Blow-up e le forme potenziali del mondo 8857553345, 9788857553344

Interpretare Blow-up significa attivare un discorso filosofico complesso, attraversare quell’universo d’immagini moltepl

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Italian Pages 158 [101] Year 2020

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Table of contents :
Blow-up Scheda Tecnica
Introduzione
Capitolo 1 Blow-up: La scrittura della complessità e la decostruzione del visibile
1. La de-narrazione dello spazio-tempo e l’azzeramento dell’evento
2. Le forme dello sguardo
3. Il soggetto ermeneutico e la negazione dell’essere
4. Il mondo come costruzione della tecnica
Capitolo 2 Lo sguardo e la soggettività differita
Capitolo 3 La messa in scena e la costruzione dello spazio simbolico
1. L’occultamento della visione
2. L’enigma della visione nella configurazione del significante-cinema
3. L’apertura del mondo e la chiusura dello spazio
4. La de-umanizzazione della città
5. Gli oggetti e la scomposizione/ricomposizione ermeneutica del mondo
6. I limiti e le potenzialità dello sguardo
7. La rivelazione del mondo e la trasformazione del visibile
8. Il rock e la droga come riti collettivi
9. L’accettazione dell’immagine del mondo e la fine del soggetto come presenza
Nota bibliografica
Ringraziamenti
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Blow-up e le forme potenziali del mondo
 8857553345, 9788857553344

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n. 90 C

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Mariapia Comand (Università di Udine) Ra aele De Berti (Università degli Studi di Milano) Massimo Donà (Università Vita-Salute San Ra aele) Roy Menarini (Università degli Studi di Bologna) Pietro Montani (Università “La Sapienza” di Roma) Elena Mosconi (Università Cattolica di Milano) Pierre Sorlin (Università Paris-Sorbonne) Franco Prono (Università degli Studi di Torino) Andrea Rabbito (Università degli Studi di Enna “Kore”)

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P

BLOW-UP E LE FORME POTENZIALI DEL MONDO

© 2020 – M I

E

(Milano – Udine)

2420-9570

Collana: Cinema, n. 90 www.mimesisedizioni.it / www.mimesisbookshop.com Via Monfalcone, 17/19 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Telefono +39 02 24861657 / 02 24416383 E-mail: [email protected]

L’analfabeta del futuro non sarà chi non sa scrivere; ma chi non conosce la fotogra a. (László Moholy-Nagy, Pittura Fotogra a Film) L’unica realtà di cui siamo sicuri è la rappresentazione, cioè l’immagine, cioè la rappresentazione, cioè la non-realtà. (Edgar Morin, Il cinema o l’uomo immaginario) Ma non è forse vero che ogni punto delle nostre città è il luogo di un delitto? Che ogni passante è un delinquente? E il fotografo […] con le sue immagini, non è forse chiamato a rivelare la colpa e indicare il colpevole? (Walter Benjamin, Piccola storia della fotogra a) Molti sono i sentieri ancora ignoti. Ma a ogni pensante è assegnata sempre e soltanto una via, la sua: nelle cui tracce egli deve sempre costantemente vagare, per attenersi in ne a essa come alla propria vita, la quale però mai gli appartiene. (Martin Heidegger, Holzwege)

BLOW-UP Scheda Tecnica Regia: Michelangelo Antonioni. Sceneggiatura: Michelangelo Antonioni, Tonino Guerra (dialoghi in inglese in collaborazione con Edward Bond). Fotogra a: Carlo di Palma in Metrocolor. Costumi: Jocelyn Rickards Musica: Herbie Hancock, The Yardbirds. Interpreti: Vanessa Redgrave; David Hamming (Thomas); Sarah Miles; John Castle; Jane Birkin; Gillian Hills; Peter Bowles; Veruschka; Julian Chagrin; Claude Chagrin; Produzione: Carlo Ponti e Metro-Goldwyn-Mayer; Lavorazione: 24 aprile 1966 – 1° luglio 1966: Londra (Notting Hill, Greenwich, Pechkam, Chelsea, Charlton, Regent Street, James’s Street, Stockwell) Hertfordshire, Regno Unito Lunghezza: 111’ (3112 m.) Visto di censura: n° 49746 del 4/9/1967 (vietato ai minori di 14 anni) Prima proiezione: 18 Dicembre 1966 (New York City, USA); 16 marzo 1967 (Londra, UK): 29 agosto 1967 (Italia).

INTRODUZIONE Parlare di Blow-up a cinquantatré anni di distanza dalla sua uscita e a dodici dalla morte di Antonioni, signi ca parlare inevitabilmente del cinema, del suo apparato e del suo dispositivo di funzionamento, al di là delle trasformazioni che sono avvenute negli ultimi anni1. Vuol dire anche parlare delle immagini, cosa non necessariamente scontata quando si parla di un lm o del cinema in generale. È chiaro che l’essenza del cinema è proprio costituita da immagini: da immagini-movimento e da immagini-tempo, come sosteneva Gilles Deleuze. Non è però così immediato pensare che ogni lm instauri un rapporto diretto con le immagini e attivi una ri essione profonda sullo statuto teorico di quelle immagini che lo compongono. Oltre al cinema, anche il mondo è costruito attraverso forme visive di molteplice e in nita signi cazione, che assumono particolari con gurazioni e si iscrivono in orizzonti teorici complessi. Sono orizzonti carichi di ambiguità e portatori di illusioni, al cui interno i concetti di vero e falso, di realtà e verità, diventano di cili da riconoscere2, da decifrare e comprendere appieno. Sono immagini diverse, che si trasformano attraverso processi psichici in gure di diversa natura e classi cazione. Il prodotto di tali trasformazioni sono delle immagini inedite e completamente rielaborate, destinate a creare confusione senza un approccio corretto e un adeguato atto interpretativo. Ci troviamo di fronte a immagini, ma anche a gure che attivano a loro volta gurazioni e ri- gurazioni capaci di auto-interpretarsi e di andare oltre le immagini stesse, di attraversarle e oltrepassarle, di attivare dinamiche tra visibile e invisibile, tra probabile e improbabile3, tra tracciati rivelatori, regolatori e oggetti rimossi4. Sono immagini fortemente inserite in un orizzonte mediatico,

in contesti comunicativi ed estetici diversi cati (il cinema e non solo), capaci di attivare fantasmi inconsci nello spettatore, produrre senso e signi cato nell’orizzonte culturale in cui sono iscritte. Le immagini sono capaci di andare oltre l’apparenza iniziale, al di là della loro forma. Fanno parte di un orizzonte dominato dall’intensità5 al cui interno si iscrivono particolari forme di seduzione6 e fascinazione. Ma ancora, queste immagini instaurano con la realtà e con il mondo un rapporto di forte complessità e radicale ambiguità, passando attraverso un orizzonte di potenza, così come è stato attivato dall’ermeneutica ontologica, aprendosi al concetto di mondo come potenza e di apertura dell’opera d’arte, presente nel pensiero di Heidegger7. Ma evidentemente i due termini non esauriscono il contributo che il losofo tedesco ha fornito nella sua ri essione sul rapporto tra immagine e mondo. E non è solamente l’autore di Essere e Tempo ad aver sviluppato questa ri essione, che è giusto, per il progetto teorico di questo lavoro, far partire da lui, per approdare ad ulteriori ri essioni e diversi contributi. Partendo da queste premesse metodologiche, l’obbiettivo (uno dei tanti) di questo libro è quello di provare a risolvere i problemi che vengono sollevati in questo discorso loso co, di analizzare quell’universo d’immagini molteplici, complesse e ambigue, che attiva e produce il cinema, analizzando un lm estremamente importante da questo punto di vista come Blow-up di Michelangelo Antonioni, che potremmo anche de nire paradigmatico per il discorso che qui si vuole fare. La centralità di questo lavoro è proprio studiare, interpretare e comprendere come il testo di Blow-up lavori con concetti loso ci e teorici forti come quelli di illusione, falso, allucinazione e percezione. Vedere come la struttura del lm con guri, oggettivi e risolva visivamente quei concetti loso ci, attraverso le determinazioni dinamico-visive e le relazioni che attiva all’interno dello sguardo e degli sguardi presenti

nel lm. Il presente lavoro vuole anche sviluppare e fornire un’interpretazione su quella che è la società dell’immagine, sul cinema in generale, e su come l’immagine lmica si con guri e ricon guri nelle sue dinamiche e nel suo statuto di funzionamento. Il lavoro di interpretazione del testo andrà nella direzione di uno studio attento su Blow-up e su una ri essione più generale dell’immagine, sulla fruizione delle immagini e delle forme visive, sui nodi teorici che il cinema e la loso a hanno di volta in volta sollevato e tentato di risolvere, a volte riuscendoci, altre volte lasciando il problema irrisolto. L’immagine lmica ha un rapporto particolare con la realtà, in quanto non è il suo prodotto diretto o il disvelamento del reale come troppo spesso un certo di tipo di critica ha portato avanti in periodi diversi nel Novecento8. L’immagine lmica è un’immagine simulacro che, proprio per questo, perde e rimuove la propria origine, producendo al contempo senso, e si attesta come una forma interpretativa del mondo, che rielabora e ricon gura il tempo9, evoca i fantasmi10 e crea illusioni ed enigmi11. Ma è anche, come ricorda Aumont: “una struttura astratta composta da relazioni tra oggetti gurativi e oggetti culturali”12. È un’immagine che si autointerpreta e auto-decostruisce all’interno delle proprie strutture apparentemente durature, ma in realtà potenzialmente fragili; così come viene oggettivato da Blow-up. Nonostante l’elevata dose di studi compiuti su Antonioni, era necessario un nuovo studio completamente focalizzato su tale lm, per vari motivi. In primo luogo, perché riteniamo che analizzare Blow-up, attraverso una prospettiva ermeneutico-decostruzionista di interpretazione, possa essere un contributo originale e innovativo allo studio di un lm troppo spesso esaltato, ma poco studiato in maniera organica. Non esiste nei fatti

un singolo libro che studi in maniera dettagliata questo lm. In secondo luogo, perché nonostante Blow-up possa apparire un lm alquanto datato, è ancora capace di parlare alla contemporaneità, sia nella con gurazione di un immaginario che è approdato no al mondo di oggi, e sia perché i nodi teorici rilevanti che mette in evidenza sono i problemi loso ci della società contemporanea, in un contesto in cui il rapporto tra il soggetto e le immagini, tra il soggetto e la pratica di fare fotogra e (e modi carle) si è totalmente intensi cato, sollevando gli stessi nodi teorici che anche il protagonista del lm (con le dovute di erenze) cerca di risolvere lungo tutta la storia, in maniera uguale e di erenziale rispetto al soggetto contemporaneo. Si tratta in fondo del rapporto tra l’uomo e la tecnica nella sua accezione negativa di cui parlava Heidegger e che Blow-up con gura costantemente13 e vi ci ri ette nel suo modo di pensare e di pensarsi. Questo lavoro è sostanzialmente una ri essione articolata sullo sguardo14, su come esso si modi chi anche all’interno della lmogra a di Antonioni, individuando quindi un percorso, un’evoluzione teorica e stilistica, un ulteriore approccio al mondo e al cinema. Verrà dedicato ampio spazio a un’analisi diretta del testo lmico, so ermandosi sui meccanismi signi canti che vengono attivati, sulle dinamiche di senso che emergono, in una più ampia ri essione sulle costruzioni visive e simboliche che produce il lm. A più riprese verrà messa in evidenza la dimensione auto-decostruita del testo di Blow-up, che risulta essere estremamente signi cativa e di importanza fondamentale per comprendere i discorsi teorici che Antonioni attiva, anche in maniera indiretta e inconsapevole. Inoltre, si farà riferimento al problema dello spazio come con gurazione allucinatoria e proiezione fantasmatica. Successivamente verrà intrapresa una ri essione accurata sul problema dell’immaginario inteso come luogo di sguardo sul visibile che supera e travalica i con ni molteplici ( sici e simbolici)

dell’immagine, riallacciandosi al problema del simulacro e a tutti i nodi problematici che esso solleva. Nonostante gli anni trascorsi dalla sua uscita, si può a ermare che Blow-up sia un lm invecchiato bene, che riesce ancora a suscitare interesse e mistero, che produce immaginario, rimanendo ancora un lm dallo sguardo a ascinante e ambiguo sul mondo nel quale viviamo. 1 Cfr. F. Casetti, La galassia Lumière. Sette parole chiave per il cinema che viene, Bompiani, Milano 2015; A. Somaini, La distinzione tra Medium e Form. Luhmann e la questione del dispositivo, in “Fatamorgana”, a. IX, n. 26, 2015. 2 Cfr. P. Bertetto, Lo specchio e il simulacro. Il cinema nel mondo diventato favola, Bompiani, Milano 2007; F. Jost, Realtà/ nzione. L’impero del falso, Il Castoro, Milano 2003. 3 Su questo particolare aspetto si veda: J. Aumont, À quoi pensent les lms, Nouvelles Éditions Séguier, Paris 1996; tr. it. di C. Tognolotti, A cosa pensano i lm, Ets, Pisa 2007, limitatamente al capitolo intitolato Figurabile, gurativo, gurale. 4 J.F. Lyotard, Discours gures, Klincksieck, Paris 1971; tr. it. Discorso, gura (1989), Mimesis, Milano 2008; “Aut aut” (L’acinema di Lyotard), n. 328, 2008. 5 P. Bertetto, Il cinema e l’estetica dell’intensità, Mimesis, Milano 2016. 6 Si veda in proposito: J. Baudrillard, De la séduction, Éditions Galilée, Paris 1979 ; tr. it. di P. Lalli, Della seduzione, SE, Milano 1997. 7 Si veda sull’argomento: M. Heidegger, Sein und Zeit (1927), Niemeyer, Tubingen 1977; tr. it. di P. Chiodi, Essere e tempo, Longanesi, Milano 2015⁸; Id, Holzwege, Klosterman, Frankfurt a/Mein 1950, tr. it. di V. Cicero, Holzwege. Sentieri erranti nella selva, Bompiani, Milano 2006; 8 Giusto per esempli care il discorso, si veda: A. Bazin, Qu’est ce que le cinéma?, Éditions du Cerf, Paris 1962, tr. it. di A. Aprà, Che cos’è il cinema?, Garzanti, Milano 1973. 9 G. Deleuze, Cinéma II – L’image- temps, Editions du Minuit, Paris 1985, tr. it. di L. Rampello, L’immagine-tempo, Ububri, Milano 1986. 10 J. Derrida, Il cinema e i suoi fantasmi, in “Aut Aut”, n. 309, maggio-giugno 2002. 11 Sul problema dell’immagine simulacro, cit., pp. 11-50.

lmica si veda: P. Bertetto, Lo specchio e il

12 J. Aumont, A cosa pensano i lm, cit., p. 155.

13 Cfr. F. Jameson, Signatures of Visible, Routledge, Chapman and Hall, New York 1992; tr. it. di D. Turco, Firme del visibile. Hitchcock, Kubrick, Antonioni, Donzelli, Roma 2003. 14 Sullo sguardo in Antonioni si veda anche: S. Chatman, Antonioni on The Surface of the World, University of California Press, Berkeley 1985.

CAPITOLO 1 BLOW-UP15: LA SCRITTURA DELLA COMPLESSITÀ E LA DECOSTRUZIONE DEL VISIBILE Il cinema di Michelangelo Antonioni ha subito nel corso degli anni diverse evoluzioni formali e talvolta anche stilistiche, relative soprattutto agli oggetti di indagine e agli aspetti più prettamente tecnici della messa in scena, della costruzione dello spazio, ecc. Questa evoluzione ha sempre avuto a che fare con un’ampia indagine sul linguaggio cinematogra co, e si è legata a due costanti: una concezione particolare di cinema, subordinata a una ricerca estetica innovativa e complessa, talvolta di di cile ricezione; e una precisa idea dello sguardo, che diventa il vettore, l’orizzonte teorico e narrativo di tutti i suoi lm. Queste due costanti che possiamo de nire come due aspetti strutturali del cinema di Antonioni, lavorano in forte sinergia l’una con l’altra, in uno stretto rapporto di scambio, di dialettica formale che investe ogni elemento diegetico ed extra-diegetico, ma al contempo anche tutti gli aspetti più concettuali, teorici che di volta in volta vengono sollevati dal testo lmico. Da questo discorso deriva un nuovo modo di vedere e un inedito metodo di lavoro che “vede un occhio attento a cogliere i movimenti delle passioni […] ed un altro occhio attento a coglierne […] i ‘sintomi’, […] i fattori che in uenzano l’universo dei comportamenti interiori e dei loro segni”16. Ma se vogliamo costruire una tassonomia del cinema di Antonioni, forse pure oscillante tra due poli concettuali, tra due scelte binarie dove collocare qualsiasi elemento teorico, c’è bisogno anche di una ri essione su altri due piani ben precisi: da un lato sui personaggi protagonisti dei suoi lm, e dall’altro sull’uso che essi fanno del loro sguardo e, di conseguenza, di come si rapportano al visibile. Non a caso, secondo Tinazzi: Il primo, più diretto, lo ha portato talora a porre in alcuni suoi lm una gura di intellettuale, […] un ‘professionista della visione’; il secondo piano, indiretto, lo ha indotto a chiedersi i modi e le ragioni di quel vedere.17

Quello del regista ferrarese non è certamente uno stile cinematogra co18 giocato sulla spettacolarità, sui colpi di scena e su di una narrazione lineare, convenzionale e di facile fruizione. Anzi, come ricorda Chatman: “il nuovo stile di Antonioni è ‘attenuazione’ nel senso proprio del termine, ossia ‘assottigliare, snellire, ridurre’; oppure, per citare un’espressione utilizzata dallo stesso Antonioni, uno stile asciutto”19. È un’idea di cinema essenziale, scarna all’apparenza, in un certo senso minimalista, che va a scardinare determinate dinamiche narrative e visive consolidate, soprattutto per quel che riguarda il cinema italiano dal dopoguerra in poi20. Antonioni rompe con una tradizione, soprattutto con una cultura provinciale di cui è pervasa l’Italia del periodo post-bellico e della ricostruzione, ma anche dei decenni successivi, per approdare a una ri essione di più ampio respiro che non si colloca mai nell’area neorealista21 (al di là del contesto), nemmeno nei suoi primi documentari come Gente del Po (Id, 1943-48) o come nel cortometraggio più maturo Tentato suicidio contenuto all’interno del lm collettivo L’amore in città (Id, Autori Vari, 1953). Anche nei lm degli anni cinquanta come Cronaca di un amore (Id, 1950), I Vinti (Id 1952), La signora senza camelie (Id, 1953) c’è un approccio nuovo al cinema, anche se spesso non capito dal grande pubblico o ancora non elevato a uno stile riconoscibile come avverrà successivamente. È una concezione del cinema che non si chiude e si ferma al contesto nazionale, ma si allaccia alla cultura europea in generale e alle suggestioni più disparate del cinema internazionale. Antonioni, infatti, era stato l’assistente alla regia di Marcel Carné sul set di Les visiteurs du soir (L’amore e il diavolo, 1943), e aveva così maturato una conoscenza maggiore del cinema d’oltralpe, di conseguenza entrando in una dimensione intellettuale europea (e forse anche internazionale) ricca e stimolante che non poteva certo avere nell’Italia fascista e postfascista.

1. La de-narrazione dello spazio-tempo e l’azzeramento dell’evento L’ambiente culturale dentro al quale Antonioni si trova a lavorare, sarà di fondamentale importanza per la sua formazione, così tanto che, una volta ritornato in Italia, potrà elaborare una nuova concezione teorica del medium cinematogra co, dello sguardo22; e mettere così in discussione i dettami teorici del neorealismo. Il primo obiettivo contro cui si scaglia è la narrazione classica, il carattere drammatico che viene totalmente ride nito e trasformato, con particolare attenzione per l’intreccio. Per attuare questa trasformazione radicale Antonioni prende come modelli letterari autori come Mann, Proust e Joyce, che avevano fatto della distruzione del racconto classico e dell’annullamento delle norme aristoteliche della drammaturgia il proprio marchio di fabbrica. Anche se non mancheranno riferimenti a modelli più canonici di narrazione, come ad esempio Le amiche (Id, 1955), liberamente ispirato a Tra donne sole (1949) di Cesare Pavese. Non è tanto la storia che interessa ad Antonioni, è il modo di raccontarla, di costruirla anche visivamente, cioè l’intreccio che, come ricordava Chatman, proprio nel Novecento era diventato: “una struttura aperta”23. Questa predisposizione verso un nuovo modo di fare cinema e di raccontare storie, possiamo de nirla, a ragione, de-drammatizzazione, che non è un automatismo per Antonioni ma diventa un’opzione, una possibilità che rende la situazione ancora più complicata. Aprendosi considerevolmente, questa struttura narrativa è attraversata dalla contingenza, che interviene in maniera particolare nella narrazione, o meglio in quella che si potrebbe de nire “de-narrazione antonioniana”. Sebbene Antonioni metta in discussione i rapporti di causa-e etto e tutta la grammatica del cinema classico24, non lo fa per privilegiare direttamente una situazione di casualità pura e di non-controllo del set, così come facevano ad esempio Jean Renoir e successivamente alcuni registi della Nouvelle Vague. Ci troviamo di fronte a un cinema certamente della modernità, ma che sfugge a tale classi cazione perché va in direzione della post-modernità25, cioè verso quell’insieme di teorie e pratiche di ride nizione della messa in scena e della narrazione, che caratterizza in parte un certo cinema contemporaneo. La scelta di Antonioni è appunto per la contingenza contro il caso, ed è da intenderla come una costruzione epistemologica della ne “poiché la ne non riunisce mai i li dell’intreccio, essa è da considerarsi soltanto come un evento in più del racconto, non meno accidentale di qualsiasi altro”26. Oltre a questa sottrazione del carattere drammatico del racconto, vi è proprio una sottrazione della stessa narrazione, o comunque di una narrazione convenzionale che viene continuamente ride nita, no ad assumere carattere nomade e per certi versi rizomatico27. È una narrazione legata all’intensità che non solo parla di eccesso, ma in contrapposizione può, come dice Bertetto: “ri ettere un azzeramento o una forte riduzione degli elementi del testo. Può anche essere prodotta da una rarefazione delle componenti, da un abbassamento degli elementi comunicativi”28; quindi, da quanto emerge, l’intensità può essere prodotta “nella prospettiva della riduzione o dell’azzeramento”29. Ma allo stesso tempo, se vogliamo anche in maniera paradossale, c’è un eccesso di narrazione o di narratività, sebbene entrambe le terminologie siano tutt’altro che convenzionali. Vediamo in che senso. Come ricordava la Ropars: il lm […] tende più del testo alla narratività, nella misura in cui il movimento dell’immagine richiama più direttamente la connessione con un altro movimento: la gura dello spazio è già temporizzata nel piano; la continuità della percezione accentua la tendenza alla linearizzazione del tempo e senza dubbio questa continuità ininterrotta è necessaria alla comprensione lmica, che procede per articolazione, non per successione.30

Senza questa de-drammatizzazione narrativa, senza questa de-narrazione strutturale, non ci sarebbero gli altri discorsi teorici che il cinema di Antonioni attiva e solleva, sia in un ambito più strettamente autoreferenziale (di cui Blow-up è forse l’esempio più interessante) che in altri ambiti sollevati di volta in volta dall’orizzonte diegetico e dalla costruzione testuale (lo spazio, il visibile, la composizione dell’immagine, gli oggetti, ecc.). Soprattutto da L’avventura (Id, 1960) in poi, vero punto di svolta formale, Antonioni si confronta e talvolta si conforma (in maniera personale e originale) a un orizzonte narrativo particolare che si sviluppa in quel determinato contesto, come ad esempio il Nouveau

Roman. Vale la pena di citare per intero un ampio passaggio del già citato lavoro della Ropars: I racconti degli anni ‘60 operano la decostruzione del modello narrativo classico […] procedendo a un intervento strutturale sulla narratività (in cui lo spazio come gurazione stabile è sottoposto al tempo che regola la sua trasformazione signi cativa) realizzando una proiezione inversa del tempo nello spazio, inteso in senso sico, cioè matematico, del termine.31

E subito dopo continua: Il cambiamento di scala introduce una rottura qualitativa. In questa concezione sica dello spazio-tempo, lo spazio perde la propria dimensionalità gurativa e la propria ssità, il tempo perde la propria linearità cronologica: spazio e tempo sono presi in un’interazione aperta, secondo cui un tempo contemporaneamente multiplo e reversibile si inscrive in uno spazio anch’esso mobile, temporizzato e non direzionato.32

Da questo punto di vista, anche le tre sequenze33 al Maryon Park di Blow-up intendono scardinare lo spazio-tempo e costruire una struttura che si apre al molteplice e alla intensi cazione di punti di vista. È uno spazio potenziale che con gura l’alterità, che inscrive il soggetto nello spazio-tempo e poi lo de- gura in un processo rimuovente della soggettività. È una scrittura cinematogra ca che non ha precedenti, soprattutto in Italia. Carico di complessità e ambiguità, tale modus operandi caratterizzerà tutto il cinema di Antonioni, connettendolo a un forte immaginario sociale mischiato a orizzonti percettivi e visivi di estrema intensità e ambiguità formale. È una narrazione azzerata che privilegia la sottrazione, la dilatazione temporale rispetto alla spettacolarità, che con gura alterità, che rimescola gli elementi del visibile per annullarli nella loro sionomia, ma allo stesso tempo li esalta attraverso procedure compositive che favoriscono l’ambiguità e il negativo. 2. Le forme dello sguardo Oltre a questo discorso sulla narrazione e sulla disgregazione del soggetto nelle potenzialità dello spazio-tempo, il cinema di Antonioni è attraversato soprattutto da una complessa ri essione sullo sguardo e sugli sguardi diegetici. Esso è inscritto in una complessa dicotomia tra illusione/disillusione e occultamento/disvelamento dell’orizzonte visivo, realizzato attraverso un intensivo lavoro sulla messa in scena e sulla costruzione dell’immagine. Ogni lm al suo interno costruisce speci che dinamiche di sguardo, ma i lm di Antonioni portano il discorso verso una radicalizzazione di tali dinamiche, capace quindi di attivare ri essioni di ampio respiro. Lo sguardo è sempre produttore di alterità e di istanze molteplici. Prima di iniziare qualsiasi discorso, bisogna sempre chiedersi chi è che guarda (e non sempre è un soggetto), e cosa viene guardato. Il lavoro di messa in scena è a dato, come si è visto prima, a un uso complesso della narrazione, che risulta estremamente dilatata e che infonde alla visione una forte sensazione di disagio, non coinvolgendo spesso in maniera attiva lo spettatore comune, anzi, addirittura rendendolo ostile a una visione così particolare. Ma è proprio questa complessità della visione che richiede una condizione attiva nei confronti di chi guarda. Come si è visto poco sopra, non è una narrazione che mira a colpi di scena o a un ritmo veloce, ma costruisce un discorso complesso e ambiguo attraverso un’indagine sul visibile, e attiva una decostruzione delle forme estetiche consolidate della cultura occidentale. Come ricorda De Vincenti: Per Antonioni ‘vedere’ non è un’attività ingenua, un punto di partenza per porre problemi di altra natura, morali, politici, sociali: per Antonioni è la visione stessa che costituisce un problema, ed è su di essa in primo luogo che egli orienta la sua ri essione.34

Il cinema di Antonioni, almeno da L’Avventura in poi, sottolinea la perdita dei rapporti di causa ed e etto, in cui l’irrilevante si con gura non solo come evento privilegiato rispetto al rilevante; ma addirittura diventa luogo di radicale signi cazione, come il visibile stesso, attestandosi come una vera e propria scrittura lmica non solo della modernità, ma andando oltre, sviluppando un discorso a sé stante. Lo sguardo diventa orizzonte di signi cazione e di rivelazione, ma allo stesso tempo si trasforma nel luogo di ambiguità per eccellenza, che rispecchia il terreno di incertezze della società moderna, soprattutto quella del boom economico degli anni ‘60, sui cui Antonioni indaga ossessivamente attraverso punti di vista originali. È uno sguardo che non registra la

mera realtà, che non si limita a riprodurla così come appare, ma la decostruisce e la interpreta, la destruttura de nitivamente, anche per quel che riguarda la riproduzione signi cante dei soggetti iscritti all’interno; perché, come ricorda giustamente Tinazzi: “riprodurre vuol dire tras gurare”35. È uno sguardo, quindi, che mette l’accento sulle proprie ambiguità e sui soggetti produttori di sguardi, che esalta le proprie idiosincrasie strutturali, esibendole siologicamente come forza simbolica, come vettore di reinterpretazione e decostruzione del visibile. Ma lo sguardo apre a una concezione del reale che non può più essere oggettiva e assoluta, come quella della tradizione meta sica contro cui l’ermeneutica ontologica si è sempre scagliata. Quello di Antonioni è uno sguardo che non si limita a mostrare la realtà, ma a sovvertirla, a smontarla, allungando o accorciando i tempi, costruendo dei blocchi narrativi che pongono da un lato l’esigenza di essere separati, ma allo stesso tempo di essere ricollocati e riuni cati in nuove unità di senso sempre più aperte al possibile e a una nuova concezione della realtà. Lo ricordava proprio lo stesso Antonioni in un’intervista a Jean-Luc Godard per i Cahiers du Cinéma: “Sento la necessità di esprimere la realtà in termini che non siano del tutto realistici”36. È una nuova concezione della realtà e di conseguenza una nuova con gurazione dell’orizzonte del reale che diventa di di cile comprensione. È una realtà irreale, aperta e molteplice, quindi non più la realtà tout-court. Lo sguardo di Antonioni pone anche l’esigenza tutta novecentesca di negare (visivamente e diegeticamente) il soggetto, così come avviene ad esempio ne L’avventura, dove Anna all’improvviso scompare a Lisca Bianca e il lm si concentra non più sulle ricerche della donna da parte dei suoi amici, ma sull’amore problematico che nasce tra Claudia e Sandro. O come avviene nel nale di Blow-up, o ancora in The passenger (Professione: reporter, 1975), in cui il soggetto viene negato in quanto identità e sostituito come immagine-simulacro che si perde totalmente. È uno sguardo che cerca di eludere un amore ormai nito, rinunciando a mettersi in gioco per non dover vedere l’altro, e incrociare lo sguardo dell’amato, come avviene ne Il grido (Id, 1957). Anche La notte (Id, 1961) con gura questo discorso: in questo caso gli sguardi sono l’occasione per vedere, percepire un mondo alienato che ha perso la propria individualità e intimità, a dandosi a ruoli sociali che non permettono nessun dialogo tra le persone. Vagando nel contesto urbano lo sguardo si accorge di altri oggetti, di altre fonti di interesse e di fascino, rimuovendo, anche in questo caso, l’interesse per l’umano. In L’eclisse (1962), invece, quello che interessa ad Antonioni è uno sguardo capace di annullare i sentimenti, di nascondersi nell’oscurità del visibile e dell’invisibile, non per sospendere la propria capacità di visione, ma per percepire gli spazi, i soggetti, gli oggetti e il mondo con maggiore enfasi, rimuovendo, anche se per poco, qualsiasi presenza umana. Lo sguardo è l’elemento attraverso cui si cerca di annullare le distanze tra gli uomini, pur consci che ciò non avverrà mai: ad esso è a dato il compito di colmare questo vuoto esistenziale, queste ampie distanze, con tutti i problemi che l’elemento solleva, con tutte le illusioni che crea nei soggetti, i quali non vogliono neanche più vedersi nonostante l’attrazione reciproca che provano, sovrastati da continui rischi di de-umanizzazione della propria esistenza. Ma c’è anche uno sguardo che diventa intimo e che agisce su due fronti: da un lato lavora ancora di più sul trauma e sull’alienazione in maniera radicale; dall’altro pone l’attenzione sulla condizione femminile e sulle istituzioni sociali del matrimonio e della famiglia che impediscono di vedere oltre l’orizzonte degli eventi, come avviene in Deserto Rosso (Id, 1964). Così lo sguardo attraversa tutto il cinema di Antonioni, dimostrando e a ermando la centralità di questo elemento all’interno delle storie, all’interno del mondo e delle esistenze. Non a caso il suo ultimo cortometraggio si chiamerà Lo sguardo di Michelangelo (Id, 2004) e sarà incentrato proprio sullo sguardo, sull’attività del vedere in un discorso contemplativo del visibile dai caratteri tarkovskijani37, e di indagine sugli oggetti come era avvenuto in Blow-up durante lo sviluppo delle foto. È un lavoro che parla di restauro, di luce e di ripristino delle condizioni di visione, un po’ come fece Godard in Passion (Id, 1982). In sostanza è una ri essione ampia su come guardare il cinema e ria ermare il suo statuto di funzionamento e

i molteplici regimi della visione. Ritornando agli anni ‘60, è proprio in questo periodo che lo sguardo di Antonioni indaga su nodi problematici di grande spessore intellettuale quali l’alienazione, la ricerca dell’altro, ecc., e lo fa attraverso strutture narrative e formali di grande complessità visiva. Mentre la maggior parte dei registi italiani continuava – seguendo ancora qualche ultimo strascico neorealista – a fare un cinema sempre più vecchio che si disinteressava completamente a qualsiasi discorso esistenzialista di ampio respiro, Antonioni introduceva una ri essione sul complesso rapporto sguardo-reale/sguardo-interpretazione che si presentava n da subito come scrittura che sì, era della modernità38, ma soprattutto una scrittura dell’irrilevante. Secondo questa prospettiva di ambiguità della visione, lo sguardo procede attraverso un lavoro decisamente eterogeneo: registra l’orizzonte del visibile, al cui interno la realtà subisce una ulteriore ride nizione e modi cazione dei contorni. Non più presenza assoluta e chiara di un soggetto, di un essere umano nel mondo, e di conseguenza orizzonte fenomenico iscritto nel mondo; ma qualcosa di alternativo e di radicalmente nuovo, in cui i rapporti di causa-e etto vengono ricon gurati e messi in discussione nella loro totalità. Proprio perché tra l’uomo e il mondo non c’è più un legame forte e chiaro nelle sue forme e nelle sue articolazioni simboliche, lo sguardo diventa da un lato il vettore di interpretazione del mondo, dall’altro di trasformazione percettiva e cognitiva dello stesso. E con questo enorme insieme di teorie, di esperienze e pratiche di regia che si arriva al 1966, cioè a Blow-up e alla grande svolta formale che ne deriva. Blow-up è soprattutto la storia di uno sguardo che analizza, scruta, talvolta immagina, ma soprattutto interpreta (o cerca di farlo) e distrugge il visibile. È uno sguardo che si fa visione di un’epoca e dei suoi oggetti, dell’arte, della moda e del costume39. Lo sguardo nel lm assume una vera e propria con gurazione autonoma, come se fosse un’entità dotata di qualche consistenza sica all’interno della diegesi, ma che allo stesso tempo si con gura come una sorta di signi cante surplus40, cioè come un oggetto esterno all’orizzonte diegetico ma che allo stesso tempo interagisce dall’interno, che penetra le strutture simboliche e le articolazioni del testo per riempire lo spazio vuoto. Nel lm lo sguardo oltre a essere il vero protagonista della storia e il punto cardine della messa in scena, si insinua all’interno delle tracce del testo, così da oggettivare la perdita sia di un soggetto inteso come presenza, e sia di un mondo che ha perso il suo referente, moltiplicandone le immagini, mostrandosi come residuo di altri mondi possibili. In Blow-up lo sguardo non mostra costruzioni oniriche, ma delle percezioni allucinatorie di grande e cacia, con una complessa articolazione tra percettivo e proiettivo, con gurando il carattere di rivelazione dell’apparato fotogra co. Il procedimento che costruisce Antonioni è decisamente molto complesso, visto che non si a da direttamente alle proiezioni eidetiche del protagonista, ma lo fa attraverso l’azione del personaggio dal punto di vista narrativo. Mentre dal punto di vista tecnico agisce attraverso complessi movimenti di macchina e multifunzionali infrazioni dei raccordi. Con Blow-up Antonioni passa da una sorta di sguardo critico che indaga, scruta e interpreta il visibile e lo spazio, a una critica della nozione stessa di sguardo. Come ricordava Lino Micciché a proposito del lm: è il passaggio dallo ‘sguardo critico’ sui sentimenti e sugli uomini […], ad un cinema di ‘critica dello sguardo’, ovvero un cinema dove l’esperienza esistenziale narrata e l’esperienza dello sguardo (sonorizzato) che la narra sono ambedue, parimenti, l’oggetto della diegesi, il tema del racconto, il duplice enigma portato avanti dal lm, la cui struttura conclusiva è sempre, enigmaticamente appunto, aperta.41

Blow-up è un lm nuovo, innovativo nella carriera di Antonioni, in quanto è costruito in maniera diversa rispetto ai lm precedenti, soprattutto nella con gurazione dello sguardo e nelle dinamiche complesse che attiva e su cui lavora. Non è più lo sguardo che indaga sulla frammentazione e deformazione del reale e dello spazio, ma è la costruzione allucinatoria che si insinua e penetra nella mente creatrice del soggetto vedente, mettendo in crisi la nozione di sguardo e quindi la nozione di vedere. Ne deriva così la messa in discussione dell’unità del mondo stesso, che si con gura come tanti frammenti di immagini da interpretare, ognuna delle quali nasconde un mondo diverso, e quindi struttura decostruita che esibisce la propria disunità.

3. Il soggetto ermeneutico e la negazione dell’essere Nell’orizzonte teorico del lm troviamo un altro elemento fondamentale che viene messo in discussione: il soggetto. Nel cinema di Antonioni il soggetto è spesso assente, nulli cato, mentre l’altro, inteso come presenza dell’eterogeneo e della diversità, è negato nella sua completezza e si di erenzia proprio perché è altro-da-sé42. La ricerca dell’altro diventa quindi l’elemento d’azione in un cinema in cui l’azione è subordinata alla visione, per divenire ricerca di sé stessi, ricerca dell’umano, visibilità43 del mondo. Per esempio, ne L’avventura, in Blow-up, ma anche in Professione: reporter, la ricerca di un qualcosa di visibile, per la precisione di un soggetto umano perduto o mai acquisito del tutto, si fa più palese. Che sia Anna, un cadavere nel parco, Robertson, o una soggettiva da acquisire, poco importa, quello che interessa è la ricerca del soggetto, di un soggetto rimosso, decostruito, sostituito, duplicatore e moltiplicatore di sé. Con Blow-up, questo tipo di ri essione loso ca molto complessa si fa più organica e va oltre le analisi del periodo precedente. Nel dibattito culturale del periodo, tutta una tradizione di tipo meta sico e positivista viene meno per dare spazio ad una vera e propria loso a dell’apparenza e del potenziale che trova anche in Antonioni terreno fertile di espressione e di forte ricerca. Le concezioni di Nietzsche sul falso, sull’apparenza e sul mondo fatto di illusioni, il concetto di traccia e di erenza in Derrida (che il lm anticipa), diventano in Blow-up un ambito noetico preliminare per una ri essione ermeneutica forte e compiuta che attraversa tutta la tradizione del Novecento, e verso la quale il lm si apre, insieme a tutta una serie di problematiche presentate come possibili enigmi da risolvere. Possiamo dire con certezza, non senza qualche di coltà nella classi cazione, che con questo lm Antonioni chiude un periodo precedente, più italiano (sebbene siano tutte coproduzioni italo-francesi), per approdare sempre più a scenari internazionali, a luoghi esotici e culture di erenti. È un periodo questo di più ampio respiro internazionale in cui il nucleo centrale della ri essione sul cinema è sempre indirizzato a una più netta messa in discussione della realtà e delle forme percettive dello sguardo. Anzi l’universo signi cante di Antonioni si pone da Blow-up in poi, per un ri uto radicale della realtà; ri uto dettato anche dall’impossibilità di a errarla e comprenderla. Ma, come abbiamo visto precedentemente, è anche un’altra concezione della realtà e dell’orizzonte del reale. L’intento è, per dirla con Antonioni stesso: “quello di ricreare la realtà in una forma astratta. […] mettere in discussione il ‘reale presente’”44. Questo quarto periodo di Antonioni, che alcuni come Lino Miccichè fanno risalire anche prima di Blow-up, con Deserto rosso45 per via dell’introduzione del colore; è caratterizzato da un ulteriore recupero ed esasperazione delle tematiche precedenti: la crisi dell’uomo all’interno della società, l’alienazione, la di coltà dei rapporti tra uomo e donna, tra l’essere umano e l’ambiente circostante, il trauma, il doppio. Questi aspetti sono trattati nei lm con una particolare attenzione al discorso percettivo e allucinatorio dello sguardo, e alle sue capacità di re-iscrizione del mondo e del soggetto. Anche in questo caso, lo sguardo assume due polarità signi canti di erenti: da un lato la reinterpretazione del mondo, e dall’altro la ride nizione organica e ancora più radicale del soggetto umano. Se il periodo precedente è caratterizzato da un’indagine più intima del soggetto umano tramite uno sguardo interiore che scruta quella che venne chiamata “la malattia dei sentimenti”46; quello successivo a erma certamente un radicale rivolgimento dello sguardo e della sua funzione di deformazione del visibile, ma anche e soprattutto una ricon gurazione del mondo intero, e con esso di una nuova idea della soggettività. Oltre allo sguardo sono il mondo e i soggetti presi nella loro unità a non convincere più Antonioni. Ad esempio in Blow-up, attraverso un impianto meta-testuale e auto-ri essivo, ci troviamo di fronte all’insorgere di una gura interna ed esterna al mondo diegetico, ma che nei fatti rimane marginale. Per la precisione è un soggetto che cerca di comprendere le con gurazioni dinamico-visive e narrative del testo lmico in maniera meta-referenziale, come un’entità iscritta in un mondo dominato dall’enigma visivo, il quale deve essere interpretato, decostruito e successivamente trasformato. L’operazione è complessa perché lo sguardo (del

protagonista e della mdp) diventa sia il luogo dell’enigma che soprattutto l’oggetto dell’osservazione e della critica radicale all’immagine e all’immagine del mondo che imbastisce Antonioni. Nel lm, lo sguardo non si limita a registrare l’evento o a riprodurre il reale, esso proietta l’immaginario con gurando un altro evento, fondendosi e completandosi con il mezzo tecnologico. In questo caso il mezzo fotogra co che sopperisce ai limiti dell’umano, diventa il mezzo privilegiato per un dialogo con la natura (come al Maryon Park), ma anche con il visibile, con il mondo e con le immagini del mondo. Per dirla con Moure, per Antonioni “il lmare non è più mostrare ma interrogare il visibile”47; come nei fatti farà anche il protagonista Thomas in contemplazione dubbiosa davanti alle foto ingrandite pronte per essere interpretate. Interviene così una fusione tra umano e tecnologico che si realizza attraverso modalità diverse da quelle che spesso sono intervenute nel cinema. Ovviamente non è il tipo di fusione tanto cara a Cronenberg e realizzata in Videodrome (Id, 1983)48, o nella serie di Tetsuo di Shinya Tsukamoto. È qualcosa di diverso, che ricorda o comunque evoca la posizione di Deleuze e Guattari, secondo i quali: “le macchine non sono mai se non prolungamenti dell’organismo”49. In questa posizione possiamo scorgere un discorso comune, come se il lm anticipasse di qualche anno il lavoro dei due loso . In Blow-up, lo vedremo più dettagliatamente anche in seguito, il concetto di macchina come estensione dell’organismo umano è da intendersi in relazione alla macchina fotogra ca che usa Thomas, in quanto, oltre a ride nire e con gurare l’evento di partenza (in realtà lo produce essa stessa), crea la possibilità per il soggetto umano di aumentare le proprie capacità siologiche di sguardo. Senza l’intervento del mezzo tecnologico non vi sarebbe una visione del mondo più ampia e precisa, senza il mezzo meccanico non vi sarebbe comprensione e trasformazione del mondo e del visibile, ma anche delle possibilità di visione. Senza la macchina fotogra ca non si potrebbe vedere nel dettaglio il mondo e capirlo nelle sue articolazioni naturali e arti ciali. Così come avviene nei lm di Antonioni degli anni sessanta, anche in Blow-up l’ambiente diventa polimorfo, la dimensione spaziale si apre insieme agli stessi con ni del testo che diventano fragili, presentando allo stesso tempo un grado di coerenza forte, grazie anche a una particolare rimozione della sua struttura50. È uno spazio quindi che si presenta come un vero e proprio ambiente di iscrizione potenziale. L’ambiente assume i caratteri di una dimensione spaziale ampia, in cui gli elementi si perdono, indicando il vuoto dell’esistenza umana che contrasta e sovrasta il soggetto. Come ricorda sempre Tinazzi in proposito: “parlare di personaggi e ambiente vuol dire, sul piano dei signi cati, indagare il rapporto tra individuo e realtà”51. È una metafora che palesa e cerca di oggettivare “la condizione esistenziale dell’uomo nella società moderna del tardo capitalismo molto prima che venisse formalizzata dai discorsi teorici”52. Oltre al vuoto dell’esistenza umana, è quello che emerge dallo spazio, dall’ambiente a diventare un ulteriore elemento concettuale di re-iscrizione del tutto e del possibile. Antonioni, da questo punto di vista, si può de nire assolutamente un “cineasta d’avanguardia”53, in quanto ha esplorato le potenzialità della macchina-cinema anche in relazione al colore e all’immagine digitale. Questo discorso, che possiamo chiamare “esistenziale”, veniva intrapreso già con L’avventura, soprattutto per quanto riguarda la perdita del soggetto umano nello spazio, e quest’ultimo come elemento fagocitante dell’essere, sottolineandone la portata attraverso una rimozione e ettiva del soggetto nell’ambiente, che sarà nel corso della carriera di Antonioni, sempre più una fuga dalla realtà, dalla società, dall’identità. Nel cinema di Antonioni la rimozione del soggetto all’interno dell’ambiente avviene in diversi modi: in primo luogo grazie all’esibizione delle distanze tra i personaggi, ma anche tramite un orizzonte del visibile che dilata e disperde tutto, soggetti compresi. Sono delle con gurazioni formali che non riguardano solo la distanza tra soggetti, ma attivano una vera e propria separazione tra il soggetto e l’orizzonte del reale, che tende alla nulli cazione del primo a vantaggio del secondo. La distanza si fa sempre più forte e ossessiva, assume i caratteri di una fuga dalla realtà

intesa come fuga del soggetto dalla modernità e dalla trasformazione dell’ambiente urbano, nel quale secondo Tinazzi: “nasce la ‘crisi’, la di coltà tra soggetti, tra personaggi e ambiente e fatti”54. Ma è anche una fuga intesa come viaggio, come ricerca dell’io, della propria soggettività dopo una crisi esistenziale che possiamo dire epocale. È una crisi che riguarda sempre un soggetto che esibisce indirettamente (e talvolta inconsapevolmente) la propria natura esistenzialistica come vettore signi cante e produttore di concetti. È quello che Deleuze e Guattari chiameranno successivamente personaggio concettuale, cioè un personaggio che “porta in sé un’idea con gurata ed è insieme il vettore determinante del lm realizzato”55. Fuga e viaggio ritornano continuamente, e sono legati alle trasformazioni percettive del mondo, dello spazio, e di tutto quello (soggetti, oggetti, situazioni) che può essere collocato all’interno. Da un lato la trasformazione della soggettività, e dall’altro la trasformazione urbana, che fa da sfondo alla prima, e viceversa, in una costante ri essione e dinamica dello sguardo e delle sue forme simboliche. Quelli di Antonioni sono soggetti che vagano nella ricerca di qualcosa, di un doppio di loro stessi, di un altro evento, oppure di un mondo e di un universo signi canti con cui rapportarsi, anche se talvolta non ci riescono e ne vengono assorbiti irrimediabilmente. Spesso quel determinato ambiente, quello spazio di azione, quella possibile realtà tra le tante, impongono al soggetto l’accettazione delle loro regole, del loro punto di vista, del mondo. Non si tratta di accettazione delle convenzioni sociali; il discorso di Antonioni è più complesso e travalica il carattere “ideologico” o politico, lo regge no a un certo punto, ma va in direzione di altre prospettive culturali. È un discorso loso co radicale di ricon gurazione del mondo, della realtà, ma anche della soggettività; trasformazione delle immagini in forme simboliche interpretate e da reinterpretare nuovamente. Ci troviamo di fronte a un vero e proprio “racconto ‘ loso co’, che si realizza attraverso una serie di scelte formali”56 ben precise. Ma in che senso racconto loso co? Nel senso che, secondo Cuccu: Il racconto si disegna dunque come una sorta di preposizione ‘ loso ca’, astratta, articolata in una domanda sul contenuto di realtà dell’immagine, che si sviluppa lungo tutto il corso del lm, e in una risposta, che ne occupa la sequenza nale.57

Mentre, secondo Bernardi, è la narrazione stessa (e non solo quella) a essere loso ca, perché: “corrisponde alla crisi della centralità del soggetto nella cultura novecentesca”58, che è la crisi del soggetto di cui parla tutta la tradizione dell’ermeneutica ontologica, dentro il quale il cinema di Antonioni si ritrova di diritto come forma estetica che anticipa o oggettiva la loso a. Ma un discorso sulla perdita del soggetto e sulla sua immagine, oltre a essere loso co, è per forza di cose un discorso sul cinema, sul proprio statuto di funzionamento e sulla capacità produttiva dell’immaginario tra intensità e sensazione. Come ricordava tanti anni fa Tinazzi (forse proprio in risposta a chi parlava di cinema della crisi e alle tante etichetti che i critici più zelanti a bbiavano a questi lm), quello di Antonioni: “è stato prima di tutto crisi del cinema, cioè del suo sistema rappresentativo. Si trattava di riesaminare le antiche categorie del ‘mostrare’ e del ‘raccontare’ e di riconsiderare il loro legame”59. Tutto questo discorso loso co sulla narrazione, sullo sguardo e il soggetto, non avrebbe senso se non contribuisse a una ride nizione complessa dal punto di vista teorico dell’immagine e soprattutto della visione nello spazio. D’altronde: Attraverso lo spazio torna ad emergere lo sforzo continuo di organizzare la visione, e perciò di interrogarla […], perché non è tanto, o solo, proiezione di situazioni soggettive ma anche, e prima, modo di chiedersi quale rapporto si possa stabilire con il reale.60

4. Il mondo come costruzione della tecnica Il termine Blow-up nella lingua inglese assume diversi signi cati, tra cui quello di ingrandimento, e accettandone questa de nizione abbiamo una relazione tra il titolo e l’universo diegetico del lm alquanto logica e razionale, poiché grazie all’ingrandimento delle foto scattate nel parco, il protagonista può vedere una pistola fuoriuscire da una siepe e l’immagine sgranata di un cadavere. Antonioni prende il soggetto dal racconto La babas del diablo61 (La bava del diavolo, 1959) dello scrittore argentino Julio Cortázar, ma pur non

essendo molto soddisfatto della storia in sé, la rielabora totalmente facendo particolare attenzione alla caratteristica delle fotogra e e al loro meccanismo62, funzionale per un’ampia ri essione sul cinema. Tra l’altro l’intesse di Antonioni per il processo fotogra co e per la fotogra a in generale era stato già esplicitato nella brevissima parentesi teatrale, quando allestisce al Teatro Eliseo di Roma nel 1957 Io sono una macchina fotogra ca, di John Van Druten63, dove gurano come interpreti Monica Vitti e Luca Ronconi. La storia del lm è quella di un fotografo, delle sue foto, della donna che è iscritta in quelle foto e dell’evento potenzialmente iscritto e con gurato. L’atmosfera è completamente pervasa da una forte ambiguità, alla quale contribuiscono le particolari dinamiche di sguardo del protagonista e il dubbio se l’evento (un omicidio) sia e ettivamente avvenuto o sia il prodotto di uno sguardo, di un processo fotogra co che si allaccia alle forme dell’immaginario, in poche parole, di un atto di interpretazione. In un certo senso Blow-up iscrive il tentativo di una ricon gurazione della realtà da parte del protagonista, oppure in termini loso ci del ricongiungersi dell’ente con il proprio referente. Ma l’intenzione del fotografo Thomas è inizialmente “quella di rendere la violenza della realtà” – come a erma lo stesso Antonioni64 – anche grazie alle foto scattate nel dormitorio. L’ente, nel processo di rappresentazione si rompe, proprio perché, come a erma Vattimo, riprendendo il discorso di Heidegger: “nel divenire rappresentazione […], l’ente perde in certo modo il suo essere. Ma questa perdita si fa radicale quando […] l’immagine del mondo si moltiplica in immagini contrastanti in lotta fra loro”65. Nel nostro caso, è proprio il tentativo di una rappresentazione diegetica da parte di Thomas che innesca una con gurazione e una ricon gurazione continua del visibile, disintegrando gli stessi con ni del mondo e le stesse forme simboliche e potenziali iscritte nello spazio. Secondo la Felten: “Antonioni sperimenta un’estetica della dissoluzione dei con ni tra la realtà e l’irrealtà, tra l’osservazione interiore e quella esteriore”66 a vantaggio, soprattutto da Blow-up in poi, di una disgregazione totale della realtà, ma anche dell’essere che ha ormai perso qualsiasi relazione con il proprio ente. Il meccanismo di signi cazione del lm si realizza attraverso un susseguirsi di immagini apparentemente fenomeniche con immagini fotogra che, che sono il prodotto di un’intensa attività fantasmatica e immaginativa capace di mettere in discussione l’intero orizzonte del visibile, facendo emergere il carattere ambiguo dell’immagine67, che sovrasta l’intero orizzonte degli eventi. Nel Novecento grazie soprattutto all’ermeneutica, non ha più senso parlare ancora di una realtà oggettiva, in quanto i processi visivi e culturali modi cano radicalmente le percezioni e le immagini del mondo. In questo senso Antonioni sa bene che il mondo è diventato il luogo di una contrapposizione simbolica tra immagini possibili che diventa un vero e proprio con itto delle interpretazioni68. Blow-up oggettiva il carattere residuale del mondo, nel senso che, come a erma Vattimo: “ciò che chiamiamo il mondo è forse solo l’ambito residuale, e l’orizzonte regolativo […] in cui si articolano i mondi”69. Il lm solleva tutti questi problemi in maniera signi cativa, in un rapporto dialogico con l’universo diegetico, in cui emerge prepotentemente la domanda su cosa sia la realtà che conosciamo e che siamo abituati a considerare come tale. Per rispondere a questo interrogativo possiamo de nire la realtà come: “il risultato dell’incrociarsi, del contaminarsi […] delle molteplici immagini, interpretazioni, ricostruzioni che, in concorrenza tra loro […], i media distribuiscono”70; e questo orizzonte mediatico nel lm è presente soprattutto per quello che riguarda il mondo della moda e per come esso viene percepito anche grazie all’in uenza del visibile. Il protagonista di Blow-up è Thomas, nome presente nella sceneggiatura ma che per tutto il lm non viene mai pronunciato. È interpretato da David Hammings, e possiamo considerarlo come una metafora dell’uomo moderno e disilluso che ri uta i canoni di conoscenza e codi cazione della società massi cata, e si iscrive nell’ambiente come un aneur71, aggirandosi nelle dimensioni spaziali non solo dell’universo diegetico ma anche, e

soprattutto, nei meandri dello stesso testo lmico in senso meta-linguistico, per guardare ed esercitare a pieno la propria attività scopica, anche mediata dall’occhio della macchina fotogra ca. Ma la funzione di osservatore è legata strettamente allo sguardo di Antonioni stesso che, come sottolinea Costa: “è lo sguardo del âmeur, e la ânerie è la forma che organizza la visione dello spazio urbano”72. Egli esprime due modi di vita, due modalità di essere nel mondo: da un lato appare come se vivesse al di fuori della società, come soggetto marginale che si aggira per la città vagando senza meta e in cerca di qualcosa di cui ignora l’entità; dall’altro come un soggetto inserito a pieno titolo nella società, nelle codi cazioni visive e immaginarie, in quanto fotografo di moda famoso, richiesto e desiderato. Possiamo considerarlo come l’essere umano incompleto, frammentato, sensibile all’orizzonte del doppio che si ri ette nelle sue fotogra e, designando una lotta tra Es e Super Io73, proiettandosi nelle immagini fotogra che in progressivo ingrandimento. Nell’orizzonte del simbolico74, le immagini fotogra che diventano uno specchio dissimulato di ssazioni inconsce e fantasmatiche dominate dall’ossessione, che si ripropongono per tutta la durata del lm, in cui il potenziale, il virtuale, il reale e il mentale si incontrano e scontrano no a confondersi totalmente. Come abbiamo accennato precedentemente, nel periodo ‘60-‘64, i quattro lm che vengono realizzati hanno al centro delle gure femminili in crisi, che indagano la realtà attraverso uno sguardo critico sulla società industriale dei primi anni ‘60, quella della punta più alta del boom economico. Tutto questo periodo vede protagoniste nei lm di Antonioni delle vere e proprie gure della crisi (quasi tutte interpretate da Monica Vitti, all’epoca compagna del regista), che attraverso il loro sguardo scrutano e rivelano la crisi degli ambienti e degli spazi circostanti. Esse proiettano in maniera di erente e ambigua il proprio dramma esistenziale. Sono sovrastate da una dinamica tra lo spazio e l’ambiente, che avvolge e fa da ri esso alla loro interiorità e al loro malessere esistenziale. Il momento massimo di questa tetralogia, si trova nel quarto lm Deserto rosso, quello che segna il passaggio al colore e da un regime del narrare ad un altro, dove attraverso un con itto cromatico tra il grigio delle fabbriche e i colori delle nuova città industriale (del rosso sovrastante in tutta la sua intensità come avverrà, in maniera minore, diciotto anni più tardi in Identi cazione di una donna) si realizza un discorso complesso e narrativamente di cile sull’alienazione dell’essere umano moderno. Si crea un contrasto semi-dialettico tra le gure: da una parte le donne che sentono per prime la crisi, dall’altra gli architetti, gure professionali e sociali, che in un certo senso portano avanti la crisi (o per lo meno lasciano che si compia), a cui è a data la trasformazione-deformazione delle città, aspetto contro cui Antonioni polemizza costantemente nel suo cinema. Per quanto riguarda Blow-up il discorso è diverso, non siamo più in questa dimensione simbolica. Per la prima volta il protagonista non è più una donna ( gura immersa nell’atmosfera tragica della decadenza borghese) ma un uomo, ed è anche un osservatore per professione. Infatti, come ricordava Marco Teti: “a partire da Blow-up i personaggi di sesso maschile […] sono spesso dei professionisti della comunicazione visiva”75. Inoltre, l’ambiente non solo viene osservato, ma l’atto del vedere è a dato alle capacità di intensi cazione e rilevazione del mezzo fotogra co, alla fascinazione tecnologica dell’oggetto, nonché alla capacità di con gurare l’ambiguità e l’incertezza per attivare l’interpretazione. A questo punto è utile indagare la messa in scena, scoprendo la costruzione di uno spazio simbolico e analizzando la complessità formale e metaforica della scrittura lmica. L’orizzonte diegetico del lm si fonde con quello eidetico, costruendo una grande opera a ascinante dal punto di vista visivo e del racconto, dove la narrazione viene costantemente ribaltata e stravolta per essere subordinata, a un complesso gioco di inquadrature che, diversamente dal tessuto lmico di Rear Window (La nestra sul cortile, 1954) di Hitchcock, diventano delle inquadrature-fotogra a. Esse sono caratterizzate da una lunghezza maggiore che conferisce un senso di dilatazione temporale e tecnico-spaziale di grande intensità. Il tutto è giocato attraverso divergenze e contrapposizioni degli elementi, in un montaggio costruito sull’ambiguità e su un’analogia negata. Nel rapporto con lo spazio ci troviamo di fronte a inquadrature concepite per dare un senso di smarrimento, di spiazzamento visivo,

che secondo Buccheri sono “disorganiche”, in cui “oggetti e personaggi sono collocati lontano dal centro, in bilico tra campo e fuori campo, e si privilegiano le zone vuote o i punti di vista meno naturali”76, una sorta di décradage77. In questa scelta complessa c’è l’intento di valorizzare l’orizzonte fascinativo del lm, l’attrazione emotiva che suscita sia come con gurazione dell’immaginario, e sia come ricon gurazione testuale legata all’intensità. È da notare come Blow-up lavori in maniera particolare sul processo di identi cazione spettatoriale, muovendosi in un orizzonte interpretativo di tipo ermeneutico, incentrato sul problema dell’apertura della verità78, sulla ricerca costante del senso, sulla comprensione del linguaggio, promuovendo lo spettatore al ruolo di interprete del mondo, di un universo dominato dalla complessità. Ma lo spettatore viene anche subordinato all’attività di indagine che il personaggio principale compie. I due sguardi (uno diegetico e l’altro extra-diegetico) in parte coincidono, almeno nella sequenza del parco, anche se tra le inquadrature del Maryon Park e le foto sviluppate non c’è più una condizione di continuità, in quanto cambiano gli assi di collocazione e le angolazioni di Thomas. La decisione di penetrare il testo lmico, di scegliere un percorso per entrarci dentro, è a data allo stesso sentiero che sceglie di percorrere il protagonista. Lo spettatore, pur ria ermando l’impossibilità di interagire con ciò che vede sullo schermo, grazie all’assenza di qualsiasi contatto con l’oggetto, è pur sempre attivo in quanto proietta se stesso, identi candosi fortemente con il soggetto diegetico che indaga lo spazio e il visibile. Questa coincidenza delle indagini e delle istanze dello spettatore con quelle del testo, è confermate dal tipo di focalizzazione che attiva il lm. Quella di Blow-up è in buona parte una focalizzazione interna in cui l’istanza narrante del lm coincide con il punto di vista del personaggio e con il suo grado di conoscenza, anche se ci sono dei momenti in cui viene messa in crisi. In questo modo lo spettatore si identi ca costantemente con il protagonista, seguendone in maniera assoluta le azioni nello spazio diegetico. Ricordiamo anche che lo spazio con gurato dal lm esiste principalmente (ma non totalmente) grazie allo sguardo e allo spostamento diegetico di Thomas, come se il suo sguardo e la sua esistenza fossero il prolungamento della camera e della capacità dell’apparato fotogra co di costruire il visibile. Questo avviene perché Blow-up è la de-con gurazione dello spazio a data a una percezione allucinatoria di un soggetto in crisi che non può creare più nulla da solo se non con l’aiuto dell’apparato fotogra co, accettando così un altro mondo: il mondo del dominio della tecnica79. 15 Su Blow-up e Antonioni esistono diversi studi, i più importanti sono: N. Ri in, Antonioni’s visual language, UMI Research Press, Ann Arbor 1982; G. Tinazzi (a cura di), Michelangelo Antonioni, Identi cazione di un autore. Forma e racconto nel cinema di Antonioni, Vol. II, Pratiche, Parma 1985; T. Perry, R. Prieto, Michelangelo Antonioni, a guide to reference and resources, G. K. Hall, Boston 1986; L. Cuccu, Antonioni. Il discorso dello sguardo e altri saggi (1990), ETS, Pisa 2014; A. Tassone, I lm di Michelangelo Antonioni. Un poeta della visione, Gremese, Roma 2002; S. Zumbo, Al di là delle immagini, Falsopiano, Alessandria 2002. 16 L. Cuccu, Antonioni. Il discorso dello sguardo…, cit., p. 27. 17 G. Tinazzi, Introduzione, cit., p. 14. 18 Cfr. G. Carluccio, Questioni di stile, in P. Bertetto (a cura di), Metodologie di analisi del lm, Laterza, Roma-Bari 2006. 19 S. Chatman, Le innovazioni narrative di Michelangelo Antonioni, in G. Tinazzi (a cura di), Michelangelo Antonioni. Identi cazione di un autore, Vol. II, cit., p. 19. 20 Cfr. P. Bertetto (a cura di), Storia del cinema italiano. Uno sguardo d’insieme, Marsilio, Venezia 2011. 21 L. Quaresima, Da “Cronaca di un amore” a “L’amore in città”: Antonioni e il neorealismo, in Comune di Ferrara – U cio Cinema (a cura di), Michelangelo Antonioni. Identi cazione di un autore, Vol. 1, Pratiche, Parma 1983, pp. 39-50. 22 Sul cinema come medium si veda: F. Casetti, L’occhio del Novecento. Cinema, esperienza, modernità, Bompiani, Milano 2005. 23 S. Chatman, Le innovazioni narrative di Michelangelo Antonioni, cit., p. 20. 24 Per quanto riguarda gli aspetti legati alla grammatica lmica e al linguaggio in generale del cinema classico, si veda: D. Bordwell, J. Staiger, K. Thompson, The Classical Hollywood Cinema: Film Style and Mode of Production to 1960, Columbia University Press, New York 1985.

25 V. Pravadelli, Dal moderno al postmoderno. Gli sguardi di Antonioni da “L’avventura” a “Blow up”, in L. Cardone, S. Lischi (a cura di), Sguardi di erenti. Studi di cinema in onore di Lorenzo Cuccu, Ets, Pisa 2014, 153-158. 26 S. Chatman, Le innovazioni narrative di Michelangelo Antonioni, cit., p. 25. 27 Cfr. il primo capitolo di: G. Deleuze, F. Guattari, Mille Plateaux. Capitalisme et schizophrénie, Les Éditions de Minuit, Paris 1980; tr. it. di G. Passerone, Millepiani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma 1980. 28 P. Bertetto, Il cinema e l’estetica dell’intensità, cit., p. 20. 29 Ivi, p. 24. 30 M.C. Ropars Wuilleumier, “Blow up”, ovvero il negativo del racconto, in G. Tinazzi (a cura di), Michelangelo Antonioni. Identi cazione di un autore, Vol. II, cit., p. 36. 31 Ivi, p. 33. 32 Ibidem. 33 Le tre sequenze hanno tutte a che fare con le azioni di Thomas. La prima è quando il protagonista scatta le foto alla coppia. La seconda è quando di notte trova il cadavere. La terza è quando di giorno va a cercare di nuovo il cadavere e invece incontra i clown che giocano la nta partita di tennis. 34 G. De Vincenti, Michelangelo Antonioni e la critica, in Comune di Ferrara – U cio Cinema (a cura di), Michelangelo Antonioni. Identi cazione di un autore. Vol. I, cit., p. 57. 35 G. Tinazzi, Lo sguardo e il racconto, in Michelangelo Antonioni, Fare un lm è per me vivere. Scritti sul cinema (1994), Marsilio, Venezia 2001, p. XXI. 36 M. Antonioni, La notte, l’eclisse, l’aurora (1964), in Id, Fare un lm è per me vivere, cit., p. 260. 37 Cfr. A. Tarkovskij, Andreij Tarkovskij International Institute, tr. it. di V. Nadai, Scolpire il tempo. Ri essioni sul cinema (1988), Ubulibri, Milano 2015. 38 Sul concetto di modernità al cinema si veda: G. De Vincenti, Moderno e postmoderno. Dagli indici stilistici alle pratiche di regia, in G. Petronio, M. Spanu (a cura di), Postmoderno?, Gamberetti, Roma 1992; G. De Vincenti, Il concetto di modernità nel cinema, Pratiche, Parma 2000; J. Aumont, Moderne? Comment le cinéma est devenue le plus singulier des arts, Cahiers du Cinéma, Parsi 2007; tr. it. di G. Anaclerio, Moderno? Come il cinema è diventato la più singolare delle arti, Kaplan, Torino 2008; P. Bertetto, La macchina del cinema, Laterza, Bari-Roma 2010. 39 Stiamo parlando della Londra degli anni ’60, quella della cosiddetta Swinging London. Il periodo è dal punto di vista visivo molto particolare, perché avvengono una serie di sperimentazioni in ambito artistico e culturale che modi cano in maniera alquanto signi cativa il mondo e la percezione di esso attraverso una particolare con gurazione dell’immaginario, delle forme e degli oggetti che si ri ette nell’arte visiva e plastica, nel design, e nella moda. Su questo argomento si veda: D. Sandbrook, White heat: A history of Britain in the swinging sixties, Abacus, Totnes 2006. 40 Su questo aspetto di grande rilevanza si veda: J. Lacan, Le séminaire de Jacques Lacan. Livre XI. Les quatre concept fondamentaux de la psychanalyse, Seuil, Paris 1964; tr. it. di A. Succetti, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino 1973; si veda anche per ciò che riguarda il cinema: S. Žižek, L’universo di Hitchcock, Mimesis, Milano 2008. 41 L. Micciché, Il cinema italiano degli anni sessanta e settanta, in P. Bertetto, Introduzione alla storia del cinema. Autori, lm, correnti, Utet, Torino 2002, p. 274. 42 Sul concetto di Altro da sé in ambito ontologico si veda: M. Heidegger, Essere e tempo, cit. 43 Qui si intende la nozione di visibilità della cosa introdotta da Merleau-Ponty. Si veda quindi: M. Merleau-Ponty, L’oeil et l’esprit, Gallimard, Paris 1964; tr. it. di A. Sordini, L’occhio e lo spirito, SE, Milano 1989. 44 M. Antonioni, È nato a Londra ma non è un lm inglese (1982), in Id, Fare un lm è per me vivere, cit., p. 85. 45 L. Micciché, Il cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta, cit. 46 M. Antonioni, La malattia dei sentimenti, in “Bianco e Nero”, n. 2-3, febbraio-marzo 1961. 47 J. Moure, Lo sguardo di Michelangelo. Identi cazione di un’opera, in D. Paini (a cura di), Lo sguardo di Michelangelo Antonioni e le arti, Fondazione Ferrara Arte, Ferrara 2013, p. 217. 48 Sì veda il capitolo Videodrome. L’aporia del corpo e la con gurazione dell’essere mediatizzato di: D. Persico, Decostruire lo sguardo. Il pensiero di Jacques Derrida al cinema, Mimesis, Milano 2016. 49 G. Deleuze, F. Guattari, L’Anti-Œdipe. Capitalisme et schizophrénie, Les Éditions de Minuit, Paris, 1972; tr. it. di A. Fontana, L’Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 1975, p. 323. 50 Si veda sul concetto di struttura assente il libro: U. Eco, La struttura assente, Bompiani, Milano 1968. 51 G. Tinazzi, Lo sguardo e il racconto, cit., p. XVII. 52 I. Schenk, Causalità e contingenza nelle strutture narrative dei lm di Michelangelo Antonioni, in A. Boschi, F. Di Chiara (a cura di), Michelangelo Antonioni. Prospettive, culture, politiche, spazi, Il Castoro, Milano 2015, p. 32. 53 Ibidem.

54 G. Tinazzi, Lo guardo e il racconto, cit., p. XIV. 55 P. Bertetto, Micro loso a del cinema, Marsilio, Venezia 2014, p. 218. 56 L. Cuccu, Antonioni. Il discorso dello sguardo…, cit., p. 86. 57 Ivi, p. 87. 58 S. Bernardi, Il paesaggio nel cinema italiano, Marsilio, Venezia 2002, p. 125. 59 G. Tinazzi, Introduzione, in Id (a cura di), Michelangelo Antonioni. Identi cazione di un autore, Vol. II, cit., p. 8. 60 Ivi, p. 11. 61 J. Cortázar, La babas del diablo, in Id, Las armas secretas, Espartakus, 1959; tr. it. di C. Vian, Le bave del diavolo, in Id, Le armi segrete, Einaudi, Torino 2008. 62 Per le dichiarazioni sul lm da parte del regista stesso si veda: Michelangelo Antonioni, È nato a Londra ma non è un lm inglese, cit., pp. 85-87. Sulle di erenze tra il racconto e il lm si veda: M. Bertozzi, Antonioni in giallo. I diabolici dettagli di Blow-up, in A. Boschi, F. Di Chiara (a cura di), Michelangelo Antonioni, cit., pp. 306-316. 63 I am a camera, 1951. 64 M. Antonioni, È nato a Londra ma non è un lm inglese, cit., p. 86. 65 G. Vattimo, Oltre l’interpretazione. Il signi cato dell’ermeneutica per la loso a, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 34. 66 U. Felten, “C’è qualcosa di terribile nella realtà”. Modi di percezione onirico-analogici nel cinema di Antonioni, in A. Boschi, F. Di Chiara, Michelangelo Antonioni, cit., pp. 45-46. 67 Per uno studio di notevole ampiezza e completezza si veda: J. Aumont, L’image, Armand Colin, Paris 2005; tr. it. di V. Pasquali, L’immagine, Lindau, Torino 2007. 68 Si veda in questo senso: P. Ricoeur, Le con its des interprétations, Éditions du Seuil, Paris 1969; tr. it. di R. Balzarotti, F. Botturi, G. Colombo, Il con itto delle interpretazioni, Jacka Book, Milano 1972; si veda anche M. Heidegger, Holzwege, cit., in particolare il saggio L’epoca dell’immagine del mondo. 69 G. Vattimo, La società trasparente, Garzanti, Milano 2000, p. 93. 70 Ivi, p. 15. 71 Vedere il saggio di Benjamin intitolato Baudelaire a Parigi in Walter Benjamin, Angelus Novus, Einaudi Torino 2006. 72 A. Costa, Lo sguardo del “ âneur” e il magazzino culturale, in G. Tinazzi (a cura di) Michelangelo Antonioni. Identi cazione di un autore, Vol. II, cit., p. 69. 73 Si veda per un’introduzione a questi concetti: S. Freud, Das Ich un das Es (1922), tr. it. di L’Io e L’Es, in Id, La teoria psicoanalitica, Bollati Boringhieri, Torino 1979. 74 Su questo aspetto del simbolico si veda: J. Lacan, Le stade du miroir comme formateur de la fonction du Je, in Id, Écrits, Éditions du Seuil, Paris 1966; tr. it. di G. Contri, Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’Io, in Id, Scritti (1966), Einaudi, Torino 1974. 75 M. Teti, Una “critica dello sguardo”. In uenze della poetica pirandelliana nel cinema di Michelangelo Antonioni, in A. Boschi, F. Di Chiara (a cura di), Michelangelo Antonioni, cit., p. 165. 76 V. Buccheri, Sguardi sul postmoderno. Il cinema contemporaneo: questioni, scenari, letture, Quaderni del D.A.M.S., Milano 2000, p. 90. 77 Cfr. P. Bonitzer, Décadrage. Peinture et cinéma, Cahiers du cinéma, Paris 1985. 78 Su questo argomento, che è uno degli aspetti fondanti dell’ermeneutica, si vedano ai lavori già citati di Heidegger anche. H.G. Gadamer, Warheit und Method, Mohr, Tubingen 1960; tr. it. di G. Vattimo, Verità e metodo, Bompiani, Milano 1983. 79 Cfr. M. Heidegger, 1954; tr. it. di G. Vattimo, La questione della tecnica, in Id, Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976.

CAPITOLO 2 LO SGUARDO E LA SOGGETTIVITÀ DIFFERITA La ricerca estetica e intellettuale che porta Antonioni no a Blow-up è da considerarsi come un’ulteriore e più ampia ri essione sul cinema, che si concluderà solo con la morte del regista. Dopo Deserto rosso c’era un’altra questione da risolvere a livello teorico, ovvero uno studio sul mondo e sul soggetto in termini che fossero ancora più loso ci dei lm precedenti, iscrivendo il discorso all’interno di un orizzonte complesso legato alla tecnica: il lm che doveva essere realizzato si sarebbe dovuto chiamare Tecnicamente dolce80. Da qui emerge anche la questione del meta-cinema come esibizione del dispositivo, come punto di convergenza tra l’immagine e la macchina che la produce. È una ri essione più ampia e radicale sull’immagine, che grazie all’uso del colore, si attesta verso nuove suggestioni e diverse prospettive di grande fascinazione e intensità. Con Blow-up egli modi ca e aggiorna il proprio stile, ampliandolo e collocandolo in una dimensione ancora più internazionale. Anche se i lm precedenti erano tutti ambientati in Italia – escluso I Vinti (Id, 1953) con i due episodi ambientati uno in Francia e l’altro in Inghilterra, ed era riuscito a sprovincializzare il cinema italiano, al di là di resistenze e incomprensioni – questa volta non ci sono più con ni nell’ambientazione. Antonioni vuole confrontarsi con altre esperienze di cinema, e la storia viene ambientata a Londra, in quell’Inghilterra piena di fermento culturale in cui è ancora in corso l’esperienza del Free Cinema81 alla quale egli guarda con interesse e curiosità intellettuale. Tolto il discorso sull’incomunicabilità e l’alienazione dei sentimenti – che ha fatto la fortuna di una generazione di discutibili studiosi di cinema – quello che rimane è lo sguardo, l’unico motivo che resiste e che è in grado di apportare discorsi signi cativi, anche a distanza di anni. Proprio questa ricerca sullo sguardo è stato l’obiettivo principale verso il quale Antonioni ha potuto articolare non solo una propria idea di

cinema, ma una vera e propria proposta programmatica alternativa al conformismo imperante nella cultura italiana dell’epoca che, grazie anche ai suoi lm e alle sue prese di posizione, stava andando a pezzi, seppur lentamente. È sempre stato così per il regista ferrarese. Fin dall’inizio della sua carriera, lo sguardo ha assunto valenza polisigni cante, che si è tradotta in un particolare uso concettuale, ri essivo, teorico del cinema e della mdp. A volte quello dello sguardo è stato un leitmotiv solo accennato, come in Cronaca di un amore, poi di volta in volta ha assunto sempre più spazio nelle dinamiche testuali dei lm, divenendo un elemento con il quale costruire e reggere l’intera narrazione. Allo stesso tempo lo sguardo si è conquistato progressivamente un ruolo primario, assumendo posizioni innovative e inedite per il cinema coevo ad Antonioni. Questo discorso sullo sguardo, era messo in pratica anche da un particolare modo di lavorare sul set, di allestire l’ambiente e predisporre le inquadrature, il tutto funzionale a un’esaltazione dello sguardo come produttore di immaginario. Come ricorda Tinazzi in proposito: “Lo sguardo è operatore di immagini: la loro ‘suggestione’ è tensione, ducia […] perché tra immagine e immaginazione i legami sono sottili. […] e la duplicità risiede nel ri uto dei contenuti di un mondo che ama la forma”82. È noto, a questo proposito, il modo di lmare di Antonioni: la mdp riprendeva prima che entrassero in scena gli attori, e aspettava qualche secondo dopo che fossero usciti. Si capisce da questa caratteristica come il regista privilegiasse lo spazio inanimato e il visibile a discapito del personaggio, il quale non bisognava de nirlo in maniera minuziosa83. In questo modo lo sguardo si solidi cava, aveva dei tempi per agire senza a darsi a un montaggio frenetico, o a una rapidità della ripresa che non avrebbe avuto nessun senso, e non avrebbe aggiunto nulla di signi cativo alla concezione estetica del regista. La modalità di Antonioni di lmare il visibile in assenza del soggetto umano metteva in evidenza una vera e propria considerazione negativa dell’attore e della recitazione. Come ricorda David Forgacs: “l’attore non è che uno degli elementi del lm […] che deve recitare sulla base dell’istinto e non

dell’intelligenza”84. Ma è lo stesso Antonioni a chiarire le sue posizioni radicali sull’attore cinematogra co, e sulla sua utilità e intelligenza, soprattutto quando a erma che esso: “non deve capire, deve essere”85. A interessare il regista ferrarese non sono mai stati gli attori, talvolta nemmeno le storie, ma lo sguardo e l’immagine prodotta da esso. È la visione, e l’annuncio di un nuovo tipo di regime del visibile a interessare e a emergere dai suoi lm. Diversi anni fa Lorenzo Cuccu, uno dei più autorevoli studiosi di Antonioni, chiamò un suo libro La visione come problema, con tutto quello che poteva concernere un’espressione del genere. Ma assumere la visione come problematica generale del cinema di Antonioni signi ca intraprendere un’indagine e una ri essione più ampia sullo sguardo ma anche sul vedere. Su come lo sguardo sia non solo un aspetto di Blow-up, ma il tema centrale, la trama principale dell’intera opera antonioniana. Come è stato visto precedentemente, la questione dello sguardo è la questione di chi guarda, del soggetto portatore di un’istanza di sguardo e dell’oggetto che ne subisce l’investimento scopico. Ma nel lm in questione, e in generale nella carriera del regista ferrarese, questo aspetto risulta essere limitativo, anche perché tra l’oggetto e il soggetto non vi è un solo tipo di rapporto, per quanto ambiguo possa essere. La de nizione stessa dei due poli interpretativi risulta complessa e di di cile de nizione e, anche laddove appare come dinamica relativamente semplice, dobbiamo confrontarci non solo con lo sguardo del protagonista ma con una costruzione strati cata e di erita dello sguardo che interessa la mdp, lo spettatore, ma anche un soggetto assente che si insinua e che produce sguardo. Da questo punto di vista la sequenza più importante e paradigmatica è certamente quella ambientata al Maryon Park, dove Thomas scatta le fotogra e a una coppia. È una sequenza abbastanza studiata in passato da Cuccu, ma anche recentemente da Eugeni, e presenta una composizione strutturale alquanto frammentata e disarticolata, con un uso del montaggio atto a infrangere continuamente i raccordi e a spiazzare la percezione dello spettatore; in cui la mdp si colloca in maniera eclettica, modi cando costantemente il

proprio sguardo, il proprio punto di vista. Allo stesso tempo questo macro-segmento è carico di ambiguità e, al di là del montaggio e della struttura narrativa, è strettamente collegato a quello dello sviluppo delle foto, che in un certo senso ne risulta complementare, o per dirla con Bernardi, risulta essere un ritorno sul luogo degli scatti, in cui il protagonista “cerca quello che non può trovare, ma trova quello che non cerca”86. La sequenza del parco pone anche una frattura dirompente sulla continuità spazio- temporale, in cui le due sequenze dialogano a distanza, e diventano complementari ai ni della comprensione del senso e della ricomposizione della frattura spazio-temporale e linguistica che attraversa l’intero lm. Il segmento in questione da un lato mette in discussione la linearità spazio-temporale della narrazione, e dello stesso montaggio, aprendo una vera e propria frattura linguistica a livello testuale; dall’altro pone questioni teoriche e stilistiche estremamente signi cative legate alla soggettiva e alla logica formale che attraversa la scelta di Antonioni. È come se la sequenza ponesse nodi teorici di grande rilevanza che individuassero i punti fondamentali verso i quali Antonioni si muove. Il discorso che emerge, oltre ad a ermare le ambiguità dello sguardo e della realtà, cosa alquanto evidente, è la ri essione sul carattere molteplice e complesso degli spazi e dei luoghi, e sul paesaggio al cinema in generale che “diventa punto di partenza per una ri essione non solo sul cinema, ma implicitamente anche sull’atto di guardare inteso come atto conoscitivo”87. Per quanto riguarda la ricostruzione della sequenza del parco, utilizzeremo una ripartizione di erente rispetto a quella proposta da Cuccu e da Eugeni. La sequenza è introdotta da Thomas, posto frontalmente rispetto alla mdp, che scatta alcune fotogra e con le spalle rivolte all’entrata del parco; è interessante notare che questa inquadratura arriva subito dopo la discussione, con l’uomo anziano del negozio di antiquariato, incentrata proprio sulla ricerca dei paesaggi. Thomas non potendo a errare una realtà costruita, arti ciale, se vogliamo pittorica, cerca di andare nel parco per ricercarne una più vera e naturale, sebbene come sappiamo, la realtà gli sfuggirà inesorabilmente di mano, incrinando fortemente la

sua percezione del reale. È la ricerca di un altro paesaggio, di un orizzonte del visibile di erente a spingere Thomas a entrare nel parco. È la ricerca di un paesaggio alternativo a quello arti ciale del quadro, quindi potenzialmente virtuale ma che abbia allo steso tempo un carattere pittorico, caratterizzato inevitabilmente “da uno sguardo ri essivo, meta-narrativo in cui, come nella pittura, il senso non è tanto la storia raccontata quanto l’apertura sulle storie possibili che stanno dietro o accanto a quella”88. Quindi un paesaggio performativo, in cui il potenziale e l’invisibile possano emergere e rimodellarsi nella loro dinamica di senso, aprendosi al fenomenico attraverso uno sguardo mediato dal mediatizzato, e prodotto dal mediatizzabile. Da questo punto di vista, il lm non fa altro che concepire il paesaggio come “una maschera imposta dall’uomo alla natura, bella ma pur sempre costrittiva, una violenza estetica”89. Il fatto che Thomas scatti inizialmente delle foto al negozio di antiquariato, è da intendere come la ssazione di un momento, di un evento temporale destinato a perdersi e che, nell’inquadratura successiva, viene metaforicamente gettato alle spalle. Il protagonista è appena entrato nel parco e dietro di lui c’è solo l’entrata. Il negozio passa così in secondo piano, come se simbolicamente venisse rimosso alla visione dello spettare e dallo stesso mondo diegetico. Ovviamente è una rimozione parziale in quanto nella sequenza successiva il fotografo ritorna nel negozio, non trovando più il commesso scorbutico ma una ragazza più disponibile. Innanzitutto, cerchiamo di capire com’è strutturata tutta la sequenza del parco e di ri ettere sulle incongruenze e sugli elementi più problematici: 1) C.L.L. di T. dentro il parco con le spalle rivolte all’entrata. Di fonte a lui ci sono quattro alberi che con gurano tre entrate. T. entra in maniera centrale, tra il 2° e il 3° albero. 2) C.M. Signore anziano elegante che raccoglie con un bastone appuntito delle carte buttate su di un’aiuola. Panoramica laterale verso sinistra che inquadra T. in movimento. M.F. del protagonista che si guarda intorno ed

esce a destra dell’inquadratura. 3) C.M. Panoramica laterale verso sinistra in cui si vede un campo da tennis recintato, e due aiuole una di ori gialli e l’altra di ori rossi. T. entra nell’inquadratura da sinistra e si dirige lateralmente lunga una linea perpendicolare rispetto a quella del movimento della mdp. 4) P.P. di T. che cerca qualcosa da guardare e prende la camera. Alla sua destra si vede come sfondo il campo da tennis. Scatta due foto. 5) C.L. T. rincorre degli uccelli per fotografarli 6) C.M. di Thomas che fotografa gli uccelli. La mdp è spostata di 45° rispetto all’inquadratura precedente. Panoramica laterale verso sinistra che si alza per inquadrare delle villette bianche. La mdp salendo inquadra tagliandoli in diagonale una coppia. 7) C.L. uguale rispetto all’inquadratura 5. A un certo punto Thomas guarda qualcosa verso sinistra. 8) C.L. La coppia sale lungo dei gradini che portano a una collinetta. 9) C.L.L. con T. che insegue saltellando la coppia. Egli percorre la stessa strada, sempre verso sinistra. La mdp è spostata al di sotto dei 45° rispetto all’inquadratura precedente, e collocata vicino ai gradini in contre-plongée. 10) Inquadratura frontale in C.L. di Thomas che sale i gradini. 11) M.F. di T. che scosta un ramo e si mette a fotografare. 12) C.L.L. con carrellata verso destra. Si vede la coppia spostarsi verso sinistra. La donna tira l’uomo per le mani. La mdp si sposta verso sinistra. L’inquadratura sembrerebbe una soggettiva di Thomas. La coppia a un certo punto rimane immobile come se fosse sospesa. 13) C.M. di T. che si sposta verso sinistra, scavalcando una staccionata, e si mette a scattare qualche fotogra a. 14) M.F. di T. che continua a scattare le foto. 15) P.A. di T. che si muove verso sinistra. La mdp è sposta di 45° rispetto all’inquadratura precedente. Continua a scattare

fotogra e. 16) C.L.L. della coppia come nell’inquadratura 12. 17) C.L. di T. che si mette la camera a tracolla, scavalca la staccionata e si nasconde dietro l’albero posto davanti a lui, continuando a scattare le fotogra e. 18) C.M. T. in ginocchio da dietro l’albero fotografa la coppia posta sullo sfondo. La mdp è spostata di 180° rispetto all’inquadratura precedente. 19) C.L. di T. con la mdp collocata di 45° rispetto all’inquadratura precedente. Egli si sposta nascondendosi dietro a un albero ancora più vicino alla coppia. 20) TOT della coppia (forse una soggettiva del fotografo) che bacia l’uomo e poi si allontana. La donna si guarda intorno. 21) C.L.L. di T. che si sposta verso destra, andando a collocarsi dietro a un altro albero. 22) TOT della coppia che si sposta verso destra, separandosi nuovamente. 23) C.L.L. come nell’inquadratura 21. Probabile inquadratura tagliata. T. si sposta verso destra da dove era arrivato. 24) F.I. della coppia. La mdp segue la donna verso sinistra mentre insegue T. La mdp è spostata di 45° ed è riavvicinata. Possibile soggettiva dell’assassino. È lo stesso momento in cui la coppia si scioglie a causa di T. 25) C.M. La mdp è posta in plongée. T. scende i gradini, si gira di 180° e scatta delle fotogra e. 26) F.I. della donna (CONTROCAMPO). La mdp è collocata in contre-plongée. T. di spalle scatta la foto alla donna che scende anch’essa i gradini e gli intima di smettere di scattare fotogra e. La collocazione spaziale si ribalta, ora è la donna a scendere e T. si gira per parlarle. 27) M.F. della donna inquadrata verso la mdp. Thomas di spalle in semi-soggettiva. Il fotografo si sposta con la mdp che lo segue, venendo inquadrato in F.I. 28) M.F. della donna e di T. nella posizione precedente. T. si gira ed esce verso destra salendo i gradini.

29) F.I. di T. che rientra da destra. La mdp si sposta di circa 180°. 30) F.I. di T. che guarda qualcosa e la donna che sale i gradini. La mdp è spostata di nuovo di 180° rispetto all’inquadratura precedente. 31) P.A. della donna e di T. di spalle. La donna si scaglia giù contro T. per prendere la camera che ha nella mano destra. 32) M.F. di T. di spalle e la donna piegata che cerca di sottrargli la camera. 33) P.P. della donna che morde la mano destra di T. 34) M.F. di T. con lo sguardo in basso. La mdp si è spostata di nuovo di 180° rispetto all’inquadratura precedente. 35) P.P. della donna disperata (controcampo); 36) P.P. di T. che guarda in basso parlando alla donna; 37) M.F. di T. di spalle che guarda la donna seduta per terra in P.A. che guarda a sua volta T. 38) F.I. di T. e della donna che si alza. La mdp si muove verso l’alto. 39) P.P. della donna disperata. 40) F.I. di T. di spalle che prende l’obiettivo della camera precedentemente caduto per terra e si gira. La donna esce dall’inquadratura correndo verso sinistra. 41) C.L. della donna che va verso il prato. La donna è inquadrata di spalle. 42) M.F. di T. spostato di 45° rispetto all’inquadratura 40 che osserva e fotografa la donna. 43) C.L. la donna da lontano si sposta verso destra scendendo verso destra. La sequenza presenta n da subito dei forti elementi di ambiguità relativi all’aspetto narrativo ma anche alla scelta compositiva di alcune inquadrature, le quali svolgono una funzione pluri-signi cante nella ricerca del senso. Antonioni disarticola la soggettiva nel lm, ricon gurandola attraverso un’ambiguità di fondo che mette in discussione il

vedere stesso. Infatti, la soggettiva di Thomas è legata a una palese frammentazione della continuità narrativa, soprattutto nel momento in cui egli incomincia a scattare le foto alla coppia. Neanche in questo caso abbiamo la sicurezza di trovarci di fronte a una vera e propria soggettiva90. Se guardiamo attentamente, già tra le inquadrature 7 e 8 vi è una discrepanza della collocazione spaziale di Thomas rispetto a quella della coppia. Non è una semplice infrazione del raccordo di sguardo, è qualcosa di più complesso, innovativo, particolarmente dirompente, ed è funzionale a una messa in discussione della linearità dello sguardo stesso, ma non solo; anche lo spazio viene costantemente ridisegnato nei suoi aspetti più immediati, e subisce così una trasformazione profonda della sua struttura e della sua funzionalità diegetica ed extra-diegetica. Lo spazio oltre a subire una ricon gurazione ulteriore che ne ridisegna i con ni, le sionomie e le potenzialità, si apre a nuove potenzialità tra visibile e invisibile, tra presenza e assenza di un soggetto o di un’istanza di sguardo che si sostituisce a esso. Ma questa ricollocazione, questa ricon gurazione continua, non è a data solamente ai movimenti di macchina, anche perché sono estremamente uidi, lenti, e per questo conferiscono una sensazione di atmosfera sospesa anche dal punto di vista del tempo e delle azioni. La cinepresa cambia continuamente collocazione, e la logica compositiva subisce trasformazioni notevoli. Il punto di vista subisce una persistente oscillazione tra il soggetto, la mdp, e la camera fotogra ca, producendo uno sguardo che si ssa per sempre, costituendo l’evento stesso. Tutto questa composizione dello spazio, questa messa in scena complessa si può realizzare grazie al montaggio e alla trasformazione del punto di vista che, nel segmento in questione, diventa un qualcosa di dirompente nella riduzione della narrazione a vantaggio dell’atto di vedere. È da notare come le inquadrature della coppia e quelle di Thomas siano a date a un utilizzo marcato della scala dei piani e dei campi. Il fotografo viene inquadrato in diversi modi, ed è collocato spesso in piani che ne esaltano il movimento e il suo carattere antropico, a di erenza della coppia che viene inquadrata quasi sempre attraverso campi

lunghi e lunghissimi che danno un carattere e mero della loro collocazione e importanza. La coppia si trova inizialmente vicino al campo da tennis, per poi salire su una collinetta ampia in cui non vi è nulla di rilevante nel paesaggio, se non gli alberi e un immenso prato che, nelle inquadrature successive, avranno una funzione importante per Thomas. Solo nell’inquadratura 20 qualcosa incomincia a cambiare nella scelta dei campi e dei piani: si incomincia a vedere dei totali che avvicinano la coppia non solo a Thomas, ma anche allo spettatore, il quale riesce nalmente a comprendere la sionomia dei due soggetti. Infatti, l’altro “Totale” si trova nell’inquadratura 22, mentre nella 24 vi è una Mezza Figura, a indicare quindi qualcosa di diverso rispetto al precedente spostamento dei due amanti. È come se la coppia si avvicinasse a Thomas per essere fotografata (cosa che avviene successivamente), e si avvicinasse allo spettatore per venirgli nalmente presentata, per farsi conoscere nella propria funzione e struttura, ma anche nella sionomia come portatrice di un’immagine potenziale. Sono campi e piani uidi, in quanto cambiano in maniera armonica. Anche se sono problematici a livello visivo per la scelta del mutamento di collocazione della mdp, lavorano su un inedito trattamento della profondità di campo in relazione ai personaggi. Ma nel lm in generale, come ricordava Buccheri: “si tende a rappresentare lo spazio in tutta la sua ‘profondità’ sia disponendo gli oggetti dal primo piano allo sfondo […] sia soprattutto mostrando i personaggi che attraversano la scena”91. Proprio in questo senso la profondità di campo è a data a una complessi cazione del quadro, in cui: “abbondano i vetri, i pannelli e gli specchi che confondono la disposizione dei piani, rendendo di cile capire quali oggetti siano davanti e quali dietro”92. Ritornando al discorso di poco fa, nella sequenza c’è qualcosa di alquanto anomalo. Quello che possiamo de nire una sorta di avvicinamento della coppia alla mdp avviene proprio nel momento in cui, verosimilmente, avviene l’omicidio dell’uomo anziano, senza che nessuno se ne accorga. Non è solo l’avvicinamento all’occhio dello spettatore e della mdp con cui

esso si identi ca, ma è proprio l’avvicinamento allo sguardo dell’assassino. Tra l’altro, è solo per l’inquadratura 24 che possiamo presumere che si tratti di una soggettiva dell’assassino, perché è spostato di 45° rispetto alla collocazione di Thomas. A meno che non sia intervenuta una micro-ellissi temporale, nulla fa intendere che quella sia una soggettiva di Thomas. Nella sequenza dello sviluppo delle foto, la possibile collocazione dell’assassino è coerente con la posizione della coppia. Come Thomas, anche l’assassino è un osservatore, ma è anche e soprattutto un soggetto che guarda e agisce pur non venendo guardato; che non scatta foto ma cattura indirettamente un istante di notevole importanza. Allo stesso tempo lo sguardo dell’assassino, l’unico momento in cui si può ipotizzare la con gurazione di tale sguardo, risulta essere una soggettiva ambigua a livello strutturale che solleva ancora più problemi per quanto riguarda la logica compositiva e la comprensione del segmento in generale. Il carattere di soggettiva viene con gurato attraverso una precedente inquadratura oggettiva che presenta il soggetto produttore di sguardo, cioè produttore della soggettiva. In questo caso possiamo sostenere la tesi della soggettiva in quanto nella sequenza dello sviluppo del rullino, la fotogra a che scaturisce dall’inquadratura che Cuccu de nisce numero 693, è il prodotto di una soggettiva diversa da quella di Thomas. Ma soprattutto è anomala e illogica rispetto all’orizzonte diegetico del lm. Obiettivamente il fotografo non potrebbe trovarsi in posizione laterale rispetto alla coppia, anche perché presupporrebbe un’ellissi temporale così marcata da disgregare la logica spazio-temporale dell’intera sequenza, sebbene tutto il lm presenta infrazioni e anomalie di tale portata. Ma qui il discorso va oltre e, nonostante questo, la scelta compositiva è dotata di una coerenza interna, anche se a prima vista potrebbe sembrare fuori da qualsiasi logica, ma è funzionale alle particolari scelte di messa in scena di Antonioni. Analizzando più dettagliatamente questo aspetto, ci si accorge che l’intero universo diegetico è costruito in maniera tale da fare emergere un particolare enigma testuale, che lo

spettatore è chiamato a risolvere insieme a Thomas. Ma al di là di questo, la scelta delle tre inquadrature è da considerare come un vero e proprio suggerimento interpretativo dell’enigma che si paleserà solo con la sequenza dello sviluppo del rullino. Il meccanismo di signi cazione pone l’accento su un pericolo in agguato e imminente senza de nirlo. Non esplicita nessun elemento che possa condurre lo spettatore a risolvere l’enigma, anche perché di tale minaccia non sembra accorgersene nemmeno Thomas. Egli ha giusto una percezione deformata che gli impedisce di vedere cosa avviene nel parco, a causa della limitatezza dell’occhio umano. Per questo si a da alla capacità rivelatrice del mezzo fotogra co, percependo solamente un’anomalia visiva. Il problema di fondo rimane senza che lui riesca a risolverlo e a decifrarlo nella sua complessità. È una dinamica di fondamentale importanza tra visibile e invisibile, che a erma la propria apertura concettuale verso l’alterità e il possibile, e si realizza proprio con lo sviluppo del rullino. L’analisi delle foto e la costruzione dell’evento vengono totalmente ridisegnate anche dal punto di vista narrativo. Mentre la camera si limita a creare l’evento, Thomas lo racconta aumentandone la possibilità diegetica del reale. Alla camera è a data la con gurazione della fabula, a Thomas la strutturazione dell’intreccio. A questo punto bisogna chiedersi se l’azione di sviluppo della foto sia una reazione all’ostilità della donna che pretende di riavere il rullino, oppure la volontà da parte di Thomas di comprendere no in fondo l’anomalia visiva percepita nel parco, e indagare cosi sulle tracce mondane catturate. Il tutto però risulta essere alquanto problematico, anche perché, nella sequenza successiva, al ristorante con il suo amico Ron, le foto nel parco sembrano essere importanti solo per essere messe alla ne del libro sul dormitorio, e accentuare così il contrasto tra il silenzio del parco e la violenza visiva degli uomini nudi. Ma simbolicamente anche per anticipare allo spettatore la stessa conclusione del lm. Secondo l’idea iniziale di Thomas il dormitorio e il parco sono i due poli concettuali e temporali in cui sono iscritti l’inizio e la ne del suo libro, e simbolicamente del lm, come

liberazione dai luoghi chiusi e dalle strutture, a vantaggio della totale e libera percezione del mondo. Al di là della prima inquadratura dei mimi sulla jeep, a livello di focalizzazione il lm inizia per Thomas proprio mentre esce dal dormitorio insieme ai senzatetto, e si conclude nel parco il giorno dopo. Poi certamente bisogna ancora vedere la sequenza delle modelle, quella della donna che vuole disperatamente il rullino, lo sviluppo di quest’ultimo e la scoperta del possibile omicidio che interviene come imprevisto nello scorrere del tempo e dell’esistenza del protagonista. Dalla sequenza al Maryon Park emergono delle domande fondamentali che dimostrano la validità del percorso interpretativo intrapreso. Sono interrogativi relativi su chi sia il misterioso assassino che si nasconde dietro il cespuglio, o su quale sia il movente. Thomas è convinto, quando telefona a Ron, o quando va da Bill e poi parla con Patricia, dopo aver costruito la sequenza delle foto, di aver salvato la vita all’uomo della coppia grazie agli scatti, come se con il suo intervento avesse distratto l’assassino, o qualcosa del genere. Da questo punto di vista il lm con gura un discorso molto interessante: è come se il potere dell’immagine e la capacità del mezzo tecnologico di catturare il visibile, oltre che di creare l’evento, potessero salvare la vita dalla morte e allo stesso tempo salvaguardare l’esistenza. L’immagine fotogra ca ssa la vita stessa, un attimo di vita e di tempo in un istante sospeso, in un intervallo che la ferma per sempre e la conserva dai pericoli esterni, primo tra tutti il tempo; instaurando una particolare relazione tra memoria e sguardo94. Ma la cosa interessante è notare che gli interrogativi formulati poco fa non trovano risposte da parte del fotografo. Egli, nei fatti, non indaga veramente su chi sia l’assassino (come farà lo stesso Hemmings in Profondo Rosso), dove si trovi, ecc. Non cerca degli indizi che possano risalire all’uomo, non va neanche dalla polizia, ma va direttamente nel parco di notte, trovando il cadavere, cioè qualcosa che molto probabilmente non stava cercando. L’unico momento che lascia pensare all’intenzione di indagare e di risolvere l’enigma nel suo complesso, è quando la sera, fermo al semaforo, vede di sfuggita la donna del parco che sparisce tra la folla, forse in

un vicolo e la insegue. Ma anche in questo caso l’enigma di partenza è destinato a non essere risolto. Quindi, riprendendo il discorso precedente, le tre inquadrature ravvicinate della coppia, indicano una particolarissima esibizione della presenza dei due soggetti umani. Sono modelli di immagini potenziali che agiscono lentamente per venire fotografati. Al contempo attivano una ri essione complessa e radicale sullo sguardo, che Antonioni porta verso nuove dimensioni e aspetti di grande interesse proprio in relazione a un soggetto che guarda e a un altro che viene guardato e si lascia guardare. La questione dell’esibizione è sfruttata da Antonioni grazie a un meccanismo di signi cazione molto particolare che fa dello sguardo un vettore di ambiguità e di produzione concettuale. Ma soprattutto queste tre inquadrature, e anche quelle in cui Thomas osserva e scatta le foto (anche con soggettive e semisoggettive ambigue), ribaltano la questione del soggetto e dell’oggetto della visione, spostando il problema su chi sia colui che guarda e chi invece colui che è guardato. Thomas agisce come se fosse una sorta di osservatore radicale di uno spazio che tende alla minimalizzazione del visibile. Anche quando è inquadrato in oggettiva, come ad esempio nel momento in cui si sposta dietro alla staccionata e si colloca dietro agli alberi, o prima ancora nelle inquadrature 4 e 5, il suo sguardo assume sempre una funzione fondamentale nell’azione. Anzi è proprio grazie allo sguardo e al desiderio di vedere e di indagare il visibile che c’è l’azione. Senza lo sguardo non ci sarebbe l’azione, e successivamente neanche l’evento, in quanto è occultato agli occhi del soggetto diegetico e dello spettatore. Thomas è un soggetto che cerca degli oggetti da vedere e da fotografare, un paesaggio con cui riconnettersi (e riconciliarsi) al mondo in maniera naturale. Il mondo che no allora aveva conosciuto si sta disgregando davanti ai suoi occhi. Non riesce più a percepire da solo ogni cosa senza la mediazione del mezzo fotogra co, cioè senza accettare il dominio della tecnica, secondo l’espressione heideggeriana. Nelle inquadrature 20 e 22, qualcosa cambia: il protagonista modi ca il suo ruolo iniziale e diventa oggetto di sguardo, in

questo caso della donna della coppia, sebbene non vi siano delle soggettive della stessa. Ma è anche vero che, come abbiamo visto prima, le soggettive che usa Antonioni sono cariche di ambiguità e discrepanze, risultando essere molte volte di di cile individuazione e interpretazione all’interno della narrazione. In queste inquadrature (dove Thomas da soggetto diviene oggetto di sguardo) la donna si accorge della presenza di un soggetto incompatibile rispetto all’ambiente circostante, rispetto all’ordine del visibile in cui è iscritta insieme all’uomo anziano. Anche perché sembrano esserci nel parco solo loro tre, ad eccezione dell’uomo elegante che raccoglie i ri uti. Ma la scelta compositiva di Antonioni è molto interessante perché evita di sovrapporre gli sguardi dei due personaggi o di costruire lo stesso asse di visione nell’alternanza tra campo e contro-campo, tipico della messa in scena classica. La dinamica tra chi guarda e chi viene guardato cambia nell’ultima parte del segmento, ride nendo la visione e i punti di vista dei soggetti. Nella scelta di Antonioni c’è da un lato la volontà di riscrivere la storia dell’immagine lmica e delle sue possibilità, e dall’altro quella di produrre uno spiazzamento percettivo nello spettatore, grazie proprio a un’identi cazione con il protagonista e con la stessa mdp che subiscono, ampliano e ricon gurano lo stesso spiazzamento percettivo. Questo micro-segmento ri ette e a erma il carattere altamente complesso della sequenza, la quale risulta essere completamente costruita e giocata su un ribaltamento costante del punto di vista, della dislocazione dei personaggi e della mdp. Ma anche e soprattutto per ciò che riguarda la natura an bolica dello sguardo che in questo segmento assume connotati ancora più forti. Sebbene la narrazione, almeno all’inizio, possa sembrare lenta e dilatata come è tipico dei lm di Antonioni, notiamo che andando avanti nella storia vi è una frammentazione della continuità temporale e visiva molto interessante che pone interrogativi diversi allo spettatore, oltre a sollevare nodi teorici dirompenti. Inquadrature tagliate e sottratte alla loro continuità, persistenti scavalcamenti di campo, frammentazione eccessiva dello spazio e dello sguardo, infrazione dei raccordi,

collocazione ambigua dei soggetti rispetto allo spazio e alla messa in quadro, esasperazione dilatata dei movimenti di macchina; tutti questi elementi contribuiscono a evidenziare oltre allo stile di Antonioni, soprattutto la particolarità della sequenza, che è un esempio evidente delle potenzialità del cinema e al contempo una costante ri essione su cosa sia il cinema e su come esso possa lavorare all’interno di una più ampia riconsiderazione del mondo. È uno shock percettivo che riguarda non solo Thomas, anche perché il suo sguardo è più subdolo e di di cile percezione, ma anche lo spettatore, il quale si trova investito da tutte queste idiosincrasie, incongruenze spazio-temporali che sollecitano la sua attenzione e lo invitano all’interpretazione. Inoltre, la dislocazione delle inquadrature è costruita in maniera alternata e in direzione di una disgregazione della continuità, evidenziando così una scelta compositiva decisamente particolare che risponde a una logica complessa e innovativa. È una ri essione totale sul visibile e sull’immagine in generale. La dinamica di sguardi, che interviene tra Thomas e la donna, non si basa su di un’alternanza campo/contro-campo ma risponde a un eclettismo dei movimenti di macchina e della messa in quadro che ri ettono in maniera metacinematogra ca la continua ricerca di Antonioni sullo sguardo (non solo su quello di un soggetto umano) e sul mondo. Per quanto riguarda le inquadrature 21 e 23, esse in realtà sono un’unica inquadratura che viene tagliata in fase di montaggio per disarticolare qualsiasi possibile continuità visiva e spazio-temporale95. È un’operazione che risponde a una logica compositiva ben precisa: mettere in discussione non solo il visibile e il mondo, ma la loro unità e organizzazione. Non vi è nulla di improvvisato, anzi, è il prodotto di una scelta estetica ben precisa che si arricchisce di volta in volta di nuovi elementi che rimandano ad altri. Antonioni non si accontenta di costruire una sequenza con un montaggio disarticolato, che dilati la narrazione, e una messa in quadro anomala atta a disorientare lo spettatore. Va oltre, si pre gura immediatamente una messa in discussione dello stesso

linguaggio lmico, della stessa scrittura lmica e della messa in scena. Attraverso scelte compositive, intenti di formalizzazione ben precisi che infrangono la norma e qualsiasi logica più o meno classica, ci troviamo di fronte a una negazione di qualsiasi fruizione lineare del lm, che si riconnettono più o meno direttamente ad alcune pratiche dell’avanguardia a cui avevamo accennato nel capitolo precedente. Un altro aspetto interessante della sequenza è il palesarsi del carattere esibizionistico della coppia, che si a erma nella sua interezza come oggetto di sguardo dotato di una certa consapevolezza. In un primo momento l’uomo e la donna si lasciano fotografare, come se fossero consapevoli di tale gesto, a di erenza della successiva reazione della donna che insegue Thomas per sottrargli la camera. Molte delle inquadrature relative alla coppia mostrano due soggetti che si muovono lentamente come se volessero essere guardati con attenzione da un osservatore esterno. È come se il tempo si fermasse e la coppia assumesse delle pose per lasciare al fotografo e alla mdp tutto il tempo necessario per riprenderli. È un’operazione tutt’altro che dinamica, come era avvenuto (ma lo vedremo nel terzo capitolo) con le modelle o con Veruschka, attraverso delle suggestioni esplicitamente erotiche di grande fascinazione. Allo stesso tempo, però, questa assenza di movimento da parte della coppia, che si ferma e rimane immobile per essere fotografata in tutta tranquillità, può essere ricondotta a una sorta di piano segreto orchestrato dalla donna per lasciare il tempo all’assassino nascosto nella siepe di uccidere l’uomo che è insieme a lei. Nello speci co possiamo ipotizzare che nell’inquadratura 24 è esplicitato lo sguardo dell’assassino. Infatti, proprio la collocazione della mdp, totalmente cambiata rispetto all’inquadratura precedente e anche agli altri campi e contro-campi tra Thomas e la coppia, infrange radicalmente la continuità dello sguardo, spezzando la linearità della sequenza e ponendo di nuovo un forte problema del segmento. In questo senso, pur non esplicitandolo in maniera palese e dirompente, con gura un ulteriore soggetto, estraneo al protagonista e alla coppia, e che viene negato allo sguardo nella sua presenza e identità, rimuovendolo completamente.

Solo la donna è a conoscenza della presenza nel parco di un altro soggetto, ed è confermato successivamente nella sequenza dello sviluppo delle foto, quando essa appare abbracciata all’uomo con lo sguardo rivolto a destra (Fig. 1), cioè, come si vedrà nella foto successiva posta accanto a questa, esattamente dove si trova la siepe da cui spunta la mano con la pistola, e proprio in direzione dello sguardo della donna (Fig. 2).

A questo punto si impone un problema di natura logica. Se per un attimo mettessimo in discussione che quello che abbiamo appena visto anche a livello diegetico fosse tutto falso, e che la verità anche in questo caso è solo un’apertura verso il possibile; allora possiamo considerare il punto di vista dell’assassino come il punto di vista di una frattura linguistica che interviene all’interno del testo. In altri termini: l’assenza diegetica dell’assassino si mostra unicamente come frammento di un processo di interpretazione semiosica del visibile a data al mezzo fotogra co. La presenza della mano dell’assassino è un frammento di erito e allo stesso tempo il prodotto di due macchine produttive: il mezzo fotogra co ma anche il lavoro di messa in scena che e ettua Thomas con la costruzione della sequenza durante lo sviluppo del rullino. Il fatto che l’asse di Thomas al parco non coincida con lo sguardo della camera presente nelle foto, non fa altro che confermare questa ipotesi, che pone seriamente problemi di interpretazione. Se poi poniamo l’accento anche sul fatto che il cadavere si palesa di

notte (in assenza di luce) e sparisce all’alba, prima della rimozione di Thomas dal mondo e dallo sguardo della mdp; allora abbiamo a che fare con un problema non solo logico e di natura formale, ma di natura loso ca, in cui non è solo questione di rimozione del soggetto, ma anche della stessa traccia, che secondo la decostruzione, si ria erma come presenza assente e rimossa allo sguardo. Proprio per questo, come sostiene Derrida, la traccia “non può mai presentarsi: mai apparire e manifestarsi come tale nel suo fenomeno. […] la traccia non è mai come tale in condizione di presentazione di sé. Presentandosi essa si cancella”96. E così avviene sia per il cadavere che per le foto, che vengono rubate e quindi cancellate dalla visione Ritornando sulla presunta soggettiva dell’assassino, ci si trova di fronte a una inquadratura carica di ambiguità, in quanto è assente il proprio referente (l’oggettiva), e al contempo è da intendersi come una soggettiva di erita, che si completa in un arco di tempo successivo, cioè nel momento in cui verrà sviluppato il rullino e ingrandite le foto. La soggettiva di erita è allo stesso tempo un’inquadratura mimetica che si nasconde agli occhi dello spettatore e al visibile, facendo nta (pur senza mostrarsi esplicitamente) di essere il prodotto dello sguardo della mdp. Oltre a essere di erita e mimetica, tale inquadratura è anche apparentemente rimuovente, e si esplicita come puro sguardo che ha rimosso il referente. Non è solo l’oggettiva ma la stessa istanza produttrice di sguardo. Lo sguardo dell’assassino è in questo caso lo sguardo di un soggetto rimosso, che non esiste nei fatti, ma il puro prodotto di una trasformazione chimicomeccanica del visibile e dello spazio, a data anche in questo caso alle potenzialità del mezzo tecnologico. La semiosi della luce ride nisce i contorni del mondo, e riscrive lo spazio come costruzione arti ciale e iscrizione del possibile. Non è un caso che Thomas proprio perché non riesce a trovare un’immagine che faccia al caso suo cerchi un’altra immagine che diventa, suo malgrado, estranea alla realtà. Infatti, è solo grazie alla mediazione del mezzo tecnologico che emerge la realtà, o meglio una delle tante possibili. La soggettiva dell’assassino non è altro che lo sguardo di

un’istanza rimossa e allo stesso tempo presente come assenza esibita e di erita, in cui l’assenza, il vuoto, la mancanza, diventano le sole forme possibili del visibile e le dimensioni in cui lo sguardo può agire nella sua piena essenza. È uno sguardo che al contempo guarda ma non vede il mondo. Il discorso che c’è dietro a questa particolare soggettiva è ancora più ampio perché attiva la sua distruzione, la sua rimozione a livello visivo. In questo senso vengono attivati degli elementi che si muovono nella direzione di rimuovere la soggettiva nella sua totalità e non solo l’istanza che la produce. A questo punto è giusto ricollegarsi al discorso che faceva Cuccu in precedenza. Egli scompone ulteriormente la sequenza, individuando un prima e un dopo che hanno a che fare con la soggettiva dell’assassino. Da questo punto di vista la prima parte della sequenza: è costruita sopra una sorta di ‘gara’ fra lo sguardo fotogra co di H (Hemmings, N.d.A.) e lo sguardo della camera che si realizza attraverso l’espediente tecnico del ‘raccordo a comprensione ritardata’, che è qui in funzione della costituzione della gura della ‘soggettiva mancata’, cioè di un’inquadratura oggettiva inizialmente presentata come ‘soggettiva’.97

Ma la visione della macchina fotogra ca interviene, in rapporto allo sguardo di Thomas, a ride nire la soggettiva stessa e con essa ripensa la capacità del mezzo tecnologico di produrre sia l’evento che lo sguardo stesso nella sua interezza. Infatti, sempre secondo Cuccu: La ‘visione della camera’, quando non è in ‘soggettiva’, si caratterizza come ‘anonima visione’, come sguardo in terza persona potremmo dire, il cui ruolo, per di più, si riduce a quello di ‘mostrare la scena’ e di de nire i rapporti spaziali fra i personaggi, mettendo così in rilievo che lo stesso basso grado di visibilità accomuna la macchina fotogra ca e la macchina da presa.98

Oltre a questo discorso, il problema della soggettiva mancante si riscontra nella sequenza dello sviluppo delle foto che vedremo successivamente sotto altri punti di vista. È come se i due universi diegetico-fotogra ci (quello del parco e quello delle foto) non coincidessero in termini spaziali, tant’è vero che, come ricordava la Ropars, e come abbiamo accennato poco sopra: “impercettibili di erenze suggeriscono che la ripresa era centrata in modo diverso o il gesto leggermente modi cato”99. È interessante notare che proprio la di erenza tra i due universi, tra le due dimensioni dello spazio non coincidono

con la collocazione di Thomas. Lo sguardo del fotografo e quello della camera sono diversi, alternativi. Il primo è uno sguardo pigro che cerca di vedere ma non ci riesce in maniera assoluta. L’altro sguardo non cattura il visibile ma lo rielabora e fa anche di più: produce l’evento, lo iscrive nell’orizzonte del possibile, lo fa agire, e allo stesso tempo produce un altro mondo, un tessuto di signi cati e di erenze che decostruiscono il soggetto e con gurano lo stesso testo lmico. È uno scontro, un con itto non solo interpretativo tra soggetto e mondo, in cui vince quest’ultimo in quanto potenza, in quanto residuo, in quanto non presenza. Quello che invece rimane e ettivamente è lo sguardo, l’unica presenza possibile che guarda e contempla l’immagine del mondo. 80 M. Antonioni, Tecnicamente dolce, Einaudi, Torino 1976. 81 E. Martini, Free Cinema e dintorni. Nuovo cinema inglese (1956-1968), Lindau, Torino 1998. 82 G. Tinazzi, Lo sguardo e il racconto, cit., p. XXII. 83 M. Antonioni, La mia esperienza (1958), in Id, Fare un lm è per me vivere, cit., p. 9. 84 D. Forgacs, Michelangelo Antonioni, in P. Bertetto (a cura di), Azione! Come i grandi registi dirigono gli attori, Minumum fax, Roma 2007, p. 214. 85 M. Antonioni, Ri essioni sull’attore (1961), in Id, Fare un lm è per me vivere, cit., p. 47. 86 S. Bernardi, Il paesaggio nel cinema italiano, cit., p. 32. 87 Ivi, p. 16. 88 Ivi, p. 37. 89 Ivi, p. 30. 90 Cfr. E. Branigan, Point of View in the Cinema. A Theory of Narration and Subjectivity in Classical lm, Mouton Publishers, Berlin, New York, Amsterdam 1984. 91 V. Buccheri, Sguardi sul postmoderno, cit., pp. 88-89. 92 Ibidem. 93 L. Cuccu, Antonioni. Il discorso dello sguardo …, cit., pp. 74-76. 94 Cfr. R. Bellour, L’Entre-Images, S.N.E.L.A. – La Di érence, Paris 2002; tr. it. di V. Costantino, A. Lissoni, Fra le immagini. Fotogra a, cinema, video, Bruno Mondadori, Milano 2007.

95 R. Eugeni, La radura, il fotografo, la piega (Antonioni con Leibniz), in “Imago”, a. V, n. 11, 2015, p. 50. 96 J. Derrida, La “di érance”, in Id, Marges de la philosophie, Minuit, Paris 1972; tr. it. di M. Iofrida, La “di érance, in Id, Margini della loso a, Einaudi, Torino 1997, pp. 50-51. 97 L. Cuccu, Antonioni. Il discorso dello sguardo …, cit. p. 89. Si veda anche: M.C. Ropars Wuilleumier, “Blow up”, ovvero il negativo del racconto, cit., e anche F. Casetti, Dentro lo sguardo, Bompiani, Milano 1986. 98 L. Cuccu, Antonioni. Il discorso dello sguardo …, cit., p. 77. 99 M.C. Ropars Wuilleumier, “Blow up”, ovvero il negativo del racconto, cit., p. 39.

CAPITOLO 3 LA MESSA IN SCENA E LA COSTRUZIONE DELLO SPAZIO SIMBOLICO 1. L’occultamento della visione La presentazione dei titoli di testa di Blow-up immette subito lo spettatore in una dimensione ampiamente ambigua dell’orizzonte immaginario100, attraverso una costante costruzione dialettizzante del gurale tra occultamento e rivelamento, tra visibile-invisibile che costituisce la stessa macchina produttiva e signi cante del cinema. Su uno sfondo verde i titoli di testa si delineano come le fessure su un mondo in costante movimento, che suscita fascino e interesse, ma nei fatti è assolutamente indecifrabile, misterioso, deformato. Esempio massimo di enigma visivo e di tentativo mal riuscito di negazione dello sguardo. È un mondo non ancora scrutato, ma che ha già a che fare con la realizzazione di una pulsione scopica, in cui “la soddisfazione a ettiva e l’appagamento pulsionale dello spettatore passano quindi, prima di tutto, attraverso l’investimento libidico, l’amore e l’attrazione nei confronti dell’immagine”101; e anche del vedere stesso che fa del vedente, dell’osservatore un vero e proprio voyeur102. Ma nei fatti sono pulsioni che si spingono verso la conoscenza, pur rimanendo entrambe sospese, a causa dell’impossibilità di vedere un oggetto o un soggetto ben delineati, in quanto quest’ultimo “si contrappone a un ‘oggetto’ inteso come semplice-presenza”103. Allo stesso tempo è un piacere legato all’atto di vedere che va oltre l’oggetto del proprio sguardo. Un piacere legato alla possibilità di vedere, di con gurare il visibile, alla propria potenzialità di visione, e non all’atto in sé. Ci troviamo di fronte a una con gurazione cromatica molto intensiva, che oggettiva nell’immagine schermica le potenzialità intrinseche della visione. Sono tracce perse che non si collegano ad altre tracce per ricreare la propria origine, ma che si perdono. Proprio questa frammentarietà rimanda necessariamente a quello che Derrida de nisce come: “un passato che non è mai stato presente”104, cioè come “un passato che non è mai stato e non può mai essere vissuto nella forma, originaria o modi cata, della presenza”105. È qualcosa che, anche a livello visivo, è relegato al passato di cui ci arriva solo l’immagine deformata e de- gurata, cioè l’immagine di qualcosa che si è persa nel visibile e nel tempo, ma che non si presenti ca nella sua pienezza ed e ettività. Un qualcosa che lavora ermeneuticamente sulla possibilità, che diviene nei fatti possibilità di interpretazione. In fondo Blow-up mostra proprio questo, cioè un presunto assassinio nel parco di cui resta solo una traccia che, tra l’altro, non è neanche l’oggetto diretto, il fenomeno di riferimento, ma il prodotto illusorio del mezzo fotogra co e della semiosi della luce106. Infatti “il protagonista non vede e non capisce cosa succede nel parco, mentre la macchina fotogra ca scopre l’omicidio, rivelando, attraverso la tecnologia, quello che l’esperienza diretta del mondo non aveva colto”107. Attraverso un procedimento meta-testuale, questi titoli frammentari invitano lo spettatore alla visione. Con gura il testo lmico come entità che vede, con la presenza di uno sguardo del testo che è necessariamente doppio, che diventa come a ermava Žižek un “signi cante surplus, un signi cante che è vuoto nel senso che non c’è niente nella realtà che corrisponda ad esso”108. Quindi è estraneo all’universo diegetico, esattamente come abbiamo visto per il presunto sguardo dell’assassino al Maryon Park. La questione che qui si pone è alquanto problematica anche perché non ci troviamo ancora nell’orizzonte diegetico, ma in quelle che Genette chiama soglie liminali, o paratesti109 “che si muovono fra l’interno (testo) e l’esterno (non-testo), formando una sorta di zona di passaggio e transizione”110, cioè tutto quell’universo che è intorno al mondo diegetico ma che è sostanzialmente estraneo ad esso. Da un lato infatti il testo, attraverso il proprio sguardo, si rivolge allo spettatore, facendolo diventare oggetto di sguardo e ria ermando così una specie di passivizzazione ulteriore dello spettatore. Dall’altro è sempre il testo che guarda a se

stesso, e questo guardare dall’interno, questo vedere se stesso, assume un carattere di grande ambiguità in quanto le lettere diventano fessure che ricon gurano ed evocano, come abbiamo accennato sopra, la pulsione scopica, il desiderio di vedere e quindi, ripropongono una particolare scena primaria inde nibile, di di cile lettura che, come nel processo psichico descritto da Freud111, si perde attraverso dei meccanismi di rimozione. Le lettere presenti sullo schermo che formano i titoli di testa, svolgono una doppia funzione che è sostanzialmente diegetica ed extradiegetica, che va oltre la semplice e naturale presentazione delle caratteristiche tecniche del lm, del cast, ecc. Lo spettatore viene iscritto in una dimensione dominata dall’autoreferenzialità e dal meta-linguaggio, in cui proprio da quelle fessure si inserisce con il proprio sguardo e con la propria azione di vedere112. Da un lato appunto le fessure che tendono a rivelare il visibile (o il presunto tale) agli occhi dello spettatore; dall’altro lato invece la frammentarietà dello schermo cinematogra co, il superamento quindi di una visione unica, stabile e rigida. Queste soglie: “mediano quindi tra il testo vero e proprio e il suo esterno”113 divenendo il varco sospeso tra il mondo diegetico e un mondo altro che circonda il primo. Se si considera le singole lettere non come fessure, ma come tanti schermi cinematogra ci deformati su cui è proiettata l’immagine, ci si accorge che in Blow-up l’evento lmico si realizza attraverso la manipolazione del deformante, del frammentario, della componente immaginativa. Indirettamente Antonioni sembra riallacciarsi alla lezione di Ejzenštejn, sull’inquadratura come: “frammento minimo deformabile della natura”114, in maniera decisamente originale e innovativa rispetto ai lm precedenti, facendo un salto di qualità nella sua ricerca sull’immagine. Tutto questo processo di deformazione e manipolazione del visibile si realizza appieno nel lm grazie a due tipi di intervento: quello del protagonista e quello del mezzo fotogra co, e allo stesso tempo innescano entrambi problematiche e ri essioni più ampie. Tutto il lm, come vedremo più avanti, è attraversato da una molteplice lettura interpretativa che viene mediata da una ri essione più ampia e articolata sull’immagine in generale. L’immagine lmica e i diversi tipi di sguardo ri ettono sempre sui vari statuti di funzionamento e regimi scopici, e su come le immagini e lo sguardo agiscono nei processi di percezione e di proiezione dell’immaginario. L’orizzonte del visibile è costantemente occultato, nascosto, immerso in una dimensione di assenza, di non-luogo, di rimozione dello stesso, nonostante più avanti si vedranno gli ambienti e i tratti che caratterizzano la Swinging London. Allo stesso tempo le modalità con cui avviene questa sottrazione, sono a date alla deformazione percettiva/proiettiva del protagonista e alle potenzialità creative e anch’esse deformanti del mezzo fotogra co, attraverso una costruzione di grande intensità a data alla formalizzazione del visibile. Il visibile e tutto l’orizzonte signi cante del lm, assumono una con gurazione potenziale dove tutto è immaginato, e si presenta come un’illusione formale e allucinatoria. Essa si delinea attraverso lo sguardo del protagonista, che viene percepito anche dallo spettatore attraverso il punto di vista soggettivo dello stesso. È un testo quello di Blow-up che crea un enigma non all’inizio del lm ma a un certo momento della storia, pur iscrivendo immediatamente degli elementi di signi cazione ambigua (come appunto nei titoli di testa) che preparano a loro volta la con gurazione di un enigma centrale all’interno delle determinazioni dinamico-visive, o che comunque immettono lo spettatore in una condizione di ambiguità e precarietà. Tutta questa costruzione dell’enigma, soprattutto visivo ma anche narrativo, è a data a un particolare uso delle inquadrature che combinano “ gura e parola, in un rapporto enigmatico, in una sospensione di senso assai simile alla struttura compositiva dei rebus”115. Non c’è solamente un’alterazione del mondo reale, c’è la costruzione di un mondo diverso e antitetico a quello reale, in cui il potenziale e l’assenza sono le uniche certezze, e allo stesso tempo l’incertezza diventa l’orizzonte concettuale di realizzazione del diegetico, uno dei tanti orizzonti possibili che si incontrano e si scontrano. Inoltre, come ricorda Jost in generale: “La trasformazione del reale messa in atto dal regista consiste nel far passare una disposizione più o meno intenzionale della realtà, cioè del pro lmico, per un modo di essere del mondo”116. Questa è una dimensione che ha la sua genesi nelle ri essioni sul cinema degli anni ’60, con

il orire delle teorie metodologiche; ma in generale tutte le teorie del cinema, chi in maniera diretta e chi meno, hanno a rontato queste problematiche in tutti i dibattiti in cui, di volta in volta, sono intervenute. E proprio su questo discorso della trasformazione della realtà non solo nel cinema ma proprio all’interno delle elaborazioni della teoria del cinema, è interessante la posizione di Casetti quando a erma che: “Il discorso teorico a ronta spesso il cinema non solo dal punto di vista del possibile, non solo sulla base di ciò che è già realizzato ma anche sulla base del potenziale, non solo a partire dal manifesto ma anche a partire dal virtuale”117. Ed è proprio a partire dall’incertezza del dato reale a vantaggio del virtuale e del potenziale, che il cinema non può più essere né compreso e né interpretato attraverso una prospettiva unitaria e chiara. Quindi l’orizzonte del potenziale si iscrive appieno nell’universo formale di Blow-up, divenendone il principale orizzonte di signi cazione e di emersione del senso all’interno del mondo diegetico. Già dodici anni prima di Blow-up, Hitchcock aveva mostrato le importanti potenzialità del mezzo fotogra co in La nestra sul cortile come strumento che registra l’evento, anche come saldatura d’immagini che collegano il passato e il presente, come nella prima inquadratura, attraverso una messa in scena e una costruzione diegetica di grande e cacia, basata su una ri essione sul mezzo tecnologico e sull’apparato. Quindi come a erma Bertetto a proposito del lm di Hitchcock: Si tratta naturalmente di una ri essione indiretta sulla capacità del macchinario fotogra co riproduttivo di percepire il reale e di ssarlo in un’immagine che possiede una verità signi cativa del passato. Il macchinario fotogra co salvaguardando un’immagine del passato permette di capire gli accadimenti e contribuisce quindi in maniera essenziale alla rivelazione della verità nascosta.118

L’operazione che propone Antonioni è diversa poiché la ri essione sul mezzo fotogra co si sviluppa come strumento creativo dell’evento e non di mera registrazione. Ma è proprio la visione fotogra ca che rivela (e crea) l’accaduto, anche se non visibile direttamente al protagonista e allo spettatore. E il mezzo fotogra co è in grado di risolvere la dialettica del visibile, scegliendo la rivelazione dell’accaduto e rompendo l’occultamento precedente attraverso una trasformazione del visibile e del mondo originario. Ma, come sostiene Tinazzi: “al fondo di questa rivelazione c’è una presenza ambigua, il segno con le sue implicanze; la natura della ‘riproduzione’ perde le sue sicurezze e si apre all’indeterminatezza”119. In questo senso il mezzo fotogra co disgrega il reale con gurando un’immagine ttizia del passato, un’immagine che a sua volta instaura un rapporto complesso con il passato e si autointerpreta al contempo, rivelando una possibile verità e con gurando un evento già rimosso in partenza di cui esistono solo le tracce. Ci troviamo di fronte a un esempio massimo di intensità ma anche di potenzialità non solo della macchina fotogra ca ma del mezzo fotogra co in generale. È il riconoscimento della macchina cinema come momento di rivelazione dell’occultato, dell’ascoso, come con gurazione del rivelato, come rivelazione del mondo ed emersione della visibilità della cosa. Da questo punto di vista la ri essione sull’occultamento e il nascondimento oggettiva la posizione di Heidegger in L’origine dell’opera d’arte secondo cui: “il nascondimento può essere un ri uto oppure solo un’impostura”120; e questa posizione è presente lungo tutto Blow-up, come ri uto di percepire il reale e come nascondimento dell’evento di riferimento no a rimuoverlo completamente nell’inquadratura nale. Ma è anche il ri uto iniziale di accettazione di un nuovo mondo, che si concluderà nella sequenza nale come una sorta di rassegnazione da parte del protagonista nel momento in cui rilancia la pallina immaginaria al di là della rete. È un ri uto di un mondo, di una realtà attraverso un’impostura, attraverso tranelli che vengono disseminati lungo tutto il lm, relativi proprio alla comprensione del mondo e del visibile stesso. Continuando nell’analisi, è giusto prendere in considerazione il testo lmico tenendo conto di certe dinamiche complesse che attiva. Questa premessa non riguarda una valenza che si potrebbe pensare strettamente meta-fotogra ca, magari inserita in una con gurazione cinematogra ca intensiva, come farà negli anni ’70 Paolo Gioli121, o come aveva fatto già nel ’62 Chris Marker con La Jetée122. Vi è un’altra valenza che si realizza attraverso un procedimento assolutamente meta-cinematogra co di grande autori essione signi cante e

di grande fascinazione visiva, in un rapporto particolare tra immagine fotogra ca e immagine lmica. Quello che interessa Antonioni non è mostrare le potenzialità della fotogra a ma quelle del cinema avvalendosi dell’apparato fotogra co; una ri essione teorica sull’apparato e il dispositivo cinematogra ci in generale. Blow-up, grazie alle proprie articolazioni visive e alla particolare messa in scena, tende proprio ad esaltare quella dimensione dell’immaginario, tipica dell’oggetto cinema, costruendo l’immagine di pari passo con l’universo immaginario. E in e etti è proprio il cinema come tecnica dell’immaginario (secondo la de nizione di immaginario che ne danno Morin e Lacan123) che viene esaltata no all’estremo. È anche vero che la struttura narrativa e formale di Blow-up, la sua dimensione autoreferenziale e metaforica, il suo discorso sul cinema, non lo fanno recepire facilmente allo spettatore. La narrazione dilatata privilegia più la contemplazione dell’evento che non l’esasperazione dell’azione, o dell’evento stesso; sebbene quest’ultimo è presente e lavora a un discorso sul cinema, l’apparato e il dispositivo, ri ettendo al contempo sul processo di conoscenza e comprensione del mondo. Il lm attiva già nel suo mostrarsi sullo schermo una forte con gurazione simbolica che suggerisce quale direzione deve intraprendere l’analisi dell’intero sottotesto signi cante124. Gli elementi, le gure, le suggestioni utilizzati dalla psicanalisi applicata al cinema trovano in Blow-up un terreno fondamentale per l’emersione dell’occultato, disvelando così il rapporto tra l’orizzonte dell’immaginario e l’orizzonte del simbolico. L’immaginario si con gura come luogo oscuro, di “un’opacità insuperabile”125 come a erma Metz, in contrapposizione al simbolico che attraverso le sue “trasformazioni introduce alla comprensione”126. In questo senso Christian Metz a erma anche che: L’immaginario, opposto al simbolico ma in continuo rapporto di incastro con esso, designa l’illusione fondamentale dell’Io, l’impronta de nitiva di un prima dell’Edipo (che continua anche dopo di esso), il marchio duraturo dello specchio che aliena l’uomo al ri esso di se stesso, e ne fa il doppio del suo doppio – come ad esempio in The woman in the window (La donna del ritratto, Fritz Lang, 1944)127, N.d.A. – […] il desiderio come puro e etto di mancanza e inseguimento senza ne, il nodo iniziale dell’inconscio (rimozione originaria). […] tutto ciò viene riattivato da quell’altro specchio che è lo schermo cinematogra co, sotto quest’aspetto vero e proprio posticcio psichico, protesi delle nostre membra, originariamente disgiunte128.

La lettura che qui si cerca di dare è diametralmente opposta. È vero che il lm con gura la storia di uno sguardo, di una visione immaginativa che si apre in maniera problematica a tante visioni contrapposte e intersecabili, confuse e sovrapposte in un procedimento di tipo psicoanalitico di spostamento e condensazione del sogno129. Ma è anche vero che l’interpretazione freudiana del lm è da ricercare nella dimensione dello sguardo che oggettiva l’orizzonte voyeuristico e feticistico della signi cazione immaginaria, la quale investe gli stessi con ni diegetici, le ambigue e strati cate dimensioni speziali lungo le quali il protagonista si muove. Questo particolare orizzonte della signi cazione investe in maniera simbolica anche lo spettatore cinematogra co, attraverso la sublimazione dell’evento estetico-allucinatorio in sé. In Blow-up il carattere psicoanalitico si oggettiva nel testo attraverso l’allucinazione percettiva del personaggio e le possibili produzioni eidetico-allucinatorie come con gurazioni inconsce che si confondono nel tessuto visivo. È un procedimento che ad esempio Antonioni articola diversamente in Zabriskie Point (Id, 1970), inserendo una dinamica dello sguardo e del desiderio molto più chiara, anche se con gurata attraverso un meccanismo ambiguo di signi cazione che mostra come i due elementi siano la metafora dei due protagonisti che si incontrano e si separano in quanto appartenenti a due mondi, due orizzonti diegetici e teorici diversi e impossibili da conciliare e unire. Diversamente da Antonioni, nelle scelte registiche di Hitchcock o ad esempio di Buñuel, ma anche di Lynch, gli elementi classici del linguaggio inconscio-onirico-allucinatorio passano da uno stato latente ad uno stato manifesto, costruendo l’universo del visibile e la narrazione stessa (es. le ri essioni sull’atto mancato e le lunghe sequenze oniriche di Buñuel; il ruolo dell’Io attraverso l’atto di vedere in Hitchcock; gli elementi stranianti e nuovamente onirici di Lynch130).

In Antonioni, forse l’unico lm in cui è presenta un’analisi più esplicita dei procedimenti e delle ssazioni psichiche è, come abbiamo accennato poco fa, proprio Zabriskie Point, in cui l’attività inconscia si realizza con imponenti costruzioni fantasmatiche e oniriche, dove l’immagine diventa la proiezione eidetica del desiderio, in contrapposizione alle strutture sociali esistenti e alla feticizzazione della merce descritta da Marx ne Il Capitale131. Anche Blow-up, pur mettendo da parte una dimensione onirica del visibile più esplicita, e insistendo invece sulla dimensione allucinatoria, attiva una piccola ri essione sulle strutture sociali repressive, senza andare nello speci co. Come vedremo i senza-tetto oltre a poter essere scambiati per degli operai che escono da una fabbrica, possono sembrare, almeno nelle foto fatte da Thomas, come dei carcerati che subiscono delle torture, anticipando in questo senso il discorso che farà una decina di anni dopo Foucault in Sorvegliare e punire132. Gli anni ’60 sono anche il periodo in cui esce L’uomo a una dimensione di Marcuse, testo chiave di critica sociale della società capitalistica delle sue forme immaginarie, che utilizza molte categorie psicoanalitiche riprese da un testo precedente dello stesso autore che è Eros e civiltà133. È un discorso che Antonioni non intende sviluppare in maniera approfondita, almeno per Blow-up, mentre successivamente, senza andare verso un cinema prettamente politico e militante, analizza tale problema ancora una volta in Zabriskie Point, ma anche in Professione: reporter, privilegiando sempre una ricerca formale e una costruzione narrativa inedite e particolari. Le modalità di con gurazione onirica dell’immagine lmica si collocano in una lunga tradizione di analisi, dove i procedimenti di scomposizione del testo vanno tutti in direzione della ricerca di un complesso rapporto tra lo sguardo, il visibile e la condizione dello spettatore cinematogra co, attraverso l’attivazione delle dinamiche tra vedente e veduto134. 2. L’enigma della visione nella con gurazione del signi cante-cinema Il lm si apre con una costruzione del regime visivo particolare, in cui vengono inseriti dei soggetti ambigui – i mimi – che saranno i veri e propri protagonisti del nale (vero e proprio marchio stilistico di Antonioni), e che svolgono la funzione di leitmotiv misterioso, carichi di valenze loso che e perturbanti135, e iscritti in un importante e complesso meccanismo di signi cazione e rimozione. Allo stesso tempo, questi soggetti assumono la valenza di vettori di radicale signi cazione atta a disgregare il visibile stesso, a mettere in discussione la percezione del mondo e il mondo stesso, in un discorso complesso dalle particolari componenti esistenziali che, come si è spesso accennato si riconnette obbiettivamente al pensiero di Heidegger, ma se vogliamo anche a Sartre e Camus. Attraverso cinque inquadrature, tutte contrastanti dal punto di vista dei raccordi, troviamo una jeep con a bordo una dozzina di saltimbanchi o mimi (anche se la sceneggiatura originale li indica genericamente come studenti136) che gira per una stradina stretta. Essi sono presentati n da subito come delle gure enigmatiche che si susseguono in tre diverse sequenze del lm, tutte misteriose, in un arco temporale che abbraccia grosso modo una giornata. I mimi lungo tutto il lm, sebbene appaiono solo in tre sequenze, costituiscono uno degli elementi più fascinativi dell’intera storia. Essi ria ermano il carattere spettacolare del cinema, come mezzo che mostra, che è fatto per essere visto, macchina per vedere in grado di modi care la percezione e la visione sul mondo in generale. Svolgono una complessa funzione immaginativa, allucinatoria, palesemente onirica, in grado di invitare anche lo spettatore a immaginare e pensare l’orizzonte possibile del reale come orizzonte dominato dal potenziale psichico, e che di conseguenza mette in discussione lo stesso concetto di realtà. Confrontando i mimi con Thomas, si può vedere un ri esso o un’anticipazione del percorso percettivo del protagonista e del suo sguardo come con gurazione duplice della doppia funzione percettiva/proiettiva, e di conseguenza identitaria del doppio. È la costante messa in crisi del reale e della realtà oggettivamente intesa. I mimi simulano in maniera antimimetica azioni senza referenti e senza legami di causa-e etto con l’ambiente

intorno. Anche quando altri possibili soggetti interagiscono tra loro non vi è mai una relazione naturale. Tutto è dominato dall’arti ciale, dalla semiotizzazione ipertro ca del mondo. Gli oggetti con cui interagire sono assenti, e vi è così la con gurazione della presenza di un qualcosa che è assente e che non si può neanche più riallacciare alla nozione di traccia proposta da Derrida137 in relazione al passato che non è più presente. Anzi qui ci troviamo di fronte a un oggetto, a un qualcosa che non è più presenza e funzionalità, e che non lo è mai stato; ma, in termini heideggeriani, potenzialità complessa e molteplice di un mondo che è esso stesso potenza e con gurazione di strumenti, di segni e signi cati, che determina: “l’utilizzabilità e la determinazione ontologico-categoriale dell’ente così come esso è in ‘sé’”138. Alla ne del lm vedremo come i canoni estetici di elaborazione della realtà utilizzata dai mimi, verranno incorporati e fatti propri da Thomas nella famosa partita a tennis tutta completamente simulata. Come sostiene giustamente Cuccu, entrambi sono portatori di: “una cultura che ha sostituito l’immagine, la nzione, alla realtà: i mimi nella partita nale hanno soppresso la palla, così come le fotogra e, alla ne, hanno soppresso il cadavere”139. In un certo senso, l’orizzonte visivo destrutturato e immaginativo dei mimi, ingloba il fotografo cambiando la sua percezione in maniera particolare, e oggettiva l’idea di “abitare ermeneutico” presente in Gadamer, ma anche in Rorty140, come: “appartenenza interpretativa, che comporta sia il consenso sia la possibilità di articolazione critica”141. Successivamente nello sviluppo diegetico del lm, vedremo Thomas essere portatore di un’istanza altamente psicoanalitica nel rapporto con lo spettatore. È una pulsione scopica e voyeuristica, così come avviene per lo spettatore cinematogra co nella sua visione tradizionale142. Qui però è realizzata attraverso una narrazione in divenire di forte ambiguità, in cui l’assenza dell’oggetto e l’assenza del contatto stesso del soggetto vedente/spettatore con l’oggetto, si realizza in maniera complessa, oggettivando il personaggio come una sorta di interpretante che fa della conoscenza la pre-comprensione di un proprio sapere che ha precedentemente acquisito (la sequenza nel parco). Ma il meccanismo di signi cazione del lm è carico di forte ambiguità, soprattutto per quanto riguarda quello che Heidegger chiama “circolo ermeneutico”143, cioè come: “peculiare appartenenza reciproca di ‘soggetto’ e ‘oggetto’ dell’interpretazione”144. I mimi di Blow-up instaurano una relazione particolare e ambigua con la psicoanalisi, sia interiormente che per quanto riguarda il rapporto con la macchina-cinema. Infatti, il lm si apre proprio con l’inquadratura in campo medio di un edi cio abbastanza grande, con diversi vetri rotti, in cui ogni possibilità di ri esso, di rifrazione di quello specchio cinematogra co è qui infranta, negata, censurata nelle sue possibilità di costruzione di un sistema di luci e ombre che è appunto la macchina-cinema. È come se il lm si collocasse in un punto epocale di morte del cinema, o semplicemente di crisi strutturale del medium, e che tutta la vicenda narrata non sia altro che il tentativo di farlo rinascere. Anche perché, come vedremo in seguito, il lm è disseminato di elementi che esaltano il carattere auto-ri essivo del cinema, gli aspetti più importanti dell’apparato e del dispositivo cinematogra ci. Anche i vetri, che all’inizio sono infranti, senza possibilità di rifrazione e di proiezione concreta o psichica, si mostrano nella loro integrità e funzionalità. La possibilità di ri essione dell’immagine dei mimi è radicalmente negata: non hanno nessuna possibilità di riconoscersi né come immagine né come corpo. Essi non possono instaurare nessun rapporto tra la loro immagine nel mondo e l’identi cazione corporale e immaginativa ri essa nello specchio. A causa di questa mancata relazione, non esiste una duplicazione della loro immagine, venendo meno qualsiasi soggettivazione di un’oggettivazione del soggetto, o in questo caso dei soggetti. L’enigma è con gurato come altro, come inserimento dell’eterogeneo, o se si vuole del rimosso stesso, e non perché il corpo diventa, come sosteneva Merleau-Ponty: “vedente e visibile. Guarda ogni cosa, ma può anche guardarsi, e riconoscere in ciò che vede ‘l’altra faccia’ della propria potenza visiva”145. Lo specchio appare proprio perché l’Io diventa “vedente e visibile”.

In Blow-up i mimi sono solo vedenti dell’immaginario, corpo e sguardo di erenziali. In loro è assente l’identi cazione primaria con l’altro di cui parla Freud146, ma al contempo è presente un’ennesima radicalizzazione della posizione di Lacan su cui la maggior parte della letteratura teorica sul cinema si è dovuta per forza confrontare: la fase dello specchio nella formazione dell’Io come soggetto cosciente147. La distruzione dello schermo cinematogra co, che ha la sua valenza altamente signi cante e inconscia nei vetri infranti, è attivata anche nel comportamento dei mimi sulla jeep, che entrano nell’inquadratura da destra verso sinistra. Essi infatti vagano senza meta, senza un vero e proprio scopo, girando intorno al palazzo. Tale azione è mostrata attraverso una sequenza articolata in cinque inquadrature, nella quale i raccordi di direzione vengono infranti tramite una specie di associazione per analogia148. Il montaggio tende a oggettivare n da subito quella che sembra una versa e propria ossessione dei personaggi per lo schermo infranto, e allo stesso tempo l’incessante ricerca di continuità percettiva, di un nuovo schermo cinematogra co e fantasmatico possibile che è assolutamente rimosso dalle stesse inquadrature. La contraddizione in questo caso è palese, anche perché si ha l’abitudine di considerare i mimi come il simbolo di una capacità immaginativa senza limiti che reinventa le modalità percettive. Il loro è lo sguardo proiettivo e non percettivo che realizza appieno l’e etto magico e misterioso della macchina-cinema, quello cioè della con gurazione e dell’immaginazione di una visione, distante e di erente dalla realtà. Cinema inteso quindi come fabbrica del sogno, delle storie e naturalmente dell’immaginario. Infatti, quando i mimi scendono dalla vettura e vanno sul marciapiede, c’è una ragazza del gruppo – protagonista della sequenza nale del lm – che guarda da qualche parte con aria smarrita, come ad indicare persino la perdita d’immaginazione e di con gurazione dell’immaginario, in cui la loro funzione di portatori di una nuova istanza percettiva è completamente sospesa e subisce una crisi funzionale. Il procedimento che utilizza Antonioni per la costruzione della sequenza indica, in modo quasi polemico, la mancanza di creatività dei mimi, o forse, e questo è più probabile, la mancanza d’immaginazione in una città come Londra, piena di colori, che sono imposti dalla situazione culturale e industriale del periodo, e che viene sublimato dalla ride nizione del paesaggio urbano, mostrato nella sequenza in cui Thomas si aggira nell’auto parlando al radiotelefono. Non siamo ancora nella situazione dei cartelloni pubblicitari che iscrivono i simulacri dell’umano nell’America di Zabriskie Point, ma tutto lascia pensare ad un anticipo di quella situazione, con tutto il carico di suggestioni immaginarie e gurali. Tra l’altro proprio l’anno dopo in cui esce Blow-up, cioè il 1967, Godard realizza Deux ou trois choses que je sais d’elle (Due o tre cose che so di lei), pellicola particolare di decostruzione del visibile, che cerca di disvelare i segni che costituiscono l’orizzonte visivo del mondo, attraverso una prospettiva semiotizzante dello sguardo e dell’immaginario, che nella pratica è altamente decostruttiva. Godard ad esempio parte proprio dagli oggetti di consumo, dai cartelloni pubblicitari, da tutto quell’universo mediatico massi cato che Antonioni tenterà di distruggere attraverso le potenzialità proiettive e radicali dello sguardo nella sequenza nale di Zabriskie Point, con l’esplosione-disvelamento-distruzione degli oggetti di consumo. In tutta questa descrizione si inserisce la funzione e la non-funzione passivizzante che svolge il personaggio interpretato da David Hemmigs, il fotografo annoiato da quella realtà, dalle modelle, il cui solo momento di interesse è costituito dall’inizio dell’indagine, da quando cioè inizia a indagare sul mistero contenuto nelle foto scattate al parco. Hemmings nella sua carriera ritornerà un’altra volta nel 1975 a ri ettere sullo sguardo e le sue ambiguità, interpretando il pianista Mark in Profondo rosso di Dario Argento. In quel caso lo farà so ermandosi sul carattere signi cante dell’immagine ri essa e sul funzionamento memoriale dell’inconscio di fronte alle tracce mnestiche, dislocandosi tra citazioni molto e caci di alcuni lm di Lang e Hitchcock. Thomas si presenta n da subito come soggetto che ri uta consapevolmente e inconsapevolmente di scrutare la realtà, che attiva procedimenti percettivi forti e che

attraverso l’oggetto-feticcio, che è la macchina fotogra ca, crea un mondo ttizio, simulacro della propria alienazione. Egli è certamente un uomo che vive l’alienazione quotidiana ma, grazie alla capacità di vedere oltre, è in grado di costruire quell’immagine- gurale che è “dentro e oltre l’immagine, ma esiste come tale proprio dentro l’immagine: non c’è senza immagine (o testo)”149. Ed è grazie a questo procedimento e attraverso le sue foto che Thomas riesce ad uscire dalla gabbia simbolica e percettiva nel quale è iscritto. Al contempo, però, le foto con gurano (simbolicamente) un’altra gabbia in cui vengono costrette le immagini stesse, che ricorda la frase di Godard, secondo cui: “tutte le immagini da inquadrare nascono uguali e libere: i lm non sono che la storia della loro oppressione”150. La con gurazione del montaggio proposta da Antonioni si realizza costruendo un’atmosfera da lm giallo, che si può intravedere anche in lm precedenti come una sorta di “giallo alla rovescia”151. Pensiamo ad esempio a Cronaca di un amore o L’avventura. Questa costruzione narrativa particolare, Antonioni la reinventa per poi distruggerla de nitivamente facendola chiudere su sé stessa e sviando l’indagine del protagonista verso un oltre, verso un orizzonte ambiguo, e in direzione di uno sguardo particolare che crea una crisi e successivamente la registra o viceversa. Questo è possibile perché tale ri essione supera lo statuto e i con ni del visibile, a sua volta regolato da una logica di incertezza e problematicità. Ritorniamo all’inizio del lm. Il movimento della jeep con a bordo i mimi sembra quasi – nell’ottica di spiazzamento percettivo che attuano le diverse infrazioni di raccordo – indicare una nuova visione, un nuovo rapporto con il visibile e con il reale, rilettura dell’e etto tempo nella logica dell’orizzonte di signi cazione lmico. È la presentazione di una frequenza ripetitiva, l’articolazione di un movimento che si ripete per trovare il suo sguardo-oltre, la sua via di fuga dalla dimensione spaziale, che si illude di trovarla ma che non ci riesce. I mimi si fermano con la vettura in quello che si palesa essere una sorta di varco, e scendono tutti per attraversarlo e provare a immettersi in una nuova realtà immaginativa. Proprio la ragazza del gruppo si trova spiazzata, impossibilitata a vedere oltre, ad attraversare la strada. In termini simbolici non è ancora pronta allo scavalcamento di campo non solo come presenza sica ma come sguardo, come istanza di visione. L’orizzonte spaziale si ferma lì, non va più oltre e con esso anche l’orizzonte dello sguardo e del visibile. È come se il visibile fosse occultato, improduttivo, sospeso in un orizzonte temporale e immaginario non speci co, dominato quasi da una dinamica più o meno e cace di visibile e invisibile, di potenzialità dell’immagine e del divenire dell’immagine lmica stessa. In una prospettiva quasi performativa. Questi personaggi all’interno del lm conferiscono un’atmosfera enigmatica dall’inizio alla ne, e solo in parte, si riesce a comprendere la loro funzione all’interno della storia. Ma i mimi attivano diverse con gurazioni dell’immagine lmica e delle sue potenzialità, anche in relazione allo statuto di funzionamento della stessa. Sono una sorta di testimoni delle capacità della macchina-cinema, del meccanismo di signi cazione e delle ri essioni che è capace di sviluppare anche in rapporto con la propria storia e con la propria evoluzione, ma anche in relazione anche al teatro e alle arti visive in generale. Sono il residuo di un’istanza di tipo teatrale che si iscrive nell’orizzonte cinematogra co e metacinematogra co del lm, con gurandosi come vettore di signi cazione diegetica e autori essiva. Allo stesso tempo sono carichi di forte ambiguità nella ride nizione della loro funzione diegetica. Sono portatori di una doppia valenza interpretativa, una doppia con gurazione immaginaria: 1) oggettivano da un lato la tradizione del cinema muto, quello cioè in cui la parola è assente a vantaggio della corporalità, della mimica dell’attore, del gesto che, nel cinema d’avanguardia, si con gura anche nella struttura ultra-signi cante della messa in scena; nella continua semiosi che attivano gli elementi gurali visibili e invisibili. 2) Allo stesso tempo i mimi con gurano anche un’istanza di tipo teatrale, quella cioè di un teatro d’avanguardia sperimentale che ride nisce l’orizzonte del reale e del visibile, attraverso una forte ipersemiotizzazione di quest’ultimo, dentro il quale è iscritta la sicità. Essi sono potenzialità di un mondo rigido e ordinato che strutturalmente si sta scardinando e decostruendo; una meta sica della presenza152 a vantaggio di una estetizzazione della potenza. D’altronde, come sostiene Vattimo riferendosi in questo caso a Nietzsche, che cos’è

la meta sica se non: “un tentativo di impadronirsi del reale con la forza”153. Proprio questi riferimenti al cinema muto e al teatro d’avanguardia presenti in maniera diversa nei suoi lm, hanno fatto sì che Antonioni venisse considerato un autore del silenzio, dove i dialoghi venivano ridotti al minimo in funzione delle potenzialità intensive dell’immagine e del visibile. E questo, come abbiamo visto nel capitolo precedente, avveniva grazie a un lavoro di messa in scena incentrato sul mostrare il dramma individuale e la condizione esistenziale forte di un soggetto iscritto all’interno di un mondo potenziale, fortemente ambiguo, incentrato sulle funzioni dello sguardo. La realtà diventa un vettore signi cante di potenza e incertezza, di incomprensione ma allo stesso tempo il prodotto di una particolare e intensiva interpretazione mondana. In questo discorso che si evince dal lavoro di Antonioni, la realtà non è altro che un’interpretazione di forme del possibile. Il riferimento alle potenzialità immaginarie della macchina-cinema rispetto al teatro che fa Blow-up, viene con gurato doppiamente, iscrivendolo nell’universo pop della Londra degli anni ‘60, quella della moda, del rock, del divertimento, dell’edonismo, della droga, della psichedelia e della fuga dalla realtà, attraverso due punti di vista, due percorsi interpretativi diversi ma di grande signi cazione. In primo luogo, vi è l’impossibilità dello scavalcamento di campo così come era stato visto alla ne del micro-segmento dei mimi. Vengono de niti così i limiti spaziali e la con gurazione temporale di un ipotetico palcoscenico teatrale rispetto alle in nite potenzialità dello spazio che attiva il processo semiosico cinematogra co. Lo scavalcamento di campo si costruisce come impossibilità simbolica di realizzazione dell’evento e allo stesso tempo come ride nizione del soggetto iscritto in uno spazio potenziale, in divenire; quindi come prodotto assoluto dello sguardo e del desiderio proiettato nel visibile. In questo caso però, l’immagine successiva non rileva una soggettiva su cui è iscritto il desiderio e l’immaginario del soggetto, o semplicemente l’oggetto del suo sguardo ma, attraverso una sorta di montaggio alternato, viene mostrata un’altra realtà, un’altra situazione diegetica che si lega alla precedente. Sono con gurati così due regimi diversi dell’immagine (e della narrazione), che si legano in una valenza simbolica di due realtà sociali contrapposte ma vicine: il mondo dei mimi e gli ospiti di quello che poi si scoprirà essere un dormitorio, ma che all’inizio appare come qualcos’altro. In secondo luogo, il riferimento al teatro di strada è da intendere come un’allusione più o meno velata alle esperienze di Julien Beck e del Living Theatre154 fatte in quel periodo anche in Europa e che coinvolgono anche certi registi cinematogra ci italiani, primo tra tutti Bernardo Bertolucci con Agonia155 del 1968. D’altronde negli anni ‘60, la ri essione sui rapporti tra teatro e cinema, con tutte le sue dinamiche particolari, viene sviluppata ancora da Bertolucci con Partner (Id, 1968), in cui viene mostrato chiaramente come solo il cinema è capace di ri ettere sul soggetto e di moltiplicarne la propria soggettività, mettendo così in crisi le potenzialità del teatro. In tutta questa suggestiva ed evocativa azione dei mimi, troviamo la predilezione da parte di Antonioni per i personaggi singoli come Thomas, che vivono la loro solitudine di uomini moderni, ma che sono simboli di emozioni e sensazioni collettive, tipi ideali di una condizione esistenziale generale, pur in una dimensione di ricerca soggettiva. La ri essione sulla condizione esistenziale, inscritta in un contesto di forte svolta storica nel cinema di Antonioni, si realizza attraverso quelle ormai famose gure della crisi che hanno sempre attraversato il suo cinema. Nel caso di Blow-up vengono riproposte e aggiornate grazie al protagonista: la sensazione di solitudine e isolamento che proviene dalle sue fotogra e e dal mondo ttizio o possibile in cui è collocato ed è costretto a decodi care e reinterpretare nuovamente, ma anche dai suoi atteggiamenti verso le modelle o la donna del parco. Questa dimensione di continua solitudine è con gurata dai molteplici primi piani di Thomas, soprattutto nel momento di ricerca e tentato svelamento dell’enigma fotogra co; ma anche come impossibilità, inadeguatezza e disagio a comprendere e interpretare il mondo, il visibile, l’orizzonte di senso in cui è iscritto suo malgrado. Thomas porta in sé un insieme di contraddizioni ma allo stesso tempo di inadeguatezze “storiche” verso una ri essione di carattere ermeneutico e decostruzionista del visibile e del

mondo. È proprio questa crisi di visione, questa incapacità di de nire oggettivamente il mondo e l’orizzonte dello sguardo che mette in crisi la prospettiva interpretativa (inizialmente meta sica) di Thomas nella sua de nizione di un soggetto e di un mondo dominati dalla presenza dell’evento e della presenti cazione dell’essere. Egli è un soggetto in divenire che scardina il concetto problematico di identità, ipostatizzandolo nell’orizzonte del visibile e nell’universo analitico esistenziale che il lm con gura incessantemente Con Blow-up, quello che molta critica ha de nito come il pessimismo esistenziale di Antonioni presente anche in lm precedenti (come per esempio Il grido) si trasforma nel totale ri uto della realtà in cui l’uomo vive. Egli non è più in grado di stabilire alcun tipo di rapporto con ciò che lo circonda, e anche lì dove vi siano delle certezze più elementari, esse vengono messe in discussione irrimediabilmente. Il soggetto può sopravvivere solo ed esclusivamente se si trasforma in soggetto potenziale, ricon gurandosi inevitabilmente come soggetto eremeneutico-decostruzionista che non si limita a interpretare il mondo ma lo smonta, lo decostruisce per cercare di vedere le strutture, anche se spesso non ci riesce completamente. Il contrasto visivo tra due orizzonti culturali e mondani è allo stesso tempo una messa in discussione della verità, e in Blow-up questo aspetto assume una grande intensità e valenza simbolica. Tutto questo discorso viene proposto e ria ermato nella con gurazione della sequenza successiva, dove Thomas esce da un dormitorio insieme a delle persone, attraverso una messa in scena che privilegia una forte ambiguità semantica, giocando su un regime simbolico di stampo quasi neorealista. In e etti il dormitorio e la gente che ne esce vengono presentati come fossero degli operai di una fabbrica (rimandando indirettamente agli albori del cinema), che escono dal turno di lavoro, accentuando in questo caso anche un orizzonte, per certi versi ideologizzato, in cui ricchezza e povertà, disordine e ordine, ecc., sono vettori con ittuali in quanto detentori di due mondi opposti, di due realtà e verità sociali, politiche di erenti in netta contrapposizione. Ma in questo senso Blow-up mette in crisi la verità. Da un lato quella delle immagini e del visibile in generale e dall’altro quella del mondo mediatizzato e spettacolarizzato. Si delinea quindi una forte connotazione della verità come interpretazione, secondo l’accezione nietzschiana, ma anche come un vero e proprio con itto delle interpretazioni, in relazione anche a ciò che Heidegger de nisce come immagine del mondo. Anche perché, come sosteneva il losofo tedesco: “Non appena il mondo diviene immagine, la posizione dell’uomo si concepisce come visione del mondo”156; cioè come sguardo non oggettivo di un soggetto che interpreta e con gura un mondo. In mezzo a quella moltitudine di uomini che escono da un luogo dalla forte ambiguità, spicca quello che sarà il protagonista del lm, che si presenta n da subito dotato di uno sguardo perso e indi erente, in contrapposizione allo sguardo enigmatico del mimo dell’inquadratura precedente. La fascinazione cromatica dell’immagine in Blow-up – meno intensa ne Il deserto rosso o con estrema valenza tecnico-simbolica come ne Il mistero di Oberwald – nasconde la caratteristica di solitudine del protagonista, che viene confermata anche dal suo ruolo sociale di a ermato fotografo di moda. Egli in e etti è integrato in un sistema socio-economico speci co, quello capitalista, sistema che secondo Metz ha creato il cinema, anzi è proprio il cinema che essendo: “una tecnica dell’immaginario”, è una “tecnica del resto propria di un’epoca storica (quella del capitalismo), e di uno stadio della società, la civiltà detta industriale”157; e nonostante questa caratteristica, porta con sé una forte istanza di ri essione e solitudine in relazione all’interpretazione del visibile. Tra l’altro proprio la ri essione di Metz sullo sviluppo della civiltà industriale è legata alla nascita del cinema come rito collettivo e socialmente integrato, di cui La Sortie de l’usine Lumière (L’uscita dalle o cine Lumière, 1895), alla quale il segmento di Blow-up si rifà, ne a erma il legame intrinseco. Certamente, nel lm di Antonioni il discorso si complica ulteriormente, perché il luogo in questione non è altro che un dormitorio, ma che si presenta come qualcosa di diverso, appunto una fabbrica.

Thomas, nonostante la fama, il successo, le donne che ha (pensiamo alla sequenza delle due ragazze con le calze colorare che vogliono farsi fotografare), si sente solo. Scruta l’orizzonte del visibile, lo spazio circostante, e ri ette più o meno direttamente, e più o meno consapevolmente sulla natura e le potenzialità dell’immagine riprodotta dalle foto. Si so erma sulla capacità di iscrizione del mondo all’interno di tale supporto. Questo discorso sulla natura dell’immagine riprodotta fotogra camente lo aveva già chiarito Benjamin, quando a ermava: “La natura che parla alla macchina fotogra ca è infatti una natura diversa da quella che parla all’occhio; diversa specialmente per questo, che al posto di uno spazio elaborato consapevolmente da un uomo, c’è uno spazio elaborato inconsciamente”158. C’è una riproduzione a data a una macchina, ma tale riproduzione non è meccanica, è inconscia, ed è il più alto livello di intenzionalità produttiva e meta-produttiva di un soggetto attivo. Non una mano che gira una manovella, come disse Pirandello159, ma l’arte ce dell’intero atto creativo dell’immagine, del visibile, di un mondo possibile. È la mano che valorizza l’immagine, il momento fondamentale di quello che Deleuze chiama atto di creazione; secondo cui, come in e etti fa Thomas nel lm: “uno che crea non è uno che lavora per il suo piacere. Uno che crea fa solo ciò di cui ha assolutamente bisogno”160. Il meccanismo di signi cazione che costruisce Antonioni è ultra-simbolico, infatti nel segmento vediamo che, mentre quasi tutti i senzatetto escono dal centro verso destra dell’inquadratura, Thomas è l’unico (insieme a due personaggi secondari) che va verso la macchina da presa in basso, mostrandosi n da subito come elemento di discontinuità rispetto alla massa. Allo stesso tempo in questo suo modo di intercedere, mostra anche la sua assoluta sintonia con l’oggetto cinematogra co, nello speci co con l’apparato di ripresa. Thomas si muove verso la cinepresa come se stesse uscendo da un luogo privo di immagini per fondersi e iscriversi nell’orizzonte dello spettacolo, della strumentazione ottica, nell’orizzonte dello sguardo, dell’immagine. All’inizio le immagini dell’interno del dormitorio sono negate allo sguardo sia della mdp che dello spettatore, mettendone in dubbio l’e ettiva esistenza. In questo senso bisogna sempre ricordare che le immagini sono il prodotto di uno sguardo, non essendoci un soggetto o un’istanza in grado di attivare uno sguardo, di conseguenza non ci sarà un oggetto, e quindi un’immagine, che si perde come rimozione strutturale. Nell’universo diegetico Thomas non vede nessuna cinepresa frontale verso cui andare, ma questa valenza simbolica del suo movimento va nella direzione di una nuova ricon gurazione simbolica del testo e del soggetto stesso, ride nendo l’essenza di quest’ultimo attraverso l’iscrizione nello spazio nell’immagine. Allo stesso tempo il movimento di Thomas verso la mdp è da intendere come movimento del personaggio, quindi del soggetto diegetico verso lo spettatore, come a indicare un processo di fusione, di identi cazione tra il soggetto diegetico del lm e lo spettatore extra-diegetico. Anche in questo caso, però, la stessa fusione dei due sguardi è carica di ambiguità e, al di là di piccole discrepanze, lo sguardo di Thomas e quello dello spettatore sono simili, anche senza essere a date a delle soggettive, proprio perché lo sguardo delle mdp quasi sempre mostra il mondo diegetico e lo spazio in funzione dell’arrivo di Thomas. Non vi è nessun montaggio alternato o delle azioni parallele che sia indipendente e totalmente staccato da Thomas. Anche quando egli non vede, lo sguardo della mdp prepara l’immagine per farla vedere allo spettatore, in attesa che la veda anche il fotografo. È da notate però che la fusione tra soggetto e spettatore, qui carico certamente di elementi problematici, non avviene per ciò che riguarda il soggetto e gli altri soggetti. Se guardiamo attentamente Thomas non risulta che abbia “voluto e dovuto mimetizzarsi”161 ai senzatetto come sostiene Casetti, anche perché i suoi abiti non sono né uguali ma anche non eccessivamente diversi. Non c’è una vera integrazione, una mimetizzazione completa, che nei fatti rimane sospesa. Vie è invece la scelta da parte del fotografo “di farsi uguale all’oggetto del suo sguardo”162, anche se la questione è più complessa di quanto sembri. La fusione dei due mondi è annullata dal semplice fatto che la visione è negata allo spettatore, se non quando i senzatetto escono dal dormitorio e Thomas appare come un soggetto alternativo pur nello stesso campo visivo dell’inquadratura. Anche in questo caso i senzatetto non sembrano curarsi dell’uomo, non esercitando così il loro sguardo e trasformando il vedente in un ulteriore veduto.

E in e etti quello della condivisione del campo visivo e dello spazio, è un aspetto che ricorrerà sempre in tutto il lm, anche quando è caricato di signi cati simbolici. Da questo punto di vista, anche la scelta di Thomas di farsi oggetto del suo sguardo non coincide con lo sguardo dell’apparato fotogra co (quello che ha usato nel dormitorio è per l’appunto negato allo sguardo dello spettatore). Né di quello cinematogra co, perché successivamente al ristorante mostrerà le foto scattate di soggetti che non corrispondono a lui stesso, sia per situazione (sono ripresi nella loro nudità) che per posa (esibiscono la loro sicità). C’è una di erenza sostanziale tra il protagonista e i senzatetto. È come se questo tentativo di farsi uguale all’oggetto dello sguardo non possa avvenire in pieno, ed è forse proprio per questo che Thomas decide di cercare oltre, probabilmente un altro oggetto di sguardo (o più di uno) con cui farsi uguale. In Blow-up viene attivato un processo di identi cazione molto complesso e originale. L’identi cazione non avviene semplicemente tra spettatore e mdp o spettatore e personaggio vedente; ma tra il personaggio e la mdp stessa, come una fusione tra due sguardi organicamente e peculiarmente di erenti, atti a ribadire la propria distanza e separatezza, la propria di erenzialità. La fusione tra il biologico e il tecnologico, l’occhio umano e l’occhio della mdp è molto particolare nel lm, perché questa fusione che si con gura come identi cazione, investe in maniera di erenziale il mezzo fotogra co. Quello dell’identi cazione dell’occhio umano con quello della mdp, ripropone la concezione di Dziga Vertov163 negli anni ’20 in Urss, esplicitata in lm rivoluzionari (non solo per gli aspetti politici) come Kinoglaz (Il cineocchio, 1924) e Chelovek s kino-apparatom (L’uomo con la macchina da presa, 1929). D’altronde in tutto il lm Antonioni dissemina elementi meta-cinematogra ci che suggeriscono la ri essione sul mezzo cinematogra co, sulla capacità deformanti e di disvelamento dell’obiettivo cine-foto-gra co. La sequenza successiva mostra l’allontanamento di Thomas da quella zona periferica dove è ubicato il dormitorio, che è anche l’allontanamento del soggetto dall’orizzonte del visibile. Attraverso un’analogia costruita, l’allontanamento di Thomas si articola attraverso tre ordini d’inquadrature: 1) campo ravvicinato delle persone che fuoriescono dall’edi cio tra cui Thomas. La mdp è collocata verso sinistra rispetto alle persone 2) campo ravvicinato con gli uomini ripresi di spalle. Si dirigono vicino a una galleria nei pressi di una ferrovia. La mdp è collocata obliquamente verso sinistra rispetto alla galleria; 3) campo medio delle persone e di Thomas che escono dai cancelli. La mdp è collocata più centralmente rispetto alla prima inquadratura. Queste tre inquadrature introducono una scansione lmica alternata, dove Antonioni utilizza una sorta di montaggio parallelo che tende a mostrare tre visioni dello stesso edi cio, iscritte in una dimensione di forte ambiguità. Pur mostrando porzioni diverse di uno stesso orizzonte spaziale, non viene risolto minimamente il dubbio su cosa sia quel posto, iscrivendo il tutto in una prospettiva fortemente incerta e per certi versi aporetica164. Il dubbio su cosa sia quel posto lo scioglierà il lm nelle sequenze successive. I mimi adesso scorrazzano per la città, dirigendosi verso le automobili in movimento. Il segmento dei mimi e il segmento del dormitorio sembrano inizialmente essere collocati in una dimensione spaziale totalmente di erente, ma questa posizione viene ribaltata con l’utilizzo di alcuni elementi eterogenei nella costruzione della sequenza. Il momento di congiunzione delle due entità spaziali apparentemente separate avviene tramite due inquadrature che presentano con gurazioni “irrazionali”. La prima è un campo medio in cui le persone escono dalla galleria. In questa immagine viene immesso una donna di spalle che indossa una maglia celeste e una gonna bianca, che corre incontro alla folla come se fosse smarrita. La seconda è con gurata da Thomas nascosto da due signori, ripresi in piano americano dentro la galleria. Il personaggio si dirige fuori per andare verso la sua automobile, e per la strada incontra un signore vestito elegantemente ma che porta sulla testa quella che sembrerebbe una cu a da doccia di colore rosa. Questi sono degli elementi che introducono nel tessuto narrativo e

gurale del

lm

signi canti enigmatici (nel primo caso) e irrazionali (nel secondo caso). Il primo segmento si connota immediatamente come elemento enigmatico e fascinativo allo stesso tempo, creando così un e etto di contrasto all’interno dell’immagine grazie alla presenza di elementi eterogenei e ambigui. Quella che sembra una working class immobile, totalmente alienata, incontra una gioventù declassata in continuo movimento ed euforia. La folla che esce da quel luogo misterioso può essere paragonata agli operai alienati di Metropolis (Id, Fritz Lang, 1927), che si muovono a scatti e si confondono tra loro, senza più identità, no a divenire elemento architettonico associabile alle abitazioni dello strato più basso della città. Ma quelli di Blow-up non sono né operai e né tantomeno alienati, almeno non in termini prettamente marxisti. Infatti, come ricorda Schenk l’idea che ha Antonioni dell’alienazione: non parte dal concetto di lavoro, ma dalle forme e dai contenuti della comunicazione dell’uomo con l’altro e con se stesso. Il suo punto d’approdo è il solipsismo della coscienza, l’assoluta soggettività dell’individuo radicalmente separato dall’altro. Nasce da qui la costatazione antonioniana dell’impossibilità di relazioni soddisfacenti fra gli individui, della debolezza e della frammentarietà dell’identità e dell’incapacità dell’uomo di percepire e conoscere.165

In Blow-up l’interpretazione di Antonioni dal punto di vista sociale, ma anche politico della società dell’epoca, annulla ogni paradigma di scontro storico-sociale, per lasciare spazio a un’opzione personale, intima, individuale che si realizza attraverso ssazioni psichiche e inconsce, le quali trovano soluzione alla crisi attraverso una proposta assolutamente individuale in piena solitudine, quindi assolutamente esistenziale. Questo aspetto è più complesso e fa emergere altro, perché se Thomas è pur sempre un personaggio unico, un viaggiatore nei labirinti sociali e culturali, al contempo assume un carattere fortemente politico. La sua funzione è sostanzialmente rivoluzionaria nella proporzione in cui tutta la sua vicenda è iscritta nella possibilità di demisti care e decodi care la realtà imposta, le formazioni economiche e sovrastrutturali presenti nella cultura, nell’arte, nell’immagine e nella ritualità collettiva; in un discorso di massi cazione/de-massi cazione costante dell’inconscio e del desiderio. Questa demisti cazione è attuata attraverso lo sguardo e l’atto del vedere, che è l’atto più pericoloso, più rivoluzionario e sovversivo di tutti. Non a caso, proprio riferendosi a questa caratteristica di Antonioni, Barthes a ermava che: “guardare più a lungo del richiesto […] disturba gli ordini stabiliti […], nella misura in cui […], il tempo stesso dello sguardo è controllato dalla società”166. È una sorta di atto di resistenza ma non nelle accezioni deleuziane di resistenza alla morte all’interno del discorso sull’atto di creazione, piuttosto ha suggestioni foucoltiane di resistenza al controllo di massa della cosiddetta società disciplinare167. I protagonisti di questo segmento (la folla e la ragazza dei mimi), non sono classi sociali de nibili. La folla sono gli ospiti di un dormitorio pubblico, dei senzatetto, incapaci di interagire e d’incidere nel tessuto narrativo del lm. La ragazza invece appartiene probabilmente a una sorta di gioventù declassata (come abbiamo visto precedentemente nella sceneggiatura sono dei generici studenti), per condizione e prospettiva storica, che non si preoccupa della propria autoconservazione sociale, ri utando individualmente la propria condizione di classe, e con essa la costrizione/repressione immaginativa, fantastica e culturale della società delle immagini e degli immaginari codi cati. La ragazza non va incontro al sottoproletariato (anche se all’apparenza si presenta come vero e proprio proletariato industriale) per fare propaganda politica e unirsi in una speci ca lotta ma, come si può vedere nell’inquadratura, si sente totalmente smarrita da quell’incontro e si mostra come elemento alternativo e trasgressivo rispetto al visibile. La con gurazione dell’inquadratura mostra infatti una ragazza che va di spalle verso la folla, ma che si ferma all’entrata della galleria di Consort Road, aspettando qualcosa di nuovo, in attesa di un probabile avvenimento. La valenza simbolica dell’inquadratura è a data a un’immagine scissa. Nessun elemento di riconoscimento ci indica che la ragazza appartiene al gruppo dei mimi, se non fosse per il fatto di correre e per l’abbigliamento a tinte forti in contrapposizione a quello scuro della folla, ria ermando ancora una volta l’importanza che riveste il colore nella messa in scena e nella ricerca di Antonioni. Il secondo micro-segmento, che vede protagonista Thomas, si costruisce con l’allontanamento dell’uomo dalla galleria, simbolo di congiunzione/divisione delle due realtà

socio-culturali. La fuga di Thomas verso quella realtà sociale è anticipata con il mancato contatto tra lui e l’uomo con la cu a rosa, che già la presenza di quest’ultimo conferisce un carattere di di erenza e rottura con la realtà. Inoltre, il contrasto avviene anche per il fatto che la macchina del protagonista è una lussuosa Rolls-Royce parcheggiata fuori la galleria. L’azione di Thomas, al di là del discorso sulla fuga personale come simbolo dell’ossessione dell’uomo moderno, è da intendere come ricerca di un oggetto non immediatamente de nito su cui convergere il proprio sguardo. In questa ricerca egli nisce per assomigliare all’oggetto del suo sguardo, diventando a sua volta oggetto di sguardo dell’altro. Per l’uomo c’è solo una fuga dal reale che si concretizzerà palesemente nelle sue foto e nella rielaborazione personale del suo orizzonte immaginario. Oltre alla fuga dal reale, nell’inquadratura successiva Thomas fugge dagli stessi mimi che vogliono farlo scendere dall’automobile. È come una rinuncia alla propria elaborazione del visibile. Non è ancora pronto a vedere le possibilità percettive del proprio sguardo, i limiti intriseci e le potenziali mediazioni con l’altro. Non è ancora pronto a comprendere le potenzialità dello sguardo di produrre un immaginario che sgretola i propri referenti consolidati e immediati. Da queste pochi elementi n qui analizzati si può dire che Blow-up è la storia oltre di una fuga dal reale anche di un’iniziazione visiva, una sorta di educazione all’immaginario e allo sguardo. È la ricerca di un orizzonte visivo e immaginativo con gurato dal cinema stesso, che lo inscrive nella macchina signi cante e complessa che è il suo stesso dispositivo: fabbrica di sogni e illusioni, desideri e fantasmi. Questa sorta di educazione al visibile però si concretizza nel lm anche in quell’estensione/concretizzazione delle ssazioni inconsce che l’oggetto-feticcio (in questo caso la macchina fotogra ca) è capace di produrre. L’incontro tra Thomas e i mimi appare come una nta aggressione. L’azione è sospesa in una dimensione al di fuori del reale e di palesi nessi logici, così come avviene in altri momenti del lm, in cui il testo si apre a complessi giochi di illusione e verosimiglianza, con gurando simbolicamente un universo ttizio che attraversa tutto il lm. I mimi tentano di indurre Thomas (e le altre persone presenti in strada) a vedere diversamente la realtà, sebbene all’apparenza sembrino essere dediti esclusivamente alla ricerca di soldi. L’educazione all’immagine, allo sguardo e alla visione, è una s da in parte già vinta per il gruppo, tant’è vero che il fotografo non fa altro che assecondarli regalandogli un foglio, forse una foto stropicciata posta all’interno della sua macchina (nonostante dalla sceneggiatura si evinca che si tratti di una sterlina168). Tra Thomas e i mimi si instaura così un rapporto reciproco di conoscenza dell’orizzonte visivo e immaginario intrinsecamente soggettivo, una relazione tra individualità e moltiplicazione della soggettività, tra con ittualità mondane e presunta oggettività del mondo. In questo micro-segmento vi è il primo shock del personaggio, che attraverserà l’intero meccanismo narrativo e interpretativo del lm. Blow-up invita lo spettatore a uno sforzo d’interpretazione, come d’altronde quasi tutto il cinema di Antonioni, dove l’attività ermeneutica e decostruzionista si articola come fattore d’interazione tra il lm e il suo sguardo, tra il lm e il suo spettatore. Quest’ultimo viene trasformato in un soggetto non più passivo, ma decisamente attivo che si fa interprete di ciò che vede. Il micro-segmento è articolato in 4 ordini di inquadrature: 1) C. M. dell’automobile di pro lo collocata verso destra. La vettura si ferma e i mimi la circondano. Alcuni se ne vanno, rimanendo in tre; 2) P. P. di Thomas che sorride. Si vedono due mimi alle sue spalle che ridono, e uno con un barattolo di latta. Uno dei due porta gli occhiali. Thomas è ripreso in contro-campo rispetto all’inquadratura precedente; 3) Particolare dei sedili posteriori della macchina. Ci sono dei giornali, la busta che Thomas aveva portato nel dormitorio è aperta e mostra un obiettivo fotogra co. L’uomo prende un foglio che sembra essere una fotogra a stropicciata; 4) P. P. di Thomas che sorride e dà ai mimi il foglio. Sembrerebbe essere sia una fotogra a, sia una banconota (ma non è chiaro, sebbene nella sceneggiatura viene fatto riferimento a

“una sterlina”169). La costruzione sintattica di questo micro-segmento presenta un’infrazione di direzione alquanto palese, introducendo uno scavalcamento di campo su cui Antonioni ritornerà diverse volte nel lm. Naturalmente l’espediente tecnico si con gura come elemento formale utile ad attivare una frattura del linguaggio lmico, e se vogliamo anche a riproporre quella espressione abusata di “incomunicabilità”170 non solo tra i soggetti, ma anche tra i codici cinematogra ci. Allo stesso tempo questo procedimento formale della messa in scena sradica e decostruisce proprio questa idea dell’incomunicabilità. Vedremo successivamente come Blow-up sviluppi una ri essione sul ruolo del cinema e sulla funzione dell’autore-artista. Non a caso Tinazzi a ermava che: “bisognava dunque mettere in discussione certe tendenze del cinema ma anche, nello stesso tempo, chiedersi qual è il ruolo del cineasta e – più generalmente – dell’intellettuale o dell’artista”171. Questa ri essione era già stata sviluppata ne La notte in maniera più diretta, e Antonioni continuerà ad incrementarla no a Identi cazione di una donna. Un lm del genere, caratterizzato da una grande complessità teorica, non poteva non mettere in discussione certe tendenze e pratiche del cinema dell’epoca e del linguaggio cinematogra co, così come stavano facendo i lm di Resnais e Godard. Tornando al segmento in questione, si può a ermare che Il collegamento tra l’inquadratura in cui appare per la prima volta Thomas e quella in cui si trova nell’automobile, è a dato all’immagine di due suore che camminano sul marciapiede, e che incrociano i mimi agitatati. Qui Antonioni imbastisce un’anomalia, una delle tante di Blow-up, a data a una serie di dicotomie come movimento/immobilismo, dinamismo/lentezza, staticità/movimento immaginario, che producono una particolare signi cazione eidetica. In questo caso la religione diventa portatrice di un’istanza castrante repressiva che si scaglia contro uno stato pulsionale rimosso e represso che ritorna psichicamente, anche se in maniera velata. Il segmento oltre a scagliarsi contro la religione (anche se in maniera non violenta come ad esempio fa Buñuel, e nemmeno spettacolare come fa Fellini) si prende il gioco dell’autorità con la stessa dialettica sul movimento, mostrando infatti una guardia inglese in profondità di campo, tutta intenta a marciare in modo quasi ridicolo e indi erente agli schiamazzi dei giovani. L’immagine è costruita attraverso una doppia valenza, un orizzonte immaginario duplice e con ittuale tra i mimi e l’autorità, o in termini freudiani tra la massa degli studenti e la massa arti ciale costituita dall’esercito e dalla religione172. Ma l’orizzonte eidetico in questo segmento viene con gurato anche dalla presenza di un passaggio a livello che divide nettamente il cammino delle suore e l’avanzamento tramite panoramica della mdp, indicando così la scissione di due orizzonti visivi simbolici e ideologici di grande ri- gurazione eidetica. La presenza del passaggio a livello incrocia sia il cammino delle suore con i mimi che corrono in direzione opposta, che quello della guardia collocata sullo sfondo intenta a marciare all’interno del proprio ristretto campo di movimento. L’auto si dirige in una strada parallela. La via è scura (esattamente come quella vicina al dormitorio), e la mdp immobile si limita semplicemente a seguire l’automobile tramite panoramica. Dirigendosi in quella strada parallela, Thomas non fa altro che andare verso un orizzonte visivo di erente rispetto a quello abituale, alternativo anche a quello di poco fa. In questa scelta si con gura una concezione del mondo come potenza, che assume anche la dimensione del possibile all’interno di un universo fortemente enigmatico dominato da mondi paralleli e contrapposti in forte con ittualità tra loro. Lo shock visivo iniziale indotto dai mimi, trova un nuovo stimolo di ricerca attraverso la conquista di un orizzonte perduto ma ostinatamente inseguito. Il processo psichico che attiva Thomas è però inconscio, involontario, non è ancora consapevole della sua ricerca, della scelta che farà successivamente rispetto al mondo e alla sua collocazione. È ancora un ri esso condizionato del suo ambiente, di un modo di concepirsi come soggetto all’interno di uno spazio. Da questo punto di vista è importante notare come il lm lavori sul personaggio, con gurandolo in divenire man mano che si trasforma da soggetto più o meno passivo

(anche se l’aggettivo non descrive in pieno la condizione di Thomas) in soggetto interpretante, alla stessa maniera dello spettatore: soggetto ermeneutico che interpreta il mondo ma anche se stesso. La mdp nell’inquadratura successiva viene posta dall’alto verso il basso con una leggera angolazione per riprendere di nuovo il personaggio nell’auto. Il campo visivo è ridotto quasi del tutto ai bordi della macchina, con gurando ulteriormente il senso d’isolamento e di solitudine di Thomas, ma anche di oppressione, che diventa la condizione esistenziale dell’individuo moderno in generale. Questo tipo d’inquadratura è una delle poche che caratterizzano il rapporto di Thomas con il reale, con il visibile, e con il mondo esterno. Sui sedili posteriori infatti si vede una macchina fotogra ca (in realtà sono più di una) posta all’interno di una busta di carta e un paio di quotidiani. La scelta della busta di carta non è secondaria. Essa indica prima di tutto che la realtà è fragile proprio come un foglio di carta, e che la visione, il fantasma inconscio che produce, stimola allo stesso tempo e ri- gura il visibile che, a sua volta, è prigioniero all’interno di un rivestimento altrettanto fragile. Tutto questo ha però una via di fuga verso un orizzonte visibile e immaginario potenziale, grazie soprattutto alle capacità del mezzo tecnologico di produrre un altro di tipo di realtà e di immaginario, compreso l’evento stesso. Tutto questo, però, ha anche a che fare con l’orizzonte del simbolico. In e etti, e lo vedremo in seguito, il mezzo tecnologico in Blow-up non produce solamente un evento carico di ambiguità strutturali e di di cile lettura; mette in mostra tutta una serie di apparati che costituiscono quella che Jameson chiama: “tecnologia della produzione e riproduzione del simulacro”173. Non si tratta unicamente della macchina fotogra ca, che certamente gioca un ruolo principale all’interno della diegesi, ma è anche il processo di sviluppo tramite latensi cazione, l’ingrandimento delle foto, la loro messa in serie, e il processo interpretativo che ne deriva (nel rapporto con l’apparato) a conferire una produzione del simbolico. Ed è propria la dinamica che interviene tra apparato e dispositivo174 che gioca un ruolo chiave nella costruzione dell’evento. L’apparato tecnologico non è un mezzo di riproduzione ma di produzione di altro, di alterità e trasgressività, di eventi, oggetti, situazioni, e appunto del simbolico. È una macchina meta-produttiva, cioè una macchina che produce la produzione di un prodotto. Ritornando al segmento di prima, Thomas mentre guida prende in mano un radiotelefono, e parla indicando il nome del veicolo al soggetto comunicante che sta dall’altra parte della trasmissione, speci cando la sua posizione e avvertendolo che arriverà da lui, come se la trasmissione avvenisse tra un velivolo e una torre di controllo. Qui Antonioni mostra il carattere simulativo del micro-segmento, sviluppando ulteriormente una ri essione sul cinema e ponendo l’’attenzione sul rapporto tra l’immagine lmica e la verità, e tra l’immagine lmica e le complesse dinamiche che intercorrono tra la verità il falso in termini ermeneutici. D’altronde, questo elemento di forte signi cazione ricorre anche nell’opera loso ca di Nietzsche e Heiddeger, e nei loso che a posteriori hanno riscoperto quei concetti, come Gadamer, Deleuze e Derrida. L’intero lm è attraversato da gure che ri ettono questi aspetti loso ci, sviluppandoli ulteriormente verso orizzonti teorici e concettuali di grande rilevanza ai ni dell’interpretazione del lm. Il segmento si con gura radicalmente come una simulazione per diversi ordini di ragione: 1. il personaggio si trova in un’automobile; 2. non esiste nessun aeroplano; 3. la posizione che viene indicata è falsa. Gli elementi descritti dalla banda sonora non coincidono con quello che succede nella banda visiva. È quindi una simulazione, e pone lo spettatore su di un falso binario interpretativo come anticipazione del possibile. Con questa operazione l’orizzonte del vero rispetto al

lm viene di nuovo messo in

discussione, in direzione di una “simulazione signi cante”. Diegeticamente la micro-sequenza ha una sua logica coerente in quanto Thomas ha intrapreso inconsciamente una fuga dal reale e dal visibile, ma anche e soprattutto dai regimi tradizionali della percezione, che approderà successivamente a un nuovo statuto del visibile e dell’immaginario, e forse a più di uno. A livello extra-diegetico la micro-sequenza conserva una logica di senso ancora più coerente. A di erenza delle precedenti, essa stimola l’interpretazione di quella che si presenta completamente come una complessa struttura an bolica e che si scontra con i concetti di realtà e reale, visibile e invisibile, ricon gurando le possibilità molteplici di percezione e proiezione dello sguardo, sia esso umano che tecnologico (della macchina fotogra ca, ma anche della mdp). Tra l’altro come si accennava poco sopra, Thomas è un soggetto non solo in divenire che subisce una mutazione della soggettività divenendo un soggetto ermeneutico che interpreta e decostruisce il mondo e tutto ciò che vi è iscritto (compreso se stesso, le proprie ssazioni inconscie e i propri fantasmi). È anche un soggetto che si fonde con la camera, producendo così un altro immaginario, un altro mondo, anch’esso in con itto con gli altri, con le tracce e residui che sono in grado di con gurare. C’è appunto in questa micro-sequenza (ma che troveremo anche in altri momenti del lm), una sorta di oggettivazione del pensiero ermeneutico, in particolar modo della modalità di produzione del mondo, secondo per esempio le posizioni di Nietzsche, Heidegger e Gadamer. Tale oggettivazione di posizioni loso che lavora attraverso un ampio uso di elementi diegetici che ride niscono costantemente un soggetto interpretante, un esserci che getta l’essere nella storia e nella quotidianità (problematica) dell’esistenza, nell’apertura del mondo. Inoltre, secondo questo orizzonte teorico, l’esser-ci “è così nito in quanto, pur essendo quello che apre e fonda il mondo, è a propria volta gettato in questa apertura”175. L’invisibile, attivato nella logica del possibile come processo d’interpretazione, è in questo caso iscritto nell’anticipazione di ciò che può avvenire nelle potenzialità dell’evento stesso. Ma questo non basta. La simulazione dell’aereo idealmente pilotato da Thomas con gura il desiderio del personaggio, la propria ssazione inconscia di fuga dalla realtà che non può avvenire e realizzarsi appieno all’interno del contesto in cui agisce. È, in questo caso, l’oggettivazione del gurale ( gura-matrice) come meccanismo produttivo direttamente legato all’inconscio, in quanto la sua e ettiva realizzazione implica una somiglianza al fantasmatico e alla pulsione desiderante. Esso è dentro e fuori l’immagine, ma soprattutto è irrappresentabile, è quindi mischiato con il fantasma originario e di conseguenza non visibile. Tra l’altro è da notare come Lyotard riconduca il suo discorso sul gurale proprio alla decostruzione, che condurrebbe alla matrice, come “luogo che appartiene sia allo spazio del testo sia a quello della messa in scena sia, in ne, a quello della scena”176. Una sorta di discorso meta-cinematogra co, in cui Blow-up in un certo senso anticipa l’intera posizione del teorico del post-moderno. L’irrappresentabilità visiva dell’aereo, intesa come rimozione dell’oggetto nell’ordine di oggettivazione del gurale, diventa l’anticipazione non solo di quello che avverrà dopo all’interno del tessuto narrativo di Blow-up, ma è anche e soprattutto l’attivazione di un processo di decostruzione che interessa da un lato la certezza dello spettatore, e dall’altro l’intera con gurazione diegetica del mondo. La seconda decostruzione che avviene collega l’oggettivo e il soggettivo pulsionale di Thomas con quello ricon gurato dallo spettatore, in un lavoro di forte complessità e fascinazione. È l’oggettivazione e la con gurazione invisibile della fuga con l’aereo che farà Mark in Zabriskie Point, come fuga dal carattere perverso, ambiguo del visibile e dello sguardo all’interno dell’universo mediatico e repressivo della società americana. La micro-sequenza in questione oggettiva esplicitamente il rapporto che instaura Thomas nei confronti del mondo e con altri soggetti. Entrambe le relazioni sono mediate unicamente dal mezzo fotogra co oppure, come in questo caso, dal mezzo tecnologico, anche se non è strutturalmente adibito al tentativo di riproduzione del visibile. È la prima volta dall’inizio del lm che il personaggio parla e che lo spettatore è in grado di ascoltarlo. Infatti, nella

sequenza precedente, quando Thomas stava sotto la galleria con altre persone, non si sente nessuna conversazione pur vedendo i soggetti parlare tra di loro. Quella della mediazione è un aspetto che ricorre molte volte nell’opera di Antonioni. Da Cronaca di un amore no a L’eclisse, la mediazione con lo sguardo dei rapporti intersoggettivi ricorre in più occasioni come una sorta di leitmotiv, ma anche come critica ideologica che diventa ossessiva, soprattutto per la generazione uscita dal dopoguerra, che va verso il non impegno e l’individualismo, dopo la stagione cinematogra ca del neorealismo. Da questo punto di vista è d’obbligo il riferimento a Il grido, lm di svolta nel cinema di Antonioni, che segna la ne dell’impegno dell’individuo all’interno dell’orizzonte collettivo e ideologico, per scegliere un’opzione totalmente solitaria, forte di connotati esistenziali legati al trauma e al disagio sociale. Thomas si ferma al numero 39 di una via che sembra abbastanza periferica in cui l’unica presenza umana è caratterizzata da un imbianchino che passa della vernice di nero su di una porta collocato tra due bidoni dell’immondizia, senza il barattolo della vernice (un’altra anomalia). I movimenti di Thomas si con gurano attraverso falsi raccordi, non radicali come dei veri e propri jump-cut, ma che comunque immettono lo spettatore all’interno di una visione spiazzante e distorta. L’infrazione dei raccordi contribuisce in questo senso a costruire una scrittura lmica esibita ma allo stesso tempo sottratta a un’uni cazione del visibile. È una vista non-uni cata, di cui è permeato l’intero lm, a data a dei “falsi raccordi che non si sa se operano nel tempo della storia o nello spazio della scrittura”177. Vediamo quindi due presenze umane contrastanti. La prima l’abbiamo vista precedentemente nel segmento dell’uscita dal dormitorio: l’uomo con la cu a rosa a cui Thomas va incontro attraversandolo. Adesso quest’altra presenza che gli passa accanto dalla direzione opposta alla precedente, anche questa volta attraversandolo, nel senso di non interagire con il soggetto. Entrambe le presenze introducono con gurazioni visive di tipo enigmatico che ricombinano e ri- gurano il visibile e l’orizzonte del reale rispetto alla percezione di Thomas, iscrivendola così nell’immagine schermica. Sembra quasi un’attenuazione dell’orizzonte visivo e delle capacità con guranti del possibile, visto che la prima volta la cu a rosa dell’uomo che passa è ben visibile allo stesso spettatore, mentre la seconda volta l’assenza del barattolo di vernice non è percepibile, in quanto il vettore di signi cazione che cattura l’attenzione è Thomas stesso, seguito dalla mdp attraverso un piano medio. Questi due elementi antropomor , iscrivono il falso, l’illusione e l’enigmatico non più nell’orizzonte visivo del personaggio, o come con gurazione dello sguardo, ma come elemento coesistente con l’orizzonte (presumibilmente) oggettivo dei fenomeni nel diegetico, ria ermando ancora una volta la dinamica tra oggettivo e soggettivo. Questa scelta introduce un’ulteriore ri essione sulla realtà, calata questa volta nelle potenzialità, e nello statuto stesso dell’immagine lmica; suggerendo ulteriori interrogativi. Qual è la realtà? Ma soprattutto esiste una realtà oggettiva che il cinema è capace di mostrare? È evidente che la risposta più plausibile sia: No. Non esiste ciò che è proiettato sullo schermo, è solamente un’illusione, un qualcosa che esiste in potenza, un’interpretazione dell’oggetto che viene mostrato, un doppio di erenziale del mondo; non un’alterazione del mondo oggettivo, ma la propria trasgressione. È in poche parole una copia di erenziale di una copia di erenziale senza origine, cioè un simulacro. Allo stesso tempo è proprio il mondo di cui l’immagine- lmica è il prodotto (o viceversa) ad essere un qualcosa di cile (se non impossibile) da interpretare. Come a erma Bertetto: “Il mondo è scena, nzione, e il soggetto non sa più capirlo, interpretarlo con la sua intelligenza. Per vedere e interpretare il mondo c’è bisogno dell’arte (la fotogra a, il cinema). O della tecnologia”178. Questi elementi distorti, queste anomalie, indicano che il mondo di Thomas sta iniziando lentamente a crollare, e di come tale processo non sia ancora del tutto evidente ai suoi occhi. 3. L’apertura del mondo e la chiusura dello spazio Blow-up nella sua complessità strutturale, lavora su molteplici forme dell’immagine, ri ette

in maniera sistematica sulle componenti eterogenee, e attiva modalità complesse di costruzione del visibile. In questa formalizzazione dell’immagine e dei molteplici regimi visivi che attiva, il lm crea delle interessanti dinamiche tra spazi aperti e chiusi, tra aperture di mondi storico-destinali e chiusure delle con gurazioni spaziali, tra aperture del visibile e ingabbiamenti dell’immaginario all’interno di strutture che si decostruiscono in divenire, come una sorta di atto performativo costante. Questa dimensione dello spazio diventa un elemento complesso di attivazione del molteplice. Non riguarda solamente la dicotomia chiuso-aperto su cui il lm certamente lavora. Vi è anche un’altra dinamica particolare che viene sollevata: il fuori campo. Il discorso che attiva il lm non è tanto sul fuori campo in quanto tale179 o su di una nuova funzione e ride nizione del fuori campo. È qualcosa che va oltre e che non è autosu ciente all’interno del testo lmico in questione. Il meccanismo di signi cazione prende in considerazione il fuori campo per quello che è, ma sempre iscrivendolo o legandolo a qualcos’altro. Questo qualcos’altro nel quale si iscrive il fuori campo, diventa la con gurazione di un elemento spurio che si contrappone tra la mdp e gli elementi iscritti nel visibile, e che li assorbe al proprio interno. Ma non è semplicemente la costruzione di un’immagine formalmente sporca, è una costruzione dell’immagine come dimensione dotata di uno spazio che da un lato è iscritto nella dinamica campo/contro-campo, e dall’altro è inteso come oltrepassamento del campo. Tutto, dalla messa in scena alla composizione dell’inquadratura, compreso il montaggio, tende a oggettivare il pensiero di Heidegger in relazione al concetto di oltrepassamento della meta sica. È come se Thomas si trovasse di fronte a degli ostacoli, a delle con gurazioni meta siche della presenti cazione del mondo (e dell’essere) che deve decostruire e infrangere perché diventino aperture verso il possibile e, soprattutto, verso una ricon gurazione della visione. L’andare oltre, l’oltrepassamento degli elementi meta sici connotati come ostacoli (che oggettivano decisamente il pensiero del primo Heidegger), diventano allo stesso tempo dei con ni, delle aporie spaziali e dei limiti del soggetto che devono essere infranti, attraversati, superati e ricon gurati, ma mai eliminati del tutto. Ciò avviene perché tali ostacoli sussistono ancora come elementi residuali, come delle tracce. Almeno in questa micro-sequenza non siamo ancora all’oggettivazione della posizione di Lyotard sul gurale, che successivamente ritornerà nelle sequenze del parco e dello sviluppo del rullino. Ci troviamo di fronte a un’oggettivazione del pensiero di Derrida. Infatti, il losofo francese parla di aporie in relazione all’attraversamento del con ne, come passaggio dell’essere, come con gurazione dello spostamento e quindi del muoversi, dell’attraversare spazi e ostacoli, de nendo un essere che passeggia in un mondo complesso e molteplice. Questa del passaggio ritornerà anche in Professione: reporter, dove diventa fondamentale l’attraversamento all’essere nella de nizione di una identità possibile180. Thomas nel momento in cui entra nello studio fotogra co presenta il suo mondo, il suo ambiente sociale. Ma nonostante sia iscritto in tale spazio, non vi appartiene totalmente. Tenta dove è possibile di sottrarvisi. La conferma di questa condizione è data proprio dalla micro-sequenza con Veruschka, dove viene mostrata nel vivo l’attività lavorativa di Thomas proprio negli aspetti più peculiari, anche nel rapporto con altri soggetti. Il suo modo di lavorare sul set fotogra co, di trattare le modelle e, in termini simbolici, di dirigere gli attori, non è altro che un riferimento allo stesso lavoro di Antonioni sul set e alla sua concezione “negativa” degli attori stessi, a cui avevamo accennato precedentemente. In questo caso gli aspetti meta-referenziali e auto-ri essivi sono giocati sul terreno della metafora e dell’allegoria in riferimento all’orizzonte extra-diegetico e alla pratica di regia. Questo segmento, però, oltre a lavorare sulle forme del meta-cinema e dell’autoreferenzialità presenta anche dei caratteri particolari di messa in discussione della diegesi. C’è un’apertura a possibili interpretazioni sulla dimensione ambigua della narrazione, che attiva una vera e propria crisi narrativa, un percorso alternativo nella comprensione del lm. Certamente viene attivato un discorso sulla moda, e sul mondo dello spettacolo in generale che Antonioni aveva introdotto già all’inizio della sua carriera con Cronaca di un amore e La

signora senza camelie181. In quest’ultimo caso si trattava di ride nire un orizzonte immaginario ed e mero legato al negativo come con gurazione del desiderio di successo della protagonista Lucia Bosè. In Blow-up le cose stanno in maniera radicalmente diversa. Antonioni per mano di Thomas non si limita a riprendere e fotografare Veruschka in una delle sequenze più famose del lm (Fig. 3), ma si apre a qualcosa di più complesso che pone problematiche ai ni della comprensione del racconto.

Innanzitutto, è interessante notare che Veruschka si presenti all’inizio come immagine ri essa su di uno schermo di vetro trasparente collocato nello spazio in maniera ambigua, che sporca l’immagine stessa, introducendo così una forte alterità compositiva. La modella è immagine mediatica prima ancora di essere fotografata, ri esso dalle dimensioni ridotte, che si proietta come luogo di fascinazione e immaginario, oggetto estetico che attira lo sguardo; proiezione e ri essione di un soggetto che è solo un’immagine impalpabile senza consistenza materica, fatta per essere guardata. Anche in questo caso la presentazione dei soggetti è diversa da ciò che in realtà sono. Così è stato per lo stesso Thomas all’uscita dal dormitorio, così sarà per la donna del parco, e così è per Veruschka. Questo segmento è incentrato su una sorta di incontro erotico tra Thomas e Veruschka, in cui lo sguardo di Thomas si avvicina sempre di più alla modella. Inizialmente viene inquadrata in soggettiva, in piedi davanti a un fondale di carta nero, con indosso un abito succinto e scollato, con una serie di ventagli di piume dai colori tenui a sinistra dell’inquadratura. Successivamente si trova seduta per terra e Thomas, in ginocchio di fronte a lei, è intento a fotografarla e a incitarla, a provocare la sua sensualità e il suo erotismo, e poi a cambiare posizione, sdraiandosi per terra mentre le è vicino come se stesse facendo l’amore, ma sempre attraverso lo sguardo della macchina fotogra ca. Tra l’altro è da notare che ogni volta che Thomas cambia camera ordina a Veruschka di assumere posizioni diverse, no agli scatti nali, con lei per terra con le braccia aperte, come se fosse croci ssa, e lui con le gambe sospese sul suo ventre come se stessero facendo l’amore (qualche volta l’uomo le dà dei baci sulla guancia). Non è un caso che alla ne lei rimane per terra spossata come dopo l’amplesso, e lui si mette a riposare sul divano. In questo passaggio c’è tutto l’aspetto ambiguo del lm, soprattutto quello relativo alla costruzione dell’immagine. Thomas è relegato allo sfondo mentre Veruschka di lato è posta davanti alla mdp. È un ribaltamento della situazione iniziale che vedeva la modella come pura immagine ri essa. Qui diventa una sorta di immagine che man mano acquista identità e consistenza materica all’interno del mondo. Come è apparsa così se ne va uscendo dall’inquadratura e lasciando così Thomas da solo insieme al suo assistente Reg che gli passa il telefono. Ma anche in questo caso Thomas dopo aver risposto alla telefonata si rilassa di nuovo sul divano, lasciando forse il dubbio che tutto quello che verrà mostrato successivamente non sia altro che il prodotto dell’attività onirica dell’uomo. Il segmento successivo è ambientato in un salone dominato dal colore bianco, in cui Thomas fotografa cinque modelle. La cosa più importante è che l’ambiente è caratterizzato dalla presenza di cristalli trasparenti che servono per la collocazione delle modelle nello spazio, ria ermando così il discorso della rifrazione dell’oggetto e degli schermi potenziali, così come avevamo visto nella sequenza d’apertura. Anche quando fanno da sfondo, i cristalli ri ettono i frammenti corporali delle modelle collocate dietro la mdp, con una particolare costruzione dello spazio che diventa luogo complesso di moltiplicazione delle immagini e della loro frammentazione.

La mdp mostra uno spazio in continua trasformazione, dove il visibile non è altro che il prodotto del vedere stesso. Le trasformazioni di questo spazio avvengono attraverso le oggettive della mdp e allo stesso tempo il punto di vista, le angolazioni, ecc., diventano i vettori di produzione e signi cazione di un mondo chiuso e blindato come i bordi di una fotogra a. In questo senso la trasformazione che interviene nello spazio si riallaccia anche al discorso sull’evento e sull’orizzonte fenomenico a cui abbiamo accennato precedentemente. Per le modelle l’evento in sé è e ettivo, vengono fotografate, ma non è presente quello che possiamo considerare il prodotto del pro lmico e della semiosi della luce (nella nzione diegetica). Tale prodotto è rimosso, divenendo irrilevante nell’orizzonte signi cante e immaginario del lm. Il testo instaura una particolare dinamica tra il pro lmico e la costruzione “simulacrale” dell’immagine e del diegetico. Investe l’immaginario dello spettatore e con gura in simultanea due orizzonti mondani in cui pro lmico, visibile e immagine lmica sono moltiplicati e iscritti nella dinamica, anch’essa mondana, tra diegetico ed extradiegetico. Ci troviamo di fronte, quindi, a una particolare con gurazione del simulacro che il lavoro di messa in scena di Antonioni realizza con un’originalità quasi inedita per il cinema italiano di quegli anni. È certamente un lavoro originale in un contesto culturale dominato ancora dagli strascichi del neorealismo e dal dibattito sul cinema come lingua o come linguaggio182. In Blow-up le fotogra e non solo diventano il prodotto di una trasformazione del visibile e di una creazione dell’evento da parte della camera, ma sono anche la con gurazione di un mondo in divenire alquanto trasgressivo. Anche quando Thomas mostra al suo amico Ron le foto scattate nel dormitorio, sono già presentate allo spettatore in movimento e in continua trasformazione, sfogliate come se stessero guardando delle riviste di mode; un po’ come nei lm di Godard degli anni ‘60. In questo caso i soggetti ripresi nel dormitorio nalmente escono e si mostrano come immagine che ingloba indirettamente il movimento, come prodotto. Si muovono, e le foto non sono altro che elementi residuali di una situazione nascosta, rimossa all’occhio dello spettatore e della mdp. A di erenza delle modelle che la mdp presenta allo spettatore nella loro sicità esibita, le foto al dormitorio sono il risultato degli scatti che non vengono assolutamente mostrati, ma si perdono come orizzonti rimossi, come rimozione del pro lmico e del visibile stesso. Nello speci co, non solo vengono rimossi gli scatti e la presenti cazione degli stessi soggetti delle foto e della loro connotazione (come nel parco e nella sequenza di sviluppo), ma si stabilisce un particolare legame tra gli attanti e le foto stesse, con gurando così una sorta di simulacro, che rimuove l’evento stesso, presentandolo come residuo, come traccia di un passato che non è mai stato presente, per dirla come una celebre espressione di Derrida. Il segmento delle modelle mostra un altro aspetto di grande interesse. Thomas oltre a dirigere delle attrici/modelle che diventano a loro volta degli elementi visivi dello spazio, componenti plastiche del set, tracce ri esse, lavora come una sorta di regista, di “padrone del set, e cioè di unico individuo abilitato a ‘manipolare’ una scena”183. Lavora sostanzialmente sulla corporeità, realizzando in questo senso una sorta di corpo senza organi dentro cui si instaura la produzione desiderante. Tra l’altro, proprio come viene espresso da Deleuze e Guattari secondo i quali la produzione sociale è uguale alla produzione desiderante, “la produzione sociale è unicamente la produzione desiderante stessa in condizioni determinate”184 e, nel caso del lm, il lavoro di Thomas è iscritto proprio nella macchina produttiva: “da una parte una produzione sociale di realtà, e dall’altra una produzione desiderante di fantasma”185. Le attrici/modelle sono statiche, meri materiali simbolici di un’immagine diegeticamente rimossa ma che è immediata nel proprio darsi sullo schermo; sono iscritte in un discorso sulla produzione della merce e sulla mancanza dell’oggetto, quindi verso un’apertura del desiderio. Inoltre, le immagini rimosse sono appunto la rimozione di foto che dovrebbero apparire in riviste di moda. Quindi Blow-up, oltre ad anticipare il discorso di Deleuze e Guattari, rielabora il discorso benjaminiano sulla fantasmagoria186, con gurando in questo senso non la merce che rimuove il processo produttivo, ma il processo produttivo che rimuove la merce stessa,

a dandola alle con gurazioni dell’immaginario. Ma c’è anche altro, soprattutto in relazione al mondo della moda e dell’immagine che con gura. Infatti, come sottolinea Bertetto: “L’a ermazione delle immagini della moda costituisce anche l’avvento della nzione, delle leggi del mercato, della logica del consumo e della riduzione di tutto ad apparenza”187. Il segmento successivo mostra ancora l’iscrizione di Thomas nel suo habitat, nel suo mondo professionale, con gurando un procedimento analogo a quello di Godard di esaltazione visiva e immaginaria dell’irrilevante in una procedura di attesa a-dinamica. Il procedimento è sì analogo nel risultato nale dal punto di vista tecnico-formale e nella ride nizione di un orizzonte narrativo e simbolico del mondo, ma è l’orizzonte signi cante ad essere di erente. Mentre per Godard è centrale una decostruzione dell’insieme dei valori sociali (pensiamo a Une femme marié (Una donna sposata, 1964), ma non solo) in una scala gerarchica che investe anche gli eventi e i rapporti umani; per Antonioni è di fondamentale importanza la decostruzione della frenesia della società moderna in un orizzonte ambiguo di attesa dell’evento. Certamente questo discorso è più intenso all’interno di Zabriskie Point e nel cuore della produzione della merce in relazione al desiderio, ma anche in Blow-up ha un suo spazio di legittimazione. L’orizzonte ermeneutico (che va sempre collocato nel suo rapporto con la decostruzione e il post-strutturalismo in generale) si riscrive in un processo complesso di disarticolazione e ricon gurazione continua della teoria, dell’interpretazione e della sionomia dell’oggetto testuale. Da tutto questo aspetto si può dedurre che Blow-up con gura tutta una serie di direttive interpretative alquanto particolari che delineano e ride niscono l’intero oggetto testuale. 4. La de-umanizzazione della città Quella di Blow-up è una costruzione testuale subordinata a una narrazione complessa e allo stesso tempo non perfettamente fruibile. Tale particolarità è certamente elusa (almeno in parte) dalla messa in scena che con gura l’universo sociale della swinging london, e dalla iscrizione di elementi pop e alteri, funzionali alla con gurazione del mistero e dell’enigma di partenza. Questi elementi alteri sono: i mimi, le modelle, il rock, la moda. Da notare anche che Londra diventa vettore di occultamento, ed assume i connotati di una città riconoscibile non tanto per gli elementi architettonici e urbanistici che, anzi, tendono a essere rimossi; quanto per l’utilizzo di quegli elementi pop che identi cano e danno connotazione geogra ca, storica e simbolica alla città. Questa Londra che viene mostrata, descritta e trasformata da Antonioni, risulta essere una città fortemente de-umanizzata. Di fatto troviamo dei personaggi che spesso svolgono la funzione di sfondo, di semplice corollario visivo. Sono elementi decorativi che mettono in crisi e sospendono il carattere antropomor co degli stessi. Sono soggetti senza parola, che non instaurano un rapporto comunicativo con gli altri soggetti o tra di loro, ma vagano e sono iscritti come semplici elementi di sfondo. Però è anche vero che il lm si apre proprio con i mimi che, pur non parlando, non svolgono a atto la funzione di elementi decorativi, ma agiscono con la mdp e viceversa, assumendo una funzione simbolica e un ruolo di primo piano. Sono soggetti per eccellenza che utilizzano l’assenza di parole (e in maniera di erente di suoni) come caratteristica del loro essere e della loro soggettività in funzione di un altro linguaggio, di un’altra sperimentazione comunicativa ed espressiva che utilizza il corpo. Gli altri soggetti “muti” sono in un certo senso assuefatti alla loro inettitudine, alla loro impotenza che si esprime anche in una specie di a-funzionalità diegetica. Eccetto poche persone che interagiscono con Thomas, il lm è interamente costruito sopra questo orizzonte di solitudine e di desiderio di comunicazione. Quello che conta non è la parola, non è il dialogo, ma il potere radicale e dirompente delle immagini che ricon gura l’intero orizzonte comunicativo. È una potenza delle immagini che diventa ricerca del potere stesso e di quella carica potenziale a esse connaturata. Alla solitudine si risponde quindi attraverso la comunicazione che non è più verbale, ma simbolica, semiotizzata, immaginaria Allo stesso tempo la questione si complica ulteriormente: in e etti nel lm avvengono una

serie di dialoghi comunicativi attraverso dei soggetti che si con gurano nella loro funzionalità diegetica come immagini, o potenzialmente come tali. Le modelle sono immagini (in movimento) che non dialogano direttamente con Thomas, lo stesso si dica per Veruschka che diventa soggetto immaginario prima di diventare foto. Le modelle per esempio non sono niente fuori dal contesto dell’immagine e dell’immaginario che sono capaci di con gurare. Anche perché, oltre al micro-segmento che abbiamo visto, non le troveremo più lungo tutto il lm. Neanche al droga party, eccetto Veruschka che, come avevamo visto precedentemente, svolge in tutti i casi una funzione diversa. Cosa diversa invece è il caso delle aspiranti modelle che istaurano con Thomas un intenso rapporto comunicativo e la ragazza del parco che, nonostante sia stata lmata dall’obbiettivo di Thomas, instaura un dialogo più o meno serrato, probabilmente perché vuole sottrarsi al carattere simbolico dell’immagine stessa, non vuole essere soggetto-fotogra co. Il modo così alterato e ambiguo con il quale Antonioni presenta Londra, è tutto legato alla con gurazione di un con itto tra modi di guardare e percepire il visibile e quindi il paesaggio nella suo farsi immagine. Ma non solo. La molteplicità percettiva produce di conseguenza più immagini, più visioni e più interpretazioni di mondi possibili, che implica il ripensamento del mondo stesso, inteso sia come luogo di percezione uida che produce relazioni tra diversi punti dello sguardo, che come costruzione urbana diegeticamente reale, o perlomeno accettata. Il lm così come è costruito riesce a proporre un sottotesto carico di idiosincrasie, di aspetti poco sviluppati, di caratteri certamente ambigui che sfociano in un’alterazione forte di quello che possiamo considerare un mondo immediato, e diventa allo stesso tempo allucinazione percettiva del reale e dell’immaginario. D’altronde, il carattere allucinatorio è a dato nel lm non tanto all’iscrizione di immagini deformate, frutto magari delle soggettive del protagonista, o di proiezioni fantasmatiche, ma dal fatto che il protagonista vaga in un contesto sociale dominato da una trasgressione di stili e comportamenti ordinari. Emblematica da questo punto di vista è certamente la sequenza del concerto rock che apre a molteplici nodi teorici di grande rilevanza e su cui torneremo successivamente. Il carattere de-umanizzato della città in Blow-up viene ridimensionato e ricon gurato in maniera inedita rispetto ai lm precedenti di Antonioni. Nel lm non vengono mostrate strutture architettoniche che opprimono il soggetto umano iscritto nello spazio, ma è lo spazio stesso, e la spazialità dei luoghi, a diventare costruzioni simboliche e molteplici delle potenzialità del mondo e del soggetto al cui interno è collocato. Luogo del possibile e del potenziale, orizzonte di produzione del senso e dall’alterità. Il soggetto è de-umanizzato e de-soggettivizzato. Diventa eneur che scruta e si muove nello spazio urbano e nel suo tessuto di di erenze. Vaga in un mondo da un lato dominato parzialmente dai segni linguistici e che contemporaneamente nega questi segni, cercando di rimuovere questa semiotizzazione forte, in funzione di un occultamente della cosa iscritta nello spazio. Ogni segno rimanda certamente a un altro segno, anche se non in maniera altamente esplicita, e ogni segno si con gura sempre e costantemente come traccia di una traccia che ha perso la propria unità e sionomia di appartenenza. È una perenne trasformazione della forma e una formalizzazione assoluta dell’oggetto, che assume di volta in volta una nuova immagine, sempre diversa. Queste immagini, una volta prodotte, si scontrano e non riescono mai a unirsi tra loro, in un processo di con ittualità delle tracce o dei frammenti del mondo. Potremmo dire un con itto di immagini del mondo frammentato. Blow-up con gura in questo modo una sorta di doppia articolazione signi cante che mostra la dualità dello spazio urbano e del mondo stesso. Tutta questa particolare dualità non fa altro che accrescere il carattere duplice e molteplice (multipolare) di Thomas. È un processo di forte costruzione del soggetto ermeneutico, soggetto che pone esplicitamente come proprio obbiettivo esistenziale quello di conoscere, interpretare e decostruire l’universo ipertro co in cui è collocato e gettato storicamente. Anche perché, come ricorda Vattimo: “La conoscenza come interpretazione […] è […] l’elaborazione del costitutivo e originario

‘rapporto con il mondo’ che lo costituisce”188. Thomas interpreta e decostruisce il mondo per instaurare nuovamente un possibile rapporto con il mondo e con se stesso gettato in tale mondo, pur essendo destinato a non riuscirvi, e a rinunciare alla propria soggettività. 5. Gli oggetti e la scomposizione/ricomposizione ermeneutica del mondo Un altro aspetto del lm che merita di essere analizzato è quello relativo al concetto di solitudine esistenziale che investe completamente il personaggio di Thomas in una trasformazione complessa e in divenire della propria soggettività. L’evoluzione del personaggio avviene attraverso l’abbandono progressivo del proprio ruolo sociale in funzione di un ruolo soprattutto simbolico-esistenziale e mondano di grande problematizzazione, il quale ridisegna l’orizzonte stesso del mondo e dello spazio in cui il protagonista è iscritto. Ormai è evidente come il protagonista appare annoiato, disilluso, se non addirittura alienato, nonostante un’evidente appartenenza sociale. Però, allo stesso tempo egli si sente sempre più estraniato dall’aspetto prestigioso della sua professione ed è interessato ad altro, soprattutto alla realtà (largamente intesa), e ai tentativi di decostruirla e ricomporla secondo linee diverse, anche a livello sociale, così come viene confermato dalle fotogra e scattate nel dormitorio. Il processo di decostruzione del reale riguarda anche i due micro-segmenti nel negozio di antiquariato, dove la messa in scena e la costruzione narrativa non fanno altro che aumentare e rendere ancora più indecifrabile il senso. Thomas si aggira nel negozio in cerca di paesaggi, di vedute che appaghino il suo desiderio di vedere, il suo sguardo, il suo desidero di contemplazione, e forse anche di ride nizione del mondo. La scelta di andare dall’antiquario è per Thomas una scelta alquanto misteriosa, forse dettata dal desiderio di fare i conti con il passato, non necessariamente con il proprio e allo stesso tempo di trovare ulteriori stimoli. È come se cercasse forme visive antiquate per vedere come veniva mostrato il visibile e lo spazio, come l’artista al di fuori della riproducibilità tecnica dell’oggetto e dell’opera con gurasse il mondo, e instaurasse così un dialogo con un’altra condizione storico-mondana. Non è solo il confronto con un modo di rappresentazione, tenendo ben presente che proprio la perdita del referente mette in discussione la stessa possibilità di rappresentare qualcosa; ma è lo stimolo a cercare un altro modo di visione e di con gurazione del possibile, in cui l’occhio dell’osservatore risulta limitato e deve per forza fare a damento al mezzo tecnologico, alla camera, e in maniera extradiegetica all’occhio della cinepresa, e al suo carattere meta-produttivo e fascinativo. Il ri uto della vendita del quadro del paesaggio che il protagonista scorge nascosto dietro altri oggetti, lo immette nella condizione di cercare un altro paesaggio e di fotografarlo, cioè il parco posto proprio vicino al negozio. Il ri uto da parte dello scorbutico commesso anticipa in maniera indiretta le azioni nel parco. Infatti, proprio come avverrà nel parco, in cui Thomas scorgerà la coppia nascosta da un albero, prima ancora scorge nel negozio un paesaggio nascosto da altri oggetti, occultato alla visione di un soggetto umano. Il primo micro-segmento ridisegna dei punti di vista, ma anche la stessa condizione di osservazione in cui il fotografo è collocato, anche nel rapporto con il visibile, che è certamente diversi cato nei due contesti (il negozio e il Maryon Park), ma comunque sempre occultato a qualsiasi possibile visione. Quando ritorna nel negozio, cioè subito dopo essere stato al parco, la condizione di partenza è cambiata, c’è la proprietaria (una ragazza) ed egli sembra ancora più smarrito nella sua ricerca. Non è più questione di trovare un quadro con un paesaggio da cui poter ricavare una o più immagini, anche perché poco prima il “paesaggio” è stato trovato nel parco insieme a qualcosa di di erente che può ride nire il reale e la percezione del mondo. Questa volta c’è qualcosa di nuovo e ancora più misterioso di prima che interessa la ricerca dell’uomo: una grande elica da aeroplano. Blow-up è la costruzione/distruzione di una realtà (o presunta tale), e al contempo la ricomposizione di tale realtà su basi loso che di erenti, su orizzonti percettivi inediti che producono un altro mondo. La distruzione di una realtà passa obbligatoriamente anche per

la distruzione degli oggetti con cui il protagonista si relaziona, e con la distruzione della loro funzione e ettiva, nonché della perdita dell’uso primario di questi oggetti. In un certo senso abbiamo la presenza-assenza di un aeroplano distrutto i cui pezzi sono sparsi o perduti completamente (è come l’anticipazione della sequenza nale di Zabriskie Point), e che hanno cambiato la loro funzione di origine, divenendo tracce visibili nell’immagine. L’aeroplano infatti sopravvive attraverso due oggetti: la ricetrasmittente o radio telefono che utilizza Thomas nella sua macchina – come aveva esattamente Terence Donovan nella sua Rolls189 –, ricon gurando così anche i connotati della sua automobile; e l’elica – ispirata a quella che possedeva David Bailey190 – che diventa pezzo di antiquariato e oggetto estetico al tempo stesso. Il fatto che visivamente sopravviva l’elica e non le ali (al di là della grandezza e dell’impossibilità di tenerle nello spazio del negozio), è funzionale al discorso di decostruzione della realtà che il lm attiva. È un oggetto che diventa la traccia di una realtà rimossa e che continua a rimuoversi lungo tutto il lm. Lo stesso discorso è analogo anche nella sequenza nale con la pallina da tennis che non c’è, anche se lì il discorso si complica ulteriormente come vedremo più avanti. Infatti, se l’elica venisse posta sull’aereo, tramite il suo movimento creerebbe un vortice che sposterebbe l’aria e tutto ciò che vi è intorno. Quindi l’elica in Blow-up può essere considerata come il simbolo dello spostamento violento di qualsiasi elemento dello spazio circostante. Eliminando qualunque oggetto a livello simbolico, procede a ridisegnare il mondo circostante e lo spazio potenziale nel quale il soggetto è iscritto e collocato. D’altronde, come abbiamo già visto nei capitoli precedenti, Antonioni lavora anche in questo caso per sottrazione, sia nella costruzione narrativa che nella composizione dell’immagine stessa. La funzione dell’elica è da iscriversi nella particolarità della messa in scena di Antonioni che tende a caricare lo spazio di elementi simbolici, ma che apparentemente non sembrano tali o che si con gurano carichi di ambiguità ed enigmaticità all’interno della diegesi. Questi oggetti sono infatti presentati come degli elementi fortemente enigmatici, capaci anche questa volta di costruire il lm come una sorta di giallo in cui Thomas è chiamato a indagare, oltre che sul cadavere, anche sul senso del lm. È nei fatti una sorta di detective che si pone l’obiettivo di decostruire il tutto, di risolvere un mistero, un enigma anche attraverso un disorientamento e un’evoluzione personale come soggetto umano iscritto in un mondo problematizzato e inteso come residuo di mondi di erenti. Un po’ come nel cinema noir americano in cui, secondo la Pravadelli: “il soggetto maschile compie una ricerca sul mondo, e spesso, ma non sempre, sulla donna, che sostituisce la ricerca sull’io e sul proprio desiderio”191; ma anche come fa lo stesso Thomas, che comprende il mondo, ricerca una donna e in ne interpreta il lm, o rinuncia a farlo, e rinuncia alla propria soggettività. Per Cuccu ad esempio il discorso dell’elica ha un signi cato diverso. Tale oggetto si lega e si iscrive a tutta una serie di oggetti e di trovate che all’interno della narrazione svolgano apparentemente una funzione prettamente accessoria. Egli infatti sostiene che: “l’abbondanza di quelle che sembrano solo ‘divagazioni’ è orientata a trasformare un soggetto culturalmente identi cato, nel correlato personi cato di un atteggiamento culturale”192. Thomas alla ne non porta con sé l’elica (dopo un fallito tentativo) e questa scelta apparentemente insigni cante può essere interpretata come una ulteriore non accettazione da parte del fotografo della potenzialità del mondo. È come se l’uomo non fosse ancora in grado di comprendere e accettare la de-con gurazione simbolica del mondo in cui è iscritto ma allo stesso tempo percepisse anche involontariamente questo passaggio epocale. È una percezione intesa come sensazione inconsapevole di un passaggio o di un cambiamento. Tra l’altro non bisogna dimenticare che questo micro-segmento, all’apparenza insigni cante, è collocato proprio dopo la sequenza del parco, in cui Thomas è attratto da qualcosa che direttamente non percepisce, ma che si insinua nella sua mente, soprattutto per quanto riguarda il carattere innaturale e quasi arti ciale della coppia. Thomas comprende che qualcosa non va, che ci sono elementi di forte alterità, ma può comprenderlo solo attraverso un processo decostruttivo e di “ermeneutica della realtà” grazie solo alla estensione

del suo occhio da parte della camera, cioè attraverso la mediazione tra l’occhio umano e la capacità di trasformazione del visibile dell’apparato tecnologico, in un processo forte e radicale di rivelazione dell’invisibile. Ma in questo senso può avvenire anche che “il prolungamento dell’occhio umano […] non provoca necessariamente maggiore conoscenza, bensì a volte rivela un ‘troumpe-l’oeil’, un inganno dello sguardo che svela allo spettatore l’ambivalenza irriducibile e minacciosa dell’immagine”193. 6. I limiti e le potenzialità dello sguardo Oltre agli oggetti, il lm è attraversato da tutta una serie di elementi citazionistici e metatestuali relativi allo sguardo, al vedere e all’occhio. La casa di Thomas presenta una varietà di motivi visivi che rimandano all’obbiettivo fotogra co e alla struttura sica della pellicola, rimarcando il carattere ambiguo e rivelatore di entrambi gli elementi. È una costruzione meta-cinematogra ca giocata attraverso metafore che evocano il carattere autoreferenziale del lm in generale. La disseminazione di riferimenti all’atto di vedere e all’orizzonte del visibile in generale è sempre legata all’aumento delle possibilità dell’occhio tramite il mezzo tecnologico. Quello che emerge è un discorso sulla visione legato alle potenzialità dello sguardo tecnologico come rivelatore del dispositivo fotogra co e dell’apparato come apertura simbolica del mondo. In un certo senso sembra che Antonioni si riallacci al discorso di Vertov sull’obbiettivo della mdp come estensione dell’occhio umano, così come avevamo visto precedentemente. Qui, però, il ragionamento va oltre le teorie del regista sovietico, ed è da intendere più come l’oggettivazione delle posizioni espresse da Deleuze e Guattari in L’anti-edipo. I due studiosi francesi parlano esplicitamente di estensione tecnologica del corpo umano, in cui la macchina (simbolicamente intesa) è un’estensione delle capacità del corpo umano. In Blowup questo discorso si ricon gura nella macchina fotogra ca che assume i connotati di un’estensione dell’occhio umano come miglioramento dei limiti siologici dello sguardo stesso. È ovvio che non ci troviamo di fronte all’oggettivazione della dinamica del corpo fatto a pezzi/corpo senza organi che ad esempio sviluppa Cronenberg in Videodrome194 o nella fusione tra biologico e meccanico come in The y (La mosca, 1986). Il procedimento che sviluppa Antonioni è diverso e si articola in un discorso subdolo, occultato, che non si esplicita in maniera radicale, anche per ciò che riguarda la costruzione della soggettività spettatoriale. È comunque un rapporto particolare quello che intercorre tra Thomas e la macchina fotogra ca, che certamente pur oggettivando la posizione di Deleuze e Guattari, al contempo la ri-con gura e la trasforma nella questione dei limiti e delle potenzialità dell’essere umano nel suo confronto con la tecnologia, nel rapporto tra l’essere e la tecnica195, problema che attraversato quasi tutta la loso a del Novecento e continua anche oggi a porre questioni dirompenti di carattere teorico ed estetico. Quindi, da tutto questo discorso si evince che dove nisce lo sguardo del protagonista, dove l’essere umano non può andare oltre con il proprio sguardo, con la propria capacità sensoriale, rivelatrice e interpretativa, ci pensa la tecnologia e, in termini ermeneutici, ci pensa la tecnica (secondo l’espressione di Heidegger) rielaborandola in relazione alle esigenze del testo. Heidegger infatti concepisce questo discorso della tecnica come la vera e propria essenza moderna, cioè come tutto ciò che durevolmente è presente, presenzia, si manifesta, a di erenza della traccia derridiana che non si manifesta mai se non solidi candosi come immagine196. Come a erma il losofo tedesco, il senso della tecnica: è l’originaria e costante prospettiva rivolta al di là del sussistente. Questo ‘essere al di là’ pone preliminarmente in opera in diverse guise, per svariate vie e in campi di erenti, ciò che per l’appunto conferisce al sussistente il suo diritto relativo, la sua possibile determinazione e, per conseguenza, il suo limite […]. L’opera dell’arte non è in primis un’opera in quanto operata, fatta, ma in quanto realizza, in un essente, l’essere. Realizzare signi ca in questo caso porre in opera; nella quale opera, considerata come ciò che appare, viene all’apparenza lo schiudersi imponentesi: la Φύσις [il sorgere N.d.A.].197

Si fa riferimento in questo discorso a qualcosa di particolarmente complesso che è in grado di produrre altro e, nel nostro caso, di sopperire ai limiti siologici non solo dell’opera in quanto tale, ma della capacità di lettura della stessa e del mondo che è reale solo in senso potenziale. È qualcosa che lavora in divenire e che pone il carattere mutevole del mondo, diegetico o extradiegetico che sia, in cui il mondo esiste in quanto non è uno solo, ordinato e

oggettivo ma, come l’immagine, è qualcosa che si moltiplica e sfugge alla comprensione e allo sguardo. Vedere signi ca entrare in contatto solo con l’immagine di un mondo, con una delle tante immagini di uno dei tanti mondi possibili. 7. La rivelazione del mondo e la trasformazione del visibile Questo mondo così molteplice, attraversato da una moltiplicazione delle immagini e dall’assenza di con ni, esplicita il proprio carattere an bolico nella sequenza dello sviluppo del rullino. È un’apertura del possibile, una delle tante presenti nel lm ma anche la più importante, che assume carattere di svolta, di punto di non ritorno all’interno delle dinamiche narrative del lm. Questo aspetto si veri ca soprattutto all’interno del rapporto tra realtà e nzione, ma anche nella trasformazione della soggettività di Thomas, grazie alla relazione contorta con il visibile e l’orizzonte degli eventi. Il segmento è anticipato da due avvenimenti che in un certo senso cercano di distogliere l’attenzione del fotografo, e impedirgli di sviluppare le fotogra e nel parco. Sono eventi che impediscono di vedere nel dettaglio l’anomalia percepita ma non vista al parco. Questi avvenimenti sono l’arrivo della donna poco prima fotografata al parco e le due aspiranti modelle che già la mattina avevano bussato alla porta della casa-studio del protagonista. Entrambi sono degli elementi che incidono sulla narrazione e svolgono un’azione duplice e uguale all’interno della sequenza: da un lato (come è stato accennato) distolgono l’attenzione e impediscono a Thomas di interpretare le immagini catturate nel parco e di accedere al loro segreto (una mano con la pistola che spunta da una siepe); dall’altro lato prolungano l’attesa, dilatano il tempo, riscrivono la scansione narrativa attraverso la propria corporeità. In tutte e due i casi impediscono a Thomas di accedere a una conoscenza più ampia e precisa del mondo, non potendo più quest’ultimo a ermare la propria individualità come soggetto che vive una situazione psichica di disagio, anche a causa dei limiti del proprio sguardo. Il fotografo a erma questa particolare situazione di disagio e di smarrimento esistenziale nel momento in cui la sua attenzione viene catturata da qualcosa che non è visibile all’occhio umano, e che ha bisogno di un processo di decostruzione nalizzato all’interpretazione e all’emersione del senso. Allo stesso modo dei mondi in con itto tra loro, anche il con tto tra vettori signi canti avviene proprio attraverso diverse istanze di senso e di con gurazione del visibile. L’interruzione dello sviluppo delle fotogra e produce una situazione decisamente anomala ma sicuramente importante dal punto di vista teorico. È come se l’orizzonte del reale (attraverso i soggetti femminili costituitisi come vettori di signi cato) cercasse di entrare nel mondo di Thomas per impedirgli di creare un altro mondo, un’altra realtà trasgressiva e ambiguante, capace di scardinare i presupposti meta sici del realismo e della presenza. Il mondo contenuto nel rullino è infatti potenziale e ambiguo, uguale e di erenziale rispetto all’orizzonte fenomenico largamente inteso; ed è funzionale all’apertura di un mondo nuovo, di più mondi possibili, che ogni volta sono diversi in base a colui che guarda e cerca di interpretare il prodotto di tale apertura: le foto stesse. Vi è in questo segmento, decisivo per la vicenda, un orizzonte del reale che tende a concretizzare simbolicamente i tre soggetti femminili che, per diverse ragioni, entrano nell’abitazione di Thomas. E si concretizzano simbolicamente attraverso una con gurazione erotica della loro soggettività pur in maniera di erente e particolare. Sono tre soggetti che utilizzano l’eros, la seduzione per ancorare Thomas a una realtà che diventa vero e proprio orizzonte del reale. È quello che a erma Baudrillard: “La seduzione è ciò che sottrae al discorso il suo senso e lo svia dalla sua verità”198. Al contempo c’è la con gurazione del sesso (e non della sessualità) come qualcosa che svia dalla seduzione per approdare a qualcosa simile al cosiddetto realismo del pornogra co, a qualcosa “più reale del reale”199. In Blow-up la donna del parco è caratterizzata pateticamente in quanto non presenta caratteri sessuali espliciti, ma anzi risulta per certi versi impacciata, ridicola nell’approccio con Thomas, non sessualmente attraente, almeno rispetto alle due aspiranti modelle. È un soggetto che non esibisce la propria carica erotica e di seduzione in maniera palese. Anche l’espressione del volto va da tutt’altra parte, è priva di connotati attrattivi e di richiami

sessuali espliciti. È priva di espressività. È algida, fredda, per niente seducente. La donna del parco non ricorre alla sua autorevolezza per ottenere ciò che vuole, ma deve esclusivamente ricorrere al sesso anche in maniera meccanica. È un oggetto di sguardo non fascinativo, o comunque non nell’immediato, ma molto probabilmente in divenire. Un oggetto di sguardo che si potrebbe de nire performativo. Thomas dall’iniziale ilarità dell’incontro, subisce quasi un’attrazione nei confronti della donna. La scruta come se fosse un soggetto degno di iscrizione nell’immagine, degno cioè di essere fotografato non come fotomodella ma come oggetto di indagine, modello di ri essione ermeneutica, allo stesso modo dei soggetti del dormitorio. Egli è più interessato all’immagine mnestica del parco, o a quella deformata, sgranata e in bianco e nero che apparirà nelle foto non appena le avrà sviluppate. Non è interessato all’immagine sica nel suo concretizzarsi e trasformarsi in soggetto attivo. Sono i caratteri illusivi che si allontanano dalla “vita reale” che lo attraggono e ricon gurano la donna come soggetto attraente e di fascinazione erotica. Vi è in questo senso una sorta di oggettivazione della posizione di Arnheim sui fattori di erenzianti, di come il carattere estetico di un lm si realizzi proprio attraverso un allontanamento dal mondo reale e dalla rappresentazione meccanica in direzione del carattere creativo e costruttivo del lm200. La donna iscritta nella foto, in bianco e nero, sgranata, con i contorni non più de niti, ha un fascino più forte proprio perché si discosta dal reale, approdando così a un’alterazione trasgressiva del mondo. Proprio come per Arnheim, è proprio l’immagine arti ciale del lm, il carattere di costruzione irreale, di distanziamento e separazione dalla realtà a conferire un carattere intellettuale ed estetico al cinema. Non a caso in Blow-up l’attrazione è supportata da un distanziamento, da una sottrazione del soggetto dal mondo oggettivo e di conseguenza dall’orizzonte del reale. Allo stesso modo, anche le due ragazzine aspiranti modelle utilizzano un meccanismo analogo a quello della donna, ma con un’esibizione dei caratteri erotico-sessuali più evidente. Già attraverso gli indumenti colorati, meno sobri e rigidi di quelli della donna del parco, si mostrano come soggetti dotati di una certa malizia ma innocenti al tempo stesso, apparentemente ingenue che vogliono farsi strada nel mondo della moda tramite la loro carica erotica. L’incontro tra Thomas e le due ragazze è più seducente e a ascinante, è quasi un gioco, un atto carnevalesco e scherzoso, un’esaltazione della vitalità e del movimento che anticipa in un certo senso quel carattere ironico presente nella sequenza dell’orgia in Clockwork Orange (Arancia meccanica, Stanley Kubrick, 1971). Sono, in entrambi i casi, processi di visibilità e invisibilità in cui, nel lm di Antonioni apparentemente non vi è sesso ma solo seduzione. Questo non è sicuro, anche perché tra quando Thomas e le ragazze si rotolano sulla carta denudandosi, e quando sono tutti e tre supini, è intervenuta una ellissi, una piccola frattura temporale che ha rimosso qualcosa. Non è sicuro che abbiano fatto sesso, ma non è neanche da escluderlo a priori, anche perché questa seconda ipotesi è confermata dall’immagine della carta che interviene all’inizio della seconda inquadratura, come a voler nascondere e censurare qualcosa. Le due ragazzine sono ormai vestite e stanno rimettendo le scarpe all’uomo, disteso per terra. Nel lm di Kubrick invece la velocità dell’amplesso perde il suo carattere esplicito e forte, non si con gura come realtà, come pornogra a ma si colloca nell’orizzonte dell’invisibilità e del gurale. La donna del parco seduce Thomas per ottenere il rullino e sottrarsi alla sua trasformazione in immagine, mantenendo così il carattere di soggetto diegeticamente reale, in quanto non vuole le foto, o le vuole solo per eliminare qualsiasi traccia dell’evento. La donna non vuole diventare oggetto di sguardo, immagine fotogra ca e di conseguenza vero e proprio simulacro; sebbene si presta a esserlo e lo diventerà nei fatti nel corso del lm. Di lei non rimarrà nemmeno l’immagine fotogra ca, svanirà nel nulla, riapparirà su un marciapiede e sparirà di nuovo nel concerto rock.

Le due ragazzine invece seducono l’uomo per poter essere fotografate, per divenire immagini ttizie e accettare il carattere arti ciale del mondo. Già i vestiti sgargianti ed eccessivamente colorati testimoniano questa volontà. Esse vogliono trasformarsi in immagini arti ciali e trasgressive di un altro mondo in contrapposizione a quello della donna del parco, e nel quale per il momento sono anch’esse iscritte e collocate. È probabile che anche la donna sia a conoscenza di chi sia Thomas, forse perché conosce l’indirizzo dove egli abita e vi si reca poco tempo dopo essere stata al parco. Avviene così una dinamica speculare tra la negazione e il ri uto. Il ri uto della donna di essere fotografata e quello di Thomas di non fotografare le due ragazzine, sono inversamente proporzionali e attivano una dinamica particolare. Ri uto di farsi le foto e ri uto di fare le foto ad altri soggetti. Ri uto delle foto/ri uto di fotografare. Quindi questo micro-segmento attua un processo di negazione che si ricon gura inevitabilmente come negazione dell’oggettività anche del desiderio (cosa sostanzialmente scontata), ma anche della stessa realtà oggettiva. Infatti, questi due punti di vista desideranti sono iscritti in un’ottica particolare: come interpretazione ermeneutica della realtà e del mondo, come apertura del negativo. Di conseguenza, tale con gurazione diventa anche orizzonte ermeneutico della verità e quindi sua problematicità e de-oggettivazione. Ma allo stesso tempo questa particolare procedura della messa in scena va oltre l’interpretazione, pur complessa ed elaborata che sia. Il procedimento di messa in scena si muove nella direzione di una vera e propria decostruzione del tutto. Lo stesso sviluppo delle fotogra e e il confronto che Thomas fa osservando le immagini, è da intendere come un processo di decostruzione a più livelli: 1) decostruzione dell’evento; 2) decostruzione del mondo; 3) decostruzione della realtà; 4) decostruzione della verità; 5) decostruzione del soggetto e dell’essere. Lo sviluppo del rullino è mostrato attraverso una sequenza particolare dove in 16 occasioni le foto coincidono con le inquadrature, occupando talvolta perfettamente il quadro dell’immagine. È una sequenza che, oltre a essere caratterizzata da una riduzione al minimo del sonoro, il meccanismo di signi cazione si apre a un doppio discorso: una simulazione del processo cinematogra co post-produttivo, cioè del montaggio, e un tentativo di apertura del mondo come possibilità. So ermiamoci sul primo aspetto. Thomas sviluppa il rullino e allestisce sul muro tramite delle mollette, del lo o semplicemente delle puntine da disegno una collocazione sequenziale delle foto come se stesse montando le inquadrature di un lm, cioè come se si trovasse di fronte a dei tasselli da riordinare (Fig. 4). Come ricorda Casetti, egli: “ha ‘costruito’ il proprio spettacolo”201.

Il lavoro di Thomas è a dato allo sviluppo dei singoli fotogrammi (e non delle inquadrature), e il processo che con gura è particolare ed estremamente importante per diversi ordini di signi cato: 1. Thomas colloca le foto in sequenza come se fossero i segmenti di un lm, o come se stesse montando una sequenza cinematogra ca attraverso un’ampia scelta di campi e piani. Il fatto che tra un’immagine e l’altra ci sia uno spazio, con gura visivamente il bordo che separa i fotogrammi l’uno dall’altro, e il lo orizzontale lungo il quale vengono collocate le foto, si presenta come il bordo della pellicola (anche se il bordo inferiore non è presente). I tasselli del puzzle su cui lavora Thomas diventano quindi una metafora dei fotogrammi e

delle inquadrature di un lm che tramite il montaggio si organizzano in unità narrative compiute. Il protagonista non fa altro che montare un lm, rivelando in questo processo un qualcosa di misterioso e nascosto allo spettatore e al suo stesso sguardo. È come se la pratica di montaggio da un lato riveli un mondo e dall’altro organizzi soggettivamente questo mondo, mediandolo (e modi candolo) attraverso l’interpretazione gurale delle immagini da parte di un soggetto creatore. 2. Thomas si con gura indirettamente e in maniera ambivalente come soggetto interpretante sia dal punto di vista diegetico che nell’orizzonte del simbolico. È quindi una sorta di soggetto ermeneutico che interpreta la realtà potenziale dominata dalle dinamiche di velamento/svelamento, occultamento/emersione, visibile/invisibile che con gurano quello che per Heidegger è il mondo della meta sica della presenza in perenne agonia. Allo stesso modo Thomas diventa portatore di un orizzonte fortemente meta- lmico, una specie di interprete del testo e produttore di un’altra realtà. È una realtà che si costruisce in maniera arti ciale, ma è allo stesso tempo soggettiva, prodotto e residuo di un mondo possibile all’interno del con itto tra immagini del mondo, che solo il montaggio riesce a placarla momentaneamente. Oltre a questi aspetti, dal segmento emerge qualcosa che ha a che fare con l’orizzonte narrativo e con la sua con gurazione. Come ricorda Chatman: “Thomas non solo ingrandisce le fotogra e […], ma le dispone, da sinistra verso destra, in modo da ottenere un ‘racconto’, proprio come se stesse preparando un fumetto e un fotoromanzo”202. C’è un’esaltazione del montaggio in maniera meta-testuale. Il lm parla di montaggio, lo esibisce attraverso dei fotogrammi, delle foto che vengono contemplate e analizzate, come se ci si trovasse di fronte a un paesaggio, all’immagine di un paesaggio, in cui, in quanto immagine “è sempre caratterizzata dal principio dell’assenza, della lontananza […] del mistero”203. Ma le fotogra e così disposte, così collocate nello spazio, diventano anche, secondo la Ropars: “frammenti di spazio, gure congelate in un gesto o in uno sguardo, con gli ingrandimenti, in cui il dettaglio cancella l’insieme, si possono costituire linee narrative multiple, ciascuna delle quali si sviluppa come variante escludente l’altra”204. Thomas nel lavoro di sviluppo fotogra co iscrive se stesso in un orizzonte totalmente metacinematogra co e autoreferenziale, attua indirettamente una pratica di analisi del lm in cui scompone l’evento attraverso i singoli fotogrammi e lo ricompone attraverso l’interpretazione del senso, a data alla costruzione di una sequenza narrativa mentalmente da completare, ma che evoca il cinema. Prima di procedere in questa direzione egli valuta e confronta le forme visive, associandole le une alle altre, esattamente come fa l’analisi del lm. In questo senso, l’auto-ri essività dell’azione è concepita come messa in discussione di una realtà per crearne un’altra decisamente alternativa, che pone la trasgressione alle forme della realtà come un ulteriore stadio del con itto tra mondi, ma anche tra interpretazioni possibili e verità potenziali. Proprio da questo orizzonte teorico, emergono più posizioni relative alla verità che sono in con itto tra loro e si iscrivono nell’orizzonte della con ittualità in generale che sta alla base della tradizione culturale, loso ca ed estetica del Novecento in chiave antipositivistica. È da notare che tutto questo avviene in maniera palese all’interno della con gurazione dell’evento, inteso sempre come prodotto arti ciale (e rimosso) del mezzo tecnologico, cioè della macchina fotogra ca che si ricon gura come macchina cine-foto-gra ca dalle potenzialità dirompenti e in nite. La messa in scena di Antonioni produce quindi un discorso, una ri essione diretta sul cinema in maniera meta-testuale tramite la fotogra a ma in maniera indiretta attraverso un’oggettivazione dei processi siologici di percezione dello spettatore rispetto all’immagine lmica. Infatti, l’allestimento del montaggio attraverso delle foto poste come se fossero i fotogrammi di una pellicola fotogra ca, con gura il processo di completamento, di e etto φ, in cui a un fotogramma impresso corrisponde una parte di nero che lo spettatore deve completare attraverso il processo psichico che ne deriva. In questo senso Antonioni sembra spingersi oltre, come a voler porre l’attenzione non solo sul completamento dell’e etto φ per conferire il movimento, ma sulla creazione di un

qualcosa che visivamente non si vede, non si esplicita in maniera evidente. D’altro canto, il cinema per Antonioni lavora proprio sul completamento dell’universo diegetico, e l’immagine lmica oltre a stimolare il completamento psichico che produce il movimento, attraverso quella che Deleuze chiama: “dialettica delle forme”205, crea qualcos’altro di invisibile, di visivamente irrilevante che sopperisce alla mancanza del mondo e si a da alla produzione delle immagini e al loro potere intrinseco. Tra l’altro è da notare che nel momento in cui la mdp inquadra più da vicino le fotogra e, percepiamo il frusciare del vento impresso nell’immagine, come costruzione mnestica ed evocativa del Maryon park, e ancora come apertura di un altro mondo potenziale. Inoltre, proprio questa sequenza sembra anche fare riferimento in maniera rielaborata al montaggio intellettuale di Ejzenstejn, in quanto a due gure rappresentabili corrisponde una irrappresentabile206. In e etti il lm non mostra una sequenza cinematogra ca vera e propria, ma qualcosa di diverso che giustappone due fotogrammi diversi per produrre qualcosa di ancora più diverso, alternativo e trasgressivo. La camera non riprende in continuità i soggetti del parco, produce degli stacchi di tempo sotto forma di tracce di movimento. Il mondo di Blow-up sta sparendo e crollando attraverso una frammentazione continua di tutti gli elementi e le strutture che lo sorreggono. Allo stesso tempo avviene una decostruzione del soggetto e di tutti gli elementi che rendono riconoscibile il mondo nel quale Thomas è iscritto e agisce. Egli sta incominciando a prendere coscienza di questo passaggio epocale e dirompente. La sequenza dello sviluppo delle foto attiva ulteriori ri essioni non solo in relazione al soggetto (Thomas), che non è esclusivamente interprete e montatore. Come abbiamo visto precedentemente, egli è in un certo senso un vero e proprio detective che interpreta l’immagine, rimandando palesemente alle pratiche dell’analisi del lm. D’altronde come ricordano Sainati e Gaudiosi: “l’analisi coinvolge […] la capacità […] dell’analista, le sue qualità di detective, la sua e cacia nel mettere insieme gli elementi su cui si costruisce il lm”207, e proprio come nel nostro caso: “l’analisi è il risultato di un percorso di tipo indiziario, di un’indagine ‘poliziesca’ sul lm”208. Thomas però, oltre a essere un interprete-detective, è anche un osservatore, e questo aspetto non deve assolutamente essere tralasciato. Blow-up è infatti attraversato da una dinamica molto particolare e complessa tra l’osservatore e l’osservato, in cui lo sguardo diventa non a caso il vettore signi cante che porta in sé tale dinamica, esaltandola e caricandola di una nuova ri essione. È una dinamica decisamente auto-ri essiva, reciproca, che cambia continuamente, in cui l’osservatore diventa simbolicamente l’osservato, nonostante Thomas svolga quasi sempre la funzione di osservatore. Spesso però il suo ruolo cambia, subisce una sospensione, ed in questo senso diventa anche osservato, soprattutto mentre percepisce la perdita del mondo oggettivo e prende consapevolezza di una concezione potenziale e soggettiva del mondo, accettandola quasi con rassegnazione. Da questo punto di vista, come a erma Casetti: l’osservatore partecipa al destino dell’osservato, si muove sul suo stesso terreno, nel medesimo campo di forze; ma intrecciando la sua esistenza con l’oggetto del suo sguardo nisce anche con il perdere la sua posizione di vantaggio, no a confondersi con quanto ha di fronte.209

In questo senso però, la sequenza dello sviluppo delle foto attiva certamente quel processo di cui parla Casetti che porta l’osservatore Thomas a perdere la sua posizione privilegiata di sguardo, ma non avviene tanto per confondersi con l’osservato (anche se il lancio della pallina inesistente nella sequenza nale confermerebbe per un attimo questo discorso); quanto per diventare l’osservato non di ciò che ha di fronte, ma dello spettatore, della mdp, in maniera ancora più radicale. Anche la scelta dell’inquadratura dall’alto è da considerare come la conferma dell’assenza di un altro osservatore diegetico, a vantaggio di un osservatore esterno ed extradiegetico che a erma la propria presenza simbolica nel momento in cui l’oggetto di sguardo nega la sua

presenza. Non a caso Žižek de nisce questo sguardo vista di Dio “necessario per sgomberare il campo da quindi come sguardo di un soggetto assente che diegeticamente presente, ed e ettuare così quella soggettiva”211.

come sguardo della cosa, o punto di tutte le identi cazioni soggettive”210; non si identi ca con un soggetto che Lacan chiamava: “destituzione

Allo stesso tempo lo sguardo esterno, la presenza di un osservatore che guarda e interpreta i frammenti, si con gura come identi cazione dello spettatore che partecipa attivamente all’interpretazione delle foto, e alla loro costruzione di un modello visivo che allude alla pellicola. Quindi lo spettatore, oltre a osservare e a interpretare, si identi ca con la possibilità di creazione e produzione del senso e quindi del lm stesso. 8. Il rock e la droga come riti collettivi La lunghissima sequenza notturna è costruita in maniera alquanto complessa. Essa è articolata in diversi micro-segmenti di particolare rilevanza che oltre a mostrare la continuazione delle indagini di Thomas, forniscono allo spettatore anche informazioni sui luoghi di aggregazione giovanile e i riti collettivi della Londra del periodo. Soprattutto il concerto dei The Yardbirds si con gura nell’economia del lm come orizzonte allucinatoriofeticistico di grande rilevanza. Thomas, mentre è fermo al semaforo, si accorge della presenza della donna del parco, la vede entrare in un una stradina, la insegue ed entra in un club dove si troverà nel bel mezzo di un concerto rock. A un certo punto mentre la band sta suonando Stroll On il chitarrista Je Beck ha un problema con l’ampli catore, e in un gesto di rabbia fracassa la chitarra e la getta al pubblico in delirio, dove ha la meglio Thomas che prende la chitarra fracassata ed esce fuori dal club. Una volta in strada butterà per strada il cimelio con sorprendente indi erenza. La chitarra rotta all’interno dell’universo rituale del concerto a erma il proprio carattere feticistico come elemento di forte impatto sociale, e assume valore oggettuale, quasi una sorta di merce di valore (in senso marxista), come qualcosa che non riesce più a svilupparsi in maniera esplicita se non nel momento in cui si mostra. Tant’è vero che dopo che Thomas porta l’oggetto fuori dal club, inseguito da una folla delirante, nell’altra realtà, nell’altro mondo, il pezzo perde inesorabilmente di valore, come a tras gurare e tramutare la funzione sociale, il carattere collettivo dell’oggetto, in una sorta di de-feticizzazione della merce. È interessante notare come all’interno del rito esistenziale, collettivo, sociale, i comportamenti mutano continuamente insieme alla condizione psichica e percettiva dei soggetti in questione; così come avverrà subito dopo nel droga-party. La musica, pur essendo imperfetta e altamente distorta, viene comunque esaltata come parte di qualcosa di più ampio e universale. Ed è interessante notare come la dinamica tra spettatore e band risulti particolare. Il chitarrista esasperato dal mal funzionamento del suo strumento è antagonista, opposto agli spettatori che sembrano non curarsi di questa situazione, di questa condizione scissa, e continuano a scatenarsi. Il chitarrista, colpendo l’ampli catore, se la prende con il suo strumento, con la sua estensione tecnologica. Distrugge lo strumento per darlo in pasto agli spettatori, come merce di scambio carica di connotazioni simboliche e immaginarie. In questo micro-segmento, Blow-up con gura anche qualcos’altro, una sorta di oggettivazione della condizione sociale dell’artista. Alla stessa maniera di Thomas che viene percepito positivamente a livello sociale, così anche il chitarrista Je Beck viene percepito positivamente dal suo pubblico, anche se la sua funzione non la svolge no in fondo a causa della rottura dello strumento. È come se Antonioni volesse dire che l’artista anche quando sbaglia, anche quando non è in condizione di realizzare un’opera eccelsa e di valore, anche quando non ha competenze tali da renderlo veramente un artista e di mostrarne il suo talento, ha comunque importanza agli occhi dei suoi fans, del suo pubblico adorante ed estasiato, in una sorta di rito primitivo e ancestrale. L’artista produce sempre una realtà, un mondo possibile e trasgressivo che nel bene e nel male è sempre di grande e etto e di impatto sul pubblico. Si iscrive in un mondo per con gurare un modello di comportamento sociale che si istituzionalizza e ritualizza.

In e etti di lì a poco molte rock band inizieranno a distruggere gli strumenti sul palco dopo le loro esibizioni. Anzi, artisti come Jimi Hendrix, The Who, ecc., bruceranno e distruggeranno gli strumenti (e nel caso degli Who anche le stanze d’albergo) come evento e gesto che il pubblico pretende e si aspetta, una sorta di ritualità sociale che si conclude proprio con questa distruzione. È un rituale collettivo di distruzione e di auto-distruzione anche con la droga in un processo di apertura percettiva sul reale e di modi cazione dello stesso. Questa sequenza con gura anche un altro aspetto che merita di essere indagato. Ciò che avviene sul palco può essere considerata come il tentativo di distruzione del feticcio, inteso come distruzione della merce, e quindi come distruzione del feticismo della merce. Secondo Derrida: “la merce è una ‘cosa’ senza fenomeno, una cosa in fuga che oltrepassa i sensi (è invisibile, intangibile, inudibile e senza odore); ma questa trascendenza non è tutta spirituale, conserva quel corpo senza corpo”212. In questo senso: “dove c’è produzione, c’è feticismo: idealizzazione, autonomizzazione e automatizzazione, dematerializzazione e incorporazione spettrale”213. Ponendo la questione in questi termini, vi è anche una ricon gurazione della stessa natura del cinema, delle stesse modalità di funzionamento e di realizzazione spettacolare. È un ripensamento della stessa funzione sociale nel cinema, intensa come qualcosa che armonizza le forme e tende appunto a con gurare la norma. Allo stesso tempo si ha a che fare con la fantasmagoria e l’illusione in rapporto alla cosa e alla merce, che indirettamente anche il pensiero di Heidegger vi si a accia, quado la tecnica si trova a essere descritta grosso modo negli stessi termini della critica al feticismo della merce di Marx, all’interno della produzione214. Blow-up invita lo spettatore a pensare il cinema come qualcosa di meta-produttivo che si costruisce attraverso un uso particolare della messa in scena, una continua riduzione verso l’azzeramento della narrazione, e soprattutto nella costruzione di uno sguardo complesso che attua dinamiche cariche di ambiguità. È come se la composizione dell’immagine in Antonioni avvenisse non solo per sottrazione, ma attraverso una separazione tra la norma e lo sguardo che vengono relegati in secondo piano. Come ricorda Bonitzer, è proprio: La marginalità, lo scarto di Antonioni rispetto alla norma: la sua sensibilità all’arbitrio dello sguardo e dell’estraneità, almeno, della posizione di chi si trova dietro la cinepresa o davanti allo schermo, il regista, lo spettatore: che cosa fanno lì, cosa vogliono? Cosa vogliono dominare in ciò che vogliono vedere?215

E cosa vuole fare il protagonista del lm? Cosa vuole dominare? Ma soprattutto, cosa vuole vedere? Thomas in tutto questo cercare, in questa sua ricerca spasmodica di un qualcosa che si è perso, o che comunque si sta perdendo progressivamente, è più propenso a trasformare la sua ossessione e la sua allucinazione in qualcosa che va al di là dell’immaginario e della mera realtà, proprio in direzione di una con gurazione ulteriormente trasgressiva di un mondo speci co, uno dei tanti che il cinema con gura. 9. L’accettazione dell’immagine del mondo e la ne del soggetto come presenza La sequenza nale è carica signi cati e si apre a un insieme di possibilità interpretative di grande interesse. Innanzitutto, possiamo considerarla come un esempio importante del rapporto tra cinema e loso a, proprio perché è capace di esprimere concetti, alterità e ride nire i con ni del mondo, le strutture che lo governano e regolano il soggetto, nonché la stessa pratica di fare loso a, o di esprimere concetti loso ci attraverso il cinema, per rilanciarla con fermezza e intensità. Da questo punto di vista notiamo che la sequenza nale lavora sul concetto di verità, ma allo stesso tempo sul problema del mondo. In e etti, quello che costruisce la sequenza è una decostruzione radicale del mondo e del soggetto. È sì una decostruzione del mondo e degli oggetti che vi sono iscritti, ma è anche e soprattutto una rimozione degli oggetti che interessano lo stesso soggetto, e con i quali si relazione e identi ca. Thomas dopo aver passato la nottata al droga-party nella villa con Ron e Veruschka, si reca una terza volta al parco per: “fotografare di nuovo il cadavere che è la prova del potere

dell’immagine fotogra ca”216, e della perdita fondamentale della soggettività senza la mediazione del mezzo fotogra co. A un iniziale scetticismo da parte di Thomas subentra l’accettazione de nitiva del mondo inteso come potenza in nita, come residuo di tanti mondi in con itto tra loro. Nei fatti è, come abbiamo visto precedentemente, quello di cui parla tra l’altro Vattimo riprendendo Heidegger, secondo cui la separazione tra essere ed ente non ha fatto altro che moltiplicare le immagini del mondo che ora sono in con itto tra loro. Il segmento sembra voler a ermare l’accettazione da parte di Thomas della ne di un mondo oggettivo, ordinato, dominato da realtà e verità uniche. Da questo punto di vista è utile l’a ermazione di Sandro Bernardi, quando diceva che: “il mondo ordinato e coerente intorno a noi era una nzione del cinema americano, la realtà è solo una serie di frammenti che non si compongono in una storia”217. E successivamente: se accettiamo il fatto che la realtà è la somma dei frammenti che costituiscono la nostra esperienza, allora vediamo che non è la realtà che ci sfugge, ma che i nostri vecchi modelli di coerenza erano sbagliati. […] La realtà non sta in una nzione, ma in molte nzioni.218

C’è in questo discorso tutto Blow-up: la ne di una concezione univoca e oggettiva del mondo e la decostruzione della realtà, che diventa frammento e quindi traccia, perché, come ricorda Derrida: “non essendo una presenza ma il simulacro di una presenza che si disarticola, si sposta, si rinvia, non ha propriamente luogo, la cancellazione appartiene alla sua struttura”219. L’accettazione della possibilità di esistenza di più immagini del mondo, pone un con itto tra loro di forme e modelli visivi che coesistono e dialogano tra di loro. È da notare infatti che Thomas è nettamente separato dai mimi in quanto si trova fuori dal campo da tennis, e dal loro campo visivo. Il dialogo che instaura con i mimi è legato alle dinamiche di sguardo e soprattutto di montaggio, attraverso l’uso di un contro-campo ambiguo che decostruisce lo spazio stesso. Egli è iscritto in un’inquadratura che è separata da quella dei mimi, e anche quando si appoggia con le mani (Fig. 5) alla rete del campo da tennis (possibile punto di contatto tra due realtà), non è mai iscritto palesemente nella stessa inquadratura. Anzi c’è sempre un elemento che lo di erenzia e lo mantiene estraneo agli altri soggetti. È come se Thomas e i mimi fossero in due spazi temporali diversi e contrapposti, e grazie all’uso del montaggio questa separazione diventa una rottura narrativa, visiva, e logica alquanto radicale, poiché, come ricordava la Ropars:

realizza una dissociazione dello spazio e del tempo, rendendo così più leggibili certi obiettivi del Nouveau Roman. In Antonioni la critica della temporalità è e ettuata solo dal punto di vista dello spazio; essa opera così una critica della dimensionalità stessa dello spazio.220

Questo dubbio, questa forte ambiguità dello spazio e del tempo, è a ermata da Antonioni grazie a un uso particolare del sonoro, o meglio al suo non-utilizzo iniziale. Infatti, l’assenza del rumore della pallina che urta contro le potenziali racchette dei due giocatori è funzionale a questo discorso. Non è solo una separazione tra il mondo di Thomas che sta scomparendo (e a cui vi sta rinunciando), e del soggetto stesso come semplice osservatore. E non è neanche la separazione con il mondo dei mimi, dotato di potenzialità in nite ma anche di ambiguità intrinseche. È qualcosa di più complesso e radicale. La dimensione spaziale dei mimi subisce una separazione che decostruisce il loro mondo. Separa i soggetti, scindendoli in tante micro-soggettività e micro-mondi di grande intensità e fascinazione. I contro-campi tra i due giocatori proprio perché privi di raccordi sonori, evidenziano questa separatezza simbolica, questa ricon gurazione del soggetto nelle inquadrature e nel mondo. Ma all’interno del segmento vi è anche un altro tipo di separazione: quella tra i giocatori e gli spettatori, alludendo ancora una volta alla condizione

di separatezza e di distanza tra il lm e il suo spettatore, tra l’oggetto di sguardo e il soggetto vedente. Nonostante questa separatezza “oggetto e soggetto coabitano, parti uguali dentro un unico sguardo”221, che è quello dello spettatore, quello della cinepresa che indaga, quello di Thomas che guarda i giocatori ma anche il pubblico della partita. Il mondo dei mimi con gura la propria potenzialità attraverso un’intensi cazione dello sguardo e un’ipertro a percettiva che esprime e aumenta le forme del visibile. Il mondo di Thomas, al contrario, costruisce le proprie regole di signi cazione attraverso la mediazione con il mezzo tecnologico, il carattere relazionale con la macchina fotogra ca, e di conseguenza con l’arti ciale e la tecnica, a ermando un carattere meta-cinematogra co che ri ette la stessa essenza del cinema e su cui il soggetto è chiamato a confrontarsi. Il mondo di Thomas (ma anche il cinema) è: Una macchina in cui ci sono determinazioni molteplici: la meccanica ma anche le relazioni, la tecnologia e insieme l’immaginario, l’industriale e il fantasmatico, la produzione ma anche il dispositivo di di usione e percezione. E quindi, insieme, il meccanico, l’umano e il relazionale.222

È un mondo che diventa con gurazione non solo del visibile e dell’evento che continua a perdersi – come nello sviluppo delle foto con la rivelazione del visibile e dell’evento stesso – ma anche con gurazione della rimozione del soggetto ultimo alla ne del suo processo di decostruzione, che avviene proprio non appena Thomas prende la macchina fotogra ca che aveva posato per terra. La rimozione del soggetto però avviene tramite una rivelazione dello spazio. Infatti, un campo lungo dall’alto mostra Thomas isolato (Fig. 6), non vi è neppure il campo da tennis poco prima mostrato, e dopo un po’ il protagonista scompare, a dando allo spazio le potenzialità creative dello sguardo.

Prima ancora che questo avvenga, è interessante notare che non appena Thomas lancia la pallina invisibile facendola entrare nel campo da tennis (e non nel campo visivo), si sente il rumore dell’impatto sulle racchette. Posto di fronte alla mdp segue con lo sguardo il movimento della pallina, non mostrando nessun contro-campo, nessuna soggettiva. In questo senso egli sembra accettare il mondo dei mimi e rinunciare al suo. Possiamo anche supporre che l’uomo transiti da un mondo all’altro perché è un soggetto ermeneutico, un soggetto che interpreta e interpreta se stesso, e “oltre che soggetto che vede, è anche soggetto che fa vedere”223. Ma soprattutto la sua interpretazione è l’apertura dell’essere stesso. Con l’essere stesso si apre anche la rete che separa i due mondi, come: condizione di un osservatore apparentemente senza più rete di protezione, che si ritrova immerso nel paesaggio che osserva, costretto a condividere il proprio destino con quello dell’oggetto del suo sguardo e a farsi esso stesso oggetto di uno sguardo.224

L’ultimo fotogramma interviene a ride nire ancora una volta l’orizzonte teorico di Blow-up. Oltre all’ermeneutica, presente come orizzonte signi cante lungo tutto il lm, l’ultima inquadratura realizza una nulli cazione dell’essere, attraverso quella che Sartre chiamava: “possibilità permanente di nulli care quello che io sono”225. Il soggetto sparisce e resta solo il mondo, o comunque un mondo potenziale senza niente al proprio interno. Esso può essere riempito solo con materiale di natura psichica e allucinatoria. Ed il soggetto, Thomas per l’appunto, ricambia continuamente il suo ruolo diegetico e simbolico, anche alla ne del lm, ria ermando il proprio discorso sullo sguardo, sulla sua istanza produttrice e sulla propria funzione di sguardo. Come sottolinea Cuccu, il nale di Blow-up: “ha portato allo scoperto il ‘Soggetto dello sguardo’ come vero oggetto di ri essione, come ‘vero enigma’”226. Ciò che rimane è l’assenza, che è la condizione fondamentale del mondo e dell’immagine, oltre che del cinema. Come ricorda per l’appunto Bertetto, a proposito del lm: “l’assenza è la

connotazione essenziale del mondo. La realtà si è persa, è scomparsa. Il cadavere e la pallina non ci sono più: la loro assenza è parallela e simile. È il segno di una perdita radicale. Il mondo non c’è più”227. Infatti, l’immagine si de nisce proprio grazie all’assenza. Se non ci fosse assenza non ci sarebbe l’immagine, perché vedremo solo l’orizzonte del reale, e non ci sarebbe bisogno di un sostituto, di un simulacro della realtà. Ma da questo punto di vista cosa rimane in Blow-up, se non l’immagine del mondo, visto che il soggetto ha perso la propria immagine a vantaggio dell’accettazione di un’altra realtà possibile, di un altro visibile tutto da ricostruire? In de nitiva, il mondo e il soggetto sono i prodotti di due macchine meta-produttive, che senza di esse non esisterebbe nient’altro: il cinema e il suo sguardo. 100 Su questo aspetto di fondamentale importanza si veda: E. Morin, Le cinéma ou l’homme imaginaire, Minuit, Paris 1958; tr. it. di G. Esposito, Il cinema o l’uomo immaginario (1982), Ra aello Cortina, Milano 2016; J. Lacan, Scritti, cit.; J.P. Sartre, L’immaginaire, Gallimard, Paris 1940; tr. it. di E. Bottasso, Immagine e coscienza, Einaudi, Torino 1948; P. Bertetto, L’immaginario cinematogra co: forme e meccanismi, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Vol. I, Roma 2003. 101 L. Albano, Lo schermo dei sogni. Chiavi psicoanalitiche nel cinema, Marsilio, Venezia 2004, p. 26. 102 Cfr. C. Metz, Le signi ant imaginaire. Psychanalyse et cinéma, Christian Bourgois Èditeur, Paris 1977; tr. it. di C. Orati, Cinema e psicoanalisi. Il signi cante immaginario, Marsilio, Venezia 1980. 103 G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, Laterza, Bari-Roma 1973, p. 31. 104 J. Derrida, La “di érance”, cit., p. 49. 105 J. Derrida, De la grammatologie, Paris, Éditions de Minuit, 1967; tr. it. di R. Balzarotti, F. Bonicalzi, G. Contri, G. Dalmasso, A.C. Loaldi, Della grammatologia (1969), Jacka Book, Milano 1998, p. 79. 106 Su questa problematica della luce si veda: P. Bertetto, Lo specchio e il simulacro, cit., pp. 83-111; J.M. Floch, Les formes de l’empreinte, Fanlac, Périgueux 1986; tr. it. di L. Scalabroni, Forme dell’impronta, Meltemi, Roma 2003. Cfr. D. Bordwell, Figures traced in light, U. P. California, Berkeley 2005. 107 P. Bertetto, Micro loso a del cinema, cit., p. 89. 108 S. Žižek, L’universo di Hitchcock, cit., pp. 45-46. 109 G. Genette, Seuils, Seuil, Paris 1987; tr. it. di C.M. Cederna, Soglie. I dintorni del testo, Einaudi, Torino 1989. Si veda anche: V. Innocenti, V. Re, Limina. Le soglie del lm, Forum, Udine 2004. Cfr. E. Martini, Storia della porta, in “Cineforum”, n. 202, 1981. 110 T. Elsaesser, M. Hagener, Filtheorie. Zur einführung, Junius Verlag, GmbH, Hamburg 2007; tr. it. di F. De Colle, R. Censi, Teoria del lm. Un’introduzione, Einaudi, Torino 2009, p. 39. 111 S. Freud, Metapsychologie, in “G.W.”, vol. X, 412, n. 1, 1915; tr. it. di R. Colorni, Metapsicologia, in Id, La teoria psicoanalitica, Bollati Boringhieri, Torino 1979. 112 Dalle fessure che compongono i titoli di testa si vede una donna che balla. 113 T. Elsaesser, M. Hagener, Teoria del lm, cit., p. 40. 114 S.M. Ejzenštejn, Film Form, Harcout Brace Jovanovich, San Diego 1949; tr. it. di P. Gobetti, La forma cinematogra ca (1964), Einaudi, Torino 1986, p. 5. 115 A. Costa, Lo sguardo del “ âneur” e il magazzino culturale, cit., p. 73. 116 F. Jost, Realtà/Finzione, cit., pp. 57-58. 117 F. Casetti, Teorie del cinema dal dopoguerra a oggi, L’Espresso-Strumenti, Roma 1978, p. 14. 118 P. Bertetto, Il lm e il suo sguardo, in Id (a cura di), L’interpretazione dei lm, Marsilio, Venezia 2003, p. 140. 119 G. Tinazzi, Introduzione, cit., p. 15. 120 M. Heidegger, Holzwege, cit., p. 50. 121 Paolo Gioli lavorerà a un cinema sperimentale basato su tecniche complesse come il foro stenopeico, il foto nish, l’animazione, a fasi in cui verrà iscritto il procedimento fotogra co, la produzione e la con gurazione del nero e del negativo intesi come vettori tecnico-simbolici di grande rilevanza eidetica. Sono lm in un certo senso senza il cinema, che riprendono una certa concezione di proto-cinema delle origini. Uno dei suoi lm si chiama infatti: L’uomo senza macchina da presa come a indicare un cinema senza cinema. 122 Su questo argomento si veda: I. Perniola, Chris Marker o del lm-saggio, Lindau, Torino 2011. 123 Si vedano in proposito i seguenti testi: E. Morin, Il cinema o l’uomo immaginario, cit.; J. Lacan, Scritti, cit. 124 Si veda in proposito: P. Bertetto, L’analisi come interpretazione. Ermeneutica e decostruzione, in Id (a cura di), Metodologie di analisi del lm, cit., pp. 179-222.

125 C. Metz, Cinema e psicoanalisi, cit., p. 10. 126 Ibidem. 127 Si veda sull’argomento: P. Bertetto, Il ri esso, la lacrima, il nero, in G. Carluccio, F. Villa (a cura di), Il lavoro sul testo. La post-analisi, Kaplan, Torino 2005. 128 C. Metz, Cinema e psicoanalisi, cit., p. 10. 129 S. Freud, Die Traumdeutung, Leipzig und Wien, Franza Deuticke 1900; tr. it. di E. Facchinelli, H. Trettl, L’interpretazione dei sogni, Bollati Boringhieri, Torino 1973. 130 Si veda su Lynch il mio studio su Inland Empire dove mi riallaccio a diversi aspetti della messa in scena lynchana e del suo stile: D. Persico, Inland Empire. L’illusione e l’assenza, Albatros, Roma 2010. 131 Cfr. K. Marx, Das Kapital, tr. it. di D. Cantimori, Il Capitale, Editori Riuniti, Roma 1964. 132 Cfr. M. Foucault, Surveiller et punir, Éditions Gallimard, Paris 1975; tr. it. di A. Tarchetti, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 1976. 133 Sull’argomento si veda: H. Marcuse, Eros and Civilisation. A philosophical Inquiry into Freud, The Beacon Press, Boston 1955; tr. it. di L. Bassi, Eros e civiltà, Einaudi, Torino 1964; Id, One-Dimensional Man. Studies in the Ideology ofAdvanced Industrial Society, The Beacon Press, Boston 1964; tr. it. L. Gallino, T. Giano Gallino, L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1967. 134 Si vedano in proposito: E. Branigan, Point of view in the cinema, cit.; F. Casetti, Dentro lo sguardo, cit.; C. Metz, L’énonciation impersonelle ou le site du lm, Klincksieck, Paris 1991, tr. it. di A. Sanna, L’enunciazione impersonale o il luogo del lm, ESI, Napoli 1995; F. Jameson, Firme del visibile, cit.; M. Foucault, Le mot et les choses, Éditions Gallimard, Paris 1966; tr. it. di E. Panaitescu, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli, Milano 1967. 135 S. Freud, Das Unheimliche, in “Imago”, n. 5, 1919; tr. it. di S. Daniele, Il perturbante, in Id, Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, 1975. 136 M. Antonioni, Blow-up, Einaudi, Torino 1967. 137 J. Derrida, La “di érance”, cit., pp. 29-57. 138 M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 145. 139 L. Cuccu, Antonioni.Il discorso dello sguardo …, cit., pp. 43-44. 140 R. Rorty, Pholosophy and the Mirror of Nature, Princeton University Press, Princeton 1979; tr. it. di G. Milione, R. Salizzoni, La loso a e lo specchio della natura (1979), Bompiani, Milano 1986. 141 G. Vattimo, Oltre l’interpretazione, cit., p. 104. 142 Per le forme contemporanee di visione cinematogra ca si veda: F. Casetti, La galassia Lumière, cit. 143 L’espressione circolo ermeneutico non è in realtà coniata da Heidegger, ma da Dilthley, che verrà ripreso oltre che dallo stesso Heidegger, anche da Gadamaer. 144 G. Vattimo, Le avventure della di erenza. Che cosa signi ca pensare dopo Nietzsche e Heidegger, Garzanti, Milano 1980, p. 26. 145 M. Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito, cit., p. 18. 146 Su questi aspetti si vedano: S. Freud, L’io e l’es, cit. 147 Si veda in proposito per un approfondimento dell’argomento: J. Lacan, Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’Io, cit., pp. 87-94. 148 F. Casetti, F. Di Chio, Analisi del lm (1990), Bompiani, Milano 2003, pp. 97-98. 149 P. Bertetto, Lo specchio e il simulacro, cit., p. 187. 150 J.L. Godard, Introduction à une véritable histoire du cinéma, Paris, Albatros, 1980; tr. it. di M. Ciampa, R. Macrelli, Introduzione alla vera storia del cinema, Editori Riuniti, Roma 1980. 151 G. Fink, Antonioni e il giallo alla rovescia, in “Cinema Nuovo”, a. XII, n. 162, 1963, pp. 100-106. 152 Su questo aspetto si veda la prima parte di: Jacques Derrida, Della grammatologia, cit. 153 G. Vattimo, Al di là del soggetto. Nietzsche, Heidegger e l’ermeneutica, Feltrinelli, Milano 1981, p. 54. 154 C. Valenti, Storia del Living Theatre. Conversazione con Judith Malina, Titivillus, Corazzano (PI), 2008. 155 Cfr. F. Villa, “Agonia”: episodi, voyeurismo, identità, in “La valle dell’Eden” (Dossier Bernardo Bertolucci a cura di P. Bertetto, F. Prono), a. IV, n. 10/11, 2002, pp. 103-112. 156 Martin Heidegger, L’epoca dell’immagine del mondo, cit., p. 94. 157 C. Metz, Cinema e psicoanalisi, cit., pp. 9-10. 158 W. Benjamin, Kleine Geschichte der photographie, in “Die literarische welt”, n. 38, 39, 40, 1931, tr. it. Piccola storia della

fotogra a (2002), in Id, Aura e Choc. Saggi sulla teoria dei media, a cura di A. Pinotti e A. Somaini, Einaudi, Torino 2012, p. 230. 159 L. Pirandello, Quaderni di Sera no Gubbio operatore (uscito nel 1916 con il titolo Si gira… per Nuova Antologia), Mondadori, Milano 1954. 160 Su questo aspetto della mano come elemento fondamentale nel cinema e nel processo creativo, si veda: G. Deleuze, Qu’est ce que l’acte de création, in “Tra c”, n. 27, 1998, tr. it. di A. Moscati, Che cos’è l’atto di creazione?, Cronopio, Napoli 2003, p. 14. 161 F. Casetti, L’occhio del Novecento, cit., p. 250. 162 Ibidem. 163 Un approfondimento sulle concezioni teoriche di Vertov richiederebbe un capitolo a parte che appesantirebbe ulteriormente il volume, vi si veda in proposito: P. Bertetto (a cura di), Teoria del cinema rivoluzionario. Gli anni Venti in Urss, Feltrinelli, Milano 1975. 164 Cfr. J. Derrida, Apories. Mourir – s’attendre aux “limites de la verité”, Editions Galilée, Paris, 1996; tr. it. di G. Berto, Aporie. Morire – Attendersi ai “limiti della verità”, Bompiani, Milano 1999. 165 I. Schenk, Causalità e contingenza nelle strutture narrative dei lm di Michelangelo Antonioni, cit., p. 36. 166 R. Barthes, Caro Antonioni…, in Id, Sul cinema, Il Melangolo, Genova 1997, p. 175. 167 Cfr. M. Foucault, La società disciplinare, Mimesis, Milano 2010. 168 M. Antonioni, Blow-up, cit., p. 12. 169 Ibidem. 170 Su questo e altri aspetti legati alle super ciali letture critiche di Antonioni si veda: G. De Vincenti, Michelangelo Antonioni e la critica, cit., pp. 51-131; G. Manzoli, Leggerezza di Michelangelo Antonioni, in A. Boschi, F. di Chiara (a cura di), Michelangelo Antonioni, cit., pp. 19-31. 171 G. Tinazzi, Michelangelo Antonioni (1974), Il Castoro, Milano 2013, p. 29. 172 Cfr. S. Freud, Massenpsychologie und Ich-Analyse, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Wien 1921; tr. it. di E.A. Panaitescu, Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), in Id, Il disagio della civiltà e altri saggi, Bollati Boringhieri, Torino 1971. 173 F. Jameson, Postmodernism, or, The Cultural Logic of a Late Capitalism, Duke University Press, Durham 1988; tr. it. di S. Velotti, Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti, Milano 1989, p. 71. 174 Su questi aspetti si veda: J.L. Baudry, Cinéma: e ets idéologiques produits par l’appareil de base, in “Cinématique”, n. 7-8, 1970, pp. 1-8 ; Id, Le Dispositif, in “Communications”, n. 23, 1975, pp. 56-72; tr. it. di G. Avezzù, S. Arillotta, Il dispositivo, ELS La scuola, Brescia 2017; Id, The Apparatus, in “Camera Obscura”, vol. 1, autunno 1976, pp. 105-126; G. Deleuze, Qu’estce qu’un dispositif, Éditions du Seuil, Paris 1989; tr. it. di A. Moscati, Che cos’è un dispositivo?, Cronopio, Napoli 2009. 175 G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, cit., p. 36. 176 J.F. Lyotard, Discorso, gura, cit., pp. 333-34. 177 M.C. Ropars Wuilleumier, “Blow up”, ovvero il negativo del racconto, cit., p. 40. 178 P. Bertetto, Micro loso a del cinema, cit., p. 91. 179 Su questi aspetti si veda: N. Burch, Praxis du cinéma, Éditions Gallimard 1969; tr. it. di R. Provenzano, Prassi del cinema, Pratiche, Parma 1980; A. Gardies, L’espace au cinéma, Meridiens Klincksieck, Paris 1993. 180 Su questo aspetto si veda il mio intervento al convegno di Tor Vergata tenuto nell’estate del 2012: D. Persico, Con ne e immagine in “Professione: reporter”, in Con ni. Testo, arti, metodologia, ricerca. Atti del convegno interdisciplinare. 4-5-6 giugno 2012. A cura di G. Carpi, M. Lettiero, M. Polli, Edicampus, Roma 2013. 181 Cfr. E. Dagrada, Antonioni e la macchina cinema (“La signora senza camelie” e altro), in G. Tinazzi (a cura di), Michelangelo Antonioni. Identi cazione di un autore, Vol. II, cit., pp. 121-128. 182 Per una nuova critica. I convegni pesaresi 1965-1967, Marsilio, Venezia 1989. 183 F. Casetti, L’occhio del Novecento, cit., p. 251. 184 G. Deleuze, F. Guattari, L’Anti-Edipo, cit., p. 31. 185 Ibidem. 186 Cfr. W. Benjamin, Das Passagen-Werk, hrsg. von Rolf Tiedemann, 2 Bände, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1983; tr. it. I “Passages” di Parigi, a cura di R. Tiedemann, E. Ganni, Einaudi, Torino 2010. 187 P. Bertetto, Micro loso a del cinema, cit. p. 92. 188 G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, cit., p. 31. 189 W. Moser, Lo sguardo ipnotico di Antonioni su un mondo frenetico, in M. Antonioni, J. Cortázar, Io sono il fotografo.

Blow-Up e la fotogra a, Contrasto, Roma 2018, p. 113. 190 F. Wyndham, Fotogra di moda dell’East End in M. Antonioni, J.Cortázar, Io sono il fotografo, cit., p. 144. 191 V. Pravadelli, La grande Hollywood. Stili di vita e di regia nel cinema classico americano, Marsilio, Venezia 2007, p. 123. 192 L. Cuccu, Antonioni. Il discorso dello sguardo …, cit., p. 38. 193 U. Felten, “C’è qualcosa di terribile nella realtà”, cit., p. 47. 194 Cfr. D. Persico, Decostruire lo sguardo, cit., pp. 151-175. 195 Cfr. G. Vattimo, Tecnica ed esistenza. Una mappa loso ca del Novecento, Bruno Mondadori Editore, Milano 2002. 196 Cfr. J. Derrida, Positions, Éditions de Minuit, Paris 1972; tr. it. di M. Chiappini, G. Sertoli, Posizioni, Bertani, Verona 1975. 197 M. Heidegger, Einführung in die Metaphysik (1953), Vittorio Klostermann, Frankfurt 1983; tr. it. di G. Masi, Introduzione alla Meta sica, Mursia, Milano 1968, pp. 166-167. 198 J. Baudrillard, Della seduzione, cit., p. 61. 199 Ivi, p. 37. 200 Cfr. R. Arnheim, Film als Kunst, Ernst Rowohlt, Berlin 1932; tr. it. di P. Gobetti Film come arte, Feltrinelli, Milano 1982. 201 F. Casetti, L’occhio del Novecento, cit., p. 251. 202 S. Chatman, Le innovazioni narrative di Michelangelo Antonioni, cit., p. 20. 203 S. Bernardi, Il paesaggio nel cinema italiano, cit., p. 14. 204 M.C. Ropars Wuilleumier, “Blow up”, ovvero il negativo del racconto, cit., p. 39. 205 G. Deleuze, Cinéma I – L’image-mouvement, Les Editions du Minuit, Paris 1983; tr. it. di J.P. Manganaro, L’immaginemovimento, Ubulibri, Milano 1984, p. 16. 206 Cfr. S.M. Ejzenštejn, Izbrannye proizvedenija v šesti tomach (opere scelte in 6 volumi), Iskusstvo, Moskva 1963-1970; tr. it. di C. De Coro, F. Lamperini, Teoria generale del montaggio, Marsilio, Venezia 1985. 207 A. Sainati, M. Gaudiosi, Analizzare i lm (2007), Marsilio, Venezia 2013, p. 12. 208 Ibidem. 209 F. Casetti, L’occhio del Novecento, cit., p. 232. 210 S. Žižek, L’universo di Hitchcock, cit., p. 64. 211 J. Lacan, Scritti, cit. 212 J. Derrida, Spectres de Marx, Editions Galilée, Paris 1993; tr. it. di G. Chiurazzi, Spettri di Marx, Ra aello Cortina, Milano 1994, p. 190. 213 Ivi, p. 209. 214 Cfr. M. Heidegger, La questione della tecnica, cit. 215 P. Bonitzer, Le regard et la voix, U.G.E., Paris 1976, p. 156 (la traduzione è presente in G. De Vincenti, Michelangelo Antonioni e la critica, cit.). 216 L. Cuccu, Antonioni. Il discorso dello sguardo …, cit., p. 72. 217 S. Bernardi, Antonioni antropologo. In che senso? La messa in questione dell’osservatore, in A. Boschi, F. Di Chiara (a cura di), Michelangelo Antonioni, cit., p. 182. 218 Ibidem. 219 J. Derrida, La “di érance”, cit., p. 53. 220 M.C. Ropars Wuilleumier, “Blow up”, ovvero il negativo del racconto, cit., p. 38. 221 F. Casetti, L’occhio del Novecento, cit., p. 249. 222 P. Bertetto, La macchina del cinema, cit., p. VI. 223 Ivi, p. 251. 224 F. Casetti, L’occhio del Novecento, cit., p. 233. 225 J.P. Sartre, L’Être et le Néant: Essai d’ontologie phénoménologique; tr. it. di G. Del Bo, L’essere e il nulla (1958), Il Saggiatore, Milano 2002, p. 506. 226 L. Cuccu, Antonioni. Il discorso dello sguardo …, cit., p. 91. 227 P. Bertetto, Micro loso a del cinema, cit., p. 91.

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RINGRAZIAMENTI In questo lavoro che dopo tanti anni di ricerca è nalmente concluso, voglio ringraziare chi con il proprio contributo ha reso possibile la realizzazione di questo studio, stimolando discussioni, suggerendo spunti di approfondimento, ecc. Desidero ringraziare Il Professor Paolo Bertetto, per l’aiuto, il supporto, e i consigli che mi hanno accompagnato in un rapporto decennale di collaborazione universitaria e di amicizia. Ringrazio la Professoressa Sonia Bellavia per l’a etto e il sostegno che non sono mai mancati in tanti anni appassionanti e di cili. Ringrazio Mario Calderale e Andrea Minuz per aver ospitato i miei saggi in riviste e volumi collettanei. Ringrazio Salvatore Finelli per la sincera amicizia, per aver letto il manoscritto e avermi suggerito le modi che necessarie. Ringrazio inoltre Giada Di Lello, Gianmarco Cilento, Stefania Venettoni e Davide Crivellaro per la revisione del manoscritto, la correzione delle bozze, per i suggerimenti e le discussioni scaturite. Ringrazio Eleonora Gava, Mario Coppe, Francesca D’Ascanio, Bernardo Mele, Vito Casagrande, Francesco Fantozzi e Gianmarco Cilento che mi hanno aiutato tramite il crowdfunding a sostenere una parte delle spese necessarie per la pubblicazione del libro. Ringrazio in ne mia madre.

Cinema 1. Jean-Luc Douin, Dizionario della censura nel cinema. Tutti i lm tagliati dalle forbici del censore nella storia mondiale del grande schermo 2. Massimo Donà, Abitare la soglia. Cinema e loso a 3. Angelo Moscariello, Breviario di estetica del cinema. Percorso teorico-critico dentro il linguaggio lmico da Lumière al cinema digitale 4. Dziga Vertov, L’occhio della rivoluzione. Scritti dal 1922 al 1942 5. Enrico Biasin, Giovanna Maina, Federico Zecca (a cura di), Il porno espanso. Dal cinema ai nuovi media 6. Thomas E. Wartenberg, Pensare sullo schermo. Cinema come loso a 7. Roland Quilliot, La loso a di Woody Allen 8. Andrea Panzavolta, Lo spettacolo delle ombre. Un itinerario tra cinema, loso a e letteratura 9. Francesco Ceraolo, L’immagine cinematogra ca come forma della mediazione. Conversazione con Vittorio Storaro 10. Luca Taddio (a cura di), David Cronenberg. Un metodo pericoloso 11. André Bazin, Jean Renoir 12. Andrea Rabbito, Il cinema È sogno. Le nuove immagini e i principi della modernità 13. Alessandra Spadino, Pasolini e il cinema ‘inconsumabile’ Una prospettiva critica della modernità 14. Ra aele De Berti, Il volo del cinema. Miti moderni nell’Italia fascista 15. Valentina Re, Cominciare dalla ne 16. Damiano Cantone, I lm pensano da soli 17. Marco Senaldi, Rapporto con denziale. Percorsi tra cinema e arti visivee 18. Marco Boscarol (a cura di), Tetsuo: The Iron Man. Il cinema di Tsukamoto Shin’ya 19. Luca Cosci, Monica Innocenti, Abcinema: abbecedario della settima arte 20. Andrea Panzavolta, Passeggiate nomadi sul grande schermo. Saggi sul cinema da Ingmar Bergman a Tim Burton 21. Francesco Zucconi, La sopravvivenza delle immagini nel cinema. Archivio, montaggio, intermedialità 22. Gianni Volpi, Alfredo Rossi e Jacopo Chessa (a cura di), Barricate di carta. «Cinema&Film», «Ombre rosse», due riviste intorno al ’68 23. Cosetta Saba, Archivio, Cinema, Arte

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68. Fiorella Bonafede, Il cinema di Carlo Battisti. La favolosa vacanza di un insigne glottologo nel mondo della celluloide 69. Christopher Hauke, Ian Alister (a cura di), Jung e il cinema. Il pensiero post-junghiano incontra l’immagine lmica 70. Stefano Usardi, La realtà attraverso lo sguardo di Michelangelo Antonioni. Residui lmici 71. Nicola Pasqualicchio e Alberto Scandola (a cura di), Francesco Rosi. Il cinema e oltre 72. Roberto Lasagna, Da Chaplin a Loach. Scenari e prospettive della psicologia del lavoro attraverso il cinema 73. Manuele Bellini, Gerogli ci e cinema. Il lm come “universale fantastico” 74. Antonio Rainone, Sergio Leone. Dal cinema popolare al cinema d’autore 75. Laura Busetta, L’autoritratto, Cinema e con gurazione della soggettività 76. Pietro Montani (a cura di), I formalisti russi nel cinema 77. Andrea Laquidara, John Ford e il cinema americano. Ovvero la rimozione di Dioniso 78. Stefano Calzati, Phillip Lopate, una vita allo schermo. Ri essioni sul cinema da un maestro americano del personal essay 79. Rinaldo Vignati, Indro Montanelli e il cinema. Un contadino toscano candidato all’Oscar 80. Leonardo Quaresima (a cura di), Cinema tedesco: i lm 81. Giacomo Calorio, To the digital observer. Il cinema giapponese contemporaneo attraverso il monitor 82. Luca Bindi, Jean Eustache: l’istante ritrovato 83. Roberto Lasagna, Benedetta Pallavidino, Anestesia di solitudini. Il cinema di Yorgos Lanthimos 84. Gillo Pontecorvo, Il sole sorge ancora. Tra politica, giornalismo e cinema, a cura di Fabio Francione 85. Jurij M. Lotman, Semiotica del cinema e lineamenti di cine-estetica, presentazione, traduzione e cura di Luciano Ponzio 86. Alfredo Rossi, Lontano dal cinema. Critica e feticismo, ideologia, psicoanalisi 87. Fabrizio Borin, Delitti senza castigo. Dostoevskij secondo Woody Allen 88. Francesco Rabissi, L’occhio politico e visionario del cinema italiano contemporaneo 89. Slavoj Žižek, Guida perversa al cinema d’autore. Da Psyco a Joker