Dal parlato alla grammatica. Costruzione e forma dei testi spontanei 8843088912, 9788843088911

Quando parliamo usiamo la grammatica? Ovviamente sì. Ma allora perché le regole che troviamo nelle grammatiche sono molt

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Dal parlato alla grammatica. Costruzione e forma dei testi spontanei
 8843088912, 9788843088911

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Dal parlato alla grammatica Costruzione e forma dei testi spontanei Miriam Voghera

Carocci editore

Studi Superiori

Carocci editore

Studi Superiori

Quando parliamo usiamo la grammatica? Ovviamente sì. Ma allora perché le regole che troviamo nelle grammatiche sono molto diverse da quelle che usiamo parlando? Anche se la tradizione grammaticale è legata soprattutto alla descrizione dei testi scritti, le stravaganze dei testi parlati non sono segno di scorrettezza, ma frutto di strategie di comunicazione ottimali nelle normali condizioni di spontaneità e naturalezza tipiche dell’espressione orale. Senza la lente deformante di modelli basati sullo scritto, il libro analizza le proprietà della comunicazione parlata, passando in rassegna gli aspetti legati a produzione, ricezione e percezione linguistiche e mostra come la primarietà del parlato nella vita della specie umana e dell’individuo non sia senza conseguenze semiologiche per la configurazione generale dei sistemi verbali. In un percorso che va dal testo alle parti del discorso, emerge in tal modo la grammaticalità del parlato e la sua importanza per la costruzione di un modello più adeguato di grammatica scientifica e didattica.

ISBN 978-88-430-8891-1

24,00

9 788843 088911

Progetto grafico: Falcinelli & Co.

Miriam Voghera è ordinaria di Linguistica generale all’Università degli Studi di Salerno. Le sue ricerche vertono principalmente sulla comunicazione parlata, la sintassi, la semantica e l’educazione linguistica. Per Carocci editore ha pubblicato, con Silvia Luraghi e Anna Maria Thornton, Esercizi di linguistica (2a rist. 2002).

studi superiori / 1094 lingua e letteratura italiana

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele ii, 229 6 Roma telefono      fax     

Siamo su: www.carocci.it www.facebook.com/caroccieditore www.twitter.com/caroccieditore

Miriam Voghera

Dal parlato alla grammatica Costruzione e forma dei testi spontanei

C

Carocci editore

1a edizione, ottobre 17 © copyright 17 by Carocci editore S.p.A., Roma Impaginazione e servizi editoriali: Pagina soc. coop., Bari Finito di stampare nell’ottobre 17 da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG)

isbn ---8891-1 Riproduzione vietata ai sensi di legge (art.  della legge  aprile , n. ) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

1 Quando parliamo usiamo la grammatica?

1.1 Il parlato senza grammatica È opinione comune che quando si parla ci si possano concedere delle libertà nell’uso della lingua che non sono ammissibili quando, per esempio, si scrive. Benché schiere di insegnanti abbiano ripetuto infinite volte che a me mi non si dice, di fatto lo diciamo frequentemente, come pure diciamo ma però, e molte altre costruzioni sanzionate da sempre dalle grammatiche scolastiche. Ciò viene spesso tradotto nell’idea che il parlato sia fuori dal controllo della grammatica e che sia, addirittura, senza grammatica. Se chiedessimo, infatti, di indicare gli aggettivi che caratterizzano di più il parlato e quelli che caratterizzano la grammatica, probabilmente la maggior parte dei parlanti produrrebbe due serie di aggettivi che si oppongono: spontaneo, immediato, movimentato, disordinato il primo; costruita, ragionata, stabile, ordinata la seconda. Il parlato è spontaneo perché, in assenza di deficit, per imparare a parlare non dobbiamo sottoporci a un programma di insegnamento formale: è sufficiente che fin dalla nascita i piccoli della specie umana siano inseriti in scambi comunicativi di cui diventano destinatari e produttori, indipendentemente dal loro livello di conoscenza della lingua. Gli adulti si rivolgono ai bambini fin dalle loro prime ore di vita in modo naturale e spontaneo, non solo come se i bambini potessero capire ciò che ascoltano, ma interpretando le loro vocalizzazioni, gesti e movimenti come risposte intenzionali, cioè mosse comunicative. Tutto ciò è ben illustrato dalla conversazione riportata qui di seguito tra una madre e il figlio di 3 mesi (Crystal, 1986, p. 50), in cui la madre considera le reazioni del neonato al pari di risposte verbali pienamente significative e intavola con lui una vera e propria conversazione1. 1. Gli esempi e le trascrizioni di parlato riportate in questo libro derivano da fonti

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(1) Michael: (loud crying) Mother: Oh my word what a noise! What a noise! (picks up Michael) Michael: (sobs) Mother: Oh dear, dear, dear. Didn’t anybody come to see you? Let’s have a look at you (looks inside nappy). No you’re all right there, aren’t you? Michael: (spluttering noises) Mother: Well, what is it then? Are you hungry? Is that it? Is it a long time since dinner-time? Michael: (gurgles and smiles) Mother (nuzzles baby): Oh yes it is, a long long time. Michael: (cooing noise) Mother: Yes, I know. Let’s go and get some lovely grub, then. How about that...2

Come si vede, ogni vocalizzazione del bambino viene considerata un atto linguistico vero e proprio, a cui la mamma reagisce verbalmente con richieste, risposte, suggerimenti. Questo comportamento comunicativo crea le basi per la costruzione dell’interazione verbale che, nel corso di un paio d’anni, senza nessuno sforzo evidente, porta i bambini a usare la lingua dei loro genitori o di chi si è preso cura di loro. In questi scambi sia i piccoli sia gli adulti reagiscono in modo spontaneo e personale: apparentemente non ci sono regole, ciò che conta è che lo scambio funzioni3. La grammatica, al contrario, è associata all’istruzione formale, a qualcosa, cioè, che va appreso. È infatti comunemente considerata e corpora diversi e inevitabilmente seguono sistemi di trascrizione diversi. Per evitare interpretazioni indebite, ho mantenuto le trascrizioni originali, le cui convenzioni sono riportate all’inizio del volume nella pagina Simboli e convenzioni usati nelle trascrizioni e annotazioni dei testi. Gli esempi in lingua straniera sono normalmente tradotti di seguito al testo; quando si tratta di testi più lunghi la traduzione è riportata in nota. 2. Trad. it.: «Michael: (pianto forte) Mamma: Oddio che rumore! (prende Michael in braccio) Michael: (singhiozzi) Mamma: Oh caro, caro, caro. Nessuno è venuto a vederti? Adesso ti diamo una guardata (guarda nel pannolino). No, va tutto bene, vero? Michael: (borbotta) Mamma: E allora? Che c’è? Hai fame? È così? È passato tanto tempo dall’ora di cena? Michael: (gorgoglia e sorride) Mamma (soffiandogli il naso): Oh sì, tanto tempo. Michael: (tubando) Mamma: Sì, lo so. Andiamo e prendiamo qualcosina di buono da mangiare. Che ne dici di questo...». 3. Ciò non vuol dire che gli adulti non siano consapevoli del ruolo di stimolo che hanno i loro comportamenti comunicativi nei confronti dei piccoli; sull’importanza di questa consapevolezza da parte delle madri si veda McNeill (2012) e la bibliografia in esso contenuta.

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una costruzione logica e sovrapposta alla lingua che si parla tutti i giorni, a cui non appartiene e che tanto meno appartiene ai parlanti. Il parlato è immediato perché ci permette di avere un contatto diretto con il nostro destinatario attraverso il dialogo. Benché si possano produrre monologhi parlati, il contesto naturale e primario della comunicazione parlata, come abbiamo già visto, è lo scambio dialogico, la cui testualità è impastata di intersoggettività, al punto tale che si può credere che la sequenza verbale sia secondaria e con essa la grammatica. La grammatica, al contrario, è considerata una costruzione astratta, tanto è vero che per la maggior parte dei parlanti è priva di qualsiasi riferimento agli scambi reali. Del resto, come vedremo più avanti, la stragrande maggioranza delle grammatiche è basata su esempi costituiti da frasi isolate più o meno complesse, che non hanno un emittente e un destinatario dichiarati o individuabili. Il parlato è movimentato perché si svolge nel tempo, in cui sono rilevanti le variazioni di velocità e ritmo, elementi dinamici per antonomasia, ed è instabile perché è effimero e non lascia alcuna traccia, se non nella nostra memoria. La grammatica, invece, è ritenuta una costruzione stabile, durevole, affidabile perché deve garantire continuità alla lingua, quasi ad eliminare l’esistenza del tempo e del mutamento. Infine il parlato, proprio perché dinamico, può essere disordinato, persino caotico: alternanze, interruzioni, sovrapposizioni, cambi di strategie e argomenti in corso d’opera sono ciò che più di qualsiasi cosa caratterizza gli scambi parlati. Inoltre quando si parla, si improvvisa: può capitare di inserire nel discorso parole in modo imprevedibile. Se ne può avere un’idea con il testo (2), in cui due parlanti romani mescolano l’uso dell’italiano con quello della varietà romana, o con il testo (3) in cui il parlante, raccontando la scena di un film, produce molte ripetizioni4. (2) lip-rb29 B: okay ahò te raccomando dijelo 4. Il testo (2) è tratto dal corpus lip, De Mauro et al. (1993), di cui è ora disponibile la versione volip, Voghera et al. (2014), che permette di ascoltare l’audio, anche di una singola parola, associato alle trascrizioni ortografiche; il volip consente inoltre di interrogare il corpus secondo criteri sociolinguistici, lessicali e morfo-sintattici all’indirizzo www.parlaritaliano.it/index.php/it/volip. Il testo (3) è tratto dal corpus clips, disponibile all’indirizzo www.clips.unina.it. Le fonti degli esempi sono citate prima del testo.

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A: e scusa che non t’ho telefonato subito però ieri sera c’ho avuto dei problemi ieri sera so’ arrivato alle otto e mezza a casa_ B: va bo’ va bo’ A: e allo stamatina ho detto famme leva’ er pensiero da_ denuncia dii redditi perché io la consegno sempre qua vicino # a mano B: ho capi sì sì (3) Ferrante (2016)5 allora quindi il film che ho visto è un film tratto da da Charlie Chaplin intitolato Il Monello del millenovecentoventuno ed è / diciamo s’intitola appunto Il Monello sotratto a Charlot e parla di questo bamb+ cioè / almeno la la scena iniziale con cui si apre il film mostra chiaramente che / come questo bambino venga sottratto diciamo rapito in qualche modo sottratto a Charlot e diciamo che la scena / perlomeno la la scena iniziale del film è ambientata in una stanza in una camera

Insomma il parlato sembra incompatibile con la stessa nozione di norma (Narbona Jiménez, 2003), e quindi di una grammatica, che possa sempre fornirci un insieme di regole ordinate che ci mettono al sicuro dalla babele del divenire e della mescolanza linguistiche. Nel senso comune, dunque, il parlato e la grammatica sembrano trovarsi su fronti opposti, poiché la naturalezza e l’immediatezza del parlare mal si concilia con l’idea di grammatica prescrittiva e normativa, con cui la maggioranza dei parlanti ha familiarità fin dai tempi della scuola. Ma lo iato tra riflessione grammaticale, e più in generale metalinguistica, e parlato ha radici storiche e teoriche che vanno al di là delle grammatiche scolastiche (Sornicola, 1981; Blanche-Benveniste, 1997; Milani, Finazzi, 2004; Linell, 2005). Succede così che tranne poche luminose eccezioni – si pensi alla ben nota A Comprehensive Grammar of the English Language di Quirk et al. (1985) – la maggior parte delle grammatiche di riferimento trascura il ruolo della modalità di codificazione e trasmissione nel dar forma alle produzioni linguistiche e 5. I dati, raccolti da Gabriella Ferrante per la sua tesi di laurea magistrale in Lingue e letterature moderne presso l’Università di Salerno, a.a. 2015-16, dal titolo Parlato e scritto a confronto: una nuova metodologia, rientrano nell’ambito del progetto di ricerca Modokit. Il progetto ha lo scopo di costruire strumenti di osservazione e intervento didattico sul rapporto tra modalità di comunicazione e scelte linguistiche; a tal fine si è raccolto un corpus di narrazioni orali e scritte di studenti di scuole secondarie e universitari, che raccontano scene di film muti di Charlie Chaplin.

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presenta la lingua come un oggetto “amodale”, che di fatto coincide con le sue manifestazioni scritte. Per non incorrere in fraintendimenti, è necessario introdurre subito una distinzione, cui faremo spesso ricorso: quella tra canale e modalità. Indicheremo con canale di comunicazione o trasmissione la via fisica di trasmissione o propagazione di un segnale: il canale fonico-uditivo, gestuale-visivo, grafico-visivo indicano quindi i canali normalmente usati per parlare, comunicare con le lingue dei segni, scrivere. Indicheremo invece con modalità di comunicazione l’insieme delle condizioni semiotiche e comunicative che un canale solitamente e/o preferenzialmente impone all’uso di un codice di comunicazione, per esempio al linguaggio verbale. Il fatto che nelle nostre società alcune forme del rapporto tra canale e modalità si siano culturalmente e storicamente stabilizzate non ci deve indurre a credere che tra canale e modalità ci sia un rapporto meccanico: possiamo adottare infatti più modalità di comunicazione pur usando lo stesso canale. Per esempio diremo che sia lo scritto a stampa tradizionale e sia molta comunicazione mediata dal computer usano il canale grafico-visivo, ma appartengono, evidentemente, a modalità di comunicazioni molto diverse. Nello stesso modo possiamo avere diverse modalità di comunicazione usando il canale fonico-uditivo: si pensi alle differenza di modalità comunicativa tra il parlato faccia a faccia e il parlato telefonico. Come si dirà meglio nel cap. 2, tra canale e modalità non vi è un rapporto biunivoco, ma un rapporto di correlazione: dato l’uso di un determinato canale è molto probabile che si sviluppi una modalità di comunicazione con specifiche caratteristiche. L’esclusione del parlato dall’oggetto di descrizione delle grammatiche e il fatto che esso esibisca meccanismi e strategie diversi da quelli normalmente descritti nella maggior parte delle grammatiche hanno rafforzato l’idea comune che esso fosse meno regolare dello scritto, e in qualche caso addirittura senza grammatica. Eppure gli studi sulla lingua parlata concordano sul fatto che gli enunciati e i testi parlati presentino caratteristiche molto regolari e simili in tutte le lingue, che li rendono sistematicamente diversi, per esempio, da quelli scritti. Negli anni Novanta del Novecento si è molto discusso su quale fosse la causa di queste differenze e se esse dipendessero dalle proprietà dei canali usati o da grammatiche diverse (cfr. Berruto, 1985). Possiamo dire fin da subito che nessuna delle due alternative è sembrata una spiegazione realistica: le peculiarità del parlato non dipendono dall’uso di uno spe19

cifico canale né tanto meno di una specifica grammatica. Nel corso di questo libro mostreremo che la forma dei testi parlati è il risultato della felice compenetrazione tra uso del codice verbale e modalità parlata. Il nostro scopo è, infatti, quello di mostrare che, date le proprietà della modalità parlata e delle lingue storico-naturali, i testi parlati spontanei esibiscono le strutture più funzionali, grammaticali e ben formate possibili. Ciò non toglie, come vedremo, che all’interno dei vincoli e delle potenzialità della modalità parlata esistano molte variazioni possibili e che parlatori addestrati possano produrre nelle stesse condizioni testi meno evidentemente parlati, ma in questo caso non si tratta più di parlato spontaneo.

1.2 La grammatica senza parlato Esiste un legame tradizionale tra insegnamento grammaticale e scrittura, un legame antropologicamente e storicamente motivato, testimoniato tra l’altro dall’etimologia stessa della parola grammatica che, tramite il latino ars grammatica, deriva dal greco tèchne grammatikè letteralmente ‘scienza delle lettere’. Non è dunque sorprendente che i testi scritti abbiano occupato un posto privilegiato nell’ambito della pratica grammaticale. Ciò che sorprende è, piuttosto, la persistenza dell’accettazione di un legame implicito necessario tra testi scritti e teorie linguistiche (Linell, 2005)6. È solo dopo la nascita della scrittura che si sono sviluppate pratiche di riflessione sistematiche sulle lingue (Havelock, 1963; Goody, 2000). Le produzioni foniche sono effimere: non si può tornare sopra un enunciato appena detto come si può fare con un enunciato scritto, poiché le tracce acustiche non permangono. L’evanescenza degli enunciati non permette quindi né all’emittente né al ricevente di avere di fronte il testo prodotto nella sua interezza, ma costringe gli attori dello scambio comunicativo a seguire di pari passo lo svolgersi dell’enunciazione. La contemporaneità della fase di emissione e di ricezione dei segnali fa sì 6. Per una sintesi dei problemi connessi al rapporto tra riflessione metalinguistica e scrittura: Lepschy (1990-1994); Ong (2002), una riedizione con un’aggiunta dell’originale del 1982; Olson (1994); Goody (2001); Valeri (2001); Mancini, Turchetta (2014), in cui segnalo in particolare il saggio di Marazzi.

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che le sequenze di produzione articolatoria e ricezione uditiva dei suoni quasi coincidano, contrariamente a quanto avviene normalmente quando si scrive e si legge. Ciò lega inesorabilmente l’enunciato all’enunciazione e non permette di riprodurre in modo spontaneo e naturale la parola detta al di fuori dell’evento in cui è stata creata e ascoltata. Questo in assenza di scrittura o strumenti di registrazione e riproduzione rende molto difficile, se non impossibile, l’analisi linguistica e soprattutto il confronto tra enunciati prodotti in momenti diversi. La scrittura ha dotato così le lingue di due proprietà decisive ai fini della riflessione metalinguistica: le ha rese visibili e permanenti. La scrittura trasferisce sulla pagina il fluire della produzione linguistica permettendo ai parlanti di vedere la lingua al di fuori di se stessi, cioè indipendentemente dai produttori/ricettori e dalle concrete pratiche comunicative; a ciò si aggiunge che la scrittura fissa le fonie rendendole recuperabili. In tal modo l’enunciato, la parola detta, ciò che era originariamente necessariamente legato al singolo e specifico evento comunicativo, e che di conseguenza ne era parte inscindibile, diventa (o può diventare) un oggetto separato, osservabile in sé. La scrittura crea quindi una distanza tra i parlanti e la lingua, rendendo possibile un processo di oggettivazione delle lingue, che pertanto possono essere osservate, studiate, analizzate. Le nuove potenzialità create dalla scrittura rendono ben chiara la differenza tra canale e modalità e la rilevanza semiotica di quest’ultima. È a questo che si riferisce Goody (ivi, p. 144), quando definisce la scrittura una nuova tecnologia dell’intelletto: So when I use the phrase “technology of the intellect” about writing, I am thinking mainly not about the primary level of physical instrumentation but about the way that writing affects cognitive or intellectual operations, which I take in a wide sense as relating to the understanding of the world in which we live, especially the general methods we use for this.

Le proprietà fisiche dei segnali grafico-visivi rispetto a quelli dei segnali fonico-uditivi hanno certamente contribuito in modo determinante al costituirsi della riflessione grammaticale, ma ben più profondo è il rapporto che si è creato tra operazioni cognitive e pratiche comunicative che ne sono derivate. Come ben sappiamo, la fisionomia che la scrittura ha assunto nel corso della sua storia dipende fortemente dalle particolari condizioni in cui è stata usata, e cioè sia dall’identità e dal ruolo 21

sociale dei suoi utenti, sia dai significati che più frequentemente questi utenti esprimevano attraverso di essa: è questo che ha contribuito a fare della scrittura il modello di riferimento delle trattazioni grammaticali per eccellenza. I testi scritti hanno rappresentato all’interno delle varie comunità usi linguistici esclusivi e riservati ad élites sociali e culturali, e perciò stesso prestigiosi. La scrittura seleziona storicamente un gruppo ristretto di utenti che ne dominano l’uso e la diffusione negli usi più ufficiali e socialmente elevati. Benché qualsiasi contenuto sia esprimibile sia attraverso il parlato sia attraverso lo scritto, nel momento in cui si comincia a diffondere la scrittura si cominciano a differenziare anche i contenuti e gli usi della scrittura dai contenuti e dagli usi del parlato7. Tutto ciò che è pubblico, istituzionale, formale è associato alla prima, mentre al secondo sono destinate le pratiche più private e personali. Poiché il prestigio di un uso linguistico deriva dagli utenti e dal fine della comunicazione, il fatto che la lingua degli usi scritti sia usata da persone selezionate e per scopi pubblici e istituzionali ne ha determinato il maggior prestigio e valore sociale. I testi scritti, tra cui naturalmente hanno un posto speciale quelli letterari, diventano dunque quelli sui quali si tende a costruire la norma e quindi la lingua standard, indipendentemente dal fatto che essi rispecchino la lingua nativa comunitaria o la lingua condivisa dalla maggioranza dei parlanti (Lepschy, 2002a). Il processo di costituzione di una lingua standard è infatti fortemente connesso sia alle pratiche di scrittura sia alla creazione di un canone di testi letterari e istituzionali cui si assegna il ruolo di conservare e rappresentare il patrimonio linguistico della comunità (cfr. Berruto, 2007; 2012). I testi scritti divengono quindi testi di riferimento per la costituzione dell’identità linguistica, ed eventualmente etnica e nazionale e, tra questi, assumono un ruolo decisivo i dizionari e le grammatiche che hanno il compito di dare dignità alla forme linguistiche che le realizzano. La maggior parte delle grammatiche nasce storicamente non tanto come trattazione scientifica, ma come sistematizzazione di lingue di riferimento, il cui modello è prevalentemente, se non esclusivamente, la lingua delle 7. La differenziazione delle pratiche culturali e dei contenuti tra le varie modalità di comunicazione non avviene in tempi rapidi e, soprattutto, non avviene in tempi uniformi in tutte le zone di diffusione della scrittura; si vedano Basile (2014) e le opere citate nella nota precedente.

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istituzioni e delle classi dirigenti e, tra questi, dei letterati (cfr. Goody, 2000)8. Il rapporto privilegiato tra testi scritti letterari e sistematizzazioni grammaticali è presente non solo nelle grammatiche normative, il cui scopo è codificare ciò che è linguisticamente preferibile, ma anche nelle grammatiche descrittive e scientifiche moderne9. Dalla prima metà del Novecento il paradigma dello strutturalismo classico sia europeo sia americano, e successivamente la linguistica generativa, si sono mossi in una prospettiva formalista che ha ignorato lo studio degli aspetti legati alla materialità (fisica o psichica) della comunicazione linguistica. Ai fini della delimitazione della struttura delle lingue o, per il generativismo, della Grammatica Universale, ovvero della facoltà del linguaggio geneticamente determinata, qualsiasi sostanza è equivalente, cioè indifferente. Ciò che conta è l’insieme dei puri rapporti di valore tra gli elementi del sistema, non ciò che li sostanzia e/o il processo che ne supporta la trasmissione. Ciò non ha incoraggiato l’uso di materiali spontanei ed autentici, confermando una pratica logico-grammaticale consolidata, che azzera qualsiasi riferimento extralinguistico. Si usa pertanto materiale linguistico costruito ad hoc in un contesto che possiamo chiamare citazionale10. Ciò dipende oltre che dal perdurare della tradizione, anche dal fatto che l’uso di frasi isolate scritte e formali ben si adatta ad una grammatica desoggettivata e desemantizzata, qual è stata la forma di grammatica prevalente della linguistica teorica moderna (Lepschy, 1966). Ne è una prova il fatto che questa prospettiva, poiché ignora gran parte della semantica, il côte pragmatico, in qualsiasi modo sia espresso, e tutto ciò che possa essere attribuito a fattori di linguistica esterna, individuali o sociali, non incoraggia l’uso di materiali sponta8. Cfr. Goody (2000, p. 144): «At one level that is true, for all languages have a grammar. But “grammars” occur only in societies with writing. [...] Because the “grammar” organizes, it reorganizes the linguistic material and changes the actual situation not merely in an academic sense, not only by making the study of language more “scientific,” but by a process of feedback whereby the “grammar” becomes a model for speakers of that natural language, and hence may delay change or institutionalize usage [...]. The same is true of dictionaries. Words everywhere have meanings. But dictionaries do not only teach how to spell; they spell out meanings in a standardized way, “dictionary definitions,” which then become the norm and the starting point of a discussion». 9. Per una trattazione di carattere storico cfr. Albano Leoni (2009). 10. L’assenza di materiale dialogico autentico è già lamentata da Vološinov (1929): per una discussione su questi argomenti cfr. Goodwin (2007).

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nei e parlati. Del resto, nell’ambito dello strutturalismo la grammatica si identifica con la struttura della lingua, ovvero con la rete di rapporti astratti tra i segni, sulla base della quale i parlanti costruiscono l’invarianza, che permette l’intercomprensione. Lo stesso accade nella grammatica generativa, che lavora all’interno di un modello programmaticamente formale. In questa prospettiva non è la grammatica che deriva dalla lingua, ma la lingua dalla grammatica, poiché quest’ultima non è la struttura del codice, ma il meccanismo generativo del codice. Le teorie generative lavorano per definizione ad un livello di astrattezza profonda e hanno come obiettivo la ricerca di principi o meccanismi unitari universali ed escludono elementi di diversificazione sistemica. La variazione non appartiene al sistema che ne è privo, ma interviene solo a livello dell’esecuzione (Chomsky, 1993; 2001). La programmatica esclusione della variazione degli usi linguistici, perché irrilevante per la ricostruzione della Grammatica Universale, vuol dire che i fattori sociali e culturali, e i processi cognitivi che da essi derivano, rimangono fuori dall’interesse della linguistica teorica. Ciò ha per conseguenza l’impossibilità di trattare in modo sistematico, cioè come fenomeni non casuali o extralinguistici, le variazioni diafasiche e diastratiche, dovute sostanzialmente a fattori sociali, o diamesiche, dovute al cambio di modalità, per esempio scritta o parlata. Ciò che è pertinente è quindi il rapporto “interno”, potremmo dire quasi privato, tra il parlante e il suo sapere linguistico. È naturale quindi che per poter studiare la Grammatica Universale, così intesa, l’unica strada possibile è rivolgersi ai parlanti, in quanto depositari del funzionamento del dispositivo che, sebbene in modo inconsapevole e indiretto, sono gli unici a poter dare informazioni sul funzionamento della grammatica che è dentro di loro. Per questo motivo i giudizi dati dai parlanti nativi sulle frasi della loro lingua madre sono considerati in ambito generativo il test più attendibile di grammaticalità. Ciò comporta un’inevitabile riduzione e idealizzazione dei dati che, se si osserva il materiale analizzato nei lavori generativi, sembra spesso superare la soglia che garantisce l’adeguatezza sia descrittiva sia esplicativa, poiché la maggior parte dei dati è molto lontana dal rappresentare la normale varietà e variabilità inter e intralinguistica. La linguistica generativa offre un’immagine statica e idealizzata della lingua, che non tiene in alcun conto il rapporto tra corredo biologico e interazione con l’ambiente circostante né in fase di acquisizione della lingua materna né nella vita adulta. Posizioni aperte all’inclusione degli aspetti relazionali e pragmatici 24

si trovano nel composito mondo degli approcci funzionali. Fin dalle Tesi del Circolo di Praga del 1929, le teorie funzionaliste hanno adottato un approccio induttivo che tenesse in conto gli aspetti contestuali e comunicativi generali11. Ciò ha aperto le porte ad oggetti linguistici diversificati, in cui hanno potuto trovare posto anche lo studio integrato dei livelli di significazione, quale per esempio la prosodia (cfr. Daneš, 1960). È l’approccio funzionalista che ha aperto la strada all’analisi della conversazione e del discorso, come è ben riassunto nella bella introduzione di Ochs, Schegloff e Thompson (1996) al volume da loro curato dal titolo programmatico di Interaction and Grammar. Nonostante molti altri lavori di grandissimo interesse (Couper-Kuhlen, Selting, 2001; Couper-Kuhlen, Ono, 2007) si è venuta però sfortunatamente a creare una separatezza tra chi era attento all’enunciazione in tutta la sua ricchezza e multidimensionalità e coloro che si occupavano di offrire sistemazioni grammaticali. Tranne poche eccezioni, tra cui emergono i lavori di Michael Halliday (1985; 1994)12, sono pochi i tentativi di integrazione tra le due prospettive, anche se sono più numerosi che in passato gli studi che considerano fenomeni grammaticali tradizionali nell’ambito di un contesto interattivo (Thompson, Fox, Couper-Kuhlen, 2015). Un segno evidente dell’artificiosità del materiale presentato nelle grammatiche è l’assenza di testi dialogici. Eppure, come abbiamo già visto, impariamo la nostra lingua madre attraverso dialoghi, la maggior parte della nostra esperienza linguistica è costituita da dialoghi e, di fatto, ogni rapporto comunicativo spontaneo è modellato sul dialogo. Il dialogo dovrebbe quindi essere un punto di osservazione privilegiato da cui guardare alle strutture linguistiche e al modo in cui le usiamo e le integriamo con altre fonti di informazione; ciò ci permetterebbe di cogliere il grado di flessibilità del sistema linguistico, i limiti della sua invarianza. Eppure il dialogo non è un argomento o una nozione centrale nella linguistica teorica dominante. Sebbene lo studio del dialogo abbia una lunga tradizione che risale alle prime riflessioni sul linguag11. Non è questa la sede per una storia degli approcci sensibili ai fenomeni enunciativi e comunicativi; per sintesi utili ai fini dello studio del parlato cfr. Sornicola (1981; 2014); Voghera (1992); Caffi (2007b). 12. Si tratta di una riedizione di Introduction to Functional Grammar, pubblicata per la prima volta da M. A. K. Halliday nel 1985. Diverse opere di Halliday sono state, nel corso degli ultimi 30 anni, ripubblicate o riedite, spesso con significativi aggiornamenti, cfr. fra le altre Halliday, Webster (2002) e Halliday, Hasan (2013).

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gio nel pensiero greco antico, il suo studio appartiene più alla retorica, alla filosofia e nell’ultimo secolo alla psicologia e all’antropologia. È indicativo che negli indici analitici delle più note storie della linguistica (Mounin, 1968; Robins, 1997; Lepschy, 1990-94) – e nei libri di testo di linguistica o nelle grammatiche non troviamo paragrafi dedicati al dialogo. La marginalità del dialogo nella linguistica teorica si manifesta anche a livello terminologico. Le nozioni di discorso o conversazione, ampiamente diffuse negli studi di pragmatica, si combinano infatti con analisi più che con linguistica: analisi del discorso, analisi della conversazione. Lo conferma una ricerca estemporanea fatta su Google Scholar il 3 marzo 2016, in cui ho trovato 23 occorrenze di conversational linguistics vs. 14.000 di conversational analysis. È significativo del resto che la Longman Grammar of Spoken and Written English di Biber et al. (1999), uno dei principali testi di riferimento sull’inglese parlato, separa la grammatica della conversazione in un capitolo a parte, scelta singolare considerando che la conversazione è certamente il modello di riferimento prototipico del parlato (Bazzanella, 2002). L’assenza di dialoghi dall’orizzonte esplicativo della maggior parte delle grammatiche ha anche la conseguenza di ignorare il complesso ruolo che svolge il ricevente/ascoltatore nel determinare la forma delle nostre produzioni verbali. Goodwin (2007, p. 14) definisce logocentrismo l’esclusiva attenzione alle produzioni verbali e la mancata considerazione delle reazioni dell’ascoltatore, che possono essere verbali, ma anche gestuali: There are crucial differences between a hearer and a subsequent speaker. [...] focusing analysis exclusively on talk treats the speaker as the primary, indeed on occasion the sole actor relevant to the construction of an utterance such as a story, while obscuring, or rendering completely invisible, the simultaneous actions of the hearer.

Torneremo su questi argomenti nel cap. 2, qui basti sottolineare che le frasi isolate che troviamo normalmente nelle grammatiche non hanno un destinatario esplicito e, soprattutto, appaiono del tutto autosufficienti. La realtà linguistica è ben diversa perché la maggior parte delle produzioni richiede una partecipazione attiva del destinatario e ne è fortemente condizionata. La lingua degli esempi esibita nelle grammatiche è presentata per la verità non solo priva di destinatari, ma per definizione amodale e 26

priva di specifici attributi: logocentrica e verbocentrica. Il valore o l’importanza della modalità di codificazione e trasmissione non entrano nell’orizzonte delle trattazioni grammaticali per molteplici motivi di cui parleremo in maggior dettaglio nel cap. 2. Qui basti dire che si dà per scontato che la fonicità sia un attributo di qualsiasi lingua e quindi non si ritiene necessario pertinentizzarla. D’altro canto, è opinio communis che le diverse modalità di trasmissione possano condizionare la struttura superficiale degli enunciati, ma non interferiscono con la struttura grammaticale di una lingua. Questa convinzione accomuna linguisti di varie estrazioni e posizioni teoriche poiché la modalità è ritenuta solo un involucro all’interno del quale il codice lingua “passa”, viene trasmesso, ma che non incide sul codice stesso. Tuttavia il fattore di invarianza più costante nel processo di apprendimento di una lingua in condizioni naturali sembra proprio essere l’uso quantitativamente e funzionalmente primario della modalità parlata (Voghera, 2001), ed escludere qualsiasi considerazione a riguardo sembra ingiustificato. In assenza di una specifica considerazione del rapporto tra modalità e grammatica delle lingue, non si prende normalmente in considerazione che ciò che è ammissibile in una modalità potrebbe non esserlo in un’altra. Si trascura quindi il ruolo che possono svolgere gli elementi che la scrittura alfabetica non rende visibili o possibili, per esempio gli elementi non segmentali quali quelli prosodici. Questo fatto ha spesso impedito di scoprire relazioni tra costituenti nascoste alla vista, ma ben udibili, e centrali per la grammatica generale di una lingua: «Spoken language, as well as language in general, has been taken to include only those features of speech which have regular counterparts in conventional writing!» (Linell, 2005, p. 20). Il principio alla base di questo disinteresse è espresso in modo semplice e chiaro da Uldall (1944, p. 11) nel suo saggio su scritto e parlato: « [I]f either of these two substances, the stream of air or the stream of ink, were an integral part of the language itself, it would not be possible to go from one to another without changing the language». Gran parte della linguistica teorica è stata infatti sostanzialmente priva di qualsiasi riferimento alle proprietà derivate dalla sostanza dei segni, dalle proprietà del canale. Questa posizione ha avuto come conseguenza un lungo disinteresse non solo per la realizzazione fisica dei segni (per es. la fonetica), ma anche per i processi di produzione ed elaborazione cognitiva dei segni linguistici. Tanto il canale quanto i processi elaborativi ad esso connessi, i vincoli cognitivi e percettivi 27

imposti dal canale alla costruzione dei segni, sono stati ritenuti irrilevanti per la grammatica della lingua. Ciò ha impedito di cogliere alcune proprietà fondamentali nell’organizzazione degli enunciati che sono determinate non tanto e non solo dalle proprietà fisiche di un determinato canale, ma dalle condizioni che queste proprietà impongono al processo di produzione ed elaborazione linguistica. È interessante per esempio che Acquaviva (2000), nel valutare se la disomogeneità nei giudizi di grammaticalità vadano considerate come spia dell’esistenza di competenze diverse, considera il peso delle variabili diafasiche, diastratiche e diatopiche nei giudizi di accettabilità dei parlanti italiani. Ma, cosa per noi qui più importante, un po’ sorprendentemente scrive: «Per ovvi motivi, non prenderò in considerazione l’eventualità che la variazione considerata sia sull’altro asse teoricamente possibile, e cioè riguardi la dimensione diamesica (scritto-parlato)» (ivi, p. 260 nota 5). Con «ovvi motivi» Acquaviva probabilmente si riferisce al fatto che la competenza di una lingua non è sensibile alla variazione diamesica perché tutti impariamo le lingue attraverso il canale fonicouditivo e quindi le lingue sono dal punto di vista modale omogenee o uguali. Ciò che non viene preso in considerazione è che si possano usare nelle diverse modalità varietà di lingua diverse (o addirittura lingue diverse) e che questo possa interferire con i propri giudizi di grammaticalità: di fatto alcune frasi non paiono scrivibili, ma paiono dicibili e viceversa o cambiano significato a seconda che siano parlate o scritte13.

1.3 Esclusioni pericolose La scarsa o nulla considerazione della modalità nelle teorie grammaticali ha come conseguenza l’ignoranza o la sottovalutazione funzionale e quantitativa di sottoinsiemi di usi linguistici e costruzioni connessi alla specificità delle condizioni enunciative del parlato, e quindi non (o solo parzialmente) osservabili in altri contesti. È evidente che sono in gioco due diversi livelli di rapporto tra modalità e grammatica. A un primo livello la considerazione della modalità permette di individuare strutture linguistiche tipiche della modalità parlata, che la grammati13. Il problema verrà affrontato più distesamente nei capp. 3-4; per una discussione degli esempi di Acquaviva cfr. Voghera (2005).

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ca dovrebbe descrivere: per esempio i segnali discorsivi (cfr. cap. 3) o i costituenti frasali senza verbo (cfr. cap. 4). A un secondo livello, la considerazione della modalità permette di cogliere come essa può condizionare codificazione e significazione. In questo caso l’esclusione della modalità incide sulle relazioni centrali per la grammatica generale di una lingua. Potremmo quindi dire che nel primo caso l’assenza della variazione modale interferisce con l’adeguatezza descrittiva della grammatica, nel secondo caso con l’adeguatezza esplicativa. Gli esempi che si possono fare sono molteplici, vorrei però riproporre un esempio che ho già utilizzato in un’altra sede (Voghera, 2001), poiché mi pare che renda in modo esemplare il ruolo svolto dalla modalità. All’inizio degli anni Novanta del Novecento il Partito comunista italiano (pci) si stava trasformando in un nuovo partito. Naturalmente vi erano molti oppositori a questa trasformazione, e una delle accuse che venivano rivolte al segretario del Partito di allora, Achille Occhetto, era di trasformare il pci in un partito ibrido e ambiguo: un partito che in fondo non era né carne né pesce. Il quotidiano italiano la Repubblica pubblicò la risposta di Occhetto in un titolo che riporto in (4): (4) Non siamo né carne né pesce

Una prima lettura di questa frase dà un risultato paradossale: il segretario del pci sembra dare ragione ai suoi oppositori, sostenendo che il nuovo partito è effettivamente senza un programma definito. Esiste però una seconda lettura, in cui il non va interpretato come un negazione metalinguistica poiché non nega il contenuto proposizionale dell’asserzione, ma «obbietta su qualche aspetto di un’asserzione precedente», come scrive Chierchia (1997, p. 188). In questo caso la frase potrebbe essere parafrasata da ‘non è vero che (non) siamo né carne né pesce’. L’enunciato in (4) ha dunque due letture cui corrispondono due schemi prosodici diversi14: (4a) // non siamo né carne né PEsce // (4b) // non SIAmo // né carne né PEsce //

14. Le doppie barre oblique indicano i confini di un gruppo tonale e le lettere maiuscole la sillaba con l’accento tonale.

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In (4a) siamo in presenza di una frase copulativa negativa che normalmente sarebbe realizzata da un unico gruppo tonale con un’intonazione discendente. In (4b) potremmo avere due unità tonali: la prima con un andamento intonativo ascendente-discendente sul verbo siamo e la seconda con un andamento intonativo ascendente-discendente. Il significato che nel parlato può essere veicolato dalla scansione prosodica e dall’intonazione in (4b), nello scritto si può veicolare solo aggiungendo altro materiale sintagmatico, per esempio ‘non è vero che non siamo né carne né pesce’. Si può naturalmente obiettare che questi sono casi limite ma, com’è noto, sono spesso proprio questi casi a svelare parti importanti della grammatica delle lingue. Ma l’esclusione della variazione modale dall’orizzonte della linguistica descrittiva e teorica procura anche altre implicite esclusioni e/o marginalizzazioni. La distinzione tra usi parlati e usi scritti interseca infatti quella tra usi primari e appresi fin dalla nascita e usi appresi successivamente, per esempio a scuola. La comunicazione linguistica è, come abbiamo già detto, primariamente orale sia dal punto di vista funzionale sia quantitativo, cfr. De Mauro (1971). Naturalmente esistono parlanti nativi di lingue dei segni, cioè lingue che naturalmente vengono codificate e trasmesse attraverso segni gestuali delle mani, della testa e del corpo, ma questo avviene solo in condizioni di deficit uditivi di parte dei membri della comunità. In assenza di questa condizione, gli esseri umani formano e usano lingue primariamente vocali. In condizioni naturali parliamo più di quanto scriviamo per tutta la vita, sebbene oggi, grazie alla scrittura digitale, scriviamo sempre più per scopi privati e sociali (Antonelli, 2014). Gli usi scritti sono per definizione non nativi e non appartenenti alla varietà materna, cioè a quella che si acquisisce fin dalla nascita e che diventa il normale strumento di pensiero e comunicazione. La nozione di lingua materna, anche solo intuitivamente, è connessa al tipo di relazione intersoggettivamente condivisa tra una lingua e i suoi parlanti, e anche quando si impari a scrivere nella stessa lingua, non si tratta mai della stessa varietà dal punto di vista diafasico (Lepschy, 2002b)15. È evidente che gli usi primari 15. Ciò è confermato dal fatto che quando queste differenze non si verificano, i parlanti hanno reazioni sconcertate o divertite. Questo meccanismo di straniamento linguistico è ampiamente utilizzato per produrre effetti comici, come avviene con il personaggio della serie televisiva The Big Bang Theory, Sheldon, che parla usando la stessa lingua di un testo scientifico.

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sono di tipo informale, cioè si identificano con una comunicazione che presuppone un rapporto paritario tra parlante e ascoltatore che, a sua volta, consente la possibilità di prendere liberamente la parola durante la comunicazione senza una pianificazione precedente e che non richiede un alto grado di attenzione selettiva da parte dell’ascoltatore. In termini generali, dal punto di vista diafasico, gli usi nativi presuppongono la massima vicinanza comunicativa tra interlocutori, come accade nella conversazione quotidiana in famiglia (cfr. Koch, Österreicher, 1985). In questo contesto i parlanti fanno appello, più che in altre circostanze, a ciò che per essi e per i loro interlocutori è più immediato e di facile accesso, selezionando gli usi linguistici meno ricercati che comportano il minimo dispendio per la pianificazione e l’interpretazione. Modalità parlata, usi nativi, vicinanza comunicativa costituiscono elementi solidali che incidono sul modo in cui i parlanti sentono e usano la varietà o le varietà ad essi associate. Alla considerazione sulla collocazione dei vari usi dovrebbe sempre accompagnarsi la valutazione della distanza psicologica percepita dai parlanti tra le varie strutture ed espressioni. Fin dal classico contributo di Fishman (1972), i ricercatori che si sono occupati di variazione linguistica sono concordi nell’affermare che la percezione che i parlanti hanno della autonomia o della distanza tra lingue o varietà, indipendentemente dalla realtà linguistica, è uno dei fattori che contribuisce maggiormente all’avvicinamento o alla distanza tra di esse16. Ciò vuol dire che fattori esterni alla struttura linguistica possono avere in molti casi un peso determinante. A ciò contribuisce, come è ovvio, la diversa funzionalizzazione delle varietà, che ha delle conseguenze sistematiche sull’organizzazione dei messaggi. Gumperz (1982) ha mostrato che gli stessi parlanti mettono in atto strategie comunicative diverse a seconda delle varietà usate poiché i diversi usi linguistici vengono percepiti e attribuiti alle diverse varietà sia in base alle loro caratteristiche formali e funzionali sia per il modo in cui è costruita l’interazione comunicativa. Diventa dunque centrale l’analisi degli eventi comunicativi (speech events), che ha come oggetto di osservazione lo svolgersi dell’interazione tra i membri di un gruppo durante uno scambio comunicativo: ci si sposta dunque dal testo al discorso, e la dimensione pragmatica, la relazione tra il codice verbale e i suoi uten16. È istruttivo a questo proposito il processo linguistico avvenuto nei Balcani dopo la guerra nella ex Jugoslavia, si veda Greenberg (1999).

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ti, viene considerata a pieno titolo un fattore di sistema (Levinson, 1983; Bazzanella, 2008; Caffi, 2009). Limitarsi a o concentrarsi prevalentemente sui testi scritti formali vuol dire quindi escludere le varietà native e ha, tra le altre, la conseguenza di separare la riflessione metalinguistica dalla lingua delle nostre prime esperienze comunicative, ma anche dalla lingua quotidiana con cui ci identifichiamo e gli altri ci identificano. Questo alimenta l’idea che la grammatica appartenga solo ad alcune lingue o varietà di lingua o, altrimenti detto, che solo alcune lingue o varietà di lingua siano meritevoli di grammatica. In tal modo la grammatica diventa una proprietà di un insieme minoritario e prestigioso di usi linguistici non accessibili a tutti. Ciò ha conseguenze anche a livello cognitivo e didattico perché produce una cesura tra la grammatica, per dir così, ufficiale, consentita e le naturali abilità metalinguistiche che i parlanti, in modo spesso inconsapevole, esercitano continuamente grazie alla grammaticalità delle lingue17. Fin da piccoli possediamo una grammatica implicita costruita sulla base delle nostre osservazioni e delle indicazioni, seppure non formali, degli adulti, dei coetanei (Ferreri, 2012). Le abilità metalinguistiche sono parte della facoltà del linguaggio, e quindi della competenza linguistica di ciascuno, in quanto elemento costitutivo della semiosi linguistica. Ci riferiamo qui alla capacità naturale e spontanea che ciascun parlante ha di interrogarsi sulle parole e sui discorsi, sul loro significato, sulla loro adeguatezza o appropriatezza nelle varie situazioni d’uso. La funzione metalinguistica si sviluppa e cresce col crescere dell’acquisizione delle lingue, attraverso i ‘si dice...’ e ‘non si dice...’ dei parlanti più competenti, ma anche dei coetanei, e i ‘che vuol dire...’ dei bambini. In tal modo si costruiscono le chiavi di accesso alla comprensione e all’uso linguistico, i primi abbozzi di definizioni, di categorie metalinguistiche. Queste prime manifestazioni della «metalinguisticità riflessiva» delle lingue, come la definisce De Mauro (2008), il poter usare la lingua per descrivere se stessa, sono parte essenziale della fisiologia del linguaggio e della naturale e spontanea crescita linguistica. Eppure l’insegnamento della grammatica nella maggior parte dei casi non sembra integrare le abilità metalinguistiche naturali nel processo di insegnamento perché l’oggetto delle esperienze linguistiche e le competenze metalinguistiche personali sono spesso usi 17. Per considerazioni di tipo didattico si rimanda al cap. 8.

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parlati, a loro volta associati a registri informali e a varietà regionali. Porzioni linguistiche che rimangono solitamente al di fuori dei confini della grammatica “che si deve imparare”. La mancata saldatura tra i due tipi di esperienza comporta il mancato riconoscimento del legame tra lingua e grammaticalità, e perpetua l’idea che la grammatica sia un oggetto nato dalla mente dei grammatici. Ma la scarsa considerazione della variazione nell’insegnamento della grammatica non penalizza solo la modalità parlata e le varietà e i registri ad essa associati, ma anche la modalità scritta. Nella maggior parte dei casi la scrittura è vista come mero sistema notazionale, il cui unico scopo è quello di trascrivere la lingua, mentre non sempre ne vengono analizzate le proprietà semiotiche (Halliday, 1985; Kress, 2010; Antonelli, 2014). Ne è una prova la totale disattenzione alla variazione nell’ambito della modalità scritta e l’assunzione acritica della varietà letteraria e/o istituzionale come unico modello possibile. Sappiamo bene, però, che la scrittura è un universo semiotico vario e complesso e che, al di fuori dell’ambiente scolastico e/o di formazione, la maggior parte dei testi scritti con cui entriamo in contatto e che produciamo e leggiamo non sono in realtà testi di prosa. Molti di questi non mostrano la continuità verbale tipica della prosa, ma sono al contrario discontinui: manuali di istruzioni, avvisi, pubblicità, insegne, foglietti illustrativi per le medicine, ricette di cucina ecc. E questo per limitarsi a prodotti della scrittura tradizionale. In casi come questi molta della grammatica formale non funziona pur non essendo questi testi agrammaticali (Sampson, 2003; Progovac, 2006; Voghera, Turco, 2008). Assumere quindi la prosa formale come unico modello possibile esclude gran parte del materiale scritto, che è decisivo per capire la semiosi scrittoria, e contribuisce alla rappresentazione di “ciò che la scrittura è”, soprattutto nelle abilità di lettura e scrittura dei meno istruiti. Questo ha effetti inutilmente vincolanti, e in qualche caso direi punitivi, dal punto di vista pedagogico perché impedisce di offrire un panorama più realistico di ciò che si scrive e si legge e di quali abilità di scrittura e lettura è bene raggiungere primariamente. In conclusione, l’assunzione di un unico sistema di modellizzazione, da un lato, rafforza l’idea irrealistica di una lingua amodale, aspecifica, ideale, dall’altro, radica l’immagine di un’unica grammatica possibile. La grammatica della prosa espositiva standard diventa in tal modo la grammatica tout court della lingua. La restrizione dell’oggetto della grammatica anche quando essa non ha intenti normativi, finisce 33

quindi con incoraggiare implicitamente un atteggiamento prescrittivo perché, escludendo tutti gli altri usi, di fatto li fa apparire marginali, se non devianti. La grammatica, anziché descrivere o spiegare la lingua, costruisce essa stessa la lingua che ritiene normale, lo standard: si sostituisce alla realtà linguistica e ne dà un’immagine edulcorata. Limitare quindi la grammatica a un’unica varietà di lingua, quale che essa sia, genera una descrizione o spiegazione che finisce col mostrare deficit concettuali e categoriali, soprattutto quando si allarga la base dei dati fino a comprendere modalità diverse. Benché concettualmente indipendente da altre dimensioni di variazione, quella diamesica correla con altre scelte linguistiche dei parlanti, mettendo in luce relazioni tra porzioni diverse del sistema, che non possono essere ignorate.

1.4 Correlati linguistici funzionali e correlati sociolinguistici Come mai era avvenuto in passato, la raccolta di corpora e i nuovi strumenti che ne sono derivati hanno allargato l’orizzonte della nostra conoscenza dei fatti linguistici in tutte le possibili dimensioni di variazione: diacronica, diatopica, diafasica, diastratica e diamesica. Anche sul parlato si è prodotta una grande messe di ricerche, che ha avuto il merito di mettere in luce fenomeni e usi linguistici meno noti, o addirittura sconosciuti, grazie ai quali oggi sappiamo meglio quali sono gli usi più tipici e frequenti. Come abbiamo già affermato in altre sedi (cfr. Voghera, 2010), esistono delle costanti del discorso parlato, condivise interlinguisticamente, che si rintracciano nei testi parlati anche distanti tra loro dal punto di vista diafasico o diastratico. Lo scopo di questo libro è mostrare che queste costanti sono funzionali all’uso delle lingue storico-naturali nella modalità di comunicazione parlata, sono cioè meccanismi e costruzioni linguistici che esprimono la grammaticalità dei testi in contesto naturale e spontaneo. Detto in altre parole, il mio obiettivo è quello di mostrare che il parlato manifesta regolarità, che non sono altro che regolarità della grammatica della lingua. Non ho dunque l’obiettivo né di offrire una descrizione dettagliata di tutte le strutture del parlato né di presentare le differenze tra il parlato e altre modalità, ma di mostrare le costruzioni basilari, che non potrebbero non occorrere nei testi parlati naturali. Vorrei mettere l’accento sul fatto che queste costruzioni sono il prodotto di strategie comuni34

cativamente ottimali per questa modalità e che quello che dal punto di vista di un’altra modalità, per esempio quella scritta, può apparire eccentrico e deviante, è in realtà il frutto del buon funzionamento della grammatica delle lingue storico-naturali, che sono primariamente parlate. Il riconoscimento della grammaticalità dei meccanismi basici del parlato speriamo renda chiaro che includere il parlato nella base di dati su cui costruire le grammatiche arricchisce la conoscenza non solo della variabilità degli usi, ma anche del sistema linguistico, dei suoi componenti o livelli e può portare alla costruzione di modelli più adeguati dal punto di vista generale. È questo, a nostro parere, un passo necessario che permette di individuare gli elementi basici, anche di altre modalità di trasmissione, all’interno di un quadro unitario. Non esiste una relazione automatica e deterministica tra canale, modalità di comunicazione e prodotto linguistico. Si può parlare come un libro stampato e si può, scrivendo, mimare gli usi parlati; inoltre è del tutto evidente che pratiche culturali diverse e innovazioni tecnologiche possono costruire modalità del tutto originali che usano i medesimi canali. Per questo motivo è bene evitare equivalenze improprie tra canali, modalità e strutture linguistiche. Tuttavia, data una modalità, non tutte le forme testuali e le costruzioni verbali sono ugualmente probabili perché gli utenti tendono a scegliere quelle più adatte o perché più efficienti o perché più adeguate al contesto sociale in cui normalmente avviene la comunicazione. Nel primo caso parliamo di correlati linguistici funzionali, cioè di una correlazione determinata da fattori di rendimento e quindi di costruzioni linguistiche che vengono usate perché permettono un migliore funzionamento della comunicazione. Nel secondo caso, invece, parliamo di correlati sociolinguistici, cioè di costruzioni, la cui occorrenza, per esempio nella modalità parlata, è determinata dal fatto che sono proprie delle varietà usate nelle situazioni in cui si parla, ma non necessariamente facilitano o rendono la comunicazione più facile. Una differenza essenziale tra i due tipi di correlati sta nel fatto che i correlati funzionali sono grandemente condivisi dal punto di vista interlinguistico; quelli sociolinguistici possono invece cambiare da lingua a lingua, perché dipendenti dalla specifiche situazioni di ogni lingua. I due esempi seguenti dovrebbero chiarire la differenza. In (5) abbiamo un esempio di costruzione verbale, l’uso del deittico quello, tipica del discorso parlato, in cui è possibile la condivisione della situazione comunicativa tra produttore e destinatario. I deittici, 35

benché non siano usati solo nella modalità parlata, sono molto più frequenti nel parlato di tutte le lingue, perché rendono la comunicazione più facile e immediata, con il riferimento ad elementi extraverbali. Lo stesso enunciato potrebbe essere realizzato con un segno deittico gestuale, come in (6): (5) Passami quello (6) Passami

La conversazione in (7), invece, esemplifica bene come il parlato spontaneo correli con tratti marcati sociolinguisticamente, in questo caso di una varietà diatopica locale, come quelli riportati in neretto: (7) lip-rb29 A: okay i pagamenti li faccio di quelli soliti? B: sì sì eh sempre fine mese A: se sessanta giorni B: sessanta novanta A: sessanta novanta fine mese B: Banca Commerciale Italiana succursale tiburtina A: Banca Commerciale Italiana succursale? B: tiburtina A: Banca Commerciale Italiana succursale? B: tiburtina A: tiburtina # come vanno ’e cose? B: ah se comincia a core de brutto A: sì? me sembra che se sta sm se sta muo muovendo B: sì sì A: allora io ti ringrazio dell‘ordine B: okay ahò te raccomando dijelo A: e scusa che non t‘ho telefonato subito però ieri sera c‘ho dei problemi ieri sera so’ arrivato alle otto e mezza a casa_ B: va bo’ va bo’ A: e allo stamatina ho detto famme leva’ er pensiero da_ denuncia dii redditi perché io la consegno sempre qua vicino # a mano B: ho capi sì sì

In questo caso abbiamo una conversazione, in cui i due parlanti mescolano l’uso dell’italiano con quello della varietà linguistica romana: l’uso delle forme pronominali me, te, se per mi, ti, si; core de brutto per 36

‘correre molto’; ahò tipica allocuzione romanesca; dijelo con l’approssimante palatale al posto della laterale palatale; la forma so’ per ‘sono’; va bo’ per ‘va bene’; famme levà er pensiero da_ denuncia dii redditi per ‘fammi levare il pensiero della denuncia dei redditi’. È evidente che l’uso della varietà locale in questo caso non dipende da una maggiore efficienza della comunicazione, ma dalla specifica situazione linguistica italiana, in cui fino a qualche decennio fa il parlato per eccellenza era il dialetto e l’italiano era riservato, per quelli che lo conoscevano, alla scrittura (De Mauro, 2011; Berruto, 1993). Ciò fa sì che nelle situazioni informali sia molto comune una comunicazione mistilingue italiano/ dialetto o italiano regionale, non motivata da ragioni funzionali, ma casomai dalla ricerca di una maggiore naturalezza, familiarità, spontaneità. Nel registro colloquiale l’uso di espressioni marcate a livello diatopico deriva talvolta anche da esigenze di espressività e informalità: l’inserzione di elementi locali è frequente anche in parlanti non dialettofoni per marcare proprio la rilassatezza e l’assenza di disparità di ruolo tra gli interlocutori e non è sempre possibile tracciare un confine netto tra usi espressivi di parole dialettali o varianti regionali e fenomeni inconsapevoli di cambiamento o mescolanza di codici (italiano/dialetto) (Voghera, 2011). Il ricorso a questi elementi connota di conseguenza l’italiano colloquiale come un registro di livello più basso rispetto agli usi standard. Il registro colloquiale è quello certamente più frequentemente usato quando si parla e, data l’enorme preponderanza quantitativa degli usi parlati su quelli scritti per qualsiasi parlante, i tratti linguistici ad esso associati sono per molti parlanti il modo più frequente di usare la lingua. Per questo motivo i correlati funzionali e quelli sociolinguistici sono stati spesso confusi gli uni con gli altri e i tratti delle varietà diafasiche o diatopiche più frequentemente associate al parlato sono stati interpretati come tratti connaturati alla modalità parlata. Così, anche se il parlato manifesta un’ampia gamma di registri, è stato identificato con varietà diafasiche e diastratiche basse; ciò è avvenuto tanto più per l’italiano, per i motivi a cui abbiamo accennato, per i quali si è implicitamente diffusa l’equivalenza: modalità parlata = varietà informale = varietà locale18. Per evitare fraintendimenti e confusioni tra piani di variazione, nei 18. Per un inquadramento teorico e storico del complicato intreccio tra il parlato e i suoi correlati sociolinguistici si vedano i due classici di De Mauro (2011; 2014b): Storia linguistica dell’Italia unita e Storia linguistica dell’età repubblicana. Sulle re-

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capitoli seguenti ci occuperemo delle proprietà dei testi parlati condivise interlinguisticamente, tralasciando gli aspetti più specificamente connessi a fattori sociolinguistici19. Benché possano esistere differenze in rapporto al registro di parlato, vi è una forte correlazione tra elementi linguistici e modalità, tale che in un contesto naturale e spontaneo due testi parlati, anche se appartenenti a livelli diversi, tendono ad assomigliarsi più di quanto non si assomiglino un testo parlato e un testo scritto appartenenti allo stesso livello.

1.5 La partizione di questo libro Seguirò un percorso espositivo che parte dalla descrizione delle proprietà fondamentali della comunicazione parlata per proseguire nella descrizione dei correlati funzionali a livello testuale, sintattico, lessicale e semantico delle produzioni parlate. Nel cap. 2 sono descritte le relazioni che esistono tra canale di comunicazione, proprietà generali della produzione e percezione linguistiche e tipo di interazione tra parlanti nella modalità parlata. I dati sperimentali mettono in evidenza che tanto la produzione quanto la percezione linguistica si servono sia del canale fonico-uditivo sia di quello visivo-gestuale, includendo nei gesti sia quelli del corpo sia quelli delle mani. Ne emerge un quadro complesso e dinamico, in cui, come in un ingranaggio, ogni componente si misura e si modella in rapporto alle altre per raggiungere il giusto equilibrio nelle diverse situazioni enunciative. L’ingranaggio modale condiziona naturalmente anche le scelte linguistiche, che non sono tutte ugualmente probabili in qualsiasi modalità di comunicazione, poiché non tutte ugualmente adatte alle medesime condizioni di comunicazione. Ciascuna modalità di comunicazione tende infatti a correlare con i tipi di meccanismi e costruzioni linguistici che meglio si adattano alle condizioni di produzione e ricezione; detto in altre parole, le scelte linguistiche variano col variare dell’ingranaggio modale. I capp. 3 e 4 saranno dedicati ai correlati funzionali rispettivamencenti connotazioni sociolinguistiche assunte dal dialetto nelle nuove generazioni: cfr. Berruto (2006; 2007). 19. Per la trattazione sociolinguistica delle varietà dell’italiano cfr. Berruto (2012).

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te testuali e sintattici, che rappresentano, forse, le caratteristiche più salienti del parlato, cioè riflettono in massimo grado le specificità delle condizioni di produzione e ricezione attraverso una forte discontinuità, che va bilanciata con specifiche configurazioni di coesione e coerenza. Gioca qui un ruolo determinante la prosodia, che assolve numerose funzioni non solo a livello fonetico e fonologico. Dalle ricerche di questi ultimi anni è emerso con chiarezza che gli indici prosodici sono significativi a vari livelli (Sorianello, 2006; Albano Leoni, 2009; Giordano, 2009); servono infatti a identificare: a) la natura segmentale degli elementi prodotti, se siano cioè consonanti o vocali; b) la distribuzione degli accenti lessicali e di frase; c) la struttura della frase; d) la modalità della frase; e) la dinamica informativa all’interno della frase o di unità più ampie; f) fenomeni di focalizzazione. A ciò si aggiungono naturalmente tutte le informazioni di carattere sociolinguistico quali: g) sesso ed età del parlante; h) provenienza geografica; i) caratteristiche socioculturali. In questo libro la prosodia troverà spazio in vari capitoli poiché, come vedremo, contribuisce alla definizione di vari livelli di codificazione. Nel cap. 5 si analizzerà come la modalità influisca sulla distribuzione delle parti del discorso, mentre nel cap. 6 si presentano i principali correlati semantici dei testi parlati. Nel cap. 7 si tireranno le somme di questo percorso, mettendo in connessione i correlati dei vari livelli linguistici per delineare un quadro generale della grammaticalità dei testi testi parlati ovvero di come essi facciano emergere aspetti linguistici sistemici che altrimenti rimarrebbero ignoti. Infine, il cap. 8 è dedicato ad alcune riflessioni sulla rilevanza della modalità di comunicazione nell’insegnamento e nell’apprendimento della lingua materna e sul forte legame tra plurilinguismo e plurimodalità, come nozioni decisive e irrinunciabili per un’educazione linguistica democratica. Come si vede, ho scelto una prospettiva che parte dal testo per arrivare successivamente ai suoi elementi, perché mi pare che sia quella che possa guidare meglio alla comprensione della compenetrazione tra fattori modali e grammatica. Nel corso della mia trattazione cercherò in ogni caso di mantenere sempre chiaro il rapporto tra il livello dell’organizzazione comunicativa, quello testuale generale e quello delle strutture linguistiche. In tal modo mi auguro che lo studio dei fattori modali possa contribuire alla costruzione di modelli di grammatica più adeguati non solo dal punto di vista descrittivo, ma soprattutto 39

esplicativo ed essere di utilità anche per la costruzione di grammatiche didattiche che tengano conto del ruolo decisivo della modalità nell’apprendimento e nella costruzione dei testi. Un altro punto che, infine, voglio mettere in evidenza è la necessità di validare le varie ipotesi su dati sociolinguisticamente affidabili. Quella che oggi si chiama linguistica usage-based ha negli studi sul parlato una tradizione consolidata; tra questi spiccano alcuni pionieristici studi italiani e sull’italiano, che hanno da sempre coniugato la riflessione teorica con analisi sostenute da corpora diacronici e sincronici (Spitzer, 1922; Stammerjohan, 1970; Sornicola, 1981; D’Achille, 1990; Voghera, 1992; De Mauro et al., 1993; Berretta, 1994; Cresti, 2000; Albano Leoni, 2003; Savy, Cutugno, 2009; Cresti, Moneglia, 2005). In continuità con questa tradizione, gli elementi e le strutture linguistiche che qui indico come più frequenti e interlinguisticamente condivisi sono tratti da corpora, non solo italiani.

40

2

La modalità di comunicazione parlata

2.1

L'ingranaggio semiotico

Non c 'è dubbio che tanto i testi parlati quanto quelli scritti derivino molte delle loro caratteristiche dalle proprietà del canale attraverso cui sono trasmessi, per esempio i primi utilizzano in modo significativo il tempo, mentre i secondi lo spazio ( Lepschy, 1 9 8 1 ) . Ma non sono le differenze fisiche del canale che identificano un testo come parlato o scritto, tanto è vero che se anche trascrivessimo un testo parlato, se­ parandone le porzioni in paragrafi e aggiungendo qualche segno di punteggiatura, non diventerebbe un testo scritto, così come un testo scritto letto a voce alta, pur modulandone la velocità di eloquio, non diventerebbe parlato. Una piena comprensione delle strutture della lingua parlata deve necessariamente fare riferimento alle più generali condizioni di produzione e ricezione. È bene infatti tenere in conto sia il versante produttivo sia quello ricettivo perché molte caratteristiche linguistiche dei testi parlati dipendono in egual misura dal grado di controllo e gestione di entrambi i versanti del processo linguistico. Si può avere un'idea della specificità di un testo parlato osservando le trascrizioni dei due testi qui di seguito. (1) LIP-MAI8 - Richiesta di informazione in segreteria1 1. C: io ho chiesto il trasferimento da scienze politiche io però ho perso il 2. numerino della della 3 · A: da noi a scienze politiche ? 1. Nel caso in cui sia utile all'analisi si riporta, dopo l' indicazione del corpus dal quale è tratto l'esempio, il tipo testuale dell'esempio riportato ; inoltre, per agevolare il commento al testo, in alcuni esempi sono progressivamente numerati le righe o i turni di parlato (nel caso di testi dialogici); ricordiamo che tutti i testi LIP sono ascoltabili all' indirizzo http://www.parlaritaliano.it/index.php/it/volip.

41

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA 4·

s. 6 7·

8.

9· IO. I I. I2. 13· I4. IS. I6. I7.

I8.

I9. 20. 21. 22.

C : no da scienze politiche a fìlosofìa A: ha ricevuto una lettera da scienze politiche che diceva che il trasferimento è stato_ C : è avvenuto ? A: sì C : no A: aspetti quella lettera C : devo aspettare quella lettera ? perché invece a scienze politiche mi han detto che dovevo aspettare una vostra telefonata A: prima è da là no ? C : ah A: che loro dicono che hanno mandato i documenti qua poi la chiamia­ mo noi C : ok io ho perso il numerino della_ domanda di trasferimento A: non ha importanza tanto sulla lettera che le arriverà ci sarà anche il numero di matricola C : va bene A: sì C: grazie mille arrivederla

(2) LIP-RDI7 - Intervento a convegno 1. dovremmo tenere presenti a mio avviso due principi l'uno è quello della 2. integrazione l'altro è quello della non assimilazione # che cosa vuol di3 · re ? vuol dire che quando parliamo di integrazione dobbiamo correlarlo 4 · seriamente alla politica dei servizi alla politica della sanità dell'assistenza s . in genere della scuola poi vedremo se col modello francese o col modello 6. tedesco la politica della casa tenendo presente che la pericolosità di a cer7· ti livelli insediamenti localizzati a forte concentrazione etnica solamen8. te l'Africa ad esempio avrebbe delle ripercussioni che sarebbero molto 9· pericolose la politica del lavoro # per quanto con molta difficoltà si sta IO. cercando di fare è una scelta di servizi che compete allo stato che com­ I I. pete alla pubblica amministrazione ma c 'è anche un'altra scelta quella I2. che chiamiamo della amministrazione che è il_ mi pare il progetto 13· principale del nostro convegno ## le politiche tendenti alla_ assimilazio­ I4. ne sono sempre e comunque fallite # io ripercorro con la memoria avendo IS. avuto modo di approfondire questo tema eh quanto è avvenuto negli Stati I6. Uniti d'America # dove ci sono stati tre cicli #

I due testi esibiscono in modo diverso, ma evidente, alcune proprietà tipiche dei testi parlati. Il testo in (I) è uno scambio allo sportello di una segreteria universitaria tra l'impiegata e una persona che chiede varie informazioni. Entrambe le parlanti contribuiscono allo svolgimento del testo, con una progressione tematica, semantica e sintattica che si

2. LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE PARLATA

sviluppa in modo incrementale e aperto, in cui i turni possono essere interrotti e completati nel turno seguente (righe 2-3, s-6). Si fa uso di deissi contestuale, perfettamente comprensibile alle due parlanti all'in­ terno di questo specifico scambio (righe 13, I S ), ma del tutto oscura al di fuori di questo contesto. Le frasi sono brevi e prive di connettivi, così che si ha l' impressione di un testo spezzettato e poco coeso. Il testo in ( 2) è l ' intervento monologico ad un convegno. Natu­ ralmente si tratta di un testo tutto diverso, con frasi molto più lunghe e complesse. Il suo andamento non è lineare perché il parlante fa ampi incisi, parentesi, digressioni (righe 6 I 2 ) . Tuttavia anche in questo caso per diventare un testo scritto bisognerebbe intervenire con un profondo lavoro redazionale. Del resto una verifica empirica della distanza tra un testo parlato e uno scritto si può avere dal confronto dei due testi seguenti, prodotti dalla stessa persona a pochi minuti di distanza, che raccontano, oral­ mente e per iscritto, la stessa scena di Tempi moderni di Charlie Cha­ plin. -

(3) Ferrante (2016) Parlato

Scritto

allora quindi quindi il film che ho visto è un film tratto da da Charlie Chaplin intitolato il Monello del millenovecentoventuno < sp > ed è l diciamo s'intitola ap­ punto Il Monello sottratto a Charlot < sp > e parla di questo bamb+ cioè l almeno la< aa> la scena iniziale < sp> con cui si apre il film mostra chiaramente che l come questo bambino venga sottratto diciamo rapito in qualche modo sottratto a Charlot < sp > e diciamo che la scena l perlomeno la< aa> la scena iniziale del film è ambientata in una stanza < sp > in una camera < sp > e all'improvviso fanno irruzione in que­ sta camera proprio dei l insomma non so delle persone non so chi siano però anche poi la polizia che interviene all 'improvviso e sia Char­ lot che il bambino si divincolano < sp>

Il film appena visto si intitola "Il Monel­ lo" (1921) di Charlie Chaplin. La scena con cui si apre il film riguarda questo monello che viene sottratto a Charlot dalla polizia. I poliziotti fanno irruzio­ ne in questa camera nella quale i due si trovano.

43

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA Come si vede, la parlante nelle due modalità cambia l 'organizzazione testuale che, come vedremo nei capitoli seguenti, nel parlato procede tipicamente in modo epicicloidale per progressioni e parziali ritorni in­ dietro, riformulazioni (Cardona, 19 84) : mostra chiaramente che l come

questo bambino venga sottratto diciamo rapito in qualche modo sottratto a Charlot.

Le peculiarità del parlato, così evidenti nel confronto qui proposto, non dipendono in senso stretto dali' uso del canale fonico-uditivo, ma dal fatto che quest'ultimo correla con alcuni tipi possibili di interazione tra parlanti, che condizionano i processi di produzione e ricezione e, a loro volta, rendono alcune strutture linguistiche più funzionali di altre. Que­ sto complesso insieme di relazioni tra condizioni enunciative e pragma­ tiche, che deriva dalle proprietà del processo di trasmissione e ricezione, è il meccanismo semiotico che chiamiamo modalità di comunicazione, in cui tutte le componenti sono ugualmente essenziali e interconnesse come in un unico ingranaggio, al punto che talvolta si perdono di vista i punti di intersezione e si rischia di non coglierne la rilevanza specifica dei singoli elementi. La modalità non è costituita infatti da una successione di fattori in una relazione di causa ed effetto, ma da un sistema dinamico di interdipendenze, il cui equilibrio può mutare. La storia semiologica della specie ci ha infatti insegnato che non c 'è un rapporto biunivoco tra canali e modalità di trasmissione, cioè possiamo avere più modalità per uno stesso canale perché la relazione tra gli elementi che delimitano il funzionamento dell'ingranaggio può variare, anche in rapporto a un ulteriore fattore di mediazione : quello tecnologico (Fiormonte, 2003; Kress, 2010; Simone, 2000 ) Basti pensare al telefono, che rende possibi­ le la comunicazione parlata a distanza, o alle chat, che rendono possibile la comunicazione scritta dialogica (quasi) sincrona. Nelle pagine seguenti delineeremo le principali caratteristiche del­ la modalità parlata, nella sua manifestazione prototipica, quella cioè che si attualizza in condizioni spontanee e naturali nella maggior parte degli scambi comunicativi degli esseri umani. .

2.2

Il dialogo naturale: un sistema audiovisuale complesso

Impariamo a parlare dialogando con gli altri e la maggior parte delle nostre produzioni parlate avviene in contesti dialogici lungo tutto l' ar44

2.

LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE PARLATA

co della vita. Le ricerche sulle origini del linguaggio sono d'accordo nel sostenere che i primi scambi sono avvenuti presumibilmente attirando lo sguardo e l'attenzione del ricevente indicando qualcosa con il dito : la tendenza naturale nel seguire la direzione dello sguardo di chi indica e di interpretare le azioni degli altri come intenzionali hanno creato i presupposti per la comunicazione sociale (Deacon, I997; Tomasel­ lo, 2oo8; McNeill, 20I2; Schilhab, Stjernfel, Deacon, 20I2; Levinson, Holler, 20 I4). Puntare qualcosa con il dito non avrebbe quindi solo uno scopo indessicale, ma quello di richiamare l'attenzione del riceven­ te verso qualcosa di mutuo interesse. La pervasività della dimensione sociale della comunicazione va infatti ben al di là delle proprietà del canale usato e della fisiologia dell'apparato fonatorio e uditivo (cfr. Lieberman, Blumstein, 1988; Levelt, 1989); la capacità di instaurare un' interazione sembrerebbe precedente alla nascita del linguaggio, tanto che secondo alcuni autori (Levinson, 200 6; Levinson, Holler, 2014) è l ' intelligenza interattiva che ha permesso la nascita del linguaggio e non viceversa. La dimen­ sione interattiva pervade infatti la modalità parlata in ogni sua mani­ festazione e in ogni circostanza, anche nei casi in cui, come vedremo, siamo in presenza di un testo monologico. L' interazione in condizioni naturali è costruita attraverso processi di produzione e ricezione conti­ nui in tempo reale con un rapido alternarsi di turni; come sottolineano Marslen-Wilson e Komisarjevsky Tyler (1980, p. I ) : Spoken language understanding is, above ali, an activity that takes piace rapidly in time. The listener hears a series of transient acoustic events, that normally will not be repeated, and to which he must assign an immediate interpretation.

Si calcola che ogni giorno produciamo circa 1 6.ooo parole in circa 1.200 turni di conversazione e che tra un turno e l'altro ci siano in media 200 ms (Mehl et al. , 2007 ) . Se consideriamo che per produrre una risposta ci possono volere dai 6oo ms ai I.soo ms, è chiaro che il parlante deve programmare ciò che sta per dire prima che il suo interlocutore abbia finito di parlare. Perché l'alternanza dei turni si svolga in modo fluente e naturale i parlanti devono quindi agire in anticipo, con il risultato che l 'attività di comprensione e produzione sono di fatto parzialmente contemporanee. Ciò comporta necessariamente scelte rapide e un bas­ so grado di progettazione in produzione, fattore che più di ogni altro caratterizza la modalità parlata.

45

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA A ciò si aggiunge il fatto che la comunicazione attraverso il canale fonico-uditivo si basa su segnali acustici estremamente variabili, spesso trasmessi in condizioni non ottimali : basti pensare alle differenze tra le voci femminili e maschili, alla comunicazione via telefono o all'a­ perto con rumori di fondo. Nonostante ciò, i parlanti sono in grado di associare i segnali a rappresentazioni linguistiche, fonema, sillaba, parola ecc., distinguendo di volta in volta quali variabili acustiche sono significanti, quali derivano dal contesto fonotattico, quali dipendono dalle caratteristiche individuali del parlante, e infine quali ancora sono rumore ( Diehl, 2oo8; Darwin, 2oo8). Fin dai primi studi negli anni Cinquanta del Novecento è emerso che la percezione linguistica è un processo estremamente complesso perché a ) non sempre la stessa configurazione degli organi articolatori dà luogo allo stesso risultato acustico ; b) non sempre lo stesso segnale in termini acustici è percepito in ugual modo dall'ascoltatore. Ciò accade per segmenti di varia qualità e di varia lunghezza, per esempio per seg­ menti che dovrebbero essere la base percettiva di unità quali il fonema o la sillaba. Il processo della percezione linguistica non è quindi de­ scrivibile come un processo di riconoscimento, poiché gli stimoli non presentano invarianze sufficienti tali da poter essere associati in mo­ do biunivoco ad un'unità linguistica ( Lindbolm, 2004; Holt, Lotto, 2010 ). In poche parole, ciò che i parlanti identificano come elemento linguistico non dipende dalla presenza o dall'assenza di un tratto o una classe di tratti acustici stabili e ricorrenti, ma può corrispondere a seg­ menti dalle qualità articolatorie e acustiche diverse e, soprattutto, non del tutto prevedibili, neanche nel parlato di laboratorio. Uno stesso suono dal punto di vista delle sue proprietà acustiche può infatti riceve­ re interpretazioni linguistiche diverse in rapporto a un ampio numero di variabili, tra cui bisogna annoverare almeno il contesto fonotattico in cui il suono è inserito e il tipo di compito all'interno del quale avvie­ ne il riconoscimento. Risultati sperimentali, confermati da un ampissimo numero di ricerche, evidenziano il fatto che i parlanti sono sensibili a valori di­ versi dei vari parametri acustici in rapporto ai fattori coarticolativi e 2. Gli studi sulla percezione linguistica si sono espansi in molte direzioni an­ che interdisciplinari; per iniziare si vedano alcuni lavori di carattere generale come Bregman (1994); Hawkins (2004) ; Pisani, Remez (2oos) ; Moore (2oo8) ; Albano Leoni, Maturi (1995).

2.

LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE PARLATA

fonotattici in genere (Holt, Lotto, 2.0IO ) . Ciò che noi uditivamente percepiamo come lo stesso suono e attribuiremmo allo stesso fonema, per esempio /d/, ha nelle sequenze [di] e [du] caratteristiche acusti­ che molto diverse; d'altro canto, ciò che uditivamente attribuiremmo a due fonemi diversi /p/ e /k/ nei contesti [pi] e [ka] è acusticamente uguale. Inoltre, non solo possono variare i valori dei parametri acustici associati agli elementi significanti, la variazione nel segnale è tale che non è possibile stabilire a priori quale parametro bisognerà prendere in considerazione per determinare il valore distintivo di una sequenza fonica : la stessa caratteristica acustica (frequenza fondamentale, fre­ quenza delle formanti, durata delle transizioni formantiche ecc.) può essere infatti in un caso irrilevante, in un altro significante. Per esempio, ascoltando il segmento [ba] , ignoreremo il valore della frequenza fon­ damentale della vocale [a] nel caso in cui dipenda da una variazione di voce maschile vs. femminile, ne terremo invece conto per distinguere /ba/ da lpa/, perché è la differenza di altezza relativa che distingue le due sequenze. Infine, i dati sperimentali mostrano che i parlanti riesco­ no a elaborare tutti questi parametri e prendere decisioni percettive, cioè identificare un elemento linguistico, prima che la sua articolazione sia effettivamente conclusa. Ma la distanza tra la qualità del segnale e la percezione può arrivare fino al punto di riuscire a percepire unità linguistiche che sono sta­ te sostituite da rumore o addirittura acusticamente assenti - Warren ( I970 ) ; Albano Leoni, Maturi ( I99 s ) . Numerosi esperimenti hanno dimostrato che molto frequentemente sentiamo porzioni che in realtà non hanno una realizzazione fisica, ma percepiamo grazie a una sintesi percettiva. Si tratta dei fenomeni noti col nome di phoneme restorations, ma che, in realtà, « are no t restricted to a single phoneme, but may involved deleted clusters of two or three sounds », come scrive Warren ( 1970, p. 392. ) 3• Non solo i parlanti reintegrano il suono mancante, ma non sanno distinguere le frasi in cui manca il suono da quelle intatte, anche se le ascoltano più volte e sono stati avvertiti che vi è stata una manipolazione : di fatto per essi non c 'è differenza tra sequenza acustica ricostruita e quella originale. Il recupero dell ' informazione acustica del tutto assente è evidentemente possibile grazie all'uso della memoria 3· Come vedremo nel CAP. 4, questi fenomeni di bassa specificazione fonica pos­ sono verificarsi anche in porzioni dei costituenti sintattici rilevanti ai fini deli'accordo (Savy, 1999 ) .

47

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA e dell' informazione linguistica, che si rivelano due elementi attivi nel guidare il processo percettivo4• Il reintegro percettivo di porzioni fo­ niche mancanti o fortemente ipospecificate dipende naturalmente dal fatto che il produttore è normalmente più concentrato su ciò che si vuole comunicare e presta poca attenzione al livello di accuratezza della realizzazione fonica. Questo fenomeno è stato registrato naturalmente anche nell' italia­ no parlato. Nel parlato spontaneo il parlante tende ad articolare quel tanto che è necessario alla comprensione di ciò che sta dicendo, ma elimina ogni gesto articolatorio che non è esplicitamente necessario (Brown, 1990 ). Ciò produce un basso grado di specificazione segmen­ tale del segnale (cfr. Albano Leoni, Maturi, 199 5 ; Savy, 1999; 2001), che può dar luogo a fenomeni diversi. Si riportano a titolo di esempio alcuni casi di parlato di milanesi analizzati in Savy (1999) , che ben illu­ strano quale output si può realizzare : a) sandhi derivante da coarticolazione e/ o indebolimento delle articolazioni consonantiche (per queste due tabelle realizzato come [perkwessgdgtabEj]); b) elisione di foni o di sillabe (per le nostre ricerche realizzato come [pellen�striJe]; c) mutamenti di timbro delle vocali (questa differenza realizzato come [westgdifferEnse]). È bene sottolineare che non si tratta di fatti sporadici e confinati a tipi di parlato particolarmente trascurati e diafasicamente bassi né a particolari varietà diatopiche. Al contrario, la maggior parte del parlato presenta i fenomeni descritti in proporzioni tali da poterli definire la norma nel parlato spontaneo. L' insieme di questi risultati è ampiamente confermato e rafforzato quanto più si varia il tipo di compito linguistico sottoposto a indagine. A dimostrazione della dinamicità del procedimento della percezione linguistica, vari esperimenti hanno mostrato che il tipo e il numero del­ le variabili acustiche utilizzate può dipendere anche da fattori esterni al segnale : per esempio dalle condizioni di trasmissione, dal tipo di com­ pito linguistico e dal tipo di messaggio. È stato dimostrato, per esem­ pio, che i parlanti si affidano alle proprietà acustiche del segnale quanto più è difficile risalire al significato, per esempio negli esperimenti con le 4· Fenomeni di ricostruzione di sequenze sono riportati anche in campo visivo, cfr. Massaro (2004) .

2.

LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE PARLATA

non-parole. Al contrario, nel caso di parole della propria lingua nativa ci sono prove crescenti del fatto che fin dalle primissime fasi i processi percettivi sono influenzati dal contesto e dall'attenzione (Tanenhaus, Brown-Schmidt, 2008). Sebbene non siano numerose, le indagini sul parlato connesso han­ no messo in risalto il ruolo percettivo della prosodia sia per quanto riguarda le modulazioni della frequenza fondamentale sia per le varia­ zioni di durata e velocità di eloquio (Hawkins, 2004; Marotta, Boula de Mareiiil, 20IO ) . Se da un lato i parlanti sembrano essere sensibili an­ che alla minima variazione prosodica, dall'altro, così come per il livel­ lo segmentale, non sono stati individuati correlati acustici stabili e co­ stanti delle variazioni sul versante della percezione. Anche se esistono modelli discreti dell' intonazione (Pierrehumbert, Hirschberg, 1990 ), non abbiamo prove della percezione categorica degli accenti tonali di frase, e del resto anche per quanto riguarda il livello segmentale sap­ piamo che la percezione di alcuni suoni è categorica, per esempio delle consonanti ostruenti, ma la percezione di altri è continua. In realtà gli studi sulla prosodia mettono in luce che i parlanti utilizzano due tipi di percezione, olistica e analitica, che interagiscono strettamente, tanto che si può determinare agevolmente il passaggio da un piano percettivo all'altro ( Marotta, Bo ula de Mareiiil, 20 I o). Ne è una prova il fatto che a seconda del compito si possono usare unità di riferimento diverse. Se da un lato esistono oramai numerose conferme a favore della sillaba come l'unità di riferimento di base nei primi anni dell'acquisizione, i dati su bambini e adulti scolarizzati mostrano la capacità di usare in al­ cune circostanze anche fonemi. Questo spiega l ' interrelazione tra varie unità di percezione, che sfrutta in modo diverso la conoscenza lingui­ stica pregressa e la memoria di ciò che è già stato sentito a seconda del compito (cfr. Jusczyk, I997 ) . La presenza e regolarità dei processi adattativi è confermata con ancora più evidenza dalle ricerche sulla produzione e comprensione di parlato spontaneo (Tanenhaus, Brown-Schmidt, 2oo8), in cui si sono messe a punto tecniche che correlano il tracciato dei movimenti oculari con il comportamento linguistico. Queste indagini hanno raggiunto risultati molto promettenti perché analizzano il parlato conversazio­ nale e hanno quindi potuto registrare la relazione tra attenzione, tipo di attività in cui i parlanti sono coinvolti e comportamento verbale. I risultati mostrano l'esistenza di un sistema coordinato che comprende i movimenti dei parlanti, compresi quelli oculari, e le loro scelte lingui-

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DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA stiche. In esperimenti condotti su dialoghi orientati allo svolgimento di un compito, i parlanti richiamavano l'attenzione del proprio interlo­ cutore su referenti che poteva essere difficile identificare solo attraverso indicazioni verbali. Lo sguardo svolgeva di fatto una funzione deittica perché permetteva di indicare l'elemento che verbalmente risultava ambiguo : quanto più l'enunciato poteva essere indefinito per l'ascol­ tatore, tanto più i parlanti si soffermavano con lo sguardo sul referente nominato per indicarlo al destinatario. È esperienza comune, del resto, quella di usare lo sguardo per indicare un oggetto o un elemento pre­ sente nel contesto sia quando non ci viene in mente il nome sia per accompagnare ciò che stiamo dicendo. Il ruolo degli elementi visivi nella percezione linguistica, e più in generale nella comprensione degli enunciati, è riconosciuto fin dagli anni Cinquanta, ma mentre prima si pensava che fosse limitato ai casi di sequenze vocali sottospecificate, oggi i risultati sperimentali mostra­ no che la visione non solo integra l'informazione acustica, ma è con essa coordinata nella produzione ed elaborazione dell' informazione linguistica. Il caso più noto di integrazione dell'informazione che de­ riva dalla percezione uditiva e da quella visiva è certamente l'effetto McGurk. Nel 1 976 Harry McGurk e John MacDonald su Nature ri­ portano i risultati di alcuni esperimenti che provavano la forte influen­ za della percezione visiva sulla percezione uditiva. In particolare i due ricercatori avevano verificato sperimentalmente che i parlanti perce­ piscono diversamente lo stesso suono a seconda dei movimenti arti­ colatori cui è associato. Nell'esperimento, infatti, lo stesso suono [ba] era percepito [da] se associato con i movimenti labiali per produrre [ga] , ma era percepito come [ba] se udito in assenza di lettura labiale. La comprensione del solo segnale vocale quindi dà effetti diversi da quella del segnale vocale integrato con quello visivo o perché le due informazioni si completano o perché si rafforzano, aumentando la ri­ dondanza. Di fatto, quindi, anche il solo uso del canale fonico-uditivo in condizioni naturali prevede una ridondanza pluricanale : l'effetto McGurk, confermato in numerosi altri esperimenti con parlanti di nu­ merose lingue, tra cui l ' italiano, mostra che la percezione linguistica è un processo multisensoriale e che la lettura labiale ne è parte integrante (Massaro, Stork, 1998; Rosenblum, 2005). Del resto gli apprendenti di lingue straniere sperimentano continuamente che la lontananza dal lo­ cutore diminuisce la comprensione, non solo perché non possiamo fare affidamento sulla lettura labiale, ma perché la scena visiva influenza il

so

2.

LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE PARLATA

meccanismo dell'attenzione uditiva, per esempio, nell ' indirizzare la lo­ calizzazione spaziale del suono. All' integrazione audio-visiva dobbia­ mo infatti la capacità umana di esercitare un'attenzione selettiva verso una specifica fonte acustica e di riconoscerla in un ambiente. Questo fenomeno psicoacustico è stato chiamato da Colin Cherry, in un famo­ so studio del I 9 5 3, effetto cocktailparty perché indica la possibilità, per esempio durante una festa, di svolgere una conversazione e quindi sele­ zionare la voce del nostro interlocutore, ignorando i numerosi rumori di fondo : altre conversazioni, musica ecc. (Bregman, I994; Schwartz, Berthommier, Savariaux, 2004; Haykin, Chen, 2oo s). Per questo insie­ me di motivi è quindi più adeguato definire la percezione linguistica come percezione audiovisiva, cfr. Massaro (2004); Rosemblum (2oos). Dal punto di vista dello sviluppo sia filogenetico sia ontogenetico del resto gli esseri umani hanno saputo naturalmente produrre e in­ terpretare significati attraverso canali e materialità diverse. Gli esseri umani hanno infatti utilizzato per la produzione e ricezione di segni abilità cognitive e parti del proprio corpo in modo creativo, cioè ori­ ginariamente non prevedi bile. Usando l 'espressione di Elizabeth Bates ( I979 ), il linguaggio umano può essere descritto come una macchina nuova fatta di elementi che sono stati convertiti alla comunicazione e che hanno pian piano costituito un sistema di produzione e ricezio­ ne di segni5• Tomasello (2oo8) accredita la linea evolutiva secondo la quale la prima espressione della comunicazione umana è stata quella visivo-gestuale ; McNeill ( 20 I 2, p. s 9) sostiene invece che fin dali' inizio la comunicazione umana sia stata sia gestuale sia vocale : We [ . ] agree with gesture fìrst in asserting that language could no t have come into existence without gesture. The error, as we see it, is in the explanation for why this was so; that gesture had to precede speech [ ... ] . We argue on the contrary that speech and gesture had to evolve together - speech and gesture are "equiprimordial". ..

Nonostante le differenze, su cui in questa sede non è necessario sof­ fermarci, entrambe le teorie prevedono che l'uso del linguaggio vocale non sia mai stato disgiunto da quello gestuale (cfr. Rosenblum, 2oos).

S· Lo stesso procedimento di rifunzionalizzazione ha naturalmente riguardato anche gli elementi dell'ambiente circostante con la costruzione di strumenti per la produzione e ricezione di segni, per esempio, grafici.

SI

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA Il ruolo dell'uso cooperativo di più canali nella comunicazione uma­ na emerge del resto in contesti naturali sia nella comunicazione vocale prelinguistica (Goldin-Meadow, 201 4; Liszkowski, 2014), sia nell'uso delle lingue vocali sia nei parlanti nativi delle lingue dei segni, che co­ ordinano i movimenti delle mani a quelli del viso, e quelli del corpo a quelli articolatori (Bates, Dick, 2002; Bellugi, Poizner, Klima, 1993). Ci riferiamo qui a gesti che hanno una chiara espressività e che quindi producono significato : «A gesture is a manifestely expressive action that enacts imagery (no t necessarly by the hands or hands alone) and is generated as part of the process of speaking » , come scrive McNeill (2012, p. 4). I gesti possono essere del tutto autonomi, come quello della mano per 'ok', che McNeill chiama emblemi, o co-verbali, cioè integrati nel flusso della comunicazione verbale. Questi ultimi possono avere significati diversi e combinarsi variamente con le sequenze verbali (Poggi, 2006; Lepschy, 2oo8). Tanto i segnali vocali quanto quelli gestuali condividono alcune caratteristiche di base. In primo luogo sono effimeri, cioè non perman­ gono se non nella memoria. Una seconda caratteristica condivisa dai segnali vocali e gestuali è l'organizzazione temporale. Turti i parame­ tri legati ai fenomeni temporali (ritmo, velocità e durata) permeano la modalità parlata e sono usati in modo significativo sia nel linguaggio verbale sia in quello gestuale. Inoltre, anche nei gesti possiamo distin­ guere tra elementi segmentali e soprasegmentali e individuare la signi­ ficatività dei secondi in rapporto ai primi. La durata, per esempio, può avere valore distintivo sia per i segmenti vocali sia gestuali : pensiamo alla diversa durata consonantica che distingue l'palla/ da l'pala/ e al gesto con il palmo della mano aperto che si muove dali ' interno verso l'esterno che, a seconda della durata di esecuzione, può essere un invito (lungo) o un allontanamento (breve).

I fattori temporali oltre ad essere pertinenti per il significato di segni vocali e gestuali, possono regolare la relazione tra di essi. Esistono or­ mai numerosi studi che mostrano che non solo la gestualità è connessa

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2.

LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE PARLATA

al tempo del flusso verbale e, in particolare, alla prosodia, ma che la percezione uditiva migliora se accompagnata da gesti (Foxton, Riviere, Barone, 20IO; Guellai, Langus, Nespor, 20I 4). Ciò accade anche quan­ do parliamo al telefono, cioè in assenza fisica del destinatario, e quindi usiamo i gesti non tanto per integrare l ' informazione sonora, ma come scansione ritmica del parlato (cfr. Bavelas et al. , 2oo8). Secondo Kendon (2004) , possiamo classificare i gesti, sulla base dei loro significati, in referenziali, pragmatici, grammaticali. È referen­ ziale per esempio il gesto della mano chiusa a pugno, il cui pollice viene portato verso la bocca per significare ' bere '. Sono grammaticali i gesti, i movimenti del corpo (per esempio delle spalle), le espressioni facciali che veicolano valori modali, usati per indicare che ciò che si dice non è un'affermazione, ma un dubbio, un' ipotesi ecc. Molti di questi signifi­ cati, trasmessi da espressioni facciali, si sono fissati negli emoticons, che in molti casi hanno perso la loro trasparenza iconica, anche se manten­ gono un contatto funzionale con l'espressività naturale, per esempio proprio nel fatto che in molti casi sono delle vere e proprie marche di modalità. Nell'esempio (4), l'emoticon ha la funzione di segnalare che la frase è un dubbio : ( 4) Maria non mente mai

Un esempio di gesto con significato prevalentemente pragmatico è quello della mano aperta che fa un movimento oscillatorio che può attenuare la forza illocutiva di enunciato se viene accompagnato a un enunciato dichiarativo, per esempio Maria non mente mai (cfr. Poggi, Vincze, 2013). Infine abbiamo gesti che Kendon definisce di parsing, che hanno cioè la funzione di segmentare il discorso in unità significa­ tive, in modo simile a quello che fa il phrasing prosodico. I gesti dunque possono esprimere molteplici funzioni coprendo un'ampia gamma di significati non dissimili da quelli espressi dai segni verbali. Tra di essi si possono per esempio creare delle vere e proprie famiglie basate su somiglianze di significato, così come avviene tra le parole. Se ci limitiamo al bere, abbiamo gesti diversi per il bere da una bottiglia, e quindi alcolici, il bere da una tazzina, e quindi un caffè, il sorseggiare da un piccolo bicchiere, e infine il bere da una coppa, e quindi brindare. Questi gesti possono essere usati autonomamente dalle parole perché comprensibili anche se prodotti in isolamento. Lo stesso accade per i gesti che sono immediatamente traduci bili in parole,

53

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA come per esempio quelli della mano per 'ok ' o 'vittoria'. Inoltre, posso­ no essere usati da soli o come accompagnamento di espressioni verbali rafforzandone il significato, integrandolo metalinguisticamente, indi­ cando al destinatario l'interpretazione che una data sequenza deve ave­ re : pensiamo al gesto delle virgolette, per indicare significati metaforici o comunque non letterali. Sappiamo, infine, che è possibile produrre anche combinazioni di gesti. Per esempio il gesto della mano che vuol dire 'ok' può combinarsi con un numero infinito di gesti referenziali e assumere il significato di modificatore avverbiale parafrasabile da 'va bene ' o 'è permesso' : per esempio insieme al gesto del 'mangiare ', mano a pinza che mima il movimento di una posata che viene portata alla bocca, a seconda dell'espressione della faccia e della situazione in cui ci si trova, può voler dire : 'adesso si può mangiare ' oppure 'quello che c 'è da mangiare è buono' e così via. In conclusione, i gesti, intesi sia come movimenti delle mani e del corpo sia come espressioni facciali, sono decisivi non solo nel trasmet­ tere significati aggiuntivi o emotivi, ma coessenziali, tanto che possono a parità di condizioni determinare e/ o cambiare i significati gramma­ ticali di un enunciato ( Poggi, Magno Caldognetto, 1997; Poggi, 2oo 6; Kendon, 2008; Lepschy, 2008). La multicanalità non è quindi un'invenzione tecnologica del xx e XXI secolo, ma è invece la norma nella comunicazione umana: essa fa parte del patrimonio semiologico della specie, si manifesta e viene sfrut­ tata nella modalità parlata in molteplici modi. Da un lato, permette una comunicazione più ridondante e quindi un minor rischio di perdita di informazione e, dall'altro, consente di trasmettere significati multipli. La compenetrazione tra gesti e linguaggio verbale ha spesso portato a definire il parlato una comunicazione multimodale, e io stessa ne ho parlato in questi termini in Voghera (2012). Tuttavia questo non deve indurre a pensare alla co-occorrenza di sistemi modali separati, quanto a una comunicazione in cui abbiamo più canali integrati in un'unica modalità. Sembra dunque più soddisfacente pensare alla comunicazio­ ne parlata come a un'unica modalità che utilizza il canale audiovisivo6• 6. A questo proposito si segnalano le ricerche che mostrano come la percezione uditiva e quella visiva condividano numerosi meccanismi funzionali e possano per questo trovare una facile integrazione, cfr. Rosemblum (2oos). Come abbiamo già accennato, un discorso completamente diverso va riservato alla scrittura digitale, che ha prodotto diversi generi e/ o registri: da quello conversazionale semi-sincrono delle

54

2.

LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE PARLATA

FIGURA 2 . 1

Le c aratteristiche della modalità parlata: c anale audiovisivo, interazione dialogi­ c a, produzione e ricezione sincrone







Modalità parlata fonico-uditivo

mimico-gestuale .u. n

�� �

audi ovisivo

l e con questo tuo lavoro alla moviola l un su per lavoro negli ultimi tempi come mai ? pi#I3: [un super lavoro] s oG [no] PaEo ' diciamo

Le dirematiche classiche sono però solo uno dei possibili tipi di clausole senza verbo e quantitativamente minoritarie nel parlato. Un altro tipo di clausola senza verbo è quello che esprime argomenti di una clausola iniziata in un altro turno dallo stesso o da altri parlanti, come si vede nell 'esempio seguente : ( 48 ) CLIPS TVit_03R A: [questo è il fuorigioco di rientro] c LAuso LA B : [nei confronti della Lazio] ARGoM ENTo

Il numero maggiore di clausole senza verbo è costituito da espressio­ ni non predicative e non argomentali. Fanno parte di questo grup13. Lefeuvre (1999) chiama questi casi "a soggetto implicito", ma in realtà non si tratta di soggetto implicito, quanto di soggetto non verbale. 14. Trad. it.: «A: di che colore sono i capelli ? B : di chi ? A: del signore B : neri » .

I20



I CORRELATI SINTATTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

po strutture diverse : segnali discorsivi (si insomma), formule (mille grazie) e fonosimboli (ahah) e interiezioni (ecco!). I segnali discorsivi rappresentano il gruppo più numeroso. Essi possono svolgere ruoli diversi che si possono ricondurre a una funzione semantico-discorsiva o pragmatica e a una funzione più propriamente testuale o demarca­ riva, come abbiamo visto nel CAP. 3· Nel primo caso si tratta di hedges e la clausola ha il compito di specificare lo scope dell'enunciato prece­ dente o seguente ; si tratta prevalentemente di precisazioni, correzioni, attenuazioni o enfatizzazioni. Nel secondo caso invece la frase ha il compito di organizzare la struttura del testo, per esempio segnalando l ' inizio di un nuovo argomento. Si tratta, come è ovvio, di due fun­ zioni che non è sempre facile separare e che spesso coesistono. Meno frequenti gli altri tipi. Le formule, grazie, prego, buongiorno, svolgono di volta in volta ruoli testuali diversi, ma dal punto di vista pragmatico solitamente hanno la funzione di aprire o chiudere lo scambio comu­ nicativo. Hanno quindi una funzione rituale e costituiscono un atto linguistico autonomo. Le interiezioni, come le formule, sono strettamente legate ad aspet­ ti pragmatici della comunicazione. Si tratta di una classe di segni molto diversi tra loro quanto a forma fonomorfologica e quanto a funzione. La caratteristica che contraddistingue entrambi i tipi di interiezioni è il fatto di essere significativi pur non integrandosi in unità di rango maggiore ( Poggi, I98 I ; Villani, 2009; Cignetti, 20I I ) . Nonostante vi sia ormai ampio accordo sull'alto grado di codificazione grammaticale cui sottostanno le interiezioni, gli studi che si occupano del loro statu­ to sintattico scarseggiano e hanno carattere episodico. Un'attenzione maggiore è stata rivolta loro dagli studiosi della interazione verbale. Particolarmente stimolante è la classificazione proposta da Goffman ( I98I ) . Egli considera le interiezioni parte della classe più ampia di espressioni che definisce gridi di reazione (response cries) , cioè atti ver­ bali ritualizzati usati come risposta di fronte agli eventi esterni. Ciò che rende i gridi di reazione particolarmente flessibili dal punto di vista della loro disponibilità sociale è il fatto che possono essere orientati verso gli altri e far parte di uno scambio comunicativo, ma possono anche essere usati « only as simpler sign process whereby emissions from a source inform us about rh e state of rh e source-a case of exuded expressions, no t intentionally sent messages » ( Goffman, I98I, p. 99 ). La distinzione tra questi due usi è, secondo Goffman, altamente codi­ ficata, il che vuol dire che non tutte le interiezioni possono essere usate

I2I

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA in entrambe le funzioni, anche se vi possono essere casi di omofonia o, meglio, di omografia che nascondono la complementarità dei due insiemi. Tra le funzioni più comuni delle interiezioni vi è ovviamente quel­ la fatica; il loro significato può essere molto vario, ma generalmente potrebbe essere parafrasato più o meno come "mi rendo conto dello stato della comunicazione" (cfr. Schegloff, 1982). Dal punto di vista dell'analisi interazionale possiamo dire che non si tratta di veri e propri turni di dialogo poiché il parlante non prende parola, non diventa cioè parlante ratificato ; di norma infatti la produzione di queste frasi non obbliga sempre l' interlocutore all'ascolto e alla sospensione del proprio turno di parola. Un ultimo gruppo di clausole senza verbo si compone di sintag­ mi isolati non argomentali, per lo più nominali. Rientrano in questo gruppo le cosiddette frasi esistenziali, la cui funzione è spesso quella di aprire o chiudere un nuovo argomento : in (49) infatti il sintagma nominale in neretto segna l' inizio di un nuovo sviluppo tematico : (49) C L I P S RDdc_o2R la vita in fabbrica l l a parte l' idea del posto fisso che < e e> in quegli anni lì era fortissima nel nostro paese ancora

Alcune di queste clausole possono reggere subordinate e in particolare relative, per esempio nelle costruzioni a lista, come si vede dall'esempio seguente, che riporto in griglia : ( s o) Voghera (1992) I. l laboratori provinciali di igiene e profilassi l che non funzionano più l che possono girare per il paese 2. l corpi di guardie e di controllori La griglia rappresenta orizzontalmene la sequenza sintagmatica dei costituenti, i cui rapporti paradigmatici sono rappresentati dalla disposizione in colonna

Queste strutture si distinguono sia dalle espansioni complementari sia dai sintagmi nominali con funzione appositiva « separati dal sintagma che essi determinano da una pausa fortemente marcata come limite di frase » , Mortara Garavelli (1971, pp. 287-9), come in ( 5 1 ) : ( s i ) Voghera (1992) e c'è poi una lunga lista # un vero minestrone

122

4· I CORRELATI SINTATTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

Esistono infine strutture senza verbo che possono essere considerate frasi ellittiche in senso lato. Le proposte in questo ambito sono molto varie ( Merchant, 2ooi ; Elugardo, Stainton, 2005 ) . In sintesi ci pare che vengano riconosciute due macroclassi di frasi ellittiche. La prima com­ prende tutte quelle strutture che sono inserite in ciò che Simone (I99 S ) ha chiamato « clausole replica » : (52) A: Quanti anni hai ?

B : Undici (5 3) A: Quando arriva Giovanni ?

B : Lunedì e con Maria (Sluicing)

Una seconda classe di fenomeni comprende clausole generalmente co­ ordinate a clausole verbali, sluicing-stranding in Merchant (2ooi ) : (54) Qualcuno arriva con Giovanni, ma non ho capito chi.

Per avere un' idea dell' incidenza quantitativa dei tipi di clausole senza verbo discussi, riportiamo nella TAB. 4·3 i dati quantitativi relativi a un piccolo corpus multilingue di poco più di ventimila parole, costituito da testi di parlato dialogico spontaneo e dialoghi orientati allo svol­ gimento di un compito (map-task oriented) tratti dal corpus CLIP S ; nel corpus abbiamo registrato poco più di mille clausole senza verbo ( Landolfi, Sammarco, Voghera, 20IO ) . Le clausole dirematiche sono minoritarie in entrambi i tipi di dia­ loghi15, mentre la quantità maggiore è costituita da segnali discorsivi, risposte si/no, interiezioni, soprattutto nei dialoghi svolti per raggiun­ gere un obiettivo. Complessivamente le clausole senza verbo sono più frequenti nei dialoghi con compito in tutte e tre le lingue perché si tratta di situazioni in cui lo scambio procede con un continuo alternar­ si di domanda e risposta, da cui dipende anche il numero maggiore in questo tipo di dialoghi di strutture ellittiche. Ciò conferma ancora una volta che l'uso delle clausole senza verbo e il loro tipo sono strettamente connessi alle esigenze comunicative. 15. Dati del tutto congruenti sono registrati da Giordano, Voghera (2009) su settecento clausole senza verbo italiane di parlato spontaneo.

I23

t"'



+

Totale per lingua

Segnali discorsivi, interiezioni Strutture ellittiche Totale

Sintagmi isolati

Argomenti

Dirematiche predicative

Clausole senza verbo

4 (I%) 49 (I?%) 53 (I8%) I4I (48%) 45 (IS%) 292

4 (6%) II (I?%) 29 (4s%) 8 (12%) I3 (2o%) 6s 357 (28%)

con compito

spontanei

Dialoghi italiani

25 (u%) I7 (?%) 42 (I9%) IOI (45%) 39 (I?%) 224

6 (s%) 3 (3%) I8 (I8%) 6I (6o%) I4 (I4%) I02 326 (24%)

con compito

spontanei

Dialoghi inglesi

25 (2I%) 8 (6,s%) 37 (3o%) 45 (36 , s%) 7 (6%) I22

spontanei

489 ( n %)

SI (I4%) 59 (I6%) 92 (25%) I39 (38%) 26 (?%) 367

con compito

Dialoghi spagnoli

4·3 Frequenza di occorrenza dei vari tipi di clausole senza verbo nel nucleo iniziale del corpus AN.ANA.S. Multilingue

TABELLA

IIS (Io, %) I47 (I2,S%) 27I (23%) 495 (42, 2%) I44 (12,3%) 1172

Media

4· I CORRELATI SINTATTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

Infine, per quanto riguarda la percentuale totale delle clausole sen­ za verbo nelle diverse lingue, benché il loro numero non consenta ge­ neralizzazioni, anche i nostri confermano percentuali intorno al 30%, simili a quelle registrate per le lingue romanze nel corpus C-Oral-Rom e dalla LGSWE per l' inglese. 4·4

I sintagmi

In anni recenti è emerso che molti fenomeni tipici del parlato si mani­ festano a livello della sintassi interna alla clausola: ordine delle parole, distribuzione delle parti del discorso, densità lessicale, struttura dell'in­ formazione ( Bonvino, 2005; Cresti, Moneglia, 200 5; Voghera, 2005). Il parlato è infatti caratterizzato non solo e non tanto per una scarsa su­ bordinazione, ma per la decisa leggerezza sintattica dei suoi costituenti clausali. Nel caso dell'italiano, lo studio dei costituenti della clausola pre­ senta inoltre elementi di interesse per capire l'evoluzione delle strutture sintattiche. Se da un lato è stato osservato che la sintassi manifesta un uso sempre più frequente di strutture paratattiche a scapito di quelle ipotatti­ che, dall'altro si nota parallelamente un aumento della densità lessicale e sin tattica interna alla clausola: maggior numero e maggior grado di incas­ satura dei costituenti. Ciò riguarda in primo luogo gli usi scritti formali e in particolare il linguaggio giornalistico e burocratico ma, dato il forte potere modellizzante di questi usi settoriali, è interessante indagare se questa tendenza rimane relegata a questi ambiti o si sta diffondendo in altri tipi di scrittura e/o nel parlato (cfr. Policarpi, Rombi, 2oos). La nozione di pesantezza (heaviness o anche grammatica/ weight) è stata variamente usata per descrivere fenomeni di organizzazione inter­ na alle singole lingue e/o in ambito tipologico. Com'è noto, esistono molte proposte diverse per misurare il grado di pesantezza di un costi­ tuente ( cfr. Hawkins, I 9 94; Wasow, I 9 9 7 ; Szmrecsanyi, 2004) a secon­ da della rilevanza che si assegna alle sue caratteristiche strutturali e/ o al carico di elaborazione (processing) che esse comportano. Dal punto di vista strutturale, nonostante esistano diverse definizioni, la maggior parte degli autori valuta la pesantezza in termini sintattici16: maggiore 16. Non è un caso che la nozione di pesantezza o peso grammaticale sia spesso usata come sinonimo di complessità sintattica (cfr. Szmrecsanyi, 2004).

I 2S

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA il numero dei nodi strutturali che una struttura domina, maggiore sarà il suo peso ( Hawkins, 1994) . Dal punto di vista dell'elaborazione, la misura che più frequentemente viene utilizzata è quella della lunghez­ za dei costituenti : maggiore è la lunghezza maggiore sarà il peso (cfr. Wasow, 1997 ) . A queste si aggiungono altre misure che tengono conto di fattori quali il ruolo pragmatico, il fatto che gli elementi nuovi sono più pesanti degli elementi dati (Arnold et al. , 2000 ) , e la pesantezza metrica, cioè il numero di nodi dell'albero metrico ( cfr. Zubizarreta, 1988). Com'è stato notato da più parti ( cfr., tra gli altri, Wasow, Arnold, 2003), vista l'alta correlazione positiva tra misure diverse è difficile sta­ bilire con certezza quale sia il fattore dominante sugli altri. Ciò che tuttavia appare rilevante è che la sola considerazione delle proprietà strutturali non basta, come hanno mostrato numerosi studi dedicati ai diversi ordini di parole, dai quali risulta che la preferenza dei parlanti per una disposizione dei costituenti di una frase che va dal più leggero al più pesante è determinata non solo dalla loro complessità strutturale, ma anche dalla lunghezza e dallo statuto informativo ( Hawkins, 1994; Wasow, 1997; Wasow, Arnold, 200 3). In vari lavori ( cfr. Voghera et al., 2004; Voghera, Turco, 2008), ab­ biamo avuto modo di valutare alcune di queste misure su dati dell'i­ taliano parlato e scritto, prendendo in considerazione sia la comples­ sità strutturale dei costituenti sia la loro ampiezza17• Abbiamo quindi adottato una definizione di pesantezza basata sull' idea che il peso di una costruzione linguistica è determinato non solo dalle sue proprietà strutturali, ma anche dal grado di carico esecutivo che essa richiede. Le scale di pesantezza che abbiamo creato per i sintagmi nominali, verbali e preposizionali tengono così conto sia della complessità orizzontale 17. Per il parlato abbiamo selezionato una porzione del corpus radiotelevisivo

CLIPS che comprende un totale di 2.309 parole per una durata complessiva di circa 11

minuti di parlato radiotelevisivo pubblico, di cui sono state selezionate solo le por­ zioni caratterizzate da un basso grado di pianificazione e da un alto grado di dialogi­ cità. Per lo scritto abbiamo scelto una porzione del corpus Penelope (Policarpi, Rombi, 2005), costituita da testi narrativi, descrittivi, argomentativi, informativo-espositivi, per un totale di 2.3 60 parole. La variabilità interna al campione bilancia in parte le sue pic­ cole dimensioni. Una conferma recente dell'affidabilità dei dati raccolti deriva dal con­ tributo di Aaart, Wallis (2014) che, analizzando ben 314.000 SN del British Component ofthe lnternational Corpus ofEnglish ( ICE-GB ) , arrivano a conclusioni del tutto simili a quelle qui presentate, anche per quel che riguarda la distribuzione quantitativa dei vari tipi di sintagmi.

126



I CORRELATI SINTATTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

(ampiezza del sintagma) , misurata dalla presenza o meno di modifica­ tori che accompagnano la testa verbale, sia della complessità verticale (numero dei nodi). Nonostante diversi studi mostrino che le due mi­ sure sono spesso correlate positivamente a livello di frase ( Szmrecsanyi, 2004), abbiamo ritenuto opportuno considerarle entrambe perché esse non hanno la stessa rilevanza nel parlato : è infatti prevedibile che la lunghezza dei costituenti sia un elemento pertinente per il parlare più che per altre modalità. Si delineano, per dir così, due tipi di scale di pesantezza: una no­ minale e una verbale. La prima, in cui rientrano sostanzialmente i sin­ tagmi nominali e i sintagmi preposizionali, tiene conto del numero dei nodi che costituisce il sintagma (presenza o assenza di un determinante sovraordinato), della presenza o meno di modificatori della testa (nel caso dei SN ) 1 8 o di modificatori della parte nominale del S P. La scala distingue infine anche le teste nominali da quelle pronominali perché queste ultime sono tendenzialmente più brevP9• La seconda scala, quel­ la verbale, tiene conto, oltre che della presenza di modificatori della testa verbale, anche della relazione tra sv e i suoi argomenti. Abbiamo infatti ritenuto necessario marcare la saturazione o meno degli argo­ menti verbali per indicare la maggiore o minore complessità del s v. I sintagmi verbali sono stati inoltre distinti in sintagmi la cui testa è un verbo lessicale pieno, e sintagmi la cui testa è il verbo essere copula o un verbo predicativo (sembrare, ritenere ecc. ) . Nel caso di verbi copulativi abbiamo infine valutato la pesantezza dei sintagmi nominali predica­ tivi. Qualche riflessione meritano, infine, i gradini delle varie scale. La considerazione della complessità verticale (numero dei nodi) e della complessità orizzontale (presenza di modificatori) pone dei problemi di graduazione all'interno di ciascuna scala. È chiaro, infatti, che da un punto di vista teorico si stanno misurando due proprietà diverse, la cui relazione non è immediata. Se infatti non vi sono dubbi sugli estremi 18. Nel caso dei sv copulativi, la scala tiene conto della pesantezza dei SN predi­ cativi presenti nelle costruzioni copulative. 19. Non abbiamo preso in considerazione in modo sistematico il ruolo pragma­ tico dei costituenti analizzati, ma possiamo affermare che nel nostro corpus i prono­ mi rimandano nella quasi totalità dei casi anaforicamente a referenti nominali e che quindi sono pragmaticamente elementi "dati". Questo, come già accennato, è ritenuto un ulteriore elemento di leggerezza, cfr. Arnold et al. (2ooo). Per l' italiano cfr. Savy, Voghera (2010).

I27

t"' 00

1-4

Nota: ±det:

supposte

predicativi

egli è tenuto a rispettare comunque proprio le canzoni sono quelle

[+pro -det -mod]

straordinario

SN

[+det +mod] ha richiesto un massiccio questo è un ragazzo timido spiegamento di forze [ +det -mod] ecco quella era un 'atmosjèra, è vero che un abuso secondo me di antidolorifici [-det +mod] ha una condizione di squadra vittime illustri che è totalmente diversa dalla dell'inquinamento atmosferico Lazio [-det -mod] secondo Micheli è gocce; compresse;

SN

[-sat +mod]

ilpresidente ha svolto

sv verbi servili o fraseologici e causativi [ +sat] [ +mod] dovrebbe costituire un avvenimento culturale molto importante [ +sat +mod] il conducente [ ... ] non è tenuto a dare precedenza [ +sat -mod] lungo e paziente lavoro che

[+impersonale -sat -mod] dobbiamo andare un attimo coi poiché ha piovuto, al ritorno piedi di piombo, secondo me sono alquanto bagnati

io, da ignorante, da projàno

[-sat -mod] perciò si siedono davanti al fuoco

uno dei sintomi in determinate sta giocando bene anche

situazioni

può esser simile all'epilessia?

nel giorno di collisione tra il sottomarino statunitense

SP

presenza/assenza di determinanti; ±mod: presenza/assenza di modificatori; +pro: pronome; ±sat: saturazione/non saturazione degli argomenti del verbo

Superleggeri

Leggerissimi

Leggeri

Medi

Pesanti

Superpesanti

Scala di pesantezza

Scala di pesantezza dei sintagmi nominali, preposizionali e verbali

TABELLA 4 · 4

4· I CORRELATI SINTATTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

TABELLA 4·5 Percentuali dei SN nei diversi ruoli sintattici (Voghera, Turco, 2oo8) SN

Sog Ogg 050

PARLATO

S C RI TTO

46,6% 36, s % 1 6,9%

3 s ,s % 33,6% 3 0,9 %

delle scale, i quali sono costituiti da materiale pesante e leggero sia dal punto di vista della complessità verticale che orizzontale, più difficile è stabilire la relazione tra i gradini intermedi. L' ipotesi qui fatta, soste­ nuta dalla letteratura corrente (Hawkins, I994; Szmrecsanyi, 2004) è che il numero dei nodi "pesi" di più del numero dei modificatori e che, quindi, un s v le cui valenze sono saturate sia più pesante di un s v le cui valenze non sono saturate, ma presenta modificatori. Prima di descrivere i gradi di pesantezza, è bene dare qualche dato sulla frequenza dei vari tipi di sintagmi. Il parlato e lo scritto divergono nel rapporto tra SN e sv: se infatti sommiamo i sv lessicali e i sv copula, il parlato presenta un numero quasi pari di SN ( 3 6,I %) e di sv (35%), mentre lo scritto presenta un più alto numero di S N (30,9%) rispetto ai sv (23,8%). Ciò dipende primariamente dal fatto che nel parlato la maggioranza delle clausole presenta un rapporto I : I tra SN e s v, mentre nello scritto in ogni clausola ci possono essere più SN. In secondo luogo, lo scritto presenta un numero significativamente più alto di S P rispetto al parlato ( 45% circa vs. 29% circa) che, nuovamente, è attribuibile alla maggiore articolazione interna delle clausole nei testi scritti. Vedremo nel CAP. s come questo si riflette anche nella distribuzione delle varie parti del discorso. Il grado di pesantezza dei SN si valuta con più chiarezza se si mette in relazione con i ruoli sintattici espressi : soggetto (S), oggetto (O), né soggetto né oggetto ( 050 ), cioè vocativi, circostanziali, sintagmi no­ minali isolati, come per esempio nelle didascalie, e sintagmi nominali in clausole senza verbo non dirematiche. Nella TAB . 4·5 riportiamo la frequenza dei s N nei diversi ruoli. La prima differenza che si nota è che nel parlato i soggetti sono più numerosi, mentre nello scritto i tre ruoli più o meno si equivalgono. Questa proporzione tra soggetti e oggetti nel parlato può dipendere in primo luogo dal fatto che il parlato privilegia strutture intransitive e tende a non saturare gli argomenti dei verbi transitivi (cfr. Thompson, I29

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA Hopper, 2ooi). I soggetti nel parlato sono nel 59% dei casi costituiti da SN Leggeri o Superleggeri, mentre il 54,2% dei SN S dello scritto è Pesan­ te o Medio. Ciò è dovuto al fatto che nel parlato le posizioni tematiche sono deboli, come mostra, tra l'altro, il fatto che il 4s% dei verbi è senza soggetto espresso contro il 21 % dello scritto. Alla debolezza della posizione soggetto si contrappone la maggio­ re pesantezza degli oggetti, che in percentuale maggiore occupano i gradini più alti della scala di pesantezza sia nel parlato sia nello scritto. Nel parlato, infatti, il 48% degli oggetti è Pesante o Medio, percentuale che sale al ss% nello scritto. La maggiore pesantezza degli oggetti è at­ tribuibile sia a questioni pragmatiche sia a questioni relative all'ordine delle parole. Dal punto di vista pragmatico, l'oggetto tende, anche se non necessariamente, a essere nella parte remati ca dell 'enunciato che, in quanto tale, porta il maggior carico di informazione. Ne è un'ulte­ riore prova il fatto che solo il 2s% e il I 6% degli oggetti, rispettivamente nel parlato e nello scritto, sono pronominali. Per quanto riguarda la posizione, è stato da più parti notato che i parlanti tendono a disporre i vari costituenti dal più leggero al più pesante ( cfr. Wasow, I997 ), ciò, in italiano, favorirebbe l 'associazione delle posizioni più pesanti con la parte destra della frase, quella in cui per l'appunto di norma si trova l'oggetto. La maggiore percentuale di SN né soggetto né oggetto nello scritto si spiega, infine, col fatto che si tratta di sintagmi nominali più fre­ quenti in testi di tipo descrittivo e regolativo all ' interno di clausole non verbali non predicative, come quelli in neretto nell'esempio seguente : ( ss ) la Repubblica Molti altri attentati, per lo più contro persone o luoghi interessati ai difficili rapporti tra i Paesi del Medio Oriente: il gestore di una libreria araba, l'Am­ basciata siriana, l'ex Primo ministro iraniano e quello siriano, il Centro culturale armeno, il Consolato turco, un giornale iracheno, il direttore dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina.

Passiamo ora ai sintagmi verbali. Prevedibilmente, la percentuale dei s v lessicali è considerevolmente più alta di quelli copulativi ed entrambi i tipi di sv presentano percentuali uguali nelle due modalità. Contraria­ mente a quanto ci si poteva aspettare ( cfr. Voghera, Laudanna, 2003 ), la percentuale dei sv copula non è significativamente maggiore nel par­ lato, forse perché questo comporta un maggior carico di informazione I30



I CORRELATI SINTATTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

affidato a nomi, che, come sappiamo e vedremo meglio nel capitolo seguente, sono meno usati nei testi parlati. Le differenze si registrano invece nel tipo di verbi copulativi usati. Nel parlato il verbo copula più frequente è essere; nello scritto invece abbiamo più varietà nella scelta lessicale : apparire, considerare, sembrare. Questo conferma la maggiore densità lessicale dello scritto (cfr. Halliday, I985; Voghera, 200 5 ; Cresti, Moneglia, 20 o 5) e suggerisce anche l'idea che, a seconda del tipo di mo­ dalità, la struttura copulativa abbia funzioni diverse : mentre nel parlato il verbo copula appare come un elemento neutro che semplicemente pone in relazione delle entità, senza ulteriori specificazioni ; nello scrit­ to, invece, i verbi copulativi, quali sembrare, apparire ecc., riflettono uno stile più informativo (un esempio tipico sono le argomentazioni) e allo stesso tempo un grado di soggettività minore con una forte valen­ za attenuativa, quasi di understatement. Nei casi di scritto monologico formale (cfr. Bi ber et al. , I999 ), questi verbi co-occorrono tipicamente con strutture nominali pesanti (es. nominalizzazioni, nomi deverbali ecc.) e/ o con sintagmi preposizionali. Ciò viene confermato anche dai nostri dati sui diversi gradi di pesantezza dei sintagmi nominali predi­ cativi dei sv copula, come vedremo più avanti. (s6) la Repubblica da ieri sembra ancora più difficile una soluzione concordata tra industriali e sindacati sulle controversie interpretative dell'intesa sulla scala mobile.

Vediamo ora la scala di pesantezza dei sintagmi verbali. A una prima occhiata si presenta una situazione molto simile a quella registrata per i sintagmi nominali. Se dividiamo infatti la scala in due porzioni possia­ mo dire che il parlato usa in maggioranza sintagmi che si dispongono sui gradini bassi della scala, mentre lo scritto usa, ma con uno scarto minore, i gradini più alti. Nel parlato infatti il 57,2% è costituito da sintagmi Leggeri, Leggerissimi, Superleggeri, mentre nello scritto lo stesso insieme di sintagmi è pari al 49,3 % dei s v. La differenza tra le due modalità non è quindi semplicemente rintracciabile nell 'opposi­ zione leggero vs. pesante, ma sembra piuttosto risiedere nel fatto che se il parlato predilige tendenzialmente strutture leggere, lo scritto usa tutti i gradini della scala. Abbiamo quindi misurato la pesantezza dei s v copula. Più marcata­ mente di quanto non avvenga per i sv lessicali, i dati mostrano che i s v copula del parlato si concentrano in maggioranza nei gradini bassi della

I3 I

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA scala, mentre quelli dello scritto occupano in maggioranza i gradini alti. Se accorpiamo i dati, vediamo che i sv Pesanti e Medi sono il 59% circa nel parlato, mentre raggiungono il 79% circa nello scritto. La diversità tra le due modalità nel livello di pesantezza dei sv copula, si riscontra anche se consideriamo i dati relativi ai gradi di pesantezza della parte predicativa nominale : l 'insieme dei SN predicativi Pesanti e Medi nello scritto è pari al 3 4% circa, mentre nel parlato si riduce al 2o% circa. In conclusione la distribuzione dei sv lessicali e copula lungo i gradini della scala evidenzia che la variabile più significativa nella di­ stinzione tra parlato e seri tto è la saturazione delle valenze verbali. Quindi, si può dire che il parlato usa in maggioranza sintagmi verbali modificati e lo scritto sintagmi verbali saturati. Lo scritto registra più frequentemente schemi valenziali saturi rispetto al parlato, poiché nel parlato gran parte di ciò che non è esplicitato verbalmente viene af­ fidato alle componenti pragmatiche che entrano in gioco, tra le quali la presupposizione, l ' interpretazione e la ricostruzione del significato da parte dell 'ascoltatore, affidate al ti p o di discourse stance del parlan­ te nonché al tipo di relazione comunicativa che instaura con il suo interlocutore. Veniamo ora ai sintagmi preposizionali. Nei gradi centrali della scala la presenza di s P di peso diverso è quasi uguale in entrambe le modalità. L'unica differenza notevole è quella relativa ai gradi estremi della scala. Nel parlato i SP Superleggeri, in cui la preposizione è seguita da un pronome, sono più del doppio che nello scritto, al contrario, i S P Pesanti sono nello scritto quasi il doppio che nel parlato. Accanto ai diversi livelli di pesantezza, è utile considerare quali tipi di sintagmi modificano i s P. Ancora una volta notiamo che il parlato tende a usa­ re frequentemente un minor numero di strutture. Infatti, anche se in entrambe le modalità la maggioranza dei SP modifica un sintagma ver­ bale, questo avviene nel parlato in quasi la metà dei casi (47%), mentre nello scritto si verifica solo nel 3 s% dei casi. Ma la differenza che più si evidenzia è il fatto che nello scritto un terzo dei SP modifica altri S P, creando strutture con un alto grado di incassatura, come si può vedere dagli esempi seguenti: ( s 7) la Repubblica L'accordo del 2 2 gennaio sui costi del lavoro preceduto dai clamorosi inci­ denti e dalle aspre controversie tra i comunisti della CGIL e gli altri sinda­ calisti.



I CORRELATI SINTATTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

(s8) la Repubblica I leaders della C G I L C I S L e U I L hanno escluso in termini tassativi un supple­ mento di negoziato sulla questione della frazione di punto di contingenza

La misura interna dei vari costituenti di ciascun livello da sola non basta tuttavia a rivelarci in che modo e quanto diversamente si distribuisca la pesantezza attraverso le due modalità. Molti studi ( cfr. Hakwins, 1 994; Arnold et al., 2000) recentemente hanno dimostrato che esiste una cor­ relazione tra pesantezza e ordine dei costituenti dovuta a processi di elaborazione del discorso più che a motivi di natura sintattica : tramite una strategia di tipo cognitivo messa in atto dai parlanti, le strutture più pesanti vengono posposte al verbo in modo tale che la produzione/ ricezione del carico informativo risulti più gestibile per il parlante e più accessibile per l'ascoltatore. Il fatto che il parlato sia più sensibile alla lunghezza dei costituenti si riflette in parte anche nel rapporto tra pesantezza e ordine. Sebbene i nostri dati non manifestino una forte correlazione tra peso del costituente e posizione a destra nella clausola, è vero però che il parlato, più dello scritto, tende a posporre i soggetti lunghi. Abbiamo quindi verificato se questa ipotesi trovasse conferma anche nei nostri dati, osservando le percentuali relative agli ordini SVl VS e VO/OV. Nel parlato la frequenza dell'ordine VS è più del doppio che nello scritto : 27 % parlato vs. u% scritt020• Anche nel caso VO e OV osser­ viamo che l'ordine marcato è più frequente nel parlato che nello scritto, dovuto in gran parte all'uso di pronomi clitici : 2 3 % vs. I3 %. In conclusione, l'analisi dei sintagmi mostra che nel parlato abbia­ mo prevalentemente sintagmi leggeri, qualsiasi sia il tipo. Nello scritto non mancano i sintagmi leggeri, ma nuovamente ciò che lo caratterizza maggiormente è una loro distribuzione più equilibrata nei vari gradi di pesantezza. Se osserviamo la distribuzione di tutti i sintagmi sulla base dei due diversi parametri, si evidenzia che il parlato tende a preferire strutture brevi, indipendentemente dalla loro costituenza, laddove le due misure sono separabili, per esempio nei SN e s P. Lo scritto non sembra invece essere sensibile alla differenza delle due misure. Osservando i dati nella loro globalità, le maggiori differenze di pe­ santezza nelle due modalità si riscontrano nei sintagmi nominali sog20. Questo dato conferma quello di Bonvino (2oos) che nel suo corpus ha regi­ strato una percentuale di costruzioni VS pari al 25%.

I33

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA getto e nei sintagmi preposizionali. Il parlato omette spesso il soggetto e, quando lo esprime, nel 45% circa dei casi è un pronome. Ciò avviene perché, nella generale tendenza all'economicità del parlato, si riducono tutte le strutture più frequentemente associate a posizioni tematiche e a informazione data, che sono facilmente recuperabili ali' interno del discorso. Allo stesso motivo si può attribuire la minore saturazione delle va­ lenze dei verbi, indice non solo di una maggiore leggerezza dei s v, ma di una minore densità semantica dei testi parlati, che si manifesta anche nell'ambito delle scelte lessicali. La mancata saturazione delle valenze « sembra infatti riguardare non tanto il fenomeno della completezza sintattica in sé, quanto piuttosto quello della compiutezza semantico­ concettuale » (Ferrari, 2002, p. 185). Alla maggiore densità sintattica oltre che informativa è legata an­ che la maggiore frequenza di sintagmi preposizionali, che sono oltre il 45% di tutti i sintagmi registrati nei testi scritti. L'alta percentuale di SP produce strutture sintattiche più pesanti e più dense lessicalmente, poiché abbiamo visto che la maggior parte dei nomi occorre proprio all'interno dei S P. Le osservazioni fin qui condotte ci portano quindi a concludere che nello scritto la maggior parte dell' informazione è affidata alle rela­ zioni tra i sintagmi e al loro peso. Nel parlato invece, poiché gran parte del contenuto informativo si disperde attraverso la distribuzione di più clausole lungo il discorso dialogico, ciò determina, a livello sintattico, la leggerezza dei costituenti interni al dominio della clausola. Questo sembra confermare l' idea che la struttura della clausola, forse più che il rapporto tra clausole, differenzi le due modalità di trasmissione. Que­ sta differenza si manifesta anche nelle diversa frequenza delle congiun­ zioni e delle preposizioni nel parlato e nello scritto, come si vede nella TAB . 4.6. La differenza è palese soprattutto tra il LIP e i testi giornalistici di cui è costituito il VELI ; i romanzi, al contrario, sia perché contengono dialoghi sia perché rappresentano per definizione la multitestualità e presentano al loro interno una grande varietà di registri non sono mol­ to distanti dal parlato per quanto riguarda la frequenza delle propo­ sizioni, ma lo sono invece per ciò che riguarda le congiunzioni21• Ciò 21. « Il romanzo come totalità è un fenomeno pluristilistico, pluridiscorsivo, plurivoco. Lo studioso incontra in esso alcune unità stilistiche eterogenee, che si

134

4 · I CORRELATI SINTATTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

TABELLA 4 .6

Frequenza delle parole appartenenti al vocabolario grammaticale nel corpus di italiano parlato LIP e e nei corpora di italiano scritto PTLLI e VELI

Occorrenze

LIP

Congiunzioni Preposizioni

IO% 12%

P T LLI

VELI 6% 21%

dipende in primo luogo dal fatto che nella frequenza delle congiunzio­ ni sono compresi anche gli usi come segnali discorsivi, che sono molto più frequenti nel parlato, in secondo luogo dal fatto che il numero delle congiunzioni è una spia di ciò che Halliday (I98s ) chiamagrammatical intricacy, una produzione addizionale e seriale di clausole unite le une alle altre da congiunzioni. Tuttavia i dati medi appiattiscono le differenze interne allo scritto. Se, come abbiamo fatto nei paragrafi precedenti, guardiamo i dati in dettaglio, vediamo che i testi scritti, più di quelli parlati, esibiscono una maggiore varietà di tipi sintattici, che vanno dal più pesante al più leggero. Il fenomeno è ben documentato dal contributo di Policarpi, Rombi (2oos ), l 'unico lavoro a nostra conoscenza che presenta dati su vari tipi di scritto, in cui si vede bene che il rapporto tra paratassi e ipotassi è fortemente condizionato dalla tipologia di testi conside­ rati. Ciò sembra meno vero per il parlato. Fermo restando che anche nel parlato possiamo trovare sintassi diverse (cfr. Voghera, I 992), se si analizzano dialoghi, i dati sembrano sempre convergere verso il polo della leggerezza, anche in presenza di gradi di formalità accentuata. Ciò che altrove abbiamo chiamato costanti delparlato ( cfr. Voghera, 20IO ) , appaiono in realtà come costanti del dialogo: è, infatti, la struttura dia­ logica a imporre, di norma, una progettazione rapida e leggera. La mag­ giore uniformità dei dialoghi è tra l'altro riconducibile a una generale tendenza all 'economicità strutturale che nel parlato si riscontra a tutti i livelli. Ricapitolando, dai nostri dati, non si può sostenere l'idea che il parlato usi prevalentemente sintagmi leggeri e che lo scritto usi pre­ valentemente sintagmi pesanti. Sia il parlato sia lo scritto usano tutti i trovano a volte su vari piani linguistici e sono soggette a varie leggi stilisti che. [ ... ] Lo stile del romanzo è l'unione degli stili; la lingua del romanzo è il sistema delle "lingue" » ( Bachtin, 1979 ) .

I 3S

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA tipi di sintagmi, e la differenza sembra piuttosto consistere nella diversa distribuzione dei sintagmi nei vari gradini della scala o, meglio, nella preferenza per alcuni tipi di sintagmi nell'una o nell'altra modalità. In particolare ci pare di poter dire che mentre nello scritto i SN si distri­ buiscono più equilibratamente lungo tutta la scala, nel parlato quasi i due terzi (6 6%) dei SN sono Medi (+der -mod) o Superleggeri (+pro) . Ciò è attribuibile, da un lato, alla diversa pertinenza dei due tipi di com­ plessità presi in considerazione dalla scala e, dali' altro, a fattori legati ai tipi di testi che costituiscono i corpora di parlato e scritto qui analizzati. Abbiamo già detto infatti che la scala è costruita in modo da tener conto della complessità verticale (numero dei nodi) e della complessità orizzontale (presenza di modificatori della testa) dei sintagmi. I dati sembrano dire che nel parlato si tende ad evitare sintagmi complessi dal punto di vista orizzontale perché più lunghi: se infatti sommiamo i tipi di sintagmi mediamente più lunghi, cioè gli SN Pesanti (+der +m od) e Leggeri (-der +mod), nello scritto otteniamo circa il 30% e nel parlato circa il 21%. La preferenza per SN brevi spiega, tra l'altro, anche l' altissi­ mo uso dei SN Superleggeri (+pro), che nel parlato sono più del doppio che nello scritto (33,2% vs. 1 5,6%). La preferenza per strutture brevi nei testi parlati non basta tuttavia a spiegare le differenze tra parlato e scritto, perché i sintagmi Leggeris­ simi, costituiti dalla sola testa nominale, sono nello scritto il doppio che nel parlato. Questo dato dipende dalla varietà di testi scritti presi in considerazione, che comprendono testi pubblicitari, didascalie, istru­ zioni : è infatti in questi tipi di testi che troviamo un'alta percentuale di sintagmi nominali Leggerissimi. Emerge qui con chiarezza come anche nello scritto ci possano essere, in contesti specifici, esigenze di brevità e di indeterminatezza, seppure di natura diversa. 4·4·1.

L'ACC ORDO ALL' INTERNO DEI SINTAGMI NOMINALI

Un'analisi sulla costituenza sintattica interclausale non sarebbe com­ pleta senza prendere in considerazione la realizzazione fonica delle marche d'accordo interne ai sintagmi. Abbiamo già detto nel PAR. 2.2 che nel parlato spontaneo è del tutto normale realizzare intere sequenze ipoarticolate, in cui cioè non si raggiunge il target formalmente atteso. Questo comporta fenomeni di bassa specificazione fonica, che posso­ no andare da fenomeni di sandhi alla totale assenza di realizzazione di segmenti attesi, fono o sillaba che siano. Come ha dimostrato un' inda-



I CORRELATI SINTATTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

gine di Savy (1999 ), questi fenomeni di bassa specificazione fonica pos­ sono riguardare anche segmenti che hanno funzioni morfosintattiche, per esempio le vocali che marcano l'accordo all'interno dei sintagmi. Savy ha condotto un'analisi fonetica strumentale di trecento sintagmi nominali dell' italiano parlato a Milano, Roma e Napoli estratti dal cor­ pus LIP e ha verificato la realizzazione fonica di ciascun elemento che costituiva il sintagma : articolo, nome, aggettivo. Sono numerosi gli ele­ menti interessanti che emergono dali ' indagine. In primo luogo, i casi di bassa specificazione delle vocali finali non riguardano solo l' italiano meridionale, ma sono frequenti in tutte le varietà analizzate, tant 'è vero che ben il 45% dei suffissi morfologici all' interno del sintagma nomi­ nale non viene realizzato. Ancora più interessante, dal nostro punto di vista, è l'analisi della sede di bassa specificazione. La posizione che più resiste all' ipoartico­ lazione è quella dell 'articolo, probabilmente perché sequenzialmente è il punto di massima informatività morfosintattica del sintagma. Poiché le informazioni relative al genere e al numero del costituente nel caso di un S N sono ripetute sia sull'articolo sia sul nome sia sull'aggettivo, le eventuali mancate realizzazioni delle marche morfologiche sul nome o sull'aggettivo sono più facilmente recuperabili dal primo elemento del sintagma, che è appunto l'articolo. ( s 9) la vecchia

[la 1 vEkkj]

( 6 o ) per le vetture

[pe�leve 1 tur�]

L' idea che il diverso livello di specificazione sia spia di una dinamica comunicativa interna viene confermata anche dalla percentuale di ipo­ articolazione presente negli aggettivi in rapporto alla loro posizione : le marche di accordo sono ipoarticolate o addirittura assenti nel 47% dei casi quando l 'aggettivo è in posizione prenominale e nel 67% dei casi quando è in posizione postnominale. (61) nel mese prossimo

[nel 1 mes� 1 pr:.1sso�]

(62) le le diverse immagini [le .. .ledi 1 vcrs�m 1 mad3in]

Non tutti i casi di bassa specificazione sono dovuti tuttavia a fattori di economia enunciativa e alla possibilità di recuperare informazioni dal 137

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA contesto. In molti dei casi analizzati da Savy le informazioni di genere sono ricavabili lessicalmente o perché si tratta di nomi a genere fisso o perché sono nomi derivati i cui suffissi sono tonici e quindi meno soggetti a ipoarticolazione. In effetti, come è possibile vedere dalla lista di frequenza riportata nella TAB . 6.1, tutti i nomi più frequentemente usati nel L I P hanno genere fisso, così come la maggior parte dei nomi ( 84%) all' interno dei SN analizzati da Savy. Fattori lessi cali incidono parzialmente anche sul recupero delle informazioni relative alla cate­ goria del numero, che pur non essendo inerente, sembra variare nei suoi valori in rapporto alle basi lessicali. Sebbene in teoria la maggior parte dei nomi possa avere sia il singolare sia il plurale, di fatto essi tendono a occorrere più frequentemente in uno dei due valori. Solo il 23% dei nomi presenti nei SN analizzati da Savy ha una reale variabilità d'uso (esame, pagina, bozza), mentre il restante 77% occorre o sempre al sin­ golare o sempre al plurale. Sulla presenza o meno di ipoarticolazione contribuisce anche la prosodia; si è infatti notato che alcuni elementi sono meno soggetti a fenomeni di ipoarticolazione se in posizioni prosodicamente salienti, quali per esempio quelle precedenti gli accenti tonali (pitch accents ) , o se marcati prosodicamente perché focalizzati ( Savy, 2001 ) . L' insieme di questi dati fa emergere con chiarezza l ' interdipenden­ za dei vari livelli di codificazione, che consente di assorbire la presenza pervasiva dei fenomeni ipoarticolatori. Infatti, ad un'analisi attenta, la mancanza di informazione che deriva dalla bassa specificazione del se­ gnale o addirittura dalla sua assenza è recuperabile sintagmaticamente o lessicalmente poiché nella maggior parte dei nomi il genere è cate­ goria inerente e la variazione di numero è più virtuale che reale. In tal modo, l ' ipoarticolazione, anche se molto frequente e può interessare porzioni sensibili per dal punto di vista grammaticale, non incide in modo distruttivo sull'informazione.

138

5

Modalità parlata e parti del discorso

S·I

Un quadro d'insieme

Fin dai lavori di Halliday (I98 s), sappiamo che l'uso di modalità di comunicazione diverse correla con presenze e/o frequenze diverse delle parti del discorso; ciò ha permesso non solo di conoscere meglio alcu­ ni elementi di funzionamento della modalità parlata, ma anche alcuni meccanismi linguistici generali. Una diversa frequenza e distribuzione delle parti del discorso può essere spia di diversità sin tattiche o lessicali, a seconda di come si consideri il rapporto tra parti del discorso e testi. Esistono infatti almeno due diverse misure possibili, che mettono a fuoco porzioni di lingua parzialmente diverse. Un primo metodo con­ siste nel calcolare la frequenza di una parte del discorso, per esempio dei nomi, contando il numero di lemmi nominali diversi presenti in un testo. Sulla base di questo conteggio il testo in (I) conta 2 nomi : dente e pane. Un secondo metodo consiste nel calcolare la frequenza di una parte del discorso in base al numero delle effettive occorrenze di cia­ scun lemma nel testo. Sulla base di questo criterio, il testo (I) presenta 4 nomi : 2 occorrenze di dente e 2 occorrenze di pane. (1) Chi ha denti non ha pane chi ha pane non ha denti È evidente che i due tipi di conteggio valutano aspetti linguistici par­ zialmente diversi : il numero dei lemmi ci dà informazioni sul lessico usato nel testo, sulla sua ampiezza e sulla sua varietà; il numero delle occorrenze delle varie parti del discorso, invece, può dare informazioni anche sul modo in cui il testo si costruisce e si struttura. Se usiamo nuovamente il testo (I), mettendo a confronto i due tipi di conteggio non solo per nomi, ma anche per i verbi, si evidenziano le differenze indicate nella TAB . 5 . 1 .

I39

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA TABELLA 5.1 Numerosità dei lemmi nominali e verbali nel testo (1) e loro frequenza di occor­ renza Parti del discorso Nomi (dente, pane) Verbo (avere)

Lemmi

Occorrenze

2

4 4

Confrontando il numero dei lemmi con il numero delle occorrenze per ciascuna parte del discorso, si può notare che a fronte di un basso nume­ ro di unità lessicali, abbiamo una struttura presumibilmente più ricca : le 4 occorrenze verbali, per esempio, ci fanno sospettare l'articolazione in più frasi, fatto che naturalmente non era deducibile dal numero dei lemmi. Da ciò non si deve naturalmente ricavare che la frequenza di occorrenza delle varie parti del discorso sia automaticamente connessa alla sintassi e che il semplice conteggio delle occorrenze dia un quadro preciso della struttura di un testo, tanto più quando si ha a che fare con testi ben più complessi di quello in (I). Tuttavia non c 'è dubbio che, mentre il conteggio dei lemmi ci dà informazioni sulla ricchezza lessi­ cale di un testo, la diversa distribuzione delle occorrenze appartenenti a diverse parti del discorso può essere una spia dell'andamento sin tat­ tico di un testo. È evidente dunque che quando si parla della diversa frequenza delle parti del discorso bisogna accuratamente distinguere i due diversi tipi di conteggio perché mettono a fuoco aspetti linguistici diversi. Per avere un primo quadro d'insieme sul ruolo delle parti del di­ scorso nel definire il parlato e lo scritto, è bene partire da un confronto generale sulla loro frequenza d'occorrenza. La TAB. 5 . 2 riporta la fre­ quenza delle parti del discorso nel corpus di italiano parlato LIP e nei due corpora di italiano scritto PT LLI e e s . Come si vede, nel corpus di parlato la parte del discorso più fre­ quente è il verbo, mentre nei due corpora di italiano scritto è il nome. Questa proporzione tra nomi e verbi nel parlato è ampiamente attesa, come si può vedere dai dati registrati in altri corpora di altre lingue. La TAB . S ·3 · riporta i dati delle quattro lingue romanze incluse nel corpus C-Oral-Rom (italiano, francese, spagnolo e portoghese) per un totale di circa trecentomila occorrenze per lingua, e quelli del tedesco parlato tratti dallo Haufigkeitsworterbuch gesprochener Sprache ( HWB ) di Ruoff (I990 ), basato su un corpus di circa cinquecentomila occorrenze.

5· MODALITÀ PARLATA E PARTI DEL DISCORSO

TABELLA 5.2 Frequenza d'uso delle parti del discorso nel corpus di italiano parlato LIP e nei due corpora di italiano scritto PTLLI e es Parti del discorso

LIP

PTLLI

es

Nome Verbo Pronome Aggettivo Avverbio Articolo Congiunzione Preposizione

15,7% 20,0% 10,9% 8,8% 10,1% 10,9% 10,1% 1 1,6%

20,0% 18,7% 4,6% 7,9% 6,1 % 5,4% 4,6% 14,3%

21,7% 10,4% 2,5% 17,0% 3,8% 7,5% 4,3% 17,2%

TABELLA 5·3 Frequenza d'uso di nomi e verbi nelle quattro sezioni del corpus C- Oral-Rom e nel corpus di tedesco parlato HWB Parti del discorso Nomi Verbi

C-Oral-Rom C-Oral-Rom C-Oral-Rom C-Oral-Rom ita. fra. p ore. spa. 19% 20%

13% 17%

16% 19%

15% 18%

HWB

ted.

II% 21%

Da un punto di vista linguistico generale, appare interessante che la fre­ quenza di nomi e verbi è direttamente proporzionale alla frequenza di altre parti del discorso, cosicché i nomi da una parte, e i verbi dall'altra, finiscono per assumere il ruolo di poli di attrazione di parti del discor­ so, la cui aggregazione delinea andamenti testuali diversi. Le TAB B . 5 · 4 e S ·S mostrano rispettivamente l'area di attrazione del nome e del verbo. Le due tabelle mostrano con estrema chiarezza che una maggiore frequenza dei nomi correla con un'alta frequenza di aggettivi, che ne sono ovviamente i modificatori, e di preposizioni. Come avevamo già visto nel CAP. 4, il maggior numero dei nomi è infatti nei sintagmi pre­ posizionali. D 'altro canto, una maggiore frequenza di verbi correla na­ turalmente con una maggiore frequenza di avverbi e congiunzioni per­ ché corrisponde a un numero maggiore di clausole connesse tra loro1• 1. Parte delle frequenze delle congiunzioni vanno in realtà attribuite a usi come segnali discorsivi.

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA TABELLA 5·4 Frequenza di occorrenza dei nomi e delle parti del discorso ad essi correlati Parti del discorso Nome Aggettivo Preposizione Totale

LIP

PTLI

es

15,7% 8,8% 11,6% 36,1 %

20,0% 7,9% 14,3% 42,3%

21,7% 17,0% 17,2% ss ,9 %

TABELLA S · S

Frequenza dei verbi e delle parti del discorso ad essi correlati

Parti del discorso Verbo Avverbio

Congiunzione Totale

LIP

PTLI

es

20,0% 10,1% 10,1% 40,0%

18,7% 6,1% 4,6% 29,4%

10,4% 3,8% 4,3% 18,5%

Queste correlazioni manifestano il ruolo dei nomi e dei verbi come di strutture sintattiche centrali, che nella loro qualità di attrattori di mo­ dificazioni sono elettivamente potenziali nuclei di unità sintagmatiche di varia estensione e natura (sintagma-clausola), unità sintatticamente centrali nella costruzione di un testo. La frequenza di occorrenza dei nomi e dei verbi rappresenta quindi in modo significativo anche an­ damenti sintattici diversi prevalenti, che come si vede dai totali hanno pesi diversi nei tre corpora. L'area del nome assume maggior peso man mano che ci si allontana dal parlato, mentre l 'area del verbo decresce man mano che ci si allontana dal parlato e si va verso lo scritto monolo­ gico. La differenza tra i due corpora di scritto è attribuibile al fatto che il PT LI, essendo composto da romanzi, comprende testi molti vari e mol­ to riccamente articolati, come abbiamo già detto nel CA P. 4, parlando di sintassi. Al contrario il e s , composto da quotidiani, rappresenta lo scritto monologico espositivo, in cui la sintassi nominalizzata ha la sua massima espressione ; in ( 2) ne diamo un assaggio : ( 2 ) Il ministro dell' Interno ha provveduto a stabilire le linee guida ed il for­ mulario per la presentazione delle domande di contributo, i criteri per la ri­ partizione e per la verifica della corretta gestione del medesimo contributo e le modalità per la sua eventuale revoca.



MODALITÀ PARLATA E PARTI DEL DISCORSO

L'alta frequenza dei nomi, da una parte, e dei verbi, dall'altra, corre­ la dunque rispettivamente con un'alta densità lessi cale e con ciò che Halliday (I994) chiamava grammatica! intricacy, tipica dei testi parlati. Dati straordinariamente simili a quelli qui esposti nelle TAB B . S·4 e S·S sono pubblicati da Rayson, Wilson, Leech (2ooi) e Leech, Rayson, Wilson (20I4), che hanno analizzato la distribuzione delle parti del di­ scorso nel British National Corpus2• Anche in questo caso vi è una forte correlazione tra l'uso dei nomi e delle preposizioni, soprattutto nello scritto di tipo informativo, e dei verbi e delle congiunzioni, soprattut­ to nel parlato dialogico. Emerge in questo caso una variazione interna al parlato e allo scritto fortemente connessa alla presenza/ assenza del dialogo e allo scopo del testo, in cui lafiction si trova a metà strada tra il parlato conversazionale e la prosa espositiva. Al di là dunque delle dif­ ferenze dovute dalla modalità di comunicazione, è necessario conside­ rare più da vicino il rapporto tra la distribuzione delle parti del discorso e i vari tip i di testo parlati e seri tti, come faremo nel prossimo paragrafo. 5 ·2

Parti del discorso e tipi di testo

Nel paragrafo precedente abbiamo visto che le frequenze di nomi e verbi correlano con quelle di altre parti del discorso e che si può parlare di area del nome e area del verbo per identificare un gruppo di parti del discorso. Poiché queste correlazioni hanno ricevuto conferma in lavori basati su corpora di molte lingue diverse, anche distanti tipolo­ gicamente e culturalmente, sembra legittimo considerare le frequenze dei nomi e dei verbi come uno dei correlati funzionali della modalità di comunicazione. Prima di passare a illustrare le differenze tra i vari tipi di testo, è bene soffermarsi sulla numerosità dei lemmi nominali e verbali. Tut­ te le indagini hanno registrato costantemente due fenomeni : i lemmi nominali sono quasi il doppio di quelli verbali e la loro numerosità è inversamente proporzionale al rango, cioè il numero di lemmi nomi­ nali aumenta con il diminuire delle frequenze del lemma. Entrambi i 2. In Leech, Rayson, Wilson (2014) i dati sulle parti del discorso sono ricavati da una sottosezione del British National Corpus costituita da un milione di occorrenze di scritto e un milione di occorrenze di parlato.

I43

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA TABELLA 5.6 Frequenza dei nomi e dei verbi nelle tre fasce del vdB Lemmi

Vocabolario fondamentale

Vocabolario di alto uso

Vocabolario di alca disponibilità

No m i

46,7% 25,8%

58,6% 20,7%

75,4% 12,8%

Verbi

fenomeni sono illustrati dalla TAB. s.6, in cui presentiamo la numero­ sità dei lemmi nominali e verbali del Vocabolario di base (vdB), cfr. De Mauro (1991b). Com 'è noto, il vdB comprende circa 7.o o o parole che costituiscono il nucleo basilare del lessico italiano. Esso è suddiviso in tre fasce : la prima, il vocabolariofondamentale, comprende circa 2 . o o o parole estratte dai primi 2 . o o o lemmi in ordine di rango d'uso del LIF (cfr. Bortolini, Zampolli, 1971)3; la seconda, il vocabolario di alto uso, comprende circa 2.700 parole che compaiono nel LIF con rango d'uso tra il 2.001 e il s .o o i ; la terza, il vocabolario di alta disponibilita com­ prende circa 2.300 parole che non appaiono nel LIF, ma che sono «le­ gate a oggetti, fatti, esperienze ben noti a tutte le persone adulte nella vita quotidiana » (De Mauro, 1991b, p. I S O). Come si vede, nel vocabolariofondamentale il numero dei nomi è nettamente inferiore rispetto a quello nelle altre due fasce d'uso, men­ tre il contrario accade per i verbi. Lo stesso dato è registrato per il Françaisfondamental4 in Gouggen­ heim et al. (1967, p. 1 1 6), in cui si segnala che : la variation du pourcentage des noms est inverse de celle des mots gramma­ ticaux: elle s'elève de 8,7% à 53,9% entre le frequence 1 .0 0 0 et la frequence 20. Les noms deviennent donc de plus en plus nombreux dans la liste de fre­ quences, à mesure que la frequence decroit.

Questa tendenza è ampiamente confermata dai dati in Leech, Rayson, Wilson (201 4) per quanto riguarda i nomi del British National Cor3· Il Lessico difrequenza dell'italiano ( LIF ) è basato su un corpus di testi scritti della stessa ampiezza del LIP, soo.ooo, ed è costituito da: a) giornali e periodici; b) sussidiari; c) romanzi; d) opere teatrali; e) copioni cinematografici. 4· Il Français fondamenta! è una lista di parole di alta frequenza, basata su un corpus di circa 30o.ooo occorrenze, il cui scopo è quello di estrarre le parole fon­ damentali della lingua francese ai fini del suo apprendimento e della sua diffusione.

144



MODALITÀ PARLATA E PARTI DEL DISCORSO

pus e implicitamente dalla numerosità dei lemmi nominali e verbali del più grande repertorio lessicografico italiano, il Grande dizionario italiano dell'uso ( G RAD I T, I999 ), diretto da De Mauro, che con i suoi

circa 250.000 lemmi registra anche lemmi di bassa frequenza e in cui i nomi costituiscono il 62% del totale dei lemmi e i verbi solo il 9% (cfr. Lorenzetti, 201 1 ) . Da ciò si deduce che il lessico è costituito da una grande quantità di lemmi nominali, molti dei quali sono usati però po­ che volte, e da un numero molto inferiore di lemmi verbali, che tendo­ no a essere usati più spesso. Questa tendenza è ancor più accentuata nel parlato a causa del fatto che generalmente quando parliamo tendiamo a preferire un nucleo relativamente ristretto di lemmi; per questo motivo una valutazione che voglia mettere a fuoco l'incidenza della distribu­ zione delle diverse parti del discorso nei vari tipi di testo deve prendere in considerazione occorrenze che derivino da lemmi appartenenti alla stessa fascia di frequenza. Confronterò quindi la distribuzione dei no­ mi e dei verbi di testi diversi prendendo lemmi che appartengono tutti al vocabolario fondamentale, cioè ai primi 2.ooo lemmi in ordine di frequenza del LIP e del LIF. Questa procedura ci permette di garantire la piena confrontabilità dei dati; ricordiamo inoltre che il vocabolario fondamentale copre complessivamente più del 9o% dei testi di entram­ bi i corpora. Come si vede bene dalle TAB B . 5 ·7-5 .8, le occorrenze dei nomi e dei verbi seguono un andamento diverso a seconda dei tipi di parlato e di scritto considerati. La prima differenza che si può notare è che nel par­ lato i verbi sono sempre più frequenti dei nomi, anche se in percentuali diverse : mentre nelle conversazioni faccia a faccia e telefoniche i verbi sono ali' incirca il doppio dei nomi, questa differenza si assottiglia nei tipi di parlato meno spontanei. Questi dati sono confermati da nume­ rose ricerche anche su lingue diverse dall 'italiano (Biber et al., I999; Leech et al. , 200I ; Cresti, Moneglia, 2005) e delineano una distinzio­ ne non tanto e non solo tra parlato e scritto, quanto tra testi dialogici spontanei e non pianificati e testi più controllati e/ o meno spontanei. È importante, a nostro parere, dare uguale rilievo ai due fattori, grado di dialogicità e grado di spontaneità, poiché essi sembrano concorrere congiuntamente, ma in modo distinto ali ' andamento delle frequenze. La differenza tra conversazioni faccia a faccia e conversazioni telefo­ niche è dovuta al diverso tipo di dialogicità e al fatto che la comuni­ cazione telefonica ha ritmi di produzione diversi, più veloci con turni più brevi rispetto a quelli del parlato faccia a faccia; le differenze che

I45

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA TABELLA 5·7 Frequenza di occorrenza dei nomi e dei verbi nei cinque tipi testuali del LIP, ap­ partenenti al T ocabolariofondamentale LIP

Conversazioni Conversazioni faccia a faccia telefoniche Nomi Verbi

IO% 19%

9% 21 %

Dialoghi Monologhi Radio e TV non liberi• 14% 16%

IS % IS %

12% 17%

dialoghi con presa di parola non libera identificano testi parlati in cui vi è un locutore che indirizza flusso della comunicazione: interviste, dibattiti, interrogazioni e così via.

•I il

TABELLA 5.8 Frequenza di occorrenza dei nomi e dei verbi nei cinque tipi testuali del LIF, ap­ partenenti al T ocabolariofondamentale LI F

Nomi Verbi

Quotidiani e periodici

Sussidiari

Romanzi

Teatro

Cinema

14% 14%

16% 14%

14% 17%

13% 21%

12% 24%

si riscontrano tra conversazioni e dialoghi non liberi invece sembrano dipendere più dal grado di pianificazione che, ovviamente, dalla pre­ senza/ assenza di dialogo : per quanto un' intervista o un'interrogazione possano procedere a un ritmo dialogico serrato simile a quello di una conversazione, non vi è dubbio che almeno dal punto di vista tematico, le prime siano più pianificate. Al grado di dialogicità vanno attribuite le differenze che si riscon­ trano tra i diversi tipi di scritto, posto che si tratta di testi tutti altamen­ te pianificati. Come si vede, i testi cinematografici quanto i testi teatrali hanno un rapporto di frequenze molto simile a quello del parlato con­ versazionale, mentre lo scritto più tipico ( quotidiani e sussidiari ) pre­ senta una proporzione inversa, visto che i nomi sono più frequenti dei verbi. Interessante è anche la posizione dei romanzi che si avvicinano alle percentuali dei testi parlati probabilmente proprio perché conten­ gono dei dialoghi, confermando una sorta di posizione intermedia, già segnalata nel PAR. 5 . 1 . La rilevanza dei fattori considerati si coglie molto chiaramente se ordiniamo i dieci tipi di testo su un' ipotetica scala di dialogicità/pia­ nificazione : come si vede nella FIG. 5 . 1, perché ciò permette di visua-



MODALITÀ PARLATA E PARTI DEL DISCORSO

FIGURA S · I

Andamento delle frequenze di nomi e verbi dal dialogo al monologo

l



Nomi



Verbi

l

lizzare, al di là delle singole percentuali, l'andamento tendenziale dei nomi e dei verbi. Il grafico più delle tabelle evidenzia chiaramente come l' incre­ mento dei nomi sia legato ai testi meno dialogici e più pianificati : essi infatti aumentano man mano che si passa dalle conversazioni libere e non pianificate ai testi monologici pianificati, indipendentemente dal fatto che si tratti di testi parlati o scritti ; ne è una prova il fatto che il parlato monologico pianificato presenta valori molto vicini a quello dello scritto corrispondente. A riprova di ciò in uno studio che confronta i testi scritti del corpus Penelope, e quelli parlati del LIP ( Poli carpi, Rombi, Voghera, 2 0 0 9 ) , abbiamo registrato che apparten­ gono ai testi con più alto numero di nomi sia i testi scritti appartenenti alla saggistica alta, ai quotidiani, ai discorsi politici sia gli interventi politici e le lezioni universitarie. I testi che presentano più nomi sono infatti quelli con dichiarata vocazione informativa sia nel parlato sia nello scritto, anche se in quest 'ultimo la quantità dei nomi tende ad essere sempre maggiore.

I47

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA 5 .2.1. LE VARIABILI IN GIO C O : QUALCHE VERIFICA

Nonostante i dati generali siano quelli più importanti, penso possa essere utile osservare il rapporto tra frequenza di nomi e verbi e orga­ nizzazione testuale, prendendo in considerazione in dettaglio alcuni testi. Nelle pagine seguenti analizzerò quindi sei testi, tre parlati e tre scritti : una conversazione telefonica, una conversazione faccia a faccia, un dialogo tratto da un romanzo, una lezione universitaria, un saggio scientifico e un articolo di giornale. Benché i dati ricavati da singoli testi non vadano presi come dati rappresentativi della modalità nel suo complesso, la loro analisi consente di cogliere con maggiore chiarezza il peso delle variabili in gioco. Di ogni testo ho calcolato il numero totale delle parole, la frequenza percentuale dei nomi e dei verbi sul totale delle parole e sul totale della somma di nomi e verbi. Il calcolo della frequenza di nomi e verbi anche sul sottoinsieme N + V fornisce un' indicazione immediata sui rapporti di forza tra nomi e verbi e quin­ di sull'ossatura essenziale del discorso. Per semplificare l'analisi ho escluso dal conteggio delle parole i fo­ nosimboli riportati nella trascrizione (eh, mh, ah). La conversazione tratta dal romanzo presenta degli inserti non dialogici che sono stati esclusi dal conteggio delle parole. Nel conteggio dei nomi ho consi­ derato come unica occorrenza la presenza di nome e cognome e il no­ me seguito dall'appellativo, come per esempio in dal mio amico Carlo

Ginzburg. (3) LIP-RB7 - Conversazione telefonica A: pronto 2. B: ciao Bruna 3· A: chi è 4· B: so' Mimì S · A: ehi Mimì ciao come stai ? 6. B : bene bene 7· A: sei stato bene fuori ? 8. B : sì sì 9· A: ah 10. B : abbastanza bene_ I I . A: quando sei tornato ? Il. B : eh verso le_ le cinque e mezzo le 13· A: ah oggi pomeriggio 1 4 . B : sì sì 1.



15. 16. 17. 18. 1 9. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27· 28. 29. 30. 3 1. 32. 33· 3 4· 35· 36. 37· 38. 39· 40. 41. 42. 43· 44· 45· 46. 47· 48. 49· s o.

5 1. 52. 53· 54· 55·

MODALITÀ PARLATA E PARTI DEL DISCORSO

A: no stamattina B: no siamo partiti eh un po' presto poi loro_ dovevano passare al cimitero A: ah ecco B: e_ poi ci siamo fermati_ pure per strada a mangiare qualcosa A: ho capito B: qualcosa A: ah B : insomma un panino e_ quindi il tempo non era tanto_ bello poi sai alle porte di Roma qua_ eh comincia_ A: infatti infatti B: eh infatti il solito_ caos eccetera insomma e sai e allora abbiamo impiegato parecchio A: ho capito ah ah perché eh Daniele m'aveva detto che ritornavi stamattina ah va bè B : bè no stamattina -po- si partiva e_ lì A: quanto ci hai impiegato Mimì ave quanto ci avete impiegato poco? B : ma no sempre quel sempre tre quattro ore occorrono perché loro A: tanto_ B: sì perché loro in pratica fanno pochissimo autostrada no fanno in effetti per andare da loro_ è_ tut< ta> tutta strada interna fanno la Salaria A: accipicchia quindi B: eh A: ci impieghi ci impiegano di più insomma B: ah sì perché la strada_ non è insomma cioè non è brutta ma neanche buona ci so' dei tratti A: ho capito B: a una corsia_ eh ad andare e una a ritornare A: ah B : per cui quando trovi camion eccetera davanti A: capirai è un casino B: insomma_ A: ah certo ah B : è difficile insomma sorpassare_ insomma e allora_ A: ho capito ah comunque va bè l'essenziale insomma che la < ? ?> B : ma_ insomma_ era un po' freddo le giornate erano freddissime quindi in pratica là loro dato che sono contornati da_ da 'na serie di parenti A: ah B : non si è fatto altro che mangiare dalla mattina alla sera

I49

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA TABELLA 5·9

Frequenza di occorrenza di nomi e verbi nella conversazione telefonica

Numero Parole N+V N v

273 69 26 43

% sul totale

% su N + V

25 II I4

( 4 ) LIP-MA26 - Conversazione faccia a faccia 1. A: io sono Fabrizio 2. B : sì io Carlo 3· A: certo 4· B : di Arcinova sono venuto qui perché_ eh noi stiamo facendo insieme lì 5 . al teatro Ciak dei concerti 6. A: sì 7· B: eh facciamo degli spot a Radio Popolare 8 . A: state già facendo 9· B : eh utilizziamo il contratto che ha il Ciak I O. A: che ha il Ciak I I . B : eh il prim la prima serie di spot per il primo concerto l'abbiamo I2. già fatta adesso dobbiamo fare eh altri dieci spot per il secondo concerto 13· A: sì I4. B : eh [interruzione] 15. A: allora per la programmazione bisogna andare al qua< rto> su al setti­ I 6 . mo piano 1 7. B: sì I 8. A: dov'è c 'è la ragazza che si interessa della programmazione la cassetta I 9 · ce l ' avete già 20. B: ecco il problema è questo eh io qui ho la musica e devo fare il lavoro di 21. metterei la voce_ insomma questa cosa 22. A: devi farlo qui_ ? 23. B : se è possibile sì 24. A: ahah non c'è nessuno < ?> che possa_ 25. B : prima non vi ho telefonato perché non avevo il numero di telefono 26. avevo l'indirizzo sto con l'ufficio qui vicino ecco venivo direttamente qui 2 7· A: ahah sì lo so che siamo vicini 28. B: caso mai non trovo nessuno 29. A: però il discorso adesso è che non c'è nessuno che fa la regia 30. B: perché basta un niente penso 31. A: ahah sì 32. B: però quel niente ci vuole

S · MODALITÀ PARLATA E PARTI DEL DISCORSO 33· 3 4· 35· 36. 37· 38. 3 9· 40. 41. 42.

A: ci vuole ## e quando parte quando dovrebbe partire B: parte il concerto è lunedì prossimo A: bè il tempo il tempo c 'è # Mirella C: un momento A: questa chi è B: $ una cantante algerina # poi le faccio vedere appunto il luogo la data e A: e basta solo questo devi dire B: anche perché sono gli spot io non mi ricordo ma duran pochissimo questi A: o da venti o da trenta secondi

TABELLA 5.10

Frequenza di occorrenza di nomi e verbi del testo nella conversazione faccia a faccia Numero

Parole N+V N v

% sul totale

% su N + V

232 37 18,5 18,5

ss 42 43

( s ) Antonio Tabucchi, La testa perduta di Damasceno Monteiro 1. - Tu dormi poco, Manolo, gli disse, hai sentito qualcosa quella notte ? 2. Manolo tese il bicchiere e Firmino glielo riempì. Manolo trangugiò il vi3· no e mormorò: 4· - Manolo beve, ma il suo popolo ha bisogno di alcide. s . Mano lo con accondiscendenza tradusse in portoghese : 6. - Vuol dire pane 7· - Hai sentito qualcosa durante la notte ?, ripeté Firmino. 8. - Un motore, disse, prontamente Manolo. 9· - Vuoi dire una macchina?, precisò Firmino. I O. I I.

12. 13· 14. 15. 16. 17. 1 8. I 9· 20.

- Una macchina e degli sportelli che sbattevano. - Dove ? - Davanti alla mia baracca. Manolo gli mostrò con l' indice un sentiero sterrato che entrava di sbieco dalla strada principale e che costeggiava l'accampamento. - Con quel sentiero si può arrivare fìno alla vecchia quercia, confermò, e scendere per la collina fìno al fiume. - Hai sentito delle voci ? - Voci, confermò Manolo. - Cosa dicevano ? - Non so, disse Manolo, impossibile capire.

ISI

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA - Neanche una parola?, insisté Firmino. - Una parola, disse Manolo, ho sentito dire cagarrao. - Prigione ?, chiese Firmino - Prigione, confermò Manolo. - E poi ? - Poi non so, disse Manolo, ma uno aveva una grande gateira. - Gateira, chiese Firmino, cosa vuoi dire ? 28. Manolo indicò una bottiglia di vino. 29. - Aveva bevuto, chiese Firmino, è questo che vuoi dire, che era ubriaco ? 30. Manolo assentì con la testa. 31. - Come l'hai capito ? 32. - Rideva come chi ha una grandegateira. 33· - Hai sentito altro ?, chiese Firmino. 3 4· Manolo scosse la testa da destra a sinistra. 35 · - Pensaci bene, Manolo, disse Firmino, tutto quello che puoi ricordare 3 6. per me è prezioso. 3 7· Manolo parve riflettere. 3 8. - Quanti credi che fossero ?, chiese Firmino. 3 9· - Due o tre, rispose Manolo, non so, forse. 40. - Non ti ricordi altro di importante ? 41. Manolo rifletté e bevve un altro bicchiere di vino. Il padrone si fece sulla 42. porta del cortiletto e vi indugiò guardandoli con curiosità. 43· - Cacasotto, disse Manolo, è il suo nome, gli devo duemila scudi di aguar44· dente. 45· - Con i soldi che ti do sanerai il tuo debito, lo assicurò Firmino. 46. - Uno di loro parlava male, disse Manolo. 4 7· - Cosa vuoi dire ?, chiese Firmino. 48. - Parlava male. 49· - Vuoi dire che parlava portoghese ? s o. - No, disse Manolo, così: p-p-porca mi-miseria, p-p-porca mi-miseria. 5 1. - Ah disse Firmino, era balbuziente. 5 2. - Giusto, confermò Manolo. 5 3 · - Altro ?, chiese Firmino. s 4· Manolo scosse la testa. 55· Firmino tirò fuori il portafoglio e prese diecimila scudi. Manolo li fece s6. sparire con una velocità sorprendente. Firmino si alzò gli tese la mano. s 7· Manolo gliela strinse e si portò due dita al cappello. s8. - Vai aJanas, disse Manolo, è un bel posto. 59· - Ci andrò prima o poi, promise Firmino, allontanandosi. Entrò nel caffè 6 o. e chiese al padrone di chiamare un taxi al telefono. 61. - È tempo perso, rispose sgarbatamente, il padrone, i taxi chiamati al 62. telefono si rifiutano di venire fìn qui. 63. - Devo andare in città, disse Firmino. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27.

S · MODALITÀ PARLATA E PARTI DEL DISCORSO 64. 6s. 66. 67.

Il padrone scacciò le mosche con un panno sporco e rispose che c'era un autobus. - Dov'è la fermata?, chiese Firmino. - A un chilometro, prendendo a sinistra.

TABELLA S ·II

Frequenza di occorrenza di nomi e verbi nella conversazione del romanzo Parole N+V N v

( 6) 1. 2. 3· 4· S· 6. 7· 8. 9· 10. 1 1. I2. q.

I4. I S. 16. 17. 18. 1 9. 20. 21. 22. 23. 24.

Numero

% sul totale

% su N+ V

245 96 45 SI

39 IB 21

47 53

LIP-MD3 - Lezione universitaria

ecco allora veniamo all'ultimo punto blocco che è quello che riguarda la rappresentazione della mh tragedia ovvero a quella struttura per così dire formale # che mh nell'antichità classica trasmette e elabora il sentimento del tragico è abbastanza importante quindi prendere in conside­ razione < ?> perché costituirà poi uno delle dei momenti di confronto con la struttura della modernità ecco intorno a quali punti si annoda la nostra < ?> della tragedia antica penso che che siano sostanzialmente tre cioè la rappresentazione del dramma nel senso etimologico proprio di azione # la rappresentazione simbolica cioè tutto quell 'insieme di mh elementi che permettono una transazione di significato da un piano di senso letterale a un senso secondo per così dire il terzo nucleo quello della prossimità al rito ## vediamo intanto il il primo punto allora la mh tragedia è fondamentalmente una rappresentazione drammatica bè sembra anche questo anche la palese ma che cosa intendiamo # intanto riandiamo ad Aristotele e Aristotele spesso come più volte abbiamo abbiamo detto definisce la tragedia mimesis practeos cioè la imitazione di una azione # l'altra volta abbiamo detto l' imitazione di un'azione e che non inerisce all'ambito della storia # ma ne impegna l'ambito del reale ma inerisce all'ambito dell'arte quindi a quello del possibile sotto specie universale # vi < ? > questo < ?> della mh della catarsi allora imitazione di un'azione dice Aristotele centrata su atti e fatti ancor prima che su caratteri # allora già Aristotele individua il nucleo della tragedia nella messa in scena di una azione poi Aristotele la definisce meglio quest 'azione e la articola in tre punti

IS3

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA TABELLA S .I2

Frequenza di occorrenza di nomi e verbi nella lezione universitaria Parole N+V N v

Numero

% sul totale

264 92 64 28

3S 24 II

% su N + V

( 7 ) Giulio C. Lepschy - da L a linguistica del Novecento Di fronte agli aspetti vari e molteplici in cui si manifesta il linguaggio, 1. 2. le curiosità che la gente prova, e le domande che si pone, sembrano riconducibili a due punti di vista diversi. Da un lato si hanno problemi 3· 4· relativi al linguaggio di per sé, a come è organizzato, alla sua funzioS · ne nella nostra attività mentale e nella struttura della società. Questi 6. problemi resterebbero presumibilmente gli stessi anche se ci fosse solo 7· un'unica lingua, e se ignorassimo tutto della sua storia; essi riguardano 8. la natura del linguaggio, ed occupano una parte centrale nelle riflessioni 9· degli studiosi del Novecento [ ... ] . Ma esistono anche questioni diverse, IO. altrettanto legittime e interessanti, poste dalla varietà delle lingue nello I I . spazio e nel tempo, nella società, o addirittura nell'uso di un singolo in­ I2. dividuo. Perché le lingue cambiano col tempo, e come mai ci sono tante 13· lingue diverse ? Un grande fisico contemporaneo, Freeman Dyson, in I4. un saggio che mi è stato segnalato dal mio amico Carlo Ginzburg, co­ I S . glie nello straordinario variare delle lingue un parallelo culturale alla I 6 . differenziazione delle specie. Entrambi i fenomeni hanno un valore I7. cruciale per l'evoluzione, in quanto la varietà e la rapida moltiplica­ I8. zione e diversificazione, all ' interno dei percorsi consentiti dalla nostra I 9 · struttura genetica, costituiscono le condizioni per la sopravvivenza e lo 20. sviluppo, biologico e culturale. TABELLA S ·I3

Frequenza di occorrenza di nomi e verbi nel saggio scientifico Numero

Parole N+V N

2I4 69

v

I9

so

1 54

% sul totale

% su N + V

32 24 9

7I 29

5· MODALITÀ PARLATA E PARTI DEL DISCORSO

( 8 ) la Repubblica , Un ora e mezza per parlare di legge elettorale, federalismo e anche del 1. 2. fiume Po. Si è appena concluso l' incontro in questura a Milano tra il 3· presidente del Consiglio Romano Prodi e il leader della Lega Umberto , 4· Bossi. Ali incontro hanno partecipato anche il coordinatore del Car5 · roccio Roberto Calderoli e il capogruppo alla Camera Roberto Maro6. n i. È la prima volta che Romano Prodi incontra il leader leghista dopo la 7· malattia del senatur. L' incontro di oggi conferma l ' interesse della Lega , 8. a percorrere l iter parlamentare per apportare le modifiche necessarie 9· alla legge elettorale. Questa mattina il senatore Roberto Calderoli, dai 10. microfoni di Radio Anch'io, aveva dichiarato di augurarsi che «la fibril­ li. !azione prodotta dalla raccolta delle firme faccia produrre al Parlamen12. to una buona legge » . Ma all' intero della CDL non tutti la pensano così. , , 13. Da un lato c è chi crede che le modifiche deli attuale legge elettorale 14. debbano passare per le aule del Parlamento. Dall ' altro chi punta sullo 15. strumento referendario. Al referendum non crede Paolo Bonaiuti. Il I 6 . portavoce del Presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi questa mat17. tina ai microfoni del Gr Radio Rai ha detto che « la legge elettorale la 18. deve fare il Parlamento, perché se la lasciamo in mano a questo governo 1 9 . cercherà soltanto, attraverso la riforma della legge elettorale, di prolun20. gare la sua incerta esistenza » . Il referendum, per Bonaiuti, così « rischia 21. di diventare un pretesto per non fare in Parlamento un tentativo serio 22. di legge elettorale » . TABELLA 5.14

, Frequenza di occorrenza di nomi e verbi nell articolo di giornale Parole N+V N v

Numero

% sul totale

241 89 64 25

41 24

% su N + V

IO

I dati delle TAB B . S -9- S - I 4 , che riportano la frequenza di occorrenza dei nomi e dei verbi dei sei testi, non presentano sorprese : i verbi sono più frequenti dei nomi nelle conversazioni e i nomi sono più frequenti dei verbi nei tre testi monologici. Infatti se consideriamo solo le clausole verbali, mentre nelle conversazioni il rapporto nome-verbo si avvicina a I : I, nei testi monologici per ogni verbo abbiamo più di 2 nomi. Ritro­ viamo inoltre alcuni dei fenomeni già segnalati nei capitoli precedenti che correlano rispettivamente con i dialoghi e i monologhi. ISS

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA Nei dialoghi osserviamo : un alto numero di clausole brevi; si vedano nel testo (3) le righe I-I S , nel testo ( 4 ) le righe 6-9, I7-I9, 24-27, nel testo ( s ) le righe s-u; clausole i n cui non compaiono nomi o perché gli argomenti del ver­ bo non sono saturati ( per esempio il soggetto) o perché gli argomenti sono realizzati da pronomi; si vedano nel testo (3) le righe I I, I9, 3 3, 3 5 , nel testo ( 4 ) l e righe 7, I7, I 8, I9, nel testo ( s ) l e righe 28, 3 6 ; usi deittici; si vedano nel testo (3) la riga 22, poi sai alle porte di Roma qua_ eh comincia_, la riga 24, eh infatti il solito caos_ eccetera insomma, la riga 3 8, camion eccetera, o nel testo ( 4 ) la riga I 6, insomma

questa cosa.

I testi monologici, d 'altro canto, esibiscono una sintassi più pesante a livello intraclausale, in cui troviamo : clausole lunghe; si vedano nel testo ( 6 ) le righe 9-u, la rappresen­

tazione simbolica cioe tutto quel!'insieme di mh elementi che permettono una transazione di significato da un piano di senso letterale a un senso secondo per cosi dire, o le righe I 6-2o, l'altra volta abbiamo detto l'i­ mitazione di un 'azione e che non inerisce all'ambito della storia # ma né impegna l 'ambito del reale ma inerisce al! 'ambito del! 'arte quindi a quello delpossibile sotto specie universale, nel testo ( 7 ) le righe I 3- I 6, Un grandefisico contemporaneo, Freeman Dyson, in un saggio che mi e stato segnalato dal mio amico Carlo Ginzuburg, coglie nello straordinario va­ riare delle lingue un parallelo culturale alla differenziazione delle specie, nel testo ( 8 ) le righe 9- I 2, Questa mattina il senatore Roberto Calderoli, dai microfoni di Radio Anch'io aveva dichiarato di augurarsi che «la fibrillazione prodotta dalla raccolta dellefirmefaccia produrre al Parla­ mento una buona legge» ; un alto numero dei sintagmi preposizionali; s i vedano nel testo ( 6 ) la righe s-6, dei momenti di confronto con la struttura della modernita, e le righe 8-9 del dramma nel senso etimologico proprio di azione, nel testo ( 7 ) le righe IO-I2, dalla varieta delle lingue nello spazio e nel tempo, nella societa, o addirittura, nell'uso di un singolo individuo. Tuttavia la distinzione dialogo vs. monologo non spiega tutto, e dalla lettura dei testi si ricava l ' impressione che tanto le conversazioni quanto i testi monologici presentino delle differenze al loro interno. Man mano che si passa dalla conversazione telefonica a quella faccia a faccia e a quella del romanzo si ha l' impressione di un progressivo riempimento del testo, di una maggiore compattezza dell 'informa­ zione. La stessa idea si ricava dalla lettura dei tre testi monologici :



MODALITÀ PARLATA E PARTI DEL DISCORSO

non vi è dubbio che l'articolo di giornale sia più "pieno" della lezione universitaria o del brano tratto dal saggio scientifico di Giulio Lep­ schy. Ciò non dipende tanto dal rapporto tra le frequenze dei nomi e quelle dei verbi, ma dal peso che l ' insieme di nomi e verbi (N + V) ha sul totale delle parole. Se osserviamo questo dato, notiamo che l ' insieme N + V tende ad aumentare passando dal 25% della conver­ sazione telefonica al 4I % dell 'articolo di giornale (cfr. TAB B . 5.Io e 5 . 1 4). Questo sembra legato ad almeno altre due variabili : da un lato il grado di informatività del testo e, dali ' altro, le finalità del testo o, se si vuole, il tipo di (macro) atto linguistico che il testo realizza (cfr. Mor­ tara Garavelli, I988). Se guardiamo al grado di informatività, si nota che la conversazione del romanzo si può collocare a un livello alto : lo scopo, del resto, è proprio quello di ottenere informazioni. Questo potrebbe ulteriormente spiegare il fatto che l ' insieme N + V ha una percentuale vicina a quello dell 'articolo di giornale. Se guardiamo invece alle finalità del testo, non stupisce la somiglianza tra lezione universitaria e saggio scientifico : entrambi i testi si possono accostare per il comune fine didattico-esplicativo che comporta il saper dosare la quantità di informazione. Il diverso peso dell ' insieme N + V non è dunque legato solo a fattori di pianificazione, ma anche alla quantità di informazione da trasmettere. Dunque vengono confermate diffe­ renze anche grandi sia all ' interno del parlato sia dello scritto, che sono connesse certamente al grado di pianificazione, di dialogici tà, ma anche allo scopo del testo. Ciò trova conferma nei dati presentati in Policarpi, Romi, Voghera (2009) in cui abbiamo potuto mostrare la rilevanza di un'altra dimen­ sione di variazione che regola l'emergenza dei nomi e dei verbi: quella relativa alla funzione testuale prevalente di blocchi di testo. Per verifi­ care questa ipotesi abbiamo costruito una campionatura di narrativa contemporanea, isolando le parti dialogiche, quelle narrative e quelle descrittive. Ne è emerso il quadro illustrato nella TAB. 5.1 5. In una campionatura di questo tipo, praticamente ideale, dove ven­ gono neutralizzate tutte le altre dimensioni di variazione, le differenze nella frequenza dei nomi, e quindi dei verbi, andranno attribuite esclu­ sivamente a fattori testuali e i dati mostrano differenze molto forti. Pur con oscillazioni dovute allo stile individuale, in tutti gli autori si delinea una curva di frequenza che cresce costantemente dalle parti dialogiche alle parti narrative, impennandosi ulteriormente nelle parti descrittive. La differenza fra parti dialogiche e parti descrittive, agli estremi della

157

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA TABELLA 5 . 1 5 Distribuzione percentuale di N in blocchi testuali di narrativa* Narrativa contemporanea Ilfilo dell'orizzonte T a ' dove ti porta il cuore Canone inverso

Dialoghi

Narrazioni

Descrizioni

30,0 34 · 4 36 . 3

48 .7 48,1

7 6 .3 68,5 7 0 ,7

57, 5

* P. Maurensig, Canone inverso, Mondadori, Milano 1 9 8 6 ; A. Tabucchi, Ilfilo dell'orizzonte, Feltrinel­ li, Milano 1 9 8 6; S. Tamaro, Vtz' dove ti porta il cuore, Baldini Cascoldi, Milano 1994.

curva, è tendenzialmente intorno al 3 5 % e supera il 45% nel romanzo di Tabucchi. Se riflettiamo ora sul complesso dei dati che ho esaminato fin qui, si possono avanzare alcune conclusioni su quali siano le situazioni e/o condizioni che incidono maggiormente nella diversa percentuale di oc­ correnza delle diverse parti del discorso nei testi parlati. La variabile che più fortemente incide nella diversa frequenza delle parti del discorso è certamente la presenza di turni di parola, ovvero l'opposizione dialogo vs. non dialogo. Un primo elemento che può determinare la bassa fre­ quenza dei nomi nel dialogo è la condivisione da parte dei parlanti del contesto e dell 'universo di riferimento (cfr. Lambrecht, 1994) . Normal­ mente nei dialoghi c 'è un continuo riferimento a elementi contestuali, molto più frequente che in altri tipi di testo. Le ragioni sono note : gli interlocutori trovano infatti molto più naturale e facile usare gli elementi del contesto anziché le parole. Sappiamo infatti che a parità di condizioni la brevità o l'economia è premiata nella comunicazione dialogica. Ciò comporta la sostituzione dei nomi con elementi deittici e anaforici come pronomi personali e possessivi o dimostrativi (cfr. Gi­ von, 1995)s, come si evince dalle frequenze dei pronomi e degli elementi deittici riparate nel PA R. 3.2..5. L'uso dei deittici al posto di nomi è, del resto, in qualche modo obbligatorio nei dialoghi spontanei al punto che se gli elementi deittici e/ o anaforici fossero sostituiti da nomi otterremmo testi parlati inac­ cettabili6. Poiché una delle principali funzioni semantico-discorsive dei nomi è quella di introdurre i referenti del discorso e di richiamarli si veda il PAR. 3 . 2.5. 6. È interessante notare che il ricorso a forme di referenza più pesanti ed esplicite

S· Sulla deissi



MODALITÀ PARLATA E PARTI DEL DISCORSO

nell 'articolazione del discorso, è naturale che il dialogo presenti pochi nomi. La frequenza dei nomi sembra infatti aumentare parallelamente all 'esigenza di creare un universo di riferimento condiviso fra gli inter­ locutori, quando cioè aumenta la necessità di usare termini a referenza piena, tipicamente espressa da nomi. Questa stessa esigenza spiega tra l'altro l'alta frequenza dei nomi nei testi descrittivi. Un altro fattore che condiziona la frequenza dei nomi è la gestione dell'articolazione dell' informazione. L'uso dei N è infatti spesso legato all'espressione del Topic (cfr. Ferrari et al. , 2008, p. 8 4) : Data la sua specifica natura semantico-referenziale, il Topic trova nel sintag­ ma nominale la sua categoria espressiva più naturale, in quanto, com'è noto, quest 'ultimo è connesso a tratti semantici quali l'esistenza, la permanenza, l'atemporalità ecc.

Naturalmente ciò che differenzia il dialogo da altre situazioni enuncia­ tive è nuovamente la possibilità di introdurre un Topic anche in assen­ za di un'espressione referenziale piena o pro nominale. È ciò che viene comunemente chiamato deissi contestuale : la possibilità di introdurre e/ o di topicalizzare elementi che sono riconoscibili ai parlanti per la loro salienza nella situazione comunicativa data (Berretta, I994; Renzi, Vanelli, I99 s ) . Complessivamente dunque l a distribuzione delle parti del discorso sembra rispondere ad esigenze di economicità semantica, pragmatica e sintattica. Nel parlato, in cui i testi sono prevalentemente costituiti da turni di dialogo la cui durata è necessariamente molto variabile e im­ prevedibile, i parlanti devono ottimizzare le risorse verbali e sfruttare quanto è più possibile la semiosi non verbale o, meglio, la naturale in­ terazione tra condizioni enunciative e programmazione e costruzione verbale. I testi monologici parlati, al contrario, sono di norma più pia­ nificati e si rivolgono a destinatari che non hanno, temporaneamente, lo stesso "diritto di parola" : ne consegue, ovviamente, che in un mo­ nologo ci si possa concedere una maggiore esplicitezza, che si realizza anche attraverso il maggior uso dei nomi. Ciò non vuoi dire che laddove i nomi sono numerosi si debba par­ lare di ridondanza: la diversa frequenza dei nomi in tipi di testi diversi del necessario è stato riscontrato come tratto delle interlingue di apprendenti di livello non avanzato ; cfr. Chini, Ferraris (2003).

I S9

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

non dipende infatti necessariamente dagli stessi fattori, poiché le pro­ prietà semantiche, pragmatiche e sintattiche dei nomi vengono sfrutta­ te in misura variabile in base alle esigenze del tipo di testo. Lo dimostra il fatto che la dimensione di variazione che agisce più decisamente sulla frequenza dei nomi e dei verbi appare, fuori dal dialogo, quella testuale. E infatti troviamo una crescita altissima dei nomi nelle campionature che hanno una chiara funzione descrittiva-indicativa (scritte sui pro­ dotti commerciali, pubblicità scritta, didascalie) o argomentativa (sag­ gistica, discorsi politici ecc.). La TA B. S - I S conferma questa ipotesi con la forte impennata della frequenza dei nomi nel passaggio dalle parti narrative alle parti descrittive. Nelle descrizioni l 'alta frequenza dei no­ mi sembra dipendere dalle loro proprietà più strettamente semantiche, dal fatto che le descrizioni sono di norma testi ad alta referenzialità e bassa temporalità (cfr. Mortara Garavelli, 1988). Ciò determina un alto numero di nomi e un numero relativamente basso di verbi. Descrive­ re implica infatti costruire una rete di riferimenti intorno a referenti stabili e i nomi tipicamente indicano un percetto che ha stabilità nel tempo (cfr. Hopper, Thompson, 1984). A ciò si aggiunge il fatto che nelle descrizioni si usano frequentemente strutture a modificazione multipla, tipicamente SP modificati da altri SP che, come abbiamo vi­ sto nel CAP. 4, sono le strutture che maggiormente contengono nomi; si veda un caso estremo nell'esempio seguente nella descrizione allegata ad un modulo : (9) Formulario per la presentazione delle domande di contributo, i criteri per la ripartizione e per la verifica della corretta gestione del medesimo contributo e le modalità per la sua eventuale revoca.

Nelle narrazioni la presenza dei nomi è più strettamente legata alla loro funzione pragmatico-discorsiva di introduzione dei partecipanti del discorso e la frequenza dei verbi è maggiore perché essi « assert the occurrence of an event of the discourse » (ivi, p. 70 8 ) . In conclusione, le correlazioni tra frequenza di occorrenza delle parti del discorso e modalità di comunicazione hanno chiaramente mostrato che non vi è un unico fattore che condizioni l 'andamento delle frequenze. Nel dialogo ciò che determina un equilibrio a favore dei verbi (o meglio a sfavore dei nomi) è una spinta verso l'economia. Ciò è connesso a una spinta generale verso il risparmio dei mezzi les­ sicali, confermato anche dal fatto che nei dialoghi l' insieme di N +

160



MODALITÀ PARLATA E PARTI DEL DISCORSO

TABELLA 5.16 Principali variabili in gioco nella frequenza di nomi e verbi Organizzazione sintattica

Tipi di testo

dialogo non frasi brevi, scarsa pianificato saturazione delle valenze verbali, deissi monologo frasi lunghe, saturazione pianificato delle valenze verbali, alto numero di sintagmi preposizionali

Narrazioni

Modalità di Tipi di testo Rapporto nome/verbo comunicazione 1 : 1 / I

scritto

I

Descrizioni

V è minore che nei testi non dialogici. Nelle descrizioni le occorren­ ze dei nomi sono molto numerose perché la descrizione è un testo di norma ad alta referenzialità e con strutture sintattiche a modificazione multipla. Nelle narrazioni infine il minor numero dei nomi, rispetto alle descrizioni, è connesso al maggior numero di verbi cui è affidata la progressione temporale del discorso : « Se la forma elementare del descrivere è la riproduzione della realtà, l'analogo nel narrare è la comu­ nicazione di avvenimenti » ( Mortara Garavelli, I 9 8 8, p. I 6I ) . La diversa frequenza dei nomi e dei verbi in vari tipi di testi espri­ me quindi un andamento che si è rivelato di volta in volta connesso a fattori enunciativi, semantici, pragmatici e sintattici. È evidente che l'analisi di testi diamesicamente e diafasicamente diversi fa emergere componenti diverse del processo di significazione, di volta in volta pre­ valenti a seconda dei diversi vincoli enunciativi e delle diverse esigen­ ze semantiche, pragmatiche e sintattiche : l'intreccio di questi fattori diversamente graduati regola l'aumento dei nomi o viceversa la loro diminuzione a favore dei verbi. La forte interazione tra ragioni di vario livello è un'ulteriore prova della natura pluridimensionale delle nozio­ ni stesse di nome e verbo che, a seconda delle cornici enunciative e/ o testuali, realizzano prevalentemente tratti semantici, pragmatici e sin­ tattici ( cfr. Laudanna, Voghera, 20 0 2 ) . Nella TAB. s . I 6 sono illustrati, infine, sinteticamente le principali variabili in gioco nella frequenza dei nomi e dei verbi. Gli elementi illustrati nelle colonne non vanno interpretati come elementi che si implicano a vicenda, ma che tendono a co-occorrere a fini funzionali. I nomi e i verbi sono in un rapporto che tende alla parità o a una preponderanza di questi ultimi in quasi tutti i testi parlati e in

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

particolare nei dialoghi; al contrario i testi scritti sono solitamente testi preparati, con frasi più lunghe in cui i vari argomenti sono saturati da elementi lessicali pieni, cioè nomi. Queste caratteristiche si possono trovare in tanti tipi di testi, ma normalmente sono più frequenti nelle descrizioni rispetto alle narrazioni, in cui si tende ad usare più verbi per esprimere la sequenza degli avvenimenti. Come vedremo nel pros­ simo capitolo, queste caratteristiche correlano, a loro volta, con aspetti semantici di rilievo.

6 I correlati semantici della modalità parlata

6.1

Significare a bassa definizione

I correlati dei testi parlati fin qui descritti trovano chiare corrisponden­ ze a livello semantico. La ridondanza, le ripetizioni e l'uso spesso cumu­ lativo dei segnali discorsivi a livello testuale, la sintassi che si compone per aggiunte di piccole porzioni in sequenza, la bassa referenzialità, dovuta al basso numero di nomi rispetto ad altre parti del discorso, sono tutti elementi che contribuiscono a un risultato semantico che ha come sua proprietà principale la bassa definizione. Non diversamente da ciò che avviene per la sintassi, anche per la semantica la forma si delinea a poco a poco, perché chi parla non è sem­ pre coscientemente occupato nella scelta della parola o dell'espressione esatta o calzante, ma costruisce il significato strada facendo, affidandosi anche alla cooperazione più o meno esplicita da parte del destinatario. Un testo parlato è per definizione sempre aperto a continue rifinitu­ re, cambi di progetto e, naturalmente, ai contributi del destinatario, e pertanto il suo significato non è mai del tutto e completamente de­ finito. Ciò non vuoi dire che nel parlare si proceda in modo casuale e disorganico; al contrario, i parlanti riescono di norma a realizzare un buon equilibrio tra la quantità di informazione da trasmettere e il mantenimento di un testo flessibile. Per far ciò procedono in modo incrementale senza appesantire troppo i singoli significati locali, che rimangono spesso sottospecificati, ma che invece diventano perfetta­ mente interpretabili all' interno della globalità dell'atto comunicativo ( Chafe, I 9 8 o ) . Per avere un' idea più chiara di cosa questo significhi si guardi il testo in ( I ) , già usato nel CAP. 2 :

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

( I ) Ferrante (2oi 6) ed è l diciamo s' intitola appunto Il Monello sottratto a 1. 2. Charlot e parla di questo bamb+ cioè l almeno la la scena ini3· ziale < sp> con cui si apre il film mostra chiaramente che 4· l come questo bambino venga sottratto diciamo< oo> rapito in qualche S · modo sottratto a Charlot e diciamo che la scena< aa> l 6. perlomeno la< aa> la scena iniziale del film è ambientata in una stanza 7· in una camera < sp> e all' improvviso fanno irruzione in questa ca8. mera proprio dei l insomma non so delle persone non so chi siano 9· però anche poi la polizia che interviene all'improvviso e < ehm> sia IO. Charlot che il bambino si divincolano

La parlante sta raccontando una scena del film Il monello e, sebbene la scena non presenti difficoltà di interpretazione, procede per continue approssimazioni e tentativi. In primo luogo, notiamo una certa incer­ tezza nella scelta delle parole : nelle righe 4- 5 la parlante non sa se usare sottrarre o rapire e per segnalare la propria indecisione non solo ripete quattro volte la frase, ma usa i segnali discorsivi diciamo e in qualche modo, che hanno proprio la funzione di avvisare che le espressioni usa­ te vanno intese come indicazione di un significato generale, che forse si può parafrasare come 'portar via qualcosa a qualcuno contro la sua volontà', ma che non è necessario o possibile definire ulteriormente1• L'incertezza relativamente alle parole da usare o, meglio, la ricerca delle parole giuste continua anche quando la parlante indica il luogo della scena nelle righe 6-7 la scena e ambientata in una stanza in una camera , così come continuano i riferimenti approssimati o dichia­ ratamente non definiti ai personaggi nella riga 8 insomma non so delle persone non so chi siano. L' impressione generale che si ricava è che la parlante ragioni a voce alta, cercando di volta in volta di scegliere le parole più adatte per descrivere la scena. L'andamento di questo testo permette di cogliere in corpore vivo come la costruzione del senso implichi una cooperazione sia del pro­ duttore sia del destinatario poiché la parlante offre delle possibili indi­ cazioni alla sua ascoltatrice, ma implicitamente le chiede di non presta­ re troppo attenzione alle singole scelte, ma al significato globale di ciò che dice. Questo modo di procedere produce inevitabilmente un testo 1. Diciamo può avere proprio la funzione di approssimatore metalinguistico, cioè di segnalare che la parola usata è un'approssimazione o va interpretata in modo figurato ( Holker, 2005; Voghera, Borges, 2017 ) .

6. I CORRELATI SEMANTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

a bassa definizione, cioè fatto di scelte semantiche che si approssimano un po' alla volta alla forma voluta. Non bisogna tuttavia scambiare la bassa definizione con mancanza di informatività o scarsa accuratezza perché essa definisce, come vedre­ mo bene nelle pagine seguenti, una strategia di significazione, non la qualità o quantità del significato. La differenza tra bassa definizione e scarsa informatività si coglie nei casi in cui attraverso, per esempio, una sequenza di approssimazioni si arriva a definire con chiarezza il concetto voluto. L'esempio (2) è uno di questi casi : (2) LIP-MBI B : a che ora è? C: eh sai tipo alle quattro di pomeriggio quelle balle lì su Italia Uno Italia Uno Canale Cinque quelle robe lì

In questo caso abbiamo due amici che parlano al telefono di una tra­ smissione televisiva, di cui non viene indicato chiaramente né l'orario né il nome, ma che viene identificata un po' alla volta per approssi­ mazioni successive. È qui interessante che le singole indicazioni che si susseguono sono a bassa, anzi bassissima, definizione, e singolarmente poco informative : tipo alle quattro, quelle balle li su Italia Uno, quelle ro­ be li. Tuttavia il significato complessivo è chiaro e non sottospecificato perché fa appello a una serie di conoscenze condivise : infatti qualsiasi frequentatore della televisione italiana ha perfettamente chiaro qual è il tipo di trasmissione cui si riferisce il parlante C. La pluridetermina­ zione creata dalla costruzione a lista ( cfr. CAP. 3), anche se costituita da elementi che singolarmente non appaiono definiti permette al parlante di arrivare passo dopo passo a definire il proprio referente. La bassa definizione corrisponde quindi a una diluizione del contenuto propo­ sizionale, che non è però incompatibile con la produzione di significati precisi. La bassa definizione non è dunque di per sé sinonimo né di basso contenuto informativo né di scarsa interpretabilità, ma corrisponde al­ la strategia più naturalmente compatibile con la comunicazione faccia a faccia perché consente al produttore sia di procedere in modo incre­ mentale sia di mantenere un testo coerente e coeso, nonostante i possi­ bili interventi esterni da parte del destinatario. Naturalmente esistono testi parlati con livelli di definizione semantica diversa a seconda del contesto e dello scopo della comunicazione. In linea di massima, però,

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

un testo parlato tenderà a presentare il contenuto in modo più diluito rispetto a un testo scritto, anche se sullo stesso argomento e dello stesso produttore, come si vede dal confronto seguente : (3) Ferrante (201 6) Parlato

Scritto

e intanto però uno di questi due uo+ tre uomi­ ni comincia l cioè riesce a portare via il bambino e quindi viene trascinato su questo camioncino e portato via ( inspira­ tion) però c'è questa scena che è anche abbastanza melodramma­ tica in cui< ii> si scambi ano< o o> si guardano< oo> in maniera malinconi­ ca Charlie Chaplin e il bambino (ton­ gue-click) quindi c'è questo bambino che piange si dispera e prega a< aa> uno di questi due uomini che è alla guida di< ii> non !asciarlo< oo> cioè di !asciarlo andare e di non portarlo via ma lo lo por­ ta via

Nonostante le urla e i pianti, il bambi­ no viene trascinato via da uno di questi uomini e viene portato su un camionci­ no dove comincia a piangere e a suppli­ care uno di quei due uomini di !asciarlo andare. Chaplin intanto vede il bambino dalla finestra e in questa scena i due si guar­ dano malinconicamente.

6.2

Parole polisemiche e parole generali

Una delle strategie che produce bassa definizione semantica è l 'uso di parole o espressioni che hanno un alto rendimento funzionale. Se si tratta di lessico, si preferiscono quindi parole con un ampio spettro di significati, se si tratta di costruzioni si preferiscono quelle che han­ no un'utilizzabilità in quanti più contesti possibili, come abbiamo già visto con i connettivi e i modi e tempi verbali nel CAP. 4· Ciò deriva principalmente dal fatto che la contemporaneità del progettare e del parlare riduce il tempo per cercare parole o strutture e favorisce quelle che mostrano maggiore flessibilità e adattabilità in un maggior numero di contesti2• 2. La preferenza per elementi multifunzionali si registra anche a livello della forma. Ne è una prova, per esempio, il fatto che nel parlato troviamo un maggior

166

6. I CORRELATI SEMANTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

La preferenza per significati ad ampio spettro si manifesta fonda­ mentalmente attraverso l'alta frequenza di parole polisemiche. A livel­ lo lessicale si preferiscono i sinonimi di maggiore ampiezza semantica: macchina al posto di automobile,fare al posto di eseguire, dire al posto di affermare, dichiarare, asserire. In (4) abbiamo un chiaro esempio di questa strategia perché la parlante usa macchina nel parlato, mentre usa automobile e auto nello scritto. ( 4) Ferrante (201 6) Parlato

Scritto

quindi queste persone suppongo dei poliziotti lo allontanano dal protagonista e lo lo trasportano su < uu > una macchina < sp> [ ... ] questi poliziotti trasportano questo bambino su un l in una macchina cercando se mp re di allontanarlo dal protagonista però il protagonista insegue la macchina e al­ la fine riesce comunque a a re+ a recuperare il bambino < sp>

Il bambino viene messo su un 'auto­ mobile e trasportato via. Charlot, pe­ rò, insegue l'auto e riesce a riunirsi con il bambino, nonostante sia ostacolato dagli agenti della polizia.

Casi come quello illustrato in (4) sono molto frequenti; nel corpus raccolto da Ferrante (2.oi 6), più volte citato, si sono spesso registrate nel parlato e nello scritto coppie di parole o di espressioni che diffe­ riscono proprio nel fatto che quelle usate nel parlato erano più gene­ riche: corda vs. guinzaglio, piatto vs. portata, l'uomo che guidava vs. il

conducente. La preferenza nel parlato per termini generali emerge se confron­ tiamo la lista dei primi trenta nomi più frequenti nell'italiano parla­ to, ricavati dal LIP, con quelli ricavati da due lessici di frequenza dello scritto : il CoLFIS ( Bertinetto et al. , 2.oos) e il PTLLI. Benché tutte e tre le liste presentino un alto numero di parole di significato polisemico e molto generale, il loro numero è maggiore nel parlato rispetto a quello dello scritto, come si vede nella TAB. 6.1. numero di forme ambigue rispetto allo scritto, cioè di elementi che possono essere assegnati a più parti del discorso (Mancini, 1993).

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA TABELLA 6.1 Primi trenta nomi in ordine di rango nel LIP, nel coLFIS e nel PTLLI ; in maiuscaletta neretto sono riportati i lemmi presenti nel LIP, ma assenti nelle due liste dei corpora di scritto, in neretto quelli presenti solo nelle due liste dei corpora di scritto, ma assenti dalla lista del LIP Rango

2 4

s

6 7 8 9 IO II 12 13 14 IS 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30

Nomi

Nomi

Nomi

COLFIS

P T LLI

cosa anno parte problema volta giorno casa

anno giorno tempo volta uomo casa

cosa casa

ESEMPIO

parte cosa donna

LIP

punto persona tempo modo SIGNORE

momento

vita

mondo lavoro ora modo

mano volta giorno

occhio uomo tempo donna anno

vita voce parola

padre momento strada

LIRA

mese

lavoro

CASO

persona problema punto caso

testa madre porta

NUMERO

paese

ora

SI GNORA

momento

ora

vita

storia città mano presidente figlio

ATTIMO

parola

donna uomo

famiglia stato strada

piede notte terra aria luce sera acqua stanza figlio braccio

FATTO TIPO

SENS O LEG GE GENTE

DISCORSO

Le parole condivise da tutte e tre le liste sono un gruppo di parole ge­ nerali (cosa, punto, parte, uomo, donna) , che è ancora più numeroso se si guarda solo al LIP e al CoLFIS, e un gruppo di parole che si riferisco-

168

6. I CORRELATI SEMANTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

no al tempo (anno, giorno, ora, tempo, volta). Ciò che qui importa è che tra le parole presenti nel parlato e non presenti nelle altre due liste troviamo signore e signora, naturalmente frequenti come allocutivi nel parlato, e poi quasi esclusivamente nomi generali, che posseggono la caratteristica di una referenza generica a esseri umani, oggetti concreti o astratti : esempio, modo, persona, problema, punto ecc. Al contrario, i nomi presenti solo nelle liste dello scritto includono molti nomi che appartengono al lessico fondamentale, ma che hanno una referenza specifica, per esempio le parti del corpo (braccio, mano, occhio, testa), nomi di parentela (figlio, padre, madre), nomi di elementi naturali (ac­ qua, aria, luce, terra). Esiste dunque una differenza tra le liste poiché in quella del parlato è nettamente maggioritario il numero dei nomi a bas­ sa definizione semantica. Lo dimostra il fatto che molti di questi nomi sono interscambiabili in numerosi contesti, per esempio Non e questa la cosa l ilpunto l ilproblema l il discorso oppure È un/una cosa lproblema l punto l discorso difficile. Questa genericità li rende particolarmente adatti a una programmazione e produzione in tempo reale perché il loro uso permette di riferirsi a un insieme di significati in modo sinte­ tico senza dover perdere tempo a cercare parole specifiche. Si tratta, in fin dei conti, di parole passepartout, che coprono un'ampia gamma di significati, che entrano a far parte di varie espressioni di vaghezza, come vedremo nel prossimo paragrafo. Tra i vari usi dei nomi generali vi è anche quella di funzionare da nomi supporto (Mahlberg, 2005), cioè di esprimere la categorialità del nome, la nouniness, più che un significato specifico, tanto è vero che Halliday e Hasan, nel classico Cohesion in English ( 2013, p. 274), con­ siderano i nomi generali una manifestazione ai confini tra il lessico e la grammatica. La loro funzione di supporto si esplica bene nella fun­ zione di incapsulatori (Conte, 1998 ) , nei casi in cui cioè si riferiscono globalmente, anaforicamente o cataforicamente, a una porzione del discorso, come in (s) e (6).

( s ) LIP-REII ma questo non se trova perché più andiamo avanti e più al coso al Verano i fornetti non se trovano io sotto tera nun ce la posso mette perché prima de tutto che ce sta la cassa de zinco ah ## sotto tera nun ce va e poi dice che ce sta una nuova legge che dopo che sono passati dieci anni la bara da dentro al loculo n un se po' levà e questo è il fatto io < ?> la bara ndo' la metto in mezzo a strada e nun lo so io

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA (6) LIP-FC3 aspetta un attimo # il problema è questo_ che_ eh se noi mettiamo i cartelli dopo si dice ognuno può scegliere andare dove gli pare_ io non voglio però che a quel punto la gente stia nei corridoi o roba del genere ogni persona deve andare da qualche p arte quando ci sono questi dibattiti è chiaro ? non ci deve essere nessuno in giro

In ( s) fatto si riferisce anaforicamente ali' insieme dei problemi enun­ ciati dal parlante e potrebbe essere sostituito da una serie di altri nomi generali senza nessun mutamento sostanziale sul piano semantico : cosa, problema, situazione, questione. Lo stesso potrebbe accadere con pro­ blema, in ( 6), in cui il nome generale anticipa cataforicamente ciò che verrà enunciato. La preferenza per significati ad ampio spettro si ricava anche dalla lista dei primi trenta verbi ( cfr. TAB. 6.2), anche se in questo caso il confronto con lo scritto non fa emergere grandi differenze. Si notano immediatamente due cose. In primo luogo, la maggior parte dei verbi o ha un valore grammaticale, come i verbi modali, o ha significati molto generali. Alcuni di questi verbi come essere, avere e fare sono ritenuti verbi supporto, cioè servono frequentemente ad esprimere le categorie del verbo senza esprimere un significato proprio :

fare un viaggio vs. viaggiare,fare una passeggiata vs. passeggiare, dare la vernice vs. verniciare, dare una guardata vs. guardare. Si veda ad esem­ pio la differenza tra avere il ruolo di cameriere e interpretare il ruolo di cameriere in ( 7): ( 7) Ferrante (201 6) Parlato

Scritto

in questa< aa> scena (voce schiarita)

Charlie ha il ruolo di cameriere e diciamo deve servire (voce schiarita) un piatto a un ospite < sp> (inspirazione)

Il video mostratomi ha come protago­ nista Charlie Chaplin che interpreta

il ruolo di un cameriere.

Tipiche espressioni molto comuni nel parlato sonofare + N, in cui il si­ gnificato del verbo è interpretato in rapporto alla semantica del nome : fa i bollini?, detto da un cassiere di un supermercato, significa raccoglie i bollini? ( per ritirare i premi ) , ma devofare il bancomat vuol dire devo andare allo sportello del bancomat a ritirare soldi. È evidente che fare è semanticamente vuoto in entrambi i casi, del resto nel primo caso si

170

6. I CORRELATI SEMANTICI DELLA MODALITÀ PARLATA TABELLA 6.2 Primi trenta verbi in ordine di rango nel LIP, nel coLFIS e nel PTLLI ; in maiuscaletta neretto sono riportati i lemmi presenti nel LIP, ma assenti nelle due liste dei corpora di scritto, in neretto quelli presenti solo nelle due liste dei corpora di scritto, ma assenti dalla lista del LIP Rango

2 4

s

6 7 8 9 IO II 12 13 14 IS 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30

Verbi LIP

essere fare dire dare andare avere potere dovere volere sapere stare dare capire sentire venire parlare mettere guardare pensare CH IAMARE

prendere trovare arrivare portare credere RICORDARE SCRIVERE

chiedere SCUSARE

sembrare

Verbi C OLFIS

Verbi PTLLI

essere fare avere potere dire dovere volere andare stare vedere sapere dare trovare mettere parlare arrivare pensare sembrare prendere chiedere lasciare portare sentire

essere avere fare dire potere vedere andare sapere volere dovere stare venire guardare pensare parlare dare prendere sentire esserci passare capire sembrare

riuscire diventare venire passare cercare

vivere tornare

lasciare parere portare trovare cercare

rispondere chiedere arrivare

potrebbe chiedere semplicemente bollini?; nel secondo caso però fare non è eliminabile perché svolge il ruolo di supporto, appunto, ali' e­ spressione della modalità deontica verbalizzata con devo, che sarebbe difficilmente esprimibile dal solo nome. La generalità dei significati di molti dei verbi presenti nella lista è uno degli elementi che fa sì che molti di essi siano parte di costruzioni I7I

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA TABELLA 6.3 Numero di lessemi polirematici transitivi e intransitivi che hanno come testa i lemmi riportati nella prima colonna, come registrato dal GRADIT Lemmi Avere Essere Fare Dare Andare Mettere Venire

Polirematica transitiva

Polirematica intransitiva

17 19 IO

18

14 24 !8

23

polirematiche, cioè di lessemi formati da più parole, il cui significato non è ricavabile dalla somma dei significati delle parole che li com­ pongono ( De Mauro, Voghera, 1996; Voghera, 2004; Masini, 2012) :

andare bene,fare ilpunto,fare parte,fare conto,farefinta, perdere tempo sono tra le polirematiche più usate. Nella TA B. 6.3 riportiamo alcuni dei verbi, tra quelli presenti nella TAB. 6.2, che possono costituire la testa di un gran numero di lessemi polirematici, come registrato dal G RADIT. L'occorrenza in costruzioni polirematiche vale del resto anche per i nomi più frequenti, quali punto, parte o esempio che ricorrono in po­ lirematiche molto comuni, quali per esempio, punto di vista, a parte; alla frequenza della polirematica disegno di legge si deve tra l 'altro l'alta frequenza del nome legge nella lista del LIP. Il confronto tra le liste di frequenza dei verbi nel parlato e nello scritto evidenzia infine che essi condividono quasi tutti i lemmi, di­ versamente da quanto accade per i nomi. Una spiegazione di ciò può derivare dalle funzioni discorsive oltre che semantiche svolte dai nomi e dai verbi. Se accettiamo la visione di Hopper, Thompson (1984) sui ruoli discorsivi di nomi e verbi, per quanto le liste di frequenza vadano prese come indicatori tendenziali più che come dati assoluti, esse mo­ strano che tra parlato e scritto c 'è maggiore varietà nelle designazioni dei partecipanti del discorso di quanta non ce ne sia per la designazione di ciò che succede3• 3 · Ricordiamo che si tratta dei primi trenta verbi, naturalmente la differenza tra la lista del LIP e del PTLLI è presumibile che aumenterebbe col diminuire delle fre­ quenze.

172

6. I CORRELATI SEMANTICI DELLA MODALITÀ PARLATA 6. 3

La vaghezza

Un'altra strategia di bassa definizione semantica pervasiva nei testi parlati è l 'uso di termini o costruzioni vaghi. Il termine vaghezza, com'è noto, è usato nelle indagini semantiche sulla possibilità di deli­ mitare formalmente i confini semantici delle espressioni linguistiche (Russell, I923 ; Wittgenstein, 1 9 5 3 ; Neustupny, 1 9 6 6 ; De Mauro, 1 982; Ronzitti, 201 1 ) . Nell 'ambito di questi studi si è affrontato il ruolo e la posizione della vaghezza come proprietà sistemica delle lingue, che consiste nella possibilità di estendere e restringere i confini dei segni e quindi nella possibile esistenza di confini semantici non categorici, ma vaghi,fuzzy4• Parallelamente a questo ambito di studi si sono sviluppate altre ri­ cerche dedicate alla vaghezza che non deriva dal sistema linguistico, ma dalle scelte fatte dal parlante, e che perciò si può chiamare vaghez­ za intenzionale (Voghera, 201 2)5• Si tratta di casi in cui la vaghezza è presente negli enunciati per il suo valore comunicativo e sociale e non perché i mposta dal sistema. Un caso è riportato in ( 8) : (8) LIP-RB6 saranno state tipo # le sette così

Questo enunciato presenta numerosi tratti di vaghezza. Il futuro in­ ferenziale iniziale segnala che il parlante sta facendo una congettura e infatti l'uso di tipo introduce un'approssimazione, che si realizza dopo la pausa con il sintagma le sette; a conferma del fatto che il parlante sta dando un' indicazione di massima e non un orario preciso, l'enunciato si chiude con cosi, che ha proprio la funzione di limitare la veridici­ tà dell'affermazione. L'insieme di questi elementi sintattici e lessi cali deriva da scelte del parlante non necessarie, ma funzionali sul piano comunicativo. Fin dal 1975 Crystal e Davy avevano notato che nella conversazione è comune usare termini vaghi (vague language), cioè approssimativi e 4· Torneremo sulla vaghezza sistemica nel CAP. 7· S· Non esiste un'uniformità terminologica per indicare ciò che io definisco vaghezza intenzionale; possiamo infatti trovare altri termini quali « mitigazione » (Caffi, 2007b) o « atenuaci6n » (Albelda, Briz, 2010), «indeterminacy» (Bazzanel­ la, 2oua).

I 73

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

poco specifici. L'etichetta vague language si è diffusa successivamente dagli anni Novanta, anche grazie al titolo del libro di Johanna Channel (I 994), specificamente dedicato ali' insieme dei procedimenti semantici e pragmatici utilizzati dai parlanti quando non possono o non vogliono essere precisi, ed è stata poi utilizzata da vari altri autori, che si sono dedi­ cati anche allo studio della vaghezza nella conversazione (Jucker, Smith, Liidge, 2003 ; Cutting, 2007 ). Sono seguiti altri studi che, se anche non hanno avuto come obiettivo specifico i testi parlati, di fatto hanno uti­ lizzato il parlato come materiale di analisi ( Caffi, 2007b; Ghezzi, 20I 3; Mauri, Pietrandrea, Masini, 20I2; Voghera, 20I 2; 20I 3; 20I 4; 20I7a) . Ma quando u n parlante sceglie d i essere vago ? Tutte l e indagini che si sono dedicate alla vaghezza intenzionale sono concordi sul fat­ to che la vaghezza può avere diverse cause e che da ciò dipende il do­ minio su cui si esercita (Caffi, 2007b ; Channell, I994; Kaltenbock, Mihatsch, Schneider, 20IO; Bazzanella, 2011a; Overstreet, I999, 201 1 ; Jucker, Smith, Liidge, 2003; Ghezzi, 20I3). L a prima causa d i vaghezza intenzionale è quella che dipende da mancanza di informazione, che ha come dominio il contenuto proposizionale, e per questo può essere chiamata vaghezza informativa. Nella maggior parte dei casi questo ti­ po di vaghezza serve ad approssimare o a costruire categorie estempo­ ranee, non definite6• Un' importante parte concettuale e linguistica dell'espressione del­ la vaghezza è costituita dall'approssimazione quantitativa. Essa è un'o­ perazione cognitiva diffusa perché la capacità di comparare e distin­ guere insiemi di grandezze diverse è padroneggiata dagli essere umani ben prima di quando sono in grado di padroneggiare il principio di cardinalità e l'uso dei numerali ( Crump, I990; Dehaene, I997; Lemer et al. , 2003). Approssimare e calcolare sono infatti operazioni cogniti­ ve diverse che si sviluppano in tempi diversi, poiché le abilità del cal­ colo sono connesse ali' acquisizione di capacità simboliche avanzate7• Anche quando si impara a calcolare, tuttavia, non si smette di usare 6. La vaghezza di informazione si serve di numerosi strumenti sia lessicali sia sin tattici e anche di profili intonativi e gesti. Il contributo più completo allo studio di questi fenomeni in italiano è senz'altro Caffi (2o o7b), cui rimando per un inven­ tario e una classificazione delle principali espressioni verbali di vaghezza. 7· La differenza fra la rappresentazione della quantità e le abilità numeriche si manifesta anche nei pazienti affetti da acalculia, che presentano lesioni in zone cere­ brali diverse, a seconda che abbiano disturbi relativi alla valutazione di quantità o alle operazioni di calcolo (Lemer et al., 2003).

I74

6. I CORRELATI SEMANTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

l'approssimazione quantitativa, che rimane un'operazione necessaria in numerose circostanze, in cui non è possibile o opportuno essere pre­ cisi, come vediamonegli esempi che seguono : (9) LIP-NAS e quindi fatto poi alla fìne il conto una_ ventina forse anche una trentina di milioni ci arrivano (10) LIP-MA4 cioè son giusto due cose da sapere non c 'è nient'altro voglio dire da dire

( n ) LIP-MB4 perché poi ti viene il nervoso dici sì ho cinque minuti per chiamare_ Tizio Caio ma (12) MVS ci aggiungi per quattro persone due pomodorini due o tre carote tagliate a pezzetti (13) LIP-FDS io # posso capire # i mille e uno motivi # che a suo tempo portarono ad abo­ lire il concordato tributario

Negli esempi ho riportato alcuni casi di approssimazione quantitativa sia attraverso lessemi il cui significato esprime una referenza approssi­ mata ventina, trentina sia attraverso costruzioni che usano numeri, i quali non vanno però interpretati in modo cardinale. È chiaro infatti che lo scopo non è tanto quello di riferirsi a una pluralità di referenti, ma a un numero indefinito di referenti piccolo o a un numero molto grande, che rimanda a una potenziale incalcolabilità: in entrambi i casi il significato prevalente è di un'approssimazione verso il basso o verso l 'alto ( Bazzanella, 201 1b; Voghera, 20I7a ) . Naturalmente non approssimiamo solo quantità; di fatto usiamo approssimazioni in ogni ambito concettuale e infatti esistono moltis­ simi strumenti linguistici usati a questo scopo. In ( I 4) abbiamo un'ap­ prossimazione realizzata tramite la costruzione una specie di, che può essere parafrasata da 'qualcosa che assomiglia a' : (14) LIP-RC8 eh # eh in queste_ in questi locali no ? dove_ le persone fumano ci sono delle_ de_ delle specie di macchinari che cambiano l'aria_ continuamente

I7 S

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

L'uso di nomi tassonomici con il significato di classe come base di espressioni di vaghezza è diffuso in molte lingue (Voghera, 201 3 ; 201 4; 2017c) 8• In italiano oltre a specie anche genere, sorta e tipo en­ trano in costruzioni che esprimono vaghezza. In queste costruzioni i nomi hanno perso il loro valore originario dal punto di vista sia semantico sia categoriale e vengono ricategorizzati come parte di co­ struzioni aggettivali, preposizionali, avverbiali e come segnali discor­ sivi. Il risultato è una progressiva grammaticalizzazione con perdita del loro significato lessicale originario e passaggio da un significato più propriamente lessicale a uno più propriamente grammaticale. Dal punto di vista semantico, le CxNT [-N ] si dispongono su due continua che vanno dall 'espressione della generalità e vaghezza a quella della specificità e della focalizzazione. Ciò che è interessante è che lo stesso nome tassonomico può dar luogo a costruzioni che si ritrovano su punti diversi di questi continua, come accade alle costruzioni derivate da specie e tipo che possono esprimere approssimazione (esempi 1 5- 1 6 ) o specificazioni (esempi 17- 1 8 ) , sebbene con strutture sin tattiche e significati diversi : ( 1 s ) Il budino è una specie di torta (16) Il budino è tipo una torta (17) Mi piacciono i dolci, specie il budino (18) Mi piacciono i dolci tipo il budino

La maggior parte delle CxNT [-N ] indica tuttavia un'approssimazione nella predicazione o nell'assegnazione di un elemento a una categoria, come si vede dagli esempi (19-25): (19) Mario è una specie d'attore ( 20) Mario è una sorta di attore (21) Mario è (del) genere attore ( 22) Mario è un attore o qualcosa del genere ( 23) Mario è tipo un attore (24) Mario è un attore l l tipo ( 25) Tipo l l Mario è un attore 8. Per la bibliografia, ormai piuttosto ampia su questo argomento, cfr. Voghera (2017c) ; per il confronto tra l'uso approssimante delle costruzioni italiane e quelle inglesi sort of, kind ofe spagnole especie de e como + N cfr. Voghera, Borges ( 2017). La sigla CxNT [ -N J indica le costruzioni non nominali di nome tassonomico.

6. I CORRELATI SEMANTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

Nei casi come quelli riportati negli esempi ( 2.4 ) e (2.5) c 'è normalmente una cesura prosodica rispettivamente prima e dopo tipo. Come ho ricordato in altre sedi ( Voghera, 2.0I7c ) , ciò accade in tutte le lingue in cui esistono CxNT [-� ] e dà forza all' idea che esistano percorsi cognitivi e concettuali sottesi a queste costruzioni e che ci sia una forte compenetrazione tra proprietà semantiche lessicali, sintatti­ che e funzione discorsiva nel determinare l'esito dei processi di gram­ maticalizzazione ( Lehmann, 2.002.; Hopper, Traugott, 2.003; Mihatsch, 2.007; Masini, 2.0I2.; Renzi, 2.0I 2. ) . Specie e sorta occorrono con valore di bassa specificazione per indi­ care l'appartenenza di un elemento a una categoria, senza attribuirgli tutte le caratteristiche della categoria stessa ( Masini, 2.0I 2. ) , secondo lo schema seguente : (26) X è una specie/sorta di Y -7 'X è approssimativamente un Y '

Diversamente da specie e sorta, le costruzioni congenere e tipo sfruttano l'analogia : (27) È un X del genere/tipo di Y -7 È un X genere/tipo Y 'X è approssimati­ vamente un Y '

L'analogia è uno strumento d i osservazione e cognizione molto flessibile perché permette di comparare due domini e di riconoscerli somiglianti sulla base di proprietà salienti stabilite di volta in volta ( Gentner, 1989 ) . Genere e tipo divergono in parte nella costruzione dell'analogia. Nel­ le costruzioni analogiche di genere l'analogo di base precede l'analogo obiettivo e può essere costituito anche da una lista di elementi, il cui ac­ costamento determina a posteriori la creazione di una possibile categoria dai confini vaghi e indefiniti; nelle costruzioni analogiche di tipo l' ana­ logia è invece esplicita e la fonte dell'analogia funziona come esempio : (28) [chitarre, violino, banjo] [e strumenti del genere]

ANALOGO DI BASE ( 29) [linee perpendicolari]

ANALOGO OBIETTIVO

ANALOGO OBIETTIVO [tipo Mondrian] ANALOGO DI BAS E

In questo caso l 'analogo di base (Mondrian) è un membro esemplare di una categoria non chiaramente definita ( linee perpendicolari ? ) che 177

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

rimanda a sua volta ad altri membri esemplari più che a una categoria nel suo complesso. La costruzione del genere quindi è usata per inclu­ dere elementi in una categoria definita da suoi membri, tipo è invece usato per accostare un elemento a un membro esemplare di una cate­ goria potenziale. La differenza si coglie quando i due nomi sono usati nelle stesse frasi, come negli esempi seguenti presi rispettivamente da un giornale e da un forum online :

(3o) [

...

] pezzi grossi del genere tipo Peppe Servillo

( 3 1 ) Come fai a fare una cosa del genere tipo foto allo schermo ? In questi casi genere indica una categoria, una classe di persone o cose, mentre tipo ne indica un esemplare ( Voghera, 2.017c ) . In conclusione delgenere e tipo usano somiglianze salienti per identificare in modo più facile insiemi, categorie o classi di elementi o un singolo elemento, ma sfruttano il ragionamento analogico in modo diverso. Sebbene l' ap­ plicabilità della struttura relazionale tra l'analogo di base e l'analogo obiettivo sia estemporanea e limitata, delgenere crea categorie a poste­ riori, tipo crea esemplari di categorie potenziali. Non è un caso, viste le differenze appena illustrate, che genere en­ tri a far parte delle costruzioni generalizzanti (genera! extenders) nella forma e/o cose del genere, e/o roba del genere. Si tratta di costruzioni, come eccetera, e cosi via, e cose cosi, roba cosi e molte altre, che servono ad estendere a un insieme non definito di altri elementi le proprietà di uno o più elementi già nominati ( Channel, 1 9 94; Overstreet, 1 9 9 9 ) Nell'esempio ( 32. ) infatti eccetera ha la funzione di estendere il poten­ ziale gruppo costituito da tutti gli elementi che possiedono le stesse caratteristiche degli amici e dei parenti. .

( 3 2 ) LIP-MA23

all'ultima lezione possono partecipare anche i parenti amici eccetera che vo­ gliono venire

Le costruzioni generalizzanti permettono quindi di riferirsi a gruppi o classi di elementi per i quali non c 'è un nome definito, o di cui sempli­ cemente in un dato momento non ricordiamo il nome, ma che possono avere una realtà concettuale ed esperienziale comune al produttore e al destinatario della comunicazione. Per questo motivo la testa nominale

6. I CORRELATI SEMANTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

della costruzione è di norma occupata da un numero limitato di nomi generali : cosa/e e suoi alterati (cosetta), roba/e, situazione, qualcosa. An­ che le costruzioni generalizzanti si basano su un'analogia, che è creata contestualmente; questo permette di creare classi estemporanee sulla base di una somiglianza approssimativa tra un elemento X e gli elemen­ ti dell 'insieme. L'idea che l'analogia debba considerarsi approssimativa è ancor più netta nel caso in cui il parallelismo è tra un elemento X, non necessariamente espresso da un nome, e un insieme indefinito di elementi potenzialmente simili : (33) LIP-FC3 io non voglio però che a quel punto la gente stia nei corridoi o roba del genere

In (33) l'uso dell'espressione o roba de/genere indica che esiste un insie­ me di cose che hanno una proprietà comune con l'elemento esemplare stare nei corridoi. Il parlante vuole evitare che accadano cose che ap­ partengono all' insieme delle attività che si possono ritenere analoghe a (o dello stesso genere di) 'stare nei corridoi ', poiché si tratta di un intervento in un'assemblea studentesca si può ritenere che tutto ciò corrisponda grosso modo ad 'attività ricreative e/ o poco impegnative'. A queste costruzioni è stata attribuita la funzione di vague category identijìer ( Channel, 1994) perché permettono di selezionare insiemi che rimangono indefiniti; trovo tuttavia che il fatto che molti di questi insiemi non abbiano un nome consolidato non corrisponda necessa­ riamente a una vaghezza semantica, ma solo a una vaghezza designa­ riva. Sarebbe forse più giusto definire queste costruzioni l'espressione di una categorizzazione infieri, che permette di creare insiemi o classi sulla base di analogie che si ritengono salienti in rapporto alla propria personale esperienza, al contesto o al bisogno del momento (Mauri, Barotto, 201 6). L a vaghezza che deriva da mancanza d i informazioni può avere come dominio anche il livello metalinguistico, cioè manifestarsi nel­ la difficoltà di trovare la parola giusta e quindi nell'uso di espressioni vaghe con funzione metalinguistica. Questo tipo di vaghezza si può esprimere in molteplici modi, per esempio attraverso segnali discorsivi dedicati, come se cosi si puo dire, per cosi dire, diciamo ecc. Si tratta di hedges (cfr. CAP. 3), che hanno esattamente lo scopo di segnalare che la parola o l 'espressione usate potrebbero non essere quelle precise o perfettamente corrette nel contesto dato. I79

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

Ma la lingua ci offre anche la possibilità di usare delle parole segna­ posto, cioè esplicitamente prive di una referenza specifica e definita, che servono come parole-rimpiazzo al posto della parola che nel mo­ mento dato non ricordiamo o non conosciamo. Negli esempi (34-36) presentiamo vari usi di coso usato insieme ad altre espressioni di vaghez­ za con valore sinonimi co, coso come si chiama, de coso de roba o con altre espressioni di rinforzo coso la, con un effetto cumulo già notato in altre indagini (Voghera, Collu, 2017 ) . (34) LIP-MB36 è l' la la vedova di coso come si chiama di_ [interruzione] sì no Kevin Kleine è stupendo (35) LIP-NB6o questa è la ditta alla ià coso là (36) LIP-RB7 se ci hai qualche eh non so tre quattro scatole de de coso de roba

Finora ho considerato casi di vaghezza informativa, che ha come do­ minio il contenuto proposizionale. La vaghezza può però essere de­ terminata anche dali ' atteggiamento del parlante che non vuole espli­ citare apertamente il suo coinvolgimento in quel che dice o dichiarare quanto di ciò che sta dicendo è effettivamente un suo pensiero, una sua idea. In altre parole, vi sono numerosi casi in cui chi parla prefe­ risce non essere in primo piano di fronte al proprio interlocutore e non vuole comparire come il vero autore delle proprie parole. Questo produce una vaghezza, che chiameremo relazionale, che ha come do­ minio la dimensione pragmatica dell'enunciato, ed è determinata di norma dalla difficoltà o riluttanza a instaurare un rapporto preciso e diretto con ciò che si dice o col proprio interlocutore. Neli 'esempio (37) il parlante fa un paragone tra la Spagna e l' Italia, di cui non dà un giudizio positivo, che però nello stesso tempo mitiga usando l'e­ spressioneforse un pochino: (37) LIP-FE8 certo certo ma infatti sai la Spagna sta avendo un momento di grandissimo fermento [ ... ] e ho potuto conoscere un po' quest'ambiente di di grande vo­ glia di fare eccetera cosa che a noi forse un pochino adesso ci viene a mancare

180

6. I CORRELATI SEMANTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

In questo caso il parlante attenua la propria responsabilità rispetto al giudizio dato, usandoforse in funzione di hedge e il diminutivo un po­ chino. L'uso del diminutivo è molto frequente in italiano per esprimere vaghezza sia informativa sia di relazione. Si pensi a tutti i diminutivi per i nomi di porzioni temporali : secondino, momentino, minutino, oretta, settimane/la, mesetto, annetto che non necessariamente indicano periodi più brevi di quelli designati dai corrispettivi non alterati, ma semplicemente periodi meno definiti9• (38) LIP-NB6o B : fra quanto ritornate ? A: e credo fra un'oretta due ore

Abbiamo infine un terzo tipo di vaghezza che ha come dominio la tes­ situra del test010 e per questo chiamiamo discorsiva. Di norma è deter­ minata da difficoltà nei processi di programmazione in tempo reale nel parlato spontaneo o nello scritto non programmato, quali note, appunti ecc. Come ho ripetuto più volte, la contemporaneità del pro­ grammare e parlare rende spesso necessario produrre parole che copra­ no i tempi di produzione senza interferire con l'andamento sintatti­ co e semantico in modo distruttivo. Per questo motivo si utilizzano elementi vuoti semanticamente che finiscono con il diluire il discorso producendo appunto vaghezza, come vediamo in ( 3 9) e ( 40 ) con l'uso degli elementi in neretto : (39) LIP-FC6 danno più importanza alla religione no come_ manifestazione tipo_ eh in­ somma delle feste così (40) LIP-RAI una serata brutta a casa di amici di Stefano e Isabella che tipo cioè uno che parte devono dirgli addio cioè sai quelle tipo sai tipo

Di fatto, i tre tipi di vaghezza intenzionale spesso si intrecciano e ten­ dono a sovrapporsi in numerosi contesti. In primo luogo, è comune 9· Sugli usi dei diminutivi come espressione di vaghezza cfr. Merlini Barbaresi (2004) ; Ghezzi (2013); Voghera (2017a). 10. Ho altrove chiamato enunciativa o di produzione testuale questo terzo tipo di vaghezza. Penso tuttavia che il termine discorsiva sia più appropriato perché si applica senza ambiguità a testi in qualsiasi modalità: parlata, scritta ecc.

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

che una certa vaghezza del contenuto proposizionale si combini con enunciati dalla forza illocutiva meno definita, che esprimono quindi vaghezza relazionale. In secondo luogo, la vaghezza informativa può essere usata come espediente per ridurre la propria responsabilità come autori della comunicazione. Infine, ad entrambi i tipi di vaghezza si associa spesso una certa diluizione del discorso o, nei nostri termini, di vaghezza discorsiva. Il fenomeno è così descritto da Caffi (2oo7b, P·

s8) :

In other words, speakers can use referential vagueness to reduce both their commitment to the precision of denotation, hence of their reference act, and their epistemic endorsement of the truth of the proposition. Further, this weakening of responsibility, this "deresponsibilisation", will in turn affect the contextual appropriateness of the utterance.

Una buona esemplificazione di questo intreccio si ha nelle situazioni in cui il parlante è sottoposto a pressione, per esempio nelle interro­ gazioni scolastiche o durante una sessione di esame. In questo caso è molto comune che vaghezza si aggiunga a vaghezza, cioè l'incertezza sul piano informativo si manifesti con un'attenuazione della diretti­ vità dell'atto linguistico e con l'uso di segnali di vaghezza discorsiva. Un ottimo esempio è ( 41) in cui il parlante esprime una vaghezza sul piano proposizionale relativamente a cosa porterà l'indomani, espri­ me sul piano illocutivo incertezza e dubbio, che si manifesta a livello discorsivo con un cumulo di segnali di vaghezza bo' ma si dai insomma: ( 4 1 ) LIP-M B 4 allora ci vediam domani sera e bo' porto qualcosa non so cosa bo' se se se # bo' ma sì dai insomma

Questa forte relazione tra livello proposizionale, relazionale e discor­ sivo si manifesta anche nel fatto che la maggior parte delle espressioni di vaghezza è polifunzionale. Come è stato notato in studi basati su corpora in italiano, inglese, francese, spagnolo e tedesco, non abbiamo parole o costruzioni che siano esclusivamente dedicate alla vaghez­ za relazionale o discorsiva che non possano essere usate per veicolare anche vaghezza informativa (Ghezzi, 201 3 ; Voghera, 201 4; Voghera, Borges, 2017; Voghera, Collu, 2017 ). Ciò probabilmente dipende dal fatto che esiste una direttrice di sviluppo secondo la quale le espressio­ ni originariamente usate per esprimere vaghezza informativa possono

6. I CORRELATI SEMANTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

evolvere verso l'espressione della vaghezza di relazione pragmatica e successivamente verso l 'espressione della vaghezza discorsiva, ma non si conoscono processi inversi. In altre parole, l'espressione della vaghezza di relazione e discorsiva avviene attraverso la rifunzionalizzazione di strumenti originariamente utilizzati per la vaghezza di informazione. Vale per le espressioni di vaghezza, dunque, il percorso diacronico, ben documentato per numerose altre strutture, che partendo dall'espres­ sione di significati di tipo proposizionale arrivano col tempo a espri­ mere significati di tipo pragmatico-discorsivo (Traugott, 1982; 2003; Davidse, Vandelanotte, Cuyckens, 2010; Diewald, 201 1 ; Ghezzi, Mo­ linelli, 201 4). Gli esempi sono numerosi, citerò qui solo due casi di espressioni molto frequenti nell 'italiano parlato contemporaneo. Il primo è il caso dell'espressione un attimo, che dall' iniziale valore temporale ha svilup­ pato un significato di approssimazione, parafrasabile con 'un poco', che può esprimere vaghezza sul piano proposizionale come in (42), ma an­ che una vaghezza il cui dominio è di tipo relazionale perché, come in (43), non indica più né una porzione di tempo né una piccola quantità, ma la piccolezza è diventata simbolicamente segno di una maniera di agire : senza perdere troppo tempo e senza troppo impegno (Voghera, 2017b)11• ( 42 ) LIP-RA9 c 'è la supplente ci rilassiamo un attimo ( 43 ) LIP-MBI2 domani sento sento u n attimo in giro che cosa se ne pensa su questa cosa

Un altro caso è costituito dall'evoluzione degli usi approssimanti di

tipo, che ben illustrano il passaggio dall'espressione di significati di tipo proposizionale, come negli esempi (44) e (45) in cui si può parafrasare con 'più o meno', a quelli di tipo relazionali, come in ( 46), in cui si può parafrasare con 'che ne dici, che pensi ' e infine discorsivi, come in (47), in cui è impossibile fornire una parafrasi perché il ruolo è quello di mettere in evidenza porzioni testuali12: 11. Per una discussione dei valori semantici, testuali e pragmatici di un attimo e un attimino cfr. Voghera (2017c). 12. Per una descrizione delle diverse fasi diacroniche di questi passaggi cfr. Vo­ ghera (2017a).

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

(44) MVS È alto tipo uno e settanta uno e settantuno (45) MVS Questa è una prova l l tipo (46) MVS se uno dei due tipo al cambio dell 'ora scende e mette il nome ? (47) LIP-RAI tipo cioè uno che parte devono dirgli addio cioè sai quelle tipo sai tipo serie Berlinguer

Se il passaggio da un significato prevalentemente proposizionale alla modificazione delle relazioni pragmatiche è un fenomeno ampiamente notato in letteratura ( Traugott, 1982.; 2.003), meno nota è la possibilità di alcune espressioni di vaghezza di esercitare una funzione testuale focalizzante. Proprio lo studio di tipo e di un attimo, soprattutto del­ la forma alterata un attimino, ha fatto emergere l 'apparente paradosso dell'esistenza di usi focalizzanti espressi da un elemento che normal­ mente viene usato per esprimere vaghezza e approssimazione. Negli esempi ( 48) e ( 49) tipo funziona da segnale discorsivo, tipicamente ad inizio di turno, che non esprime né vaghezza né approssimazione, ma al contrario focalizza l'attenzione del destinatario sull'informazione che segue. (48) LIP-RB6 e tipo Marco lo chiamo cioè su dieci volte otto volte lo chiamo (49) MVS ma tipo se faccio un caffè ?

Similmente negli esempi seguenti un attimino precede ciò che si vuole mettere al centro del discorso, mettendolo a fuoco. D 'altro canto, non sembra perdere del tutto il valore di hedge che in qualche misura limita e riduce la portata della predicazione dell'atto linguistico. Si osservi in particolare (so): da un lato, un attimino richiama l 'attenzione sul disegno di legge, che richiede ovviamente una certa concentrazione, dall'altro, suggerisce che non è necessario entrare troppo nel dettaglio. Non è facile parafrasare le funzioni pragmatiche e testuali, ma una pos-

6. I CORRELATI SEMANTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

sibile riformulazione di un attimino in questi contesti potrebbe essere 'concentriamoci su ciò che segue, ma rapidamente e senza esagerare '. In altre parole, un attimino svolge una funzione su due livelli : a livello testuale mette a fuoco l 'elemento che lo segue, con l 'effetto di metterlo in rilievo, ma a livello pragmatico mitiga la forza dell 'atto illocutivo e quindi consente al parlante di presentare ciò che dice come qualcosa di poco impegnativo13: (so) LIP-NCS vi volevo aggiornare un attimino su questo disegno di legge che è in discus­ sione ( S I ) LIP-FCS bene chi è che si sente in grado di proporre un attimino un viaggio ? Riccardo perché questa agenzia Saetta mi sembra a me che è un po' fallimentare non sa proporre delle dei dei grossi giri turistici forza

Questo doppio livello di significazione produce talvolta un effetto si­ mile a quello dell' ironia, cioè di un opposizione voluta. L'effetto anti­ frastico è particolarmente accentuato quando l'elemento focalizzato è un aggettivo, che viene di fatto interpretato come intensificato : (s2) assessore oggi a palazzo Valentini c 'è aria un attimino tesa forse una crisi alle porte

Alle varie funzioni della vaghezza descritte finora bisogna infine ag­ giungere le funzioni sociali della vaghezza, determinate da esigenze di carattere culturale (Jucker, Smith, Liidge, 2003). Sappiamo infatti che la vaghezza è richiesa per motivi di cortesia perché un modo di espri­ mersi vago o poco definito permette ai parlanti di mitigare la forza dei propri atti linguistici e di "non minacciare la faccia" del proprio inter­ locutore (Brown, Levinson, I987 ) . Sappiamo bene, per esempio, che l'uso di espressioni vaghe sia nelle richieste sia nelle risposte suona più cortese. Lo scambio Che ne dici di un cinema? Veramente sarebbe tardi è infatti più cortese di un equivalente più diretto e non vago : Vuoi andare al cinema ? No, e tardi. Nel primo caso il parlante evita di fare una do13. Questa stessa doppia funzione sembra presente anche in molti usi di altre forme alterate, quali un momentino, un tantino, unfilino.

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

manda diretta per permettere al destinatario una risposta obliqua, che consente di attenuare la forza e le conseguenze di un rifiuto. L'uso della vaghezza come strategia di cortesia mette in evidenza il suo ruolo importante nella gestione delle relazioni interpersonali. Del resto, come fa notare Claudia Caffi ( 2007a ) nella sua introduzione alla traduzione italiana, già Leo Spitzer nella sua Italienische Umgangsspra­ che aveva colto che la comunicazione umana non può sopportare troppa precisione e che saper attenuare, mitigare e rendere vaghe le nostre parole e non ancorarci a un'unica e fissa referenziali tà è parte della cortesia, nel senso più generale di disponibilità alla costruzione dell'interazione dialogica e allo scambio con gli altri. Ciò sembra ac­ cadere in modo più evidente e frequente nei testi parlati perché è nella comunicazione faccia a faccia che il parlante si trova a dover gestire contemporaneamente e in tempo reale sia il piano proposizionale sia il rapporto con il suo interlocutore sia il processo di produzione e ascolto. In queste condizioni, come sappiamo, si tende a ottimizzare l'uso degli strumenti linguistici e a espandere le funzioni di un numero limitato di costruzioni diverse, e la vaghezza si rivela una strategia vincente. La sua multidimensionalità e multifunzionalità permettono di raggiungere vari obiettivi utilizzando lo stesso materiale lessicale o le stesse costru­ zioni, che di volta in volta assolvono significati e valori pragmatici e testuali non sempre separabili gli uni dagli altri. L'insieme di questi motivi fa sì che i testi parlati appaiano general­ mente vaghi. Non abbiamo, a mia conoscenza, studi generali che com­ parino la quantità di vaghezza presente in testi in modalità di comuni­ cazione diverse e non siamo in grado quindi di misurare la vaghezza del parlato rispetto a testi di altre modalità. Abbiamo però dati relativi a diversi tipi di testi parlati, dai quali è possibile trarre qualche generaliz­ zazione. In un' indagine sulla vaghezza intenzionale nel parlato italiano e tedesco, abbiamo registrato il numero di espressioni di vaghezza pre­ senti in tre tipi di testi : conversazioni, dialoghi con presa di parola non libera e parlato monologico ( Voghera, Collu, 2017 ) 14• In tutte e due le lingue il numero delle espressioni di vaghezza informativa, relazionale e discorsiva è maggiore nelle conversazioni ed è inversamente propor­ zionale al grado di dialogicità e di libertà di presa di turno, sebbene non sia mai assente e abbia proporzioni relative diverse nell' italiano e nel 14. I testi sono stati estratti per l' italiano dal corpus LIP e per il tedesco dal corpus Volk (Voghera, Collu, 2017 ) .

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6. I CORRELATI SEMANTICI DELLA MODALITÀ PARLATA

tedesco. La vaghezza, pur essendo un correlato semantico e pragmatico basilare della comunicazione parlata, trova quindi la sua massima uti­ lizzazione nel dialogo. Ciò sembra confermare l' idea di Spitzer, secon­ do cui essa è necessaria per accogliere l ' interlocutore e i nuovi possibili sensi che possono nascere da questo incontro.

7

La grammaticalità dei testi parlati

7· 1

Testi elastici e leggeri

Data una modalità di comunicazione non tutte le forme testuali e le co­ struzioni verbali sono ugualmente probabili, ma esistono usi linguistici che sono più frequenti perché maggiormente compatibili con i vincoli imposti dalle caratteristiche modali. Ho chiamato questi usi correlati funzionali della modalità perché consistono in strategie e costruzioni linguistiche che rendono il lavoro del produttore e del ricevente più fluido e agevole. Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, si tratta di comportamenti linguistici che variano in rapporto al variare delle componenti modali e mostrano le stesse caratteristiche in molte lingue diverse. Se ne ricava un quadro organico e coerente, in cui la modalità di comunicazione permea gli usi linguistici dal livello testuale fino alla frequenza delle parti del discorso. Ciò accade perché la modalità di comunicazione non è riducibile al solo sistema di trasmissione fisico del codice, ma coinvolge in modo integrato e dinamico i meccanismi di riconoscimento dei segni, il rapporto tra produttori e destinatari e, quindi, i tempi e le condizioni di costruzione dei testi. Tutto ciò non incide solo sulla periferia del sistema linguistico, ma su tutti i livelli di organizzazione linguistica, coinvolge gli aspetti più profondi della co­ municazione e corrisponde a specifiche condizioni semiotiche. I con­ fronti che in vari capitoli abbiamo presentato tra il racconto parlato e scritto di alcune scene di film di Chaplin, fatte dallo stesso parlante, ha permesso di mostrare che l'uso di modalità di comunicazione diverse non è un superficiale cambio d'abito, ma modella gli usi linguistici in modo pervasivo. Nel CAP. 2 abbiamo descritto la modalità di comunicazione come il prodotto congiunto di tre macrocomponenti : il canale, la relazio-

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

ne tra utenti e le proprietà dei meccanismi di produzione e ricezione. Nessuna delle tre componenti è indipendente dalle altre due poiché il mutamento nei valori dell'una comporta una variazione nelle altre due, tanto è vero che abbiamo definito la modalità un ingranaggio di elementi che si condizionano reciprocamente e che sono in rapporto di solidarietà necessaria. Concepire la modalità come un ingranaggio scomponibile ha il vantaggio di poter valutare il ruolo di ciascuna delle componenti basilari e di capire quale assetto esse assumano nelle varie modalità : ciò permette di valutare cosa abbiano in comune o di diverso, senza doverle interpretare come forme surrogate di parlato o di scrit­ tura. La scrittura delle chat, per esempio, condivide con la modalità parlata una struttura dialogica, anche se non del tutto sincrona. Questo le conferisce alcune proprietà tipiche della discontinuità conversazio­ nale, ma non altre che derivano dalle proprietà del canale audiovisivo e dalla specifica relazione in praesentia che si instaura tra i parlanti in una conversazione parlata. E infatti, sebbene il modo di scrivere nelle chat sia lontano da quello usato nella scrittura continua tradizionale, difficilmente troveremmo nelle chat la maggior parte delle costruzioni indicate nei capitoli precedenti, correlate alla modalità parlata. Questo modo di procedere ci permette di evitare definizioni non soddisfacenti come quelle di parlato-grafico o scritto-parlato, che confondono, a mio parere, i ruoli delle varie componenti modali (cfr. CAP. 8 ) . Sebbene le tre componenti della modalità siano interdipendenti, un buon punto di partenza per capire come funziona l' ingranaggio della modalità parlata è l 'osservazione del rapporto tra programma­ zione e produzione, da un lato, e ricezione ed elaborazione, dali' altro. Il fattore che domina il parlato è, infatti, la quasi-contemporaneità, per l 'emittente, dei processi di programmazione e produzione e, per il destinatario, di ricezione ed elaborazione. Questa cornice temporale delimita e condiziona tutti gli usi linguistici parlati e, infatti, se riper­ corriamo le principali caratteristiche di tutti gli elementi indicati dal livello fonico-uditivo a quello testuale, emerge molto chiaramente che i parlanti sono guidati dal bisogno di ottimizzare il rapporto tra i tem­ pi di programmazione/produzione, da un lato, e ricezione/ elaborazio­ ne, dali'altro. Altrimenti detto, i parlanti sono impegnati nel rendere fluente ed efficace il dialogo, che è, come ben sappiamo, il sistema di relazione primario della modalità parlata. Fin dalle prime pagine di questo libro è emerso con chiarezza che quando si analizzano da vicino i dialoghi spontanei l'elemento decisivo

7· LA GRAMMATICALITÀ DEI TESTI PARLATI

è la coppia produttore e destinatario, i quali devono collaborare non so­ lo sul piano della trasmissione del contenuto proposizionale, ma anche su quello della costruzione dell'interazione, che costituisce il cemento necessario alla comunicazione. Il punto evidente e non evitabile per chiunque analizzi un testo parlato è che in molti casi la distinzione tra il piano del contenuto proposizionale e quello relazionale non pare pos­ sibile : nella modalità parlata il contenuto trasmesso porta con sé con­ tinue tracce della soggettività del produttore e dello sforzo continuo di entrare in relazione con il destinatario. Inoltre, la relazione inter­ personale nel dialogo parlato è lo strumento per giungere a una buona trasmissione dell' informazione, ma è anche in molti casi il fine stesso dello scambio comunicativo. Non c 'è dubbio che mentre nella maggior parte dei casi la comunicazione scritta è focalizzata sulla trasmissio­ ne di informazioni, la comunicazione parlata ha un prevalente scopo sociale. Nei vari capitoli abbiamo mostrato che questi elementi sono parte integrante della costruzione dei testi ed emergono attraverso la frequenza dei pronomi, i segnali fati ci, l'uso pervasivo della deissi, ma anche la costruzione della sintassi e la progressione semantica1• Questo intreccio tra piani comunicativi non è naturalmente esclusivo della mo­ dalità parlata e sarebbe un errore credere che la dimensione pragmatica distingue di per sé il parlato dalle altre modalità di comunicazione, essa però assume nel dialogo un'evidenza ineludibile per la vicinanza fisica dei partecipanti della comunicazione e il continuo scambio dei ruoli. L'insieme di queste variabili delinea la cornice generale dei testi parlati, la cui caratteristica principale è in sostanza quella di dover essere aperti alla possibilità di modifiche. La sincronia e la continuità del processo di produzione e ricezione del parlato producono una discontinuità, che si riflette nella costruzione del testo sia sul piano tematico sia su quello verbale, attraverso i fenomeni di disfluenze fonetiche e testuali (esitazioni, cambi di progetto ecc.), ma anche attraverso le reazioni e gli interventi dagli interlocutori. Per evitare che la discontinuità si trasformi in mancanza di connes­ sione e coerenza, i testi parlati esibiscono costruzioni flessibili ed elasti­ che, che consentono di assorbire modificazioni, inserzioni, interruzioni in corso d'opera. La prima forma di elasticità consiste nel fatto che la lingua dei testi parlati è di norma integrata con altre forme di comunica1. Per una disanima del ruolo della soggettività in varie posizioni teoriche, cfr. Caffi (2oo7b, pp. 30 ss.).

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zione non verbale. Se dovessimo formulare sotto forma di istruzione il comportamento comunicativo dei parlanti, otterremmo qualcosa come 'utilizza tutte le risorse comunicative a disposizione e integrale con gli usi linguistici '. Nel CAP. 2 abbiamo visto che il dialogo naturale e spon­ taneo è costituito da più dimensioni simultanee e cooperanti. Di fatto, contrariamente a quanto si è indotti a credere, la multimodalità non è una condizione indotta dalle nuove tecnologie, ma deriva dalla naturale multidimensionalità della semi osi umana. L'uso del canale audiovisivo, che integra voce, udito e gesti, mette a disposizione di parlanti e ascol­ tatori varie strategie di codificazione e trasmissione/ ricezione. Come un fisarmonicista, il parlante ha a disposizione più tastiere che può suonare alternativamente e in modo armonico. Questo è reso possibile dal fatto che la comunicazione parlata è un processo multisensoriale, che coinvolge sia il linguaggio vocale sia il linguaggio dei gesti in un sistema perfettamente integrato. Le fonti di informazioni includono anche l'ambiente in cui la comunicazione ha luogo, le condizioni di interazione tra i parlanti, tra cui vanno incluse le relazioni e, almeno, le presupposizioni ideologiche e culturali su cui i partecipanti fanno affidamento in quanto membri di una determinata comunità. In perfetta coerenza con l'istruzione precedente, la lingua dei testi parlati manifesta la sua elasticità preferendo strutture leggere che si pos­ sono utilizzare in vari contesti o, altrimenti detto, che hanno alto ren­ dimento funzionale. In questo caso il parlante segue l ' istruzione 'usa strutture riutilizzabili '. A livello semantico questo si concretizza essen­ zialmente in una diffusa polisemia a livello dei significati sia gramma­ ticali sia lessicali, come abbiamo visto attraverso la frequenza dei tempi e modi verbali e dei connettivi, nel CAP. 4, e dei nomi e verbi generali, nel CAP. 6. A livello sintattico l 'elasticità e la leggerezza si manifesta­ no attraverso costruzioni che hanno un altro grado di combinabilità. L'uso di clausole brevi prevalentemente all'indicativo o senza verbo è l'equivalente sul piano sintattico delle parole polisemiche e generali sul piano semantico, perché anch 'esse sono potenzialmente collocabili in un alto numero di contesti sintattici, cosa che, nel caso di mutamenti di progetto, permette di limitare perdite di informazione. Allo stesso bisogno risponde l'uso di costituenti intraclausali brevi e leggeri, la cui struttura non limita la progressione dell' informazione con strutture gerarchiche pesanti. La forte propensione per un uso frequente di un numero relativa­ mente limitato di risorse fa sì che si tenda a ottimizzare il rapporto tra



LA GRAMMATICALITÀ DEI TESTI PARLATI

i vari livelli di codificazione e in particolare tra contenuto segmentale e soprasegmentale : in altre parole i parlanti tendono a non sprecare energie nell'articolazione se lo stesso contenuto può essere veicolato prosodicamente. La prosodia è indice della dinamica comunicativa in­ terna agli enunciati, poiché segnala quali sono gli elementi più o meno rilevanti di un enunciato e di conseguenza guida la comprensione. Ne è una prova il fatto che essa interagisce con il livello segmentale riequi­ librando eventuali perdite di informazione ; come sappiamo l ' ipoarti­ colazione può arrivare anche alla mancata realizzazione di singoli foni o sequenze, anche in contesti sensibili dal punto di vista sintattico per le marche dell 'accordo, come abbiamo mostrato nel PAR. 4 · 4 · 1 . Ciò nonostante i parlanti sono in grado di integrare i suoni fortemente sot­ tospecificati o non realizzati, adattando il processo di percezione alle condizioni fisiche e sociali in cui avviene (Warren, 1970; Albano Leoni, Maturi, 1995), anche grazie alla prosodia. Si è infatti notato che alcuni elementi sono meno soggetti a fenomeni di ipoarticolazione se in posi­ zioni prosodicamente salienti, quali per esempio quelle precedenti gli accenti tonali (pitch accents), o quelle marcate perché focalizzate (Savy,

2001). L'alto rendimento funzionale corrisponde in linea di massima, come sappiamo, a bassi livelli di specificazione e definizione a tutti i livelli. Tuttavia questa caratteristica, che può a prima vista apparire ne­ gativa, non limita né l' intercomprensione né l'efficienza comunicativa: anzi, per quanto questo possa apparire paradossale, la bassa definizione può essere la migliore strategia per raggiungere il proprio obiettivo co­ municativo. Come abbiamo detto variamente nei capitoli precedenti, in molti casi è più conveniente che i testi procedano in modo incremen­ tale per approssimazioni successive, lasciando sia al produttore sia al destinatario il tempo di costruire uno spazio semiotico e un significato condivisi, utilizzando in modo equilibrato anche l ' informazione che può derivare dalle altre fonti di informazione a disposizione. Questo modo di procedere non produce necessariamente lo stesso tipo di ri­ sultati linguistici a tutti i livelli. In alcuni casi l'equilibrio ottimale si traduce in un risparmio di costituenti, come avviene nel caso delle pro­ duzioni ipoarticolate, che riducono l'energia e i tempi di articolazione. Come abbiamo visto nel CAP. 2, i foni, le sillabe, le unità tonali possono manifestare tratti identificativi articolatori e acustici vari e confini non sempre definiti, tanto è vero che il parlato naturale difficilmente può essere considerato e rappresentato come una catena di blocchi dai li-

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miti nitidi e internamente costituiti in modo sempre regolare e uguale, e distinti qualitativamente. Ciò vuoi dire che l'efficienza e il successo della comunicazione non sono funzione deli 'aderenza della sequenza verbale a un modello di buona formazione. Al contrario, esiste un am­ pio margine di tolleranza alla variazione della sequenza verbale visto che né il parlante né l 'ascoltatore fanno affidamento sulla presenza di tratti invarianti per accedere al significato degli enunciati. Numerosi esperimenti dimostrano che la percezione linguistica non è basata sul riconoscimento di specifiche caratteristiche o di specifici valori della frequenza fondamentale, la durata, l'energia ecc. In altri casi, la bassa specificazione non si traduce in una produ­ zione ridotta, ma al contrario più diluita, che realizza più costituenti, come accade nel caso della sintassi additiva, che comporta un lavoro di programmazione meno gravoso rispetto a una sintassi che abbia un numero minore di costituenti, ma più compatta e fortemente gerarchi­ ca. Lo stesso avviene dal punto di vista semantico in cui la diluizione sembra essere più funzionale della riduzione : l 'uso di elementi a bassa definizione, come i nomi generali, e di strategie di vaghezza comporta­ no, infatti, nella maggior parte dei casi, ridondanza e maggior numero di parole. La strategia del risparmio e quella della diluizione, pur appa­ rendo antitetiche, possono quindi lavorare nella stessa direzione per­ ché entrambe hanno lo scopo di trovare il giusto equilibrio tra tutte le componenti del processo comunicativo. Benché si possa essere tenden­ zialmente d'accordo con Levinson (2ooo) sul fatto che generalmente i parlanti tendono a risparmiare sul piano articolatorio e a preferire l'uso di inferenze, nella realtà del parlato spontaneo possiamo avere casi in cui si massimizzano i processi inferenziali non necessariamente riducendo l 'articolazione, ma grazie all'uso di nomi e verbi molto ge­ nerali e semivuoti semanticamente, come abbiamo visto già nel CAP. 6 nell'esempio in cui si descriveva una trasmissione telefonica, che qui ripetiamo : (1) LI P -M B I B : a che ora è? C: eh sai tipo alle quattro di pomeriggio quelle balle lì su Italia Uno Italia Uno Canale Cinque quelle robe lì Risparmio e diluizione possono quindi essere sul fronte opposto per ciò che riguarda lo sforzo articolatorio, ma non per ciò che riguarda

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LA GRAMMATICALITÀ DEI TESTI PARLATI

il carico inferenziale. Tutto ciò conferma l ' intuizione di Zipf (1949), secondo la quale il minimo sforzo è un punto di equilibrio negoziato tra parlante e ascoltatore. Un'ulteriore strategia che favorisce la leggerezza e l'elasticità delle strutture linguistiche è l' indessicalità, e infatti quando si parla di norma si segue l'istruzione 'quando è possibile usa elementi deittici '. In qual­ che misura si può ritenere che l'uso degli elementi deittici sia la perfetta compenetrazione delle due istruzioni precedenti : 'integra la lingua con le informazioni extralingusitiche ' e 'usa elementi riutilizzabili '. Come illustrato nei CA P P. 3, s e 6, i parlanti fanno un uso pervasivo di elementi deittici per introdurre i referenti del discorso e costruirne le coordinate spaziali e temporali : come ho ripetuto più volte, i partecipanti del di­ scorso sono i punti di partenza e di arrivo di ogni costruzione testuale nel parlato, l'origine del processo significante. La deissi verbale è a sua volta rafforzata dall'uso di gesti deittici che integrano il piano verbale. La dipendenza dalla situazione enunciativa si manifesta anche nei continui richiami del locutore alla transitorie­ tà e contingenza delle sue affermazioni; lo dimostra la numerosità dei segnali discorsivi la cui funzione serve a indicare la portata delle affer­ mazioni fatte sia sul piano del contenuto sia su quello delle relazioni tra parlanti, come abbiamo visto nei CAPP. 3 e 6. Gli hedges, grazie alla loro funzione di diminuire o aumentare l'estensione di un' interpretazione, sono un'ennesima manifestazione di elasticità delle espressioni usate perché permettono di indicare al destinatario una linea interpretativa; essi rappresentano una sorta di metatesto che contiene le istruzioni alla comprensione di un significato che si va via via delineando. Infine, per garantire elasticità alla lingua dei testi parlati è necessa­ rio non creare attrito tra costituenti di diversi livelli di codificazione ; detto in altre parole, i parlanti in assenza di controindicazioni sembra­ no seguire l ' istruzione 'allinea i costituenti '. Il produttore e il destina­ tario di fatto lavorano in coppia per il successo della comunicazione e insieme modellano, definiscono e precisano via via i contorni del loro scambio. Nelle conversazioni è possibile rintracciare sequenze di turni riconoscibili sia per la loro funzione testuale e pragmatica sia perché costituite da forme sintattiche e prosodiche simili. È infatti possibile riconoscere una sorta di macroschemi di turni sulla base de­ gli atti linguistici che realizzano, che a loro volta condizionano l'uso delle varie costruzioni linguistiche. Già nel 1982 Schegloff parlava di turn-constructional units, cioè di unità riconoscibili sulla base del loro

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valore interazionale. Come abbiamo visto nel CAP. 3, ulteriori confer­ me sono arrivate dali' analisi conversazionale sulla forte integrazione tra marche intonative, sintattiche e pragmatiche nel segnalare punti rilevanti dello scambio dialogico. Nel CAP. 4 ho inoltre potuto portare dati sull'i tali ano che confermano la tendenza a far coincidere i confini di unità sintattiche e unità tonali. Ma ciò non accade solo nella conversazione : anche nei testi mano­ logici il parlante fa continuo appello in molteplici modi al proprio de­ stinatario perché collabori al successo dell'atto comunicativo. Dalla ri­ cerca del contatto visivo ali' invio di segnali fati ci e di contatto verbali e gestuali, a segnali che allertano il ricevente che il testo è in costruzione, e quindi ancora aperto ad aggiustamenti e rifiniture. Questo processo di allerta, contatto, ricerca di accordo o negoziazione, come abbiamo visto, tra produttore e destinatario è tanto più necessario quanto è più lungo il discorso prodotto e infatti spesso nel caso di turni lunghi o mo­ nologhi i segnali discorsivi svolgono la funzione di marcatori testuali, cioè di segnalare al destinatario la segmentazione del testo. Una strategia che facilita l 'allineamento dei costituenti è la massi­ ma coordinazione tra i livelli di codificazione. Sappiamo che possiamo produrre significato attraverso segni gestuali e vocali, e a livello fonico comunichiamo sia attraverso un livello segmentale sia soprasegmenta­ le. Nella maggior parte dei casi voce e gesti sono coordinati e si comple­ tano vicendevolmente, così come c 'è allineamento tra significato seg­ mentale e soprasegmentale. Ciò non vuoi dire che non siano possibili casi di disallineamento a tutti i livelli, come abbiamo visto nel CAP. 2. Abbiamo tutti familiarità con il fatto che la voce e l'espressione della faccia possono comunicare significati diversi e che ci possa essere dis­ sociazione anche tra piano segmentale e soprasegmentale. La sequenza simpatica Loredana è un'affermazione della simpatia di Loredana, se ha una curva melodica con l'accento tonaie ascendente-discendente sulla prima sillaba tonica, che prosegue senza sostanziali movimenti, come in ( 2a) ; diventa invece un enunciato ironico, quasi una negazione della simpatia di Loredana, se ha una curva con un accento tonale discen­ dente-ascendente sulla prima sillaba tonica e un nuovo innalzamento sulla sillaba tonica di Loredana, marcatamente allungata, come in (2b ) . �

(2) a. l l simPAtica Loredana l l � b. l l simPAtica Loredana l l



LA GRAMMATICALITÀ DEI TESTI PARLATI

Anche tra livello prosodico e sintattico nella maggior parte dei casi abbiamo allineamento tra costituenti. Sebbene la segmentazione pro­ sadica e quella sintattica seguano criteri specifici e indipendenti, l'ela­ borazione sia in produzione sia in ricezione si giova della coincidenza tra le unità di livello prosodico e sintattico e questo di conseguenza incoraggia la loro coestensione. In conclusione, le specifiche caratteristiche della modalità parlata producono condizioni materiali e semiotiche che condizionano neces­ sariamente la lingua usata, cosicché i parlanti hanno comportamenti grandemente regolari, che possono sintetizzarsi nel modo seguente : a ) usano tutte le risorse comunicative a disposizione, che siano altri codici o elementi del contesto ; b) le integrano con gli usi linguistici ; c) fanno massimo uso di processi indessicali ; d) preferiscono strutture ad alto rendimento funzionale ; e ) a parità di condizione favoriscono l 'allineamento dei costituenti. Il risultato è quello di produrre testi elastici e leggeri, che sappiano resistere alle scosse della comunicazione spontanea e naturale. Proprio come accade ai materiali elastici, i testi parlati devono essere sufficien­ temente malleabili e adattabili ali ' imprevisto. Nel parlato spontaneo non c 'è un copione prestabilito né per quanto riguarda il contenuto né per quanto riguarda la relazione comunicativa, e la progressione com­ plessiva della comunicazione va di pari passo con la costruzione di uno spazio intersoggettivamente condiviso con i propri destinatari. Che si tratti di rumori fisici o relazionali, per dir così, di imprevedibili cambi di soggetto, sovrapposizioni, interruzioni, cali di attenzione ecc., la co­ municazione deve progredire. È ovvio che il grado di elasticità è correlato ali ' assetto delle compo­ nenti modali. Varierà per esempio in rapporto al grado di parità locu­ tiva tra gli interlocutori, poiché maggiore è la parità, per ovvie ragioni, maggiori sono le potenziali scosse comunicative : la disparità di situa­ zione locutiva, per esempio, può in alcuni casi proteggere il locutore dalle interruzioni del destinatario. D 'altro canto, il monologo formale, in cui il locutore non può essere interrotto, lo costringe alla produzione innaturale di un testo lungo senza il supporto di una memoria esterna, senza poter nascondere ai propri destinatari il necessario lavoro di revi­ sione e autocorrezione. In parlanti non allenati questo spesso aumenta le pause, le disfluenze fonetiche e testuali e l'uso di segnali di copertura dei tempi di programmazione (cfr. CAPP. 3 e 8 ) .

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In poche parole, possiamo dire che dall'assetto prototipico della modalità di comunicazione parlata emerge una grammatica che pro­ duce testi massimamente elastici e leggeri, ma assetti diversi possono correlare con testi di diversa elasticità e peso. Tanto gli emittenti quan­ to i destinatari adattano le proprie scelte alle diverse condizioni e, a seconda delle diverse circostanze, possono fare delle scelte verso una maggiore o minore elasticità dei segni, adattando la propria produzio­ ne ai bisogni comunicativi del momento. Come è stato detto nel PAR. I. I, questa elasticità può talvolta produrre l' impressione che il parlato sia disordinato e sconnesso, ma essa è invece funzionalmente necessaria alla modalità di comunicazione primaria ovvero nativa. 7· 2

Plurideterminabilità, gradienza e relazioni tra parlanti

Per tenere fede alle aspettative implicite nel titolo di questo libro, ar­ rivati a questo punto, è necessario sollevare lo sguardo dai testi parlati e cercare di mettere a fuoco quali sono gli elementi grammaticali, cioè sistemici, che emergono dallo studio dei correlati funzionali della mo­ dalità parlata. Nel CAP. I abbiamo detto che lo studio del parlato può contribuire a una teoria della grammatica sostanzialmente in due modi. In primo luogo, ci permette di scoprire usi linguistici che o non sono osservabi­ li in altre modalità o lo sono solo parzialmente. Solo l'analisi di testi parlati, per esempio, permette lo studio del livello prosodico e dei suoi correlati articolatori, acustici, uditivi e percettivi. In questo caso i da­ ti di parlato sono necessari per descrivere un livello linguistico che in altre modalità di comunicazione, seppure non è assente, ha un rilievo minore. In secondo luogo, il parlato ci permette di scoprire connessioni tra livelli di codificazione che rimarrebbero altrimenti nascoste, ma che sono centrali per la grammatica generale di una lingua. Un esempio di questo tipo è dato dali 'osservazione della prosodia in contesti naturali e spontanei, che permette di scoprire come essa interagisce con il livello semantico e sin tattico svelando relazioni tra porzioni del sistema che al­ trimenti non si coglierebbero. È quello che succede per esempio nell'uso delle clausole senza verbo per le quali la forma prosodica gioca un ruo­ lo decisivo nella loro identificazione e funzionalità ( cfr. CAP. 4). I due modi in cui il parlato può incidere sulla costruzione della grammatica,



LA GRAMMATICALITÀ DEI TESTI PARLATI

anche se diversi, sono entrambi necessari : a un primo livello, il parlato si contraddistingue come un insieme di usi linguistici, che la grammatica deve descrivere ; a un secondo livello, invece, il parlato diventa l'origi­ ne di possibilità di codificazione e significazione che mettono in luce nuovi aspetti dell'architettura stessa della grammatica. Nel primo caso i dati di parlato contribuiscono a migliorare l'adeguatezza descrittiva della grammatica, nel secondo caso, l'adeguatezza esplicativa. Come si può ben capire i due livelli di rilevanza del parlato per la grammatica sono fortemente connessi perché, sebbene una maggiore quantità di dati non implichi necessariamente la manifestazione di una maggiore varietà di fenomeni, l'emersione di nuovi elementi è tanto più probabile quanto più si allarga la base di dati osservati. Mentre l' inclu­ sione di dati vari e diversificati costringe le teorie a confrontarsi con i loro limiti e la loro validità, l'uso di dati fortemente omogenei, come ho già detto nel CAP. I, induce a produrre modelli più rigidi e meno aperti. Non è un caso, del resto, che l'interesse per il parlato sia, di fatto, cresciuto dagli anni Ottanta in poi del Novecento, in cui si sono creati i primi grandi corpora. Questo, anche grazie allo sviluppo di nuove metodologie di etichettatura e analisi quantitativa dei dati linguistici, ha reso visibili nuovi fatti linguistici a un livello di dettaglio prima sco­ nosciuto, che hanno incoraggiato nuove linee di ricerca. È noto tuttavia che l'allargamento dei dati empirici non obbliga ad accettare le osservazioni che ne derivano, e infatti nonostante gli studi sul parlato siano ben sviluppati da qualche decennio, l'incidenza che essi hanno sui modelli grammaticali è piuttosto marginale. Esiste in­ fatti una sostanziale separatezza tra chi si occupa di parlato spontaneo, qualunque sia la prospettiva, e chi fa grammatica. Ciò accade perché assumere il parlato nella base di dati su cui validare le proprie ipotesi teo­ riche implica un cambio di prospettiva teorica, che ridiscuta almeno due punti sostanziali che, per comodità di esposizione, etichetto come a) la compiutezza del segno e b) il ruolo dei parlanti come utenti del codice. La maggior parte dei modelli grammaticali dà per scontato che esi­ sta una conformazione canonica dei segni, che è anche il loro aspetto compiuto dal punto di vista formale e semantico. Questa conformazio­ ne canonica esibisce in modo massimamente ridondante i tratti identi­ ficativi, e, in quanto tale, manifesta tutte le proprietà categoriali neces­ sarie perché i parlanti li riconoscano con un intervento relativamente a basso costo. Di fatto il processo di analisi linguistica su cui si basa la maggior parte delle descrizioni parte dali' assunto che la forma dei segni I99

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sia più o meno quella che vediamo sulla pagina scritta stampatal . Que­ sta rappresentazione implicitamente poggia sulla convinzione che a) tutte le unità linguistiche, dal fonema alla clausola, siano identificabili sulla base di un numero chiuso, sincronicamente definito e stabile di attributi; b) la comprensione tra parlanti avvenga attraverso il ricono­ scimento di questi attributi. Detto altrimenti, una volta individuati i tratti che identificano un significante o un significato, o questi sono presenti, e allora siamo in presenza di un segno riconoscibile, o sono assenti, e allora si è in presenza di un oggetto che non appartiene al co­ dice. Secondo questo schema il processo di riconoscimento delle unità linguistiche avviene con un'operazione del tipo tutto-o-niente, che è stato poi tradotto in molti casi in una rappresentazione rigidamente binaria delle categorie linguistiche (De Mauro, Voghera, 20 1 2 ). Anche quando i tratti non sono considerati inerenti, si ritiene che siano sem­ pre ricostruibili ali' interno di un contesto determinato. In un paradig­ ma così fatto non c 'è posto naturalmente per fenomeni di gradienza, che o non sono contemplati o sono considerati marginali e superficialP. La realtà che abbiamo descritto nei capitoli precedenti è ben lon­ tana dal poter essere descritta in questi termini almeno per due motivi. Innanzi tutto, i correlati funzionali della modalità sembrano proprio basarsi sulla non-categoricità sia dei costituenti sia dei processi. Che si tratti di fonemi, classi lessicali o clausole tutti i costituenti hanno confi­ ni mobili e non sembrano esserci proprietà inerenti e stabili, sufficienti e necessarie alla loro identificazione. Questo è ampiamente provato nei processi di percezione audiovisuale, ma anche nei livelli superiori di costruzione testuale, sintattica e semantica. Ogni elemento linguistico può essere realizzato a livelli di specificazione diversa e fonemi, parti del discorso e clausole possono presentarsi con tutti i loro tratti cate­ goriali o solo con una minima porzione di essi. Sebbene normalmente non acquisita a livello teorico, l'esistenza di fenomeni di indeterminatezza è un fatto noto, e solitamente si ritiene che il contesto sia sufficiente a eliminarne i potenziali effetti negativi. Il famoso esperimento di Labov (1973 ) sul nome delle tazze mette pro­ prio in rilievo la funzione disambiguante del contesto. A un insieme di 2. La scrittura a mano presenta molti fenomeni di bassa specificazione grafica del tutto simili a quelli osservati nel parlato. 3· Una rassegna su posizione aperte ai fenomeni della non categoricità e della gradienza nei vari livelli di analisi lingusitica è Aarts et al. (2004). 200



LA GRAMMATICALITÀ DEI TESTI PARLATI

parlanti fu chiesto di nominare recipienti di forma diversa, che pote­ vano andare, grosso modo, dalla tazza alla ciotola. Mentre in assenza di contesto si registrava un certo grado di indeterminatezza nell'uso delle parole possibili perché i parlanti sceglievano per lo stesso recipien­ te ora l'una ora l'altra parola, quando invece si chiedeva di nominare l'oggetto in un contesto specifico, questa indeterminatezza diminuiva grandemente e i parlanti si comportavano in modo significativamente omogeneo. Il contesto 'bere tè ' selezionava, per lo stesso oggetto, pre­ valentemente l'uso di cup ('tazza' ), mentre il contesto 'mangiare purè di patate ' selezionava prevalentemente l'uso di bowl ('ciotola' ) . Nei casi come quello appena descritto sono le informazioni che provengono dal contesto a definire i confini delle unità linguistiche. Il confine tra cup e bowl più che essere definito da specifici tratti semantici è negoziato in rapporto alle condizioni d'uso. Si tratta dunque di un caso di perfetta integrazione tra codice e informazioni provenienti dali 'esterno ; quindi sebbene non si possa dire quale dei termini verrà usato sulla base di trat­ ti esclusivamente linguistici l ' integrazione di più fonti di informazione rende possibile tracciare una previsione. I dati di parlato fanno emergere però molti casi in cui la faccenda sembra più complicata di quella descritta perché l'indeterminatezza non viene eliminata con l 'aiuto del contesto. Ci sono cioè casi in cui i parlanti restano nel vago e non sentono il bisogno di uscirne. La lingua elastica e leggera dei nostri dati, che è spesso sottospecificata e dilu­ ita, ne è un esempio molto evidente. Del resto già Bolinger nel I 9 6 I si soffermava proprio sulla possibilità di non disambiguare sequenze ambigue senza per questo perdere efficienza comunicativa. Se prendia­ mo per esempio frasi come Put them away yet? oppure Did you put... o Have you put... : nel primo caso put vale come passato, nel secondo come participio e le frasi hanno un significato diverso. Tuttavia se si chiedesse a un parlante nativo a quale delle due forme corrisponde la forma put nella frase Put them away? il parlante probabilmente non saprebbe rispondere. Non sempre l'ambiguità è sinonimo di oscurità e deve quindi essere per forza eliminata; ci sono casi in cui persiste, senza che per questo la comunicazione ne venga danneggiata. Qui emergono due fatti importanti. In primo luogo, come già affer­ mava Wittgenstein nelle Ricerchefilosofiche, non c 'è un solo modo per ottenere una comunicazione efficiente e usare segni che appaiono più specificati non è detto che sia meglio. Se diciamo Lastra! per ottenere una lastra non c 'è bisogno di immaginare che la comprensione passi 20I

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

attraverso la traduzione mentale di questo enunciato in una sua forma con il verbo, per esempio, Portami una lastra. Le frasi Lastra! e Portami una lastra sono due forme autonome, e valutare la prima alla luce della seconda è un'operazione di tipo metalinguistico indotta dai modelli teorici più diffusi : La proposizione è "ellittica", non perché ometta qualcosa che intendiamo quando la pronunciamo, ma perché è abbreviata - rispetto a un determinato modello della nostra grammatica. - Naturalmente qui si potrebbe sollevare l'obiezione: «Tu ammetti che la proposizione abbreviata e quella non abbre­ viata abbiano lo stesso senso. - Che senso hanno, dunque ? - Non c 'è un'e­ spressione verbale per questo senso ? » . - Ma l'eguale senso delle proposizioni non consiste nel loro eguale impiego ? - ( In russo si dice « Pietra rossa » invece di «La pietra è rossa >>; i russi concepiscono la frase senza copula o aggiungo­ no la copula nel pensiero ? ) ( Wittgenstein, 1 9 5 3 , trad. it. §2o).

L' idea, espressa così chiaramente nel passo citato, è che gli elementi lin­ guistici che appaiono sotto specificati lo sono solo sulla base di criteri definitori di tipo metalinguistico, ma non dal punto di vista linguistico. Immaginare che esista un unico modello di frase o proposizione è un vincolo grammaticale non necessario, visto che contraddice la realtà comunicativa. Le idee di Wittgenstein trovano oggi sostegno anche nei dati spe­ rimentali e quantitativi, anche con qualche sorpresa. Gli studi di psi­ cologia cognitiva, e in particolare quelli condotti da Rosch (1978) e collaboratori, hanno mostrato che il nostro modo di categorizzare non è un processo categorico tutto-o-niente, ma che decidiamo l' apparte­ nenza di un membro a una categoria sulla base della sua somiglianza con il prototipo, cioè con il miglior rappresentante della categoria, che ne presenta tutti i tratti definitori in modo ridondante. Non tutti i membri di una categoria presentano le stesse caratteristiche del proto­ tipo, ma possono tuttavia farne parte proprio perché non è necessaria un'uniformità della qualità interna alla categoria; ne consegue che non c 'è un'omogeneità qualitativa di tutti i membri, i quali possono presen­ tare caratteristiche anche distanti. Il fatto che i processi categoriali non siano categorici dà forza all'idea che i parlanti non abbiano bisogno di un confine netto e definito una volta per tutte tra frase e non frase o nome e non nome per poter comunicare tra loro. Tutto ciò dà sostegno alla posizione delle Ricerchefilosofiche e spiega perché la comunicazione parlata funzioni così bene anche in presenza di tanta elasticità. 202



LA GRAMMATICALITÀ DEI TESTI PARLATI

Ma i dati sul parlato raccolti nei capitoli precedenti dicono an­ cora qualcosa in più. Nel paragrafo precedente abbiamo passato in rassegna le caratteristiche principali dei correlati funzionali ed è chia­ ramente emerso che sono proprio i bassi livelli di definizione e speci­ ficazione che rendono elastica e leggera la lingua della comunicazione parlata, cioè nella maggioranza dei casi il nostro parlato è ipospecifi­ cato. Questo fatto, confermato anche da dati quantitativi, aggiunge un tassello ulteriore alla rappresentazione offerta da Wittgenstein, che provo a sintetizzare nel modo seguente : non solo ab biamo for­ me diverse per le varie unità linguistiche, non solo alcune di queste forme si presentano molto distanti da quelle ritenute compiute dalle definizioni tradizionali, ma queste forme sono preferite dai parlanti in una grande quantità di casi. Anzi, se si guarda a tutti i livelli di co­ dificazione, nel parlato spontaneo le forme cosiddette ipospecificate sono maggioritarie. È la pervasività di ciò che potremmo chiamare vaghezza sistemica, che, come chiarisce perfettamente De Mauro ( I 9 8 2, p. Io o ) in Minise­ mantica dei linguaggi non verbali e delle lingue, è una condizione semio­ tica generale ineliminabile, che incide in tutti i procedimenti linguistici : La vaghezza è una condizione segnica, non soltanto semantica: dove essa è presente, investe del pari significante e significato. Il segno più che circoscri­ vere con precisione una classe di segnali capaci di indicare i sensi di una classe circoscritta con altrettanta precisione, è lo strumento di un'attività allusiva, di un gioco orientato a stabilire un' intesa tra utenti perché con dei segnali tra loro assimilabili ci si rivolga, ci si avvii verso un gruppo di sensi. Più che un rapporto tra classi, viene a stabilirsi su questa via un rapporto tra una zona, un'area del contenuto, e un'area dell'espressione.

Se la vaghezza è una proprietà semiotica basilare delle lingue e non una proprietà che si rivela eccezionalmente in porzioni periferiche del siste­ ma, questo spiega come mai essa si manifesti così pervasivamente nei testi parlati. Il parlato di fatto dà voce, se così si può dire, alla vaghezza sistemica, la porta in primo piano e le dà una visibilità che altre moda­ lità di comunicazione oscurano, proprio perché la modalità parlata è la modalità nativa4•

4· La vaghezza sistemica non va confusa con la vaghezza intenzionale, di cui si è parlato nel CAP. 6.

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Turto ciò costringe, da un lato, a ripensare il rapporto tra codice e utenti e, dali' altro, a ripensare il rapporto tra le nostre definizioni e ciò che consideriamo norma(le) . Se l ' ipospecificazione non è una scelta cui si ricorre in casi estremi o in particolari condizioni comunicative, ma è la condizione segnica più diffusa, se ne deduce che essa è la con­ dizione funzionale normale di efficienza d'uso del codice. Ai fini della comunicazione è più economico che i parlanti stimino di volta in volta quale può essere il peso delle diverse variabili in gioco e attraverso un calcolo delle probabilità codifichino/ decodifichino i messaggi verbali piuttosto che usare i segni al massimo grado di ridondanza, o affidarsi a segni totalmente preconfezionati (Piantadosi, Tily, Gibson, 201 2) . Questo modo d i procedere mette in primo piano il ruolo della coppia del produttore/ destinatario sotto ogni rispetto e, quindi, la centralità del rapporto tra processi cognitivi, linguistici e sociali, perché evidenzia il fatto che la fase enunciativa non è una m era esecuzione di un prodot­ to già finito. Come ho già detto nei capitoli precedenti, i parlanti non sono meri esecutori di uno spartito già ultimato, al contrario i dati ci dicono che, come in unajam session, sulla base di una griglia di accor­ di e temi noti, essi compongono passo dopo passo il loro discorso. Di conseguenza, i parlanti sono impegnati in un gioco di specificazione e limatura continua, come dimostra il fatto che la referenza stessa è un processo in costruzione e non un rapporto automatico e deterministico tra espressioni linguistiche e realtà exralinguistica. Indipendentemente da quanto i parlanti ne siano consapevoli, la dimensione pragmatica non solo non appare accessoria, ma neanche esterna al codice : altri­ menti detto, non c 'è comprensione linguistica che possa avvenire senza una relazione attiva e costruttiva tra parlanti. Mi pare che qui emerga con evidenza l' idea saussuriana del ruo­ lo interno della masse parlante, non solo come insieme di utenti del codice, ma come attori che costituiscono il codice : « Contrariamente ali' apparenza, in nessun momento la lingua esiste fuori dal fatto sociale perché essa è un fenomeno semiologico. La sua natura sociale è uno dei suoi caratteri interni » (Saussure, 19 67, pp. 9 5-6)5• Questo richiamo al rapporto indissolubile tra il significare e la masse parlante mi pare la base di una compenetrazione forte tra grammatica e istanze pragmati­ che. Utenti e lingua, utenti e grammatica non sono entità separate, ma al contrario elementi interdipendenti. S·

Sul rapporto tra semantica e pragmatica in Saussure cfr. De Mauro (1991a).

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LA GRAMMATICALITÀ DEI TESTI PARLATI

L'idea che esista una separatezza tra grammatica e pragmatica si riflette in alcune posizioni, che abbiamo richiamato in vari punti di questo libro, che attribuiscono, per esempio, alcune strutture a usi pragmatici contrapposti a usi più codificati e quindi più grammaticali. La convinzione implicita in queste posizioni è che la normale comuni­ cazione si affidi alla compiutezza formale dei segni e che l'intervento semiologico dei parlanti avvenga in condizioni marcate. Si parla infatti di modo pragmatico per indicare usi del linguaggio infantile, o degli adulti per rivolgersi ai bambini o agli stranieri, in sostanza di usi consi­ derati più elementari di quello grammaticale6• In realtà, non appena si abbandonano gli esempi fittizi dei libri di grammatica e si ha a che fare con dati di lingua reale, non solo parlata, la lingua diventa un campo di aperta negoziazione tra i parlanti. Parte di questa negoziazione è codifi­ cata dalla grammatica e il peso del valore pragmatico di molte categorie e significati sta emergendo sempre più chiaramente man mano che au­ mentano le analisi di dati spontanei : nel rapporto tra prosodia e sintas­ si, nell'uso dei segnali discorsivi, nella scelta di espressioni di vaghezza intenzionale e così via. Lo dimostra il ruolo che la considerazione dei significati pragmatici hanno guadagnato nell'ambito della linguistica storica, per esempio nello studio dei processi di grammaticalizzazione. Nei CAP P. 3 e 6 abbiamo mostrato infatti qualche esempio del fatto che i processi di grammaticalizzazione possono avere come esiti forme e significati con forte valore soggettivo e intersoggettivo. Questo tipo di dati, insieme ad altri che derivano dali' analisi conversazionale, mi paiono chiari segni del fatto che i significati relazionali sono significati interni al codice e che il confine tra valore proposizionale e relazionale è continuo (Bybee, Hopper, 20 0 1 ; Bybee, 201 0 ; Couper-Kuhlen, Sel­ ting, 20 0 I ; Thompson, Fox, Couper-Kuhlen, 20I S ) 7. Se una grammatica deve rappresentare la chiave interpretativa del codice che descrive, allora dal parlato emerge una grammatica che ha come elementi costituitivi unità linguistiche plurideterminabili, i cui confini sono gradienti e variabili, in cui la stabilità necessaria ali' inter­ comprensione non va ricercata né nella compiutezza dei segni né negli 6. Per una discussione più estesa su questi argomenti cfr. Voghera (1992). Naturalmente non si deve neanche credere che chiunque studi il parlato sot­ toscriva le posizioni esposte in queste pagine. Per una posizione diversa si veda per esempio la sezione The Grammar ofConversation della Longman Grammar ofSpoken and Written English ( Biber et al. , 1999 ) . 7·

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DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

elementi del contesto, ma nell'accordo tra gli interlocutori. Plurideter­ minabilità, gradienza e ruolo attivo dei parlanti sono elementi solidali e interdipendenti, poiché ciascuno presuppone l 'esistenza dell'altro. Sono questi gli elementi che garantiscono il migliore equilibro tra fattori biologici, cognitivi e sociali nel processo comunicativo, come risulta evidente dal fatto che si tratta di tratti sistemici, cioè necessari al funzionamento di tutti i livelli linguistici. Benché la compenetrazio­ ne creativa tra elementi naturali, cognitivi e sociali si realizzi in ogni attività linguistica, indipendentemente dalla modalità usata, il parlato offre il vantaggio di poter osservare il processo nel suo svolgersi, senza nessun mascheramento e normalizzazione a posteriori, cui spesso sono sottoposti gli usi linguistici in altre modalità di comunicazione. In altre parole, la comunicazione parlata, in quanto modalità nativa, consente di mettere a fuoco, da un lato, i caratteri basici ed essenziali della gram­ maticalità delle lingue e, dall'altro, il complesso gioco di interdipen­ denze tra ingranaggio modale e lingua. Da ciò emerge con chiarezza come i dati di parlato siano oggetti linguistici indispensabili, ancorché non esclusivi, per la costruzione delle grammatiche.

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La modalità di comunicazione nell 'educazione linguistica

8.1

Plurimodalità e plurilinguismo

Nei capitoli precedenti ho passato in rassegna i correlati funziona­ li della modalità parlata e questo ha permesso di cogliere il fatto che gli elementi modali incidono a tutti i livelli linguistici e permettono di cogliere alcuni aspetti profondi della grammaticalità delle lingue. Il quadro delineato è di grande interesse anche per ciò che riguarda l ' insegnamento delle lingue e, per questo motivo, al termine del per­ corso condotto fin qui, vorrei dedicare quest 'ultimo capitolo al rap­ porto tra modalità di comunicazione ed educazione linguistica. Non esistono molte riflessioni didattiche su questo argomento soprattutto per quanto riguarda l'insegnamento dell'italiano. Mentre è sostan­ zialmente condivisa la necessità di arricchire lo spazio della riflessione metalinguistica allargando il campo dell'osservazione e della prati­ ca didattica a diverse varietà di lingua e lingue straniere, la modalità di comunicazione non è parte dell 'orizzonte didattico comune ed è tutt 'al più vissuta nella scuola in modo inconsapevole o come feno­ meno marginale legato ad aspetti strumentali più che semiologici. La modalità di comunicazione viene spesso scambiata e/ o associata con la multimedialità, e quindi con l'uso dei nuovi mezzi di comunicazione, e la pluralità dell'offerta tecnologica che, a sua volta, suscita atteggia­ menti contrastanti. C 'è chi la sente come minaccia o, nel migliore dei casi, una distrazione dal lavoro serio che la scuola dovrebbe far fare a ragazze e ragazzi ; c 'è chi, al contrario, è apertamente entusiasta per le potenzialità offerte dai nuovi strumenti alla produzione e fruizione di contenuti, che sarebbero di per sé un elemento di modernità e svilup­ po. Per motivi opposti, tanto l 'atteggiamento negativo quanto quello positivo si fermano sostanzialmente alla medialità, cioè al sistema di 207

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

trasmissione, e agli aspetti strumentali, trascurando invece di conside­ rare gli aspetti modali e quindi semiologici. Ne è una spia l'assenza dal vocabolario didattico corrente del termine modalita come una delle dimensioni comunicative fondamentali, mentre è molto diffuso par­ lare di multimedialità e di didattica multimediale per indicare i nuovi possibili strumenti di trasmissione dei contenuti didattici. Nelle pagine che seguono vorrei quindi proporre qualche riflessione sul ruolo che la modalità può e deve avere nell'educazione linguistica. La pluralità dei codici e dei modi di comunicazione a disposizione degli esseri umani, e quindi di coloro che imparano una lingua, è po­ sta al centro della riflessione glottodidattica e della migliore linguistica educativa in Italia già dal 1975 con la pubblicazione delle Dieci tesi per l'educazione linguistica democratica ( G I S C EL, 1975). Successivamente, in vari documenti del Consiglio d' Europa, e più formalmente dalla pubblicazione del Quadro comune europeo di riferimento per la cono­ scenza delle lingue ( QC ER; Consiglio d' Europa, 2 0 0 2 ) , diffusosi negli anni Duemila, il plurilinguismo diventa una delle nozioni cardine per una più efficace ed efficiente politica e pratica di educazione linguistica ( Calò, 201 s). Uno dei punti centrali delle Dieci tesi per un 'educazione linguistica democratica è l'affermazione della centralità educativa del­ la pluralità e la variazione linguistica nel processo di insegnamento e apprendimento delle lingue. La variazione è elemento fondante deli'e­ ducazione linguistica perché essere un parlante e un ascoltatore compe­ tente vuoi dire non tanto utilizzare i registri colti e formali, ma sapersi muovere in quanti più contesti possibili e quindi essere in grado di pas­ sare da un registro ali'altro con naturalezza, a seconda di quello che la situazione richiede. L'educazione linguistica democratica ha infatti un obiettivo molto ambizioso, ancorché necessario : più lingua per tutti e per tutte. Per raggiungere questo obiettivo l'educazione linguistica de­ mocratica non può che essere attiva: così come la cittadinanza attiva si pone l'obiettivo non solo di far conoscere la costituzione, ma di vivere e realizzarne i principi nella quotidianità dei nostri rapporti sociali e politici, l 'educazione linguistica democratica attiva si pone come obiet­ tivo la costruzione di un progetto educativo, che è capace di crescere ali ' aumentare delle esigenze linguistiche dei parlanti, che si alimenta di ogni nuova esperienza comunicativa e la inserisce in un contesto orga­ nico, cosicché diventi occasione di un apprendimento permanente. Di conseguenza, anche la riflessione metalinguistica a scuola deve necessa­ riamente allargare gli orizzonti e i domini della sua applicabilità e non 208

8. LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE NELL ' EDUCAZIONE LINGUISTICA

limitarsi a esercitarsi su testi scritti, preconfezionati e formali. Diviene quindi vitale lavorare su e attraverso materiali linguistici diversi poiché in questa prospettiva la varietà diviene funzionale alla costruzione della competenza metalinguistica. In quest 'ottica diventa centrale la nozione di plurilinguismo. È ben noto che con plurilinguismo non ci si riferisce al fatto, pure im­ portante, che esistono molte lingue e che gli studenti possono essere competenti in varia misura in più lingue, ma più propriamente al fatto che ciascuna comunità, e quindi ciascun individuo, partecipa costitu­ tivamente di una o più dimensioni di variazione linguistica, che con­ dizionano, ma anche guidano e sostengono, lo sviluppo linguistico. Il plurilinguismo non coincide infatti con il multilinguismo che caratte­ rizza aree geografiche e/ o culturali in cui si parlano, più o meno uffi­ cialmente, lingue diverse, ma si identifica con una dimensione propria della semiosi umana, che permette a ciascuno di variare codici e modi di comunicazione in rapporto ai bisogni, ai destinatari, agli scopi e ai contesti. Ciò vuoi dire che ciascuno di noi si muove necessariamente in uno spazio plurilingue, anche se con gradi molto diversi di con­ sapevolezza e padronanza, che dipendono sia dalla storia linguistica personale sia dali' educazione linguistica ricevuta. Ci si muove con­ sapevolmente in uno spazio plurilingue se si hanno genitori di lingue materne diverse o se si è nativi di una lingua diversa da quella della comunità in cui si vive. La consapevolezza diminuisce o si appanna se si è figli di genitori dialettofoni che cercano di evitare l 'uso del dialetto con i figli e quindi si ha del dialetto una competenza solo ricettiva. Si è ancor meno consapevoli se non si è abituati a riflettere sulla plura­ lità di registri che si usano quotidianamente anche all' interno di una stessa lingua e si usa una lingua straniera solo saltuariamente. Benché il grado di consapevolezza non corrisponda automaticamente a gradi di competenza nell'uso della/e lingua/e, è noto che il processo di svi­ luppo e apprendimento linguistico si basa sulla capacità di cogliere, e poi gestire in modo via via più automatico, i domini di applicazione delle strutture e degli usi in rapporto alle diverse situazioni comuni­ cative, cogliendo corrispondenze sistematiche e relazioni non casuali tra gli elementi linguistici e tra questi e il contesto extralinguistico. Perché ciò avvenga è necessario non solo riconoscere il plurilinguismo come orizzonte regolativo generale, ma fare del plurilinguismo una dimensione di pratica didattica anche nell 'insegnamento della lingua materna ( Corno, 200 5 ) . Per questo motivo è necessario educare alla 209

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

consapevolezza del plurilinguismo come elemento fisiologico della comunicazione umana e non come condizione esclusiva dei contesti multilingui (De Mauro, 201 4a) . Adottare una prospettiva plurilingue nell'insegnamento linguisti­ co richiede necessariamente una particolare attenzione alle variazioni della comunicazione verbale dovute alle diverse modalità di comuni­ cazione. La profondità del legame tra modalità di comunicazione e usi linguistici è del resto evidente proprio nella pratica didattica. La fatica degli insegnanti nell' insegnare a scrivere a ragazze e ragazzi i talofoni, anche in ambienti con livelli di istruzione diffusa, dipende dal fatto che padroneggiare l'uso di una determinata modalità di comunicazio­ ne comporta acquisire nuovi processi di costruzione del senso. Quando Goody (2ooo, p. 144), come abbiamo visto nel CAP. I, definisce la scrit­ tura una nuova tecnologia dell' intelletto, indica esattamente il fatto che una nuova modalità di comunicazione implica una nuova semiosi e di fatto una nuova organizzazione della conoscenza del mondo. Una piena accettazione di una prospettiva plurilingue passa dunque anche attraverso un'educazione linguistica alla multimodalità della comuni­ cazione verbale e all'osservazione del rapporto tra modalità e strutture linguistiche. Non è un caso che nei Principi dell'educazione linguistica democra­ tica ( v i i i tesi), si enuncia la necessità di sviluppare nelle abilità lingui­ stiche produttive e ricettive « l'aspetto sia orale sia scritto, stimolando il senso delle diverse esigenze di formulazione inerenti al testo scritto in rapporto all'orale, creando situazioni in cui serva passare da formu­ lazioni orali a formulazioni scritte di uno stesso argomento per uno stesso pubblico e viceversa » . È importante notare che non si afferma solo la necessità di esercitare l'uso parlato e scritto della lingua, ma c 'è un esplicito riferimento al fatto che è utile concentrarsi su attività di passaggio dal parlato allo scritto e viceversa. Questa attenzione per la diversa formulazione che può essere necessaria nel passare da una mo­ dalità all'altra deriva dal fatto che non si tratta di un semplice cambio di canale di trasmissione del codice verbale, ma comporta il mutamen­ to delle condizioni semiotiche nell 'uso di un determinato codice (cfr. CA P. 2). Ciò vuoi dire che non si può usare la lingua nello stesso modo quando si parla e quando si scrive perché le due modalità prevedono tempi e modi di verbalizzazione molto diversi. Per questo motivo è ne­ cessario prevedere, come parte integrante dell'educazione linguistica, attività che insegnino ai ragazzi e alle ragazze come cambia l'uso delle 210

8. LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE NELL ' EDUCAZIONE LINGUISTICA

lingue verbali e come si può gestire in modo ottimale questo cambia­ mento. Non esiste un rapporto automatico e deterministico tra canale di trasmissione e usi linguistici, ma spontaneamente nessuno parla nello stesso modo in cui scrive e viceversa, anche quando non è uno scriven­ te esperto. La comunicazione parlata prevede in condizioni naturali e spontanee una programmazione e una produzione quasi contempora­ nee che non lasciano il tempo per strutture altamente specializzate ; il fattore determinante dell 'organizzazione verbale è il tempo : in condi­ zioni naturali tendiamo a ottimizzarne l'uso, scegliendo le strutture che ci permettono di risparmiarne per evitare di dover tenere troppo materiale in memoria e per evitare di perdere la parola. La comunicazio­ ne scritta avviene normalmente in assenza del destinatario e permette, come è ovvio, libertà di tempi di produzione, di revisioni e modifiche. Ciò consente l'uso più frequente di strutture altamente specializzate. Dal punto di vista testuale, il parlato è naturalmente dialogico e il testo, benché prodotto e ricevuto in modo continuo, risulta frammentato in piccoli porzioni successive. La forma testuale tradizionale dello scrit­ to è naturalmente il monologo, che pur essendo raramente prodotto in modo continuo, appare tale e non frammentato. Queste differenze determinano la preferenza per le strutture linguistiche e le forme te­ stuali che si adattano meglio alle condizioni di produzione e ricezione delle due modalità. Nel parlato per ottimizzare il tempo a disposizio­ ne si fa il massimo appello a informazioni contestuali e la produzione e l 'elaborazione di informazione in tempo reale senza il supporto di una memoria esterna incoraggia l'uso di strutture linguistiche ad alto rendimento funzionale, con un ampio spettro di significati e funzioni. Se compariamo un testo parlato e un testo scritto, di norma, il primo è meno denso sia dal punto di vista semantico sia sintattico, più ridon­ dante e ripetitivo. Nella pratica didattica entrano in gioco non solo i correlati funzio­ nali della modalità, ma anche quelli sociolinguistici (cfr. CAP. 1), cioè il fatto, per esempio, che le studentesse e gli studenti possono usare va­ rietà di lingua diverse quando parlano e scrivono. Sappiamo bene che la modalità di comunicazione seleziona anche situazioni d'uso specifiche e quindi costruzioni appartenenti a registri o varietà linguistiche che correlano con la modalità parlata per la loro adeguatezza sociale più che funzionale. I correlati sociolinguistici non sono necessariamente condivisi interlinguisticamente, anche se ovviamente la lingua dei testi

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DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

parlati è solitamente associata a registri informali e/o varietà locali più frequentemente di quanto non lo sia la lingua usata nei testi scritti. Esi­ stono però specificità linguistiche legate alle vicende storiche, sociali e politiche delle varie comunità, che non sono condivise necessariamen­ te da altre. Si pensi alla situazione italiana e al complicato intreccio tra connotazioni diafasiche e diastratiche delle diverse varietà diatopiche, a come queste connotazioni sono mutate nel corso del tempo. Il rap­ porto tra modalità e varietà linguistiche e registri può ulteriormente complicarsi quando in una classe vi sono studenti di madrelingua diver­ se. L'arrivo di studenti e studentesse di origine non italiana determina nuove forme di plurilinguismo e può anche modificare la posizione dell' italiano e dei dialetti all' interno della classe. Da un lato, l' italiano è la lingua target ufficiale, dall'altro, a seconda delle zone di immigra­ zione, il dialetto può assumere il ruolo di lingua egemone nella comu­ nicazione sociale parlata. Nelle zone in cui l'uso del dialetto è molto diffuso anche in situazioni pubbliche, gli immigrati, a seconda del lavo­ ro che fanno, possono non venire in contatto quasi mai con l' italiano o con l' italiano standard, e la lingua parlata comune diventa il dialetto o al massimo una delle varietà locali dell' italiano. Possiamo avere quin­ di intrecci molto complessi tra lingue, varietà e modalità : una lingua materna, spesso solo parlata, la lingua parlata obiettivo ( un dialetto o una varietà regionale dell' italiano ) , la lingua scritta degli atti pubblici e ufficiali ( l'i tali ano standard ) . Il plurilinguismo interagisce con la mo­ dalità di comunicazione, che delimita e/o potenzia le possibilità d'uso delle lingue o varietà disponibili, condizionando i rapporti enunciativi tra parlanti. Tutto ciò si rivela ovviamente decisivo dal punto di vista didattico poiché l 'apprendimento di una lingua è connesso anche alla modalità di comunicazione cui essa è più frequentemente associata. La rilevanza del ruolo della modalità di comunicazione e la gram­ maticalità delle scelte che derivano da modalità diverse non mi pare tuttavia un punto molto considerato nell' insegnamento linguistico. Benché il parlare sia una delle quattro abilità di base da sviluppare nell 'insegnamento sia della lingua materna sia delle lingue straniere, esiste tuttora un grande divario tra gli intenti e la reale pratica edu­ cativa, seppure con qualche differenza tra i diversi cicli scolastici e tra gli insegnamenti di lingua materna e straniera. Nella maggior parte dei casi, infatti, la pedagogia linguistica, com'è noto, assume le forme scritte come punto di partenza e di arrivo di una buona competenza linguistica e, soprattutto nelle scuole superiori, e ancor più nel triennio,

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8. LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE NELL ' EDUCAZIONE LINGUISTICA

l 'attenzione maggiore è rivolta ai modelli letterari. Ciò avviene per nu­ merosi motivi già esposti nel CAP. I, ai quali si aggiunge nella pedagogia linguistica occidentale un dato culturale profondamente radicato, tale che, come affermano Brown e Yule ( I983, p. I ) , « There is a comforting sense in which it is possible to say that a written sentence is correct or not » . Altrettanto non si può sempre dire per una frase parlata sponta­ nea e naturale, cioè per una frase non letta ad alta voce. Se per lo scritto possiamo assumere, grosso modo, la scrittura letteraria o istituzionale come norma/ e di riferimento, non è affatto scontato quale debba es­ sere il punto di riferimento per il parlato : la conversazione ? il parlato monologico di una lezione ? Inoltre il parlato esibisce inevitabilmente le tracce delle provenienze linguistiche regionali o locali dei parlanti e presenta, almeno a livello fonologico, numerosi elementi di variazione. Ciò è tanto più vero nella specifica situazione italiana, in cui l ' italiano, divenuto lingua comunemente parlata solo da qualche decennio, ma­ nifesta forti tracce del sostrato dialettale, non solo a livello fonologico, ma spesso anche nel lessico e nella morfosintassi. L' insieme di questi fattori fa sì che il rapporto tra didattica lingui­ stica della lingua materna (LI ) e parlato sia episodico, se non addirit­ tura conflittuale. Restringendo la nostra osservazione alle scuole se­ condarie, mi pare di poter dire che sia assente di fatto qualsiasi attività sistematica sia di osservazione e studio sia di pratica guidata al parlato nell 'insegnamento della LI. Certamente gli insegnanti intervengono qua e là sull' appropriatezza di alcune espressioni da parte degli studen­ ti, ma non dedicano attività specifiche al parlato e all'ascolto neppure formale o formalissimo. Diversa è la situazione nell' insegnamento della lingua seconda (L2) in cui al parlato vengono dedicati spazi specifici. Tuttavia è importante notare che pur essendo il parlato oggetto specifico di insegnamento della L2, manca solitamente anche in questo ambito una riflessione sul rapporto tra modalità di comunicazione e pluralità di mezzi espressivi. La maggior parte delle attività didattiche nella L2 tende infatti a incre­ mentare la fluenza, facendo appello a una sorta di naturalità basica della comunicazione orale e non alla conoscenza delle proprietà sistematiche del parlato (e dell'ascolto) . I numerosi libri che sono stati scritti negli ultimi decenni dedicati all' insegnamento del parlato a parlanti non na­ tivi, a cominciare dall 'oramai classico Teaching the Spoken Language di Brown e Yule, puntano prevalentemente alla creazione di una compe­ tenza comunicativa e interazionale che, pur prevedendo livelli progres-

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DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

sivi di complessità, è giustamente modellata sulla conversazione. Ciò fa sì che i modelli correnti per la L2 non siano facilmente spendibili e trasferibili nell' insegnamento della LI : infatti mentre in L2 l 'oggetto dell 'insegnamento del parlato è normalmente il parlato conversazio­ nale e poi successivamente la gestione di scambi dialogici in turni più lunghi, l'insegnante di LI non ha come obiettivo prioritario quello di intervenire sul parlato conversazionale. Questo rende molto difficile il trasferimento di tecniche e competenze dalla tradizione didattica della L2 ali ' insegnamento della LI. Data l'assenza di una tradizione didattica specifica relativa al parla­ to e alla difficoltà di individuare dei modelli di riferimento, ci si potreb­ be chiedere quali siano i vantaggi n eli' inserire il parlato nei curricula scolastici d eli' insegnamento della lingua materna. Le risposte possono essere numerose, mi limiterò a indicare alcune ragioni che derivano da considerazioni generali sullo sviluppo e sull'apprendimento linguistici con ricadute sulla didattica. La scrittura è un'esperienza, non esclusivamente, ma prevalente­ mente legata alla scolarizzazione. Al contrario il parlare è parte del­ la costruzione primaria del sé e del sé relazionale : parlare e ascoltare sono primari per l' instaurarsi delle relazioni sociali e interpersonali, prerequisito di qualsiasi relazione educativa. Riconoscere al parlare e all'ascoltare attenzione e dignità di oggetto di studio è inoltre un passo importante anche per l 'accettazione della propria identità personale e comunitaria. Non bisogna dimenticare, e questo vale sia per i dialetto­ foni sia per i parlanti che hanno lingue materne diverse dall'italiano, che queste lingue sono conosciute solo oralmente. Lavorare sul parlato aumenta la gamma delle lingue e delle varietà ammesse e quindi osser­ vabili ali' interno della classe ; al contrario, ignorare il parlato vuoi dire di fatto per molti, con e senza cittadinanza italiana, escludere le loro lingue native. Limitare o concentrare gli sforzi didattici alla scrittura/ lettura di testi letterari o istituzionali vuoi dire quindi escludere la stra­ grande maggioranza delle esperienze comunicative delle ragazze e dei ragazzi. Ma ci sono ulteriori motivi, più strettamente legati alla possibilità di successo dell 'intervento didattico, per ammettere la necessità di in­ serire un lavoro sistematico sul parlato e l'ascolto in un curriculum di lingua materna. In primo luogo, gli usi parlati sono di fatto primari nel contatto con la lingua target per gli studenti non nativi e diventano per­ tanto fonte di apprendimento, ma potenzialmente anche di tensione

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8. LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE NELL ' EDUCAZIONE LINGUISTICA

linguistica, poiché il parlato non viene, per l 'appunto, solitamente in­ segnato, ma casomai censurato. In secondo luogo, da un punto di vista strettamente didattico l' insegnamento della scrittura "ha bisogno" del parlato e dell'osservazione di altre possibili modalità di comunicazione perché sia possibile metterne in luce le proprietà specifiche. Altrimenti la lingua scritta diventa lingua sacra e amodale, perdendo i connotati semiologici più significativi e rilevanti. In altre parole, la scrittura nel­ la mente degli studenti rischia di corrispondere a un testo composto dalle frasi contenute nei libri di grammatica : i testi senza qualità per eccellenza. Come le Dieci tesi per un 'educazione linguistica democratica aveva­ no già espresso chiaramente, più lingua per tutte e per tutti è un pro­ gramma che deve necessariamente prevedere un insegnamento pluri­ lingue e plurimodale. 8. 2

Passaggi linguistici e m o dali in classe: la quinta abilità

Se osserviamo con attenzione una giornata di lavoro in una classe di scuola primaria o secondaria, plurilinguismo e plurimodalità appaiono come due facce della stessa medaglia. Fin dai primi momenti insegnanti e studenti sono impegnati in numerosi scambi comunicativi che usano più canali e modalità. Se lo spazio dedicato alle relazioni interpersonali è normalmente il regno della comunicazione parlata, lo spazio dedicato allo scambio di informazioni e alla trasmissione di conoscenze avvie­ ne grazie a una continua interrelazione tra modalità, mezzi e codici di comunicazione diversi. La costruzione di conoscenze e/ o abilità passa normalmente, e non eccezionalmente, attraverso il controllo di più fonti di informazione e quindi di più canali e modalità di comu­ nicazione. Non mi riferisco qui tanto all 'uso di strumenti tecnologici, lavagne elettroniche, computer, tablet, ma al semplice fatto concreto che le pratiche didattiche più comuni si basano sempre su continui pas­ saggi tra parlato, scritto, disegnato, riprodotto tramite grafici, carte, mappe ecc. Basta ripercorrere i passaggi implicati dallo svolgimento di un qualsiasi argomento, a cui debba seguire un'attività di verifica, per rendersene conto. Immaginiamo per esempio un ciclo lezioni su un argomento di scienze, storia, arte, geografia ecc. Si può concordare che il punto di

2I S

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

partenza per l ' insegnante siano dei testi scritti probabilmente sotto forma di manuali e saggi. Alla consultazione dei testi scritti segue qua­ si certamente una forma di rielaborazione in appunti scritti in modo tradizionale per la spiegazione ; gli appunti possono limitarsi a una scaletta e a un insieme di parole chiave oppure diventare il canovaccio per una presentazione in diapositive, potenzialmente corredata anche da foto, carte geografiche, grafici, disegni, fogli di calcolo, schemi ecc. Appunti o presentazione che siano, il testo viene nuovamente rida­ borato nella versione della spiegazione orale in classe, la quale farà comunque continuo riferimento a testi scritti con citazioni e parziali letture di diapositive, libri di testo e/ o altro materiale. Il testo orale della spiegazione può essere nuovamente trasformato dagli studenti in testo scritto sotto forma di appunti più o meno articolati, a seconda delle abilità e dei bisogni. Durante la lezione è inoltre comune che gli studenti intervengano oralmente con domande in cui parzialmente si parafrasa e rielabora parte del contenuto esposto. Infine, poiché a scuola sono normalmente previste sia verifiche scritte sia verifiche ora­ li, il testo orale della spiegazione unito agli eventuali appunti, al libro di testo e a possibili altri materiali deve essere nuovamente rielaborato dagli studenti in testi orali e scritti originali. La TAB . 8.1 riassume i vari passaggi tenendo conto delle attività svolte, delle abilità linguistiche coinvolte, del canale, delle modalità e delle variazioni di forme testuali che i vari passaggi intermodali comportano. Nella colonna Modalità di comunicazione abbiamo distinto lo scritto tradizionale da quel­ lo mediato dal computer (Mc), che presenta proprietà parzialmente diverse rispetto a quello a mano per quanto riguarda la rapidità di redazione del testo, la correzione ortografica e grammaticale, l'uso di forme testuali e ipertestuali. Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, il rapporto tra mo­ dalità e testo non è diretto e immediato, tuttavia a ogni passaggio corrisponde una risemiotizzazione del contenuto e variazione nella costruzione del testo. È evidente infatti che i passaggi che abbiamo descritto non sono meri trasferimenti da un canale di trasmissione all'altro, ma implicano una sorta di traduzione intermodale con usi linguistici diversi. Sappiamo bene che la comunicazione umana è co­ stitutivamente plurimodale ( De Mauro, 201 3) e che lo sfruttamento di più modalità di comunicazione non è un procedimento artificia­ le e limitato ad alcuni contesti specialistici, ma deriva dalla naturale multidimensionalità della semiosi umana ( cfr. CA P. I ) . Pluricanalità e

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8. LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE NELL ' EDUCAZIONE LINGUISTICA

TABELLA 8.1

Sintesi di passaggi intermodali in un percorso didattico Fasi di un percorso Partecipanti didattico

Attività

Canale

Modalità di comunicazione

Preparazione Insegnante Legge saggi, manuali Grafico-visivo Scritta di una lezione Produce appunti, schemi, diagrammi frontale Produce diapositive, fogli di calcolo, grafici, carte ecc. Scritto Mc * Lezione in classe

Insegnante Produce una spiegazione

Audiovisivo

Parlata

Grafico-visivo Scritta Legge diapositive, foto, grafici, carte ecc. Legge libri di testo e altri materiali Scritto MC Studenti

Verifica

Studenti

Producono appunti Grafico-visivo Scritta Leggono libri di testo e altri materiali Audiovisivo Parlata Fanno domande, producono parafrasi ecc. Producono testi Grafico-visivo Scritta originali: relazioni, temi, presentazioni in Scritto MC diapositive ecc.

Studenti Interrogazione Insegnante Presentazioni Relazioni Dibattiti

Audiovisivo

Parlata

• Scritto MC= scritto mediato dal computer

plurimodalità sono proprietà fondanti della comunicazione umana e non un risultato esclusivo della modernità tecnologica. La prova più manifesta e forse più estrema delle potenzialità plurimodali della co­ municazione umana si ha assistendo a una rappresentazione teatrale recitata in grammelot, lingua per dir così teatrale, che consente agli attori di mimare fonicamente, dal punto segmentale e soprasegmenta­ le, una lingua, dandone una realizzazione sulla base di tratti percepiti come salienti e distintivi dal punto di vista socioculturale (Voghera,

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DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

2.015). L'insieme di questi tratti uniti alle informazioni extraverbali, arricchite da una gestualità marcata e ridondante degli attori, danno una rappresentazione verosimile della lingua scelta, al punto da risul­ tare plausibile e, infine, comprensibile o incomprensibile tanto quanto la "vera" lingua straniera. Il celeberrimo monologo di Adenoid Hyn­ kel nel Grande dittatore di Charlie Chaplin o Mistero buffò di Dario Fo non sono solo due esempi di grande scrittura drammaturgica, ma l'espressione più nitida delle potenzialità della multimodalità nella comunicazione umana. Per quanto il grammelot possa apparire un esempio estremo di comunicazione multimodale, non è altro che una prova della nostra capacità di integrare informazione ricavabile dalla struttura verbale e da altre fonti, comprendendo tutto il sapere che deriva anche dalla nostra enciclopedia. Non è quindi necessario immaginare scenari avveniristici e tecno­ logicamente all 'avanguardia per praticare ed esercitare la plurimodali­ tà poiché essa è parte del patrimonio bioculturale della nostra specie. Le invenzioni e lo sviluppo tecnologico contemporaneo hanno certa­ mente aumentato il numero di canali possibili e la loro combinazio­ ne, dando luogo a nuove forme di comunicazione multimodali ma, è bene ricordarlo, anche monocanali e monomodali, come nelle forme tradizionali di scritture o nella comunicazione telefonica. Purtrop­ po, benché la glottodidattica abbia fatto delle quattro abilità, parlare, ascoltare, leggere e scrivere, il focus dell'attività didattica, non c 'è un patrimonio condiviso di riflessioni e di pratiche dedicato alla pluri­ modalità, ai processi di passaggio da una modalità di comunicazione all 'altra. Eppure l 'uso di modalità di comunicazione diverse comporta non solo usare la lingua in modo parzialmente diverso, ma mutamenti semiotici anche profondi che correlano con strutture linguistiche a tutti i livelli. Di fronte a questi passaggi la scuola ha un atteggiamento contraddittorio. Da un lato, nella pratica didattica quotidiana sono dati per scontati proprio perché l'intermodalità è un'abilità semiolo­ gica che i parlanti posseggono naturalmente, quasi una quinta abilità. Dall'altro, gli insegnanti spesso lamentano l'incapacità degli studenti di gestirli, soprattutto quando si tratta di passare dalla lettura al parla­ to. Ciò accade perché la naturale plurimodalità della comunicazione umana non implica la capacità di saper affrontare sempre e comunque qualsiasi passaggio da una modalità all'altra e se questa capacità si può configurare come una quinta abilità, allora si può e si deve sviluppare ed esercitare, così come si fa con le altre abilità. Detto in altre paro2.18

8. LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE NELL ' EDUCAZIONE LINGUISTICA

le, esiste una plurimodalità primaria naturale e spontanea e una plu­ rimodalità che deve essere affinata e che si deve esercitare attraverso lo sviluppo consapevole del rapporto tra canale, mezzi, modalità, usi linguistici e forme testuali. È qui che si deve instaurare un rapporto positivo tra riflessione me­ talinguistica e modalità, attraverso un percorso che educhi a capire cosa deve e/o può cambiare da una modalità all'altra e cosa invece deve e/o può rimanere invariato nelle scelte linguistiche e testuali. È possibile infatti immaginare un curriculum che metta a fuoco i punti più impor­ tanti nei passaggi da una modalità ali' altra. Ogni passaggio intermodale impone vincoli e permette numerose scelte : un percorso che includa la plurimodalità come obiettivo educativo deve individuare gli elementi ricorrenti e capire quali sono i punti pertinenti a livello linguistico per ogni passaggio. Detto in altri termini, è necessario suggerire strutture linguistiche e testuali che svolgano, per così dire, la funzione di tradu­ centi intermodali. Così come avviene in un buon processo traduttivo da una lingua ali' altra, non si tratta quindi di trovare corrispondenze meccaniche, ma strategie per gestire i punti critici. La rappresentazione della modalità di comunicazione che abbiamo dato nel CAP. 2 permette di individuarne i principali componenti e ca­ pire cosa cambia nelle varie modalità. Questo permette di evitare equi­ valenze improprie e di interpretare lo scritto alla luce del parlato o vi­ ceversa. Le tecnologie permettono di sfruttare alcune proprietà tipiche della modalità parlata, per esempio lo scambio dialogico semi-sincrono, utilizzando il canale grafico-visivo e questo fa assumere ai testi scritti delle caratteristiche molto diverse da quelle della scrittura tradizionale. Sarebbe però un errore pensare che si tratti di un parlato grafico perché mancano a questi testi molte caratteristiche tipiche del parlato, che in­ fatti non si riscontrano nella lingua usata. Tra le differenze più rilevanti c 'è il fatto che il dialogo delle chat permette ai due parlanti anche di produrre turni paralleli : se da un lato si aspetta la risposta del destinata­ rio per rispondere, è però sempre possibile produrre un turno prima di riceverla. Ciò perché la tecnologia non blocca la produzione di discorsi paralleli, come invece accadrebbe in un dialogo naturale, in cui si sareb­ be immediatamente interrotti dal proprio interlocutore. Se pensiamo alla scrittura conversazionale semi-sincrona, tipica delle chat, è quindi evidente che essa è nella realtà molto meno cooperativa e sincrona ri­ spetto al parlato conversazionale. In qualche misura le chat permettono dialoghi, ma anche scambi di monologhi parcellizzati. 2I9

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA 8.3

Un contesto critico : l'interrogazione

Tra le varie situazioni che presuppongono complessi trasferimenti lin­ guistici e di contenuto e che quindi possono diventare critiche, vor­ rei prendere in considerazione quella dell' interrogazione, che assume particolare rilievo nella specifica situazione italiana, in cui gli studenti sono in gran parte valutati attraverso compiti orali sia durante l 'anno sia negli esami finali. Ciò li espone alle intemperie della comunicazio­ ne faccia a faccia e perciò stesso rende la valutazione, spesso, soggetta a variabili non sempre controllabili. Questo suggerirebbe di limitar­ ne la pratica e di sostituirla con la valutazione scritta, se non altro per risparmiare ore e ore di noia a professori e studenti alla fine di ogni quadrimestre. Il parlato delle interrogazioni è un parlato complesso ben diver­ so dal parlato naturale e spontaneo, ma ad esso non viene data alcuna attenzione perché si dà per scontato il fatto che l ' interrogazione sia assimilabile alla situazione di una normale conversazione e che quindi non richieda particolari abilità per un parlante madrelingua. Eppure se mettiamo a confronto le caratteristiche del parlato conversazionale con le aspettative che mediamente un insegnante ha durate un' inter­ rogazione, si vede bene che vi è una grandissima differenza. Abbiamo illustrato nei capitoli precedenti quali sono le costruzioni linguistiche adeguate alla discontinuità dei testi parlati. In primo luogo, la necessità di ottimizzare il tempo a disposizione rende funzionale l'uso di risor­ se di comunicazione non verbali e il massimo appello a informazioni contestuali. In secondo luogo, la necessità di produrre ed elaborare in­ formazioni in tempo reale senza il supporto di una memoria esterna incoraggia l'uso di strutture linguistiche di alta disponibilità, con un ampio spettro di significati e funzioni, che possano cioè essere usate in un grande numero di contesti. Da ciò deriva il fatto che il testo di una conversazione presenta di norma un'alta frequenza di costrutti deittici e un lessico a bassa definizione. A ciò si aggiungono marcati fenome­ ni di ridondanza e numerose ripetizioni che servono tanto al parlante quanto all 'ascoltatore a tenere sotto controllo lo svolgimento del testo. Il risultato è, se comparato con lo scritto, un testo molto diluito dal punto di vista sia semantico sia sintattico. Veniamo all'interrogazione. Essa è un dialogo faccia a faccia con presa di turno non libera; da un punto di vista interazionale, il rapporto 220

8. LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE NELL ' EDUCAZIONE LINGUISTICA

non è ovviamente paritario poiché vi è un regista, l ' insegnante, che dà e toglie la parola e che quindi controlla il flusso della comunicazione. Lo studente, come in una conversazione, non può fare appello di norma a un supporto di memoria esterna (appunti o testo scritto), può essere interrotto in qualsiasi momento, e la comunicazione è discontinua dal punto di vista tematico. Nonostante le condizioni enunciative generali dell ' interrogazio­ ne siano sostanzialmente quelle di una conversazione, le aspettative linguistiche da parte degli insegnanti sono in sostanza molto diverse : certamente non sarebbe accettabile che le ragazze e i ragazzi parlassero durante un' interrogazione come in una conversazione. Al contrario la lingua che normalmente si pretende durante un' interrogazione presenta molte caratteristiche tipiche dello scritto formale : minima ripetizione, minima ridondanza, alta definizione semantica, lessico specialistico. L' interrogato ideale deve infatti saper produrre con na­ turalezza un testo continuo dal punto di vista semiotico e verbale che non presenti cioè (troppe) disfluenze (ehm, ah, uhm); l ' interrogato, nello stesso tempo, può essere interrotto in qualsiasi momento da parte dell 'insegnante, ma deve essere in grado di riprendere il filo del discorso precedente. A ciò si aggiunge la richiesta da parte degli insegnanti di mantenere alto il ritmo dello scambio. Ogni lentezza, ogni esitazione, come ben sappiamo, rischia di essere interpretata come segno di scarsa padronan­ za dell'argomento. Insomma l ' interrogato deve produrre un parlato molto sofisticato che mantenga tutte le modulazioni possibili con la voce e i gesti ecc., ma abbia la stessa compattezza, densità informativa e struttura testuale dello scritto. È importante sottolineare inoltre che si richiede all 'interrogato che il testo scritto di riferimento possa essere disponibile in modo parcellizzato e discontinuo. Le interrogazioni so­ no infatti in linea di massima caratterizzate da discontinuità tematica. Da un punto di vista testuale, infine, l'interrogazione presenta un'al­ ternanza di porzioni di testo continuo e di brevi scambi dialogici così come un'alternanza di porzioni narrative, descrittive e argomentative. Complessivamente dunque l 'interrogazione condivide le proprietà ba­ siche della conversazione (produzione e ricezione in tempo reale), ma se ne discosta perché prevede porzioni di testo anche molto lunghe, come si vede da un'interrogazione del corpus LIP qui parzialmente ri­ portata:

22I

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA

( I) LIP-FC6

1. 2. 3· 4· 5· 6. 7· 8. 9· Io. II. I2. 13· I4. I5. I6. I7. I8. I9. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27· 28. 29. 30. 31. 32. 33 · 34· 35· 36. 37· 38. 39 · 40.

A: allora Elisa mi dice che cosa vuol dire ellenismo ? l : allora ellenismo viene dalla pa< rola> parole greca Ellade che_appunto significa Grecia e a_ in questo periodo cioè dop dopo la morte di Alessandro si sviluppò appunto la cultura Grecia in tutto il mondo A: greca l: greca in tutto il mondo difatti quando_ morì Alessandro ci furono A: in che secolo siamo ? l : siamo nell'anno è il trecentoventitré A: mh 1: eh il sec è te< rzo> eh terzo A: il terzo secolo da quando a quando va? [ ... ] l : e appunto questo_ -qua- questi vastissimo impero alla morte di Ales­ sandro ci furono guerre per insomma per prendersene una parte difatti eh ci furono il ci furono eh dei principi che lo cinquanta prin­ cipi eh governatori e generali che lottarono appunto per prendersi una pa< rte> per prendere per prendere il potere insomma per questo impero e ognuno appunto ne ot ne ottenne una parte e_ appunto li di­ vise in regni e i regni sono tre il regno settentrionale il regno d'Egitto e i regni d'Asia nel frattempo in Grecia appunto c 'era una lingua comune chiamata koine eh A: koinè l: koinè eh appunto la cul< tura> eh la religione eh c 'erano # stati eh dei cambiamenti cioe ' perche' erano stati importati dei degli degli occidentali nella cultura insom nella cultura greca pero' erano stati anche esportati appunto de dei grec dei gre in cui credevano greci e poi andarono a credere anche gli altri allora A: in cui poi andarono a chiedere anche mh l : ah A: senti no ti voglio chiedere_ due cose uno # che differenza c 'è tra cittadino e suddito ? l : eh il cittadino sono_ tutte l i cittadini sono tutte persone che hanno dei di< ritti> cioè [interruzione] [ ... ] A: ecco suddito è colui che è sottomesso e che non ha diritti di partecipazione un'altra cosa ti voglio chiedere il primo secolo avanti Cristo da quando a quando va? l : avanti ? dallo zero al cento A: mh il secondo ? [ ... ] 222

8. LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE NELL ' EDUCAZIONE LINGUISTICA

L'interrogazione quindi, pur prevedendo sempre continuità nel pro­ cesso di produzione e ricezione, prevede come risultato un testo che può andare da un massimo a un minimo di discontinuità. In altre pa­ role durante un'interrogazione si alternano momenti di scambio dia­ logico molto serrato, in cui evidentemente il testo prodotto presenta tutte le discontinuità del parlato spontaneo, e momenti monologici in cui l'interrogato deve produrre testi quanto più possibile continui e compatti. Se dovessimo quindi collocare l ' interrogazione in un ipote­ tico spazio definito dal grado di continuità del processo di produzione e ricezione e dal grado di continuità e compattezza dei testi, l' interro­ gazione occuperebbe uno spazio ben più ampio di quello della conver­ sazione, poiché la sua caratteristica principale è proprio il fatto di essere un genere misto e multiforme. Date le caratteristiche descritte, risulta evidente che l'interrogazio­ ne non mette alla prova solo le conoscenze disciplinari degli studenti, ma la loro abilità linguistiche. L' interrogazione presenta alcune delle principali caratteristiche di un ( con- ) testo plurilingue e plurimodale poiché richiede la gestione simultanea di registri e livelli linguistici di­ versi : per "fare una bella interrogazione" non basta infatti aver studiato, ma bisogna aver acquisito consapevolezza del rapporto tra situazione enunciativa e uso linguistico e aver quindi raggiunto un buon equili­ brio tra strategie comunicative e competenze linguistiche. Ne abbiamo conferma se proviamo a interpretare le proprietà enun­ ciative, testuali e linguistiche dell 'interrogazione in base alla griglia dei descrittori del QC ER. Sia che si guardi alla scala globale dei descritto­ ri sia che si guardi alle strategie comunicative sia, infine, che si guar­ di agli aspetti qualitativi dell'uso della lingua parlata la competenza linguistico-comunicativa necessaria per affrontare un'interrogazione si colloca in una fascia che va dal livello B2 in su, quindi nei livelli più alti di competenza. In particolare, ai fini di una buona valutazione in un contesto di interrogazione sembra necessario raggiungere almeno i livelli seguenti nei descrittori riportati nella TAB . 8.2. Vorrei qui sottolineare che è determinante raggiungere un buon livello di controllo dell' interazione poiché, come abbiamo già detto, nel contesto dell'interrogazione gioca un ruolo decisivo la capacità di compensare durante l 'esecuzione le eventuali carenze nella propria competenza linguistica. Il riferimento al QC ER non deve solo servire a collocare lungo una scala di difficoltà le varie situazioni comunicative e la varie prestazioni

223

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA TABELLA 8.2

Livelli necessari da raggiungere negli aspetti qualitativi d'uso della lingua parlata per sostenere un' interrogazione sulla base dei descrittori del QCER Fluenza B2

Estensione B2

Imerazione B2+/Cr

È in grado di parlare con Ha un repertorio lin­ Riprende e sviluppa enun­

un ritmo abbastanza uni­ forme, anche se può avere delle esitazioni quando cerca strutture ed espres­ sioni. Si verificano poche pause lunghe.

guistico sufficiente per riuscire a produrre de­ scrizioni chiare ed espri­ mere punti di vista su argomenti molto gene­ rali, senza dover troppo cercare le parole. Usa qualche frase complessa nell'esprimersi.

ciati e inferenze degli altri interlocutori, contribuen­ do in tal modo a sostenere la discussione ; connette abilmente i propri contri­ buti a quelli degli altri in­ terlocutori.

È in grado di scegliere, nel repertorio di funzioni di­ scorsive di cui dispone, le espressioni adatte per pren­ dere o mantenere la paro­ la, introdurre le proprie osservazioni in modo ap­ propriato e per agganciare abilmente ciò che dice a ciò che hanno detto altri inter­ locutori.

linguistiche, ma può anche essere utile a scomporre situazioni com­ plesse in fasi di apprendimento/insegnamento e, nel nostro caso, a in­ dividuare obiettivi didattici parziali che guidino l'apprendente verso l'obiettivo finale attraverso approssimazioni graduali. Lo schema nella TAB . 8.3 propone una delle possibili scomposizioni dell' interrogazio­ ne in porzioni cui corrispondono risultati linguistici diversi, cioè por­ zioni di testo dalle caratteristiche linguistiche parzialmente differenti. L'indicazione dei livelli, ancorché approssimativa, è stata fatta tenendo conto che l ' interrogazione è un genere comunicativo che pur apparte­ nendo al parlato implica, come abbiamo detto, competenze trasversali di ascolto, parlato e lettura. La scomposizione permette di cogliere i passaggi necessari per rag­ giunge l 'obiettivo finale ; naturalmente ciascun gradino può essere im­ plementato da specifici obiettivi e compiti linguistici sia in produzione sia in ricezione. In altre parole è possibile indicare per le singole porzio­ ni, o sequenze di porzioni, della scomposizione i livelli di competenza 224

8. LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE NELL ' EDUCAZIONE LINGUISTICA

TABELLA 8.3 Scomposizione dell'interrogazione in porzioni comunicative di complessità cre­ scente Scomposizione di un' interrogazione

Scambio bidirezionale con presa di parola non libera a turni brevi (domanda/ risposta) Scambio bidirezionale con presa di parola non libera a turni lunghi (domanda/risposta) Testo parlato monologico breve pianificato sulla base di un testo scritto (libro di testo) Testo parlato monologico breve pianificato sulla base di un testo orale (lezione) Testo parlato monologico breve pianificato sulla base di un testo orale (lezione) e scritto (libro di testo) Scambio bidirezionale con presa di parola non libera a turni lunghi + testo parlato monologico breve pianificato sulla base di un testo scritto (libro di testo)

Livelli

A2 A2+/BI BI BI BI/B2 B2/B2+

minimi per l'ascolto e la produzione. Si tratta di un lavoro complesso che deve tener conto non solo degli aspetti più propriamente parla­ ti dell'interrogazione, ma dei passaggi impliciti, quale per esempio il processo di verbalizzazione di un testo letto o ascoltato in precedenza (Grassi, 2007 ). Certamente la rappresentazione proposta è piuttosto semplificata rispetto alla realtà: abbiamo per esempio ignorato tutte le variazioni che possono derivare dai vari tipi testuali (esposizione, narrazione, descrizione, argomentazione ecc.) che possono succedersi in ognuna delle fasi, a seconda dell'argomento e dello scopo della va­ lutazione. Nonostante la rappresentazione schematica, è possibile co­ gliere l 'intreccio complesso tra elementi plurilinguistici e plurimodali anche in una situazione routinaria, che si dà assolutamente per scontata in ambiente scolastico. Al contrario, ogni passaggio impone vincoli e permette numerose scelte, di cui è bene diventare consapevoli. Infatti, ciascuna delle porzioni testuali individuate, e quindi degli strumenti linguistici ad esse associati, può essere insegnata e appresa separata­ mente e in sequenza poiché, a seconda del livello degli apprendenti, è combinabile con le altre porzioni in un andamento ciclico simile a quello proposto nell'ambito dell 'approccio task-oriented (Ellis, 2003). Sappiamo che l'acquisizione di nuove competenze linguistiche im­ plementa in modo diverso ogni porzione della sequenza e ogni nuova

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DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA competenza e abilità ridisegna e affina competenze e abilità preceden­ temente acquisite. L'interrogazione, come ho tentato di mostrare, è un genere testuale complesso culturalmente definito sia dal punto di vista della sua for­ ma verbale sia dal punto di vista della sua forma interazionale (Grassi, 2007 ) . È un gioco linguistico particolare a cui le ragazze e i ragazzi italiani non sono normalmente addestrati, ma a cui sono esposti con risultati molto vari, e spesso dubbi per ciò che riguarda il valore di veri­ fica dei contenuti studiati. La presenza in classe di studenti non nativi può essere l'occasione positiva per inserire attività di riflessione e pra­ tica didattica sui meccanismi enunciativi, testuali e linguistici sottesi alla situazione dell'interrogazione che possono essere riutilizzati an­ che in altri contesti. Un'occasione in cui il plurilinguismo della classe e l' intreccio tra plurilinguismo e plurimodalità della specifica situazione comunicativa diventano occasione di efficienza didattica. Quella proposta è solo uno dei tanti esercizi possibili ; ciò che im­ porta è gettare le basi per una riflessione metalinguistica sulla modalità di comunicazione e la grammaticalità delle scelte modali. Come ho cercato di mostrare lungo tutto il percorso seguito fin dal primo capi­ tolo, ogni mutamento nell 'ingranaggio modale comporta usi gramma­ ticali di cui è utile essere consapevoli. Perché questa consapevolezza si trasformi in attività educative è necessario costruire percorsi standar­ dizzabili, riproducibili e condivisibili al di là delle singole esperienze, seppure ricche e proficue. Per concepire percorsi didattici sistematici dedicati alla multimodalità è necessario poter disporre di strumenti di osservazione, diagnosi e intervento dedicati al rapporto tra modalità di comunicazione e scelte linguistiche. Sarebbe opportuno partire dai processi basilari. Non c 'è dubbio che l'attività didattica è pregna di passaggi intermodali e interstestuali, tuttavia è possibile distinguere tra quelli che si ripetono costanti nel processo di apprendimento di tutte le materie e quelli che sono invece sono connessi allo sviluppo di alcuni saperi e quindi necessari prevalen­ temente all 'apprendimento di alcune materie. È possibile distinguere quindi la rilevanza disciplinare di alcuni specifici tipi di passaggi inter­ modali. È evidente che il percorso che qui ho usato come esempio può considerarsi applicabile sostanzialmente a tutte le discipline, ma che alcuni insegnamenti faranno uso più di alcuni tipi di traduzione inter­ modale : se la matematica privilegia il continuo passaggio dal linguaggio verbale a grafici e diagrammi, la storia dell'arte prevede rappresentazio-

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8. LA MODALITÀ DI COMUNICAZIONE NELL ' EDUCAZIONE LINGUISTICA

ni iconografiche e grafiche di tutt 'altro tipo. Sarà inoltre utile stabilire qual è la rilevanza nel percorso didattico dei vari passaggi intermodali. È questo un punto delicato perché richiede lo sforzo di individuare quali passaggi sono importanti per la trasmissione e formazione dei saperi e delle competenze e quali invece assumono peso perché fan­ no parte delle comuni pratiche di valutazione. Si tratta in altre parole di distinguere ciò che è necessario per il processo di insegnamento e apprendimento da ciò che fa parte di tradizioni pedagogiche, ma che nulla ha a che fare con la qualità dell'apprendimento. La condizione necessaria per raggiungere questo obiettivo è imparare ad osservare e registrare i tratti di modalità di un testo, distinguerli per esempio da quelli che dipendono da altre dimensioni di variazione : diafasica, dia­ topica, diastratica. Un secondo punto di rilievo è quello di individuare quali correlati funzionali della modalità di comunicazione sono più difficili da trasferire, cioè quali possono essere i punti critici nel caso di passaggio intermodale, per esempio da parlato a scritto, o viceversa. Un terzo punto, infine, da valutare è quali di queste caratteristiche devono essere affinate per acquisire ulteriori abilità. Naturalmente ciascuno di questi passaggi riceverà soluzioni diverse a seconda dell'età degli stu­ denti e del ciclo scolastico perché non tutti i passae;gi intermodali sono possibili e/ o ugualmente rilevanti in ogni ciclo. E utile ricordare che col crescere dell 'età si affinano alcune capacità, ma se ne perdono altre perché funzionalmente non necessarie. La rappresentazione grafica di contenuti è negli adulti fortemente connessa alla scrittura, al contrario nella scuola dell' infanzia e primaria vi è un rapporto privilegiato con il parlato che, spesso, salta la mediazione della lingua scritta. Questo rap­ porto si indebolisce con gli anni ed è molto più difficile per gli adulti svolgere un compito di rappresentazione grafica sulla base di istruzioni puramente orali. Eppure questo è un esercizio molto utile per affinare la concentrazione nell'ascolto. Turto ciò potrà avvenire solo se diventerà pratica corrente assegnare compiti in cui i passaggi intermodali siano oggetto di studio e e parte integrante del percorso formativo degli studenti. Questo implica un cambio decisivo di prospettiva educativa: l'abbandono di una visione monomodale nell'insegnamento grammaticale, e più in generale nel­ la riflessione metalinguistica. Come abbiamo già ricordato, la semiosi umana spontanea prevede più dimensioni di comunicazione contem­ poranee e cooperanti sia nelle lingue vocali sia nelle lingue dei segni. Esercitare le abilità metalinguistiche degli studenti su esempi di lingua 227

DAL PARLATO ALLA GRAMMATICA appartenenti sempre e solo a un'unica modalità, quella scritta, vuol dire offrire una rappresentazione limitata e irrealistica della lingua e della sua grammatica. Lavorare in modo sistematico e consapevole sul ruolo che ha la variazione modale sugli usi linguistici e la loro grammatica non risponde dunque solo a esigenze di tipo comunicativo, ma diventa funzionale all 'ampliamento dei saperi linguistici.

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Indice dei nomi

Blanche-Benveniste C., I8, 70, 1 13n Blumstein S. E ., 45 Bonvino E, 90n, 99, 125, 133n Borges C., 164n, 176, 182 Bortolini U., I 44 Boula de Mareiiil P., 49 Brazil D., 76, IOI Bregman S., 46n, SI Briz A., I73n Brown G., 48, 213 Brown P., I8S Brown-Schmidt S., 49 Bybee J., 205

Aart B., I 26n, 200 Acquaviva P., 28 e n Aijmer K., 90 Albano Leoni F., 23n, 39-40, 46 e n, 47-8, s6, s9n, 193 Albelda M., I73n Antonelli G., 30, 33 ArnoldJ., 126, I27n, 133 Auer P., 96n Austin J., 62 Bachtin M. M., qsn Bally C., 1 1 9n Barone P., 53 Baretto A., I79 Barton E., Ioo, I02 Basile G., 22n Bates E., S I-2, s6 Bavelas J., 53, 57 Bazzanella C., 26, 32, 62, 64, 82, 8 990, 98, 1 14, I73n, I74-s Beattie G. W., 64 Beeching K., 94 Bellugi U., 52 Benveniste È., 1 19n Berretta M., 40, 8s, 89, 96, 11 4, 116, IS9 Berruto G., I9, 22, 37, 38n, 11on Berthommier F., sI Bertinetto P. M., 114, I67 Biber D., 26, 62, I04, 110 e n, III, 117, I 3 I, I45, 2osn

Caffi C., 25n, 32, 84, I73n, 174 e n, I82, I86, I9In Calaresu E., 88 Calò R., 2o8 Cardona G. R., 44, 69 Chafe W. L., 99, 104, IO?, 1 17, 163 Channel J., I74, I78-9 Chaplin C., 218 Chen Z., SI Cherry E. C., 51 Chierchia G., 29 Chini M., I59n Chomsky N., 24 Cignetti L., I2I Clancy P. M., 64 Collu L., 59, I8o, I86 e n Conte M.-E., I69 Corno D., 209

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Fox B. A., 25, 59, 64, 96, 103, 205, 1 3 1, 145 Foxton J. M., 5 3 Fraser B., 9 3

Couper-Kuhlen E., 25, 59, 64, 76n, 96, IOI, I03, 205 Cresti E., 40, 97-8, 107, IIO e n, III, II6-7, 125, 131, 145 Croceo C., 74n Crump T., 1 74 Crystal D., 15, 173 CuttingJ., 174 Cutugno F., 40, 75, 104 Cuyckens H., 183

Gaudino-Fallegger L., 85 Gentner D., 177 Ghezzi C., 8 9, 174, 181n, 182-3 Giannini A., 73 Gibson E., 204 Giordano R., 3 9, 76, 109, II4, 123n Givon T., 101, 158 Goffman E., 67n, 121 Goldin-Meadow S., 52 Goodwin C., 23n, 26 Goody J., 20 e n, 21, 23 e n, 210 Gouggenheim G., 144 Graffì G., I I 9 Gramigni P., 97 Grassi R., 225-6 Godei R., 101 Greenberg R. D., 31n Grice P., 1 1 8 Guellai B., 53 Gumperz J., 31, II3

D 'Achille P., 40, I Ion, 113n, I I4, II6 Danes F. , 25 Darwin C. J., 46 Davidse K., 183 Davy D., 173 Deacon T. W., 45 Dehaene S., 174 De Mauro T., 17n, 30, 32, 37 e n, 40, 56, 59, 85, 1oo-1, I I 9, 144-5, 172-3, 200, 203, 204ll, 210, 216 Detges U., 93 Dick F., 52, s6 Diehl R. L., 46 Diewald G., 183 Ellis R., 225 Elugardo R., 123

Haiman J., 104, II3 Halliday M. A. K., 25 e n, 33, Io I, 104, I07-8, IIOn, III, I3I, 135, I39, I43, 169 Hasan R., 25n, IOI, I69 Havelock E., 20 Hawkins J. A., Ioo, I25-6 Hawkins S., 46n, 49, s6-7, 59 Haykins S., SI Heine L., 102 Helsloot C. J., 76n Henly A. S., s6 HirschbergJ., 49 Hjelmslev L., 101, I I 9ll Holker K., 164n Holler J., 45, 64

Ferrante G., 18 e n, 43, 8o, 90, 95, 164, !66-7, 170 Ferrari A., 107, II6-7, 134, 159 Ferraris S., 159n Ferreri S., 32 Finazzi R. B., 18 Fiorentino G., II 3n Fiormonte D., 44 Fischer K., 90 Fishman J., 31 Fo D., 218 Fon J., 75 Ford C. E., 64 25 4

INDICE DEI NOMI

Holt L. L., 46-7, 57n Hopper P. J., I30, I6o, I72, I77, 205

Lyons J., 84 Magno Caldognetto E., 54 Mahlberg M., I 6 9 Mancini F., 2on, 84, I67n Mancini M., 20 Manzotti E., 92 Marazzi M., 2on Marotta G., 49, 78 Marslen-Wilson W., 45 Masini F., 92, I ? I, I74, I77 Massaro D. W., 48n, so-I Maturi P., 46n, 47-8, I93 Mauri C., I74, I79 McNeill D., I6n, 45, SI-2 Mehl M., 45 Meillet A., 1 19n Merchant J., I23 Merlini Barbaresi L., I8In Mihatsch W., I74, I77 Milani C., I8 Miller J., 59, I04, I I O-I Molinelli, P., 8 9, I83 Moneglia M., 40, 97, IO?, 1 10 e n, I I I , 117, I2S Moore B. C. J., 46n Morris C. W., 98 Mortara Garavelli B., 1 10n, 1 16, I22, IS7, I60-I Mounin G., 26

Jefferson G., 64, 83 Jucker A. H., 89, I74, I8S Jusczyk P. W., 49 Kaltenbock G., I74 Kandel E. R., 57 n Kendon A., S 3-4, 64 Kiaer J., I02 Klima E. S., 52 Kluender K. R., 57n Koch P., 3 I, 63, 99 Komisarjevsky Tyler L. K., 45 Kress G., 33, 44 Labov W., s6, 59, 2oo Ladd D. R., 75, 76 e n, 78n LakoffR., 93 Lambrecht K., IS8 Landolfi A., 110, I23 Langus A., s 3 Laudanna A., 85, 130, I6I Leech G., I43 e n, I44 Lefevreu F. , 1 16, I20 Lehmann C., I J3, I77 Lemer C., I74 e n Lepschy A. L., 9, 2on, 75, 77 Lepschy G., 9, 20, 22-3, 26, 30, 4I, 52, 54 75, 77, IS7 ' Levelt J. M., 45 Levinson S. C., 32, 45, 83, 98, I85, I94 Lieberman P., 45 Lindblom B., s6, 57 e n, s8 Linell P., I 8, 20, 27 Liszkowski U., 52 Local L., 83 Lombardi Vallauri E., 1 1 4 Lorenzetti L., 8 8 , 1 14, I4S Lotto]. L., 46-7, 57n Liidge T., I74, I8S

NarbonaJimenèz A., I8 Nespor M., 53, 76n Neustupny J. V., I73 Nicolas D., 1 1 6 Nusbaum H. C., s 6 Ochs E., 25 Olson D. R., 2on Ong W., 2on Ono T., 25 Osterreicher W., 3I, 63 255

DAL PARLATO ALLA GRAM M AT I C A

Overstreet M., I74, I78 Pettorino M., 73 Piantadosi S. T., 204 Pierrehumbert J., 49 Pietrandrea, 9In, I74 Pisoni B., 46n Poggi l., 52, 54, I2I Poizner H., 52 Policarpi G., IIon, I25-6, I35, I47 Progovac L., 33, I02 Prieto L., IOI Quirk R., I8 Rayson P., I43 e n, I44 Remez R., 46n Renzi L., 84, I77 Riviere L., s 3 Rizzi L., I07 Robins R. H., 26 Rombi M., I Ion, I25-6, I 35, I47 Ronzitti G., I73 Rosch E., 202 Rosenblum L. D., so, 54n Ruoff A., I 40 Russell B., I73 Sacks H., 64, 83 Sammarco C., II, 70n, 71, II7-8, II9n, I23 Sampson G., 33 Saussure de F., 204 e n Savariaux C., SI Savy R., II, 40, 47n, 48, 74 e n, 75, I03, I04 e n, I27n, I37-8, I93 Sawusch J. R., s6 SchegloffE. A., 25, 64, 83, I22, I9S Schiffrin D., 8 9-90 Schilhab T., 45 Schneider S., I74 Schwartz J.-L., S I

Schwarz J. H . , 57n Sechehaye A., II9n Selkirk E. 0., 75, 76n Selting M., 25, 76n, IOI, 205 Simone R., 44, 123 Smith S. W., I74, I8S Sorianello P., 3 9 Sornicola R., I8, 25n, 40, 69, 8I, IIS, II7 Sperber D., 63 Spitzer L., 40, I86-7 Stainton R., I23 Stammerjohan H., 40 Stephens J., 64 Stivers T., 64 Stjernfel F., 45 Stork D. G., 40 Szmrecsanyi B., I2S e n, I27, I29 Tanenhaus M. K., 49 Tannen D., 82-3, 99 Thompson S. A., 25, 59, 64, 96, 1 13, I29, I6o, I72, 203-5 Tomasello M., 45, SI Traugott C. E., 8 9, 94, I77, I83-4 Trousdale G., 8 9 Turchetta B., 2on Turco G., 33, I lO-I, II7, I26 Tyli H., 204 Uldall H. J., 27 Valeri V., 2on, s6n Vandelanotte L., I83 Vandenbergen A. M., 90 Vanelli L., 84, IS9 Villani P., I2I Vincze L., 52 Vogel l., 76n Voghera M., I7n, 25n, 27, 28n, 29, 33-4, 37, 40, 54, 59, 6I-2, 69, 74-s, 77, 8 I-3, 88, Ioo, I04 e n, IOS, I07,

INDICE DEI NOMI

Webster J., 25n Weinert R., 59, I04, IIO-I Wilson A., I43 e n, I44 Wilson D., 63 Wittgenstein L., I73, 20I-3

I09, IlO e n, I I I, I J3-4, II7-8, I22, I23 e n, I25-6, I27n, I30-I, 135, I 47, I 57, I6I, I64n, I72-5, I76 e n, I77-8, I8o, I8I n, I82, I83 e n, I86 e n, 200, 2osn, 2I7 Volosinov V. N., 23n

Yule G., 2I3 Wallis S., I26n Waltereit R., 92 Wang S.-P., 82, 84n Warren M., 47, I93 Wasow T., I25-6, I30

Zampolli A., I 44 ZipfG. K., I 9S Ziv Y., 88 Zubizarreta M. L., I26

25 7

Indice analitico

forma prosodica della, I09 tipi di, I08 senza verbo, I09-IO, 1I6-2s e atto linguistico, I I 8 e funzione testuale, I I 8 frequenza delle, I26 dirematica, 1 I9-2o, I24 subordinata, II2 verbale, I Io-s Cocktailparty, effetto, S I Codice, I04 Comment, 98, IOS Competenza metalinguistica, 209 Complex Transition Relevance Places, 6s Comprensione, 9, 32, 4S, 48-so, 96, I93, I9s, 2oo-2, 2o4-s Comunicazione visivo-gestuale, S I Condizionale, modo, I IS Condizioni di felicità, 63 Congiuntivo, modo, IIS Congiunzione/i frequenza delle, J3S, I4I che, II2-4 Connettivi, 8 9, II I -2, II 4 Contesto, 49, s6, s8, 6I, 63, 8s, 98, Ioo, 1I7, Is8, I6s, I79, I97, 2oo-I, 206 Continuità, 33, 76, 83, I90, 223 Conversazione, 26, 64, IOI, IS7, 2I3, 220-I, 223

Abilità linguistiche, 2I2, 2I8, 227 ascolto, 2I3-4, 22S lettura, 2 I 8 parlato, 2I3-4, 2I8, 227 scrittura, 227 Abilità metalinguistiche, 32 Accento tonale, 78, 138, I93, I96 Aggettivo, I 4I Allineamento dei costituenti, I9S-6 Analogia, I77 Apparato fonatorio, 4S Apparato uditivo, 4S Approssimazione, I73, I7S quantitativa, I74-s Articolo, I36, I4I Attenuazione, 93 Autoripetizione, 82-3 Avverbio, 89, I 4I-2 Brevità, II8, I36, IS8 Cambio di progetto, 7I, I63 Canale di comunicazione, I9, 2I, 278, 3 S, 21I audiovisivo, S4-s, I9o, I92 fonico-uditivo, I9, 44, 46, so Categoria/e, 32, I70, 200, 2os Categorizzazione, I74-9, 202 Chat, ssn, I9o, 2I9 Clausola/e, I04, I07, IS6 breve, I92 disposizione iconica, I I 3 259

DAL PARLATO ALLA GRAM M AT I C A

e variazione, 208 Effetto McGurk, so Elaborazione, 27, so, 62, 66-7, 84, 100, 125-6, I3 3, 189 Elasticità, 190, 192, 197, 202, 211 Enunciato, 97 Eteroripetizione, 82-3

conversazionale analisi, 103, 196, 205 Cooperazione, 63 Correlati linguistici funzionali, 3 4s, I89, 200, 211, 227 Correlati sociolinguistici, 34, 2I I Correlati testuali, 6 8 Cortesia, I8s-6 Costruzione/i, 102 generalizzanti (genera! extenders), I78-9

Fo, 74 Focalizzazione, 91 Focus, 78 Fonia, 21 Fono, 193 Fonema, 46-7, 49 Fonosimboli, 121 Francese, lingua, 1 17, 140-1, 144, 182 Frase, 97-103 nominale, u6n

Deittici, 35-6, 84-8, I 56, I 58, I95, 220 gesti, 36, I9S Deissi, 43, 84-7, I 9S contestuale, 43, 86, 159 Densità lessicale, 131, 134 sin tattica, I 3 4 Descrizione/i, I57, 160 Descrittori del Q.C E R , 224 Destinatario, I7, 26, 35, 53, s8, 62-3, 65, 191, 195-6, 2o4, 211 Didattica, pratica/ attività, 207-8, 209-11, 21 3-4, 226 Dialetto, 37, 209, 212 Dialogo, 17, 26, q6, 143, 146, 156-61, 187, 190-1, 219, 220 Diminutivi, 18I Discriminabilità, s8 Discontinuità, 39, 6 9, 76, 96, 190, 220, 223 tematica, 69-71, 190, 221 verbale, 72, 190 Disfluenza, 73 fonetica, 73, 197 testuale, 73, 197

Genere, 137-8 Gerundio, 115 Gesti, 52, 196 combinazioni di, 54 e linguaggio verbale, 54 famiglie di, S 3 grammaticali, s 3 pragmatici, 5 3 referenziali, s 3 Glottodidattica, 208, 218 Gradienza, 198, 200, 206 Grammatica, 15, 17-8, 20, 35, 198, 204-6, 228 approcci funzionali alla, 25 e analisi della conversazione, 25 e modalità, 27-9 e testi dialogici, 25 e testi scritti, 23 e varietà generativa, 24 insegnamento della, 3 2 Grammatica! intricacy, I35, 143 Grammaticalità, 32, 206 e modalità di comunicazione, 34

Economia/Economicità, 134-5, IS89 ' 160 Educazione linguistica, 207-28 democratica attiva, 208 260

I N D I C E ANAL I T I C O

e parlato, 3 5 Grammaticalizzazione, I76-7, 205 Grammelot, 2I7-8 Hedges, 93, I79, I8I, I84, I95 Hypere7Hypospeech Jrheory, 58

Imperativo, modo, 1 15 Indessicalità, I95 Indeterminatezza, 136, 200-I Indicativo, modo, 114-5 Infinito, modo, 115 Inglese, lingua, 1 17, I4I Intelligenza, interattiva, 45 Interazione, 45, 62, I 82, I86, I90, 223 verbale, I 6, 3 I Interiezioni, I2I-2 Intermodale, passaggio/traduzione, 2I6-9, 226-7 Interrogazione, 220-8 Intersoggettività, I7 Intonazione, 30, 49, IOI Ipoarticolazione, 137-8, 193 Ipospecificazione, 204 Italiano, lingua, 9, 37-8, 40, 78, 110 e n, 1 13-4, 117, 125, 130, 137, 144-5, I74n, 176, I8I-2, I86, 2I3 regionale, 3 7 varietà locali, 2I2 standard, 2I2 Leggerezza, 192 Lessico, 145, 166 Lingua dei segni, 52 materna ( LI ) , 30, 21 2-4 e didattica, 213 seconda ( L2 ) , 21 3-4 Logocentrismo, 26 significati testuali della, 74 Masse parlante, 204

Minimo sforzo, I95 Modalità di comunicazione, I9, 2I, 27, 35, 44, I89-90, 208, 2IO-I, 2I9, 226 e multimedialità, 207 e varietà, 3I, 37, 2I2 e registro, 2I2 parlata, 3I, 44, 55-6, I97, 206, 211 scritta, 33 Modo pragmatico, 205 Monologo, 70-1, 146, I56-61, 197, 211 Multicanalità, 54 Multilinguismo, 209 Multimodalità, 67, I92, 2IO Narrazione/i, 157, 160 dialogante, 87 Nome/i, 138, 1 40, 160, 168-70 e tipi di testi, I48-62 frequenza, 1 41-7 lemmi nominali, I43 generali, 168-70, 1 94 supporto, I 6 9 tassonomici, 176-8 Norma, 213 Nonsententials, 102, 1 17n Numero, 137-8 Ordine SV e VO, I33 Organi, articolatori, 46 Parafrasi, 8 I Parlanti, I99, 204 Parlato, 9-Io, I5, I7-8, 34-5, 227 Parti del discorso (partes orationis) , 8 9, I39 frequenza delle, I40-2 Pausa, 73, 76, I 22, I97, 224 Phoneme restorations, 4 7-8 Percezione linguistica, 46-7, 49-50, 56, I94 e correlati acustici, 49

DAL PARLATO ALLA GRAM M AT I C A

Percezione visiva, 49-50, 54n Percezione uditiva, 46-7, so, 54n e gesti, 53 Pesantezza (grammatica! weight), I2S-6 scala di, 126 nominale, I27-8 verbale, 127-8 Pianificazione, 67, I46 e informazione, IS7 Plurideterminabilità, I98, 206 Plurilinguismo, 207-9, 215 Plurimodalità, 207, 2IS, 2I9 Polirematiche, costruzioni, I72 Polisemia, I 9 2 Portoghese, lingua, I I 7, I 4I Pragmatica, 26, 3I, 6s, 9I-2, I2I, I59, I8o, I9I, 204-5 e sintassi, 98-I03 Preposizione/i, II4 frequenza delle, I35, I4I Produttore, 62-3, I90, I95-6, 204 Produzione, 44-5, 49, 96, I89, 2II, 223 Programmazione, 7I, 96, 189, 2II Pronome/i, 84 frequenza dei, 4I relativo, u2-3 Prosodia, 49, 73, 77-8, 96, Io6, I38, I93, 205 e sintassi, I03 Prototipo, 202 Referenza, I58-9, I69, 204 Registro, 9, 33, 54n, 59, II?, 208-9, 2II-2, 223 colloquiale, 37-8, 6I, uon Rendimento, funzionale, 35, I66, I92-3, I97, 2II Ricezione, 44-5, 96, I89, 223 Ridondanza, 79-82, I94, 220

Riflessione metalinguistica, 2I, 32, 20?-8, 219, 226 Riformulazione, 8 I Ripetizioni, 7 I , 82-4, 220 Scrittura, 20-I, ssn, I90, 200n, 210, 2I4-5, 227 conversazionale, 2I 9 digitale, s 4n e grammatica, 20-3 e lingua standard, 22 Segmentale, livello, 49, 73, 76, I93, I96, 2I7 Segnale, acustico, 46-7 bassa specificazione del, 48, I36 nei sin tagmi, I 3 7 Segnali di programmazione, 90, I97 Segnali discorsivi, 89-93, I I I-2, I24, 135, I64, I79, I9s-6, 205 cioe, 9I-2 diciamo, I64 in qualche modo, I64 un attimo, I83 funzione pragmatica dei, 9I funzione testuale dei, 9 I funzione pragmatica dei, 92-3 tipo, 9I -2, I84 Segnaposto, parole, I8o Segno, IOI, 199 Semantica, I63-6 bassa definizione, I65, I93 Senso, I64 Significato, I63 polisemico, I67 Sillaba, 46, 49, I93 Sincronia temporale, ss, I9I Sintagmi, I Io brevi, I37 frequenza dei, I29 nominali, I 29-30 preposizionali, 132 O ( ggetto) , 1 29

INDICE ANALITICO S (oggetto) , I29, I34 0SO, I29 verbali, 130-2 Sintassi, 95-I03, u8, I2S, 205 additiva, I94 segmentata, I IS Soggettivizzazione, 8 7 Soprasegmentale, livello, 75, I96, 2I7 Sovrapposizione/i, I7, 65, 8I-2 Spagnolo, lingua, II?, I4I, I82 Strutturalismo, 23 Tedesco, lingua, I4I, I82, I86 vaghezza, I86-7 Tempi verbali, II4-S Testo/i scritti, 33 vs. parlati, I47-62, 2I2 tipi di, 67-8, I46-6I Ton0, 74 Topic, 98, IOS, IS9 Turni, 45, 62, 2I9 alternanza dei, 45, 64-5, 70 sovrapposizione dei, 8 I

ritmo della, 66 lunghezza dei, 66 sequenze di, I9S Unità linguistiche, s6, 59 Unità tonali, 74, 76-9, 95, I04, I93 \Taghezza, I73, I82-7 intenzionale, I73, 205 informativa, I74-8o discorsiva, I8I-2 sistemica, 203 relazionale, I8o-I \Tariazione, 34-5 \Tarietà di lingua, 37 \Terbo/i, I40, I6I, I?O-I e tipi di testi, I48-62 frequenza dei, I4I-4 lemmi verbali, I 4 3 supporto, I 6 9, I 94 \Tocabolario di alta disponibilità, I44 di base, I44 fondamentale, I44

INDICE ANALITICO S (oggetto) , I29, I34 0SO, I29 verbali, 130-2 Sintassi, 95-I03, u8, I2S, 205 additiva, I94 segmentata, I IS Soggettivizzazione, 8 7 Soprasegmentale, livello, 75, I96, 2I7 Sovrapposizione/i, I7, 65, 8I-2 Spagnolo, lingua, II?, I4I, I82 Strutturalismo, 23 Tedesco, lingua, I4I, I82, I86 vaghezza, I86-7 Tempi verbali, II4-S Testo/i scritti, 33 vs. parlati, I47-62, 2I2 tipi di, 67-8, I46-6I Ton0, 74 Topic, 98, IOS, IS9 Turni, 45, 62, 2I9 alternanza dei, 45, 64-5, 70 sovrapposizione dei, 8 I

ritmo della, 66 lunghezza dei, 66 sequenze di, I9S Unità linguistiche, s6, 59 Unità tonali, 74, 76-9, 95, I04, I93 \Taghezza, I73, I82-7 intenzionale, I73, 205 informativa, I74-8o discorsiva, I8I-2 sistemica, 203 relazionale, I8o-I \Tariazione, 34-5 \Tarietà di lingua, 37 \Terbo/i, I40, I6I, I?O-I e tipi di testi, I48-62 frequenza dei, I4I-4 lemmi verbali, I 4 3 supporto, I 6 9, I 94 \Tocabolario di alta disponibilità, I44 di base, I44 fondamentale, I44