die Kultur des Rituals, cit., pp. 7-48. 104. Cfr. supra, nota 102.
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di apprendimento, altrove descritti come «imparare a imparare», «imparare a vivere insieme», «imparare a essere»105. A differenza della ricerca etnografica nei paesi “stranieri”, di cui si parla spesso nell’ambito del “Council of Education” dell’AAA (American Anthropological Association) e che viene svolta di tanto in tanto anche nell’ambito dell’etnologia tedesca, la ricerca nei paesi “stranieri” è stata a lungo assente nell’ambito dell’antropologia pedagogica106. Fa eccezione la ricerca etnografica sulla “felicità familiare”, che è stata condotta nell’ambito di due cluster di eccellenza presso le università di Kyoto e Berlino (Freie Universität). In questo studio, il focus della ricerca non riguardava tanto la questione del diverso significato della felicità familiare in Germania e 105. J. Delors, Learning: The Treasure Within. Report to UNESCO of the International Commission on Education for the Twenty-first Century, UNESCO, Paris 1996; M. Göhlich - C. Wulf - J. Zirfas (a cura di), Pädagogische Theorien des Lernens, Beltz, Weinheim 20142. 106. L. Funk et al., Fühlen(d) Lernen: Zur Sozialisation und Entwicklung von Emotionen im Kulturvergleich, in U. Frevert - C. Wulf (a cura di), Die Bildung der Gefühle, cit., pp. 217-238.
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in Giappone e le loro differenze culturali. Piuttosto, l’obiettivo era quello di indagare il modo in cui i membri di una famiglia creano il loro benessere e la loro felicità e quali somiglianze e differenze possono essere identificate107. Tre gruppi di ricerca, ciascuno composto da tedeschi e giapponesi, hanno sottoposto a indagine i modi in cui i membri della famiglia organizzano la loro celebrazione familiare più importante o il loro rituale familiare. In Germania si trattava del Natale, in Giappone del Capodanno. Senza entrare nel merito delle difficoltà metodologiche di questo studio, vale la pena sottolineare la sua peculiarità. Si trattava di identificare e ricercare cinque dimensioni transculturali sulla base di uno studio etnografico dettagliato dei rituali di festa di sei famiglie: attraverso la conformazione di suddetti rituali si creava un’atmosfera di benessere o felicità familiare, malgrado le molte differenze all’interno di ciascuna famiglia. Nello specifico, si trattava di pratiche religiose, pasti
107. C. Wulf - S. Suzuki et al., Das Glück der Familie. Ethnographische Studien in Deutschland und Japan, Verlag für Sozialwissenschaften, Wiesbaden 2011 (in giapponese, 2013).
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condivisi, scambio di doni, narrazioni che generano identità familiare e spazi temporali aperti, non pre-strutturati (in cui si possono verificare anche conflitti).
5. Prospettive Non solo nell’antropologia pedagogica degli anni Cinquanta e Sessanta, ma anche nell’antropologia storico-pedagogica di fine secolo c’è bisogno di auto-riflessione e di critica, nonché di elaborare prospettive che possano contri buire all’ulteriore sviluppo dell’antropologia pedagogica. 5.1. Ampliamento della diversità metodologica La ricerca nell’antropologia pedagogica è stata finora condotta in gran parte con metodi ermeneutici. Questo vale per i suoi contributi storici e teorici, che si concentrano spesso su questioni di significato dei fenomeni e dei contesti antropologici. I materiali di base sono stati interpretati e utilizzati per costruire contesti di senso
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e significato108. Anche la ricerca etnografica ha lavorato principalmente con procedure ermeneutiche. Ciò vale sia per l’osservazione (eventualmente video-assistita) dei partecipanti, in cui si esprime anche il punto di vista e l’interpretazione dei ricercatori non direttamente coinvolti nell’evento sociale o nell’azione pedagogica; sia per le interviste narrative e le discussioni di gruppo e per la loro interpretazione. È ben noto quanto sia difficile convalidare nella triangolazione queste informazioni di varia qualità109. Vi è inoltre un deficit, sia nel contributo storico che
108. B. Rathmayr, Die Frage nach dem Menschen. Eine historische Anthropologie der Anthropologien, Budrich, Opladen 2013. 109. U. Flick, Triangulation, cit.; U. Flick - E. von Kardorff - I. Steinke (a cura di), Qualitative Forschung. Ein Handbuch, Rowohlt, Reinbek 2000; C. Wulf - J. Zirfas (a cura di), Ikonologie des Performativen, Fink, München 2005; R. Bohnsack - A. Przyborski - B. Schäffer (a cura di), Das Gruppendiskussionsverfahren in der Forschungspraxis, Budrich, Opladen 2006; B. Friebertshäuser - A Prengel (a cura di), Handbuch Qualitative Forschungsmethoden in der Erziehungswissenschaft, cit.; A. Tervooren et al. (a cura di), Ethnographie und Differenz in der pädagogischen Feldern. Internationale Entwicklungen erziehungswissenschaftlicher Forschung, transcript, Bielefeld 2014.
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in quello etnografico, in quanto mancano in gran parte gli studi quantitativi, dai quali pure – in linea di principio – ci si potrebbe aspettare un contributo all’antropologia pedagogica storica o storico-culturale. 5.2. Inter- o transdisciplinarietà Nonostante l’evidenza della necessità di una ricerca interdisciplinare o transdisciplinare nel l’ambito dell’antropologia pedagogica e malgrado l’affermarsi ripetuto di questa esigenza, è necessario intensificare ulteriormente l’orientamento interdisciplinare della ricerca pedagogico-antropologica. Attualmente, ciò avviene soprattutto accogliendo gli importanti contributi provenienti da altre discipline110. Lo spettro aperto da questo processo è ampio. Si va dall’antropologia evolutiva e dalle neuroscienze alla storia e all’etnologia, fino alla sociologia, alla psicologia, alla letteratura, alla linguistica e agli studi visuali, nonché alla teologia e alla filosofia – solo per citare alcune discipline. Tuttavia, è fin troppo raro che sia possibile stabilire
110. «Zeitschrift für Erziehungswissenschaft», 2006.
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una cooperazione a medio o addirittura a lungo termine con rappresentanti di altre discipline. Mancano i presupposti istituzionali e finanziari per farlo, ad esempio nei gruppi di ricerca, nei centri di ricerca specialistici e in quelli di eccellenza finanziati dalla DFG. 5.3. Inter- o transculturalità Con l’avanzare dell’europeizzazione e della globalizzazione111 sorge anche la richiesta di un ampliamento della ricerca pedagogico-antropologica interculturale o transculturale112. Ci sono
111. A. Appadurai, Modernity at Large: Cultural Dimensions of Globalization, University of Minnesota Press, Minneapolis (MI) 1996; A. Giddens, The Consequences of Modernity, Polity Press, Oxford 1990. 112. C. Wulf (a cura di), Exploring Alterity in a Globalized World, cit.; C. Wulf, Anthropologie kultureller Vielfalt, transcript, Belefield 2006; C. Wulf - C. Merkel (a cura di), Globalisierung als Herausforderung der Erziehung, Waxmann, Münster 2002; M. Göhlich et al. (a cura di), Transkulturalität und Pädagogik. Interdisziplinäre Annährungen an ein kulturwissenschaftliches Konzept und seine pädagogische Relevanz, Juventa, Mannheim 2006.
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stati ripetuti sforzi in tal senso, che è necessario intensificare. Questa dimensione è importante anche per l’antropologia pedagogica, in quanto il dominio dei discorsi accademici anglo-americani comporta il pericolo che la lingua tedesca diventi irrilevante a livello internazionale come lingua accademica. Soprattutto negli studi culturali, un tale sviluppo comporterebbe un’inaccettabile perdita di diversità e complessità113. Nel campo dell’antropologia pedagogica, la diversità culturale si esprime nella cooperazione tra rappresentanti di prospettive culturalmente diverse – un aspetto di importanza centrale, tra l’altro, per la formazione dell’identità culturale. Per sviluppare la cooperazione interculturale o transculturale, è necessario intensificare la collaborazione con colleghi di altre culture o con colleghi, attivi in Germania, specializzati in altre culture114.
113. J. Trabant, Globalesisch oder was? Ein Plädoyer für Europa, Beck, München 2014; C. Wulf, Anthropology, cit. 114. A. Michaels - C. Wulf (a cura di), Images of the Body in India, Routledge, London 2011; A. Michaels - C. Wulf (a cura di), Emotions in Rituals and Performances, Rout-
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5.4. L’educazione culturale come tema di ricerca Nell’antropologia pedagogica di fine secolo, il “Berliner Ritual- und Gestenstudie” (Ricerca berlinese sui rituali e sui gesti) ha costituito un focus di ricerca e di attenzione a lungo termine, di notevole importanza per lo sviluppo della ricerca potenziale in questo campo. Dato il ruolo centrale del corpo, dei sensi e dell’estetica nel contesto della ricerca pedagogico-antropologica degli ultimi decenni, alcuni dei suoi rappresentanti sono stati intensamente coinvolti nello sviluppo dell’educazione culturale e della sua ricerca negli ultimi anni: tra questi, oltre al sottoscritto115, Eckart Liebau, Johannes Bilstein, Jörg Zirfas, Doris Schumacher-Chilla116, Kristin
ledge, London 2012; A. Michaels - C. Wulf (a cura di), Exploring the Senses: Emotions, Performativity, and Ritual, Routledge, London 2014; C. Wulf - G. Weigand, Der Mensch in der globalisierten Welt. Anthropologische Reflexionen zum Verständnis unserer Zeit, Waxmann, Münster 2011. 115. C. Wulf - D. Kamperer - H. U. Gumbrecht (a cura di), Ethik der Ästhetik, Akademie, Berlin 1994. 116. D. Schumacher-Chilla, Ästhetische Sozialisation und Erziehung, Reimer, Berlin 1995.
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Westphal117, Ursula Stenger118, Maike Sophia Baader119. Tra le numerose pubblicazioni prodotte in questo contesto, sia qui citata esemplarmente solo la Storia dell’educazione estetica (Geschichte der ästhetischen Bildung) in quattro volumi, pubblicata dal 2011 su iniziativa di Jörg Zirfas, Leopold Klepacki e Diana Lohwasser120. C’è da aspettarsi che l’attenzione per l’“educazione culturale”, promossa anche nell’ambito dell’UNESCO, diventi nel prossimo futuro un obiettivo di ricerca pedagogico-antropologico dell’antropologia storico-pedagogica. Mentre negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo la questione del bambino e dell’educazione dominava – pur in direzioni diverse – 117. K. Westphal, Lernen als Ereignis. Zugänge zu einem theaterpädagogischen Konzept, Schneider, Hohengehren 2004. 118. U. Stenger, Schöpferische Prozesse, Juventa, Weinheim 2002. 119. M.S. Baader, Die romantische Idee des Kindes und der Kindheit. Auf der Suche nach der verlorenen Unschuld, Luchterhand, Neuwied 1996. 120. J. Zirfas et al., Geschichte der Ästhetischen Bildung, vol. III/2, Klassik und Romantik, Schöningh, Paderborn 2016.
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l’antropologia pedagogica, con la svolta verso l’antropologia storico-pedagogica ha acquisito maggiore importanza l’interesse per la dimensione storica e culturale dell’educazione, dell’istruzione e della socializzazione121. Ciò ha portato a un notevole ampliamento dello spettro dei temi trattati. L’interesse per i problemi pratici dell’educazione e dell’istruzione ha acquisito rilevanza e per affrontarli è stata utilizzata un’ampia varietà di fonti linguistiche e figurative. Attraverso l’esempio del benessere e della felicità della famiglia in Giappone e in Germania, è diventato chiaro che la tensione tra la conoscenza acquisita etnograficamente e la sua interpretazione nel quadro delle dimensioni transculturali non può essere risolta122. In ultima analisi, questa tensione irresolubile ci porta a percepire anche il carattere enigmatico dell’essere umano e della sua educazione e a prendere coscienza del fatto che, come homo 121. G. Blaschke-Nacak - U. Stenger - J. Zirfas (a cura di), Pädagogische Anthropologie der Kinder, Juventa, Basel 2018. 122. Al riguardo, cfr. C. Antweiler, Mensch und Weltkultur. Für einen realistischen Kosmopolitismus im Zeitalter der Globalisierung, transcript, Bielefeld 2011.
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absconditus, l’essere umano non è integralmente trasparente a sé stesso123. L’antropologia pedagogica non ha un campo di ricerca ben delineato; implica piuttosto una trattazione antropologica dei fenomeni e dei problemi educativi. Lo spettro va dalla ricerca di base allo studio dettagliato delle pratiche pedagogiche, ad esempio mediante metodi etnografici. Importante è la consapevolezza della doppia storicità e culturalità degli oggetti, da un lato, e dei ricercatori, dall’altro; è cruciale, inoltre, un pluralismo radicale i cui confini sono determinati in termini normativi dai diritti umani, nonché la considerazione di prospettive transdisciplinari e transculturali. Nell’atteggiamento epistemologico dell’antropologia pedagogica si avverte la necessità di un’auto-riflessione e di un’auto-critica, nonché di una consapevolezza dell’insondabilità dell’essere umano, che si va sempre più consolidando.
123. M. Wimmer, Vom Anderen, in M. Göhlich - J. Zirfas (a cura di), Der Mensch als Maß der Erziehung. Festschrift für Christoph Wulf, Beltz, Weinheim 2009, pp. 185-197; C. Wulf, Das Rätsel des Humanen, cit.
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II La forza produttiva dell’immaginazione
In questo capitolo verrà esaminato il ruolo del l’immaginazione e del suo potere performativo nello sviluppo degli esseri umani e nella creazione della loro convivenza sociale e culturale. L’apprendimento mimetico basato sull’immaginazione va inteso come apprendimento culturale. Questa prospettiva e la conseguente importanza fondamentale attribuita ai processi mimetici per l’apprendimento culturale sono confermate da recenti ricerche nell’ambito dell’antropologia evolutiva e delle neuroscienze. L’appropriazione mimetica del mondo e la formazione di un immaginario individuale e collettivo avvengono mediante processi di tipo sensibile: questi processi sono performativi, cioè basati sul corpo, e sono inoltre messi in scena e rappresentati. Con l’attenzione all’immaginazione nei processi di appropriazione mimetica del mondo, acquista
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una crescente importanza la dimensione performativa dell’immaginazione.
1. Immaginazione come conditio humana L’immaginazione svolge un ruolo centrale nello sviluppo filogenetico e ontogenetico degli esseri umani1. In entrambi i casi, il suo potere performativo è cruciale. Per “potere performativo” intendo il lato produttivo e creativo dell’immaginazione e i suoi effetti nelle messe in scena e nelle rappresentazioni del corpo. Quando l’immaginazione introduce il passato nella memoria, cioè nel presente, non si tratta di creare una copia del passato. Piuttosto, l’immaginazione ricostruisce il passato. A seconda del contesto in cui si ricorda qualcosa, la messa in scena e la rappresentazione di ciò che si ricorda cambiano. Il carattere performativo dell’immaginazione non è evidente soltanto nei ricordi. Anche
1. C. Wulf, Homo imaginationis. Le radici estetiche dell’antropologia storico-culturale, tr. it., a cura di F. Desideri e M. Portera, Mimesis, Milano-Udine 2018; cfr. anche Id., Bilder des Menschen, cit.
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quando si cerca e si sviluppa una soluzione a un problema attuale, si rendono necessarie una messa in scena e una performance dell’immaginazione. Lo stesso vale per la messa in scena e la rappresentazione del futuro. In contrasto con la percezione spaziale e temporale del mondo, l’immaginazione può progettare le sue immagini e le soluzioni proposte indipendentemente dal mondo per come è immediatamente dato. Per farlo, fa spesso riferimento a immagini e schemi già noti, ma li mette in scena, cioè li combina e nel farlo produce qualcosa di nuovo. Il potere performativo dell’immaginazione si rivela in questa possibilità di combinazione. Con l’aiuto dell’immaginazione, gli esseri umani trasformano il mondo esterno in mondo interno e il mondo interno in mondo esterno, esprimendo così il loro rapporto con il mondo, con gli altri e con sé stessi. La struttura chiastica di questo processo porta all’emergere di mondi di immagini interiori in cui si sovrappongono immagini individuali e collettive. L’immaginazione è una forza sinestetica non meno importante per l’udito, il tatto, l’olfatto, il gusto e il movimento di quanto lo sia per la vista. La performatività dell’immaginazione è evidente nel carattere performativo dei processi mimetici e nei processi di
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apprendimento culturale. Accanto al linguaggio e strettamente intrecciata con esso, l’immaginazione è la capacità che caratterizza gli esseri umani per antonomasia. Essa rende il mondo esterno parte del mondo interno sotto forma di immagini, lo conserva e lo ricorda nella memoria e oggettiva questo mondo interno di rappresentazioni e immagini all’esterno dell’essere umano. L’immaginazione è una conditio humana. In greco era chiamata fantasia, tradotta dai Romani come immaginazione, trasferita in tedesco da Paracelso come Einbildungskraft (facoltà immaginativa). È un’energia umana enigmatica che permea il mondo vivente e si manifesta in varie forme. L’immaginazione diventa tangibile solo nelle sue concretizzazioni. Essa stessa sfugge all’accesso identificativo. Rende possibile la percezione di immagini, anche se la cosa raffigurata non è presente. Denota la possibilità del vedere interiore e della progettazione di azioni future. Una prima menzione concettuale della fantasia si trova nella Repubblica di Platone. Nel libro X, la mimesi del pittore è definita come l’imitazione di qualcosa così come essa appare. Aristotele afferma che la fantasia consiste nel mettersi qualcosa dinanzi agli occhi, similmente a come procede l’artista che sceglie certe immagini dalla
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memoria: essa è ciò che permette il sorgere in noi di un’apparenza (phantasma)2. Qui l’immaginazione è la facoltà che fa apparire qualcosa. Il significato cambia quando l’imaginatio prende il posto della phantasia nell’antichità romana. Ora l’accento non è più sul “far apparire qualcosa”, bensì l’imaginatio si riferisce al potere attivo di portare le immagini all’interno di sé, di immaginare, che Paracelso ha tradotto in tedesco come Einbildungskraft. Fantasia, immaginazione, Einbildungskraft sono tre termini che indicano la capacità umana di trasformare le percezioni esterne in immagini interne, cioè di trasformare il mondo esterno in mondo interno e di creare, mantenere e trasformare mondi di immagini interne dal diverso significato e di modellare il mondo esterno con il loro aiuto. La fantasia è legata alla condizione degli esseri umani come «esseri carenti» (Gehlen), alla loro dotazione istintuale residuale e allo iato tra stimolo e reazione. È quindi legata a bisogni, pulsioni e desideri di soddisfacimento. Ma l’attività fantastica non si esaurisce in essi. Secon-
2. Aristotele, L’anima, tr. it., con testo greco a fronte, a cura di G. Movia, Bompiani, Milano 2001, III, 3.
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do Gehlen, la fantasia è strettamente connessa alla forza vitale e può essere intesa come il lato interiore del vegetativo. Ma non è tutto. Essa è una condizione della plasticità umana e dell’apertura al mondo e rinvia alla necessità della sua strutturazione culturale. L’immaginazione svolge un ruolo così centrale per l’acculturamento dell’essere umano che quest’ultimo potrebbe essere correttamente descritto come un essere immaginativo, non meno che come un essere razionale3. L’immaginazione resiste all’accesso razionale. Le stesse immagini possono essere intese solo come concretizzazioni di energie elementari che sfuggono all’oggettivazione. I tre termini comunemente usati in tedesco per l’immaginazione possono accentuare aspetti diversi senza che le loro distinzioni siano nette. In via del tutto preliminare, si potrebbe forse fare la seguente distinzione: Phantasie si riferisce più al lato istintivo, Imagination al mondo delle immagini ed Einbildungskraft alla facoltà (al potere) dell’immaginazione, mediante la quale si crea qualcosa di nuovo. 3. A. Gehlen, L’uomo, cit.
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In rapporto alla fantasia, si possono distinguere quattro aspetti che si riferiscono a diversi periodi storici e contesti culturali. Un primo aspetto rinvia alla creazione e alla partecipazione degli esseri umani all’arte. Un secondo aspetto è rivolto alla comprensione dell’alterità di altri mondi culturali, che soltanto con l’aiuto della fantasia possono essere “ricreati” in modo da essere compresi. Un terzo aspetto si riferisce alla connessione tra l’inconscio e la fantasia; in questo caso, la fantasia è la forza che opera al di fuori della coscienza nel plasmare il mondo delle immagini e dell’azione umane, che si articola tanto in sogni e fantasie, flussi di desiderio e forze vitali, quanto nell’azione. Infine, il quarto aspetto è legato al desiderio e alla capacità di realizzare ciò che si desidera in modo controfattuale4. In tutti e quattro gli aspetti, la fantasia mira a modificare il mondo, in modo però spontaneo, evenemenziale e per così dire vagabondante, piuttosto che in modo strategico5. 4. D. Kamper, Zur Soziologie der Imagination, Hanser, München 1986. 5. W. Iser, Das Fiktive und das Imaginäre. Perspektiven literarischer Anthropologie, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1991.
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Anche i concetti di immaginazione e di facoltà immaginativa conoscono diverse differenziazioni di significato. Se guardiamo alla storia intellettuale inglese, per Locke l’immaginazione è il «potere della mente» (power of the mind), per Hume è una sorta di facoltà magica dell’anima, che resta però inspiegabile nonostante i massimi sforzi della mente umana6. Coleridge intende l’immaginazione come una facoltà o capacità umana distinta in due forme. Egli ritiene che l’immaginazione primaria sia la forza viva e il motore proprio di ogni percezione umana, nonché una ripetizione nello spirito finito dell’eterno atto di creazione. L’immaginazione secondaria è invece concepita come una eco della primaria; coesiste con la volontà cosciente, ma è identica all’immaginazione primaria nella natura della sua efficacia e differisce solo nel grado e nella modalità del suo modo di agire. Si dissolve, si disperde, evapora per ricreare; dove questo processo risulta impossibile, lotta comunque per idealizzare e unificare. È viva per sua natura, così come tutti gli oggetti 6. D. Hume, Trattato sulla natura umana, tr. it., con testo ingl. a fronte, a cura di P. Guglielmoni, Bompiani, Milano 2001.
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(in quanto oggetti) sono fissi e morti per loro stessa natura7. Secondo questa visione, l’immaginazione (Imagination) è una parte del soggetto, in cui essa opera e mediante cui il soggetto anima il mondo. L’immaginazione comprende anche la capacità di sciogliere le connessioni esistenti, di distruggerle e quindi di crearne di nuove. Mentre la prima forma di immaginazione è ritenuta più analoga alla forza della natura, la natura naturans, che crea tutto, la seconda forma di immaginazione è legata al mondo delle cose, che essa distrugge e costruisce. A queste si aggiunge una terza forza, la fantasia (fancy) che produce e combina cose e relazioni. Questi tre aspetti della capacità immaginativa interagiscono in modo giocoso tra loro e con gli altri. Creano immagini, le distruggono, combinano i loro elementi in nuove immagini secondo un movimento oscillante di avanti-indietro. Per Herder, la facoltà immaginativa (Einbildungskraft) è il legame tra il corpo e la mente, che proietta l’essere umano al di fuori di sé 7. S.T. Coleridge, Biographia Literaria, cit. in W. Iser, Das Fiktive und das Imaginäre, cit., p. 320.
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stesso. Per Immanuel Kant e Johann Gottlieb Fichte, essa è il ponte tra la ragione e i sensi. Nella famosa formulazione kantiana, secondo cui le intuizioni senza concetti sono cieche e i concetti senza intuizioni sono vuoti, l’immaginazione è riconosciuta come necessaria per ogni conoscenza concettuale. Tuttavia, l’evoluzione culturale non si è attenuta a questa norma. Si sono diffusi concetti vuoti e immagini senza concetto. In un numero sempre maggiore di settori della società, la finzione è diventata reale e la realtà fittizia. La discussione di area francese ha aggiunto un altro termine, l’immaginario, che a sua volta mette in gioco nuove dimensioni di significato. Per Jean-Paul Sartre, che si ispira a Edmund Husserl, l’immaginario si riferisce alla funzione “irrealizzante” della coscienza, all’interno della quale la coscienza produce oggetti assenti, li rende presenti e stabilisce così una relazione immaginaria con essi8. Theodor Adorno riassume il dibattito sociale sul ruolo della fantasia nella scienza, nell’arte e
8. J.-P. Sartre, L’immaginario. Psicologia fenomenologica dell’immaginazione, tr. it., a cura di R. Kirchmayr, Einaudi, Torino 2007; C. Wulf, Bilder des Menschen, cit.
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nella cultura quando afferma – nella sua Introduzione a Positivismusstreit – che scrivere una storia intellettuale dell’immaginazione (che è ciò di cui in realtà si tratta nei divieti positivisti) è stato utile. Nel Settecento, in Saint-Simon come nel Discours préliminaire di d’Alembert, l’immaginazione è annoverata insieme all’arte come lavoro produttivo, partecipa all’idea di liberazione dalle forze produttive; solo Comte, la cui sociologia diventa statico-apologetica, è nemico della metafisica anche per quanto riguarda la fantasia. La sua liquidazione, o il suo spostamento in un ambito speciale basato sulla divisione del lavoro, è un fenomeno archetipico della regressione dello spirito borghese. Il fatto che la fantasia sia solo reificata, astrattamente accostata alla realtà, grava – aggiunge Adorno – sull’arte non meno che sulla scienza9. In una prospettiva più storica, Vilém Flusser ha cercato di distinguere quattro fasi di sviluppo della facoltà immaginativa nel contesto della storia umana, sotto il titolo di Una nuova facoltà immaginativa:
9. T.W. Adorno, Einleitung, in Id. et al., Der Positivismus streit in der deutschen Soziologie, cit., pp. 7-79: pp. 62-63.
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Dapprima ci si è allontanati dal mondo vivente per immaginarlo. Poi si è usciti dall’immaginazione per descriverlo. Poi si è usciti dalla critica lineare della scrittura per analizzarlo. E infine, grazie a una nuova facoltà immaginativa, si proiettano, a partire dall’analisi, delle immagini sintetiche […]. In altre parole, la sfida che ci viene posta è quella di saltare dal piano lineare dell’esistenza a un piano completamente astratto, zero-dimensionale, dell’esistenza (al “nulla”)10.
2. La performatività dell’immaginazione Grazie alla performatività dell’immaginazione, individui, comunità e culture forgiano l’immaginario. Questo può essere inteso come un mondo materializzato di immagini, suoni, tattilità, odori, sapori, emozioni, azioni e comportamenti. La performatività dell’immaginazione costituisce il prerequisito per la percezione umana del 10. W. Flusser, Kommunikologie, a cura di E. Flusser e S. Bollmann, Fischer, Frankfurt a.M. 1998, p. 125; sugli aspetti ludici dell’immaginazione, cfr. S. Wittig, Die Ludifizierung des Sozialen. Differenztheoretische Bruchstücke des Als-Ob, Schöningh, Paderborn 2018.
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mondo in un senso storicamente e culturalmente modellato. L’immaginazione ricorda e crea, combina e proietta immagini. Produce la realtà. Allo stesso tempo, la realtà le serve per produrre immagini. Le immagini dell’immaginazione possiedono una dinamica che struttura la percezione, la memoria e il futuro. L’interconnessione delle immagini segue i movimenti dialettici e ritmici della facoltà immaginativa. Non solo la vita quotidiana, ma anche la letteratura, l’arte, la musica e le arti dello spettacolo costituiscono un serbatoio inesauribile di immagini. Alcune sembrano essere relativamente stabili e poco mutevoli. Altre, invece, sono soggette a rapidi cambiamenti storico-culturali. L’immaginazione presenta una dinamica simbolizzante che crea continuamente nuovi significati e utilizza le immagini per farlo. Con l’aiuto di queste immagini prodotte dall’immaginazione, si creano interpretazioni del mondo11. L’immaginazione ha un forte potere performativo che mette in scena e rappresenta azioni
11. C. Wulf, Das Rätsel des Humanen, cit.; B. Hüppauf C. Wulf (a cura di), Bild und Einbildungskraft, Fink, München 2006.
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sociali e culturali. Mediante questo potere essa crea l’immaginario, che comprende immagini della memoria, del presente e del futuro. Con l’aiuto di processi mimetici, può far emergere il carattere iconico delle immagini. Nella riproduzione del loro carattere pittorico, le immagini vengono assorbite nell’immaginario. In quanto parti del mondo mentale, esse sono una testimonianza del mondo esterno. Sono i processi storico-culturali a determinare quali immagini, strutture e modelli entrano a far parte dell’immaginario. In queste immagini, la presenza e l’assenza del mondo esterno sono inestricabilmente intrecciate. Le immagini che emergono dall’immaginario sono immesse dall’immaginazione in nuovi contesti. Emergono reti di immagini con cui inglobiamo il mondo e che ne determinano la nostra visione. Il carattere performativo dell’immaginazione fa sì che le immagini del sociale costituiscano una parte centrale dell’immaginario. In esse vengono rappresentate le strutture delle relazioni di potere e sociali che plasmano la sfera sociale. È in questa fase che si apprende la percezione delle costellazioni e degli assetti sociali. Nella comprensione visiva, acustica e tattile del
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mondo, queste prime esperienze percettive e le immagini che ne derivano svolgono un ruolo importante e insostituibile. La comprensione delle azioni sociali deriva dal riconoscere, come loro presupposti, gli schemi storico-culturali e le immagini mentali biografiche. Osserviamo le azioni sociali e ci relazioniamo ad esse percettivamente. In questo modo, tali azioni acquistano un significato per noi. Se queste azioni sono dirette a noi, da loro proviene l’impulso a stabilire una relazione e a noi sta la risposta. In ogni caso, si costituisce una relazione per il cui sviluppo le immagini del nostro immaginario sono un prerequisito importante. Entriamo in un gioco d’azione e agiamo in relazione alle aspettative che ci vengono presentate dall’assetto sociale, sia che rispondiamo ad esse, sia che le modifichiamo o che agiamo contro di esse. Le nostre azioni sono per lo più mimetiche non tanto quanto alla somiglianza, ma per le corrispondenze generate. Impegnati in un gioco d’azione, percepiamo le azioni degli altri e agiamo noi stessi in riferimento mimetico ad esse.
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3. L’apprendimento mimetico come apprendimento culturale La performatività dell’immaginazione si manifesta nei processi mimetici che essa rende possibili. Da un lato, questi sono una conseguenza della capacità umana di rendere performativi eventi, immagini interiori, immaginazioni, narrazioni, sequenze di azioni, cioè di esprimerli, di metterli in scena e di eseguirli scenicamente. D’altro lato, la mimesi si riferisce alla capacità di assimilarsi a questo comportamento nella percezione delle azioni sociali ed estetiche e quindi di appropriarsene. Le differenze quanto ai prerequisiti individuali nei processi di assimilazione mimetica diversificano gli stessi processi di assimilazione e di appropriazione e portano a risultati divergenti12. La capacità di agire socialmente si acquisisce essenzialmente all’interno di processi di apprendimento mimetico. Ad esempio, le persone sviluppano mimeticamente le loro diverse capacità di giocare, di scambiarsi doni e di agire ritualmente. Per poter agire di
12. C. Wulf, Bilder des Menschen, cit.; S. Suzuki - C. Wulf (a cura di), Mimesis, Poiesis, Performativity in Education, Waxmann, Münster-New York 2007.
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volta in volta “correttamente”, è necessaria una conoscenza pratica, che si acquisisce mediante processi di apprendimento sensibile e corporeo nei corrispondenti campi d’azione. Le azioni sociali sono storicamente e culturalmente costituite: quando qualcuno agisce in riferimento a una pratica sociale già esistente e nel farlo produce egli stesso una pratica sociale, tra le due si crea una relazione mimetica. Questo è vero, ad esempio, quando eseguiamo una pratica sociale, agiamo secondo un modello sociale, esprimiamo fisicamente idee sociali e acquisiamo una conoscenza pratica. Queste azioni mimetiche non sono semplici riproduzioni che seguono esattamente un modello già dato. Nelle pratiche sociali mimate c’è sempre anche l’emergere della differenza e quindi di qualcosa di nuovo13. Agire mimeticamente significa “rendersi simile” a una persona o a una cosa con l’aiuto dell’immaginazione, al fine di emularla, ma anche di “portare qualcosa alla rappresentazione”, di “espri-
13. H. Plessner, Zur Anthropologie der Nachahmung, in Id., Gesammelte Schriften, vol. VII, a cura di D. Günter, O. Marquard, E. Ströker, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1982, pp. 389-398.
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mere” qualcosa: denota, perciò, il riferimento a un’altra persona o a un altro “mondo” con l’intenzione di assomigliarvi. Questo processo può riferirsi al rapporto con una “realtà” già data e rappresentata; si crea quindi una relazione di rappresentazione. Tuttavia, il comportamento mimetico può anche riferirsi all’“imitazione”, con l’aiuto dell’immaginazione, di qualcosa che non esiste e non è esistito nella “realtà”, come la rappresentazione di un mito o di un personaggio letterario, che esiste solo in questa rappresentazione e che non si basa su alcun modello conosciuto al di fuori di questa rappresentazione. L’azione mimetica non deve necessariamente essere rivolta a una “realtà”; può anche riferirsi a costellazioni di parole, immagini o azioni che diventano il modello per altre costellazioni di parole, immagini o azioni14; la capacità di identificarsi con altre persone, di comprenderle come agenti intenzionali e di dirigere assieme a loro l’attenzione verso qualcosa, è legata al desiderio di familiarizzare con l’altro secondo somiglianza. In questo desiderio di diventare simili all’altro 14. C. Wulf, Zur Genese des Sozialen. Mimesis, Performativität, Ritual, transcript, Bielefeld 2005; C. Wulf, Bilder des Menschen, cit.
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risiede il prerequisito per comprendere le intenzioni comunicative di altre persone nei loro gesti, simboli e costruzioni e per capire come queste intenzioni formino categorie di oggetti e schemi di eventi e come generino relazioni causali tra gli oggetti del mondo15. A differenza dei processi di mimetizzazione (Mimikry), in cui si realizza un mero adattamento a condizioni date, i processi mimetici creano insieme somiglianza e differenza con altre persone o situazioni a cui si riferiscono. In questo processo giocano un ruolo anche gli elementi ludici basati sull’immaginazione. “Assimilandosi” a situazioni precedentemente vissute e a mondi plasmati culturalmente, i soggetti acquisiscono la capacità di orientarsi in un campo sociale. Partecipando alla pratica di vita di altre persone, ampliano il loro mondo vitale e creano nuove possibilità di azione e di esperienza. In questo 15. G. Gebauer - C. Wulf, Mimesis, cit.; Iid., Spiel, Ritual, Geste, cit.; Iid., Mimetische Weltzugänge. Soziales Handeln – Rituale und Spiele – ästhetische Produktionen, Kohlhammer, Stuttgart 2003; M. Taussig, Mimesis and Alterity. A Particular History of the Senses, Routledge, New York 1993; E. Tavani, L’immagine e la mimesi. Arte, tecnica, estetica in Theodor W. Adorno, ETS, Pisa 2012.
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processo, il mondo già dato si intreccia con l’individualità di coloro che si relazionano ad esso mimeticamente. Ricettività e attività si sovrappongono. Gli esseri umani ricreano la situazione vissuta in precedenza o il mondo esterno a loro e se lo appropriano nella ripetizione. Solo nel confronto con la situazione precedente o con il mondo esterno acquisiscono la loro individualità e soggettività. È solo in questo processo che il surplus pulsionale indeterminato dell’essere umano si struttura in desideri e bisogni individuali. Il confronto con l’esterno e la formazione del sé avvengono nello stesso contesto. Il mondo esterno e quello interno si assomigliano e possono essere vissuti solo in interrelazione. Emergono somiglianze e corrispondenze tra l’interno e l’esterno. Le persone si rendono simili al mondo esterno e si modificano in questo processo; in questa trasformazione, la loro percezione dell’esterno e la loro percezione di sé cambiano16. Nei processi di apprendimento mimetico, le azioni sociali precedenti vengono eseguite nuo-
16. P. Ricoeur, Tempo e racconto, tr. it. di G. Grampa, 3 voll., Jaca Book, Milano 2007-2008.
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vamente. Il riferimento tra le azioni è prodotto non dal pensiero teoretico bensì aisteticamente, con l’aiuto dei sensi. La seconda azione sociale si distanzia dalla prima nella misura in cui non si confronta direttamente con essa, non la modifica, ma la compie nuovamente; in questo processo, l’azione mimetica ha un carattere indicativo (zeigend) e presentativo (darstellend); la sua esecuzione genera a sua volta delle qualità sensibili proprie. I processi mimetici si riferiscono a mondi sociali già creati, considerati reali o immaginari. Il carattere dinamico delle azioni sociali è legato al fatto che la conoscenza richiesta per la loro realizzazione è una conoscenza pratica. In quanto tale, è soggetta al controllo razionale in misura minore rispetto alla conoscenza teorica17. Questo perché la conoscenza pratica non è una conoscenza riflessiva e autoconsapevole: diventa tale solo nel contesto di conflitti e di crisi, cioè quando le azioni che ne derivano richiedono una giustificazione. Se la pratica sociale non viene messa in discussione, il sapere pratico rimane, per così dire, semi17. J. Loenhoff, Implizites Wissen. Epistemologische und handlungstheoretische Perspektiven, Velbrück, Weilerswist 2012.
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cosciente. Tale sapere comprende – come la conoscenza dell’habitus – immagini, schemi, forme d’azione che vengono utilizzate per l’ese cuzione scenica e corporea delle azioni sociali senza che si rifletta sulla loro adeguatezza: essi sono “semplicemente” saputi e utilizzati per la messa in scena della pratica sociale18. Nei processi mimetici si verifica una trasformazione imitativa e un modellamento dei mondi precedenti. Qui si colloca il momento innovativo degli atti mimetici. Le pratiche sociali sono quindi mimetiche quando si riferiscono ad altri atti e possono essere intese come assetti sociali che rappresentano sia pratiche sociali indipendenti, sia un riferimento ad altre azioni. Le azioni sociali diventano possibili grazie all’emergere di conoscenze pratiche nel corso dei processi mimetici. La conoscenza pratica rilevante per le azioni sociali è corporea e sensibile, oltre che
18. T. Schatzki - K. Knorr-Cetina - E. Savigny (a cura di), The Practice Turn in Contemporary Theory, Routledge, London 2001; R. Schmidt - W.-M. Stock - J. Volbers (a cura di), Zeigen. Dimensionen einer Grundtätikeit, Velbrück, Weilerswist 2011; D. Nicolini, Practice Theory, Work and Organization. An Introduction, Oxford University Press, Oxford 2013.
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storica e culturale; è semanticamente ambigua, non può essere ridotta all’intenzionalità, contiene un surplus di significato e si mostra nelle messe in scena e nelle esecuzioni sociali della religione, della politica, dell’educazione e della vita quotidiana. Le azioni sociali ed estetiche sono intese come mimetiche se, in primo luogo, configurano movimenti riferiti ad altri movimenti; se, in secondo luogo, possono essere intese come esecuzioni corporee o messe in scena; e, in terzo luogo, se sono azioni indipendenti che possono essere comprese per sé stesse e che si riferiscono ad altre azioni o mondi. Non sono quindi mimetiche azioni come le decisioni, i comportamenti riflessivi o di routine, ma anche le azioni singole e le violazioni di regole19. In sintesi, sono cinque gli aspetti da sottolineare per comprendere il significato storico e culturale dei processi mimetici. In primo luogo, già l’origine storico-linguistica e il primo contesto d’uso del concetto di mimesi indicano il ruolo che i processi mimetici svolgo-
19. G. Gebauer - C. Wulf, Spiel, Ritual, Geste, cit.
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no per la messa in scena di pratiche culturali e per la cultura del performativo20. In secondo luogo, la mimesi non deve essere intesa come mera produzione di copie. Piuttosto, essa è un concetto antropologico e denota un’abilità umana creativa, provvista di elementi aistetici, mediante la quale qualcosa di nuovo emerge nell’imitazione21. In terzo luogo, immagini interiori, immaginazioni, eventi, narrazioni, sequenze di azioni sono espresse, messe in scena e rappresentate scenicamente in processi mimetici22; in questo modo diventano performativi. Inoltre, nella percezione e nell’imitazione della performatività sociale e delle azioni estetiche, i processi mimetici portano ad assimilarsi a questo comportamento e, così, ad appropriarsene23. 20. G. Gebauer - C. Wulf, Mimesis, cit.; C. Wulf, Zur Genese des Sozialen, cit. 21. C. Wulf, Anthropology, cit.; Id., Das Rätsel des Humanen, cit. 22. C. Wulf, Bilder des Menschen, cit. 23. C. Wulf - J. Zirfas (a cura di), Pädagogik des Performativen, Beltz, Weinheim-Basel 2007; C. Wulf - J. Zirfas (a cura di), Ikonologie des Performativen, cit.
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In quarto luogo, i processi mimetici possono contribuire all’emergere della violenza. Questo è particolarmente vero nelle situazioni di crisi in cui i rituali e i divieti sono sospesi24. In quinto luogo, nei processi mimetici si struttura il sapere pratico, così importante per la coesistenza umana; si tratta di un sapere tacito basato sul corpo, che non può essere colto in maniera adeguata in un accesso puramente teorico25.
4. Apprendimento mimetico e ricerca evolutiva La recente ricerca sui primati ha dimostrato che mentre forme elementari di apprendimento mimetico esistono anche in altri primati, gli esseri 24. R. Girard, La violenza e il sacro, tr. it. di O. Fatica e E. Czerkl, Adelphi, Milano 1980; Id., Il capro espiatorio, tr. it. di C. Leverd e F. Bovoli, Adelphi, Milano 1999; C. Wulf J. Zirfas (a cura di), Töten, Affekte, Akte und Formen, in «Paragrana», vol. 20, n. 1, 2011. 25. C. Wulf, Anthropologie. Geschichte, Kultur, Philosophie, cit.; Id., Anthropology, cit.; D. Nicolini, Practice Theory, Work and Organization, cit.; A. Kraus - J. Budde M. Hietzge - C. Wulf (a cura di), Handbuch Schweigendes Wissen, Juventa, Weinheim 2017.
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umani sono particolarmente capaci di apprendimento mimetico. Sulla base di ricerche comparative sul comportamento sociale dei primati, i rappresentanti della psicologia dello sviluppo e della psicologia cognitiva sono riusciti negli ultimi anni a determinare alcune caratteristiche specifiche dell’apprendimento umano nei primi anni di vita e a confermare il carattere speciale dell’apprendimento mimetico dell’essere umano nella prima infanzia. In sintesi, Michael Tomasello descrive queste capacità nei bambini piccoli: Essi si identificano con le altre persone; percepiscono le altre persone come agenti intenzionali al pari del Sé; partecipano con le altre persone ad attività di attenzione congiunta; comprendono molte delle relazioni causali che intercorrono tra gli oggetti fisici e gli eventi; comprendono le intenzioni comunicative che le altre persone esprimono attraverso gesti, simboli linguistici e costruzioni linguistiche; grazie all’imitazione per inversione dei ruoli imparano a produrre quegli stessi gesti, simboli e costruzioni; e, infine, costruiscono categorie di oggetti e schemi di eventi a base linguistica26.
26. M. Tomasello, Le origini culturali della cognizione umana, tr. it. di M. Ricucci, a cura di L. Anolli, il Mulino, Bologna 2005, p. 193.
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Queste abilità consentono anche ai bambini più piccoli di partecipare ai processi culturali. Possono partecipare all’attuazione delle pratiche e delle abilità del gruppo sociale in cui vivono, acquisendo così le relative conoscenze culturali. Le competenze qui descritte evidenziano l’importanza centrale dell’apprendimento in relazione ai modelli di ruolo. Tuttavia, questi processi possono essere meglio compresi come processi mimetici. Le capacità di identificarsi con altre persone, di comprenderle come agenti intenzionali e di concentrare congiuntamente l’attenzione su qualcosa sono legate al desiderio mimetico del bambino di emulare gli adulti, di assomigliare loro o di voler diventare come loro. In questo desiderio di diventare come gli adulti risiede la motivazione per comprendere le relazioni causali tra gli oggetti del mondo e le intenzioni comunicative delle altre persone nei gesti, nei simboli e nelle costruzioni e per formare, come gli adulti, categorie di oggetti e schemi di eventi. Già a otto mesi di età, i neonati raggiungono queste capacità, che rientrano nelle possibilità mimetiche degli esseri umani e che i primati non umani non possiedono in nessun momento della loro vita.
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5. Apprendimento mimetico e conoscenze neuro scientifiche Queste scoperte sono confermate dalla ricerca neuroscientifica, che negli anni Novanta ha potuto dimostrare che gli esseri umani si distinguono dai primati non umani per la loro particolare capacità di dischiudere il mondo nei processi mimetici27. Uno dei motivi è il sistema dei neuroni specchio. L’analisi del funzionamento dei neuroni specchio dimostra che il riconoscimento di altre persone, delle loro azioni e delle loro intenzioni dipende dalla nostra capacità di movimento. Il sistema dei neuroni specchio permette al nostro cervello di mettere in relazione i movimenti osservati con le nostre possibilità di movimento e di riconoscerne il significato. Senza questo meccanismo, percepiremmo bensì i movimenti e il comportamento degli altri, ma non sapremmo cosa essi significhino e cosa gli altri stiano realmente facendo. Il sistema dei neuroni specchio è considerato da molti ricercatori il correlato fisiologico della nostra capacità di agire 27. G. Rizzolatti - C. Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Cortina, Milano 2005; M. Iacoboni, I neuroni specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri, Bollati Boringhieri, Torino 2008.
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non solo come individui ma anche come persone sociali: esso è coinvolto nel comportamento mimetico e nell’apprendimento, nella comunicazione gestuale e verbale e nella comprensione delle risposte emotive degli altri. Percepire il dolore di qualcuno sembra attivare le stesse aree cerebrali che si attiverebbero se provassimo direttamente queste emozioni. Sebbene i neuroni specchio esistano anche nei primati non umani (ad esempio i macachi), il loro sistema è molto più complesso negli esseri umani. A differenza dei primati non umani, gli esseri umani sono in grado di distinguere azioni motorie transitive e intransitive, di selezionare i tipi di azione e la sequenza di azioni che li costituiscono, e di attivarsi in azioni che non vengono effettivamente eseguite ma solo imitate. Il sistema dei neuroni specchio aiuta a comprendere il significato delle azioni altrui, non solo delle singole azioni ma anche delle sequenze di azioni. Quando vediamo qualcuno compiere un’azione, i suoi movimenti hanno un significato immediato per noi. Lo stesso sembra valere per le nostre azioni e per la loro comprensione da parte di altre persone. Studi sperimentali dimostrano che la qualità del sistema motorio e del sistema dei neuroni specchio sono condizioni necessarie ma non suf-
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ficienti per la facoltà mimetica. Sono necessari altri processi neurali per far emergere procedimenti che vadano oltre la semplice riproduzione e in cui avvenga un’assimilazione mimetica del mondo e delle altre persone. Queste abilità mimetiche permettono ai bambini di partecipare ai prodotti e ai processi culturali della loro società. Permettono loro di incorporare i prodotti materiali e simbolici della loro comunità culturale, di conservarli e di trasmetterli alla generazione successiva. I processi mimetici sono inizialmente diretti principalmente verso altre persone. In essi, i neonati e i bambini piccoli si riferiscono alle persone con cui vivono: genitori, fratelli/sorelle maggiori, altri parenti e conoscenti. Cercano di assomigliare a loro, ad esempio rispondendo a un sorriso con un sorriso. Ma anche di dare il via alle reazioni corrispondenti degli adulti, utilizzando competenze già acquisite. Le condizioni sociali e culturali di questa vita primaria si inscrivono nel cervello e nel corpo dei bambini. Chi non ha imparato a vedere, sentire o parlare in tenera età non può imparare in seguito, o impara in modo inadeguato.
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6. Sulla genesi del concetto di performatività Come abbiamo visto, i processi di immaginazione e di apprendimento mimetico sono performativi. Nella contemporaneità sono state condotte numerose ricerche sulle diverse dimensioni della performatività, che chiariscono l’importanza di tali dimensioni dell’azione e del comportamento culturale e sociale per l’educazione, l’istruzione e la socializzazione. Cinque punti di riferimento sono particolarmente importanti per il significato culturale e educativo del concetto di performatività. 1) La teoria del discorso performativo di John Austin: un enunciato è considerato performativo se è un’azione; ad esempio, il “sì” in una cerimonia di matrimonio è un’azione che cambia l’intera vita della persona interessata. Tali azioni si svolgono spesso nel contesto di rituali. A contare non è la verità dell’enunciato, ma il suo effetto. Il termine “performativo” indica qui un’affermazione autoreferenziale, spesso pre-strutturata da un’istituzione per una cerimonia, come il “sì” atteso nel contesto di un matrimonio28. 28. J.L. Austin, Come fare cose con le parole, tr. it. di C. Villata, Marietti 1820, Bologna 2019.
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2) La grammatica trasformazionale di Noam Chomsky con la sua distinzione tra performanza e competenza: per Chomsky, la performanza linguistica è il risultato della competenza linguistica, cioè dell’abilità linguistica comune a tutti gli esseri umani. Per performanza si intende il parlare vero e proprio, i meccanismi linguistici corrispondenti, la padronanza della grammatica, l’uso della lingua29. La performanza in questo caso può essere caratterizzata da una notevole deviazione dalla correttezza grammaticale, senza con ciò perdere la sua funzione. Essa è caratterizzata dal senso pratico, come nel caso in cui, ad esempio, un’interruzione di frase o un enunciato incompleto risultano appropriati. 3) Le teorie estetiche della performance art: l’arte performativa si riferisce alla messa in scena e all’esecuzione di atti artistici che non si basano su un copione fisso. Qui hanno luogo una rappresentazione estetica del corpo e un’espressione di emozioni, spesso legate alla critica delle forme teatrali tradizionali. L’attenzio-
29. N. Chomsky, Il linguaggio e la mente, tr. it. di A. De Palma, Bollati Boringhieri, Torino 2010.
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ne si concentra sull’emergere delle emozioni30, sul carattere evenemenziale degli accadimenti, sulla materialità dei processi fisici, spesso privi di significato, e sul carattere sperimentale delle azioni estetiche. 4) Il contributo di Judith Butler alla discussione sul genere31: la performatività qui non si riferisce solo alla messa in scena fisica del genere, ma anche alla costruzione discorsiva attraverso l’appellativo di “uomo” o “donna”. La realtà di genere è costruita in questi processi performativi. Ne seguono una critica all’essenzialismo del genere, del desiderio, del corpo e il riferimento al ruolo costitutivo dei processi performativi. La designazione di “uomo” o “donna” e l’attribuzione di genere sono legate a processi di definizione e di potere di cruciale importanza per la formazione dell’individualità e della soggettività. 5) Il gruppo di ricerca specialistica “Kulturen des Performativen” (Culture del performativo) presso la Freie Universität di Berlino (199930. S Klien - C. Wulf (a cura di), Well-being, in «Paragrana», vol. 20, n. 1, 2013. 31. J. Butler, Parole che provocano. Per una politica del performativo, tr. it. di S. Adamo, Cortina, Milano 2009.
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2010) ha evidenziato che l’azione culturale dovrebbe essere vista meno come un testo e più in termini di carattere istituzionale e di messa in scena. In questa prospettiva diventano oggetto di ricerca, ad esempio, le dinamiche dei rituali, il loro eccesso performativo, la loro espressività scenico-mimetica, la loro messa in scena e il loro carattere performativo. I processi performativi e i loro significati culturali vengono studiati in relazione alle performance corporee, alle cornici temporali e spaziali, ai processi multimodali. Si esplora l’emergere della conoscenza pratica nei processi mimetici e rituali. Quando si parla di performatività, l’attenzione si concentra sul processo creativo che genera realtà sociali. Vengono esaminati la percezione, i media e il genere. L’interesse è rivolto all’embodiment, alla processualità e alla relazionalità. In sintesi, si può affermare che se si parla di performatività come “esecuzione di un’azione (linguistica)” (Austin), come “attività (ostentata) di un individuo” (Goffman), come “genere materializzato”, “prassi della citazione”, “potere del discorso” (Butler), o come “linguaggio incarnato” (Sibylle Krämer), si sottolinea innanzitutto l’ordine pratico, sociale e culturale dei fenomeni, il loro contesto, il loro sviluppo, le
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loro sintesi e differenze, i loro momenti attivi e passivi, in breve i loro processi, modalità, logiche e funzioni. I termini “performativo”, “performance” e il ter mine “performatività”, che si rivolge a questi contesti in modo generale, rendono evidente l’importanza della forma e della dimensione estetica per il successo delle organizzazioni sociali. Quando parliamo di performatività dell’azione, ci riferiamo a un evento unico, limitato nel tempo e nello spazio32.
7. La performatività come focus di formazione e educazione La svolta performativa nelle scienze culturali e sociali sta avendo un impatto anche sulle scienze della formazione. I cambiamenti evocati da questo termine non sono del tutto nuovi, ma il loro significato per l’educazione e la socializzazione viene sempre più riconosciuto. I termini performance, performativo, performatività 32. C. Wulf - J. Zirfas (a cura di), Pädagogik des Performativen, cit., pp. 16-17.
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rinviano alla rilevanza della dimensione estetica dell’azione umana e al carattere orientativo delle rappresentazioni e dei modelli sociali. Essi chiariscono quanto siano importanti le forme dell’azione per il suo successo: la loro progettazione è un elemento costitutivo di ogni azione sociale, nel corso della quale l’agente mette in scena le proprie azioni e sé stesso. Così facendo, l’agente fa apparire sé stesso nelle proprie azioni. Crea immagini delle sue azioni e di sé stesso sotto forma di rappresentazioni sensibili e corporee riferite al mondo della memoria e della rappresentazione in comune coi suoi simili. La performatività dei processi educativi è diventata un’area importante della ricerca pedagogica qualitativa. Di conseguenza, il carattere di realtà dell’educazione non è più visto esclusivamente come analogo al testo, pur venendo comunque inteso come oggetto di interpretazione ermeneutica. Ciò consente di comprendere la storicità e la culturalità del campo educativo e di capire e riflettere criticamente sulle interazioni pedagogiche. Questo approccio alla realtà educativa, sviluppato da Friedrich Schleiermacher, Wilhelm Dilthey, Herman Nohl e dalla “pedagogia umanistica”, è ancora molto
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importante33. Con il suo aiuto, la dimensione significante dell’educazione – con i suoi numerosi riferimenti specifici al contesto – può essere compresa come base dell’azione educativa. Se si legge la realtà dell’educazione come un testo, si presuppongono una completezza e una coerenza dei contesti di significato che non esiste nella realtà e si presume che si possa raggiungere un accordo sull’interpretazione della real tà educativa. Tuttavia, nella prospettiva della performatività, l’oggetto della ricerca diventa l’interazione reale34. La ricerca etnografica ha attinto a questa concezione della realtà. La cultura vi è intesa come un «assemblaggio di testi»35. Dal punto di vista del performativo, questa sembra essere una riduzione inammissibile. I processi pedagogici non possono essere ridotti alla loro dimensione semantica. La loro realtà si basa su processi 33. C. Wulf, Theorien und Konzepte der Erziehungswissenschaft, cit.; E. Matthes, Geisteswissenschaftliche Pädagogik. Ein Lehrbuch, Oldenbourg, München 2011. 34. C. Schelle - K. Rabenstein - S. Reh, Unterricht als Interaktion. Ein Fallbuch für die Lehrerbildung, Klinkhardt, Bad Heilbrunn 2010. 35. C. Geertz, Dichte Beschreibung, cit., p. 253.
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complessi che appartengono piuttosto al regno della conoscenza pratica36. Poiché questo sapere può essere classificato in larga misura nell’ambito delle competenze e delle conoscenze tacite37, esso è solo parzialmente accessibile alla teoria38 e si colloca al di là di essa, rendendo necessaria una sua parziale revisione. La “crisi della rappresentazione” aveva già chiarito39 l’eccessiva semplicità di quelle idee che presuppongono che un significato dato in un testo o nella realtà dell’educazione possa essere definitivamente dischiuso attraverso l’interpretazione. La prospettiva performativa non mira ad abolire la prospettiva ermeneutica; piuttosto, cerca un’espansione di questa prospettiva, che non si concentra sulla relazione tra la rap-
36. T. Schatzki - K. Knorr-Cetina - E. Savigny (a cura di), The Practice Turn in Contemporary Theory, cit. 37. G. Ryle, Knowing How and Knowing That, in Id., Collected Papers, vol. II, Thoemmes, Bristol 1990, pp. 212225; A. Kraus - J. Budde - M. Hietzge - C. Wulf (a cura di), Handbuch Schweigendes Wissen, cit. 38. D. Nicolini, Practice Theory, Work and Organization, cit.; J. Loenhoff, Implizites Wissen, cit. 39. E. Berg - M. Fuchs (a cura di), Kultur, soziale Praxis, Text, cit.
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presentazione e ciò che è rappresentato, ma s’indirizza piuttosto al modo in cui si danno le pratiche della rappresentazione. Ad acquistare importanza sono i processi di azione, le interazioni, la fisicità e la materialità delle comunità e dei processi pedagogici. Al centro stanno la messa in scena e l’esecuzione dell’azione pedagogica attraverso processi corporei, linguistici e immaginativi40. La performatività si riferisce non tanto a qualcosa che sta “dietro” quanto ai fenomeni sociali osservabili, non tanto alla struttura quanto al processo, non tanto al testo quanto alla produzione della realtà attraverso il corpo. L’interesse per il performativo è legato all’attenzione per le tecniche di messa in scena e per le forme mimetiche di circolazione, per il potere delle immagini41 e per la materialità42. Vi sono aree dell’azione sociale e pedagogica che non possono essere colte chiaramente dal
40. C. Wulf - M. Göhlich - J. Zirfas (a cura di), Grundlagen des Performativen. Eine Einführung in die Zusammenhänge von Sprache, Macht und Handeln, Juventa, Weinheim 2001. 41. C. Wulf, Bilder des Menschen, cit. 42. A.-M. Nohl - C. Wulf (a cura di), Mensch und Ding, cit.
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punto di vista linguistico e che si riferiscono alla conoscenza tacita e alla non-conoscenza43. Sono quattro gli sviluppi sociali e culturali che risultano importanti per la contestualizzazione storico-culturale della performatività oggi e per il suo significato nelle scienze dell’edu cazione44: 1) La cultura contemporanea è in larga misura una cultura della messa in scena45, in cui le dimensioni estetiche della messa in scena di individui e comunità nelle sfere della politica, dell’economia e della cultura giocano un ruolo importante. Ciò è particolarmente evidente nei social network (Facebook, Twitter, ecc.), dove milioni di persone mettono in scena e ritraggono sé stesse ogni giorno. I giovani giocano un ruolo importante in queste reti, mettendosi in scena e presentandosi in modi al tempo stesso simili e 43. M. Polanyi, La conoscenza inespressa, tr. it. di F. Voltaggio, Armando, Roma 1985. 44. C. Wulf - J. Zirfas (a cura di), Pädagogik des Performativen, cit. 45. H. Willems - M. Jurga (a cura di), Inszenierungsgesellschaft. Ein einführendes Handbuch, Westdeutscher Verlag, Opladen-Wiesbaden 1998.
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differenti nelle diverse culture46. Per le scienze dell’educazione, questa tendenza alla messa in scena e alla presentazione estetica degli individui è un’importante area di ricerca. 2) Con l’interesse per la performatività della pratica pedagogica, cambia anche il focus della ricerca. L’attenzione si sposta sul processo e con esso sui modi operandi performativi, sul come dei processi pedagogici. Ciò significa che la ricerca etnografica sta acquistando importanza. Vengono esaminati i microprocessi che costitui scono la realtà educativa e che devono essere ricostruiti nella ricerca47. 3) Con l’attenzione al corpo e ai sensi, alla ritualità, ai gesti e all’abitualità dell’azione sociale nella ricerca sulla performatività, diventa chiaro 46. M. Kontopodis - C. Varvantakis - C. Wulf (a cura di), Global Youth in Digital Trajectories, Routledge, London 2017. 47. R. Bohnsack, Rekonstruktive Sozialforschung, cit.; U. Flick, Triangulation, cit.; U. Flick - E. von Kardoff I. Steinke (a cura di), Qualitative Forschung, cit.; B. Friebertshäuser - A. Prengel (a cura di), Handbuch Qualitative Forschungsmethoden in der Erziehungswissenschaften, cit.; A. Tervooren et al., Ethnographie und Differenz in pädagogischen Feldern, cit.
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che la pedagogia è una scienza dell’azione, nel cui ambito la ricerca sulle interazioni pedagogiche è di importanza centrale. Con questa accentuazione, si scoprono nuovi campi di ricerca, come i rituali e i gesti48, i processi mimetici come processi di apprendimento culturale49, le immagini e l’immaginazione50, l’alterità nel mondo globale51, la formazione dei sentimenti52, 48. C. Wulf - B. Althans et al., Bildung im Ritual, cit.; Iid. et al., Lernkulturen im Umbruch, cit.; Iid. et al., Die Geste in Erziehung, Bildung und Sozialisation, cit.; C. Wulf J. Zirfas (a cura di), Die Kultur des Rituals, cit. 49. C. Wulf, Anthropology, cit.; C. Wulf, Zur Genese des Sozialen, cit.; G. Gebauer - C. Wulf, Mimesis, cit.; G. Gebauer - C. Wulf, Spiel, Ritual, Geste, cit.; G. Gebauer C. Wulf, Mimetische Weltzugänge, cit. 50. C. Wulf, Bilder des Menschen, cit.; B. Hüppauf - C. Wulf (a cura di), Bild und Einbildungskraft, cit.; G. Schäfer C. Wulf (a cura di), Bild – Bilder – Bildung, cit. 51. C. Wulf, Exploring Alterity in a Globalized World, cit.; Id., Anthropologie kultureller Vielfalt, cit.; C. Wulf G. Weigend (a cura di), Der Mensch in der globalisierten Welt, cit.; C. Wulf - C. Merkel (a cura di), Globalisierung als Herausforderung der Erziehung, cit. 52. C. Wulf - D. Kamper (a cura di), Logik und Leidenschaft, cit.; A. Scheunpflug - C. Wulf (a cura di), Pädagogische Anthropologie, in «Zeitschrift für Erziehungswissenschaft», vol. 18, n. 1, 2015; A. Michaels - C. Wulf
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lo spazio e il tempo53, il significato delle cose e della materialità per l’educazione54. Con queste ricerche, si rafforza l’interesse per la conoscenza pratica55, la conoscenza tacita56, il significato della non-conoscenza per i processi educativi57, così come una visione critica della scientizzazione di tutti i settori della vita e dello scientismo58. 4) L’accentuazione della performatività porta a sviluppare una comprensione complessa e antropologicamente fondata del corpo e dell’edu(a cura di), Emotions in Rituals and Performances, cit.; A. Michaels - C. Wulf (a cura di), Exploring the Senses, cit. 53. E. Liebau - G. Miller-Kipp - C. Wulf (a cura di), Metamorphosen des Raums, cit.; J. Bilstein - G. Miller-Kipp C. Wulf (a cura di), Transformationen der Zeit, cit. 54. A.-M. Nohl - C. Wulf (a cura di), Mensch und Ding, cit. 55. A. Kraus - J. Budde - M. Hietzge - C. Wulf (a cura di), Handbuch Schweigendes Wissen, cit. 56. C. Wulf, Das Rätsel des Humanen, cit. 57. A. Michaels - C. Wulf (a cura di), Science and Scien tification in South Asia and Europe, Routledge, New Delhi 2021. 58. C. Wulf, Anthropology, cit.; Id., Das Rätsel des Humanen, cit.; C. Wulf - J. Zirfas (a cura di), Handbuch Pädagogische Anthropologie, cit.; C. Wulf - A. Scheunpflug (a cura di), Pädagogische Anthropologie, cit.
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cazione, del sapere pedagogico e del significato della non-conoscenza. L’educazione è intesa come un processo che porta a un cambiamento nel rapporto con il sé, con il sociale e con il mondo. In sintesi, con Jörg Zirfas, si possono individuare le seguenti aree dell’educazione in cui la considerazione della performatività è di notevole importanza: 1. Abilità specifiche, procedure, competenze, qualifiche fondamentali (educazione formale), 2. conoscenze specifiche (educazione materiale), 3. dialettica di abilità e conoscenze (educazione materiale), 4. dialettica di abilità e conoscenze, io e mondo, appropriazione e critica (educazione categoriale […]), 5. processo di apprendimento biografico, che dura per tutta la vita e resta incompleto (educazione biografica) e, infine 6. l’idea di una società umana degna di essere vissuta per tutti (educazione utopica). Una teoria performativa dell’educazione non pone l’accento sui profili qualificanti limitati a determinate aree e sulle funzionalizzazioni (economiche) che li accompagnano, ma piuttosto sui processi e sui risultati concreti della pratica performativa e sulla riflessione sul rapporto tra soggettività e culturalità59.
59. C. Wulf - J. Zirfas (a cura di), Töten, cit., pp. 11-12.
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8. Pedagogia performativa e educazione La prospettiva performativa è multimodale e si concentra sulla realtà pedagogica, sull’evento pedagogico, e in questo è simile alla fenomenologia; essa esamina anche la storicità e la culturalità della realtà. Nell’ambito del “Berliner Ritual- und Gestenstudien” (Ricerca berlinese sui rituali e sui gesti), sono stati studiati i rituali educativi, formativi e socializzanti nelle quattro aree di socializzazione “famiglia”, “scuola”, “media” e “cultura giovanile”, tenendo esplicitamente conto della loro performatività. Ne è derivata una nuova valutazione dei rituali60 e dei gesti61, in cui emerge chiaramente la loro importanza per la costituzione del sociale. L’enfasi sul carattere performativo dei rituali porta anche a comprendere l’importanza della loro messa in scena ed esecuzione. Questi studi contribuiscono anche a esplorare le dimensioni sincroniche e diacroniche dei processi mimetici per la messa in scena e l’esecuzione dei rituali. Nell’ambito familiare, diventa chiaro quanto sia importante la performatività dei processi sociali 60. C. Wulf - J. Zirfas (a cura di), Die Kultur des Rituals, cit. 61. C. Wulf - E. Fischer-Lichte (a cura di), Gesten, cit.
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per la coesione dei suoi membri e la coerenza della famiglia. Concentrandosi sulla performatività, si esplora l’importanza della fisicità e della sensorialità per i bambini a scuola62. Nel campo dei media, ciò origina un nuovo approccio alla ricerca, in cui i bambini stessi realizzano film e si concentrano sulla performatività del loro comportamento mediatico. Nel campo della cultura infantile e giovanile, uno dei punti focali dell’indagine è il carattere processuale del gioco e le conoscenze pratiche da esso richieste, nonché i processi che portano allo sviluppo del comportamento di genere, che si costituisce in modo diverso a seconda del background culturale63. L’attenzione alla performatività del comportamento sociale e pedagogico va di pari passo con lo sviluppo dell’etnografia pedagogica e della ricerca qualitativa, con i relativi metodi64. Questi includono l’osservazione (anche video-assistita) 62. C. Wulf, Rituale im Grundschulalter, cit. 63. C. Wulf - B. Althans et al., Das Soziale als Ritual, cit.; Iid. et al., Bildung im Ritual, cit.; Iid. et al., Lernkulturen im Umbruch, cit.; Iid. et al., Die Geste in Erziehung, Bildung und Sozialisation, cit. 64. C. Wulf - J. Zirfas (a cura di), Ikonologie des Performativen, cit.
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dei partecipanti e la fotografia; in questi metodi l’accento è posto sulla prospettiva in terza persona. A questi si aggiungono le interviste, le discussioni di gruppo e i diari delle persone studiate, in cui viene espressa la prospettiva in prima persona. L’attenzione è rivolta alla ricerca del modus operandi in campo pedagogico. Oltre alla ricostruzione etnografica degli stili performativi di azione, interazione e comunicazione, le messe in scena nei campi della socializzazione sono un aspetto importante della ricerca performativa. Qui giocano un ruolo rilevante i processi di apprendimento, azione e trasformazione con le loro dimensioni estetiche e multimodali. L’attenzione al carattere performativo dell’educazione, dell’istruzione e della socializzazione è accompagnata dal lavoro su un concetto di educazione che cerca di rendere giustizia alla complessità dei processi educativi. I processi performativi danno vita a momenti creativi e generativi di realtà. Essi ampliano il concetto di educazione mantenendo il potenziale riflessivo della definizione tradizionale del termine, completandolo però con l’inclusione di processi non solo cognitivi, ma anche corporei, sociali, situazionali e agiti.
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La performatività pedagogica accentua l’interattività delle azioni, la comprensione corporeo-mimetica, la messa in scena e in contesto dei processi pedagogici, le situazioni liminali in cui avvengono transizioni e il carattere evenemenziale delle performance. La performatività pedagogica non riguarda tanto il significato di un’azione (pedagogica) e le intenzioni, le speranze o le paure che l’accompagnano, né ciò che un’azione effettivamente è, ma piuttosto ciò che essa mostra, come si svolge, come interviene nella realtà e la cambia, e quali tracce e conseguenze lascia dietro di sé65.
9. Sguardo d’insieme Come abbiamo visto, la capacità delle persone di trasformare il mondo in immagini e di incorporarle all’interno del processo di percezione è una conditio humana. È il prerequisito per i ricordi e le proiezioni del futuro e quindi per la tradizione e la storia, nonché per il cambiamento storico e culturale. L’immaginazione non è solo la capacità di rendere presente l’assente; consente 65. C. Wulf - J. Zirfas (a cura di), Pädagogik des Performativen, cit., p. 31.
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anche trasformazioni, crea differenze e inventa il nuovo. Nei processi mimetici, le persone trasformano il mondo esterno in mondo interno e il mondo interno in mondo esterno, esprimendo così il loro rapporto con il mondo. La struttura chiasmatica del processo di mimesi porta all’emergere di mondi immaginari interiori66, in cui l’immaginario individuale e quello collettivo si sovrappongono. Essa permette processi sinestetici che non sono meno importanti per l’udito, il tatto, l’olfatto e il gusto che per la vista. Per i processi mimetici di apprendimento sociale e culturale, il carattere performativo dell’immaginazione, dell’azione sociale e dei processi educativi e di socializzazione è di importanza centrale. Come dimostrato dal gruppo di ricerca berlinese sui rituali e sui gesti, tale carattere performativo rende possibile una comprensione complessa dell’azione pedagogica, che vada oltre la prospettiva ermeneutica.
66. M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, cit.
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III Conoscenza tacita: iconicità, performatività, materialità
Con la “svolta linguistica” dell’ultimo quarto del XX secolo, sono emersi diversi filoni di ricerca complementari negli studi culturali e nelle scienze dell’educazione a orientamento antropologico. Una caratteristica comune di questi studi è la consapevolezza che il “sapere tacito” svolge un ruolo importante nell’educazione, nell’istruzione e nella socializzazione, che può essere indagato solo parzialmente con i metodi di ricerca conosciuti, ma che è di importanza centrale per affrontare la vita quotidiana e la pratica educativa. Data la complessità delle condizioni di vita nell’Antropocene, la conoscenza tacita svolge un ruolo centrale in molti approcci e paradigmi di ricerca. Nella prima parte di questo capitolo, vengono delineati gli sviluppi definiti come iconic, performative, material turn. Nella seconda parte, si dimostra che questi
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approcci alla conoscenza tacita rappresentano importanti campi di ricerca negli studi culturali e nelle scienze dell’educazione1. Infine, si chiarisce che parti importanti della conoscenza tacita sono acquisite in processi mimetici basati sul corpo.
1. Le immagini e il carattere iconico del mondo A seguito dei lavori preliminari di Marshall McLuhan, Jean Baudrillard e Paul Virilio2, che hanno esaminato il carattere mediatico e iconico dei nuovi media, sottolineandone la velocità, l’ubiquità e il carattere di simulazione, a partire dagli anni Novanta sono emersi numerosi studi 1. A. Kraus - J. Budde - M. Hietzge - C. Wulf (a cura di), Handbuch Schweigendes Wissen, cit. 2. M. McLuhann, Gli strumenti del comunicare, tr. it. di E. Capriolo, il Saggiatore, Milano 2008; J. Baudrillard, Simulacri e impostura. Bestie Beaubourg, apparenze e altri oggetti, tr. it., a cura di M.G. Brega, Pgreco, Roma 2008; Id., L’illusione dell’immortalità, tr. it. di G. Biolghini, Armando, Roma 2007; P. Virilio, Guerra e cinema. Logistica della percezione, tr. it. di D. Buzzolan, Lindau, Torino 2018; Id., Fluchtgeschwindigkeit. Essay, Hanser, München 1996.
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sulla teoria dell’immagine e dell’immaginazione3. Queste indagini di ampio respiro hanno chiarito che l’aumento delle immagini, come effetto dei nuovi media, sta portando a profondi cambiamenti socio-culturali. Inoltre, numerosi studi hanno indagato l’importanza del computer e di Internet per l’emergere di nuove forme di comunicazione e di estetica nel mondo globalizzato4. 3. G. Bohem (a cura di), Was ist ein Bild?, Fink, München 1994; W.J.T. Mitchell, Picutre Theory. Essays on Verbal and Visual Representation, Chicago University Press, Chicago (IL) 1994; D. Kamper, Zur Soziologie der Imagination, cit.; Id., Unmögliche Gegenwart. Zur Theorie der Phantasie, Fink, München 1995; H. Belting, Bild-Anthropologie. Entwürfe für eine Bildwissenschaft, Fink, München 2001; K. Mollenhauer - C. Wulf (a cura di), Aisthesis/Ästhetik, cit.; G. Schäfer - C. Wulf (a cura di), Bild – Bilder – Bildung, cit.; B. Hüppauf - C. Wulf (a cura di), Bild und Einbildungskraft, cit.; H. Bredekamp, Theorie des Bildakts, Suhrkamp, Berlin 2010; B. Waldenfels, Sinne und Künste im Wechselspiel. Modi ästhetischer Erfahrung, Suhrkamp, Berlin 2010; C. Wulf, Bilder des Menschen, cit. 4. Cfr. ad esempio B. Jörissen, Beobachtungen der Realität. Die Frage nach der Wirklichkeit im Zeitalter der Neuen Medien, trasncript, Bielefeld 2007; E. Hörl (a cura di), Die technologische Bedingung – Beiträge zur Beschreibung der technischen Welt, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2011; D. de
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In termini antropologici, è stata fatta una differenziazione tra immagini legate alla percezione, alla memoria e al futuro. È stata proposta una distinzione tra immagini mentali (sogni, ricordi, immaginazioni), immagini manualmente immobili (dipinti su tavola, sculture) e immagini mosse manualmente (scenografie), nonché tra immagini tecnicamente non mosse (specchio, foto) e immagini in movimento (film, televisione, video, simulazioni al computer)5. È stato esaminato il potere delle immagini e la loro particolare collocazione tra il visibile e l’invisibile, tra performatività e linguaggio. Secondo un’opinione diffusa, l’accresciuta rilevanza delle immagini deriverebbe dal fatto che l’essere umano si è distaccato dalla natura o dalla creazione divina e si trova ora di fronte al mondo come oggetto, che diventa quindi un’immagine per lui6. Nel corso di questo sviluppo, è divenKerckhove - M. Leeker - K. Schmidt (a cura di), McLuhan neu lesen: Kritische Analysen zu Medien und Kultur im 21. Jahrhundert, transcript, Bielefeld 2008; W. Welsch (a cura di), Die Aktualität des Ästhetischen, Fink, München 1993. 5. G. Großklaus, Medien-Bilder. Inszenierung der Sichtbarkeit, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2004, p. 9. 6. C. Wulf, Bilder des Menschen, cit.
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tato chiaro quanto le immagini rappresentino una conoscenza iconica che può essere colta solo in parte con l’aiuto del linguaggio. L’interpretazione di Lessing del gruppo scultoreo del Laocoonte si concentra già sul carattere iconico, che distingue in maniera fondamentale le immagini e le statue dal linguaggio e dalla narrazione. Nell’immagine si verifica una condensazione in un momento fruttuoso. Al contrario, una narrazione descrive un processo d’azione. La genesi di un evento o di un’azione non viene rappresentata nel caso di un’immagine. L’azione è condensata in una immagine; è rappresentata implicitamente – e non esplicitamente – come in una narrazione. L’immagine si riferisce a un evento che essa stessa rappresenta solo iconicamente e non narrativamente, che rimane implicito e non diventa esplicito. La sua interpretazione è possibile solo con l’aiuto del linguaggio. Il suo possibile aspetto non è “rivelato” dall’immagine, la cui percezione sensoriale e incorporazione in un immaginario interpretativo offre solo un supporto limitato. Un esempio di come le immagini possano innescare l’azione, cioè essere performative, e rappresentare una conoscenza implicita di un’azione che viene rappresentata, è il disegno sche-
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matico di un manuale di istruzioni per il montaggio di un armadio. Sebbene rappresenti solo un momento dell’assemblaggio, il disegno è più utile di una descrizione linguistica che spiega come collegare le pareti di un armadio. La rappresentazione schematica contiene in forma condensata delle conoscenze non linguisticamente esplicite, e proprio per questo è più adatta come istruzione per l’azione rispetto a un testo elaborato linguisticamente. Il carattere iconico dell’immagine veicola una conoscenza implicita che è utile allo scopo dell’assemblare il mobile. Dato che il mondo sta diventando sempre più iconico e i media produttivi di immagini iniziano a plasmare il mondo immaginario dei bambini e dei giovani fin dalla più tenera età, l’immagine è ormai una condizione centrale per la vita. Conosciamo già molte cose come immagini ancor prima di incontrarle e, quando le vediamo, non è affatto chiaro in che misura l’immagine già vista determini il nostro incontro con le cose. Se Comenio parlava ancora della sete di immagini e di visualizzazione dei giovani, oggi il problema è piuttosto quello di sapere come proteggersi dal profluvio di immagini e come svilup-
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pare la capacità di percepire consapevolmente le immagini in quanto immagini e di assorbirle ed elaborarle nel loro carattere iconico e tacito.
2. Performatività: messa in scena ed esecuzione Mentre molti approcci allo studio dell’iconico erano inizialmente orientati all’ermeneutica, negli ultimi anni è aumentato l’interesse per la performatività delle immagini e dei media. Ciò è avvenuto sotto l’influenza dello sviluppo della prospettiva performativa negli studi culturali. In contrasto con l’approccio ermeneutico, in cui le pratiche sociali sono lette come testi ed è centrale l’interpretazione del loro significato, l’obiettivo è ora quello di esaminare il come della messa in scena e della performance culturale e sociale. Si tratta di aggiungere all’approccio ermeneutico una prospettiva che era presente come conoscenza implicita, ma che non giocava un ruolo nell’interpretazione tradizionale (ermeneutica) del sociale. Seguendo Gilbert Ryle, l’obiettivo primario non è quello di esplorare il senso e il significato delle azioni sociali e peda-
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gogiche, ma di indagare come queste pratiche abbiano luogo. Diventa chiaro, così, che questa prospettiva riguarda una conoscenza pratica che si concentra sull’uso di abilità pratiche, fisiche e sociali. Ciò diventa particolarmente evidente nella ricerca “Berliner Ritual- und Gesten Studien”7 (Ricerca berlinese sui rituali e sui gesti). Qui si studia il modo in cui le persone eseguono i rituali, come li mettono in scena e come l’azione rituale differisce in esecuzioni diverse della stessa messa in scena. A differenza di Geertz, che intende la cultura come un «montaggio di testi»8, qui l’attenzione si concentra sull’azione vera e propria, sulla sua messa in scena e rappresentazione fisica e sulla sua strutturazione produttiva di realtà. Questo approccio performativo non mira a sostituire l’interpretazione ermeneutica del sociale, ma a completarla spostando la prospettiva. 7. C. Wulf et al., Das Soziale als Ritual, cit.; Id. et al., Bildung im Ritual, cit.; Id. et al., Lernkulturen im Umbruch, cit.; Id. et al., Die Geste in Erziehung, Bildung und Sozialisation, cit. 8. C. Geertz, Dichte Beschreibung, cit., p. 253.
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Non si tratta tanto di interpretare il significato delle pratiche quanto di mettere in scena e rappresentare l’azione, la sua fisicità e le sue interazioni. L’attenzione non si concentra su un’interpretazione delle pratiche sociali che rivendichi una validità generale, ma su un esame delle condizioni concrete dell’azione in situazioni specifiche. Non si tratta «tanto di ciò che sta più in profondità o dietro di noi quanto degli eventi fenomenici, non tanto della struttura e delle funzioni quanto del processo, non tanto del testo o del simbolo quanto della produzione della realtà»9. L’attenzione è rivolta ai processi di interazione e alle dinamiche del linguaggio e dell’azione, nonché alla fisicità e alla materialità del sociale. L’obiettivo è quello di esplorare il modus operandi, il modo in cui si svolgono le pratiche sociali. Le condizioni istituzionali e storico-sociali in cui esse si svolgono giocano un ruolo importante. Per esplorare questi contesti in maniera metodologicamente convincente, è necessaria un’analisi etnografica. Tale analisi deve
9. C. Wulf - J. Zirfas (a cura di), Pädagogik des Performativen, cit., p. 8.
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indagare la situazione sociale o pedagogica: in primo luogo, dalla prospettiva di uno o più osservatori non coinvolti negli eventi, tramite l’osservazione partecipativa o video-registrata e, in secondo luogo, dalla prospettiva soggettiva degli agenti, con l’aiuto di interviste e discussioni di gruppo. È poi importante mettere in relazione le due prospettive e, se possibile, integrarle. Per lo sviluppo di questa prospettiva performativa negli studi culturali e nelle scienze dell’educazione, sono di fondamentale importanza alcuni approcci che verranno illustrati di seguito: in primo luogo, l’azione associata al linguaggio10; in secondo luogo, le forme di arte performativa; in terzo luogo, la ricerca di genere; in quarto luogo, le indagini del progetto di ricerca specialistico “Kulturen des Performativen” (Culture del performativo, 1999-2011) stabilito alla Freie Universität di Berlino, in cui è stata condotta una ricerca sulle forme di azione e di messa in scena11.
10. J.L. Austin, Fare cose con le parole, cit. 11. C. Wulf - E. Fischer-Lichte (a cura di), Theorien des Performativen, in «Paragrana», vol. 10, n. 1, 2001; C. Wulf -
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3. Essere umano e cosa: la materialità dei processi pedagogici La svolta iconica ha portato a esplorare il significato delle immagini, dell’immateriale e dei nuovi media per la società e la cultura. È emerso un interesse antropologico per la diversità delle immagini, la complessità dell’immaginazione e il potere sociale e culturale dell’immaginario. Allo stesso tempo, è emersa la centralità di quest’area per l’azione individuale e sociale e del ruolo delle immagini nel desiderio, nei sentimenti e nell’azione. La ricerca sulla performatività si è interessata al significato del corpo, che era stato centrale nell’antropologia fin dagli anni Ottanta12. Sono state esaminate le dinamiche corporee dell’azione sociale, a lungo trascurate. Si è cominciato a parlare di messa in scena e di performance dei sensi e del corpo, di perforE. Fischer-Lichte (a cura di), Praktiken des Performativen, in «Paragrana», vol. 10, n. 1, 2004. 12. D. Kamper - C. Wulf (a cura di), Die Wiederkehr des Körpers, cit.; Iid. (a cura di), Das Schwinden der Sinne, cit.; Id. (a cura di), Logik und Leidenschaft, cit.; C. Benthien C. Wulf (a cura di), Körperteil. Eine kulturelle Anatomie, cit.; C. Wulf, Der Mensch und seine Kultur, cit.; Id., Anthropology, cit.
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matività delle pratiche sociali13. Si è scoperta la performatività delle immagini e dei media; è emerso un nuovo interesse per la materialità delle interazioni umane e delle cose e per il loro effetto di socializzazione. Due sviluppi hanno sostenuto questa attenzione per il materiale. Uno ha portato alla scoperta dell’importanza degli apparati tecnici e delle protesi per il corpo e per l’autocomprensione umana14. La nozione di «cyborg» di Donna Haraway, un «ibrido di macchina e organismo»15, è diventata un’espressione di questa fusione, dando vita a numerosi 13. R. Gugutzer - G. Klein -M. Meuser (a cura di), Handbuch Körpersoziologie, 2 voll., Springer, Wiesbaden 2017; A. Lang, Körperdiskurse anthropologisch gespiegelt. Eine Epistemologie erziehungswissenschaftlicher Theoriebildung, Springer, Wiesbaden 2017; T. Potthast - B. Hermann - U. Müller (a cura di), Wem gehört der menschliche Körper? Ethische, rechtliche und soziale Aspekte der Kommerzialisierung des menschlichen Körpers und seiner Teile, mentis, Paderborn 2010. 14. W. Rammert, Technik – Wissen – Handeln, Springer, Wiesbaden 2007. 15. D. Haraway, Un manifesto per cyborg: scienza, tecnologia e femminismo socialista nel tardo Ventesimo secolo, in Ead., Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, tr. it. di L. Borghi, Feltrinelli, Milano
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personaggi e narrazioni nella fantascienza. L’altro sviluppo è stata la actor-network theory16, la quale ha chiarito che i soggetti non sono i soli a giocare un ruolo nell’azione sociale17 – come il discorso dell’agency ha suggerito a lungo – ma che l’azione sociale è determinata da una serie di fattori, tra i quali la materialità delle cose ha un ruolo importante. L’obiettivo di questa teoria è elaborare e, se possibile, ridurre la dicotomia tra essere umano e cosa, natura ed essere umano, soggetto e oggetto. La contrapposizione tra essere umano e cosa non sembra più appropria1995, pp. 39-102: p. 40; C.H. Gray (a cura di), The Cyborg Handbook, Routledge, London 1995. 16. B. Latour, Pandora’s Hope. Essays on the Reality of Science Studies, Harvard University Press, Cambrige (MA) 1999; Id., Politiche della natura. Per una democrazia delle scienze, tr. it. di M. Gregorio, Cortina, Milano 2010; H. White, Identity and Control. How Social Formations Emerge, Princeton University Press, Princeton (NJ) 2008; I. Clemens, Erziehungswissenschaft als Kulturwissenschaft. Die Potentiale der Netzwerktheorie für eine kulturwissenschaftliche und kulturtheoretische Ausrichtung der Erziehungswissenschaft, Juventa, Weinheim 2015. 17. K.-P. Köpping - B. Schnepel - C. Wulf (a cura di), Handlung und Leidenschaft. Jenseits von actio und passio, in «Paragrana», vol. 18, n. 2, 2009.
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ta; essa viene sovvertita e si esamina come da ciò derivino nuove prospettive sul rapporto tra l’uomo e il mondo. L’“antropologia simmetrica” di Bruno Latour cerca di superare la rigida distinzione tra essere umano e cosa. Vengono esaminati i legami tra le persone e le cose. Le cose sono intese come il risultato della pratica umana e come un condensato dello sviluppo culturale. Nel maneggiarle, si sperimentano processi storici complessi in forma condensata. La storia della sedia, ad esempio, può chiarire come questo oggetto si sia trasformato nel corso dei secoli da trono a sedia, la quale – uniformando l’altezza dei lavoratori – contribuisce a ridurre le gerarchie sociali. Si è mostrato18 che l’effetto civilizzante e socializzante della sedia e della seduta sono estremamente importanti per la genesi dell’uomo moderno. Di analoga importanza è la compenetrazione tra l’essere umano e il computer, il tablet e il telefono cellulare. Questi apparecchi diventano parte delle persone, la cui vita quotidiana non è più possibile senza di essi. Per esplorare queste implicazioni, sono
18. H. Eickhoff, Himmelsthron und Schaukelstuhl. Die Geschichte des Sitzens, Hanser, München 1993.
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necessarie indagini storiche ed empiriche sulla materialità degli artefatti e sul modo in cui le persone li usano. Ciò richiede analisi storiche e ricerche etnografiche. La scienza dell’educazione recepisce il confronto non solo con la materialità dei corpi umani e delle pratiche sociali, ma anche con la materialità delle cose19. In queste forme di apprendimento culturale, i processi mimetici giocano un ruolo importante. L’esempio dell’Infanzia berlinese di Walter Benjamin e la ricostruzione della vita infantile in questa autobiografia rivelano come Benjamin, da bambino, accedesse al mondo della casa dei genitori attraverso processi mimetici. In questi processi, egli incorpora la materialità di luoghi, spazi, strade, case e cose. Egli mostra come gli spazi e le cose diano vita a sentimenti e come il suo mondo da bambino sia costituito magicamente. Benjamin percepisce il mondo delle cose negli angoli, nelle fessure e cavità, sui balconi, negli armadi, nelle casset19. K. Priem - G. König - R. Casale (a cura di), Die Materialität der Erziehung: Kulturelle und soziale Aspekte pädagogischer Objekte, in «Zeitschrift für Pädagogie», n. 58, 2012; A.-M. Nohl - C. Wulf (a cura di), Mensch und Ding, cit.
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tiere e soglie; ha esperienze tattili e percepisce odori che vengono incorporati secondo movimenti mimetici20. Nell’atto di ricordare, c’è un riferimento alle cose, al materiale della memoria. Secondo Benjamin, la capacità mimetica del bambino di relazionarsi con gli oggetti del mondo, di rendersi simile ad essi, di leggerli, penetra nel linguaggio e nella scrittura. Nel processo, il “talento mimetico”, che un tempo era il «fondamento della chiaroveggenza», si produce nel linguaggio e nella scrittura come il «più completo archivio di somiglianze non sensibili». Essere simili e diventare simili creano costellazioni centrali, attraverso le quali si forma gradualmente il rapporto con le cose e con sé stessi21. La materialità delle cose ha un carattere di stimolo. Molti prodotti sociali e culturali sono prodotti e disposti in modo tale da invitare i bambini a confrontarsi con essi e a trattarli in un certo modo. Spesso il modo in cui questi prodotti ap-
20. G. Gebauer - C. Wulf (a cura di), Mimesis, cit.; G. Gebauer - C. Wulf (a cura di), Spier, Ritual, Geist, cit.; C. Wulf, Ikonologie des Performativen, cit. 21. C. Wulf, Anthropologie. Geschichte, Kultur, Philosophie, cit.; Id., Anthropology, cit.
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paiono si basa su una messa in scena sociale o economica. La messa in scena delle cose come merci ne è un esempio. Le cose vengono messe in scena anche nel campo della pedagogia. Rousseau parla di una pedagogia delle cose già nell’Émile22. Sono le cose che invitano i bambini a trattarle in un certo modo. Il loro carattere di sollecitazione «contraddice la libera disponibilità degli oggetti materiali da parte del soggetto che agisce da solo e ne dispone, perché la sollecitazione lo precede»23. Tanto meno le cose da sole spingono alla comprensione di un ordine culturale, come se il loro significato potesse essere letto senza ulteriori indugi. Molti contributi della ricerca sulla (prima) infanzia mostrano come gli oggetti avviino e controllino i processi di apprendimento. Esempi impressionanti sono 22. C. Stieve, Von den Dingen lernen: Die Gegenstände unserer Kindheit, Fink, München 2008; E. Sørensen, The Materiality of Learning. Technology and Knowledge in Educational Practice, Cambridge University Press, Cambridge (UK) 2009; A.-M. Nohl, Pädagogik der Dinge, Klinkhardt, Bad Heilbrunn 2011. 23. C. Stieve, Differenzen früher Bildung in der Begegnung mit den Dingen. Am Beispiel des Wohnens und seiner Repräsentation im Kindergarten, in A.-M. Nohl - C. Wulf (a cura di), Mensch und Ding, cit., pp. 189-202: p. 192.
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gli strumenti musicali24, l’abitare gli spazi25 e l’uso degli oggetti nella quotidianità degli asili nido26. Nei processi di apprendimento scolastico, questo orientamento costituisce un importante contrappeso all’uso eccessivo dei media elettronici, nel cui contesto l’incontro con le cose è sostituito dall’incontro con le loro immagini.
4. Conoscenza tacita Le tre “svolte” sopra citate e le prospettive ad esse associate portano allo sviluppo di nuovi campi di ricerca con nuove intenzioni, metodi e risultati. Nell’ambito di ciascuna prospettiva, è possibile identificare aree che sono state escluse dal rispettivo focus e che, sebbene strettamen24. F. Montandon, Das Musikinstrument und die Pädagogik der Dinge, in A.-M. Nohl - C. Wulf (a cura di), Mensch und Ding, cit., pp. 71-89. 25. C. Stieve, Differenzen früher Bildung in der Begegnung mit den Dingen, cit. 26. S. Neumann, Die anderen Dinge der Pädagogik. Zum Umgang mit alltäglichen Gegenständen in Kinderkrippen, in A.-M. Nohl - C. Wulf (a cura di), Mensch und Ding, cit., pp. 107-121.
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te correlate alle questioni indagate, non sono state trattate. Con l’attenzione alle immagini, all’iconico e ai media nella prima corrente qui descritta, si è persa di vista la materialità del corpo umano, le sue messe in scena, la dimensione della performance e dei movimenti, così come la materialità della tecnologia e dei nuovi media. Ciò è sorprendente, poiché la performatività è parte integrante e condizionale delle immagini, dei media e delle nuove forme di immaginazione. La situazione è cambiata nella seconda svolta, in cui queste prospettive, tralasciate nella prima svolta, sono diventate il centro dell’attenzione. Sebbene il corpo, i suoi movimenti, le sue messe in scena e le sue performance ricevano ora una grande attenzione, il sapere implicito, tacito, efficace nel corpo non è quasi mai diventato un tema27. Anche quando si è parlato di conoscenza pratica, i modi di incorporazio27. G. Brandstetter, Tanz als Wissenskultur. Körpergedächtnis und wissenstheoretische Herausforderung, in S. Gehm - P. Husemann - K. von Wilcke (a cura di), Wissen in Bewegung. Perspektiven der künstlerischen und wissenschaftlichen Forschung im Tanz, transcript, Bielefeld 2007, pp. 37-49; S. Gehm - P. Husemann - K. von Wilcke (a cura di), Wissen in Bewegung, cit.; S. Huschka (a cura di), Wissenskultur Tanz. Historische und zeitgenössische
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ne della conoscenza non sono stati esaminati, o lo sono stati soltanto in parte. Solo quando la performatività è stata tematizzata in relazione ai processi mimetici, è emersa l’importanza della conoscenza implicita e incorporata per l’azione sociale28. Per quanto l’interesse per la materialità dei media, delle nuove tecnologie, del corpo e delle cose sia diventato centrale nella terza svolta, ci si chiede se non si sia prestata troppa poca attenzione alla sua interconnessione con la soggettività delle persone e se la pluralità dei soggetti e l’impatto di questa prospettiva sulla comprensione della materialità non siano stati sospinti nel regno della conoscenza tacita o implicita. Gilbert Ryle aveva sottolineato già negli anni Quaranta – con la distinzione tra “knowing how” e “knowing that” (sapere come e sapere che) – che esistono diverse forme e pratiche di conoscenza, di cui quelle designate col titolo “sapere come” sono difficili da sottoporre a indagine29. In queste pratiche, l’attenzione non si Vermittlungsakte zwischen Praktiken und Diskursen, transcript, Bielefeld 2009. 28. C. Wulf, Zur Genese des Sozialen, cit.; Id., Anthropolo gy, cit.; Id., Das Rätsel des Humanen, cit. 29. G. Ryle, Knowing How and Knowing That, cit.
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concentra sull’acquisizione di una conoscenza fattuale linguisticamente esprimibile. Piuttosto, il “sapere come” denota un’abilità che mette in condizione di agire. Un esempio di questa sfera sono i rituali, che non riguardano spiegazioni, giustificazioni e chiarimenti, ma che vengono messi in scena e rappresentati. La conoscenza richiesta è una conoscenza performativa della pratica e dell’azione. Si tratta di una conoscenza diversa da quella necessaria per descrivere, interpretare e analizzare i rituali. Il “sapere come” è quindi un sapere pratico, un’abilità incorporata che diventa visibile nella sua esecuzione. Altri esempi di questo sapere che si esprime come abilità sono i giochi e le pratiche sportive (ad esempio, giocare a calcio), la danza, la musica, la pittura, il teatro o la performance. L’“abilità” è richiesta come forma centrale di conoscenza anche per le pratiche della vita quotidiana, come guidare, cucinare, usare un telefono cellulare o un sistema di navigazione. In questi casi, una pratica (come guidare un’auto) viene appresa solo quando si è compresa la spiegazione di come impararla. Tuttavia, non è necessario tenere a mente questa spiegazione quando si esegue la pratica. Finché questo è necessario, la pratica non è ancora svolta
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“abilmente”. Solo quando è incorporata si ha la capacità di praticarla, ad esempio per guidare un’automobile. Ne consegue che l’abilità pratica è un’importante forma di conoscenza, che dovrebbe ricevere maggiore attenzione e riconoscimento sociale. Le forme di conoscenza pratica sono costitutive di molte scienze quali la medicina, il diritto e l’educazione. Come osservato da Gilbert Ryle, la pratica di successo precede la sua stessa teoria. Sabine Huschka sottolinea giustamente che Ryle non fa distinzione tra conoscenza pratica e teorica: il “sapere come” descrive un’abilità basata in egual misura sulla teoria e sulla pratica, che può mostrarsi e manifestarsi in diversi campi di applicazione30.
Non così Michael Polanyi, che concepisce la conoscenza come un processo di coscienza e di pensiero, un conoscere in azione, e quindi scrive: Considero la conoscenza come una comprensione attiva delle cose conosciute, come un’azione che richiede abilità. Il conoscere e l’operare 30. S. Huschka, Bewegung, in A. Kraus - J. Budde M. Hietzge - C. Wulf (a cura di), Schweigendes Wissen, cit., pp. 629-642: p. 640.
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abilmente si realizzano subordinando un insieme di particolari, come spunti o arnesi, all’azione modellatrice di un’abile realizzazione pratica o teorica31.
Polanyi osserva che se si punta il dito contro un muro e si chiede a qualcuno di guardare, la persona interpellata guarda il muro, non il dito, e conclude: Una modalità è quella di guardare una cosa. Questa è la modalità di guardare un muro. Ma come descrivere il modo in cui vedete il mio dito puntato sul muro? Non state guardando il mio dito, state guardando al di là di esso. Direi che non lo vedete come un mero oggetto da guardare per sé stesso, ma come un oggetto con una funzione: il compito di dirigere la vostra attenzione lontano da sé e verso qualcos’altro. Questo non significa, però, che il mio dito significante vi esorti a non prestargli attenzione. Non è affatto così. Vuole essere visto, ma solo per essere obbedito, non per essere guardato32.
31. M. Polanyi, La conoscenza personale, in Id., La società libera. Pensieri liberali, tr. it., a cura di M. Baldini e A. Malavasi, Armando, Roma 2006, p. 69. 32. M. Polanyi, The Body-Mind Relation, in Id., Society, Economics & Philosophy. Selected Papers, a cura di
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In questo caso, vi è la conoscenza implicita che il bersaglio dell’indicazione percettiva non è il dito, ma la parete verso cui esso punta, e quindi è necessario focalizzare la percezione sul movimento verso la parete. Polanyi fa ripetutamente ricorso ad esempi per illustrare cosa intenda con conoscenza tacita: ad esempio, un pianista che si concentrasse sui singoli movimenti delle sue dita si paralizzerebbe e perderebbe di conseguenza la capacità di eseguire il brano musicale. Con riferimento al ciclismo e all’equilibrio che esso richiede, Polanyi spiega quanto siano complesse le pratiche conoscitive nelle abilità fisiche: Non possiamo imparare a mantenere l’equilibrio su una bicicletta imparando a memoria che, per compensare un dato angolo di obliquità α, dobbiamo percorrere una curva dal lato del disequilibrio il cui raggio (r) deve essere proporzionale al quadrato della velocità (ν) durante il disequilibrio. […] Questa conoscenza non ha alcun senso se non è conosciuta implicitamente33.
R.T. Allen, Transaction Publisher, New Brunswick 1969, pp. 313-328: p. 313. 33. M. Polanyi, The Logic of Tacit Inference, in Id., Society, Economics & Philosophy, cit., pp. 138-158: p. 144.
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Da questa osservazione si può concludere che «una conoscenza fisica dei campi di forza dei movimenti non è in grado di apportare alcun contributo per rapportarsi al gioco somaticocinestetico delle forze di equilibrio»34. Un modo per appropriarsi e incorporare la conoscenza tacita è attraverso i processi mimetici. Questi non si limitano ai contesti linguistici e alla discorsività. Nei processi mimetici può verificarsi un’imitazione creativa di immagini, movimenti e comportamenti performativi, nonché un’appropriazione degli oggetti materiali, che vengono ripresi e incorporati nell’immaginario. Questi processi saranno brevemente illustrati di seguito.
5. L’appropriazione mimetica delle immagini Mediante l’appropriazione mimetica delle immagini, è possibile cogliere la pittoricità (iconicità) delle immagini, la performatività del comportamento e dell’azione sociale e la materialità
34. S. Huschka, Bewegung, cit., p. 640.
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delle cose. Nei processi mimetici può essere rivelato il carattere iconico delle immagini, che appartiene almeno in parte alla conoscenza tacita. In esso, lo spettatore sperimenta il suo «insuperabile potere di disporre» dell’immagine e impara che «l’identità dell’immagine come forma vicaria di rappresentazione non può essere rappresentata da nient’altro»35. Le immagini hanno una qualità irriducibile inerente alla loro pittoricità, cui lo spettatore è ripetutamente rinviato. È nell’esperienza estetica che si fa l’esperienza dell’Altro, quell’esperienza che Rimbaud ha colto in modo così convincente: «Je est un autre»36 (Io è un altro). Ciò che René Char ha detto delle poesie si applica per analogia all’arte “visiva”: le immagini sanno qualcosa di noi, che noi stessi non sappiamo. Esse presentano un elemento di sorpresa che non può essere previsto e che spesso sfugge alla razionalità quotidiana, e che ci è dato prima che il significato delle immagini ci venga rivelato. I processi mimetici mirano 35. M. Imdhal, Ikonik. Bilder und ihrer Anschauung, in G. Boehm (a cura di), Was ist ein Bild?, cit., pp. 300-325: p. 319. 36. A. Rimbaud, La lettera del veggente a Paul Demeny, tr. it. di D. Bregola, Oligo, Mantova 2021.
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alla “riproduzione” delle immagini con l’aiuto della vista e alla loro incorporazione nel mondo immaginario “interno” con l’aiuto dell’immaginazione. La riproduzione delle immagini è un processo di appropriazione mimetica che trasporta le immagini, con la loro pittoricità, nel mondo dell’immaginazione e della memoria. L’elaborazione mimetica delle immagini mira all’appropriazione della loro pittoricità, che si dà prima, durante, dopo e al di fuori di qualsiasi interpretazione. Quando le immagini vengono assorbite nell’immaginario “interiore”, costitui scono punti di riferimento per interpretazioni che possono anche cambiare nel corso della vita. Indipendentemente dalle rispettive interpretazioni, la ripetuta manipolazione mimetica delle immagini è un atto di appropriazione e persino di cognizione. Esso comporta concentrazione e dedizione nel ricreare le immagini immaginarie e richiede ripetutamente un “ritocco” attraverso l’incontro visivo con le immagini reali o con le loro riproduzioni. Nell’incontro mimetico con le immagini si rinuncia alla disponibilità. La comprensione visiva delle forme e dei colori richiede una repressione delle immagini e dei pensieri che sorgono nell’“interno” dello spettatore; richiede un trattenimento dell’immagine
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nel vedere, un’apertura alla sua pittoricità e un abbandono ad essa. Il processo mimetico consiste nel rendere lo spettatore simile all’immagine attraverso la sua riproduzione visiva, portandola dentro di sé ed espandendo così il suo mondo immaginario “interiore”. La visione mimetica è attiva e passiva allo stesso tempo; è diretta verso il mondo e lo riceve allo stesso tempo. Il modo in cui questa relazione tra attività e passività deve essere intesa è stato valutato in modo diverso nella storia della visione. Al più tardi a partire dall’opera di MerleauPonty, si può assumere che il mondo – e quindi anche le immagini create dagli esseri umani – ci guardano. Il vedere è chiastico37; in esso, il mondo e l’essere umano si intersecano. Quando si ha a che fare con le immagini, il vedere mimetico svolge un ruolo importante. In esso, lo spettatore si apre al mondo. Assimilandosi ad esso, espande il suo mondo esperienziale. Prende un’immagine del mondo e la incorpora nel proprio immaginario mentale. Attraverso la comprensione visiva delle forme e dei colori, della materia e delle sue strutture, questi 37. M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, cit.
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elementi si trasformano nel mondo interiore e diventano parte dell’immaginario. In tale processo, l’unicità del mondo viene assorbita nella sua manifestazione storica e culturale. L’obiettivo è di proteggere il mondo e l’immagine da interpretazioni sbrigative che, ad esempio, catturano e interpretano l’immagine dal punto di vista linguistico, ma non sfruttano appieno il suo carattere iconico di “immagine”. Piuttosto, è importante sopportare l’incertezza, l’ambiguità e la complessità delle immagini senza cercare di stabilirne l’univocità. Nella comprensione mimetica, ci si espone all’ambivalenza del mondo e delle immagini. In questo processo, è necessario imparare “a memoria” il ritaglio del mondo o dell’immagine. In relazione alle immagini, ciò significa che bisogna chiudere gli occhi e – con l’aiuto di un processo mimetico – creare l’immagine vista dinanzi all’occhio “interno”, dirigendo l’attenzione sull’immagine, proteggendola dalle altre immagini convogliate dal flusso mentale e “trattenendola” come tale con l’aiuto della concentrazione e della forza di pensiero. Riprodurre un’immagine nella visualizzazione è il primo passo; mantenerla, lavorarci sopra, svilupparla attraverso riferimenti ripetuti con l’aiuto dell’immaginazione sono ulteriori
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passi nel rapporto mimetico con le immagini. La riproduzione di un’immagine nella visualizzazione e il soffermarsi con attenzione su di essa non sono meno importanti della sua gestione interpretativa. L’intreccio di questi due aspetti del rapporto con le immagini è uno stadio necessario del processo educativo.
6. L’appropriazione mimetica del sapere performativo e pratico In una prima approssimazione, le azioni sociali sono descritte come mimetiche se costituiscono dei movimenti che si riferiscono ad altri movimenti, se possono essere intese come performance corporee o messe in scena, e se sono azioni indipendenti che possono essere comprese dall’interno di sé stesse e si riferiscono ad altre azioni o ad altri mondi38. Quando qualcuno agisce in riferimento a una pratica culturale già esistente e quindi produce egli stesso una pratica culturale, si crea una relazione mimetica tra 38. G. Gebauer - C. Wulf, Spiel, Ritual, Geste, cit.; Iid., Mimetische Weltzugänge, cit.
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le due; ad esempio, quando si esegue una pratica culturale, quando si agisce secondo un modello sociale, quando si esprime fisicamente una rappresentazione sociale. Allo stesso tempo, le azioni mimetiche non sono semplici riproduzioni che seguono esattamente un modello; nelle pratiche culturali mimate si produce qualcosa di specifico. Le persone sviluppano le abilità performative del gioco, dello scambio di doni e dell’azione rituale, variabili da cultura a cultura, all’interno di processi mimetici. In ciascun caso, per poter agire “correttamente” è necessaria una conoscenza pratica che si acquisisce attraverso processi di apprendimento mimetico, sensibile e corporeo in diversi campi d’azione. Anche le rispettive caratteristiche culturali dell’azione sociale possono essere colte solo mediante approssimazioni mimetiche. La conoscenza pratica e le azioni sociali sono fortemente plasmate in senso storico e culturale. Ciò è particolarmente evidente nei rituali e nella conoscenza pratica appresa in essi, per il cui sorgere sono di particolare importanza la messa in scena e la rappresentazione, la ripetizione e l’apprendimento mimetico associato.
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L’acquisizione della conoscenza pratica nei processi mimetici non deve necessariamente basarsi sulla somiglianza. Se la conoscenza mimetica viene acquisita in riferimento a un mondo precedente di azioni sociali o attività performative, può essere determinata solo in un confronto tra i due mondi, ossia dal punto di vista del riferimento mimetico. La somiglianza, tuttavia, è un’occasione frequente di impulso mimetico. Anche l’instaurazione di un contatto magico può diventare il punto di partenza dell’azione mimetica. Il riferimento mimetico è necessario anche per la demarcazione dell’azione dalle pratiche sociali esistenti: esso, infatti, genera la possibilità di accettazione, differenziazione o rifiuto delle azioni sociali precedenti. Nei processi mimetici si verifica un cambiamento e un modellamento imitativo dei mondi precedenti. È questo il momento innovativo degli atti mimetici. Le pratiche culturali sono mimetiche quando si riferiscono ad altri atti e possono essere intese come disposizioni sociali che rappresentano pratiche culturali indipendenti, oltre ad avere un riferimento ad altri atti. Le azioni culturali sono possibili grazie all’emergere di conoscenze pratiche nel corso dei processi mi-
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metici. Il sapere pratico rilevante per le azioni culturali è corporeo e ludico, oltre che storico e culturale; si forma in situazioni faccia a faccia ed è semanticamente ambiguo; ha componenti immaginarie, non può essere ridotto all’intenzionalità, contiene un surplus di significato e si rende evidente nelle attuazioni e nelle performance culturali della religione, della politica e della vita quotidiana.
7. L’appropriazione mimetica della materialità delle cose Nel suo già citato scritto Infanzia berlinese intorno al Millenovecento, Walter Benjamin ricorda come da bambino si sia appropriato di luoghi, spazi, strade, case, cose ed eventi mediante processi mimetici. Da bambino, come un mago, egli generava corrispondenze e creava somiglianze tra sé e il mondo. In alcuni casi, il bambino legge il mondo vivente e stabilisce relazioni anche quando non c’è alcuna somiglianza sensoriale. In altri casi, stabilisce una somiglianza e si assimila alle cose. Lasciando che le sue braccia diventino pale di mulino rotanti
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ed emettendo i suoni del vento con la bocca, il corpo del bambino diventa un mulino a vento. Nella memoria, il bambino fa assomigliare il suo corpo alla macchina e sperimenta – almeno nel gioco – un’esperienza di potere sulla natura e sulle cose. Allo stesso tempo, sperimenta anche la possibilità di usare il proprio corpo per la rappresentazione e di esprimere emozioni in modo performativo, oltre che di trovare attenzione e riconoscimento in relazione a questi atti. Nella memoria dell’infanzia, le cose non sono prive di vita; guardano al passato, suonano, odorano e trasmettono esperienze tattili. Nel contesto della caccia alle farfalle, ad esempio, Benjamin osserva l’imporsi della vecchia regola del cacciatore. Più si assimilava all’animale in tutte le sue fibre, più diventava farfalla dentro di sé, più questa farfalla acquistava un colore umano in ciò che faceva e in ciò che non faceva, e alla fine era come se la sua cattura fosse il prezzo da pagare per riappropriarsi della sua umanità39. In questa scena, è chiaro il carattere mimetico delle esperienze del bambino, che 39. W. Benjamin, Infanzia berlinese intorno al Millenovecento, tr. it., a cura di E. Ganni, Einaudi, Torino 2007.
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porta a un arricchimento delle sue esperienze. Il bambino diventa farfalla dentro di sé; allo stesso tempo, la farfalla diventa umana. La sua cattura permette di delimitare e assicurare nuovamente l’umanità del bambino. Evidentemente, l’autocoscienza del bambino può prodursi solo dominando l’oggetto. Attraverso i processi mimetici, le immagini e i suoni della prima infanzia si fissano nel “sé profondo”, da cui possono essere richiamati alla coscienza con l’aiuto di stimoli visivi o acustici. A volte queste esperienze si ripetono mimeticamente. Nell’atto di ricordare, si verifica un riferimento mimetico al materiale del ricordo: ciò che è ricordato è presentato in modo specifico e diverso a seconda della situazione. I ricordi differiscono per intensità e significato nel momento in cui vengono ricordati. La differenza tra i diversi atti di ricordare lo stesso evento può essere intesa come una differenza nella costruzione del ricordo e nella rappresentazione mimetica. Essere simili e diventare simili sono elementi centrali attraverso i quali si forma gradualmente il rapporto con il mondo, con il linguaggio e con noi stessi. Con l’aiuto di questi processi,
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avviene l’integrazione nelle relazioni strutturali e di potere espresse nel mondo simbolicamente codificato, rispetto al quale la distanza, la critica e il cambiamento diventano possibili solo in un secondo momento. Con l’aiuto della capacità mimetica, il bambino assume il significato degli oggetti, delle forme di rappresentazione e dell’azione. In un movimento mimetico, il bambino costruisce un ponte verso l’esterno. Al centro dell’attività mimetica c’è il riferimento all’altro, al quale è necessario assimilarsi. In questa attività c’è una pausa, un momento di passività che risparmia gli oggetti del mondo e che è caratteristico dell’“impulso mimetico”.
8. Sguardo d’insieme Concentrandoci sulla conoscenza tacita e indicando le possibilità di una sua parziale appropriazione nei processi mimetici, abbiamo proposto un campo di ricerca per gli studi culturali e pedagogici in cui possono confluire importanti risultati tratti dalle svolte degli ultimi anni. In questa prospettiva si rendono necessari un ampliamento e una rivalutazione delle prospettive
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legate alla pratica e alla performatività, nonché la volontà di sviluppare nuovi approcci, forme di esperienza e di riflessione per affrontare la pratica e la formazione professionale nei campi del lavoro pratico. Questo orientamento è tanto più importante in quanto, sotto il dominio della ricerca educativa empirica, negli ultimi anni si è prestata insufficiente attenzione ai problemi della pratica pedagogica. Esplorare ulteriormente le pratiche pedagogiche e la conoscenza tacita in esse implicita secondo le prospettive della actor-network thoery, dei nuovi media, dell’immaginazione, della performatività e della materialità rappresenta una sfida in termini sia concettuali che metodologici.
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IV Pace, diversità culturale e sostenibilità come compiti di un’educazione globale
Anche se il futuro è sconosciuto all’essere umano, esso contribuisce a plasmare l’orizzonte del l’educazione. I bambini e i giovani dovrebbero essere educati in modo da essere pronti al futuro. Anche se non è possibile specificare esattamente ciò che appartiene a un’educazione capace di futuro, non c’è dubbio che la pace, la gestione della diversità culturale e la sostenibilità appartengono alle condizioni di un’educazione capace di futuro nella modernità globale. Le tre aree sono interconnesse. Quando si affrontano i temi della pace, le questioni della diversità culturale e della sostenibilità giocano un ruolo importante. L’educazione alla sostenibilità non è possibile senza tenere conto della diversità culturale e della giustizia sociale. È ovvio che tutti e tre i campi di attività sono di estrema attualità. È necessario sviluppare una
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cultura della pace, della diversità culturale e della sostenibilità, contribuendo così a dare forma critica e creativa all’era dell’essere umano, l’Antropocene. Ciò implica cambiamenti sociali fondamentali, per la realizzazione dei quali la sfera dell’educazione, e in particolare la scuola, ha un compito cruciale. Per quasi cinquant’anni, l’UNESCO e altre istituzioni hanno cercato di sviluppare concetti educativi per la comunità mondiale. Molti di essi sono diventati importanti prerequisiti per un’educazione globale sostenibile e saranno quindi brevemente presentati.
1. Verso un’educazione alla pace Nel contesto dell’UNESCO, l’educazione è intesa come parte della cultura; allo stesso tempo, vengono sottolineati gli effetti educativi, formativi e socializzanti della cultura. Gli effetti educativi della cultura e il carattere culturale dell’educazione sono al centro dell’attenzione dell’UNESCO, che in ciò si differenzia da altre organizzazioni internazionali. Questa connessione tra cultura e educazione distingue il concetto di educazione dell’UNESCO dalle idee,
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più diffuse, di stampo utilitaristico e orientate economicamente. Il modo in cui il concetto di educazione dell’UNESCO si è sviluppato è illustrabile con riferimento ai tre contributi fondamentali sull’educazione, pubblicati negli ultimi 45 anni: il Faure-Report Learning to Be, il Delors-Report Learning. The Treasure within e Rethinking Education. Towards a Global Common Good?1. Ciò che accomuna questi studi è il tentativo di sviluppare un quadro di riferimento basato sui diritti umani per l’educazione in una società globale. Il Faure-Report si occupa di sviluppare i due concetti interconnessi di “società dell’apprendimento” e di “educazione permanente”. Vi si chiarisce che in un mondo sempre più complesso l’apprendimento non può essere limitato a quello scolastico. L’apprendimento avviene anche nella vita e nelle istituzioni sociali, nel mondo del lavoro, nei media e nel tempo libero, e questo 1. E. Faure et al., Learning to be. The World of Education Today and Tomorrow, UNESCO, Paris 1972; J. Delors et al., Learning. The Treasure Within, UNESCO, Paris 1996; UNESCO, Rethinking Education. Towards a Global Common Good?, UNESCO, Paris 2015.
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per tutta la vita. Il rapporto sottolinea il diritto di ogni individuo a imparare nel corso della vita ai fini del proprio sviluppo personale, sociale, economico, politico e culturale. Il Delors-Report riprende queste idee e sviluppa i quattro pilastri dell’apprendimento: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare a essere. Vi si sottolinea la stretta connessione tra il carattere della società in cui le persone vivono e il modo in cui le persone apprendono. Si sottolinea la necessità di concepire l’educazione non solo in termini funzionalistici, ma di metterla in relazione con lo sviluppo dell’intera persona. Nel fare ciò, è importante essere guidati dai valori che stanno alla base del lavoro dell’UNESCO: occorre evitare un’educazione strumentale e prevalentemente legata agli interessi del mercato. Dagli anni Settanta e Novanta, il contesto globale è cambiato e ci troviamo ora in una fase di profondo mutamento. Questo è determinato da una crescente interdipendenza delle società e da nuove forme di complessità, incertezza e tensione2. La globalizzazione ha portato alla riduzione della povertà, ma allo stesso 2. I.C. Gil - C. Wulf, Hazardous Future. Disaster, Representation and the Assessment of Risk, de Gruyter, Berlin 2015.
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tempo ha creato un numero crescente di posti di lavoro a bassa retribuzione e di giovani disoccupati. Le disuguaglianze tra le regioni e all’interno di molti paesi sono in aumento. Spesso i sistemi educativi contribuiscono a creare queste discrepanze anziché a ridurle. Televisione, Internet, tecnologie mobili e altri media digitali offrono nuove opportunità per la produzione culturale e l’istruzione. Attualmente appena la metà delle persone è connessa a Internet, che presenta una distribuzione regionale molto diversa. L’educazione oggi non può essere vista solo in un contesto nazionale o regionale, ma deve essere inquadrata in una cornice globale. Aspetti importanti sono la crescita economica ed ecologica, nonché quella demografica e urbana. La crescente mobilità dei giovani in un contesto globale crea nuovi problemi e difficoltà, ma anche nuove competenze e abilità. La sostenibilità e lo sviluppo sociale portano a trasformazioni globali e a nuovi orizzonti di apprendimento. In relazione a questo sviluppo, sta emergendo una nuova diversificazione delle immagini dell’essere umano, delle visioni del mondo e dei sistemi di conoscenza. Da un punto di vista concettuale, queste aree trovano il loro attuale fondamento nel volume
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dell’UNESCO Rethinking Education del 2015, che cerca di determinare come l’educazione debba essere intesa nel mondo globalizzato e quale significato tali aree abbiano. Un obiettivo è quello di aggiornare i valori, i concetti e le pratiche che l’UNESCO ha sviluppato finora. Un altro è quello di elaborare nuove idee e strategie più adatte alle condizioni del mondo che cambia. Ciò pone la sostenibilità al centro dell’educazione. Allo stesso tempo, si confermano le tradizioni educative umanistiche valide per l’UNESCO. Diventa quindi evidente quanto sia importante pianificare e sviluppare strategie per raggiungere gli obiettivi dello sviluppo sostenibile e dell’educazione a livello mondiale. Infine, diventa chiaro che non è sufficiente considerare l’educazione come una questione che riguarda solo gli individui. È anche un compito della società e, in quanto tale, un bene comune. Il progresso nell’istruzione non è solo una conquista degli individui, ma anche delle comunità e deve quindi essere inteso come un bene comune. In merito all’orientamento dell’educazione verso una comprensione globale della sostenibilità, si legge: La sostenibilità è intesa come un’azione responsabile da parte delle persone e della società con
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l’obiettivo di un futuro migliore per tutti, sia a livello locale che globale – un futuro in cui la giustizia sociale e la responsabilità ecologica determinano lo sviluppo socio-economico. I cambiamenti nel mondo interconnesso e interdipendente di oggi portano con sé un nuovo livello di complessità, tensioni e paradossi, ma anche nuovi orizzonti di conoscenza da prendere in considerazione3.
Negli ultimi anni, il consumo di risorse a livello mondiale è aumentato vertiginosamente. Data la loro limitatezza, non si può continuare a concepire la sola crescita economica come obiettivo dello sviluppo. Lo sviluppo deve essere ridefinito. Certamente, questo include conoscenze e comportamenti che vadano a migliorare le condizioni di vita nelle città, dato che la crescente urbanizzazione comporta che due terzi di tutte le persone vivranno in città entro il 2050. L’istru zione deve aiutare le persone a far fronte a queste mutate condizioni di vita, che comprendono anche le sfide del «mondo cibernetico»4, i cambiamenti climatici e la scarsità di molte risorse. 3. UNESCO, Rethinking Education, cit., p. 20. 4. M. Kontopodis - C. Varvantakis - C. Wulf (a cura di), Global Youth in Digital Trajectories, cit.
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Per far fronte alle nuove condizioni di vita sono necessarie nuove forme di creatività. L’educazione deve basarsi su un approccio “umanistico” all’educazione, mediante il quale il lavoro dell’UNESCO a partire dagli anni Cinquanta deve essere confermato e ulteriormente sviluppato in futuro. In termini normativi, l’educazione sostenibile deve essere orientata alla dignità umana, all’uguaglianza dei diritti per tutti, alla giustizia sociale, alla diversità culturale, alla solidarietà internazionale e alla responsabilità condivisa per un futuro sostenibile. La violenza, l’intolleranza, la discriminazione e l’esclusione devono essere ridotte. Esistono ancora diverse interpretazioni di ciò che si intende per “umanista”. Esse si orientano verso visioni atee e razionalistiche, antropocentriche e teocentriche dell’umanità, che presentano alcuni punti in comune, ma anche differenze o addirittura contraddizioni. Nonostante la diversità delle interpretazioni, si possono notare dei valori umanistici comuni. Questi includono lo sviluppo del pensiero critico e del giudizio indipendente, la risoluzione dei problemi, la capacità di dialogo e la competenza creativa, tenendo conto della sostenibilità e delle dimensioni sociale, etica, economica, culturale e spirituale.
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Un approccio umanistico porta la discussione sull’educazione oltre il suo ruolo utilitaristico nello sviluppo economico. […] L’istruzione non riguarda solo l’acquisizione di competenze. Si tratta anche di valori come il rispetto per la vita e la dignità umana, necessari per l’armonia sociale in un mondo diversificato»5.
Si chiede un «approccio olistico» all’educazione e all’apprendimento, «superando le tradizionali dicotomie tra aspetti cognitivi, emotivi ed etici»6. Vengono poi riaffermati i quattro “pilastri” dell’apprendimento citati nel DelorsReport. Attraverso la riforma dei metodi, dei contenuti, degli spazi di apprendimento, si devono creare reti diversificate e “paesaggi di apprendimento” che rendano possibile imparare in forme e media diversi. Inoltre, è necessario migliorare la professionalizzazione di insegnanti e educatori. Con la globalizzazione e con la conseguente limitazione dell’autonomia degli Stati nazionali, la complessità del processo decisionale e della pianificazione strategica sta crescendo. In mol5. UNESCO, Rethinking Education, cit., p. 37. 6. Ivi, p. 39.
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te regioni, le tensioni tra istruzione e mercato del lavoro stanno diventando più forti. Anche le buone qualifiche scolastiche non garantiscono il lavoro. Il risultato è una crescente frustrazione delle giovani generazioni. È necessario sviluppare nuove forme di transizione tra istruzione e lavoro. I corsi di formazione e i requisiti professionali devono essere collegati tra loro in modo più flessibile. La crescente mobilità nel mondo del lavoro e i problemi di “fuga e rientro dei cervelli” richiedono nuove forme di coordinamento tra gli Stati. L’apprendimento permanente è di importanza centrale per l’istruzione e la formazione delle persone. Le prospettive di una “educazione alla cittadinanza globale” (GCE) e le relative richieste ai sistemi nazionali di istruzione e formazione continuano a guadagnare peso7. Per sviluppare l’istruzione e la formazione al livello mondiale, l’impegno privato e l’istruzione e formazione pubblica devono collaborare. In quanto bene comune, l’istruzione è un compi-
7. R. Bernecker - R. Grätz (a cura di), Global Citizenship. Perspektiven einer Weltgemeinschaft, Steidl, Göttingen 2017.
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to sia pubblico che privato, il cui adempimento contribuisce in modo significativo a garantire il benessere comune di una società. L’inclusione, la trasparenza e la responsabilità sono compiti importanti per sviluppare il carattere democratico dell’istruzione. Questo vale per l’istruzione formale, ma anche per i processi educativi non formali e informali, che stanno diventando sempre più importanti. In molti paesi, il coinvolgimento dei privati e la privatizzazione dell’istruzione sono in aumento. In questo processo, i confini tra “pubblico” e “privato” si fanno sempre più labili. L’educazione come bene comune è distinta dall’educazione pubblica, in cui l’educazione è spesso vista da una prospettiva eccessivamente individualistica e socio-economica. L’educazione come bene comune include la considerazione della dimensione collettiva, della diversità culturale e della partecipazione. L’istruzione e la conoscenza sono anche beni globali che danno un importante contributo al benessere collettivo delle persone. Pertanto: Il discorso internazionale sullo sviluppo parla spesso dell’istruzione come di un diritto umano e di un bene pubblico. Il principio dell’istruzione come diritto umano fondamentale che consente la realizzazione di altri diritti umani è radicato nei
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quadri normativi internazionali. Esso assegna allo Stato il compito di garantire che il diritto all’istruzione sia rispettato, attuato e protetto. Oltre al suo ruolo nel fornire l’istruzione, lo Stato deve anche agire come garante del diritto all’istruzione8.
2. Pace, cultura della pace e educazione alla pace La guerra, la violenza, le difficoltà e l’oppressione minacciano gli esseri umani fin dalle loro origini. Possiamo descrivere come “pace” la situazione in cui sono sospesi l’impedimento o la minaccia per gli esseri umani. La pace è anche uno degli obiettivi centrali dei concetti religiosi di salvezza e delle utopie letterarie. Il Paradiso del cristianesimo, la Politeia di Platone, la Città del Sole di Campanella ne sono un esempio. Già in queste utopie si incontra l’idea che l’educazione possa e debba contribuire alla creazione della pace. Questa convinzione prende forma nel XVII secolo con Comenio e nel XVIII secolo con Condorcet. L’anelito alla pace, nato dalla necessità del tempo, si combina con le idee di 8. Ivi, p. 75.
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educabilità e perfettibilità dell’essere umano. Il perfezionamento del singolo essere umano e il miglioramento della società ai fini di una maggiore giustizia sociale appaiono come compiti equivalenti e intrecciati. Senza un riferimento alle idee di una società più giusta, cioè più pacifica, l’educazione è possibile solo in modo inadeguato. Un’educazione impegnata nell’Illuminismo, nelle possibilità della libertà umana e nella relativa autonomia contiene quindi anche una prospettiva critica sulle condizioni esistenti e la pretesa di consentire alla prossima generazione di migliorarle. Un’educazione impegnata in queste idee deve fare riferimento alla “pace” come obiettivo dello sviluppo sociale e individuale ed è quindi anche un’educazione alla pace. Inoltre, oggi sembra sensato parlare di educazione alla pace in senso stretto. A causa delle armi moderne, la minaccia di guerre e violenze verso le persone è più grande che mai. La pace è diventata un prerequisito per la vita umana. Oggi, non solo la vita degli individui, delle generazioni o delle nazioni, ma anche la sopravvivenza dell’intera umanità dipende dal mantenimento o dall’instaurazione della pace. È quindi
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essenziale affrontare le precondizioni e le condizioni di guerra, violenza e disagio materiale nel contesto dell’educazione e cercare modi per contribuire alla loro riduzione. L’educazione alla pace rappresenta il tentativo dell’educazione di contribuire alla riduzione della violenza e delle condizioni distruttive dell’Antropocene. Molte di queste condizioni macro-strutturali rappresentano problemi sistemici che possono essere affrontati solo parzialmente attraverso l’educazione. L’educazione alla pace parte dal presupposto che il confronto costruttivo con i principali problemi che affliggono l’umanità nell’Antropocene debba essere parte di un processo di apprendimento permanente che dovrebbe iniziare nell’infanzia e nell’adolescenza e non interrompersi in età avanzata. Gli sforzi per educare alla pace variano nelle diverse regioni del mondo. Nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, l’educazione alla pace cerca di contribuire allo sviluppo economico, sociale, nazionale e, in alcuni casi, regionale. Negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale, l’educazione alla pace assume una prospettiva critica sulla società, sulla sua violenza intrinseca e sul suo ruolo nel sistema internazionale. Dall’inizio degli anni Ottanta è emersa una connes-
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sione tra il movimento ecologico internazionale e il movimento per la pace. L’educazione alla pace riguarda approcci che cercano di plasmare il processo educativo delle giovani generazioni con obiettivi correlati, che includono: educazione alla comprensione internazionale, educazione internazionale, educazione alla sopravvivenza (survival education), educazione globale (global education), educazione allo sviluppo, (development education), educazione alla cittadinanza globale (global citizenship education). In Germania, l’educazione alla pace è intesa come una parte importante dell’educazione politica. In questo senso, si differenzia dagli sforzi precedenti, che negli anni Sessanta intendevano l’educazione alla comprensione internazionale come educazione alla pace, che partivano dal principio della pacificità umana, costantemente messa in pericolo dall’aggressione, e che consideravano la pace soprattutto una questione di comportamento morale. L’educazione alla pace si differenzia anche dagli sforzi per sviluppare il senso di responsabilità e per apprendere un comportamento pacifico nella consapevolezza della struttura pulsionale aggressiva dell’uomo e nella convinzione che il desiderio personale di pace e la pace individuale portino anche alla
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pace politica. L’idea che la guerra inizi nella mente delle persone e lì debba essere combattuta, che è stata essenziale per la fondazione dell’UNESCO, è caratteristica di queste posizioni. Secondo questi approcci, è importante cambiare la coscienza delle persone per realizzare condizioni sociali dotate di un maggior grado di giustizia. Per quanto questi sforzi siano importanti al fine di diffondere una cultura della pace, non sono sufficienti; è necessario un impegno che vada oltre queste convinzioni. La ricerca sulla pace dei primi anni Settanta è stata in grado di dimostrare che la pace non può essere stabilita solo attraverso un cambiamento di coscienza. Le esperienze del movimento per la pace degli ultimi decenni hanno confermato le analisi di allora. La mancanza di pace e la violenza sono così profondamente radicate nelle strutture sociali che non possono essere superate dalla sola volontà di pace delle persone. Devono essere integrate da un’azione politica mirata che riduca le strutture violente della società e del sistema internazionale. Termini come “assenza organizzata di pace” e “violenza strutturale” indicano ancora che la pace è anche un problema di cambiamento delle strutture e delle istituzioni, alla cui soluzione l’educazione può solo contribuire.
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L’educazione alla pace deve quindi attingere anche a concetti guida centrali come “assenza organizzata di pace”, “violenza strutturale”, “giustizia sociale”, sviluppati dalla ricerca sulla pace alla fine degli anni Sessanta e all’inizio degli anni Settanta. Queste idee rendono esplicito il carattere sociale della pace e proteggono dalle fantasie di onnipotenza e dalle riduzioni ingenue dei problemi. Secondo l’immutata distinzione di Galtung, la pace non è intesa solo come assenza di guerra e di violenza diretta (concetto negativo di pace); la pace deve essere intesa anche come riduzione della violenza strutturale, in un’ottica di instaurazione della giustizia sociale (concetto positivo di pace). Sulla base di questa concezione della pace, non solo la guerra o la violenza diretta tra nazioni e gruppi etnici diventano oggetto di educazione, ma anche le condizioni di vita violente all’interno della società9. 9. R. J. Burns - R. Aspeslagh (a cura di), Three Decades of Peace Education around the World. An Anthology, Garland, New York 1996; J. Calließ - R.E. Lob (a cura di), Praxis der Umwelt- und Friedenserziehung, 3 voll., Schwann, Düsseldorf 1987-1988; G. Gugel, Gewalt muß nicht sein. Eine Einführung in friedenspädagogisches Denken und Handeln, Verein für Friedenspädagogik, Tübingen 1995; O. Damus - C. Wulf - J. Saint-Fleur - D. Jeffrey (a cura
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Nell’ambito dell’educazione alla pace, si rifiutano l’aperta violenza organizzata e la violenza strutturale; ci si impegna a seguire procedure di risoluzione non violenta dei conflitti, a realizzare la giustizia sociale, a migliorare la co-determinazione e l’autodeterminazione. In questo modo, si è consapevoli che la pace è un obiettivo irraggiungibile, ma per il quale vale la pena lottare, e che l’educazione alla pace caratterizza un processo piuttosto che uno stato. Di conseguenza, l’educazione alla pace non è un campo chiaramente definibile e specifico. Tuttavia, è possibile identificare alcuni temi importanti dell’educazione alla pace contemporanea. Questi includono: − il conflitto Nord-Sud, con la povertà nell’emisfero meridionale, perpetuato, tra l’altro, dalla divisione verticale internazionale del lavoro; − i problemi posti dalla progressiva distruzione dell’ambiente e le questioni relative all’educazione alla sostenibilità; − la scarsità di risorse naturali e alimentari; − l’insufficiente diffusione dei diritti umani e la mancanza di giustizia sociale. di), Pour une éducation à la paix dans un monde violent, L’Harmattan, Paris 2017.
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L’educazione alla pace può contribuire a preservarla, ma non è in grado di garantirla. Sono necessari molti sforzi per sviluppare la pace e la capacità delle persone e delle società di vivere in pace. Solo quando molte persone, in tutti i settori della società, lavorano insieme, si possono creare condizioni di vita in cui la violenza tra le persone e nei confronti della natura può essere ridotta e in cui la giustizia sociale può essere migliorata. Da alcuni anni, quindi, viene ribadita la necessità di creare una cultura della pace, in un contesto in cui le strutture sociali cambiano e le azioni delle persone si orientano verso i valori della pace. Il manifesto pubblicato dall’UNESCO in occasione dell’“Anno internazionale della pace 2000” elenca sei valori di una cultura della pace, che rappresentano un autoimpegno dei firmatari a cui hanno aderito finora più di 75 milioni di persone, adeguando le loro azioni nella vita quotidiana e nella famiglia, nella comunità e nel mondo del lavoro. I valori di una cultura della pace comprendono: il rispetto della dignità umana; la risoluzione non violenta dei conflitti; la solidarietà; il coraggio civile e la disponibilità al dialogo; lo sviluppo sostenibile; la partecipazione democratica. Le azioni che derivano da questi valori e disposizioni dipendono
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dalle rispettive condizioni sociali e dal contesto storico e culturale. Pertanto, esistono diverse manifestazioni di questi valori in regioni diverse del mondo. Per progredire nella realizzazione di una cultura della pace, è necessario prendere in considerazione principi e norme generali basati su valori comuni. Questi includono: in primo luogo, il pluralismo attraverso il riconoscimento della diversità culturale; in secondo luogo, il rispetto dei diritti umani; in terzo luogo, la partecipazione alla società. Per contribuire attraverso l’istruzione, la scienza, la cultura e la comunicazione a una cultura della pace e allo sviluppo umano in un’epoca di globalizzazione, i seguenti campi d’azione devono essere reciprocamente correlati: cultura della pace attraverso l’istruzione; sviluppo economico e sociale sostenibile; rispetto di tutti i diritti umani; uguaglianza tra donne e uomini; partecipazione democratica; comprensione, tolleranza e solidarietà; comunicazione partecipativa e libero flusso di informazioni e conoscenze; pace e sicurezza internazionale10. 10. UNESCO, Medium-Term Strategy. 2002-2007, UNESCO Institute for Information Technologies in Education, Moscow 2002.
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Quando si parla di cultura della pace, non è sufficiente definire i valori della pace. È altrettanto importante essere chiari su cosa si intenda, in questo contesto, con “cultura”. Come la pace, la cultura è un termine generale che comprende molti aspetti eterogenei. Inoltre, la cultura della pace è definita come una serie di valori, atteggiamenti, comportamenti e modi di vita che rifiutano la violenza e prevengono i conflitti affrontandone le cause profonde al fine di risolvere i problemi tra individui, gruppi e nazioni attraverso il dialogo e la negoziazione11.
Poiché l’educazione riguarda le pratiche culturali che fanno parte del patrimonio culturale “intangibile”, ci si basa su un concetto di cultura in cui questa è intesa come l’insieme di pratiche, idee, espressioni, conoscenze e abilità – così come gli strumenti, gli oggetti e gli spazi culturali ad esse associati – che sono comprese dalle comunità, dai gruppi e, in una certa misura, dagli individui come parte del loro patrimonio culturale12.
11. UN Resolutions, Culture of Peace, A/RES/52/13. 12. UNESCO, Convention for the Safeguarding of Intangible Cultural Heritage, Paris 2003.
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In questa concezione, la cultura è dinamica e viene trasmessa di generazione in generazione. Viene creata continuamente in risposta al suo ambiente, in uno scambio con la natura e con le sue condizioni storiche. La cultura trasmette un senso di continuità e diversità. Allo stesso tempo, le pratiche culturali dovrebbero essere orientate alla sostenibilità e rispettare i diritti umani. La valutazione positiva solitamente associata al termine “cultura” deve essere integrata in linea di principio. La cultura può includere aspetti valutabili sia positivamente che negativamente. Così come esiste una cultura della pace, esiste anche una cultura della violenza o della guerra. La valutazione di una cultura di pace o di violenza dipende anche dalla prospettiva e dal contesto di valutazione. Ad esempio, azioni che in un certo momento sono state valutate come violente possono essere viste anni dopo come atti di liberazione in cui, per evitare qualcosa di peggiore, si è reso essenziale l’uso della violenza13. Senza trasmettere una cultura globale della pace, l’educazione e la formazione falliscono nel 13. W. Heitmeyer - H.-G. Soeffener, Gewalt. Entwicklungen, Strukturen, Analyseprobleme, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2004.
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loro compito di preparare i giovani al mondo di domani14. L’educazione alla pace non soddisfa questo requisito se si limita a trasmettere conoscenze cognitive nelle aree problematiche menzionate. Per quanto queste conoscenze siano importanti, è necessario andare oltre la semplice mediazione nell’affrontare questi temi. È necessario un esame più approfondito che porti all’impegno personale e alla disposizione all’agire. Per fare ciò, è necessario, quando si affrontano i temi sopra citati, esaminare anche la questione di come si producono i pregiudizi e le immagini del nemico e quale funzione hanno per il mantenimento di strutture violente. L’educazione alla pace deve occuparsi anche dei comportamenti e offrire l’opportunità di scrutinarli. Deve quindi promuovere la riconnessione con il mondo della vita dei suoi destinatari e dare loro l’opportunità di esaminare la propria immagine di sé nella discussione di questioni rilevanti per la pace, al fine di giungere
14. Berliner Komitee für UNESCO-Arbeit, Kultur des Friedens. Ein Beitrag zum Bildungsauftrag der UNESCO: Building Peace in the Minds of Men and Women, Berlin 2017; qui si trovano anche alcuni estratti da importanti contributi nell’ambito delle Nazioni Unite.
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successivamente, se necessario, a un concetto modificato del sé, con l’aiuto del quale si possa guadagnare una comprensione complessa del mondo e della società. Il prerequisito di un apprendimento rilevante per la pace, che – se possibile – porti a una corrispondente disponibilità ad agire, è il superamento dell’apatia e delle esperienze di impotenza che impediscono l’empatia e l’impegno nel processo di apprendimento finalizzato alla pace. Un’opportunità di apprendimento che può aiutare ad abbattere le esperienze di impotenza consiste nel concepire le esperienze di mancanza della propria vita in relazione ai principali problemi mondiali. L’intuizione che alcune macro-strutture di conflitto determinano o addirittura mettono in pericolo la propria vita crea la motivazione a lavorare per la pace. In questo modo, l’educazione può riuscire a portare a cambiamenti negli atteggiamenti e nell’impegno politico, al di là della comunicazione di conoscenze rilevanti. Per l’educazione alla pace, un problema strutturale risiede nel fatto che, in quanto educazione, è diretta a individui o gruppi nella cui coscienza e nei cui atteggiamenti essa può produrre
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cambiamenti duraturi. La sua integrazione con la pratica politica e con l’azione per la pace è indispensabile. L’educazione alla pace necessita di alcune forme, mediante le quali cerca di promuovere (laddove possibile) processi di apprendimento non violenti. Pertanto, svilupperà principalmente quelle forme di apprendimento in cui ha luogo una dinamica partecipativa e auto-innescata. In questi processi di apprendimento, gran parte dell’iniziativa e della responsabilità dovrebbe spettare ai destinatari dell’educazione alla pace. Questi sono incoraggiati a sviluppare la loro immaginazione in materia di pace. Lo sviluppo di una consapevolezza storica dell’emergere e della fondamentale modificabilità delle formazioni conflittuali gioca un ruolo decisivo in questo senso, perché contribuisce a sviluppare e a lavorare su progetti realmente utopici per trasformare il mondo. Allo stesso tempo, garantisce un orientamento al futuro nella considerazione dei problemi e nell’educazione. L’educazione alla pace è un processo di apprendimento sociale nel corso del quale devono essere affrontate le formazioni di problemi e di conflitti. All’inizio del nuovo millennio, Dieter
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Senghaas ha pubblicato un importante volume intitolato Fare la pace (Frieden machen), con il quale ha proseguito il suo lavoro sulla concettualizzazione della pace a partire dagli anni Novanta15. In questo lavoro ha cercato di mettere in relazione tra loro – con l’aiuto di un esagono – le seguenti dimensioni, centrali per il processo di costruzione della pace: monopolio dell’uso della forza; stato di diritto; partecipazione democratica; cultura del conflitto; giustizia sociale; interdipendenze e controllo degli affetti. Per quanto importanti siano queste considerazioni, che mirano alle condizioni universali di una pace positivamente intesa, esse richiedono un ampliamento attraverso prospettive che tengano maggiormente conto della loro diversità storica e culturale16. Inoltre, sono necessarie prospettive pedagogiche che si concentrino sulla trasmissione di contesti di conoscenza, valori, atteggiamenti e disposizioni all’azione rilevanti 15. D. Senghaas, Frieden machen, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1997; Id., Den Frieden denken. Si vis pacem, para pacem, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1995. 16. C. Wulf - C. Merkel (a cura di), Globalisierung als Herausforderung der Erziehung, cit.; C. Wulf, Anthropologie kultureller Vielfalt, transcript, Bielefeld 2006.
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per la pace. Come si possono radicare nei giovani questi aspetti, in modo tale che l’educazione alla pace non si riduca all’acquisizione di contesti di conoscenza, ma diventi una conoscenza incorporata in cui l’obiettivo è lo sviluppo di un habitus legato alla pace, tra l’altro con l’aiuto di rituali e processi mimetici? I compiti che ne derivano mirano a un orientamento fondamentale dell’educazione alla pace e a una cultura della pace, che richiede il sostegno di una politica corrispondente17.
3. Globalizzazione e diversità culturale Nel contesto odierno della globalizzazione, si possono distinguere due sviluppi opposti. Uno mira all’unificazione, l’altro sottolinea la varietà e la diversità degli sviluppi biologici e culturali, nonché la necessità e l’inevitabilità della differenza e dell’alterità. Si stanno quindi verificando
17. B. Schoch - A. Heinemann-Gründer - C. Hauswedell J. Hippler - M. Johannsen (a cura di), Friedensgutachten 2017, im Auftrag der fünf deutschen Friedensforschungsinstitute, LIT, Münster 2017 (19871).
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processi che armonizzano la società mondiale, le diverse regioni del mondo, le nazioni e le culture locali; tra questi, sono particolarmente importanti i seguenti sviluppi. − La globalizzazione dei mercati finanziari e dei capitali internazionali, determinati da forze e movimenti in gran parte indipendenti dai processi economici reali. Questo fenomeno è accompagnato dallo smantellamento delle barriere commerciali, dall’incremento della mobilità dei capitali e dall’aumento dell’influenza della teoria economica neoliberista. − La globalizzazione delle strategie e dei mercati aziendali con strategie di produzione, distribuzione e minimizzazione dei costi attraverso la delocalizzazione. − La globalizzazione della ricerca, dello sviluppo e delle tecnologie con l’implementazione di reti globali, nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione e l’espansione della New Economy. − La globalizzazione delle strutture politiche transnazionali con il declino dell’influenza delle nazioni, lo sviluppo di organizzazioni e strutture internazionali e l’aumento dell’im-
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portanza delle organizzazioni non governative (ONG). − La globalizzazione dei modelli di consumo, degli stili di vita e degli stili culturali con la tendenza alla loro standardizzazione. La diffusione dell’influenza dei nuovi media e del turismo e la globalizzazione dei modi di percezione e delle strutture di coscienza, la modellazione dell’individualità e della comunità attraverso gli effetti della globalizzazione e l’emergere di una mentalità mondialista. Questo sviluppo è accompagnato dalla separazione dell’economia dalla politica, dalla globalizzazione di molte forme di vita e dall’aumento dell’importanza delle immagini nel contesto dei nuovi media. Allo stesso tempo, c’è una resistenza a questo sviluppo. Si sottolinea quindi la necessità di proteggere la diversità delle specie, la diversità delle culture, la diversità culturale e l’alterità. L’estinzione delle specie e di molte culture è vista come una minaccia alla diversità della vita e delle culture. La protezione della diversità della vita e delle culture è quindi considerata un compito per tutta l’umanità. La richiesta di solidarietà nei confronti delle specie e delle culture in pericolo ne è una conseguenza.
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Esistono differenze irrisolvibili tra i sostenitori e gli oppositori della protezione della diversità culturale, che si manifestano in modo diverso nelle differenti regioni del mondo18. L’adozione della Convenzione sulla diversità culturale da parte dell’Assemblea generale del l’UNESCO nell’autunno 2005 ha reso evidente che la stragrande maggioranza degli Stati membri attribuisce grande importanza al diritto alla diversità culturale. Esso è collegato al diritto all’identità culturale, nel quale è visto e garantito un diritto umano. Questa convenzione esprime un movimento contrario alla globalizzazione, che livella le differenze culturali. Oggi entrambi i movimenti sono in chiara tensione tra loro. In termini semantici, ciò si esprime in vari modi: non si parla più di globalizzazione, ma di globalizzazioni o di varie forme di globalizzazione. 18. C. Wulf, Anthropologie der Erziehung, cit.; Id., Anthropologie kultureller Vielfalt, cit.; Id., Anthropology, cit.; F. Barret-Ducrocq, Quelle mondalisation?, Grasset, Paris 2002; C. Wulf - C. Merkel (a cura di), Globalisierung als Herausforderung der Erziehung, cit.; J. Poulain, Peutin-guérir de la mondialisation?, Hermann, Paris 2017; M. Kontopodis - C. Varvantakis - C. Wulf (a cura di), Global Youth in Digital Trajectories, cit.
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Se si parte dal presupposto che le pretese universalizzanti della globalizzazione vengono respinte dall’insistenza sulla diversità culturale in molti ambiti della convivenza umana, allora la gestione delle differenze culturali, cioè dell’alterità, riveste una notevole importanza in questi processi. Il Consiglio d’Europa considera negli stessi termini l’importanza della diversità culturale e raccomanda cinque strategie per promuovere il dialogo interculturale. 1) Governance democratica e diversità culturale: l’obiettivo è creare una cultura politica in cui la diversità culturale sia rispettata nel quadro dei valori democratici, del pluralismo e del riconoscimento; ciò richiede il riconoscimento dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della parità di diritti. 2) La cittadinanza democratica e la partecipazione ai diritti e ai doveri. 3) L’insegnamento delle competenze interculturali; ciò richiede la capacità di esercitare la cittadinanza democratica e di acquisire competenze linguistiche e storiche. 4) Lo spazio per il dialogo interculturale. 5) La promozione del dialogo interculturale nelle relazioni internazionali.19. 19. Consiglio d’Europa 2008.
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4. L’alterità come sfida Al fine di prendere in considerazione l’alterità all’interno dell’educazione all’inizio del XXI secolo, è necessario presentare e analizzare tre importanti ragioni per cui i sistemi educativi europei nel corso della storia hanno spesso trovato così difficile aprirsi e impegnarsi con l’alterità di altre persone e culture. Queste ragioni sono l’egocentrismo, il logocentrismo e l’etnocentrismo europei e le relative riduzioni psicologiche, epistemologiche e culturali, che rendono difficile la comprensione dell’Altro. Nel processo di approccio non violento all’Altro, è importante evitare di ontologizzare l’alterità e di renderla un oggetto fisso. L’alterità è invece intesa come una relazione che si forma nel processo di incontro con persone di altre culture in contesti storici e culturali diversi. 4.1. Egocentrismo L’egocentrismo gioca un ruolo centrale nel processo di costituzione del soggetto moderno. Le tecnologie del sé vengono utilizzate per formare i soggetti. Gli effetti collaterali indesiderati di questi sviluppi, indirizzati alla costruzione
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di un soggetto autosufficiente, sono molteplici. Non di rado, il soggetto autosufficiente fallisce nell’atto di auto-costruzione. L’autodeterminazione sperata e la felicità attesa dall’azione autonoma sono vanificate da altre forze che non si sottomettono a queste richieste. L’ambivalenza della costituzione del soggetto si manifesta nel fatto che l’egocentrismo implicito nella costituzione soggettiva serve da un lato come strategia di sopravvivenza, appropriazione e potere, e dall’altro come strategia di riduzione e livellamento. Il tentativo di ridurre l’Altro alla sua utilità, funzionalità e disponibilità, che risiede nella centratura sulle forze proprie dell’Io, sembra essere riuscito e fallito allo stesso tempo. Ne conseguono un nuovo orizzonte e un nuovo campo di conoscenza e di compiti per rapportarsi all’Altro. 4.2. Logocentrismo Il logocentrismo ha portato a percepire ed elaborare, dell’Altro, ciò che corrisponde alla razionalità. Ciò che non è ragionevole e razionale non viene considerato, è escluso e svalutato. Chi sta dalla parte della ragione ha ragione. Ciò vale anche per la ragione limitata della razionalità
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funzionale. Su questa base accade facilmente che gli adulti abbiano ragione sui bambini, i civilizzati sui primitivi, i sani sui malati. Possedendo la ragione, essi pretendono di essere superiori a coloro che possiedono forme primitive o devianti di ragione. Quando l’Altro si discosta dal carattere presuntivo del linguaggio e della ragione, aumenta la difficoltà di avvicinarlo e comprenderlo. Nietzsche, Freud, Adorno e altri hanno sottoposto a critica questa auto-comprensione della ragione e hanno mostrato che gli esseri umani vivono anche in contesti nei quali si ha un accesso limitato alla razionalità. 4.3. Etnocentrismo L’etnocentrismo ha ripetutamente perseguito la sottomissione dell’Altro. Todorov, Greenblatt e altri hanno analizzato i processi di distruzione delle culture straniere20. Tra le azioni più terribili c’è stata la colonizzazione dell’America Latina in nome di Cristo e dei re cristiani. Con 20. T. Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’«altro», tr. it. di A. Serafini, Einaudi, Torino 2014; G. Greenblatt, Marvelous Possessions, Oxford University Press, Oxford 1991.
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la conquista del continente arriva la distruzione delle culture autoctone. Fin dal primo contatto viene sollevata la pretesa di adattamento e di assimilazione. L’asservimento o l’annientamento sono le due alternative. Con un gesto oltraggioso di dominio si afferma il proprio, come se si dovesse creare un mondo senza l’Altro. Con l’esercizio strategico del potere e della comprensione, diventa possibile sterminare i popoli indigeni. Questi ultimi non capiscono che gli spagnoli calcolano senza scrupoli e usano la loro lingua per ingannare: la cortesia non intende davvero quello che dice; le promesse non servono per concordare qualcosa, ma per tradire l’Altro. Ogni azione ha uno scopo diverso da quello dato. Questo approccio è legittimato dagli interessi della corona, dal mandato missionario del cristianesimo e dalla pretesa inferiorità degli indigeni. L’avidità per l’oro e le motivazioni economiche in generale sono tenute segrete ed escluse dall’immagine di sé e del mondo. Colombo percepisce negli indigeni ciò che già sa. Nel loro mondo vede solo segni che lo rimandano a ciò che gli è familiare e che legge, classifica e interpreta in relazione al suo quadro di riferimento. Questo quadro di riferimento è come il letto di Procuste, in cui tutto
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ciò che è estraneo è costretto a “adattarsi” alle strutture date. L’Altro è coperto dalle proprie immagini e dai propri simboli e racchiuso in essi. Ciò che non si adatta rimane al di fuori della percezione e dell’elaborazione e ciò impedisce il movimento verso l’Altro. La dinamica della globalizzazione che permea tutti gli ambiti della vita rende sempre più difficile incontrare l’Altro come il non identico e l’estraneo, che ha una funzione costitutiva per l’individuo e la comunità. L’accettazione dell’Altro richiede autodisciplina; solo questa permette di fare esperienza dell’Altro. Poter sperimentare l’estraneità dell’Altro presuppone la disponibilità a voler conoscere anche l’Altro in sé stessi. Nessun individuo è un’unità; ogni individuo è composto da parti contraddittorie con diversi desideri di azione. Rimbaud ha formulato in modo memorabile questa situazione dell’individuo: «Io è un Altro». L’Io cerca di stabilire la propria libertà reprimendo le contraddizioni più crude, ma la libertà è costantemente limitata da impulsi istintuali eterogenei e da esigenze normative. L’inclusione nell’autocoscienza delle parti bloccate dell’Io è quindi un prerequisito indispensabile per una relazione di accettazione dell’Altro.
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La complessità del rapporto tra l’Io e l’Altro consiste nel fatto che essi non si confrontano come due entità separate, ma che l’Altro entra nella genesi dell’Io in una varietà di forme. L’Altro non è solo fuori ma anche dentro l’individuo. L’Altro interiorizzato nell’Io rende più difficile il rapporto con l’Altro esterno. Data questa costellazione, non esiste un punto di vista fisso da questa parte o dall’altra. In molte manifestazioni dell’Io, l’Altro è sempre già incluso. Tuttavia, chi è l’Altro e come viene visto non dipende solo dall’Ego. Altrettanto importanti sono le autointerpretazioni che gli Altri danno di sé. Tali interpretazioni non devono essere omogenee, ma sono incluse nell’immagine che l’Io si forma dell’Altro. Se la questione dell’estraneo include la questione di ciò che è proprio e la questione di ciò che è proprio include la questione dell’estraneo, allora i processi di comprensione tra ciò che è estraneo e ciò che è proprio sono sempre anche processi di auto-tematizzazione e autoeducazione. Se hanno successo, portano alla cognizione dell’incomprensibilità dell’estraneo e si traducono in estraneazione da sé. In vista dello sviluppo sociale volto al disincanto del mondo e alla scomparsa dell’esotico, sussiste il pericolo
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che in futuro le persone incontreranno soltanto sé stesse e saranno prive di un estraneo con cui svilupparsi. Se la perdita dell’estraneo mette in pericolo le opportunità di sviluppo umano, allora diventa importante la sua protezione, ovvero l’alienazione di ciò che è noto e la preservazione dell’auto-estraneazione. Gli sforzi per preservare ciò che è estraneo nell’essere umano e nel mondo esterno sarebbero allora contro-movimenti necessari per contrastare una globalizzazione che appiattisce le differenze. La scomparsa dell’estraneo può portare fin troppo facilmente alla perdita del soggettivo, che è costituito dalla specifica elaborazione dell’estraneo. L’ineluttabilità del soggetto riprende il bisogno di sicurezza che è attivo in ogni individuo. L’auto-rassicurazione mira a sapere come si è sviluppato l’individuo, cosa è e cosa vuole diventare. Nella genesi di questa conoscenza giocano un ruolo importante l’auto-tematizzazione, l’auto-costruzione e l’auto-riflessione. Tale conoscenza è solo temporanea e cambia nel corso della vita. André Gide esprime così questa esperienza ne I Falsari: Io sono sempre quello che penso di essere, e questo cambia così costantemente che – se non fossi
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lì a mediare il traffico – spesso il mio essere della sera non riconoscerebbe quello del mattino. Niente può essere più diverso da me di me stesso21.
5. L’esplorazione dell’estraneo Oggi viviamo nella simultaneità del non simultaneo. Nelle società dell’emisfero settentrionale, molte persone vivono nella prosperità; nelle regioni dell’emisfero meridionale nella povertà e nel bisogno. Queste persone prendono parte a processi globali in cui l’assimilazione e la differenziazione, l’adattamento e la resistenza avvengono simultaneamente e in cui, per la maggior parte di loro, l’obiettivo è adeguare le condizioni di vita pur mantenendo la diversità culturale. La globalizzazione oggi è determinata dall’interazione di elementi multidimensionali e dalla conseguente complessità delle condizioni di vita; è un processo difficile, fondamentalmente aperto al futuro, la cui progettazione richiede molte competenze diverse. 21. A. Gide, I falsari, tr. it. di O. Del Buono, Bompiani, Milano 2016 [tr. mod.].
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Rapportarsi con l’Altro o con l’alterità gioca un ruolo importante nel relazionarsi con competenza alla diversità culturale, nell’ambito della quale né la conservazione né il cambiamento della diversità culturale sono esclusi in linea di principio. Né le culture né gli individui possono svilupparsi se non si riflettono negli altri, se non si confrontano tra loro e non si lasciano influenzare l’uno dall’altro. Le culture e le persone si formano solo attraverso lo scambio con gli altri. Lo segnalava già Marcel Mauss, che vedeva nello scambio una condizione fondamentale della vita umana, una conditio humana22. Con l’aiuto di processi di scambio reciproco, le persone sviluppano relazioni con altre persone e con la loro alterità, ampliando così lo spazio che vivono e sperimentano. I processi di scambio implicano il dare, prendere e restituire oggetti, doni e beni simbolici. Il proprio e l’estraneo non sono onticamente fissi e opposti tra loro. Ciò che è estraneo, ciò che è proprio, emerge solo nel contatto cultu22. É. Durkheim - M. Mauss, Sociologia e antropologia, tr. it., Newton Compton, Roma 1976; W. Wintersteiner, Pädagogik des Anderen. Bausteine für eine Friedenspädagogik in der Postmoderne, Agenda-Verlag, Münster 1999; C. Wulf, Der Mensch und seine Kultur, cit.; Id., Anthropology, cit.
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rale, nell’incontro tra persone che, a seconda del contesto culturale in cui avviene l’incontro e secondo le loro specifiche premesse, determinano ciò che è proprio e ciò che è estraneo. Sia il proprio che l’estraneo devono essere pensati dinamicamente; solo nei processi di incontro culturale emerge ciò che viene vissuto come qualcosa di diverso o di proprio. Il concetto di somiglianza proposto da Wittgenstein può illuminare questo punto. Così come la percezione della somiglianza familiare nasce dal fatto che a volte si percepisce un certo aspetto della somiglianza, a volte un altro (cioè a volte la somiglianza del naso, a volte quella della bocca o degli occhi, ecc.), così nella percezione dell’estraneità e del proprio viene visto a volte l’uno, a volte l’altro aspetto. Tuttavia, ogni aspetto è percepito come espressione dell’insieme, della famiglia, mentre altre caratteristiche passano in secondo piano e non sono percepite come espressione dell’appartenenza familiare e della conseguente somiglianza. Così, l’alterità e il proprio non sono fissati una volta per tutte, ma sono percepiti all’interno di processi dinamici a seconda dei diversi presupposti. In molte aree questi processi di contatto, incontro e scambio sono ormai determinati dal-
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la circolazione di capitali, merci, lavoro e beni simbolici. Il loro dinamismo porta all’incontro di persone e culture e allo sviluppo di relazioni materiali e immateriali. Questi processi hanno luogo nel quadro delle strutture di potere globali e sono disuguali; sono determinati da relazioni di potere storicamente create e solidificate. Nonostante molti di questi processi siano influenzati dai movimenti del mercato organizzato capitalisticamente e dai conseguenti squilibri, essi portano all’incontro con l’alterità di altre culture e persone. Le società e le persone si costituiscono nel confronto con l’alterità. L’esperienza di altre persone e culture gioca già un ruolo centrale nei processi educativi di bambini e giovani. L’educazione in Europa è ormai diventata un compito interculturale, nel contesto del quale il rapporto con l’Altro sta diventando sempre più importante23. Le persone possono comprendere sé stesse solo nello specchio e nelle reazioni di altre persone e culture. Ciò implica che la 23. Cfr. in proposito la nostra ricerca etnografica su uno scambio scolastico tra Germania e Francia, nel quale vengono indagati empiricamente molti dei problemi qui menzionati: C. Wulf et al., Begegnung mit dem Anderen. Orte, Körper und Sinne im Schüleraustausch, Waxmann, Münster 2018.
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conoscenza di sé presuppone la comprensione della non-comprensione dell’alterità. Com’è possibile che le esperienze di altre persone e culture restino diverse senza innescare meccanismi che le riducano a ciò che è già noto e familiare? Ci sono diverse risposte a questa domanda, variabili a seconda del contesto. Un modo per accogliere l’alterità degli estranei è sperimentare l’auto-estraneazione, cioè sperimentare la propria sorpresa dinanzi ai propri sentimenti e azioni. Tali eventi possono contribuire ad aumentare la flessibilità e la curiosità verso altre persone e culture. L’esperienza dell’auto-estraneazione è un prerequisito importante per comprendere e affrontare l’alterità. Costituisce una base per sviluppare la capacità di sentire e pensare l’Altro, di un pensiero eterologico, in cui occuparsi del non identico è di importanza centrale. Ci si può aspettare che tali esperienze aumentino la sensibilità e la volontà di esporsi al nuovo e all’ignoto. Il risultato è un graduale aumento della capacità di sopportare situazioni complesse emotivamente e mentalmente e di non agire in modo stereotipato. Nell’affrontare l’indisponibilità dell’alterità di altre persone e culture si cela un’opportunità per
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lo sviluppo emotivo, sociale e spirituale di ogni essere umano. Heidegger lo ha capito quando ha avvertito che niente di peggio potrebbe accadere all’essere umano, se non di incontrare unicamente sé stesso nel mondo. Anche da questa prospettiva, le esperienze di estraneità e alterità, ibridazione e transculturalità offrono prospettive per una vita ricca e appagante. È ovvio che le possibilità dell’educazione umana possono trasformarsi nel loro opposto. In questo caso, l’incontro con la diversità culturale sfocia in atti di violenza che tentano di ridurre le differenze all’uguaglianza. Poiché nella maggior parte dei casi questi tentativi falliscono, si sviluppa un circolo vizioso di atti violenti, che si intensifica in processi mimetici, in forme di mutua imitazione, e dal quale è difficile trovare una via d’uscita. Per evitare che l’incontro con la diversità culturale e con l’alterità conduca alla rivalità e alla violenza, sono necessarie disposizioni normative, come quelle previste dai diritti umani, che, nonostante la loro origine nella cultura europea, rivendicano oggi una validità che si estende ben oltre essa.
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6. La non-identità dell’individuo La consapevolezza della non-identità dell’individuo è un prerequisito importante per l’apertura verso l’Altro. Nell’affrontare le culture straniere, l’Altro all’interno della propria cultura e l’estraneo all’interno della propria persona, si dovrebbe sviluppare la capacità di percepire e pensare a partire dall’estraneo o dall’Altro. Nel compiere questo cambio di prospettiva, è importante evitare la riduzione dell’estraneo al proprio. Si dovrebbe tentare di sospendere ciò che è proprio e di vederlo e viverlo dalla prospettiva dell’Altro. L’obiettivo è lo sviluppo del pensiero eterologico. L’attenzione si concentra sul rapporto tra familiare ed estraneo, tra conoscenza e ignoranza, tra certezza e incertezza. Come risultato della de-tradizionalizzazione e dell’individualizzazione, della differenziazione e della globalizzazione, molte cose che diamo per scontate nella vita di tutti i giorni sono diventate discutibili e richiedono una riflessione e un processo decisionale individuale. Tuttavia, lo spazio di creatività che l’individuo ottiene come esito di questi sviluppi non corrisponde a un reale guadagno di libertà. Spesso, l’individuo ha spazio per il processo decisionale solo là dove non può modificare i prerequisiti della situazio-
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ne decisionale. È il caso, ad esempio, della sfera ambientale, dove l’individuo può prendere decisioni rispettose dell’ambiente, ma queste hanno scarso impatto sulle macro-strutture sociali che ne determinano realmente la qualità. Una forma importante di avvicinamento all’estraneo, all’Altro, avviene nei processi mimetici. Questo avvicinamento all’estraneo avviene con l’ausilio di varie forme di rappresentazione in cui il proprio e l’Altro si sovrappongono. Ogni rappresentazione dell’Altro ha un lato performativo. Qualcosa è presentato in essa; vi ha luogo un’oggettivazione o un’incarnazione. Le energie mimetiche fanno sì che una rappresentazione non sia una mera somiglianza a un modello, ma che ci sia differenziazione e creazione di un mondo nuovo. In molti casi, la rappresentazione si riferisce a una figurazione dell’Altro non ancora sviluppata ed è la rappresentazione di qualcosa che non può essere rappresentato, la sua oggettivazione o incarnazione. Allora la mimesi crea la figurazione della rappresentazione, l’oggetto d’imitazione. Nei processi mimetici, l’estraneo è integrato nella logica e nella dinamica del proprio mondo immaginario. In questo modo l’estraneo si tra-
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sforma in una rappresentazione. Come rappresentazione, l’estraneo non diventa proprio; diventa una figurazione in cui l’estraneo e il proprio si mescolano, una figurazione dell’intermedio. L’emergere di una tale figurazione dell’“in-mezzo” è di straordinaria importanza nell’incontro con l’Altro. Una rappresentazione creata mimeticamente offre la possibilità di non fissare e incorporare l’estraneo, ma di conservarlo nella sua ambivalenza di estraneo e familiare allo stesso tempo. Il movimento mimetico ricorda una danza tra lo straniero e il familiare. Non si sofferma né su sé stessa né sull’Altro; si muove avanti e indietro tra i due. Le rappresentazioni dell’Altro sono contingenti. Non devono essere quello che sono; possono cristallizzarsi anche in altre figurazioni. La figurazione a cui conduce il movimento mimetico è aperta e dipendente dal gioco dell’immaginazione e dal contesto simbolico e sociale. Non è necessaria alcuna forma di rappresentazione o figurazione. Sono concepibili molte forme diverse ed eterogenee. Quali figure vengono danzate, quali forme di gioco vengono scelte dipende dal movimento mimetico. La mimesi dell’Altro conduce a esperienze estetiche, in cui si dipana un gioco con l’ignoto, un’espansione del proprio nell’estraneo. Ciò porta a
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rendersi somigliante all’estraneo. Si tratta di un processo sensibile che può avvenire attraverso tutti i sensi; non porta a “cadere” nell’estraneo e a fondersi con esso. Un tale movimento implicherebbe la resa del proprio. Sarebbe assimilazione, mimetismo dell’estraneo e perdita del proprio. La mimesi dell’estraneo include a un tempo avvicinamento e distanza, indugiando nell’indecisione dell’intermedio, danzando sul confine tra il proprio e l’estraneo. Qualsiasi dimorare da una parte del confine sarebbe un fallimento, proprio o dell’Altro, e la fine del movimento mimetico. L’approccio mimetico all’Altro è ambivalente. Può avere successo e diventare un arricchimento per sé stessi, ma può anche fallire. L’incontro con l’altro oscilla tra i poli del definito e dell’indefinito. La misura in cui si riesce a sopportare le insicurezze causate dalla natura non identica dell’Altro è decisiva per il successo nell’approccio e nel rapporto con l’estraneo. Né il proprio né l’estraneo possono essere intesi come entità autonome e completamente separate. Piuttosto, ciò che è estraneo e ciò che è proprio stanno in una relazione che si costituisce in “frammenti”. Questa relazione si forma in processi di somiglianza e differenza, ha carattere storico e cambia a seconda del contesto e del momento.
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Con il diventare sempre più opaco del mondo, cresce l’insicurezza dell’individuo che deve sopportare la differenza tra sé e gli altri. In questa situazione, l’incertezza e l’insicurezza diventano caratteristiche centrali della vita sociale. Esse hanno la loro origine da un lato nel mondo esterno all’uomo, dall’altro nel suo interno e, infine, nell’interrelazione tra il dentro e il fuori. A fronte di questa situazione, non mancano i tentativi di rendere sopportabile questa incertezza con apparenti certezze. Ma queste certezze non aiutano a ritrovare la sicurezza perduta. La loro validità è relativa e di solito deriva dall’esclusione di alternative. Ciò che è escluso è determinato da un lato dalla costituzione psicosociale dell’individuo e dall’altro dalle strutture di potere sociale e dai conseguenti processi di definizione ed esclusione di valori, norme, ideologie e discorsi.
7. Sulla dinamica transculturale del processo educativo L’apprendimento transculturale avviene in un “terzo spazio” che non può essere assegnato a una cultura, ma piuttosto nasce tra culture, per-
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sone e idee diverse. Questo “terzo spazio” può essere reale – ad esempio, nel caso delle zone di contatto –, ma ha anche sempre una dimensione immaginaria e quindi offre spazio per il movimento e per il cambiamento. I processi di apprendimento che avvengono in questo “terzo spazio” portano spesso alla percezione della “differenza”; spesso anche a processi di “trasgressione”; talvolta, infine, sfociano in nuove forme di “ibridità”. 7.1. Differenza Le differenze creano confini e contribuiscono a renderli dinamici. La formazione dell’identità culturale non è possibile senza differenze. Le differenze vengono create attraverso l’inclusione e l’esclusione, ad esempio nei rituali. Questo meccanismo di generazione delle differenze può essere illustrato utilizzando l’esempio dei rituali di iniziazione. Uno di questi rituali è l’insediamento di un nuovo presidente americano24. La categoria della differenza assume particolare 24. C. Wulf, Zur Genese des Sozialen, cit.; N. Weidtmann, Interkulturelle Philosophie. Aufgaben, Dimensionen, Wege, Francke, Tübingen 2016.
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importanza nella citata Convenzione dell’UNESCO per la protezione della diversità culturale, in cui la differenza culturale è considerata un diritto umano universale sulla base del quale è possibile la formazione dell’identità culturale. Nella stessa direzione va la raccomandazione del Consiglio d’Europa sul dialogo interculturale. In entrambi i casi, la diversità generata da queste differenziazioni gioca un ruolo centrale nel modo in cui vengono affrontate l’eterogeneità e l’alterità25. 7.2. Trasgressione La trasgressione si manifesta da un lato come superamento di regole, norme e leggi, dall’altro come superamento di confini generati culturalmente. Le trasgressioni possono essere non violente, ma spesso implicano violenza palese, strutturale o simbolica. Quando si ha a che fare con la diversità culturale, c’è spesso una trasgressione dei confini tradizionali, nel corso della quale emerge qualcosa di nuovo. Le trasgressioni modificano norme e regole, modi di vita 25. C. Wulf, Anthropology, cit.; Id., Anthropologie kultureller Vielfalt, cit.
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e pratiche. Spostano i confini e quindi creano nuove relazioni e costellazioni culturali. Nelle dinamiche dei processi di apprendimento transculturale, tali processi di trasgressione possono essere esaminati etnograficamente. 7.3. Ibridità Di particolare interesse è l’emergere di nuove forme culturali ibride come risultato della differenza e della trasgressione. A causa della comunicazione e dell’interazione sempre più fitte e rapide tra le diverse culture e società del mondo, l’intensificarsi degli scambi economici, politici, sociali e culturali, stanno emergendo forme culturali sempre più ibride. Il termine ibridità deriva dalla genetica agricola e descrive l’incrocio tra piante o tra animali. Nel XX secolo, il termine ibridazione si è fatto strada in molte discipline scientifiche, nelle quali veniva usato principalmente per descrivere formazioni ermafrodite e miste. Negli anni Ottanta, il termine è diventato sempre più diffuso negli studi culturali. Seguendo Homi Bhabha26, il concetto di ibridazione 26. H. Bhabha, The Location of Culture, Routledge, London 2004.
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non serve più a definire i contatti culturali in termini unicamente dualistici ed essenzialistici, ma a mostrare che essi creano identità con l’ausilio di un “terzo spazio”. Questo terzo spazio è liminale; è uno spazio intermedio che enfatizza il “tra”. In questo spazio liminale i confini vengono smontati e ristrutturati e le gerarchie e le relazioni di potere vengono modificate. La questione decisiva è in che misura questi processi e i loro risultati siano determinati dalle pratiche performative e come emergano nuove forme di ibridazione. Queste forme sono forme miste in cui singoli elementi provenienti da sistemi e contesti diversi mutano il loro carattere in un processo mimetico, facendo così emergere una nuova identità culturale. Questa identità non si costituisce più nella demarcazione da un Altro, ma in un’assimilazione mimetica all’Altro27. Le apparenti connessioni con la trasgressione e la performatività permettono di osservare fenomeni di ibridazione nelle pratiche sociali, negli spettacoli teatrali, nei rituali, nei testi letterari e nel linguaggio. Gli studi teorico-mediali e femministi di Donna Haraway sul cyborg e sui confini tra uma27. C. Wulf - C. Merkel (a cura di), Globalisierung als Herausforderung der Erziehung, cit.
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ni e animali mostrano che questo è possibile con profitto. D’altra parte, c’è il rischio che il campo concettuale venga diluito se l’ibridità viene usata impropriamente come parola magica nel dibattito sul multiculturalismo o intesa come una logica conseguenza della globalizzazione. Quando tutte le culture sono ibride, l’ibridità non può più essere utilizzata come strumento di analisi, perché l’ibrido implica l’esistenza di identità, nazioni, culture ed etnie stabili28.
8. Sostenibilità L’obiettivo dello sviluppo sostenibile è la realizzazione di un processo continuo di cambiamento della società nel suo insieme, che dovrebbe portare a mantenere la qualità della vita dell’attuale generazione e allo stesso tempo garantire che le generazioni future abbiano la libertà di scegliere come plasmare le loro vite. Lo sviluppo sosteni28. K. Audehm - R. Velten, Einleitung, in Iid. (a cura di), Transgression – Hybridisierung – Differenzierung. Zur Performativität von Grenzen in Sprache, Kultur und Gesellschaft, Rombach, Freiburg i.Br.-Berlin-Wien 2007, pp. 9-40: p. 35.
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bile è ormai un modo riconosciuto per migliorare le prospettive future individuali, la prosperità sociale, la crescita economica e la compatibilità ecologica. Lo sviluppo sostenibile è un concetto globale per cambiare la vita nel XXI secolo. Sulla base di un ampio lavoro preparatorio, è stata finalmente adottata l’Agenda 21, che ha successivamente portato all’istituzione del “Decennio mondiale per lo sviluppo sostenibile” dell’UNESCO (2005-2014). Gli obiettivi perseguiti nell’ambito di questo decennio differivano nelle diverse regioni del mondo. Per la Germania e l’Europa, la sostenibilità significava soprattutto un cambiamento ecologicamente motivato del sistema economico, ma in altri paesi significava prima di tutto la garanzia dei servizi e dell’istruzione di base con l’obiettivo di allacciarsi ai paesi “più sviluppati” del mondo. L’obiettivo dell’educazione alla sostenibilità è consentire alle persone di plasmare attivamente un ambiente ecologicamente equilibrato, economicamente efficiente e socialmente giusto, tenendo conto degli aspetti globali. La sostenibilità è un’idea normativa; come la pace, non può mai essere pienamente realizzata. L’educazione alla sostenibilità è un importante
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prerequisito per la graduale realizzazione della sostenibilità. L’educazione alla sostenibilità si rivolge all’individuo, di cui vuole promuovere la sensibilità e la disponibilità ad assumersi la propria responsabilità. Per fare ciò, deve partire dalle strutture esistenti e sviluppare le capacità creative dei giovani in questo settore, tenendo conto delle condizioni individuali e sociali. Questa competenza consente all’individuo di modellare la propria vita e il proprio spazio vitale nel senso dello sviluppo sostenibile. Ciò richiede l’apprendimento di problemi concreti, l’elaborazione delle loro connessioni e l’avvio di azioni riflessive. L’educazione alla sostenibilità implica una comprensione riflessiva e critica dell’educazione e la volontà di partecipare ai corrispondenti processi di apprendimento individuale e sociale. A tal fine, è necessario sviluppare standard minimi per l’educazione allo sviluppo sostenibile, che si applichino ai processi educativi sia scolastici che extracurriculari in questo settore e rendano giustizia alla multi-prospetticità della sostenibilità. L’Agenda 21 è stata adottata da 180 governi alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992: da allora, alcuni paesi hanno compiuto sforzi
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consistenti, soprattutto nell’ambito della Commission on Sustainable Development (CSD), fondata nel 1992 come un sotto-organo del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC), per contribuire alla realizzazione di questo obiettivo. In Germania, la Conferenza dei Ministri dell’Istruzione (KMK) ha pubblicato già nel 1997 – e, nel 1998, anche la Commissione Federale Statale per la Pianificazione Educativa e la Promozione della Ricerca (BLK) – alcune risoluzioni sulla promozione dello sviluppo sostenibile. Nel 2001, il governo federale ha istituito un comitato presso il segretario di Stato per lo sviluppo sostenibile e ha nominato il Consiglio per lo sviluppo sostenibile. Nel 2002, il Ministero Federale dell’Istruzione e della Ricerca ha poi presentato un rapporto sull’educazione allo sviluppo sostenibile sulla base di una corrispondente risoluzione del Bundestag. Queste misure e gli sforzi che ne conseguono dovrebbero contribuire all’instaurazione della giustizia sociale tra le nazioni, le culture e le regioni del mondo e tra le generazioni. Oltre a promuovere e trasformare la sfera sociale, ecologica ed economica, la responsabilità globale e la partecipazione politica sono principi centrali della sostenibilità. Con questi obiettivi, che
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vanno ben oltre il mero riferimento all’ambiente e alle risorse, l’educazione alla sostenibilità riprende idee già discusse negli anni Settanta nel contesto dell’educazione alla pace29. Qui si trattava principalmente della realizzazione della giustizia sociale (concetto positivo di pace). A ciò si è aggiunto il riconoscimento che mantenere e costruire la pace è un compito globale, regionale, nazionale, locale e individuale, in cui la riduzione dell’inquinamento e l’educazione ambientale sono aspetti importanti. La rivendicazione intergenerazionale alla giustizia sociale e il compito, sempre più importante, di conservare le risorse non rinnovabili erano visti, all’epoca, solo come un punto d’inizio.
9. Principi dei piani d’azione nazionali Secondo il Piano d’azione nazionale, adottato nel 2005 e presentato in revisione completa nel
29. C. Wulf (a cura di), Kritische Friedenserziehung, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1973; Id. (a cura di), Handbook on Peace Education, International Peace Research Association, Oslo-Frankfurt a.M. 1974.
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2017, l’educazione allo sviluppo sostenibile dovrebbe basarsi sui seguenti sei principi: − l’educazione allo sviluppo sostenibile riguarda tutti; − l’educazione allo sviluppo sostenibile è un processo continuo e contribuisce all’accettazione e al cambiamento della società; − l’educazione allo sviluppo sostenibile è un compito trasversale e ha una funzione integrativa; − l’educazione allo sviluppo sostenibile vuole migliorare l’ambiente di vita delle persone; − l’educazione allo sviluppo sostenibile crea opportunità future individuali, sociali ed economiche; − l’educazione allo sviluppo sostenibile promuove la responsabilità globale30. Sulla base di questi principi, l’educazione allo sviluppo sostenibile dovrebbe includere tutte le 30. Nationaler Aktionsplan für Deutschland, UN-Dekade Bildung für nachhaltige Entwicklung, Bundesministerium für Bildung und Forschung, Berlin 2005, p. 6; Deutsche Nachhaltigkeitsstrategie (Stand 09-2017), Die Bundesregierung, Berlin 2017.
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aree dell’istruzione, compresi: asili nido, scuole, università, istituti di istruzione superiore e culturali e istituti di ricerca. Inoltre, l’educazione allo sviluppo sostenibile si svolge anche al di fuori delle istituzioni educative, vale a dire, oltre che nei tradizionali luoghi di apprendimento, anche extracurricularmente, nell’apprendimento permanente e nelle aree di istruzione non formale e informale. L’educazione allo sviluppo sostenibile si svolge nei comuni, nelle associazioni, nei circoli, nelle aziende e nelle famiglie. Essa rappresenta un compito per tutte le forze sociali.
10. Obiettivi dei piani d’azione nazionali L’obiettivo è quello di ancorare la sostenibilità a tutti i settori dell’istruzione. Ciò significa che l’argomento deve essere introdotto in tutte le aree politiche ed economiche pertinenti e ancorato come questione trasversale. Per raggiungere questo obiettivo, devono essere perseguiti quattro sotto-obiettivi: − ulteriore sviluppo di attività e di esempi di buone prassi;
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− connessione in rete degli attori nel campo dell’educazione allo sviluppo sostenibile; − miglioramento della percezione pubblica del l’educazione allo sviluppo sostenibile; − rafforzamento della cooperazione internazionale. Ulteriore sviluppo di attività e di esempi di buone pratiche: esiste già un’ampia gamma di iniziative per l’educazione allo sviluppo sostenibile in tutti i settori dell’istruzione. Per il futuro sarà importante sviluppare ulteriormente queste attività, collegarle tra loro e ancorarle all’intero sistema educativo. Ciò include anche che l’educazione alla sostenibilità sia concepita come educazione informale e come un compito di apprendimento permanente. Nei prossimi anni devono essere perseguiti i seguenti obiettivi: l’educazione allo sviluppo sostenibile dovrebbe essere istituita nelle scuole materne. Inoltre, i risultati del programma BLK 21, che si concentra sull’educazione allo sviluppo sostenibile, dovrebbero essere combinati con le idee pedagogiche fondamentali nelle scuole che forniscono istruzione generale. Gli esempi pratici della scuola e della formazione professionale devono essere elaborati e resi accessibili alle
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parti interessate come modelli. L’educazione allo sviluppo sostenibile dovrebbe essere sempre più consolidata nelle università e nell’istruzione superiore. Oltre alle aree formali dell’istruzione, anche il settore informale e non formale dovrebbe ricevere maggiore attenzione. Gli aspetti della sostenibilità devono essere tenuti in considerazione anche nel lavoro e nel tempo libero e deve essere valorizzata la loro importanza per cambiare lo stile di vita di ciascuno. Per migliorare le attività future, è anche necessario lavorare sistematicamente sugli errori nell’implementazione delle attività. Connessione in rete degli attori nel campo dell’educazione allo sviluppo sostenibile: poiché lo sviluppo sostenibile è sostenuto da molti attori dell’amministrazione, delle imprese, delle organizzazioni non governative e di diversi settori politici, come la politica dello sviluppo, dell’ambiente, dei consumatori e dell’economia, è essenziale mettere in rete le loro attività al fine di ottenere effetti sinergici. Nei prossimi anni sarà necessario collegare tra loro le reti esistenti come le scuole UNESCO, le scuole ambientali in Europa e le scuole BLK 21 per promuovere l’educazione allo sviluppo sostenibile. È necessario stabilire partenariati con le
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imprese in modo che alunni e studenti possano acquisire una visione precoce delle possibilità di uno sviluppo economico sostenibile. Occorre sviluppare reti locali tra comuni, imprese, istituti di istruzione extrascolastica per giovani e adulti, associazioni e fondazioni. Il concetto di “regioni di apprendimento” è un buon modello in questo caso. Infine, è anche importante mettere in relazione sempre di più i diversi campi dell’istruzione in cui si generano conoscenze rilevanti per la sostenibilità e coinvolgere i punti di servizio tecnico centrale e i moltiplicatori. La ricerca e la diffusione dei loro risultati sono essenziali. Miglioramento della percezione pubblica dell’educazione allo sviluppo sostenibile: l’educazione deve essere riconosciuta da sempre più persone come un compito necessario. Ciò richiede la creazione di un pubblico critico che sostenga fondamentalmente il lavoro sull’educazione allo sviluppo sostenibile. Le persone dovrebbero imparare più che mai a utilizzare le proprie opzioni di creazione personale per promuovere la sostenibilità. Anche il pubblico specializzato in tutti i settori dell’istruzione deve essere convinto dell’educazione allo sviluppo sostenibile. I decisori di organizzazioni federali, statali, aziendali,
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non governative, associazioni e comunità devono essere convinti a impegnarsi attivamente in questo settore. I nuovi media sono di particolare importanza. Rafforzamento della cooperazione internazionale: la cooperazione internazionale nel campo dell’educazione allo sviluppo sostenibile deve essere promossa in misura maggiore. Ci sono una varietà di approcci all’interno dell’Unione Europea. Tuttavia, finora è stato fatto troppo poco in questo settore, per cui è urgentemente necessaria la cooperazione tra i paesi europei nel quadro dell’educazione alla sostenibilità. Anche la cooperazione con l’Africa, l’Asia e l’America è una necessità a cui si deve rispondere. Inoltre, la cooperazione nell’ambito dell’UNESCO svolge un ruolo centrale31.
31. G. de Haan - K. Seitz (a cura di), Kriterien für die Umsetzung eines internationalen Bildungsauftrages, in «Transfer», n. 21, 2001, pp. 58-66; C. Wulf - B. Newton (a cura di), Desarrollo Sostenible, Waxmann, Münster-New York-München-Berlin 2006.
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11. La sostenibilità come perno di una cultura della pace Una nuova fase negli sforzi per migliorare la sostenibilità è iniziata con l’adozione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York nell’autunno 2015, sulla base di una bozza corrispondente da parte dell’Open Working Group. Con questa decisione, i rappresentanti della comunità internazionale sperano di realizzare la sostenibilità come obiettivo per lo sviluppo dell’umanità. Questo testo è stato preceduto dal documento Rio +20 The Future We Want, che conteneva la decisione di istituire questo gruppo di lavoro, il cui compito era di redigere un elenco di “Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” (SDG) in vista dell’Assemblea generale ONU. Questi obiettivi delineano una visione universale per lo sviluppo umano nei prossimi quindici anni. Presi insieme, specificano cosa si intende per cultura della sostenibilità, i cui scopi includono: 1) porre fine alla povertà; 2) porre fine alla fame e sviluppare un’agricoltura sostenibile; 3) garantire salute e benessere alle persone di tutte le età; 4) educazione di qualità, inclusiva ed equa; 5) giustizia di genere; 6) gestione soste-
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nibile dell’acqua per tutti; 7) energia moderna sostenibile a prezzi accessibili per tutti; 8) sviluppo economico sostenibile per tutti; 9) industrializzazione sostenibile; 10) riduzione delle disuguaglianze tra paesi; 11) sviluppo urbano sostenibile; 12) garanzia di un consumo sostenibile; 13) lotta al cambiamento climatico; 14) impiego sostenibile degli oceani; 15) promozione di una gestione sostenibile dell’ecosistema terrestre; 16) promozione di società pacifiche e inclusive nello sviluppo sostenibile; 17) rivitalizzazione del partenariato globale per lo sviluppo sostenibile. L’Agenda 2030 sottolinea le interdipendenze tra gli obiettivi e le loro cinque aree centrali: “persone” (povertà e fame, vita dignitosa, uguaglianza, ambiente sano), “pianeta” (tutela degli ecosistemi), “pace” (inclusione, pace, giustizia), “prosperità” (benessere di tutte le persone attraverso lo sviluppo economico e tecnico), “partenariato” (cooperazione). La realizzazione di questi compiti dovrebbe basarsi sui principi di universalità, indivisibilità, inclusione, responsabilità e partenariato32. 32. G. Michelsen, Die Deutsche Nachhaltigkeitsstrategie. Wegweiser für eine Politik der Nachhaltigkeit, Hessische Landeszentrale für politische Bildung, Wiesbaden 2017;
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Chiunque abbia familiarità con il lavoro del sistema delle Nazioni Unite sa che nessuno di questi obiettivi è veramente nuovo: essi aggiornano gli obiettivi e le prospettive sviluppati all’interno del sistema delle Nazioni Unite. La novità, tuttavia, è che l’intera comunità internazionale si è riuni ta nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per adottare questi obiettivi per lo sviluppo sostenibile. Nel quarto obiettivo, l’educazione, l’istruzione e la socializzazione sono viste come un nodo chiave per raggiungere questi propositi. Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile mirano a superare tutti i problemi e le difficoltà caratteristici della vita nel mondo globalizzato, alcuni dei quali esistono da molto tempo. Se fosse possibile realizzare queste intenzioni, si creerebbero per tutti condizioni degne di essere vissute. Non ci sarebbero più povertà e fame, ma un sistema sanitario e educativo ben sviluppato che promuove tutte le persone allo stesso modo attraverso l’apprendimento permanente. Nel gennaio 2017, il governo federale ha presentato la sua strategia di sostenibilità compleI. Scholz, Herausforderung Sustainable Development Goals, ivi, pp. 23-39.
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tamente rivista per la Germania, con la quale ha ripreso la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2015 e, sulla sua base, si è impegnata per l’Agenda 203033. Per raggiungere la sostenibilità, è necessario un rapporto radicalmente modificato con la natura esteriore e interiore delle persone. Lo sviluppo verso la sostenibilità implica una trasformazione del capitalismo e la creazione di nuove forme di cooperazione economica, nonché una riduzione della colonizzazione della natura nell’interesse di nuove forme di convivenza tra uomo e natura. L’obiettivo è scoprire la natura come comunità, rispettarla e proteggerla. Nell’antichità, l’uomo si considerava parte della physis, che avvertiva come sua pari. Nell’era moderna, il capitalismo, l’industrializzazione e il colonialismo modificano sistematicamente il rapporto con la natura, che ora viene addomesticata e sfruttata nell’interesse delle persone. Sotto la minaccia del cambiamento climatico e della scarsità di risorse, si assiste a un cambiamento fondamentale nel rapporto con la natura e con l’ambiente, caratterizzato dal
33. G. Michelsen, Die Deutsche Nachhaltigkeitsstrategie, cit.
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concetto di sostenibilità e dalle profonde ricadute sull’educazione e sulla formazione.
12. Educazione alla sostenibilità: un quadro di riferimento per il 2030 Una nuova fase dell’educazione e dell’istruzione, decisamente influenzata da idee utopistiche sulla sostenibilità, inizia con il World Education Forum di Incheon in Corea nel maggio 2015, in cui è stata adottata una dichiarazione e si è discusso un programma d’azione, nel quale sono schizzati gli sviluppi auspicati nel campo dell’educazione tra il 2015 e il 2030. Quasi 1500 delegati provenienti da circa 130 paesi hanno preso parte a questo forum mondiale sull’educazione, organizzato sotto gli auspici dell’UNESCO. Oltre all’adozione della dichiarazione, è stato discusso un piano d’azione per la sua attuazione, che è stato adottato in occasione della successiva Assemblea generale dell’UNESCO in autunno. Come già accennato, l’obiettivo per lo sviluppo dell’istruzione nella società mondiale è di garantire a tutti un’istruzione inclusiva, equa, di qualità e permanente. Il programma si basa su
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una «visione umanistica dell’educazione e dello sviluppo» basata su diritti umani e dignità, giustizia sociale, sicurezza, diversità culturale e responsabilità condivisa. L’educazione e la formazione sono intese come un «bene pubblico» e un diritto umano fondamentale; la loro affermazione è necessaria per consentire la pace, la realizzazione umana e lo sviluppo sostenibile34. La dichiarazione e il programma d’azione raccomandano lo sviluppo di un sistema scolastico pubblico di 12 anni. La scuola dell’obbligo con istruzione gratuita e di alta qualità dovrebbe durare nove anni e includere l’istruzione primaria e secondaria inferiore. Si raccomanda inoltre l’istituzione di almeno un anno di istruzione prescolare obbligatoria gratuita e l’ampliamento della formazione professionale e dell’alfabetizzazione degli adulti. L’educazione e l’istruzione dovrebbero essere inclusive ed eque. “Inclusivo” qui non si riferisce solo all’inclusione dei bambini con disabilità, ma è un concetto molto più ampio e diretto contro ogni forma di esclusione ed emarginazione. La parità di accesso e di trattamento nell’istruzione sono le necessarie 34. UNESCO, Rethinking Education, cit.
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conseguenze. C’è ancora molto da fare in parecchie regioni del mondo, soprattutto per le ragazze e per le donne. Al fine di promuovere la conoscenza e la creatività di bambini e giovani, la qualità dell’educazione e dell’istruzione dovrebbe essere migliorata, ad esempio attraverso una migliore formazione degli insegnanti. Inoltre, la promozione dell’educazione e dell’istruzione non dovrebbe limitarsi al sistema scolastico. Occorre sviluppare la formazione professionale e l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita e promuovere l’istruzione informale e non formale. Il 4-6 per cento del prodotto interno lordo o il 15-20 per cento della spesa pubblica dovrebbe essere speso per l’istruzione. Il raggiungimento di questi obiettivi richiederà almeno altri 20 miliardi di dollari all’anno. L’“Educazione per lo sviluppo sostenibile” (ESD) sarà promossa con l’aiuto del programma d’azione globale dell’UNESCO, il programma che ha fatto seguito al decennio delle Nazioni Unite35. Negli obiettivi per lo sviluppo sostenibile
35. UNESCO, Roadmap for Implementing the Global Action Programme on Education for Sustainable Development, UNESCO, Paris 2014.
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(SDGs), l’educazione alla sostenibilità è espressamente menzionata nel sotto-obiettivo 4. Questo afferma che «tutti gli studenti [dovrebbero] acquisire le conoscenze e le abilità necessarie per lo sviluppo sostenibile». Viene introdotto, come altro programma, anche il “Global Citizenship Education” (GCE). Inoltre, sono richiesti: l’educazione ai diritti umani, l’educazione alla pace e all’apprendimento interculturale, nonché l’educazione alla tolleranza e alla democrazia36. Questa visione di un’istruzione inclusiva, equa, di alta qualità e permanente costituisce il quadro di riferimento per l’educazione nella società globale, su cui la comunità internazionale ha concordato a Incheon. Rispetto al passato, questo sviluppo è un passo avanti – a maggior ragione quando si sa, non da ultimo per esperienza con gli Obiettivi del Millennio, quanto sia difficile fare progressi con scopi di così vasta portata. Per quanto sia necessario allineare l’educazione e la formazione a questi obiettivi, l’obiezione di Lyotard alle “grandi narrazioni” dell’umanità
36. W. Wintersteiner et al., Global Citizenship Education. Politische Bildung für die Gesellschaft, Österreichische UNESCO-Kommission, Wien 2014.
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deve essere presa in considerazione37. Secondo Lyotard, c’è il pericolo che tali narrazioni servano a nascondere il fatto che quanto descrivono è difficilmente realizzabile. Ma queste visioni offrono già un certo grado di “soddisfazione”. Suggeriscono che qualcosa è stato migliorato e che sanno per cosa lottare e cosa fare. Questa critica non può essere respinta a priori. Diventa più plausibile quando si analizzano le strategie concrete del programma d’azione e si prende coscienza delle differenze quasi insormontabili tra le prospettive. Il carattere visionario della dichiarazione rischia di oscurare queste difficoltà, che acquistano peso nel lavoro concreto per l’attuazione delle singole riforme. Una cosa è lo sviluppo di una visione e di un programma d’azione, un’altra è la realizzazione concreta, che comporta nuove e complesse difficoltà, di fronte alle quali gli elementi visionari perdono il loro fascino. Questi obiettivi ricordano le grandi utopie della storia europea: la Politeia di Platone, la Città del Sole di Tommaso Campanella, l’Utopia di Tommaso Moro. La serie potrebbe continuare. Nel campo dell’educazione, le utopie e il pensiero utopico esercitano un fasci37. J.-F. Lyotard, La condizione postmoderna, cit.
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no al quale quasi nessuno può sottrarsi. Esse mostrano cosa sarebbe possibile se le persone non fossero come sono e se le utopie potessero essere realizzate. Le utopie tendono a restringere la diversità della vita umana a favore di un ordine sociale considerato buono. Lo sviluppo auspicato verso la sostenibilità è più diversificato di tutte le utopie progettate in precedenza. Le restrizioni sui diritti fondamentali esistenti possono persino essere inevitabili per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Forse lo sviluppo auspicato rischierebbe addirittura di trasformarsi, in alcuni punti, nel suo contrario, secondo l’intuizione di Horkheimer e Adorno sulla dialettica dell’Illuminismo38.
38. M. Horkheimer - T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, tr. it. di R. Solmi, Einaudi, Torino 2010.
Indice
Tra antropologia e pedagogia: il contributo di Christoph Wulf Introduzione di Federica Buongiorno
p. 9
I. I fondamenti antropologici dell’educazione
p. 15
1. Modelli storici dell’essere umano e loro effetti sull’educazione
p. 22
2. L’antropologia pedagogica come parte della scienza dell’educazione 2.1. Antropologia pedagogica filosofica 2.2. Antropologia pedagogica fenome nologica 2.3. Antropologia pedagogica integra tiva
p. 27 p. 28 p. 33 p. 35
3. Critica dell’antropologia pedagogica
p. 37
4. La svolta verso l’antropologia storicopedagogica 4.1. Rituale 4.2. Apprendimento
p. 42 p. 55 p. 56
5. Prospettive 5.1. Ampliamento della diversità me todologica 5.2. Inter- o transdisciplinarietà 5.3. Inter- o transculturalità 5.4. L’educazione culturale come te ma di ricerca
p. 59
II. La forza produttiva dell’immaginazione
p. 69
1. Immaginazione come conditio humana
p. 70
2. La performatività dell’immaginazione
p. 80
3. L’apprendimento mimetico come apprendimento culturale
p. 84
4. Apprendimento mimetico e ricerca evolutiva
p. 93
5. Apprendimento mimetico e conoscenze neuroscientifiche
p. 96
6. Sulla genesi del concetto di performatività
p. 99
p. 59 p. 61 p. 62 p. 64
7. La performatività come focus di formazione e educazione p. 103 8. Pedagogia performativa e educazione p. 113 9. Sguardo d’insieme
p. 116
III. Conoscenza tacita: iconicità, performatività, materialità p. 119 1. Le immagini e il carattere iconico del mondo p. 120 2. Performatività: messa in scena ed esecuzione p. 125 3. Essere umano e cosa: la materialità dei processi pedagogici p. 129 4. Conoscenza tacita
p. 136
5. L’appropriazione mimetica delle immagini p. 143 6. L’appropriazione mimetica del sapere performativo e pratico p. 148 7. L’appropriazione mimetica della materialità delle cose p. 151 8. Sguardo d’insieme
p. 154
IV. Pace, diversità culturale e sostenibilità come compiti di un’educazione globale p. 157 1. Verso un’educazione alla pace
p. 158
2. Pace, cultura della pace e educazione alla pace p. 168 3. Globalizzazione e diversità culturale
p. 183
4. L’alterità come sfida 4.1. Egocentrismo 4.2. Logocentrismo 4.3. Etnocentrismo
p. 188 p. 188 p. 189 p. 190
5. L’esplorazione dell’estraneo
p. 195
6. La non-identità dell’individuo
p. 201
7. Sulla dinamica transculturale del processo educativo 7.1. Differenza 7.2. Trasgressione 7.3. Ibridità
p. 205 p. 206 p. 207 p. 208
8. Sostenibilità
p. 210
9. Principi dei piani d’azione nazionali
p. 214
10. Obiettivi dei piani d’azione nazionali
p. 216
11. La sostenibilità come perno di una cultura della pace p. 221 12. Educazione alla sostenibilità: un quadro di riferimento per il 2030 p. 225
Christoph Wulf (1944) ha insegnato Antropologia e Pedagogia presso la Freie Universität di Berlino, dove è anche membro del Centro Interdisciplinare per l’Antropologia Storica, dell’area di ricerca “Kulturen des Performativen” (Culture del performativo), del centro di eccellenza “Languages of Emotions” e del programma di studi “InterArt/Interart Studies”. Wulf è tra i fondatori e i principali esponenti della scuola berlinese di antropologia storico-culturale, che combina metodologie e temi di ricerca provenienti da diverse aree disciplinari in una prospettiva transculturale, ed è uno dei pedagogisti e antropologi tedeschi più apprezzati e conosciuti nel mondo. Federica Buongiorno è ricercatrice a tempo determinato in Filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di Firenze. Le sue aree di specializzazione sono la fenomenologia husserliana e post-husserlia-
na, la filosofia della tecnologia, i digital studies e la teoria della conoscenza. Ha conseguito il Dottorato di ricerca in Filosofia nel 2013 presso l’Università “La Sapienza” di Roma con una tesi sul precategoriale nel primo Husserl. Ha svolto attività di ricerca presso l’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli (2012-2013), la Freie Universität di Berlino (2014-2017), l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli (2017) e la Technische Universität Dresden (2017-2020). È Editor in chief della rivista internazionale «Azimuth» e redattrice delle riviste di filosofia «Lo Sguardo» e «Philosophy Kitchen». Collabora come traduttrice dal tedesco per diverse case editrici italiane.
Umweg Collana di Filosofia Contemporanea Diretta da Federica Buongiorno, Libera Pisano
1. Antonio Lucci, Umano Post Umano. 2. Andreas Arndt, Immediatezza. 3. Peter Trawny, Medium e rivoluzione. 4. Luca Viglialoro, Arte e negazione. Sull’estetica di Schopenhauer. 5. Peter Sloterdijk, Negare il mondo? Sullo spirito dell’India e la gnosi occidentale. 6. Juliane Rebentisch, La moralità dell’ironia. Hegel e la modernità. 7. Ferdinand Fellmann, Fenomenologia ed espressionismo. 8. Francesco Saverio Trincia, Per una fenomenologia della passività. Osservazioni comparative su logica e fondazione passiva in Husserl.
9. Paola-Ludovika Coriando, Metafisica e ontologia nella filosofia occidentale e buddista. 10. Bernhard Irrgang, Introduzione alla filosofia della tecnica. Una prospettiva fenomenologico- evoluzionistica. 11. Patrizia Manganaro, Corpi soggetti. Edmund Husserl, Edith Stein, & gli altri. 12. Bernhard Waldenfels, Creatività responsiva. 13. Hans Joas, L’età assiale. Un dibattito scientifico sulla trascendenza. 14. Christoph Wulf, Forme del sapere e dell’educazione umani nell’epoca dell’Antropocene.
Umweg In questo volume Christoph Wulf, uno dei maggiori studiosi mondiali di pedagogia e antropologia culturale di lingua tedesca, ricostruisce le sfide che si presentano oggi, nell’epoca dell’Antropocene, nel campo dell’educazione e della formazione e, più in generale, del sapere umano. Wulf ricostruisce il contesto storico e la dimensione teorica dell’antropologia pedagogica culturale per come si è strutturata dapprima in Germania, il paese che ha fornito gli impulsi di ricerca iniziali più consistenti, e successivamente nel contesto europeo. L’autore esamina quindi il potenziale produttivo dell’immaginazione come strumento principale di risposta alle sfide poste dall’Antropocene, per poi concentrarsi su tre aspetti fondamentali, da sempre al centro delle ricerche di Wulf: iconicità, performatività e materialità della dimensione pedagogico-culturale. Infine, l’autore esamina criticamente le tre sfide cruciali del nostro presente iper-tecnologico: pace, diversità culturale e sostenibilità come obiettivi di un’educazione umana globale.
ISBN ebook 9788855294553 € 10,00
Collana diretta da Federica Buongiorno Libera Pisano
ISSN: 2499-6041