Aristofane, autore di teatro 9788838311222, 8838311226


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Aristofane, autore di teatro
 9788838311222, 8838311226

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CARLO FERDINANDO RUsso

ARISTOFANE AUTORE DI TEATRO

NUOVI

SAGGI

Carlo

Ferdinando

Russo

ARISTOFANE AUTORE DI TEATRO

Sansoni Editore

Nuova edizione ampliata e aggiornata

Copyright ©

1984 by G. C. Sansoni

Editore Nuova S.p.A., Firenze

alla mia

(esordio

omerico

con

Ecamede

Nestore

bei riccioli d'oltreoceano

e Ecamede,

richiamato e siglato sulla coppa di Pitecusa)

DI

ARISTOFANE

IN

ARISTOFANE

Presentazione

In questi anni Aristofane autore di teatro ha seguitato ad avere molti corteggiatori, e anche io ho continuato a mordere i nervi delle sue commedie: provando e. riprovando, nel maggio del 1968 presentai Le « Vespe » spaginate e un modulo di tetrametri 18 x 2, ed ecco che alle vespe vengono aperte molte finestre,

dalla

« Pauly

Wissowa »

all’Aristophanes

und

die

alte

Ko-

modie (Gelzer, 1970; Newiger, 1975); e alla commedia spaginata adesso è restituito l’ordine arcaico presso un’opera di spicco (Mastromarco, 1983). Pur dopo i grandi scavi dell'Ottocento era cosi affiorato sul terreno

della commedia

un

fossile,

una

forma

costruttiva:

18 x 2

tetrametri, con un allarme fosforescente fuori metro al centro. E ora si intravedeva anche il manoscritto di un autore di teatro e qualche elemento del manoscritto fuori posto; Louis Havet e Alphonse Dain sorridevano. Sembrava venuto il momento di presentarsi di nuovo, naturalmente con qualche toilette. E così dal corpo del libro sono spariti alcuni nei; critiche ritocchi novità formano i Raccordi; è apparso un Indice per gli autori moderni; infine Le « Vespe » spaginate e un modulo di tetrametri 18 x 2 e Dietro le quinte della parola. Le quinte nascondono un identikit di Eschilo, e perfino di Omero: diventate sciame, le vespe avevano infatti condotto all'alveare massimo di Chio. L'alveare di un poeta nasce dall'alveare di un altro poeta, in antico come oggi: «se tu, lone, sapessi parlare per arte e per scienza di Omero, sapresti parlare a un tempo di tutti i poeti,

poiché la poietica é un tutto unico ». Platone é competente:

le

tre Grazie graffiate — Nuvole seconde incompiute Rane riformate

x

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

Vespe spaginate —, i prologhi di ferro, le parti mobili, monologodialogo e altre alternanze strizzano l’occhio al colosso acrobatico e didascalico. E il colosso è perfino uno strumento: « se in Omero cancelli le parti del poeta che stanno fra le parti dei personaggi, avrai una forma opposta: la forma della tragedia », così si dialoga in una scuola di strumenti critici situata nell'Atene di Platone, Repubblica 394 b. E Omero é un preautore di teatro: alfabeto-stilo, tavolettacalendario,

narrante-parlanti,

didascalie

incorporate

e

linea

per

inscenare i parlanti, quadro « Glauco-Diomede » impaginato in basso ma eseguito in alto, talami con Briseide e Penelope conclusi ma continuabili, autonomia del dramma Dolonia impaginato in appendice e da Pisistrato trasferito stabilmente in alto. La Dolonia veniva cantata soltanto quando la storia oltrepassava il talamo Briseide-Achille per giungere al traguardo ultimo e doloso; è solo un avanspettacolo con un Dolone dalle antenne preveggenti, i protagonisti in maschera; l'autore é il compagno amanuense sposo

a una

figlia del

colosso,

suo

continuatore

dernier

cri,

di

nome Arctino. E per immettere nel circuito la postrema Dolonia il pioniere di gran teatro programma un silenziamento del primo e del terzo canto. Il programmar di Omero: ma prima di Aristotele la poetica si manifesta esplicita negli strumenti delle Rane: « Con le Rane lo storico dispone dei dati più completi intorno alla tragedia [...] la poetica è una posta troppo grande perché sia permesso di ignorare ormai le regole del giuoco », concludeva nel 1961 Frangois Lasserre per la patavina Storia delle Rane (un ristretto di queste rane fu presentato a Oxford nel 1966). Ma nel pur onorevole laboratorio di « Poetica » Bauformen der griechischen Tragödie (München 1971), le cantatrici sono state silenziate: ıl prof. Jens appare con undici periti settori, ognuno ritaglia una sezione di tragedia e mai scruta un corpo intero, e mai una mappa colorata alla maniera del geniale dottor Zieliáski, che andava — venticinquenne — dai Persiani alle Rane. Nel correggere un'analisi di gioventù, Eduard Fraenkel ha inciso per un attimo il suo mirabile coltello drammaturgico nella

DI

ARISTOFANE

IN

ARISTOFANE

XI

carne degli attori: Plutone, che pure nelle Rane è il padrone di casa, ha una particina molto insignificante, perché per Plutone era disponibile solo un dilettante, il « quarto attore » (Beobachtungen zu Aristophanes, Roma 1962). Le minime e rare prestazioni del « quarto attore » erano ormai popolari, tanto che Kenneth J. Dover ha aggiunto una nota simpatica al termine del suo

commento

alle Nuvole

del

1968:

«p.

LXxIX,

On

the

work

required of the fourth actor. In the light of passages pointed out to me by Mr. J.C.B. Lowe I have some misgivings on what I have said, but have not yet come stre Nuvole

sono

davvero

tali:

to a conclusion ». Ma

campate

in aria,

non

le no-

furono

mai

recitate (nella lista romana ossirinchita 2659 del '68 figurano come separate Nuvole seconde): i due Ragionamenti, per esempio, richiederebbero in tali Nuvole un quarto e un quinto attore! « The scene as a whole, then, appears to call for five actors, and the fourth and fifth actors would have parts wholly in excess of

what is given to such actors elsewhere in extant Aristophanes »: cosi il trattato di Arthur Pickard-Cambridge, The Dramatic Festivals of Athens (Oxford 1968?), invitante ad Aristofane autore di teatro, pp. 155-171. In seguito Dover si è avvicinato alla compagnia dei tre attori, ma non discostandosi troppo da quella voce occasionale che egli chiama « quarto attore » (Aristophanic Comedy, London 1972, un volume ferratissimo; per lo scontroso

tirocinio

di Dover

con

le Nuvole,

indico

« Classical

Review », 1961, p. 39). Christopher Lowe, dottore con Fraenkel, aveva pubblicato a Londra nel 1962 un complemento al rinnovatore Dialogue antique. Structure et présentation di Jean Andrieu 1954: in principio regnava la nuda segnaletica diacritica d’autore, sigle e liste dei personaggi sono grecule. Nudo anche di istruzioni esterne ma ricco di didascalie

incorporate,

di esecuzione, come già turghi: pregne e nude. «Con

l’avvento

delle

le tavolette edizioni

hanno segnato un cambiamento vita

il testo

intellettuale », concludeva

a

era autarchico

del

pioniere

stampa,

di disposizioni in profondo

le

e in attesa

dei

dramma-

sigle

nominali

psicologiche nella

Jean

Andrieu;

oltre

che dal disarmante Gutenberg, l'antichista sembra incantato dall'Archetipo bizantino: « quella bestia del maestro di scuola bizan-

XII

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

tino — esclamava un celebre professore di drammaturgia, — ma io ho trovato un maestro nuovo, una fonte nuova-vecchia: il testo del poeta» (August Schlegel, riedito con cura da Edgar Lohner nel 1966). Eduard Fraenkel consigliava di variare l'esemplare durante il lavoro, per vincere la morsa del piombo; Eugenio Montale, intorno alla presentazione grafica e tipografica: « Non spingo il mio rilievo fino a pretendere che sia necessario leggere la Divina Commedia in uno dei superstiti codici noti solo agli specialisti» («Il Corriere della sera», 30-1-1971). Preistoria del testo, grandi sagome metriche compositive, modo di produzione antico non ricevono visite frequenti. Indenne e omogeneo, Omero è ben già tattile, con tavolette-stilo-porpora e duplice programma di spettacolo; ma anche nei sofisticati autori di teatro la poetica programmata, ora visibile in nuce, può riemergere. Grazie agli olandesi, alcuni materiali hanno in questi annj illuminato la scansione profonda e lo stile di recitazione della Pace prologante; e poi la Pace, prima della parabasi, regala una sagoma compositiva allo stato puro costruita con trimetri 36x2; in vetrina vedi la divisibilità per tre, la geometria aurea,

un

fuori

metro

mediano,

confini

metrici

o

scenici,

e

un

centinaio di versi prima, nel campo dei trimetri si era stagliato un picco di tetrametri come quei diciotto nelle Troiane 444 per Cassandra. Un tesoro del Mediceo: nell'4gamennone dopo la linea diciottesima dell'amebeo è conservato nel solo Mediceo il

fuori metro:

&&

avvia la prima battuta altruistica della solista

Cassandra, ed è un punto geometrico che concorre a sollevare quel microcosmo di Eschilo sfiorato in Dietro le quinte della parola. Nei capitoli finali gli alveari si fanno le visite, e Aristofane autore di teatro saluta con un ὦ ὦ Aristofane autore di teatro ringiovanito. Ja Belfagoriana,

1984

AVVERTENZA

Le pagine iniziali « I due teatri di Aristofane » ripresentano, con qualche differenza, l'argomento di una Nota apparsa nei Rendiconti

dei Lincei del gennaio-febbraio

1956. Le considerazioni

negative di

allora sul luogo del secondo teatro di Atene, nel frattempo sono state probabilmente superate dall'altrui saggio dei monumenti (ne dà notizia la pagina 7). Come il primo, anche gli altri capitoli propongono innanzi tutto un riconoscimento delle proprietà teatrali dell'opera superstite di Aristofane,

commedia

per

commedia.

Piü

di

una

volta

é

capitato

che

questo specifico commento abbia condotto a riconoscere o a schiarire la storia artistico-testuale di alcune commedie o di loro parti: una commedia aristofanea, destinata come fu a un'interpretazione scenica per un'occasione agonale, é appunto intrinsecamente regolata anche da una civiltà scenico-agonale. La problematica cronologica e agonale del tirocinio di Aristofane doveva più di una volta essere considerata in relazione alla società teatrale ateniese del tempo: e perció anche a quel tirocinio ho dedicato un capitolo. L'ultimo capitolo offre un rapido sommario di parte della materia. Con quali riserve io abbia seguito la corrente edizione delle commedie di Aristofane, avverte alla fine la Nota bibliografica inserita nel capitolo sugli « Acarnesi ». In quel capitolo già i « Cenni sulle sigle e sui testi di teatro», a carattere praticamente introduttivo, manifestano alcune riserve di tecnica editoriale: se si tratti o no sempre di riserve puramente formali, vedrà chi voglia leggere, per esempio, « Un regime recitativo delle Nuvole e la prassi aristofanea degli attori» e « Nuvole non recitate e Nuvole recitate ».

XIV

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

I punti che più mi preoccupavano del lavoro li ho discussi con l'amico Fausto Codino, ed egli mi ha ancora giovato durante la revisione tipografica.

[1962]

Concludevo così a Forio d'Ischia, quando in officina a Pitecusa degustavo con Giorgio Buchner la coppa di Nestore.

Oggi libro

con

a Bari,

non

Francesco

meno De

meridiana,

Martino,

ho

Onofrio

ridefinito Vox,

il

e con

Giuseppe Mastromarco. Un saluto a Firenze per Alberto Busignani editore di cultura e per Sebastiano Timpanaro fin dal principio vicino ad Aristofane autore di teatro.

I DUE TEATRI DI ARISTOFANE

I concorsi drammatici si svolgevano ad Atene in occasione di due distinte feste dionisiache : le Lenee in inverno e le Dionisie

cittadine a primavera.

La festa dionisiaca cittadina, di più re-

cente istituzione, si affermò come la più importante già nel VI secolo, e le relative gare drammatiche furono presto riconosciute dallo

Stato : prima

le tragiche,

poi le comiche.

Lo

Stato

attico

prese ad allestire concorsi tragici dionisiaci verso la fine del VI secolo,

e concorsi

comici

dionisiaci dall'anno

486 ; soltanto

verso

il

445-442 ebbero dignità e organizzazione ufficiale agoni comici lenaici e dall'anno 432 circa agoni tragici lenaici. Gli agoni dionisiaci cittadini, propri della tragedia, erano rigorosi e più ufficiali : stranieri e meteci vi restavano esclusi dalla coregia

e dai cori,

mentre

stranieri

e alleati,

anche

per via della

cattiva stagione, non erano fra il pubblico lenaico. Da una parte uno spettacolo ellenico preceduto e seguito in teatro da solennissime

cerimonie

civili,

dall’altra

uno

spettacolo

riservato

ai

soli

Ateniesi e senza particolari formalità. Quello regolato dall’arconte eponimo,

questo

dall’arconte

re.

Il dio della cerimonia dionisiaca cittadina aveva il tempio ai margini

della città, e nello stesso precinto era attivo fin dal VI se-

colo, sul pendio meridionale dell’Acropoli, il teatro di Dioniso eleutéreo. L’altra festa veniva celebrata nel Lenéo, un ampio recinto con un tempio o un santuario di Dioniso leneo, situato nella zona dell'Agora vicino al sacello dell'eroe Calamite. In tale recinto, finoggi non rintracciato, « si tenevano gli agoni drammatici

degli Ateniesi prima che il teatro gli spettatori venivano impiantati Tutti i moderni interpretano quel recinto si svolsero un tempo

fosse costruito » (Esichio), e per di volta in volta banchi di legno 1. queste notizie nel senso che in gare drammatiche lenaiche,

4

CARLO

ma che esse passarono

FERDINANDO

RUSSO

nel teatro degli agoni dionisiaci sull'Acro-

poli, allorché una sistemazione, definitiva o meno, di quest'ultimo indusse ad abbandonare il teatro improvvisato nella zona dellAgora. Sul quando sia avvenuto questo passaggio si discusse molto piü di cinquanta anni fa, e oggi si é affermata una data: il Leneo,

si dice, fu abbandonato

all’inizio

della

seconda

metà

del V secolo in conseguenza del riassetto pericleo del teatro di Dioniso. E al Wilamowitz e al Dórpfeld, che avevano proposto per il trasferimento la fine del IV secolo — quando Licurgo costruì

ovvero

risistemó

radicalmente

il teatro

di

Dioniso —,

si

obietta che non si vede perché quello non debba essere stato anche il teatro degli agoni lenaici. L'obiezione, ripetuta di recente da Arthur Pickard-Cambridge, puó parere tanto piü sensata, in quanto le gare lenaiche cominciarono ad essere ufficiali, si é visto, proprio a metà del V secolo. Così è diventato pacifico che le commedie aristofanee di agone lenaico — le superstiti sono dell'ultimo quarto del V secolo — vennero rappresentate nel teatro di Dioniso. Per Sofocle e Euripide, il problema del secondo teatro non é neanche sorto, perché tragedie esplicitamente lenaiche non si posseggono : e si è sospettato che Sofocle e Euripide abbiano di rado preso parte ad agoni ove la tragedia era in sottordine *. In questo stagno gettó da Padova

una

dell'unico teatro aristofaneo un archeologo bomba

nell'anno

1947:

Carlo Anti nei ca-

pitoli VII e VIII dei suoi Teatri greci arcaici da Minosse a Pericle comunicó non solo un'identificazione del Leneo, ma anche delle prove sull'uso di esso come teatro al tempo di Aristofane. Carlo Anti,

interpretando

rilievi

dello

scavo

Dörpfeld,

identificava

il

Leneo in un recinto trapezoidale situato di fronte al santuario di Dioniso nelle Paludi nella zona dell’Agora (zona dell’Agora « nel senso più lato », avverte l’Anti) : circa duemila i posti a sedere offerti dalle tribune lignee, più o meno parallele agli edifici usati per la scena, che sarebbero state collocate su gradoni tagliati nella rocciosa collina della Pnice, alla quale si addossava il recinto.

L'ubicazione e, quel che più importa, la pratica aristofanea del Lenea, esponeva l’archeologo nel suo VIII capitolo, è confermata, anzi è provata, dal testo delle commedie : in quelle lenaiche,

I DUE

TEATRI

DI

ARISTOFANE

5

Acarnesi Cavalieri Vespe Rane (l'Anti vi aggiunge la Lisistrata, commedia di agone ignoto), «il luogo supposto dal poeta per l'azione comicà coincideva con il luogo dove questa azione veniva realizzata scenicamente » (cioé zona dell'Agora e dintorni), mentre le commedie

del

solenne

teatro

di

Dioniso,

Nuvole

Pace

Uccelli,

sono «supposte e svolte in un ambiente del tutto astratto ». In base a tale criterio Carlo Anti riteneva lenaiche le tre restanti commedie di agone ignoto. Queste notevolissime proposte sono state negli ultimi anni accettate

dagli

archeologi

senza

discutere

(Bieber,

Fensterbusch,

von Gerkan, ecc.) ovvero respinte senza discutere : «it is difficult to treat much of this chapter — il cap. VIII dell'Anti — seriously, and there are many points of detail upon which it is easy to find

a reply », così il Pickard-Cambridge. Noi, che alcuni anni fa ne accogliemmo la sostanza occupandoci degli Acarnesi, ora le vogliamo discutere ?. Le fondamenta archeologiche dell'identificazione sono senz'altro molto fragili : quel recinto nel quale si dovrebbe riconoscere il Leneo non fu dal Dérpfeld esplorato né

completamente

né in profondità, e i tre sommari e non accurati rilievi che egli ne dette fra il 1895 e il 1905 sono per giunta fra di loro discordanti. E Carlo Anti, conscio della mobile e discorde datazione delle opere in muratura relative al recinto offertagli dal Dórpfeld e costretto quindi a congetturare su strutture e su date, confortava le proprie deduzioni sull’epoca archeologica dell'abbandono del Leneo con la seguente induzione. « Non vi è dubbio — scriveva — che gran parte delle commedie

di Aristofane furono rap-

presentate di sicuro nel Leneo : al principio del IV secolo av. Cr. questo era dunque ancora in uso regolare ». Mancano

pertanto,

come

si vede,

delle

effettive

prove

monu-

mentali sull'uso o meno di quel recinto al tempo di Aristofane. E chi sa se anche lo scavo radicale auspicato dall’Anti potrebbe distinguere con sicurezza il periodo di attività del supposto Leneo e appurare quando il recinto fu invaso da costruzioni che ne impedirono l’impiego come teatro. Inoltre i calcoli dell’Anti fanno

ascendere a 2.000 i posti a sedere: «non molti», egli avverte. Ma 2.000 posti sono pochissimi. Se il teatro dionisiaco dell’epoca di Licurgo viene concordemente

ritenuto capace di 14-17.000 po-

6

CARLO

sti a sedere,

il Leneo,

pur

FERDINANDO

assenti

RUSSO

alleati

e stranieri,

deve

aver

dato ricetto a ben piü di 2.000 spettatori. Nella precarietà dell’identificazione archeologica, che lascia anche altrove insoddisfatti (il recinto dell’Anti non è zona sacra,

ma

sarebbe un mercato

di vino, e offrirebbe un'orchestra di soli

undici metri di profondità, e rettangolare, nonostante che le lenaiche Rane 193 e forse anche 441 sembrino alludere a uno spiazzo circolare), rimangono le prove filologiche che l'archeologo ha creduto di ricavare dal testo aristofaneo. E proprio da documenti del genere puó venire una risposta decisiva, se non a favore di una determinata identificazione, a favore almeno del teatro aristo-

faneo nella zona dell'Agora. Ma il criterio topografico, cosi com'é formulato da Carlo Anti, non é soddisfacente: non risulta che le commedie

dionisiache siano «trasferite in

ambiente del tutto immaginario » e tantomeno che «in tutte manchi qualsiasi accenno a provenienza o a partenza per qualche luogo specifico della città o dell'Attica ». Infatti Nuvole Pace Uccelli,

sebbene

meno

realisticamente

di

certe

commedie

lenaiche,

sono supposte in Atene ovvero prendono le mosse da questa città o vi si riferiscono, e tutt’e tre le commedie contengono precise menzioni topografiche di movimento ateniesi o attiche: le Nuvole invocate da Socrate annunciano ai versi 300 e 301 di muoversi verso Atene, e l'ambientazione ateniese si ricava ancora dai versi 5-7, 43, 179, 207, 213, 215, 386, 408, 432, 918, 926-927, 988, 10021008, 1055, 1429, 1449; la Pace si svolge sì «fra cielo e terra», ma quella terra è Atene. Trigeo, del demo attico di Atmonia, partendo in volo, afferma al verso 165 di vedere il Pireo, e tutta la commedia è ricca di riferimenti a luoghi e costumi di Atene, e alla fine tutti partono per la campagna, quella attica. E gli Uccelli ? Questi « sono trasferiti poi del tutto nel puro regno della fantasia ». D'accordo, ma nella commedia si proviene da Atene e vi si torna (1027 sg.), e da Atene hanno preso le mosse i due protagonisti, e da Atene arriva nell’aerea città il mercante di decreti e via dicendo ; la scena

della

Lisistrata,

una

commedia

che

Carlo

Anti

ri-

tiene senz'altro lenaica, è l'Acropoli coi Propilei : proprio la zona, se si vuol seguire un criterio topografico, del teatro di Dioniso sull'Acropoli,

e non

quella

del

Leneo.

I DUE

TEATRI

Di

ARISTOFANE

7

Il ritrovamento archeologico e filologico del teatro lenaico ari-

stofaneo annunciato da Carlo Anti non par sostenufo da prove effettive o almeno sufficientemente fondate. L’indizio topografico, . anche se fosse di regola coerente, non sarebbe per sé solo in grado di provare

una così delicata

affermazione.

Armin von Gerkan, in seguito alle precedenti considerazioni negative già espresse nella mia Nota lincea del gennaio-febbraio 1956, mi comunicò che un successivo vaglio personale dei presunti ruderi lenaici gli impediva di seguitare

a condividere

l'identificazione

proposta

da

Carlo

Anti.

Curt

Fensterbusch, già prima del cortese ragguagiio del von Gerkan, mi aveva fatto analoga comunicazione. Durante un viaggio ad Atene nell’estate del 1956, gli archeologi americani dell'Agora mi dichiaravano che la pura e semplice analisi in superficie permette con sicurezza di escludere che quelli sian ruderi di un recinto-teatro,

La validità o meno del Leneo come teatro al tempo di Aristofane può essere sperimentata per una diversa via: quella delle proprietà teatrali dei drammi lenaici rispetto alle proprietà teatrali dei drammi dionisiaci. Disponiamo per questo di quattro commedie

lenaiche

degli anni

425-405

e di tre dionisiache

degli

anni 423-414. Un esame delle proprietà teatrali consente subito due osser-

vazioni : I. le tre commedie dionisiache sfruttano sempre il congegno della μηχανή, di una specie di gru che permetteva ai personaggi di stare sospesi in aria e di ‘ volare’ : Socrate appare all'improvviso per aria, Trigeo spicca il volo e si raccomanda al macchinista al momento dell’atterraggio in cielo, Iris passa a volo sulla città degli uccelli (Nuvole 218-238, Pace 80-179, Uccelli 1188-1261 e già 1173, 1176, 1184; il macchinista appare anche nel frammento 188 del Dedalo aristofaneo di agone ignoto). La macchina del volo, che Euripide sfrutta a piacimento dall’anno del Bellerofonte, tragedia anteriore al 425, « richiede grande stabilità e non può essere

quindi improvvisata di volta in volta, anzi deve essere impiantata in un edificio stabile, tanto più che il personaggio volante deve rimanere nascosto in uno spazio chiuso prima e dopo il volo » 4; 2. in tre delle quattro commedie lenaiche l’attore che sta per entrare nell’azione scenica dell’orchestra viene espressamente

8

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

invitato a «salire», a superare cioè un certo dislivello : &ufate Acarnesi 732, ἀνάβαινε δεῦρο Cavalieri 149 e Vespe 1341.

Questo dionisiaco,

materiale dislivello lenaico è ignorato dall’Aristofane mentre

l'Aristofane

lenaico

non

usa

la macchina

del

volo che negli stessi anni il poeta dionisiaco amava sfruttare anche

con intenti di parodia euripidea. Due fenomeni del genere potrebbero spiegarsi bene con due distinti teatri : da una parte quello stabile

di Dioniso

che

proprio

in quell’epoca

aveva

ricevuto

necessarie strutture teatrali, dall’altra un teatro di fortuna.

le

E po-

trebbe essere di nuovo significativo che solamente nelle commedie

dionisiache si menzionino concretamente il corridoio pubblico laterale che conduceva

in teatro, gli spogliatoi usati dal Coro e

il

settore dei sedili riservato ai buleuti (εἴσοδος Nuvole 326 e Uccelli 296, σκηναί

Pace

731,

βουλευτικόν

Uccelli

794 e, indirettamente,

Pace 872;

da tener presente anche che in Nuvole 292 e Uccelli

1743-1752

intervengono

Je cosiddette

macchine

del

tuono

e del

fulmine). Altri fenomeni legittimano la distinzione di due differenti teatri : 3. lo scenario delle commedie lenaiche è di una estrema

semplicità, anche in una commedia così poco quotidiana come le Rane.

Una,

c'è talvolta

due

o al massimo

qualcosa

tre casette.

di esotico o almeno

Nella

scena

qualcosa

dionisiaca

di più:

nella

Pace, oltre alle case di Trigeo in terra e di Zeus in cielo, vi è una

grande grotta con macigni, negli aerei Uccelli vi sono il bosco e la roccia dell'Upupa e arbusti e pietre all’ingresso dell’orchestra.

— Le commedie dionisiache dispongono di scene e scenari piuttosto eccentrici, mentre nelle commedie lenaiche appaiono soltanto le caselle borghesi. Gli elementi boscosi e rocciosi e la grotta sono tipici della scena tragica e satiresca del teatro di Dioniso; 4. nelle commedie dionisiache — dal testo così sobrio di descrizioni sceniche — le succedentisi stazioni sceniche danno l’impressione di essere concretamente presenti dal principio alla fine per mezzo di strutture e scenari e lo spiazzo orchestrale non assume valori scenici se non complementari a quelli della facciata, mentre gli insistenti e precisanti avvertimenti lenaici inducono a supporre che taluni luoghi scenici siano via via ımprovvisati o semplicemente evocati a parole (insigni le Rane 181-182,

273, 278, 432-436), tanto più che nelle commedie lenaiche ai già

1 DUE

TEATRI

Di ARISTOFANB

9

altrove distratti spettatori Ja facciata scenica e lo spiazzo orchestrale si ripresentano talvolta con nuovi valori: la casa di Di: ceopoli negli Acarnesi è prima in campagna e poi in città e l'orchestra rappresenta al principio la Pnice e quindi la campagna attica e poi l'Agora, l’orchestra dei Cavalieri è l'Agora e poi la Pnice, la casa delle Rane, a quanto sembra, ha come inquilino Eracle e poi Plutone e l'orchestra é via via palude, bolgia di tenebre e fango per parricidi e spergiuri, dimora di mostri infernali. — Da una parte una scena già pluriforme e in solida progressione, cioè un vario complesso scenico tutto preformato e una arte scenica che si può appoggiare comodamente a sufficienti e caratterizzate strutture e decorazioni e che considera l’orchestra come zona di collegamento, dall’altra una scena uniforme e uno spiazzo orchestrale fluttuante e cangiante, cioè una scena di base (la casa borghese)

e anche uno spiazzo orchestrale dalle molte estemporanee

o illusionistiche risorse, tipiche di un teatro improvvisato che rimedia con espedienti alle scarse e monotone strutture di fortuna.

Da una parte solidità perpetua dei vari luoghi drammatici, dall'altra frequente momeniancità 5. il protagonista del teatro dal principio tagonista si ritira negli blico corridoio

scenica dei vari luoghi drammatici ; delle commedie dionisiache sta nell’ambito alla fine : quando non è di scena, il proedifici scenici e non si vale mai del pub-

laterale,

ché

questo

conduce

fuori

del teatro.

Gli

altri personaggi dionisiaci, una volta usciti dal corridoio, non rientrano più in teatro. 1 personaggi delle commedie dionisiache sono governati dall’unità teatrale del luogo drammatico. Quanto sia rigoroso il divieto

direttamente città

degli

dionisiaco

di azioni extrasceniche,

lo mostrano

Uccelli 1271-1307 : a un certo momento

uccelli,

ove

si svolge

tutta

l’azione,

un

in-

appare nella araldo

di

ri-

torno da una terrestre missione extrascenica. Orbene, la partenza dell’araldo

dal teatro

non

è stata

mai

vista dagli spettatori,

ché

egli venne spedito sulla terra da un personaggio scomparso per sempre dietro le quinte con incarichi di ripercussione drammatica (cfr. Uccelli 844 sg.). Dell'apparente missione extrascenica di un personaggio molto secondario in Pace 261-280 parleremo a suo tempo.

Al contrario il protagonista lenaico agisce in teatro e fuori del

teatro:

egli esce per il corridoio laterale, ritorna in teatro

IO

CARLO

PBRDINANDO

RUSSO

per il corridoio, e riferisce l'azione che avrebbe svolto nel frattempo

in qualche

luogo

extrateatrale.

Cosi pure

gli altri perso-

naggi. Le sortite avvengono di regola durante le parabasi (negli Acarnesi una sortita si ha anche nel corso del prologo). 7 perso-

naggi delle commedie

lenaiche

dilatano

extrateatralmente l’azione

drammatica. Soltanto le Rane, che si svolgono per massima parte negli inferi, non hanno azioni extrasceniche. Questi due distinti comportamenti si spiegano molto bene con

due distinti e differenti teatri: da una parte un teatro stabile situato ai margini della città che regola fra le sue mura il regime drammatico

dei personaggi,

e con un rigore sconosciuto alla tra-

gedia contemporanea (in questa soltanto i protagonisti delle più recenti tragedie di Sofocle si astengono da azioni extrasceniche) ; dall’altra un teatro improvvisato in mezzo alla città, nella quale tende sempre ad espandersi l’azione drammatica dei personaggi (si noti, fra l'altro, che in Acarnesi e Vespe il tipico banchetto comico si svolge in città, mentre in Pace e Uccelli si svolge nell'ambito del teatro) ; 6. l’ambiente drammatico delle commedie dionisiache è genericamente Atene (Nuvole, buona parte della Pace) ovvero il cielo (parte della Pace) e il mondo degli uccelli (Uccelli) ; l’ambiente drammatico e quello extrascenico di valore drammatico delle commedie lenaiche è l’Agora e luoghi come la Pnice, il Buleuterio, il santuario

di Dioniso

nelle Paludi

(ove si dovrebbe

re-

care il protagonista degli Acarnesi in relazione alla festa dei Boccali). Le Vespe, situate piuttosto genericamente in Atene, ricevono un elemento del solito ambiente attraverso l’azione extrascenica del protagonista, il quale ritornando dal banchetto può aver incontrato la mercantessa di pane nell’Agora commerciale (cfr. Vespe 1389-1391). Anche le Rane, che pur si svolgono per massima parte nel mondo infernale, sono indirettamente e allusivamente ambientate nella stessa zona: mentre l’Ade viene immaginato come un quartiere popolaresco di Atene, dietro la scena si sentono

a un certo momento gli stessi canti della processione che nel mese di Boedromione passava attraverso l’Agora per recarsi ad Eleusi, e il coretto delle Rane è quello del santuario di Dioniso nelle Paludi situato in una depressione fra l'Areopago e la Pnice (cfr. Rane 112-115, 318-320, 211-219).

I DUE

TBATRI

DI ARISTOFANE

II

Le quattro restanti commedie aristofanee sono di agone ignoto.

La moderna critica storica ha catalogato le Donne a parlamento come lenaiche,

anno 392 o 39I, come

quasi certamente

lenaico

il Pluto, anno 388, mentre discordante è la classifica della Lisistrata, anno 4II, e delle Tesmoforianti che sono presumibilmente

del 411 (per altri del 410). Secondo il criterio topografico di Carlo Anti quest’ultima commedia sarebbe di agone lenaico. Ma le Tesmoforianti non possono che essere state rappresentate in un teatro fornito di macchina del volo. Una scena mette in parodia il Perseo dell’Andromeda euripidea apparso in volo su Pegaso «l’anno prima in questo stesso luogo» (πέρυσιν tv τῷδε ταὐτῷ χωρίῳ, Tesmoforianti 1060; χωρίον per l'orchestra

‚dionisiaca anche in Pace 972). E taluni interpreti ritengono che anche il tragico Perseo di Aristofane, che appare e scompare all'improvviso, si sia valso del meccanismo euripideo (cfr. Tesmoforianti 1014, 1098 sgg., 1115 sg.). La classifica dionisiaca è comunque confermata dalla scena alquanto * tragica ' e consistente

e dal regime drammatico tempio

dei personaggi:

'Tesmoforio, un

altare

la scena presenta il

con tavolette votive e al-

cune tende, e il protagonista non esce mai dal teatro, anzi rimane

sulla scena, assieme a un altro personaggio, perfino durante la parabasi. Ánche il molto mobile personaggio di Euripide é regolato nelle Tesmoforianti dalla legge dell'unità del luogo drammatico, pur con un trucco : Euripide abbandona il Parente al verso

279 dopo aver promesso di accorrere di nuovo con tutti i mezzi in caso di disgrazia ; e infatti interverrà come Euripide-Menelao,

Euripide-Perseo, e come Euripide vero e proprio in 1160-1175 per camuffarsi

subito

da vecchia

mezzana.

Se egli, come

sembra,

è

uscito la prima volta dal corridoio, nulla di strano, perché poi riappare sotto le vesti di altri personaggi ; e nulla di strano quando ritorna per qualche momento come Euripide, ché ormai egli si trova nell’ambito del teatro dopo i precedenti travestimenti. Il personaggio, pur così libero nei movimenti, non ha mai compiuto un'azione extrateatrale (nonostante Tesmoforianti 1172 sg.). La Lisistrata : la Lisistrata è una commedia dionisiaca. La protagonista non esce mai dal teatro, nessun personaggio compie azioni

extrateatrali,

il festino

ha

luogo

in teatro,

la scena

rap-

presenta con notevole consistenza l'Acropoli coi Propilei e pae-

12

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

saggio rupestre. Se le Tesmoforianti, come congetturano, sono del 411, Aristofane avrebbe presentato due commedie alla stessa festa, come fece almeno nel 422 con il Proagone e le Vespe. Tanto Lisistrata che Tesmoforianti sono ambientate nella zona del teatro di Dioniso : da una parte i Propilei dell’Acropoli — e dall'alto dell’edificio scenico par che si veda il tempio di Demetra

ai piedi dello stesso versante meridionale dell’Acropoli (cfr. Lisistrata 835) —, dall'altra il tempio Tesmoforio 5. Donne a parlamento e Pluto saranno invece commedie lenaiche. Ambedue presentano le solite casette, le quali nelle Donne vengono via via assegnate a nuovi inquilini; in ambedue le comme-

die tutti i personaggi escono e rientrano in teatro con la più grande libertà, e nelle Donne a parlamento perfino il Coro compie un’azione extrascenica ; ambedue,

genericamente situate in Atene,

hanno azioni extrasceniche nella Pnice e nell'Agora (Donne a parlamento), nel tempio di Asclepio — non quello dell'Acropoli, ma quello del Pireo prossimo al mare — e nell'Agora (Pluto 656,

787) ; le Donne a parlamento

infine presentano un festino extra-

teatrale.

Nelle Donne a parlamento,

quando -l’attore sta per

uscire

dal teatro, è implicito di nuovo il tipico dislivello lenaico : infatti

ἐν ὅσῳ

καταβαίνεις

del verso

1152,

«intanto

che tu scendi,

per

uscire », si viene ad affiancare ai ricordati ἄμβατε di Acarnesi 732

e ἀνάβαινε δεῦρο di Cavalieri 149 e Vespe 1341. Su questo fenomeno conviene ora chiarire che gli inviti di Acarnesi e più ancora

di Cavalieri e Vespe implicano senza dubbio

un dislivello fra lo

spiazzo orchestrale e il suo accesso o un suo accesso: ἀνάβαινε δεῦρο vuol dire «sali e resta nel luogo ove sono io », e in Cavalieri 169 il successivo ἐπανάβηϑι κἀπὶ τοὐλεὸν τοδί, « monta anche su questo sgabello », rivolto allo stesso personaggio ormai nell’orchestra, indica che egli ha già superato un’ascesa e che ora ne deve superare un’altra di diverso genere e di temporanea durata, e così in Vespe 1378 il successivo οὐχ el δεῦρο σύ, «non vuoi venire qui (e darmi la mano)? », rivolto allo stesso personaggio, mostra che questi è ormai al livello degli altri attori (cfr. già 1371 e 1376), dopo aver superato l'ascesa attaccandosi alla speciale corda offertagli da Filocleone (cfr. 1342 sg.). Ma nelle

stesse

Vespe

1514 l'áràp καταβατέον γ᾽ ἐπ᾽ αὐτούς, esclamato

da

1 DUB

TEATRI

DI

ARISTOFANE

I3

Filocleone prima del suo movimento verso il centro dell'orchestra — ove il Coro fa largo a lui e agli sfidati ballerini ritirandosi verso

la facciata scenica (cfr. 1516 sg.) —, non significherà «eppure mi tocca scendere giù da loro », ma con tono di superiorità « eppure mi tocca scendere in lizza contro di loro », senza implicare quindi un declivio dalla facciata scenica verso l’orchestra. E quest’uso particolare di καταβαίνειν è bene attestato. Parrebbe quindi che l’orchestra lenaica fosse inclinata per natura in un determinato settore, o che tutta quanta si presentasse

come una terrazza naturale degradante lateralmente, sulla quale attori e coreuti si venivano a trovare su una specie di grande pedana naturale davanti agli spettatori. L'espressione delle Donne a parlamento, tv ὅσῳ e il presente καταβαίνεις, indica ap‘ punto che l'operazione di abbandonare l'orchestra degradante non era istantanea, e altrettanto mostrano gli inviti di Acarnesı Cavaliers Vespe, che stimolano personaggi timidi o ritrosi, non ancora entrati in teatro come in Cavaliers 146 o appena appena entrativi, a farsi avanti nell’orchestra, a decidersi di superare quel lieve piano inclinato. Sia quel che sia, questi tre o quattro passi aristofanei non potranno seguitare ad essere invocati a favore di un palcoscenico o di una pedana per gli attori nei teatri greci del periodo classico e in particolare in quello ateniese di Dioniso, né dovranno pungere come una spina il cuore di quegli archeologi che giustamente pensano a un unico livello drammatico. I nostri passi, provenendo

da commedie

lenaiche,

del singolo improvvisato

si riferiscono

alla conformazione

‘teatro ’ lenaico *.

Per concludere : la drammaturgia dionisiaca dispone della poderosa macchina del volo, la lenaica no ; la drammaturgia lenaica fa talvolta esplicita menzione di un dislivello fra l’ingresso e l’orchestra, quella dionisiaca mai ; tutti i personaggi lenaici compiono azioni extrateatrali attraverso il corridoio laterale, i protagonisti

dionisiaci stanno in teatro dal principio alla fine e gli altri personaggi escono dal corridoio laterale ma per non far più ritorno in teatro ; le commedie

zona

dell’Agora,

lenaiche sono ambientate

la zona

del

Leneo,

in genere nella

le commedie

dionisiache,

14

CARLO

quando sono

non

sono

ambientate

FERDINANDO

situate vagamente realisticamente

RUSSO

in Atene

nella zona

ovvero

dell'Acropoli,

in cielo, la zona

del teatro di Dioniso ; il paesaggio della scena dionisiaca é eccentrico e imponente, la scena lenaica é quotidiana e umile, e quella

è tutta solidamente formata fin dal principio, quest'altra, alquanto sommaria

e fluida,

è spesso estemporanea

o ipotetica e tende

a

dare sostanziali e distinti valori scenici anche all'orchestra. Diversi meccanismi e terreni teatrali, duplice regime drammatico dei personaggi, due ambienti, due paesaggi scenici, due arti sceniche : questa duplice e concatenata serie di proprietà e

di regole così materiali non può che far capo a due teatri di struttura e natura diverse. Da una parte il teatro di Dioniso sull'Acropoli, dall'altra un teatro di fortuna, l'improvvisato teatro nel Leneo dell'Agora attestatoci dagli antichi. Per questo furono concepiti Acarnesi Cavalieri Vespe Rane Donne a parlamento Pluto, per

quello Nuvole Pace Uccelli Lisistrata Tesmoforianti. Mentre ai due teatri rispondevano due drammaturgie, ossia differenti proprietà sceniche dei drammi, e soltanto l’augusto e progredito teatro sull’Acropoli suggeriva e permetteva visioni, scene e ambienti eccezionali e solenni — Coro di Nuvole, cielo e grotta della Pace, mondo degli uccelli, tempio Tesmoforio, Acropoli e Propilei —,

i due

teatri,

l'uno

della

commedia, il diverso pubblico, lì ellenico, sto clamore lenaita, e la diversa festa — ufficiale quella, e dai commediografi più libera e casalinga questa —, dovevan come

tragedia

l'altro

della

qui ateniese e dal fausontuosa, ambiziosa e ambita; modesta, più regolare l’accento po-

litico e civile del commediografo e impegnare e stimolare in varia

maniera la sua vena inventiva : i moltó spregiudicati drammi lenaici affrontano tutti liberamente dagli Acarnesi alle Rane (le due ultime e tarde commedie lenaiche sono piuttosto bonarie) uomini e problemi politici d’interesse cittadino. Invece i drammi dionisiaci, quando sono politici, hanno un raggio più ampio, si battono tanto per Atene che per Sparta e le altre città elleniche

(Pace, Lisistrata), tendono alla fiaba metapolitica di valore supernazionale (Uccelli) ovvero s'impegnano nella polemica culturale e letteraria (Nuvole, Tesmoforianti), una polemica letteraria che occupa anche la seconda parte delle Rane, ma che non costituisce la ragione ultima di quella molto politica commedia. Se si pensa

I DUE

che

i commediografi

teatrale,

di chiedere

dionisiaco

ovvero

ad

TEATRI

di Atene

DI

ARISTOFANE

avevano

l'ammissione ambedue,

15

facoltà,

all'agone

appare

in una

lenaico

più che

stagione

o all’agone

naturale

che

un

drammaturgo di intensa produzione come Aristofane — quaranta commedie in un quarantennio circa d’attività — abbia in genere progettato l’una e l’altra materia comica per l’uno o l’altro agone,

per l’uno o l’altro pubblico. Le undici commedie superstiti contengono appunto dei segni distintivi abbastanza costanti e significativi (anche se, com'é naturale, queste varianti ‘ ideologiche ' fra commedie lenaiche e commedie dionisiache non sono così nettamente rilevabili come le loro distinte proprietà sceniche), e fra le commedie superstiti vi sono le Nuvole seconde, una commedia cioè destinata allo stesso agone, quello dionisiaco, al quale qualche anno prima avevano concorso le Nuvole (cfr. Nuvole seconde 523 sg.). Sarà un caso, ma un poeta piuttosto ‘ apolitico ' come Cratete,

tre

volte

vittorioso

alle

Dionisie,

alle

Lenee

non

vinse

mai. (o non vi partecipò), mentre un poeta aggressivo come Teleclide, tre volte vittorioso alle Dionisie, riportò agli agoni lenaici ben cinque primati. Un archeologo tedesco, trattando una quarantina d’anni fa delle proprietà sceniche dei drammi greci, affermò, a premessa delle sue rapide analisi aristofanee, che è vano tentare di cogliere una differenza di carattere scenico fra commedie

lenaiche e com-

medie dionisiache, e invocava a sostegno l’unità scenica drammi che Shakespeare compose per teatri radicalmente Il richiamo a Shakespeare è interessante : ma proprio risultati sicuri della più moderna critica shakespeariana stinzione

scenica,

e anche

stilistico-ideologica,

dei drammi

di quei diversi. uno dei è la diconce-

piti ora per un teatro e ora per un altro e ora per un altro ancora, ora per un pubblico ora per un altro 7. E per Aristofane si può aggiungere che il sentimento ambizioso e l'impulso

allusivo

dello scrittore

di commedie

per la festa, il

teatro e il pubblico della tragedia sembra anche inciso, a cominciare dalla Pace, nel carattere dei drammi e dei loro protagonisti : Trigeo, Pistetero, Lisistrata, il Parente hanno sempre più l’impronta, in un immobile e eccezionale paesaggio scenico e in un

ambiente pugno

un

solenne, di tragici eroi nobili o patetici, e tengono dramma

che,

per quanto

può,

è abbastanza

in

concate-

16

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

nato e monumentale, perché fa blocco quasi tutto intorno alle loro sempre presenti persone. La commedia dell'antica festa lenea e dell’improvvisato

teatro

nella

zona

dell'Agora,

scheggiata

dalle

sortite centrifughe dei principali personaggi e attraversata da scenette quali fuochi artificiali, si affida più volentieri a tradizionali coppie di gagliardi e brillanti antagonisti e di scurrili macchiette e, in un paesaggio e in un ambiente quotidiano, tende a esprimere il dramma cittadino con un elevato e mordente spettacolo di gusto piü spiccatamente episodico.

Rito, teatro, pubblico

e dramma

lenaico.

Rito, teatro,

pub-

blico e dramma dionisiaco. Due differenti situazioni sociali, mondane e tecniche, e due adeguate tendenze espressive, ora più ora meno

accentuate.

La nuova e grande arte comica, che il commediografo degli Ateniesi e dei Greci del V e IV secolo si gloria di avere innalzato

quale una torre (Pace 749), stava forse anche nella lezione di virtü drammaturgica affermata dalle commedie concepite per il teatro nel quale si ergeva la torre dell'arte tragica di Eschilo (Rane 1004). Una lezione di virtù drammaturgica valida anche per i tragediografi contemporanei, soprattutto per Euripide. Lo vedremo a suo tempo.

Documentazione

della voce

Λήναιον

nel V e IV secolo

a ri-

prova del Afvatov come teatro del V e IV secolo. Nei lenaici Acarnesi dell'anno 425 Aristofane rievoca con stile

‘ extradrammatico ' un incidente giudiziario causatogli da una sua commedia

dionisiaca

dell’anno

prima,

e

rileva:

« questa

volta Cleone non mi andrà calunniando che io sparlo della città alla presenza di stranieri. Perché siamo solo noi, οὑπὶ Anvalw τ᾽ ἀγών, e stranieri non ve ne son presenti: tributi non ne sono arrivati, e neppure gli alleati dalle città. Ma siamo solo noi oggi,

il fior' fiore della farina...

sono

amici

quelli che

mi ascol-

tano ... » (Acarnesi 502-507, 513). ‘O ἐπὶ Ληναίῳ ἀγών ha nel contesto, che è tutto espressivamente localizzante e solido e pronunciato dall’ ‘attore-poeta’ e non dal ‘personaggio’, un preciso valore : siamo solo noi Ateniesi, siamo nel Leneo e non nel teatro di Dioniso, stranieri e alleati non ve ne sono. In érì Anvaiw e simili la preposizione ἐπί con il dativo di un tempio,

I DUB

TEATRI

DI

ARISTOFANE

17

di un recinto sacro o oracolare contrassegna notoriamente un’azione

diretta e immediata che si attua in quei luoghi sacri nettamente delimitati. Già solo la sintassi di è ἐπὶ Ληναίῳ ἀγών, «il concorso nel Leneo », mostra

che

il Afvatov

era

un

luogo

sacro

adibito

a

teatro. Nello stesso passo degli Acarnesi il verso 510 reca Ποσειδῶν, οὑπὶ Ταινάρῳ ϑεός, « Posidone, il dio venerato nel santuario Tenaro », e lì egli era effettivamente onorato dagli Spartani, e l'aristofaneo frammento

Παλλαδίῳ

585 ammonisce

un omicida volontario ἐπὶ

δώσεις δίκην, «sarai condannato nel recinto Palladio »,

là dove si giudicavano tali crimini, e così via (in un testo epigrafico del V secolo, le Dirae Teiorum, si ha ἐπὶ Δυνάμει καϑηu£vo τὠγῶνος ᾿Ανϑεστηρίοισιν, « quando alle feste Antesterie la riunione ha luogo nel recinto di Dynamis »). Ma i negatori del Leneo aristofaneo osservano che ὁ ἐπὶ Ληναίῳ ἀγών può ben seguitare ad essere nell'anno 425 la qualifica del:

l’agone lenaico che si svolgerebbe ormai da una diecina d'anni e più nel teatro di Dioniso sull'Acropoli. Insomma un'espressione priva

di valore

localizzante,

una

formula.

Chi così obietta non si rende conto che la ‘formula * sarebbe molto equivoca dato che il recinto lenaico era ancora attivo almeno come santuario nel V-IV secolo (cfr. la legge di Evegoro poco sotto ricordata), e ignora comunque un frammento del Riso di Sannirione — il quale scrive verso l’anno 400 — ove il tra-

gediografo Meleto è chiamato «il cadavere

del Leneo»

(Mé-

λητον τὸν ἀπὸ Ληναίου vexpóv), quello stesso Meleto che nel frammento 149 del Geritade aristofaneo — commedia degli ultimi anni del V secolo — era sceso all'Ade assieme a altri poeti dall'aspetto moribondo.

Sannirione,

alluda

o no al « moribondo » Meleto

del

Geritade (se sì, allora il Geritade è di agone lenaico), menziona Meleto come personaggio-cadavere di teatro lenaico: ché ἀπὸ

Ayvatov,

in relazione

a un

drammaturgo,

non

può

che

allu-

dere a una presenza di quel drammaturgo nel recinto-teatro lenaico. E ancora : in Protagora 3274 si riferisce che Ferecrate nell'anno 420 «rappresentò una commedia nel Leneo», ἐδίδαξεν ἐπὶ Ληναίῳ. Se non a Platone, certo alla sua fonte il Leneo era ancora famigliare come teatro. Una legge ateniese di Evegoro, riferita da Demostene Midia ro e che sarà della prima metà del IV secolo, elenca tutte le feste e gli agoni dionisiaci in successione temporale

18

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

e con le relative indicazioni topografiche : ἣ πομπὴ... ἐν Ie pate... καὶ ἡ ἐπὶ Amvalo πομπὴ xal οἱ τραγῳδοὶ xal ol κωμῳδοί, xai τοῖς ἐν ἄστει Διονυσίοις κτλ., cioé feste e agoni dionisiaci nella zona del Pireo in dicembre, feste e agoni nel Leneo di gennaio-febbraio, feste e agoni cittadini di marzo-aprile. Infine rendiconti ufficiali degli anni 334-333 nisie

nel

Pireo,

Διονύσια

τὰ ἐμ

e 333-332

Πειραιεῖ,

menzionano

e le Dionisie

le Dio-

nel Leneo,

Διονύσια τὰ ἐπὶ Ληναίῳ (I. G. II? 1496, 70; 74, 105). E, fatto molto singolare, simili rendiconti ufficiali dell'anno 329-328 parlano di ἐπιλήναια Διονύσια (I. G. II® 1672, 182; cfr. 106), e anche Aristotele nella Costituzione degli Ateniesi 57, che è forse dello stesso anno, parla della festa e dell’agone lenaico come di Διονύσια

τὰ ἐπιλήναια. Fa ora la sua comparsa dizione

ἐπιλήναιος,

si afferma

la

Διονύσια finora mai attestata per le Lenee, e l'espressione

localizzante mergerà

l'attributo

ἐπὶ Ληναίῳ

se non

sembra

scomparsa,

in tardi trattati eruditi.

gio ufficiale e letterario proprio

e in realtà non

Scomparsa

rie-

dal linguag-

nell'epoca del radicale riassetto

del teatro di Dioniso che Licurgo compi attorno all'anno 330.

La molto singolare coincidenza fa sospettare che il Leneo sia stato abbandonato,

almeno

come

teatro,

all’epoca

di Licurgo: in

quella stessa epoca, verso il 320, il ricostruito teatro’ di Dioniso tende a soppiantare anche la Pnice come luogo di riunione popolare *.

NOTE ! Le fonti antiche: Esichio alla voce ἐπὶ Ληναίῳ ἀγών: ἔστιν ἐν τῷ ἄστει Λήναιον περίβολον ἔχον μέγαν xal ἐν αὐτῷ Ληναίου Διονύσου ἱερόν, ἐν ᾧ ἐπεπελοῦντο οἱ ἀγῶνες ᾿Αϑηναίων πρὶν τὸ ϑέατρον οἰκοδομνηϑῆναι, Fozio alle voci Anvatov: περίβολος μέγας ᾿Αϑήνησιν ἐν ᾧ οἰκοδομηϑῆναι ὀνομάζοντες ἐπὶ Ληναίῳ.

Ixpıa

τὰ ἐν τῇ ἀγορᾷ

σχευασϑῆναι

dp’ div ἐθεῶντο τοὺς

τὸ ἐν Διονύσου

dotta della madre

τοὺς ἀγῶνας ἦγον πρὸ τοῦ ἔστιν δὲ ἐν αὐτῷ καὶ ἱερὸν

Διονυσιακοὺς

ϑέατρον, Demostene

de

di Eschine) ἐν tà κλεισίῳ

Cor.

ἀγῶνας 129

τὸ ϑέατρον Διονύσου,e

πρὶν

ἢ κατα-

(della cattiva

τῷ πρὸς τῷ καλαμίτη

fpc

con-

e gli

scoli relativi: a) τὸ δὲ ἱερὸν αὐτοῦ (sc. τοῦ καλαμίτου ἥρωος) ἐστι πρὸς τῷ Ληναίῳ,

b) xAtotov. τὸ οἴκημα τὸ μεγάλας ἔχον ϑύρας ἐν τῇ ἀγορᾷ. Tutto il materiale relativo alle Lenee e al Leneo si trova raccolto in A. PICKARD-CAMBRIDGE, The Dramatic Festivals of Athens, Oxford 1953, pp. 22-40 (alcune testimonianze

omesse dal Pickard-Cambridge, come per esempio il frammento del Riso di Sannirione, saranno ricordate e usate alla fine di questo capitolo). ? Per Sofocle, Euripide e gli agoni lenaici ved. il primo paragrafo sulle Tesmoforianti (già un cenno alla fine del paragrafo 2c sugli Acarnesi). Le ipotesi del Wilamowitz e del Dórpfeld furono espresse in « Hermes » XXI (1886) p. 622 (= KI. Schriften, I p. 172) e in « Athen. Mittheil. » XX (1895) p. 183 e p. 369, e la obiezione del Pickard-Cambridge a p. 38, 1 dell'opera citata. 8 Le recensioni di M. Bieber, C. Fensterbusch e A. von Gerkan sono apparse in « Am. J. Phil.» LXIX (1948) pp. 449-451, « Gnomon » XXI (1949) pp. 299-304, « Deutsche Lit. Zeit. » LX X (1949) pp. 163-167, mentre il Pickard-

Cambridge si pronunció sfavorevolmente in « Class. Rev. » LXII (1948) p. 127. Il nostro lavoro sugli Acarnesi uscì a Bari nel 1953 presso l'Adriatica Editrice (Traduzione, saggio critico, analisi, note testuali). + Così

H.

BULLE,

Unters.

an

den

griech.

Theatern,

München

1928,

p.

215.

Alcuni interpreti mettono in dubbio che Socrate si valga della macchina del volo : ved. in proposito il paragrafo sesto sulle Nuvole. * Per la congetturabile ubicazione del Tesmoforio nella zona dell'Acropoli, ved. O. BRONEER, The Thesmophorion in Athens, « Hesperia » 11 (1942) pp. 250275. Chi colloca il Tesmoforio nella zona della Pnice, si basa solo su Tesmoforianti 658, ove περιϑρέξαι τὴν mixva πᾶσαν non significa altro che percorrere tutta la « Pnice », «la cosiddetta Pnice », «l'immaginaria Pnice », dato che è in corso un'assemblea parodiante esplicitamente l'assemblea popolare della Pnice (cfr. Tesm. 301, 373-380, ecc.). Da Tesmoforianti 577-578 non si può ricavare che

il

Tesmoforio

fosse

vicinissimo

all'Agora.

I

banchi

di

legno,

txpta,

del

20

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

verso 395 son quelli del teatro di Dioniso, ove i sedili non erano ancora di pietra : ved. da ultimo PICKARD-CAMBRIDGE, The Theatre of Dionysus in Athens, Oxford 1946, p. 13. Infine è improprio, per catalogare la commedia come lenaica, invocare la stagione invernale espressa in Tesmoforianti 67: l’azione delle Tesmoforianti è esplicitamente immaginata nel mese di Pianopsione, ottobre-novembre, nei giorni appunto della festa donde prende il titolo la com-

media.

6 Una lancia a favore della pedana (di legno, e quindi provvisoria) è stata di nuovo spezzata da L. RoussEL, Mélanges Picard, II pp. 892-895 = «e Rev. arch. » XXXI-XXXII (1948). Ved. invece l'ammonimento Theatron, nella Pauly-Wissowa dell'anno 1934, c. 1392.

di C. FENSTERBUSCH, Sulla conformazione

dell'orchestra dionisiaca si sofferma il paragrafo nono degli Acarnesi. Per il Leneo, Carlo Anti si è domandato come fossero disposti gli spettatori: su file rettilinee di banchi a gradinata, egli pensa. Per la disposizione rettilinea l'Anti si fonda su Cavalieri 163 στίχας... λαῶν (un passo, in verità, non molto valido, perché di linguaggio epico e alto), mentre la disposizione a gradinata dipende

dalla supposta identificazione del Leneo

a ridosso della Pnice. L'orchestra le-

naica, se era sufficientemente rialzata, poteva consentire a rigore almeno una parziale disposizione a platea dei sedili provvisori. Da Donne a parlamento 497 si ricava che nel Leneo v'era un muretto che delimitava il corridoio laterale, meridionale, un muretto che poteva essere improvvisato in legno in occasione della rappresentazione : ved. già E. BODENSTEINER in Suppl. XIX, 1893, p. 710 dei « Jahrbb. cl. Phil. », il quale naturalmente lo riferiva al teatro di Dioniso ; l'ANTI, p. 242 sg., pensa a un muretto stabile. ? Una svolta in questa direzione è stata segnata nella critica shakespeariana dalle note Prefaces to Shakespeare di H. GRANVILLE-BARKER, London 1927-1947, in cinque volumi. La p. Xiv del primo volume reca : «from Bur-

bage's first theatre to the Globe,

then to Blackfriars,

not to mention

excur-

sions to Court and into the great halls, change of audiences and their behaviour, of their taste, development of the art of acting, change of the stage itself and its resources

were

all involved

in

the

progress,

and

are

all,

we

may

be

sure,

reflected to some degree in the plays themselves. We guess at the conditions of each sort of stage and theatre, but there is often the teasing question to

which of them had a play, as we have it now, been adapted. And of the ‘private' theatre, most in vogue for the ten years preceding the printing of the First Folio, so far we know least. The dating of texts and their ascription to the usages of a particular theatre may often be a searchlight upon their stagecraft. Here is much work for the new scholarship ». Un critico del testo shakespeariano come J. DOvER WILSON, a proposito dell'opera del Granville-Barker, scriveva : «it is one of the most important literary discoveries of our age that

Shakespeare wrote,

not to be read,

but to be acted ; that his plays

are not

books, but, as it were, libretti for stage performance. It is amazing that so obvious a fact should so late have come to recognition... » (ho citato, indirettamente, dal terzo volume del Granville-Barker p. 331). L'archeologo tedesco che invocava impropriamente Shakespeare è A. FRICKENHAUS, Die aligriechische Bühne, Strassburg 1917, p. 5 e p. 71. La diversa vena politica delle commedie lenaiche fu già rilevata dal laureando LEO, Quaestiones Aristophaneae, Bonn 1873, p. 31. Sul pubblico lenaico cfr. particolarmente Acarnesi 504-508, 632, 971, Cavalieri 547, 811, 974 sg., 1408, ecc. (le Rane si rivolgono, com'é natu-

rale, a un pubblico strettamente

ateniese).

In commedie

dionisiache

gli spet-

tatori sono « Ateniesi e alleati», «tutti gli Elleni » (Nuvole 609, Pace 292). In Pace 46 & apostrofato uno spettatore ionico ; cfr. anche Pace 46 con Pace 150,

I DUE

TEATRI

e così via (la Lisistrata si rivolge, il maggior pregio attribuito dai

DI

ARISTOFANE

2I

com'è naturale, a un pubblico ellenico). Per commediografi agli agoni dionisiaci ved. il

paragrafo terzo della Cronologia di un tirocinio ; il quarto paragrafo capitolo si sofferma sulle cronache teatrali dionisiache e lenaiche. 8 Ved. Polluce

E.

IV

MEYER,

121,

Pnyx,

l'unica

fonte

nella

Pauly-Wissowa

antica

a denominare

dell'anno il ‘ teatro’

1951, del

di quel c.

1118.

Leneo

come

ϑέατρον Anvalxév, distingue i due teatri ateniesi allorché inizia a trattare dell’edificio teatrale: ἐπεὶ δὲ καὶ τὸ ϑέατρον οὐ μικρὸν μέρος ἐστὶ τῶν μουσικῶν,

αὐτὸ μὲν ἂν εἴποις ϑέατρον xal Διονυσιακὸν ϑέατρον xal Ληναϊκόν, καὶ τὸ πλῆϑος ϑεατάς. ᾿Αριστοφάνης δὲ συνϑεάτριαν elprxev, ὥστ᾽οὐ ϑεατὴν μόνον εἴποις ἂν ἀλλὰ καὶ ϑεάτριαν, κατὰ δὲ Πλάτωνα καὶ ϑεατροχρατίαν. τοὺς δ᾽ ἀναβασμοὺς καὶ βάϑρα xxi ἕδρας καὶ ἐδώλια, καὶ ἐδωλιάζειν τὸ συγκαϑίζειν κτλ. La denominazione

ufficiale o letteraria delle Lenee è via via: Λήναια (Acar-

nesi 1154 sg.), ὁ ἐπὶ Ληναίῳ ἀγών e simili (Acarnesi, Platone e decreto di Evegoro citati), νύσια (liste

Διονύσια τὰ ἐπὶ Anvalo (liste citate del 334-332), ἐπιλήναια Atodel 329-328, Aristotele), Λήναια (Ippoloco dell'anno 310 circa

presso Ateneo I.G.

XIV

1098

130d, e

Argomenti

1098a

da

alessandrini di alcune commedie aristofanee e

Roma

di

probabile

derivazione

alessandrina,

Dio-

doro Siculo XV 74, Plutarco presso gli scoli a Esiodo Ofera 504, /.G. II? 2130 dell'anno 192-193 τὸν ἀγῶνα τῶν Anvalov, Polluce VII 90, ecc.). Ciò insegna, contrariamente a quanto in genere si afferma, che anche la denominazione ἐν ἄστει Διονύσια rimase sempre topograficamente appropriata, contrapposta

com'era

ai più

antichi

Διονύσια

κατ᾽

ἀγρούς.

Infatti

le altrettanto

cittadine

Lenee vengono soltanto più tardi qualificate talvolta come Διονύσια. Da notare che una parte della tradizione dell'Argomento delle Rane reca ἐδιδάχϑη,.. ἐπὶ Ληναίῳ (e non εἰς Λήναια), e che gli scoli a Eschine II 15 recano ἐνίκα δὶς

ἐπὶ Anvalw

{così giustamente

corresse il Madvig

il ληναίων

dei mss.)

Da

no-

tare infine che i rendiconti ufficiali di /.G. II? 1496 attestano implicitamente alla frammentaria linea 146 la dizione ἐπὶ Ληναίῳ anche per l'anno 331-330, e certo la stessa dizione era attestata anche per il lacunoso anno 332-331.

CRONOLOGIA

DI

UN

TIROCINIO

1. Pilastri e indizi cronologici. — Aristofane in Cavalieri 542-543

ama definire come periodo di tirocinio la propria attività anteriore al concorso lenaico dell’anno 424, il concorso che vide il suo esordio ufficiale coi Cavalieri. Sul significato di tale tirocinio, durante il quale Aristofane non rappresentò personalmente le proprie commedie, si ferma brevemente il sesto paragrafo del presente capitolo. A parte la commedia lenaica superstite dell’anno 425, cioè gli Acarnesi rappresentati vittoriosamente dal didascalo Callistrato,

la cronologia del tirocinio aristofaneo poggia su due pilastri :

a) «da quando il Virtuoso e l’Invertito ricevettero qui stesso grandissimi elogi..., e io dovetti esporli, ché ero ancora una ra-

gazza e non mi era consentito di partorire, ma un’altra giovinetta

li prese e li adottò... », così Aristofane in Nuvole 528-531 sul proprio esordio non ufficiale. Gli scoliasti di Nuvole 529 danno il titolo della commedia «del Virtuoso e dell'Invertito », Δαιταλῆς, cioè Banchettanti, e informano

che

Aristofane

ottenne

il sècondo

posto in graduatoria. L'Anonimo de comoedia II tramanda che Aristofane esordì con il didascalo Callistrato, arconte Diotimo: cioè anno 427. L'agone è ignoto;

b) «so bene quel che io stesso patii per via di Cleone a causa

della commedia dello scorso anno », così i versi 377 e 378 dei lenaici Acarnesi dell’anno 425. Da Acarnesi 503-505 si ricava direttamente che «la commedia dello scorso anno » non fu rappre-

sentata

alle Lenee. Lo scoliaste di Acarnesi 378 dà il titolo, Ba-

βυλώνιοι, e la Suda informa che i Babilonesi furono rappresentati

da Callistrato e conferma la data del 426. La graduatoria è ignota : l'opinione corrente che i Babilonesi abbiano ottenuto il primo premio, viene esaminata al quinto paragrafo del presente capitolo.

26

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

Concludendo : anno 427 esordio non ufficiale coi Banchettanti, didascalo Callistrato, secondo posto in graduatoria, agone ignoto; Dionisie 426 Babilonesi, didascalo Callistrato, graduatoria ignota ; Lenee 425

Acarnesi,

didascalo

Callistrato, primo

posto in graduatoria;

Lenee 424 esordio ufficiale coi Cavalieri, primo posto in graduatoria. Alcuni indizi hanno indotto i moderni cronologi della commedia attica ad ammettere la presenza di Aristofane a altri agoni degli anni 426-425. In teoria, oltre all'agone lenaico del 426 e a quello dionisiaco del 425, sarebbe disponibile anche l'agone dionisiaco del 427, nel caso che i Banchettanti risultassero lenaici: l'agone

lenaico,

come

si sa, cadeva

nel VII

mese

attico e prece-

deva quello dionisiaco che cadeva nel IX mese. Questi gli indizi : a)

Sco»:

« Antimaco,

così Acarnesi

b) prima

altri poeti

corego

alle Lenee,

mi

congedó

senza

rinfre-

1155;

dell'esordio

ufficiale «il poeta...

aiutó in segreto

(ἑτέροισι montate)... penetrò dentro ventri altrui

ἀλλοτρίας γαστέρας) »: così i versi

1018 e 1020 delle

(εἰς

Vespe, una

commedia dell'anno 422 allestita da Filonide. Lo scoliaste di Vespe 1018 reca : « ... ché alcuni drammi li rappresentava attraverso Filonide e Callistrato ; infatti il primo

dramma

che Aristofane

rap-

presentó personalmente furono i Cavalieri ». Le Vitae Aristophanis 2 recano : «i primi drammi Aristofane li rappresentava attraverso Callistrato e F.lonide... ma in seguito concorse anche di persona ». Su un’altra testimonianza erudita relativa apparentemente al periodo del tirocinio, ci fermiamo all’inizio del paragrafo sesto.

Il passo didascalo

delle

non

prescindendo

Vespe

Callistrato, dalle

implica

almeno

una

quarta

commedia,

negli anni del tirocinio : infatti, anche

Vitae e dallo scoliaste, i plurali dei versi

1018

e 1020 debbono essere dei plurali effettivi e non dei plurali generici. In ogni

caso,

già il solo concorso

senza

rinfresco

ricordato

in Acarnesi 1155 implica una presenza aristofanea alle Lenee del 426,

alle

Lenee

che

videro

la prima

delle

tre

vittorie

lenaiche

di Eupoli (di ciò al quarto paragrafo). Infatti il passo degli Acarnesi, commedia dell'anno 425, non può alludere a un corego del lontano 427, e in particolare al corego dei fortunati Banchettanti. 2. Il concorso

senza rinfresco

e il * cuoio"

del « Centauro».



Sul concorso senza rinfresco non grave sarebbe un’eventuale obie-

CRONOLOGIA

Di

UN

TIROCINIO

27

zione del genere: perché una lamentela nei riguardi del corego lenaico del 426 non fu espressa dai dionisiaci Babilonesi rappresentati due mesi dopo da Callistrato ? Non grave, perché a questo Antimaco il Coro acarnese dedica tutto lo stasimo satirico 11501173, e pertanto i Babilonesi avranno magari solo inserito un accenno ad Ántimaco, seppure avranno fatto a tempo. Né sarebbe grave obiettare che i lenaici Acarnesi del 425 parlano dei dionisiaci Babilonesi come

« della commedia

dello scorso anno », e che

pertanto nel 426 Aristofane partecipó solo alle Dionisie. Il poeta, che certo non scrive per dei cronologi, rinvia li all'ultima commedia, alla commedia che tanto scandalizzó Cleone !. Una presenza di Aristofane alle Lenee del 426 è pertanto più che verosimile. Della molto presumibile commedia lenaica del 426 si è creduto anche di poter stabilire il titolo: Drammi ovvero 11 Centauro ; e nei trattati di letteratura greca si registra come fatto interessante questa diversione mitologica di Aristofane. Perché proprio il Centauro? Perché le Vespe dell'anno 422, in un passo che contrappone volgari macchiette comiche a personaggi storici di recenti commedie aristofanee (Vespe 58-60 i due schiavi con le noci, Fracle : Vespe 61-63 Euripide, Cleone), recano al verso 60: «noi non disponiamo di un Eracle frodato del suo pranzo ». Lo scoliaste commenta : «£v τοῖς πρὸ τούτου δεδιδαγμένοις δράμασιν si fa un gran parlare della voracità di Eracle. / Per far ridere, rappresentano Eracle invitato a un pranzo e imprecante per la lentezza del servizio ». La prima parte di questo scolio, fino al segno divisorio, è diventata il frammento 289 Kock dei Drammi ovvero il Centauro, perché appunto si è interpretato δράμασιν come Apd-. Ma,

a parte che

tutto

lo scolio

Apa- maiuscolo rende un poco oscuro πρὸ τούτου,

si riferisce

a drammi

di altri poeti

anteriori

alle Vespe, in pratica prearistofanei (cfr. Pace 741-743). L'altra pezza d’appoggio dei cronologi del Centauro è il frammento 292. Questo frammento consiste in una parola : βύρσαν, « cuoio ». Questa paroletta è riferita da Esichio. Esichio, a stare alle edizioni dei frammenti aristofanei, commenta : « così Aristofane chiamò

scherzosamente nei Drammi cuoiaio tira le cuoia

la πόλιν ᾿Αϑηναίων ». Siccome Cleone

nell’ottobre 422, il frammento

viene

ritenuto

valido per datare il Centauro entro l’anno 422. Certo frammenti

28

CARLO

PERDINANDO

RUSSO

βύρσα o simili, cioè termini tipici dei Cavalieri anticleoniani dell'anno 424, molti sarebbero tentati di attribuirli a commedie del 427-422. In tal modo anche un ipotetico frammentario Pluto secondo balzerebbe immediatamente dall’anno 388 agli anni 427422, perché Pluto 167 reca βυρσοδεψεῖ. mentarie

Rane,

che

addirittura

Così anche ipotetiche fram-

nominano

versi 569 e 577, non avrebbero

vitalmente

Cleone

ai

più diritto di essere datate nel-

l'anno 405. Se poi si vanno a vedere le edizioni a stampa e anche

il foglio gor del Marciano greco 622 di Esichio, si vede che la tradizione non reca ᾿Αϑηναίων, che potrebbe far pensare indirettamente e vagamente a Cleone, ma ϑεῶν. E l'ultimo editore di Esichio non degna nemmeno di menzione le congetture ᾿Αϑηνῶν e ᾿Αϑηναίων : in compenso il novissimo editore dei frammenti aristofanei si limita pigramente a ricordare che la lettura ᾿Αϑηναίων è frutto di una... il. misterioso

decifrazione

compendio

paleografica, e non svela ai lettori

del Marciano, che non

è altro che

il com-

pendio usuale di ϑεῶν. Pertanto l’elefante di battaglia dei cronologi del Centauro, cioè

il ‘cuoio '-città degli ‘ Ateniesi’, potrebbe barrire anche nel IV secolo, prima del solo Pluto secondo. E poi Esichio non cita dai Drammi ovvero il Centauro, ma dai Drammi. E i Drammi, a quanto sembra, sono una commedia distinta dai Drammi ovvero il Centauro. E della dozzina di frammenti o frammentini tramandati come del Centauro, neanche uno contiene un indizio cronologico 3. Della commedia

lenaica del 426 si può dire solo che essa ebbe

Antimaco per corego. Né si può dire che il didascalo fu Filonide, perché per Filonide sono anche disponibili, se non le Dionisie 427, le Dionisie 425.

Tuttavia

parlar di Filonide,

negli anni

del tiro-

cinio, non è prudente : le Vitae Aristophanis e lo scoliaste di Vespe 1018 fanno sì anche il suo nome per quel periodo, ma può essere che lo deducano dal frequente uso che Aristofane fece di Filonide

dal 422

in poi.

I due

distinti

scoliasti

di Nuvole

531,

per esempio,

asseriscono che i Banchettanti del 427 furono affidati

a «Filonide

e Callistrato » (anche

correggendo

il καί in 9, reste-

rebbe chiaro che gli scoliasti congetturavano). Per questo periodo del tirocinio si può parlare solo, sulla scorta di Vespe 1018 e 1020, di almeno un altro ' poeta '-didascalo diverso da Callistrato. Quest'altro didascalo, come si diceva, se non curò la commedia le-

CRONOLOGIA

DI

UN

TIROCINIO

29

naica del 426, poté curare una commedia alle Dionisie del 425. Sul passo delle Vespe torneremo brevemente più oltre al paragrafo sesto. Una presenza di Aristofane alle Dionisie del 425, ‘anche se non ci è attestata, non è infatti esclusa da Acarnesi 299-302 : lì il poeta preannuncia sì come prossimi gli anticleoniani Cavalieri, ma quel singolare e improvviso preannuncio viene dato dalla scena nel gennaio-febbraio 425, quando la stesura di una eventuale commedia

per l'imminente

agone

di marzo-aprile

è già un

fatto compiuto, e quando il poeta ormai sta pensando alle successive competizioni. E poi al poeta premeva di annunciare la dura lezione riservata a Cleone, perché gli Acarnesi — e nemmeno un’eventuale imminente commedia, e ciò lo si deduce da Vespe I029-I031 — non rispondevano nella maniera dovuta a chi lo aveva denunciato e perseguitato dopo la rappresentazione dei Babilonesi alle precedenti Dionisie del 426. Al paragrafo sesto tentiamo alcune considerazioni sul perché Aristofane attese a presentarsi ufficialmente proprio coi Cavalieri ; alla fine del paragrafo quinto altre considerazioni sulle Dionisie del 425.

3. «Da quando il Virtuoso e l’Invertito... ». — Dei Banchettanti, si vide, l'agone è ignoto. La parabasi delle Nuvole seconde rievoca la commedia dell’esordio segreto in un tale contesto : Spettatori,

vi dichiarerò

liberamente

il vero,

che mi ha allevato. E possa io vincere e essere è vero che ritenendo voi spettatori intelligenti, mie commedie, a voi per primi ritenni giusto ἠξίωσ᾽ ἀναγεῦσ᾽ ὑμᾶς, v. 523) la commedia Eppure dovevo battere in ritirata sconfitto da

in nome

di quel

Dioniso

giudicato buon poeta, come e questa la più acuta delle di farla gustare (πρώτους che mi costò tanto lavoro. dei buffoni, e non lo meri-

tavo. Proprio questo rimprovero a persone assennate come voi, per le quali tanto daffare io mi ero dato. Ma, malgrado tutto, mai io di proposito tra-

dirò quelli di voi che sono intelligenti. Ché da quando ἐνθάδε

il Virtuoso

e l'Invertito ricevettero grandissimi elogi da persone che è già un piacere intrattenere (οἷς ἡδὺ xal λέγειν, v. 528), e io dovetti esporli — ero ancora una ragazza e non mi era consentito di partorire —, ma un'altra giovinetta

li prese e li adottó, e voi li allevaste generosamente e li educaste : da allora io ho

lantica

una

fidata

Elettra,

garanzia

questa

della

commedia

altrettanto assennati: essa saprà ciocca di capelli del fratello.

vostra

comprensione.

é venuta bene

E

così

ora,

quale

a vedere se trova spettatori

riconoscere,

appena

la

veda,

la

30

CARLO

Le

Nuvole,

com'è

FERDINANDO

noto,

furono

RUSSO

sconfitte

agli

agoni

dionisiaci

del 423, e questa parabasi delle Nuvole seconde fu scritta per ripresentare polemicamente la commedia negli anni successivi. Come il poeta, quando nell’estate del 424 chiese all’arconte il Coro per le Nuvole,si decise per gli agoni dionisiaci che cadevano due mesi

dopo quelli lenaici, così anche per le Nuvole seconde si decise per gli stessi agoni ; il poeta appunto si rivolge ora agli spettatori ai quali per primi aveva offerto le Nuvole : «per primi», perché non le aveva destinate, nell’estate del 424, agli spettatori dei

più prossimi agoni lenaici. La coincidenza degli agoni delle Nuvole e delle Nuvole seconde, Aristofane la fa passare con complimentosa malizia come una preferenza per gli spettatori dionisiaci, e non già per il più rigoroso

e solenne agone dionisiaco. E « persone che è già un piacere intrattenere » è un complimento che implica, in linea generale, il piacere e l’onore di aver perlomeno ottenuta l’ammissione al-

l'agone, piacere e onore tanto più grande nel caso dell'agone dionisiaco.

Il pregio

maggiore

che i commediografi

attribuivano

agli

agoni dionisiaci, regolati dallo Stato già mezzo secolo prima di quelli lenaici, é riflesso anche da iscrizioni greche ritrovate in una grande biblioteca di Roma. In queste iscrizioni = 7. G. XIV 1097 e 1098, relative a poeti del V e IV secolo, vengono prima menzionati tutti i primati dionisiaci e poi tutti quelli lenaici, quindi tutti i secondi posti dionisiaci e poi i secondi posti lenaici, eccetera eccetera. Anche

se la data di una graduatoria lenaica è più antica di quella corrispondente dionisiaca, la dionisiaca ha la precedenza. Il complimento

«persone

che

é già un

piacere

intrattenere »

cade quando si parla dei Banchettanti. La coincidenza degli agoni delle due Nuvole viene fatta ora passare anche come una fiduciosa preferenza per gli spettatori che accolsero con grandissimi elogi

«il Virtuoso e l’Invertito ». Questa parabasi delle Nuvole seconde, stesa negli anni 419-418, invoca appunto i Banchettanti dell'anno 427 e non commedie vittoriose come Acarnesi Cavalieri eccetera, perché i Banchettanti, come

mostrano

anche i più significativi dei frammenti,

dovevano

esporre una problematica simile a quella delle due Nuvole : « ora dunque, quale l’antica Elettra, questa commedia [le Nuvole seconde] è venuta a vedere se trova spettatori altrettanto assennati :

CRONOLOGIA

essa

saprà

bene

riconoscere,

DI

UN

appena

TIROCINIO

la veda,

31

la ciocca

di capelli

del fratello [il pubblico favorevole dei Banchettanti] ». I Banchetlanti, insomma, non sono invocati pateticamente perché comme-

dia dell'esordio, ma perché Aristofane con malizia vuol far passare la coincidenza degli agoni come un segno di stima per gli spettatori di quegli agoni. Anche nel caso dell'esordio, egli potrebbe dire, non mi presentai alle Lenee di gennaio-febbraio, ma aspettai le Dionisie di

marzo-aprile. Aspettai la primavera, potrebbe dire: «in tutte le stagioni si hanno

in Atene processioni, sacrifici, festini e, quando

giunge la primavera, é la festa di Bromio, l'eccitazione di cori risonanti, la musa fremente dei flauti ». Così le Nuvole 310-313, parlando delle Dionisie primaverili. «Da quando il Virtuoso e l'Invertito ricevettero ἐνθάδε grandissimi elogi da persone che è già un piacere intrattenere » : interpreti non sospetti, come noi, di partigianeria per due distinti teatri aristofanei spiegano ἐνθάδε «im Dionysostheater », «on this spot », respingendo la tautologica, anzi impropria, interpretazione di ἐνθάδε

come

«in

Atene».

Il teatro

di

Dioniso,

cioè

il teatro

dei soli drammi di agone dionisiaco : « qui stesso », nel teatro delle

Nuvole di agone dionisiaco. I lenaici Acarnesi 140 con ἐνδαδὶ ἠγωνίζετο, a proposito di un cattivo poeta tragico, alluderanno

invece

al Leneo, nel quale la tragedia fu ammessa con l’anno 432. In Nuvole 955, e in molti altri luoghi, ἐνθάδε esprime il luogo del-

l’azione drammatica, tori,

in

Nuvole

869

in Rane

783 la zona riservata agli spetta-

la facciata

scenica,

e così

via.

᾿Ενϑάδε,

nel

corso di una parabasi, non può che significare « qui, qui in teatro ». Durante la parabasi, e specie durante una parabasi personalistica (questa delle Nuvole è la più personalistica di tutte), non si è che in teatro. Quando ἐνθάδε, fuori della parabasi, significa chiaramente

«in

mai ateniese

Atene », l’ambiente

(Pace 611 e 671,

scenico

della

commedia

non

è

Uccelli 1455 e 1458).

Vale la pena di rilevare che tutti gli interpreti strapazzano o alterano il πρώτους di Nuvole 523, dimenticando che gli agoni

dionisiaci erano posteriori a quelli lenaici ; pure strapazzato o alterato viene

οἷς ἡδὺ κτλ.

del verso

528,

ché

non

si tien conto che

per chi componeva drammi non per la libreria ma solo per il teatro l'ammissione a un agone era già una bella soddisfazione ®.

32

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

4. Una supremazia infranta ovvero i nuovi poeti degli anni 428426. — La salda opinione corrente che i Babilonesi riportarono il primo premio alle Dionisie del 426 poggia sulla cosiddetta « Lista dei vincitori » di agoni comici dionisiaci. Questa Lista dionisiaca e anche quella lenaica richiedono una verifica, tanto piü che un nuovo frammento dei cosiddetti « Fasti », pubblicato nel-

l'anno

1943, ha permesso di stabilire che Ermippo —

commediografo

che nella Lista dionisiaca precede

proprio il

il mutilo

nome

API — riportó una vittoria dionisiaca, certo la prima, nell'anno 435, e ha indirettamente confermato che Ferecrate, che precede Ermippo nella Lista, vinse la prima volta nell'anno 437. Apparentemente, quindi, una grave delusione per quei cronologi che, attribuendo ad ᾿Αρι[στοφάνης una vittoria nel 426, si erano preoc-

cupati di abbassare le prime vittorie di Ferecrate e di Ermippo al 431 e al 430-427 *. Queste Liste marmoree = 7. G. II 2325 sono in pratica gli architravi iscritti di un monumento agonotetico eretto molto probabilmente nell'anno 278, un monumento che all'interno mostrava

le cosiddette « Didascalie » — 7. G. II* 2319-2323. Le frammentarie Liste, ritrovate

in genere

sulle pendici

meridionali

dell'Acro-

poli ateniese, elencano su distinte colonne i poeti (tragici e comici) e gli attori vincitori secondo l'anno della prima vittoria (ma non danno alcuna indicazione cronologica) e segnano accanto al nome la somma delle loro vittorie. Alcuni nomi e cifre non sono superstiti, e talvolta sono conservate soltanto le cifre o soltanto i nomi (naturalmente, per i calcoli che seguono, si parte dal presupposto che gli agoni drammatici si siano svolti regolarmente ogni anno, e che ogni volta sia stato assegnato il primo premio). Nel corso dei ventotto anni 486-459 — nell'anno 458 cade l'unica vittoria di Eufronio, attestata dai « Fasti » — I. G. II? 2318

col. i1 — la Lista dionisiaca elencava nove poeti. Pertanto questi nove

poeti

durante

la loro carriera

riportarono

almeno ventotto

primati: la Lista ne attribuisce undici a Magnete e quattro a quattro poeti. Pertanto agli altri quattro poeti, dei quali non sono conservati né i nomi né le vittorie (ma il primo é certamente Chionide

vincitore

primati..Ma

nel 486),

se i primati

toccano

di questi

quattro +

quattro poeti

almeno

nove

superarono le

CRONOLOGIA

DI

UN

TIROCINIO

33

tredici unità, allora vittorie di alcuni dei nove poeti del periodo 486459

si riverserebbero

negli anni

esempio, che si afferma

457

e

seguenti:

Magnete,

per

la prima volta nel 480 e un'altra volta nel

472, potrebbe aver riportato qualcuna delle altre nove vittorie anche dopo il 458. La Lista cosi prosegue (noi ce ne valiamo alla buona, e integriamo l’anno della prima vittoria, quando esso è sicuro ;

per i tre nomi perduti diciamo Poeta A, Poeta B, Poeta C): Eufronio una vittoria, Ecfantide quattro, Cratino sei, Diopite due, Cratete tre, Callia due, Teleclide tre, Poeta A una vittoria,

Poeta

B, Poeta

C,

Ferecrate,

Er-

mippo. Ermippo é seguito da un mutilo API, da Eupoli, da Cantaro (vincitore nell'anno 422: cfr. 1. G. II? 2318 col. V), da Frinico, da Amipsia

(la sua nota vittoria dell'anno 414 sarà forse la

prima), da Platone, da un mutilo ®IA, da Lici, da Leucone. Dopo Leucone, ultimo poeta della seconda colonna, vi sono due righi non incisi. La terza colonna elenca Nicofonte, Teopompo, Cefisodoro

e un poeta

...I[, e quindi

è lacunosa.

La

quarta

colonna

è

tutta lacunosa. Cefisodoro, secondo Lisia XXI 4, riportó una vittoria

nell'anno

402,

e gli interpreti

pensano

che

questa

del 402

nota

vittoria

sia stata la sua prima vittoria. Nei trentasei di Cratino,

anni 458-423

sicuramente



nel 423 cade

l'ultima —

la Lista

la

menziona

otto

poeti

con ventidue vittorie e ne elencava altri sei con almeno sei successi. Se vittorie dei poeti del periodo 486-459 non cadono

dopo l'anno 458, i sei poeti anteriori a Cantaro, ai quali noi abbiamo

concesso

una

vittoria,

debbono

aver

riportato

entro

il

424 un minimo di altri otto primati. Diciamo un minimo perché potrebbe essere che un paio di vittorie dei colleghi che li precedono

cadano

anche

dopo

il 422

o meglio

dopo

il 421,

poiché

il

primato del 421 è noto che spetta a Eupoli. Orbene, se accettiamo l'ormai corrente integrazione ° Api[otoφάνης con vittoria nel 426 e l'altrettanto corrente attribuzione a Eupoli della prima vittoria nel 424, allora gli otto primati vanno assegnati ai Poeti B e C affermatisi verso il 443-440 e a Ferecrate e a Ermippo affermatisi nel 437-435 (il Poeta C è quasi certa-

mente Lisippo che vinse verso il 440: cfr. 7. G. XIV 1097). Cioè nel giro di diciotto-sedici anni quattro commediografi avrebbero riportato quattro + almeno otto vittorie, e solo nel 426 la serie

34

CARLO

di successi

di una

mezza

FERDINANDO

dozzina

RUSSO

di vecchi

poeti

sarebbe

stata

interrotta da un nuovo poeta (che aveva esordito nel 427) e, nellanno 424, da un altro poeta che aveva esordito diciassettenne nel 429 (l'anno dell'esordio é dato dall'Anonimo de comoedia 10, di solito preciso per gli esordi : l'esordio di Ferecrate, per esempio, è stato confermato indirettamente dal nuovo frammento dei Fasti). È verosimile questo quadro? Certo che Ferecrate e Ermippo,

poeti reputatissimi, abbiano conseguito un buon numero di vittorie, non dovrebbe stupire : Ermippo scrisse ben quaranta commedie, e nei concorsi lenaici riportò quattro vittorie, Ferecrate

due : nella loro intera carriera lenaica, beninteso. Magari può fare impressione

la serie ininterrotta

di primati

conseguiti

negli anni

443-427 da una ristretta cerchia di poeti. Osserviamo

la cronaca

dei primati

nel contemporaneo

agone

lenaico. L’agone è inaugurato nel 445-442 da una vittoria di Senofilo, e Senofilo non riporta altri successi. Segue Teleclide con cinque vittorie, Aristomene con due, Cratino con tre, Ferecrate con due, Ermippo con quattro, Frinico con due (prima vittoria nel 428 ; esordio nel 429, secondo l’Anonimo

tilo (fratello di Ermippo)

de comoedia

10), Mir-

con una, Eupoli con tre (prima vittoria

anno 426). Quindi la Lista é lacunosa per gli ultimi sei righi della prima colonna (subito dopo Eupoli seguiva certamente Aristofane vittorioso nel 425 ; dall'anno della vittoria aristofanea e dall'anno dell'esordio di Frinico si deducono gli anni dei primati di Frinico

Mirtilo Eupoli e l'epoca approssimativa dell'unico primato del capostipite Senofilo). La seconda colonna menziona Polioco con una vittoria

(verso l'anno 411 circa), Metagene

e Teopompo

con

due vittorie, Polizelo con quattro, Nicofonte, Apollofane con una, Amipsia,

Nicocare,

Senofonte

eccetera.

Nei diciassette-quattordici anni 445/442-429 solo sei poeti, con

una carriera di diciassette vittorie, dominano l'agone lenaico, e nel 428 si afferma un poeta nuovo che aveva esordito nel 429, seguito

da

Mirtilo

nel

427,

da

Eupoli

nel 426,

e da

Aristofane

(di certo piuttosto giovane) nel 425 e nel 424 e poi nel 422 (nel 422 con il Proagone sotto il nome di Filonide). Sul concorso lenaico del 423 non si ha alcuna notizia. La chiara cronaca lenaica rende verosimile la cronaca dei primati

congetturata

per le Dionisie.

La

supremazia

dei poeti vec-

CRONOLOGIA

chi e maturi,

solo nel come

tanto

alle Dionisie

giro degli

Frinico,

gli agoni

DI

anni

Aristofane

UN

che

428-426, e

TIROCINIO

lenaici consentissero

alle Lenee,

e da

Eupoli.

35

poeti

Fino

viene

interrotta

appena

esordienti

allora,

dal 445-442

una

nonostante

che

competizione

piü

ampia e pacata di poeti — cinque alle Dionisie e cinque alle Lenee —, nessun poeta nuovo era riuscito a ottenere un primato, ché i primati dionisiaci e lenaici erano andati alternativamente fra il 442-440 circa e il 428-426 a una mezza dozzina di vecchi o maturi

maestri



con una

media

di sei-quattro

vittorie a te-

sta —, fra i quali Cratino, Teleclide, Ferecrate e Ermippo. Ma dopo il 424 vittorie lenaiche dei vecchi sono rarissime e sono ammissibili

solo se si colloca l'unico primato

del capostipite

Se-

nofilo nell'anno 442, e non già nel 445 : ché solo in tal caso tre vittorie, e solo tre, potrebbero toccare ai vecchi negli anni 423 (nessuna documentazione), 421 e seguenti (nessuna documentazione).

Ferecrate,

attivo

fin verso

il 414,

è presente

alle Lenee

del 420, e certo non vinse (cfr. Platone Protagora 327d ; Ermippo, uno dei principali poeti degli anni passati insieme a Ferecrate, Aristofane

lo tratta

dall'alto

in basso

nella

parabasi

degli

anni

419-418 delle Nuvole). Altrettanto sarà accaduto alle Dionisie, e non solo per via della riduzione dei poeti da cinque a tre, in vigore tanto per le Lenee che per le Dionisie almeno dall’anno 425 (cfr. Argomento I Acarnesi, e ved. più oltre al paragrafo settimo). Il fenomeno

può indicare che i giudici e il pubblico

riconob-

bero quasi subito la qualità di poeti nuovi come Frinico, Aristofane e Eupoli. E il pubblico stabile ateniese, si noti, in quegli anni si era sensibilmente alterato, a causa della massa di contadini che la guerra peloponnesiaca aveva cacciato col 430 dalle campagne nella città. Poeti esordienti, e alcuni di certo molto giovani, si affermano subito in questo periodo, davanti a questo pubblico, nell'epoca che vede in gara non più dieci ma sei poeti ;

e i vecchi o maturi maestri a poco a poco declinano. Il poeta API[ della Lista dionisiaca può ben essere Aristofane,

menti

e non,

il nome

per esempio,

di Aristofane

Aristomene,

si lascerebbe

anche

dunque

perché

integrare

solo

altri-

dopo

quello del poeta che segue Cefisodoro : cioè verso gli anni 400-395,

se non più tardi. E ciò non pare verosimile.

36

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

5. « I Babilonesi » o della superstizione dei moderni. — Nel periodo 426-422 le uniche vittorie dionisiache sicure sono quelle di

Cratino e di Cantaro,

anni 423 e 422.

Pertanto

la vittoria di

Eupoli deve essere caduta nel 425 o nel 424, la vittoria di Aristofane nel 426 o nel 425. Per ambedue i poeti non ci é attestata

una partecipazione alle Dionisie 425. Per Aristofane, come vedemmo al paragrafo secondo, niente esclude una sua commedia dionisiaca del 425 (si tenga presente che per le quaranta commedie aristofanee solo in una quindicina di casi ci é conservata una

testimonianza di avvenuta messa in gara), e così pure per Eupoli. Che Eupoli fosse presente agli agoni dionisiaci del 424, e fosse vittorioso,

é stato

dedotto

da

alcuni

degli scoliasti di Vespe 1025 e Pace Eppure Eupoli deve aver pur vinto, 425 e 424. Anzi egli potrebbe avere 424, e Aristofane tanto nel 426 che fane non vinse nel 426, allora Eupoli

moderni

di

sulle

illazioni

763. Illazioni non probanti. almeno una volta, negli anni vinto tanto nel 425 che nel nel 425. Insomma se Aristopuó aver vinto solo nel 424.

Sulla sorte del concorso del 426, noi abbiamo un appropriato mezzo a disposizione : i lenaici Acarnesı del 425, rappresentati

dieci mesi dopo dell’esito

i Babilonesi.

dei Babilonesi,

Prima

bisogna

di usare gli Acarnesi ai fini

fare una

premessa : se i dioni-

siaci Babilonesi furono vittoriosi, quella vittoria venne a rompere clamorosamente una serie di vittorie dionisiache da parte di poeti vecchi, ché con i Babilonesi si sarebbe avuta la prima affermazione dionisiaca di un poeta nuovo dopo l’anno 435, di un poeta di certo piuttosto giovane e con esordio nel 427. I primi anapesti della parabasi degli Acarnesi recano : «da quando il nostro poeta è a capo di cori comici, non si è mai rivolto agli spettatori per dire quanto è bravo». Negli Acarnesı tutti gli anapesti della parabasi sono dedicati a fatti personali, e a fatti personali sono anche dedicati i trimetri giambici 377-382 e 502-503, e lo stasimo satirico contro il corego lenaico Antimaco. Gli Acarnesi, anzi, sono la commedia più ricca di personalismi al di fuori della parabasi, e di personalismi espressi dal protagonista

della commedia in prima persona. A parte lo stasimo contro Antimaco,

i personalismi

Vediamoli, personalismi,

sono in relazione diretta con i Babilonesi.

in tutto il contesto

(in corsivo l’inizio e la fine dei

a parte quelli della parabasi) :

CRONOLOGIA

DI UN TIROCINIO

37

diró a favore degli Spartani ció che mi piace. Eppure ho un grande timore, ché conosco i gusti dei nostri campagnoli : so che provano un grandissimo piacere se un qualche impostore elogia loro e la città, a ragione o a torto che sia; e intanto non si rendono conto che si fa mercato di loro. E degli anziani poi conosco l'animo, non aspirano ad altro che a mordere col voto. So bene quel che io stesso patii per via di Cleone a causa della commedia dello scorso anno. Trascinatomi dentro la Bule, mi calunniava e vomitava menzogne, un vero Cicloboro, un diluvio: e ci mancó poco che perissi travolto dai suoi melmosi garbugli. Permettete ordunque, prima che parli, di abbigliarmi nella foggia più compassionevole.

Così i trimetri 369-384, mentre i trimetri 497-507 recano : non voletemene male, signori spettatori, se io povero pitocco me ne vengo poi a parlare davanti agli Ateniesi intorno alla città, in una tragi... commedia.

Ché

dure ma giuste.

anche

la tragicommedia

è il giusto,

e io dirò parole

E questa volta Cleone non mi calunnierà che io sparlo della

città alla presenza di stranieri. Leneo, e stranieri non ve ne son

arrivati,

sa cosa

e neppure

Perché siamo solo noi, il concorso è nel presenti : tributi, come sapete, non ne sono

gli alleati dalle città.

Ma

siamo

solo

noi oggi...

Gli anapesti 628-664 della parabasi recano: da quando il nostro poeta è a capo di cori comici, non si è mai rivolto agli spettatori per dire quanto è bravo. Ma calunniato dai suoi nemici, davanti agli Ateniesi pronti a decidere, di sbeffeggiare la nostra città e d'insultare il popolo, ora è obbligato a difendersi davanti agli Ateniesi pronti a ricredersi. Il poeta asserisce di avervi reso molti servizi : per merito suo avete smesso di farvi troppo ingannare da discorsi esotici, di prender gusto alle adulazioni e di essere dei gonzi. Un tempo per adularvi gli ambasciatori delle città vi chiamavano per prima cosa «redimiti di viole », e subito; per via di quel «redimiti», vi mettevate tutti in punta di natiche. Se poi qualcuno, per sollecitarvi, chiamava Atene « luccicante », otteneva tutto a causa di quel «luccicante », gratificandovi di un lustro... da sardelle. Con queste azioni egli vi ha reso molti servizi, anche col mostrarvi a quale democrazia sottostanno i popoli delle città alleate. Ecco perché ora quelli delle città che vi debbono portare i tributi, verranno desiderosi di vedere l’ottimo poeta che si è arrischiato di parlare agli Ateniesi il linguaggio della giustizia. Già tanto lontana si è sparsa la gloria del suo coraggio, che anche il Re, sondando gli inviati dei Lacedemoni, domandò loro dapprima quale dei due popoi fosse più forte sul mare, e poi a quale dei due riservasse il poeta le sue male parole; perché, osservava, presso di quello gli uomini son diventati molto migliori, e quel po-

polo, con un tal consigliere, vincerà di sicuro la guerra. cedemoni

vi invitano

alla pace

e reclamano

Egina!

Ecco perché i La-

Dell'isola

non

gliene

38

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

preme nulla, ma vogliono così portarvi via il poeta. Ma voi guardatevi bene a non separarvene mai: ché lui difenderà nelle commedie la causa della giustizia ! Egli assicura che vi insegnerà molte belle cose, sì che siate felici, e senza adularvi, senza promettere paghe, senza marachelle, senza

furberie, senza incensi, ma solo insegnandovi le cose più belle. . Intrighi ora Cleone, tutto contro di me trami: il bene e la giustizia con me saranno alleati! E mai io sarò colto ad agire come lui verso la città,

da codardo e da arcifinocchio!

Forse il verso 5 degli Acarnesi rinvia allo spettacolo dei Babilonesi : « quale fu quella gioia degna di estasi? Ah, ricordo: in petto il cuor mi giol quando vidi Cleone risputare fuori i cinque talenti. Come gongolai, e come voglio bene ai Cavalieri per questa impresa : degna essa è di Grecia ! »: al verso 15 si parla di spettacoli di « quest'anno », e sembra pertanto che quelli precedenti siano dello scorso anno.

In ogni modo

quel

che interessa

è che

nella parabasi e negli altri squarci estremamente personalistici in relazione con la commedia

dello scorso anno,

mai il poeta coglie

l'occasione per opporre alle calunnie di Cleone un verdetto trionfale dei giudici dei Babilonesi ovvero il sicuro favore di quel pubblico. Anzi il poeta si sente in dovere di spiegare il significato costruttivo della sua commedia,

perché non sembra che sia stato

ben capito. Egli non si lagna degli spettatori, come farà nelle Vespe dopo lo scacco delle Nuvole, ma nemmeno li esalta, e nemmeno cade un'espressione del tipo di quella delle Nuvole in relazione ai Banchettanti, secondi in graduatoria : « da quando il Virtuoso

e l'Invertito

ricevettero

qui

grandissimi

elogi».

Si tenga

sempre presente che questa dei Babilonesi sarebbe la prima vittoria di Aristofane,

e in un ambiente

vittoriosi dall'anno

435.

che non vedeva

poeti nuovi

Strano, stranissimo il riserbo di Aristofane : del fresco e cla-. moroso

successo

presso

gli Ateniesi

non

fa parola,

ma

si vanta

fantasiosamente della fama presso il Re di Persia e gli Spartani. Strano, stranissimo il comportamento del pubblico e dei giudici : poco prima

il pubblico

avrebbe

Babilonesi e i giudici avrebbero

espresso il suo entusiasmo

deciso la vittoria,

per i

e poco dopo

Aristofane veniva con successo «calunniato dai nemici davanti agli

Ateniesi pronti a decidere », tanto che il buleuta Cleone in seguito lo «trascinò dentro la Bule ».

CRONOLOGIA

DI

UN

TIROCINIO

39

Almeno per il IV secolo consta che un giorno dopo gli agoni dionisiaci si svolgeva in teatro una assemblea popolare che discuteva la condotta dell'agone da parte dell'arconte e le eventuali offese cadute nel corso della festa, tali che

potessero

portare

alla

denuncia, davanti a quell'assemblea, del reo di oltraggio pubblico (cfr. Demostene Midia 8-10). Se l'assemblea approvava quella denuncia, proseguiva nelle sedi adatte un procedimento giudiziario. Nel caso dei Babilonesi, se si concede una tale prassi già per il V secolo, l'assemblea nel teatro di Dioniso ammise che la de-

nuncia di Cleone era giustificata, e Cleone portò l’incriminato davanti alla Bule, ma la Bule lasciò andare l’incriminato. «Questa volta — dice il protagonista dei lenaici Acarnesi — Cleone non mi calunnierà che io sparlo della città alla presenza di stranieri. Perché siamo solo noi, il concorso è nel Leneo, e stranieri non ve ne son presenti : tributi, come sapete, non ne sono arrivati, e neppure gli alleati dalle città... ». E il corifeo della parabasi dice : « Ateniesi, il poeta vi ha mostrato a quale democrazia sottostanno i popoli delle città alleate. Per questo ora quelli delle città che vi debbono portare i tributi verranno desiderosi di vedere [in teatro, cioè] l'ottimo poeta che si è arrischiato di parlare agli Ateniesi il linguaggio della giustizia [nei Babilonesi, in particolare] ». Sia qua o no implicito quasi un appuntamento in teatro con gli alleati per le Dionisie del 425, certo è che il linguaggio degli Acarnesi non depone a favore di un trionfo dei Babilonesi. Anzi il linguaggio degli Acarnesi esclude un trionfo. La prima vittoria dionisiaca di Aristofane non può essere caduta che nel 425, due mesi dopo la vittoria lenaica con gli Acarnesi

che superarono Cratino e Eupoli. Dopo quei due trionfi, nell'estate 425 il poeta si decise a chiedere personalmente all’arconte almeno

un Coro per il 424, per i Cavalieri. Il secondo trionfo, quello dionisiaco, poté essere particolarmente stimolante, ché cadde, ripetiamo,

in un

ambiente

che

non

vedeva

successi

di poeti

nuovi

dall’anno 435 in poi. Alle Lenee la supremazia dei poeti vecchi era stata infranta nel 428 da Frinico, nel 427 da Mirtilo, nel 426 da Eupoli. Frinico vince la prima volta alle Dionisie dopo il 421, Aristofane già nel 425, Eupoli, dunque, nel 424: tutt'e tre vin-

cono prima alle Lenee, e poi alle Dionisie. Il primato dionisiaco

40

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

del 426 andó quindi ancora a un poeta vecchio. Due commedie aristofanee nel 425 sono del tutto normali : due commedie nel 426, due nel 422, e certamente due nel 424 e nel 423. E di ciò più oltre.

Per Aristofane non si é mai pensato alle Dionisie del 425, non tanto perché

ma

perché,

una sua presenza a quel concorso non ci è attestata,

quando

dopo

un'annosa

polemica

si è avuta

la cer-

tezza che anche per il V secolo, e non solo per il IV, il nome del

poeta e non quello del didascalo veniva iscritto nelle cosiddette Liste dei vincitori, si é guardato automaticamente alla Lista come a un calendario vittorioso dei Babilonesi curati da Callistrato, e

non si é pensato ad altro. E nella attribuzione deve aver pure influito la solita tendenza a ridurre l'intervallo tra la coppia Ferecrate-Ermippo e Aristofane, e anche, perché no, il compiacimento di premiare al più presto possibile il tirone Aristofane e di

constatare che gli Ateniesi onorarono liberalmente il poeta-paladino degli alleati 5. Agli antichi eruditi

per i Banchettanti, silenzio

che

il secondo

posto in graduatoria

e della commedia dionisiaca del 426 risultava il

titolo e, alla Suda,

Un

risultava

anche

il didascalo.

naturalmente

non

Babilonesi.

Certo

un silenzio strano.

Aristofane,

la più recente commedia,

Sulla graduatoria,

implica

una

silenzio.

non-vittoria

Nell’antologia

imperiale

dei

di

il Pluto, dovette essere an-

che scelta perché risultava essere l’ultima che Aristofane mise personalmente in gara (cfr. Argomento III 4 del Pluto). La più antica commedia della raccolta, gli Acarnesi, non sarà stata scelta

perché risultava essere la prima commedia vittoriosa in senso assoluto, e i Cavalieri perché la prima vittoriosa sotto nome di Aristofane ? Queste ultime sono delle ipotesi naturalmente, e dispiace farne, tanto più che gli Acarnesi potrebbero essere stati scelti per la triade Aristofane Cratino Eupoli. Ma la vittoria dei Babilonesi ‘è meno che un'ipotesi. È una superstizione. E le nostre conside-

razioni certamente non la scalfiranno, ché la tentazione di piegare un documento neutro a favore dei pochi fatti attestatici è tanto forte da far perdere la prospettiva dei molti fatti non attestatici. Una vittoria un anno prima o un anno dopo è certo un'inezia. Ma è meglio correr dietro a tali inezie che fidarsi di coloro che sentono fragore di applausi liberali nel teatro dei Babilonesi e

fragranza

di cuoio cleoniano

nel Centauro,

e che guardano

alla

CRONOLOGIA

Lista dionisiaca come

DI

UN

TIROCINIO

41

a un esatto calendario di vittoriosi Babilo-

nesi : quella Lista che cronologi e ‘storici’ della letteratura non si curano di analizzare, ché essi sdegnano le fatiche ' ancillari ’. Proprio quelle Liste che sono gli strumenti essenziali per inquadrare storicamente gli esordi dei nuovi e il declino dei vecchi commediografi di Atene. Sia quel che sia, una più fondata cronologia del tirocinio di Aristofane negli anni 427-425 può essere la seguente (mettiamo fra parentesi angolari le nuove risultanze e deduzioni, fra parentesi quadrate la dottrina corrente) : I. 427: esordio non ufficiale coi Banchettanti a cura di Callistrato ; secondo in graduatoria e primato di un poeta prearistofaneo ; 2. Lenee 426 : una commedia [Centauro] a cura di un didascalo [Filonide]; prima vittoria di Eupoli dopo l'esordio del 429 e terza vittoria lenaica di un poeta nuovo dopo le affermazioni di Frinico nel 428 (esordio nel 429) e di Mirtilo nel 427; 3. Dionisie 426 : Babilonesi a cura di Callistrato, [vittoriosi] ; ; 4. Lenee 425: Acarnesi a cura di Callistrato, vittoria su Cratino

e Eupoli;

«prima

5.

«Dionisie

425:

una

vittoria

della

commedia

carriera

vittoriosa

aristofanea>;

a cura

di un

didascalo ; seconda vittoria della carriera aristofanea e prima affermazione dionisiaca di un poeta nuovo dopo l'anno 435, seguita

nel 424 dalla prima vittoria dionisiaca di Eupoli>. Almeno una delle due commedie delle Lenee 426 e Dionisie 425 viene affidata a un didascalo diverso da Callistrato. Nell'estate del 425 Aristofane chiede personalmente quello dei Cavalieri.

all'arconte almeno

un Coro,

6. I navarchi del 427-425 e il navarca del 424. — Banchettanti,

Babilonesi e Acarnesi furono pertanto affidati al didascalo Callistrato, e a un didascalo

diverso

da Callistrato almeno

una

delle

altre due presumibili commedie degli anni 426-425. Dopo i Cavalieri cadrebbero quindi trentaquattro commedie. Notizie di teatro ne abbiamo

relative a sole undici:

Dionisie 423 Nuvole dida-

scalo Aristofane (di ciò a suo tempo), Lenee 422 Vesfe didascalo Filonide,

Lenee 422 Proagone con Filonide come

autore ufficiale e

42

CARLO

didascalo,

Dionisie 421

fiarao didascalo

FERDINANDO

RUSSO

Pace didascalo Aristofane,

Filonide,

Dionisie 414

Lenee

414 Am-

Uccelli e Dionisie 411 Li-

sistrata didascalo Callistrato, Lenee 405 Rane didascalo Filonide, anno 388 Pluto didascalo Aristofane. Dopo il Pluto Aristofane affidò al figlio Araros Cocalo e Eolosicone secondo. L'Anonimo de comoedia 11, dando notizia che Aristofane esordì, arconte

nimo

Diotimo,

non

con

lo dà),

Callistrato

prosegue:

τὰς

(il titolo della commedia

μὲν γὰρ

πολιτικὰς

l’Ano-

τούτῳ

φασὶν

αὐτὸν διδόναι, τὰ δὲ κατ᾽ Εὐριπίδου καὶ Σωκράτους Φιλωνίδῃ. διὰ δὲ τούτων νομισϑεὶς ἀγαϑὸς ποιητής, τοῦ λοιποῦ ἐπιγραφόμενος ἐνίκα. ἔπειτα τῷ υἱῷ ἐδίδου τὰ δράματα, ὄντα τὸν ἀριϑμὸν ud’, ὧν νόϑα δ΄. Con i dati e con i materiali a nostra disposizione,

la voce

riferita dall'Anonimo,

se allude solo al periodo

del tiro-

cinio, viene infirmata dagli Acarnesi, commedia « contro Euripide » affidata a Callistrato; se allude a tutta la carriera aristofanea, le

Vespe affidate a Filonide non sono né contro Euripide né contro Socrate. Che forse la fonte si riferisca solo a quelle commedie che Aristofane

poté

cedere

ai

didascali

come

fece

con

il Proagone,

commedia che allo scoliaste di Vespe 61 risultava avere Euripide fra i suoi personaggi? Le Tesmoforianti — « anche questo dramma è di uno di quelli composti contro Euripide » (così quell’Argomento I sg.) —, per le quali non abbiamo notizie di teatro, furono quindi cedute a Filonide? Sono tutte ipotesi, e pericolose. E poi, a parte il fatto che l’Anonimo sembra riferirsi solo al periodo

del

tirocinio,

Aristofane

al figlio

non

cedé

le ultime

com-

medie, ma gliele affidò come didascalo, a quanto pare (Argomento

III 5-7 del Pluto, e vedi più oltre alla fine del paragrafo). somma,

i mezzi

In-

a nostra disposizione sono troppo scarsi per po-

tere rettamente interpretare la voce riferita dall'Anonimo. La voce, appunto ; ché l’Anonimo non pare riferisca un fatto che a lui, o alla sua fonte, risulti controllabile : se si esamina tutto il trat-

tatello, si vede che i vari φασίν dell'Anonimo distinguono la qualità ipotetica di talune notizie. E l’articolo aristofaneo dell’Anonimo è, in complesso, piuttosto sommario e compendioso : si noti, per esempio, ὄντα κτλ. che riassume tutta l’attività del commediografo, e si noti anche che Callistrato, senza che si dia il titolo della com-

media dell’esordio, viene subito definito come didascalo « politico » con un ellittico γάρ, e si noti anche la frettolosa inesattezza di

CRONOLOGIA

DI

UN

TIROCINIO

43

τοῦ λοιποῦ — ἔπειτα κτλ. E poi la tradizione del testo, conservato dal codice Estense e dall'Aldina, non é molto buona. Un'altra

fonte,

cioè

il codice

Veneto

474

e l'Aldina,

reca:

ὑποχριταὶ ᾿Αριστοφάνους Καλλίστρατος xal Φιλωνίδης, δι’ ὧν ἐδίδασκε τὰ δράματα ἑαυτοῦ: διὰ μὲν Φιλωνίδου τὰ δημοτικά, διὰ δὲ Καλλιστράτου τὰ ἰδιωτικά. Tutto l'inverso dell'Anonimo, ma senza la precisazione che per « privati » bisogna intendere i drammi con-

tro Euripide e Socrate. Anche trasponendo i nomi di Filonide e di Callistrato,

quelle

incongruenze

che

sopra

accennavamo

non

scompaiono del tutto. E in questa fonte, che si riferisce senz'altro a tutta la carriera aristofanea,

quel che colpisce

é di veder defi-

niti i due didascali come «attori ». Il secondo scoliaste di Nuvole 531 asserisce che l'esordio non ufficiale fu curato

da « Callistrato

e Filonide, i quali in seguito divennero attori di Aristofane ». Peggio che andar di notte. Ma la distinzione fra drammi « pubblici-politici» e drammi «privati» deve avere una radice, una radice di tipo scolastico. Cioè i quaranta drammi aristofanei possono essere stati cosi distinti, empiricamente,

per usi di scuola ; e i « privati » erano forse

i drammi a tendenza maggiormente letteraria e culturale. La maggior parte di questi ultimi risultava ai più antichi eruditi allestita da Filonide, la maggior parte dei « pubblici-politici » da Callistrato. Ma per l'Anonimo de comoedia, e già forse per la sua fonte, la distinzione tramandata non era più soddisfacentemente verificabile con le poche notizie di teatro superstiti. Strano, in ogni caso, che la distinzione sia, almeno apparentemente, riferita solo al periodo del tirocinio. Ma, ripetiamo, l'articolo aristofaneo dell'Anonimo sembra frutto di un compendio. Se noi moderni,

coi mezzi

a nostra

disposizione,

volessimo

di-

stinguere i due didascali, non potremmo dire altro che a Filonide risultano assegnati solo drammi lenaici, a Callistrato, eccetto gli Acarnesi, solo drammi dionisiaci : per esempio, nell'anno 414 l'Anfiarao fu allestito da Filonide alle Lenee, mentre Callistrato preparava la rappresentazione dei dionisiaci Uccelli. Ma sarebbe una distinzione dai piedi d'argilla. Concludendo : dopo i Cavalieri, Filonide fu didascalo tre volte e una volta ' autore ', Callistrato didascalo due volte, Araros due

volte, Aristofane tre volte. Nessuna notizia per le altre ventitré

44

commedie,

CARLO

FERDINANDO

delle quali almeno

una,

RUSSO

le Nuvole

seconde,

non fu rap-

presentata ; ma non é improbabile che Aristofane si sia valso di Callistrato e di Filonide (e magari di altri) pià volte di quanto a

noi risulta: «in seguito Aristophanis).

concorse

anche

di persona»

(Vitae

Più di un commediografo contemporaneo diceva «esser nato Aristofane il quarto del mese»: «infatti — commenta lo scoliaste di

Platone Apologia 19c — passò la vita faticando per altri... anche Eracle nacque il quarto del mese ». Quei commediografi si riferivano, sembra,

al periodo del tirocinio aristofaneo, ché le Vitae li

ricordano dopo aver detto: «i primi drammi Aristofane li rappresentava attraverso Callistrato e Filonide ». In ogni caso Aristofane stesso, dopo lo scacco delle Nuvole nel 423, raffigura mali-

ziosamente nelle successive Vespe 1017-1018 quel periodo come uno durante il quale fu molto benefico con gli spettatori, non mostrandosi peró, « ma aiutando in segreto altri poeti ». Certo la piü gran

parte degli spettatori, a parte quei « molti che meravigliati andavano a trovare il poeta per domandargli perché non chiedesse da tempo un Coro a proprio nome » (Cavalieri 512 sg.), ignorava

che il poeta degli anni 427-425 fosse Aristofane. Ché era il didascalo, se il poeta non era anche didascalo, che veniva invitato nominalmente dall'araldo a «introdurre il Coro» in teatro, quell'araldo che alla fine proclamava il nome del poeta-didascalo vincitore, quel poeta-didascalo che l'arconte coronava lì in teatro. « Desiderando presentare agli spettatori il figlio Araros, attraverso di lui Aristofane mise in gara le due commedie dopo il Pluto» 5.

Naturalmente dopo i Cavalieri il ricorso ai didascali non avrà pregiudicato la notorietà mondana di Aristofane. Callistrato e Filonide avranno a poco a poco significato Aristofane, ammesso che quei due didascali non abbiano lavorato costantemente anche per altri poeti. Callistrato, del quale Aristofane si valse proprio all’inizio della carriera ‘segreta’, a noi non risulta che fosse poeta comico : 0 appunto

non lo era, ovvero, se lo era stato,

seguito essersi soprattutto specializzato come

didascalo.

doveva

in

Che Ari-

stofane in quel particolare passo delle Vespe lo chiami « poeta » è più che naturale. Anche Filonide non avrà avuto una grande attività : la Suda, che informa che «egli era prima pittore », gli attri-

CRONOLOGIA

DI

UN

TIROCINIO

45

buisce tre commedie. Sul tredicesimo rigo della seconda colonna della Lista dei poeti comici vincitori alle Dionisie, figura un mutilo ®IA. Alcuni integrano Fil[onide, altri Fil[illio : se Filonide,

non bisogna dimenticare che Aristofane potrebbe avergli ceduto una propria commedia, come fece con il Proagone. Quel primato dionisiaco sembra che cada non prima dell’anno 413. Che Aristofane si sia rivolto spesso a didascali,

viglia in un poeta da una produzione così non sappiamo come si regolassero i suoi che Eupoli affidò a un didascalo l’Autolico zione dei coreuti e degli attori richiedeva

non fa mera-

intensa e vasta. E poi rivali: sappiamo solo del 420. Già la istrugran tempo e energia.

O aveva Aristofane inattitudine per tutta l’attività collegata alla

rappresentazione?

Alcuni interpreti lo han dedotto da Cavaliers

515-516 νομίζων χωμῳδοδιδασχαλίαν εἶναι χαλεπώτατον ἔργον ἁπάντων. Ma

li Aristofane vuol dire che

zione comica, tutti : anche

l'arte

il lavoro del commediografo, διδάσκαλος,

in senso tecnico,

comica,

la crea-

è il più difficile fra

è l'autore di opere tea-

trali. Per l’uso aristofaneo ved. Acarness 628, Cavalieri 507, Pace 734-737.738.829, Uccelli 912.1403, Tesmoforianti 30.88, Tesm. se-

conde fr. 334, Pluto 797, e cfr. Arpocrazione I p. 96, 4-9. In Donne à parlamento 809 χοροδιδάσκαλος è l'istruttore del coro (per ἔργον cfr. almeno Nuvole 524). Quello che noi chiamiamo « didascalo », Platone Zone 536a lo chiamava ὑποδιδάσκαλος, e Fozio, sotto quella voce, reca : ὁ τῷ χορῷ καταλέγων. διδάσκαλος γὰρ αὐτὸς è ποιητής, ὡς ᾿Αριστοφάνης. Ma il ποιητής Aristofane «per la prima volta cominciò a dıddaxerıv» con i Cavalieri (Vespe 1029). Piuttosto nella parabasi dei Cavalieri 542-544 è interessante la terza ragione che Aristofane porta per giustificare il suo prudente tirocinio triennale (prima ragione : l'arte comica è difficile ; seconda ragione: il pubblico è difficile e volubile) : « prima di prendere il timone, bisogna fare innanzi tutto il rematore ; poi stare a prua e osservare

i venti;

quindi

pilotare per conto pro-

prio». Il passo è interessante, ché anche in Nwvole 530 «ero ancora

una

ragazza

(παρϑένος)

e non

mi

era consentito

(οὐκ ἐξῆν)

di partorire » — detto per la prima commedia del 427 che « un'altra giovinetta (παῖς ἑτέρα) prese e adottó» —, è da vedersi in pratica la terza ragione dei Cavalieri : ero ancora un rematore, e non mi era consentito di pilotare, di essere navarca.

Cioè l'imma-

46

CARLO FERDINANDO RUSSO

gine delle Nuvole non consente speculazioni sull’età di Aristofane, o meglio su un’età minima

necessaria per partecipare ai concorsi

drammatici. E così «quanto alla meraviglia di molti fra di voi . che venivano a trovare il poeta per domandargli perché non chiedesse da tempo (πάλαι!) un Coro a proprio nome» di Cavalieri 512-513, non è che il πάλαι implichi un «da quando il poeta ha raggiunto l'età legale », ma magari implicherà « da quando ormai le sue commedie vanno bene ». . L'indugio ancora dopo i Babilonest e dopo il consecutivo incidente con Cleone (e ancora dopo gli Acarnesi, se si ammette una commedia alle Dionisie 425: ma, comunque, per questa commedia, come per gli Acarnesi che risultarono poi vittoriosi, il Coro

andava già richiesto nell’estate del 426), sarà forse dovuto anche al calcolo di volersi presentare ufficialmente con l’autorevole Coro dei cavalieri contro l’uomo più potente di Atene. Il corifeo dei Cavalieri 507-511 dirà : «se qualcuno dei vecchi poeti comici [ma non è che qui alluda ai didascali del tirocinio] avesse voluto costringere noi cavalieri a rivolgerci al pubblico nella parabasi, non lo avrebbe ottenuto facilmente. Ma questa volta il poeta ne è degno, perché odia le stesse persone che noi, e perché osa dire il giusto, e generosamente marcia contro Tifone e Uragano [cioè Cleone] ». E sulla scena degli Acarnesi 299-302, nel gennaio-febbraio 425, il corifeo aveva all’improvviso esclamato : «ti odio ancor più di Cleone, al quale farò la pelle per farne suole ai cavalieri! ». In Vespe 1029 e 1031 e in Pace 754 Aristofane ama insistere sul fatto che la propria carriera ufficiale comincia con

l'attacco a Cleone *. In ogni caso, il passo dei Cavalieri « quanto alla meraviglia di molti fra di voi spettatori che venivano a trovare il poeta ec-

cetera », indica che la carriera ‘ segreta’ non era un segreto per tutti: almeno dopo i Babilonesi e il consecutivo incidente con Cleone il nome di Aristofane sarà in qualche modo venuto fuori. E la parabasi

degli Acarnesi,

pubblicati in teatro da Callistrato,

non è che difenda e lodi, quando difende e loda il διδάσκαλος e l' ἄριστος ποιητής ' egineta ', quel Callistrato che dieci mesi prima aveva

pubblicato

in teatro

i Babilonesi

calunniati

non perfettamente compresi dagli spettatori. ignari

fra

gli spettatori

degli

Acarnesi



da

Cleone e

Poco male se i più spettatori

imitati

da

:

CRONOLOGIA

DI

UN

TIROCINIO

47

interpreti oggidiani — avranno attribuito la vicenda con Cleone tutta al didascalo che aveva introdotto il Coro in teatro, e poco male se si saranno aspettati l'anno dopo Callistrato come autore dei Cavalieri preannunciati dagli Acarnesi. Il poeta ‘segreto’ degli Acarnesi, scrivendo la prima parabasi personalistica della pro-

pria carriera (cfr. Acarnesi 628 sg.), certo non si nascose al punto di esprimersi in relazione solo alla persona di Callistrato, pertanto egineta eccetera, di esprimersi cioé con lo spirito di un ufficiale

dell'Anagrafe. Nel difendere e lodare il διδάσκαλος e 1’ ἄριστος ποιητής, lo scrittore difendeva e lodava il διδάσκαλος (cioè il ποιητῆς)

dei Babilonesi e delle precedenti

commedie

(«da

quando

il

nostro διδάσκαλος è a capo di cori comici », Acarnesi 628), l' ' Egineta '. Egineta sul serio solo per ufficiali dell'Anagrafe. Ateniesi — dice il corifeo acarnese —, non accettate le offerte di pace di Sparta ; gli Spartani vogliono la pace solamente per prendersi il poeta,

l’isola di Egina, perché

hanno

o meglio

saputo

dal Re

vogliono

rubarvi

di Persia

che

con l’isola chi ha dalla

sua parte quel poeta, vincerà la guerra.... Si pensi: Aristofane era sicuramente ateniese, del demo cidateneo ; ad Egina c’era magari il podere di Filippo, padre del poeta ; gli Spartani non richiedevano la cessione di Egina, ma soltanto autonomia per l’isola occupata da Atene e assegnata a suoi cleruchi. Nel semiserio ammonimento di non fare la pace e di non consegnare Egina allo Spartano, non ci sarà la sorridente preoccupazione di perdere il podere nell’isola ? Dopo i Babilonesi Cleone avrà forse trascinato nella Bule il solo Callistrato, e non anche Aristofane, ché Cleone era indignato che la città e il popolo fosse stato offeso alla presenza di stranieri, in teatro (cfr. il 503 degli Acarnesi). Ma naturalmente gli Acar-

nesi rispondono a nome dello scrittore dei Babilonesi : anzi pro-

prio la parabasi personalistica e la menzione in primo

piano il

poeta,

almeno

di Egina

mettono

per quelli che sanno

che il.

poeta è Aristofane. Nell’ambito di questo non ancora antiquato problema, conviene richiamarsi anche alle Vespe, seppure questa sia una commedia

del periodo ufficiale della carriera aristofanea. Dopo l'insuccesso delle

Nuvole

alle

Dionisie

423,

didascalo

Aristofane,

il poeta

è

48

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

presente l'anno dopo alle Lenee, con due commedie,

il Proagone

e le Vespe. Il Proagone, evidentemente per eludere una norma che consentiva una sola commedia per autore (su ció piü oltre,

al paragrafo settimo), Aristofane lo cedé a Filonide didascalo delle coagonali

Vespe,

e pertanto

Filonide

passò

come

autore

a tutti

gli effetti del Proagone. Già l'espediente in sé mostra che la proprietà artistica e la responsabilità pubblica di una commedia affidata a un didascalo — in questo caso le Vespe — rimanevano interamente all'autore. Le Vespe 1016-1042, 1043-1059 e 1284-1291

ne sono una riprova interna : lì il corifeo parla della carriera artistica del ποιητῆς prima e dopo i Cavalieri e dell'insuccesso delle Nuvole, e il Coro, a nome di Aristofane e in prima persona, parla della vicenda con Cleone, una vicenda originata dai Babilonesi.

Tutti fatti personalissimi e molto scottanti, che evidentemente il coagonale Proagone ceduto a Filonide non aveva toccato. Nota bene : il Coro di Acarnesi 299-302 parla in prima persona

come il Coro di Vespe 1284-1291, Acarnesi

in terza

persona

come

il corifeo della quello

di

Cavalieri

parabasi degli Vespe

Pace,

e passa alla prima persona in Acarnesi 659-664 e in Pace 754-774. Il corifeo della molto personalistica parabasi delle Nuvole parla sempre in prima persona. Per commedie affidate a un didascalo non

c’è

quindi

una

prassi

espressiva

distinta,

neanche

per

gli

Acarnesi del tirone Aristofane : il Coro e il corifeo parlano sempre, in prima o in terza persona, a nome del poeta *. Per Araros didascalo del padre Aristofane c'é di nuovo una controversia. L'Argomento III del nostro Pluto reca : «il Pluto

è l'ultima commedia che Aristofane mise in gara sotto proprio nome [cfr. scolio Pluto 173]. Desiderando presentare agli spettatori il figlio Araros

(cfr.

Vita Aristophanis

10], attraverso

di lui

Aristofane rappresentò le due restanti commedie, Cocalo e Eolosicone ». I Fasti dionisiaci per l'anno 387 segnano una vittoria di ]JPOC. Tutti gli interpreti son d'accordo che si tratti di Ara]ros, tanto più che c’è lacuna per sole tre lettere. La Suda per Araros

reca : διδάξας τὸ πρῶτον ὀλυμπιάδι pa, cioè esordì negli anni 375372. Se il testo della Suda è sano e se la data è giusta, allora la vittoria dionisiaca del 387 spetta a Aristofane, didascalo Araros. La commedia sarebbe il Cocalo (a rigore, se il Pluto del 388 è di

agone lenaico, il Cocalo potrebbe

essere già stato rappresentato

CRONOLOGIA

DI

UN

TIROCINIO

49

elle Dionisie 388). Alcuni interpreti trovano strano che il figlio, il quale mise ancora in gara per il padre solo l’Eolosicone, abbia aspettato più di dieci anni per esordire con proprie commedie ; e perciò rifiutano la Suda e attribuiscono il primato dionisiaco del 387 a una commedia di Araros. Vale a dire egli avrebbe esordito, e vinto, non nella olimpiade ror, ma nella 98, anni 387-384. I frammenti dei Fasti, i quali furono incisi in Átene dall'anno 346 in poi, e il materiale di confronto non permettono

di stabilire

se in essi veniva iscritto il didascalo ovvero il poeta. La questione pertanto resta aperta. A rigore si deve ammettere

anche l'ipotesi che Cocalo e Eolosicone siano coagonali, e che di una delle due commedie, quella vincitrice, Araros sia figurato come

autore, dell’altra didascalo.

7. La rantennio die : se la genuini è problema

carriera di Aristofane in cifre. — Aristofane, in un quacirca di attività, avrebbe composto quaranta commecifra è giusta, un sicuro accertamento di quaranta titoli praticamente impossibile. In relazione indiretta a questo ci limitiamo a osservare che l’omissione delle commedie

prime nell’Indice Ambrosiano

è solo apparente : la sigla seconda

esprimeva o era capace di esprimere duplici commedie. Significativo appunto che non manchino mai le commedie seconde. La Pace è lì elencata come Pace pura e semplice, e non è probabile che una Pace seconda sia mai esistita. Delle quaranta commedie aristofanee, cinque furono composte nel triennio del tirocinio (superstiti gli Acarnesı), quattro, e molto probabilmente

altre tre, nel quadriennio

424-421

(superstiti

Ca-

valieri Vespe Pace). Sui quattro + quattro agoni di questo quadriennio, Aristofane, come vedremo,

sembra assente al dionisiaco

del 422 e al lenaico del 421, mentre all'agone lenaico del 422 aveva partecipato con due commedie. Del restante trentacinquennio circa possiamo seguire l’attività di poco più di una diecina di anni (superstiti sette commedie, quelle in corsivo) : anni (423-)418 Nuvole seconde, Lenee 414 Anfiarao, Dionisie 414 Uccelli, anno 411 Lisistrata, anni 411-410 Tesmoforianti, anno 408 Pluto, Lenee 405 Rane, anni 392-391 Donne a parlamento, anno 388 Pluto secondo. Posteriori a questa commedia sono il Cocalo e l’Eolosicone secondo. Pertanto ai trentatré + trentatré agoni degli anni 420-388 Aristofane sarebbe stato presente con venticinque commedie, ché almeno le Nuvole seconde «non furono per una qualche ragione

50

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

rappresentate » (così quell'Argomento VII 4 e altre fonti): un ritmo di produzione piü pacato di quello del settennio 427-421 (dodici commedie). Le graduatorie tramandate dagli Argomenti di Acarnesi Cava-

lieri Nuvole Vespe Pace Uccelli Rane mostrano sempre tre poeti con una commedia a testa. Naturalmente la prassi seguita da Aristofane alle Lenee del 422 non sarà un caso isolato (ved. il paragrafo primo del nostro capitolo sulla Lisistrata). Le notizie di teatro relative al Pluto secondo mostrano che cinque poeti erano in gara nell'anno 388. Cinque poeti, prima degli Acarnesi, ci sono attestati l'ultima volta verso gli anni 430-426, ché una testimonianza epigrafica implica un quarto posto in graduatoria per un poeta comico dopo l'anno 431, un poeta che si era classificato quarto nell'anno 431 : cfr. 1. G. XIV 1097, linee 6 e 5. È proba-

bile che all’epoca dell’esordio di Aristofane nel 427, i poeti, per ragione di economia bellica, fossero già ridotti a tre. Le Donne a parlamento,

sfornite

di

notizie

di

teatro,

manifestano

ai

versi

1158-1159 la preoccupazione di essere state sorteggiate come prima commedia da rappresentarsi. Si era già nel 392-391 tornati ai

cinque poeti?

Chi sa.

Oltre che per le Donne a parlamento, messe in gara nel 392-391, anche per le Tesmoforianti non si ‘sono conservate le relative notizie di teatro. Il testo delle Tesmoforianti è un testo reci-

tabile. Se il testo delle non recitate Nuvole seconde recitabile, Nuvole.

si

domanda

il

paragrafo

terzo

del

sia un testo capitolo

sulle

Le vittoriose Rane, secondo Dicearco, furono replicate. Di ciò e della normale ripresa di vecchie commedie dopo la seconda metà

del

IV

secolo

parliamo

sulle Rane. Il totale dei primati

al

aristofanei

primo

paragrafo

del

capitolo

non ci è attestato

(Eupoli,

autore di poco più di quattordici commedie, riportò sette primati,

a stare alla Suda; due suoi primati lenaici caddero dopo il 424, due dionisiaci dopo il 421): sappiamo con sicurezza di una vittoria dionisiaca nel periodo del tirocinio e di vittorie lenaiche

nel 425, 424, 422, 405. Il primato dionisiaco dell’anno 387 è, come si vide, di problematica attribuzione. Un monumento sincoregico rinvenuto

ad

Eleusi= 7. G.

II?

090 attesta implicitamente una vittoria di Aristofane e di Sofocle, didascali gli autori. È molto verosimile che tale monumento si riferisca ad agoni drammatici in Eleusi: il demotico dei

due sincoregi non è menzionato e pertanto essi saranno apparte-

CRONOLOGIA

DI

UN

TIROCINIO

51

nuti al demo nel quale è stato ritrovato il monumento, e iscrizioni posteriori menzionano due loro nipoti, ambedue di Eleusi (I. G. II? 1186 e 1571 ; in 1. G. II? 1193 è ricordato il figlio del nipote del primo dei due sincoregi). D'altra parte agoni tragici e comici in Eleusi erano usuali (/. G. II? 1186, 1187, 1189, 1192, 1193, 1235; Z. G. II? 3100), e superstiti iscrizioni demotiche co-

regiche sono del tipo della nostra (cfr. per es. I. G. II? 3094-3097, 3099, 3108). La commedia aristofanea può essere una di quelle già rappresentate in Atene (ovvero una da rappresentarsi in Atene, ovvero una rappresentata solo in Eleusi). Il Sofocle vincitore può essere tanto Sofocle padre (poco prima della morte) che Sofocle figlio : i caratteri

del

graffito

possono

l’anno 406. Sofocle figlio esordì in non implica che la sua vittoria in necessariamente posteriore al 396. niese, può aver già concorso fuori Sottoscala

PP.

47-54.

cronologico. — MARTA SORDI,

sostiene

che

i nostri

ben

essere

posteriori

al-

Atene nell'anno 396. Ma ciò Eleusi, se è sua, debba essere Egli, prima dell’esordio atedi Atene 9. « Athenaeum»

Acarnesi

sono

stati

XXXIII

(1955)

rielaborati

dopo

l'autunno del 424 e presentati alle Dionisie 422 o a un concorso non ufficiale degli anni 423-422 ovvero solo pubblicati. Nulla di strano, avverte la Sordi, che Aristofane non abbia corretto i dati che riportavano la composizione degli Acarnesi agli anni 426-425 (la Sordi indica i versi 266 e

890), perché anche nelle rielaborate Nuvole il già morto Cleone figura una volta come vivente. Quel che è certo, rabasi è stata rimaneggiata e che il più volte — cinque volte — eventi Fra i cinque eventi, prendiamo il

assicura la Sordi, è che la vecchia parestante testo degli Acarnesi riflette posteriori all'anno 425. primo e l'ultimo. Il primo è l'amba-

sceria

l'ultimo

persiana di Acarnesi

61-125,

la cannuccia

incendiaria

del

Beota di Acarnesi 920-924. Orbene, osserva la Sordi: la prima e unica ambasceria alla Persia di questo periodo è dell'autunno 425 (Tucidide IV 50), e di un tubo incendiario i Beoti si valsero nell'autunno 424 (Tucidide IV 100). Pertanto quelle due scene aristofanee sono posteriori al 425. La

deduzione

è di quelle che ti mettono

con le spalle

al muro.

Solo c’è da

domandarsi : sui fatti, e i tubi, di Atene e di Grecia è la Sordi altrettanto al corrente di quanto era Aristofane? Quei non tipici eventi che alla Sordi, Tucidide alla mano, risultano posteriori all'anno 425, non si saranno verificati in forme analoghe già prima del 425? Aristofane non era certo ‚um profeta,

come

protesta

la Sordi,

ma

certo lavgrava

chino piü ricca di quella in nostro possesso

su una

(e lavorava

cronaca

anche,

un

po-

arrischia-

moci

pure a dirlo, con un briciolo di creatività comica). E poi, se é possibile provare che Aristofane non era un profeta, é altrettanto possibile provare che egli era un tale cialtrone da non rimuovere

dagli Acarnesi * secondi? non solo i riferimenti al sesto anno di guerra contenuti

nei

versi

266

e 89o,

ma

molte

altre

e forti

incongruenze

cronolo-

CARLO

52

giche?

Qualche

esempio:

PERDINANDO

RUSSO

i) gli Acarnesi

preannunciano

i Cavalieri

del-

l'anno 424, ii) gli Acarnesi parlano dei Babilonesi dell'anno 426 come « della

commedia

dello scorso anno»,

iii) nella parabasi ‘rimaneggiata’

(a causa

del verso 628 I) Aristofane dice che è la prima volta che parla al pubblico di se stesso (ma, se questa parabasi è del 423-422, non aveva già almeno

nei Cavalieri parlato di sé?),

iv) nella ‘ rimaneggiata’

parabasi da quale

altra calurinia cleoniana si difende Aristofane, se non da quella relativa ai Babilonesi?, v) non si difende forse lì Aristofane dall'attacco di Cleone, così come Diceopoli poco prima ai versi 502-503? Invidiamo

alla

Sordi

la conoscenza

del

quarto

libro

di Tucidide ; ma

degli Acarnesi essa ne conosce solo un quinto. Né la tradizione delle Nuvole seconde — una commedia che la Sordi dimostra di conoscere attraverso i manuali e la prefazione della più corrente edizione di Aristofane — le ha insegnato qualcosa. Perché gli Acarnesi sono forniti di notizie di teatro relative alle Lenee del 425? Perché non ci resta nemmeno un frammento

di Acarnesi ' primi’

? Perché tutta la tradizione diretta e indiretta degli

Acarnesi sordi (la quarantunesima commedia aristofanea, dunque...) conosce solo Acarnesi puri e semplici? Allora, la Sordi dirà, si tratta di Acarπερὶ del 425 con varianti d'autore del 424-422. Ma analoghi fenomeni di aggiornamento editoriale sono additabili nelle altre dieci commedie? Per rispondere bisognerebbe leggersele. O si tratterà di Acarnesi del 425 ritoccati per una rappresentazione fuori d'Atene? Ma «l’agone è nel Leneo ν, i signori spettatori sono « Ateniesi ». L'agone è appunto nel Leneo. E perché allora questa passione della Marta Sordi per le Dionisie, sulle quali essa torna a insistere nella chiusa del suo compitino cronosofico ?

NOTE ! Per rinvii non pedanteschi ad agoni precedenti cfr. Vespe 1037-1044, un passo che è discusso nel secondo paragrafo sulle Nuvole. W. SCHMID, Gesch. d. griech. Lit., München 1946, IV p. 179 e p. 181 è uno di quegli interpreti

che definisce lenaici i Banchetianti

di su Acarnesi

1155;

così pure,

implicita»

mente, J. M. EDMONDS, The Fragments of Attic Comedy, Leiden 1957, I Ῥ. 628. * La datazione del Centauro alle Lenee del 426 si deve al laureando WILA-

MOWITZ, Observationes criticae ad comoediam Graecam,

Berolini 1870, pp. 11-13;

ma egli nel ıgıı la ritrattó (ved. Kl. Schriften, I p. 290). Tuttavia il più recente comocronologo (P. GEISSLER, Chronologie d. altatt. Komödie, Berlin 1925, P. 33 e p. 82) assegna il Centauro alle Lenee del 426, didascalo Filonide, di sullo scolio a Vespe 60 già strapazzato dal Wilamowitz e di sul frammento 292. Sul frammento 292 il Geissler scrive: «a causa della menzione di Cleone, il Centauro è sicuramente anteriore al 427 ». Il citato EDMONDS, p. 649, assegna il Centauro alle Dionisie 425, ma rifiuta il frammento 289, come già R. CANTARELLA,

invoca

Aristofane,

il frammento

stofanea

Δρᾶμαίτα)

Le

Commedie,

292,

perché

Milano

inclina

stimolata dal Μέγα

1949,

I

a pensare

Δρᾶμα

Il

Cantarella

a un'unica

p.

commedia

di Ione

157.

di Chio,

morto

non

ari-

entro

l'anno 422, stimolata cioè da una tragedia dal titolo molto stravagante. In ogni caso, la datazione di questo Dramma non è possibile : lo stesso Cantarella par che pensi anche all'anno 403. Si compiacciono della diversione mito-

logica del tirone Aristofane Lit.,

Bern

1957,

p. 404,

ScHMID, IV p. 184

per.citare

8 Interpreta bene ol; ἡδὺ κτλ.

e A. LESKY,

Gesch.

d. griech.

solo i trattati maggiori.

A. WILLEMS,

Aristophane,

Paris-Bruxelles

1919, I p. 393. «Im Dionysostheater 1, e «on this spot» per ἐνθάδε figurano nei commenti alle Nuvole di W. S. TEUFFEL - O. KAEHLER, Leipzig 1887? e di W.J. M. STARKIE, London 1911; ma ved. già le Nuvole di G. HERMANN, Lipsia 1830, p. XXVI. Sui drammi greci come opere da teatro e non come

opere da tavolino si sofferma il paragrafo 2c degli Acarnesi.

4 Da ultimo il già citato GEISSLER, p. 5 e p. 11, e già, fra gli altri, H. ÖLLA-

CHER, Z. Chronol. d. altatt. Kom., p. 110, in « Wien. Studien » X XXVIII (1916) pp. 81-157. Il nuovo frammento dei Fasti è stato pubblicato e commentato

da E. Capps in « Hesperia» XII (1943) pp. 1-11. 5 Qualche dubbio in GEISSLER, p. 5: «i Babilonesi premio;

medie conservateci». CHER, p.

ricevettero

il

primo

ma il poeta non si pronuncia su questo successo, perlomeno nelle com101

E dove

sg., riconosceva

doveva

pronunciarsi?

che la parabasi

Nel Pluto?

degli Acarnesi

Anche

implica

ÖLLA-

solo una

54

CARLO

buona

affermazione

Il WiLAMOWITZ,

dei

FERDINANDO

Babilonesi.

Lysistrate,

Berlin

RUSSO

Ciononostante si decideva 1927,

p.

41,

rinvia

per

al Geissler

la vittoria.

e scrive : « bi-

sogna ora riconoscere che i Babilonesi furono vittoriosi: la testimonianza della Lista infatti è decisoria, schlägt durch». L'EDMONDS, che apre la sua edizione comica del 1957 con il motto «I will go back to the Country of the Young», è tanto candidamente retrogrado che ignora il nuovo frammento dei Fasti pubblicato negli Stati Uniti nel 1943 (e certo di dominio pubblico anche nella sua dedicataria Cambridge University Library) e seguita a collocare le prime vittorie di Ferecrate e di Ermippo nel 433 e nel 429. In questa lussuosa edizione provoca qualche sgomento anche la tavola cronologica finale. Non meno ministra di sgomento è l'altrettanto novissima trago-comocronologia di F. STOESSL in « Enciclopedia dello spettacolo», Roma 1957, IV cc. 726-733. Eccone un florilegio, ma solo per i primi e gli ultimi anni della carriera del solo Aristofane, con in parentesi le * pezze d'appoggio’ stoessliane : Banchettanti lenaici (scolio Nuvole 529 [evidentemente citato per i! secondo posto in graduatoria ; ma qual è allora la documentazione sull'agone

' lenaico'

della

commedia?

I non

citati

Acarnesi

1155?

Ma.1),

Ba-

bilonesi vincitori (Liste dei vincitori) Dionisie 422 Nuvole seconde (Argomento Nuvole), Dionisie 420 Pace seconda (Arg. Pace), Dionisie 4or Aristofane vincitore (Dittenberger, Sy//.3 1083). L'articolo dello Stoess! fa parte della voce

Feste dionisiache,

voce aperta e chiusa da colonne

altrettanto mostruose

sulle

Dionisie e Lenee e sulle Antesterie. Il tutto concluso da una selvaggia Bibliografia a cura della Redazione. E' tanto forte la superstizione nella vittoria dei Babilonesi. che gli interpreti che ritengono senz'altro lenaici i Banrhettanti, come

da

ultimo

lo

Stoessl,

non

si sono

nemmeno

domandati

se

Aristofane

non

abbia già primeggiato alle successive Dionisie del 427. * Così l'Argomento III del Piuto. Per le tre operazioni relative al didascalo o al poeta-didascalo, cfr. rispettivamente : a) Acarnesi 11 (un passo sul quale avremo occasione di tornare), b) Vita Sophoclis 14 e Aristide Rhet. 1e2, €) Aristide cit., Plutarco M. 785b, Alcifrone Ep. IV 18, 16, Ateneo 241f, eccetera. Acarnesi 1224 possono alludere alla terza operazione. Da Platone, Leggi 817d, risulta che i drammaturghi, per ottenere il Coro, sottoponevano all'arconte un testo delle loro opere. Evidentemente era il didascalo, se il poeta non era anche didascalo, a curare anche questa operazione, la quale doveva avvenire molto per tempo: ché l'arconte eponimo, entrando in carica all'inizio dell'anno attico, subito sceglieva i coregi (Aristotele, Resp. Ath. 56). ? Cfr. anche Nuvole 549. In relazione al periodo del tirocinio, bisogna anche considerare che in un'epoca dove la concorrenza si era fatta più serrata (sei poeti e non dieci), un commediografo esordiente avrà a maggiore ragione preferito affidare la propria opera a un didascalo già apprezzato : la Suda χορὸν

δίδωμι

e lo scoliaste della Repubblica

platonica

383c rilevano che «non

tutti

i poeti tragici e comici ottenevano un Coro, ma solo quelli εὐδοκιμοῦντες xai δοκιμασϑέντες ἄξιοι». Un indizio questo, se si vuole, a sfavore di Babilonesi

vittoriosi. 1952

gale ».

p.

È M. PoHLENZ,

113 Sulla

n. 36, data

che di

Aristophanes' Ritter,

interpreta

nascita

di

πάλαι

« Nachr. Ak. Wiss. Góttingen»

«anche

Aristofane,

come

dopo è

aver

noto,

raggiunto non

l'età le-

si possono

che

fare delle ipotesi: la via meno imprudente è quella di attenersi alla Suda (lo scolio a Rane 501 ruo essere un'interpretazione di Nuvole 530). W. HELBIG. Quaestiones scericae, Diss. Bonn 1861, p. 23, deduce da Cavalieri 542-543 che il tirone Aristofane fu coreuta e poi corifeo, e da Pace 761-762 che fu attore in qualche sua commedia. 8 Sul significato del rapporto fra Aristofane e i suoi didascali, specie nel

CRONOLOGIA

DI UN

TIROCINIO

55

periodo del tirocinio, il problema é rimasto sempre aperto, nonostante il rigoroso articolo di K. ZACHER, Διὰ Καλλιστράτου, in « Philologus» XLIX (1890) PP. 313-337. Per Egina e Aristofane ci si fonda, come è noto, sulla prima spiegazione congetturale dello scolio a Acarnesi 654, una spiegazione alla quale sembra che si riallacci lo storico locale Teogene, fr. 2 Jacoby IIIB (con relativo commento, Leiden 1955, p. 8). Cleruchi ateniesi in Egina sono attestati

con l’anno 431, e perciò i moderni preferiscono pensare al padre di Aristofane, Filippo.

Per la vaga richiesta degli Spartani

139.

primo paragrafo delle



Nel lo

sscoliaste

di

Pluto

relativa ad Egina,

cfr. Tucidide

I

Vespe si esamina la definizione che di Filonide

179.

3 Bene giudica l'iscrizione sincoregica eleusina H. HOFFMANN, Die Chronologie d. att. Tragódie, Hamburg 1951, pp. 49-52 (la Dissertazione, di prim'ordine, ἐξ inedita). A. KORTE, « Gnomon » XI (1935) p. 635, riferisce, come altri interpreti, l'iscrizione a agoni ateniesi (dell'anno 401); ma sulla sincoregia in

Atene

ved. il nostro capitolo sulle Rane.

Come in 7. G. II* 2321 si possa vedere

addirittura una vittoria di Aristofane, io non mentazioni di CANTARELLA, I p. 163 sg.

vedo : vedi in proposito le argo-

GLI

ACARNESI

I. «Il concorso ha luogo nel Leneo ». La prima vittoria. — Del Leneo quale distinto teatro delle commedie lenaiche parla il capitolo 7 due teatri di Aristofane, e lì.da ultimo si ricorda proprio un passo che polemicamente rileva non esservi stranieri fra il pubblico degli Acarnesi, ma solo Ateniesi, e che «il concorso ha luogo nel Leneo ». L’Argomento I 37-40 reca : (τὸ δρᾶμα) ἐδιδάχϑη ἐπὶ Εῤϑύνου ἄρχοντος ἐν Ληναίοις διὰ Καλλιστράτου “ xai πρῶτος ἦν - δεύτερος Κρατῖνος Χειμαζομένοις, οἵ οὐ σῴζονται | τρίτος Εὔπολις Νουμηνίαις. La vittoria

degli Acarnesi

sembra

fane, a inizio del terzo anno

la prima

riportata

da Aristo-

della sua carriera : ché il primato

dionisiaco attestato dalle Liste dei vincitori, se sono giuste le con-

siderazioni del paragrafo quinto del precedente capitolo, non dovette cadere nell’anno 426, ma nel 425, due mesi dopo il primato con gli Acarnesi. 2. Aristofane e Diceopoli. — Didascalo degli Acarnes: fu Callistrato. Oggi non incontra quasi più alcun credito la supposizione che ogni riferimento soggettivo degli Acarnesı riguardi la persona del didascalo della commedia e non già quella del suo effettivo ma non ufficiale autore. Incontra invece oggi qualche attenzione la nuova

e radicalmente

opposta

supposizione

che

Aristofane

in

persona abbia interpretato la parte del protagonista Diceopoli, Δικαιόπολις. È sembrato indicativo non solo che il protagonista parli con Babilonesi

grande e

degli

naturalezza Acarnesi,

in prima ma

che

persona

quale

autore

dei

δικαιόπολις

sia

l'epiteto

in

Pindaro P. 8,31 proprio di quell’isola Egina dove, secondo il corifeo acarnese,

avrebbe

stanza

il poeta.

Il nome

Δικαιόπολις cioè,

accanto al suo primario significato, intenderebbe suggerire 1’ ἡ Egineta ', Aristofane,

Aristofane

oggi primo

attore della commedia

!.

60

CARLO

Ma perché mai, e con

FERDINANDO

RUSSO

quali speciali e distinguibili effetti, sotto

la maschera di Diceopoli — e sia pure dell' ' Egineta ' —, sotto la maschera del Δίκαιος περὶ τὴν πόλιν (ved. il paragrafo succes-

sivo), deve esserci stato necessariamente

Aristofane?

Le uscite

cosiddette extradrammatiche di un personaggio che s'identifica con il poeta, non é che siano plausibili solo perché pronunziate

dalla voce

del poeta-attore.

Se il poeta,

poi, deve

difendersi

e

polemizzare, ogni personaggio ruba il mestiere al corifeo della pa-

rabasi e diventa esplicito portavoce del drammaturgo : cosi lo schiavo prologante delle Vespe 55-66 dopo lo scacco delle Nwvole, così il polemico portavoce del noto frammento 471. Gli attori aristofanei recitano sia come personaggi verosimili — all’inizio degli Acarnesi il protagonista si presenta agli spettatori come ex-spettatore teatrale —, sia come attori puri e semplici — quasi tutte

le volte

che

si rivolgono

esplicitamente

al pubblico

sono

attori —, sia anche come ‘ poeti '. Come la commedia incorpora e drammatizza anche elementi extrascenici e extradrammatici (ne parleremo

al paragrafo

quarto),

così l’attore-personaggio

con

la

più grande naturalezza passa a parlare anche come attore-poeta, reminiscenza forse del tempo quando il poeta era anche attore: e qualche

volta

l’attore distinguerà

questi

‘strappi’

con

un

di-

verso stile recitativo. Nelle Vespe 648-649 il corifeo invita Schifacleone a pronunziare un discorso contro la malattia dei tribunali, e quel personaggio risponde : « è un’impresa difficile, che richiede comici

una forte intelligenza, più di quanto ne abbiano i poeti (τρυγῳδοί), quella di guarire una malattia cronica conge-

nita alla città. Tuttavia... ». Qui negli Acarnesi le uscite ' extradrammatiche

di Diceopoli

sono particolarmente sensibili e personalistiche, perché dettate dall'esigenza di commentare una concezione drammatica e scenica: l'esigenza di apertamente significare agli spettatori che il

vecchio contadino oggi perseguitato e processato sulla scena dagli Acarnesi allude all'Aristofane calunniato e perseguitato ieri da Cleone a causa dei Babilonesi. Perché quel personaggio, per qual-

che tempo allusivo e per un po' anche identico ad Aristofane, non portà

di

certo

la

maschera

fisionomica

di

Aristofane,

e il suo

nome, se allude davvero all' ' Egineta ', puó essere apprezzato soltanto dagli ascoltatori più informati : quel nome Δικαιόπολις, che

GLI

ACARNESI

61

noi già leggiamo in testa al prologo degli Acarnesı e anzi già nella lista dei personaggi, gli ascoltatori lo sentono per la prima volta al verso 406, dopo il principale scarto ' extradrammatico ' ; e di Egina si parla solo nella parabasi, laddove per la prima volta nella sua carriera Aristofane parla di se stesso agli spettatori, spintovi appunto dal bisogno di difendersi dalle calunnie di Cleone. Un incidente quello tanto grave, che il Coro acarnese, senza attendere la parabasi, si fa subito portavoce anticleoniano del poeta (299-302 : lo stesso stile della stretta parabatica 659-664). Aristofane anche corifeo? Si diceva poco sopra che certi strappi personalistici dovevano

essere contraddistinti da un diverso stile recitativo. Se si osservano i trimetri 377-382 si nota subito uno stacco da quelli precedenti : mentre 370-376 sono senza soluzioni, i trimetri in questione, a parte il 382, ne hanno, e il 380 e il 382 sono cesura, Il 383 e il 384 sono di nuovo insoluti ®.

privi di

2b. Identità dei personaggi in Aristofane. — Per il protagonista degli Acarnesi è più utile piuttosto domandarsi perché il suo nome

cada così tardi e cada proprio lì. Quel nome è estremamente parlante. Per portare acqua al proprio mulino, il critico che fa di Aristofane il primo attore degli Acarnesi osserva che gli aggettivi in -πολις non sono applicati a persone, ma a contrade, a Stati. Tuttavia proprio in Pindaro Ol. 2, 8 ὀρθόπολις è attributo di Terone

«che

ben

regge

lo Stato»,

e φιλόπολις

si considera

implici-

tamente in Pluto 901 il personaggio siglato nei manoscritti come Δίκαιος, e così via. E

Δικαιόπολις,

meglio che il « Cittadino

Giu-

sto », vorrà più espressivamente significare il Δίκαιος περὶ τὴν πόλιν, il Giusto verso la città, quegli che rende giusta la città, l’uomo modello per tutta la città (cfr. 971). Come Aristofane, nei Babilomesi, «arrischió di parlare agli Ateniesi il linguaggio della giustizia » e sempre «difenderà nelle commedie la causa della giustizia », e «la giustizia sarà mia alleata e mai io sarò còlto ad agire come Cleone verso la città, da codardo e da arcifinocchio » —

così il corifeo acarnese in 645,

655, 661-664 —,

così Diceopoli

è oggi sulla scena il personaggio che dice e che conosce « il giusto » (317, 500 sg., 562; cfr. Cavalieri $10 che può alludere anche a Diceopoli), mentre l'usuale programma della. commedia è quello

62

CARLO

FERDINANDO

di dire «cose utili », χρηστά. Per caso?

RUSSO

Il suo nome

parlante

cade

al 406.

O non sarà perché quel personaggio, in scena dall'inizio della commedia, si è poco prima identificato con l'autore dei Babilonesi, appunto nei versi 377-382, con il poeta accusato di « sbeffeggiare

nelle commedie accusato

da

la città e d'insultare il popolo » (Acarnesi

Cleone

di

ἀδικία

εἰς τοὺς

πολίτας

come

631),

informa

lo

scolio al verso 378, di essere cioé tutto fuorché giusto verso la città? E non sarà inoltre perché poco dopo Diceopoli, chiesti gli stracci di Telefo a Euripide, é protagonista di una tragicommedia della giustizia,

e non,

come

nei Babilonesi,

contro imprecisati individui di Atene

« contro

la città », ma

(cfr. il passo 496-518)?

Il

suo nome programmatico, ormai noto al pubblico, potrebbe quindi anche voler compensare il raggio della polemica. E sarà anche un caso che Diceopoli non risponda nulla al Servitore euripideo che

gli chiede «chi sei ? » (395), e invece aspetti ancora qualche minuto per invocare ad altissima voce Euripide con un Δικαιόπολις καλῶ σ᾽ ὁ Χολλήδης ἐγώ Proprio Euripide, il poeta di Telefo « giusto » e il poeta-padre di eroi ywàol. La prassi aristofanea nella presentazione dei nomi parlanti o resi parlanti sembra escludere una casualità. Tali nomi o cadono

con

un

certo

ritardo

e seguitano

coerentemente

a ' parlare ' in

quella direzione e talvolta si arricchiscono anche di nuove allusioni, ovvero, se cadono non troppo tardi o subito, ‘ parlano’ prima apparentemente in un modo e poi in un altro più profon-

damente

significante.

E il nome

parlante più o meno

ritardato

non è di norma, a partire da quello del protagonista degli Acarnesi, un nome storico, mentre l’apparente sdoppiamento della personalità nominale viene eseguito di norma con nomi storicamente consumati. Per Agoracrito dei Cavalieri c’è l'uno e l’altro giuoco, il giuoco vale a dire di Nuvole (Fidippide) Vespe Uccelli Pace Donne a parlamento da una parte, e dall’altra il giuoco di Cavalieri (Paflagone) Nuvole (Strepsiade) e Lisistrata. Ai protagonisti degli Uccelli vengono dati due nomi solo al 644-645 ; nelle Vespe 133-134 i nomi dei non ancora attivi protagonisti cadono alla conclusione di una vera e propria rappresentazione scenica indiretta di loro gesta, e cadono con effetto, dopo

una lunga preparazione : la clausola del 133, Φιλοκλέων,

veniva di

GLI ACARNESI

63

certo bene scandita e distinta (cfr. 77), ché il Servitore soggiungeva, dopo uno sguardo al pubblico divertito: « proprio così, per Zeus» (134a) Ma il Servitore prologante della Pace non farà il nome del suo padrone Trigeo : costui, in scena dall’ 82, si decide a dichiarare il proprio nome al 190, su richiesta del portinaio

celeste : né uomo

«sono ' Vendemmiatore ', vignaiuolo di qualità, né spione di mal affare ». Al termine della commedia egli ‘ ven-

demmia ' sì, ma una bella fanciulla che si chiama Fruttidora

1339-1340). fabbricato vallerizzo.

Il nome

Φειδ-ιππίδης

cade

in Nuvole

(Pace

67, anzi viene

dopo che il giovane era stato caratterizzato come caQuando quel nome cade per le ultime due volte, al

1143 e al 1229, è il primo elemento del composto che ' parla’: il padre s'illude che il figlio ex-cavallerizzo e ora sofista sia il suo * salvadanaio '. E Fidippide, già chiomato e ben impomatato come un cavallerizzo, ora esce dal pensatoio con la chioma lunga e sporca dei sofisti ὑπὸ τῆς φειδωλίας (cfr. Nuvole 835). Anche il nome della protagonista delle Donne a parlamento non viene bruciato anzi tempo : il nome cade al 124, e si potrebbe quasi dire che per un fato nominale Prassagora scompare precocemente dalla scena, ché poi è l’Agora il luogo extrascenico che Prassagora deve stabilmente governare (cfr. 711-716). La prassi del nome parlante

ritardato é osservabile, in miniatura, anche per i personaggi che hanno solo una particina : il Bifolco degli Acarnesi, per esempio, si nomina

al 1023

mente : «ho

dopo

una

diecina

di versi, implorando

perso gli occhi a piangere

sui bovi;

ma

tragica-

se cura tu

hai di Δερκέτης Φυλάσιος [anche il demotico sembra parlante], di pace, presto, ungimi gli occhi ». Forse quel personaggio così poco « Occhiuto » portava una maschera particolare. Il nome Paflagone invece cade subito al 2 (il personaggio apparirà al 235), e dovrebbe essere quello puro e semplice di uno Schiavo, di uno schiavo di origine straniera ; ma il nome non paflagoneggia, e « bulica » solo al 919. Naturalmente la voce bulicante dell’attore doveva aver fatto già capire il perché di quel nome apparentemente storico : a chi non lo avesse capito il poeta lo spiega,

e ci si diverte. Il protagonista delle Nuvole

è anonimo

fino al 134, nonostante tutte le confidenze che egli finora ha fatto agli spettatori. Quando cade, il nome Strepsiade provoca una risata : ché chi porta quel home storico altisonante nobile pinda-

64

CARLO

rico, un nome

FERDINANDO

RUSSO

che genera una soluzione nel severo verso, é solo un

contadino che ha parlato finora di debiti e dell'infelice matrimonio con una nobildonna. Ma poi il nome viene spiegato al 1455 come « Eversore della giustizia », e il significato era già chiaro dal 434 in poi. Fra le commedie superstiti, per la sola Lisistrata gli spettatori sono già a conoscenza, attraverso il titolo, del nome della presumibile protagonista (diverso il caso del personificato Pluto nel Piwto): e così quel nome cade senza indugi al verso 6, ma

gli spettatori non lo interpreteranno subito come « Scioglieserciti », tanto più che il molto diffuso nome storico Lisistrato era fra l’altro il nome di un personaggio ateniese spesso ricordato da Aristofane, un personaggio famosissimo per vizi, gracilità fisica e viltà. Per ora quindi la protagonista, fornita di un nome tipicamente maschile, potrebbe essere una femmina che si distingue per eccezionale energia maschile e prestanza atletica (il suo nome cade in combinazione con un χαῖρ᾽, ὦ KAeovixn, probabilmente allusivo al famoso filatletico ὦ καλλίνικε χαῖρε : cfr. Cavalieri 1254) : e non c'era naturalmente bisogno che essa portasse una maschera più o

meno somigliante a quel Lisistrato. Ma al secondo e più profondo significato si allude, e proprio con un richiamo a Lisistrato, al culmine dell’azione in 1105 (ma vedi già 554); e il richiamo a Lisistrato è malizioso in quanto è espresso da un Lacone, e i Laconi eran dei famosissimi pederasti. Il Salumaio dei Cavalseri solo

al 1257

si chiamerà

Agoracrito, dato che si è dimostrato un

ignobile piazzaiolo. Agoracrito è nome storico di un personaggio del tempo, e naturalmente di valore positivo. Il nostro Agoracrito, quando il suo nome viene ripetuto dopo la seconda parabasi, è diventato un galantuomo, il migliore agoreta di Atene (cfr. 1335, 1373). Per i nomi non parlanti di protagonisti o di personaggi di rilievo, la prassi di presentazione è diversa. Un nome storico cade subito, a parte quello di Clistene che cade una cinquantina di versi più tardi (ma cfr. Tesmoforianti 574): Euripide, Socrate, Ierocle, Metone, Cinesia poeta, Agatone, Eschilo, Lamaco. Lamaco dal nome anche « battagliero », e perciò molto risuonante sulla

scena degli Acarnesi e pure della Pace, personaggio, ma dove, fra l’altro, un nisce alla fine comie Figlio di Lamaco di 473). L’immediata denominazione

ove egli non appare come fanciullo bellicoso si defi(1290, cfr. 1293 e il giuoco dei personaggi storici non

GLI

ACARNESI

65

sarà sempre casuale, ché qualche volta, come in Tesmoforianti 4, vorrà aiutare gli spettatori a subito individuare l'approssimativa maschera fisionomica, perché appunto gli spettatori non si vengano a trovare, diciamo cosi, nella situazione del Parente di Euri-

pide che non aveva mai visto in vita sua il poeta Agatone, e che quindi non era in grado di riconoscerne la maschera (cfr. Tesmoforianti 30-34, 97 sg.; l'inverso in Cavalieri 230-234).

Anche nomi comuni cadono subito : ma lo « schiavo » e

il « pa-

drone » del secondo verso del Pluto restano anonimi fino al 624 e al 336 (ma Cremilo potrebbe essere nome parlante) ; nelle Tesmo-

forianti, quegli che ne sarà il protagonista con il subito individuato Euripide, lo si qualifica come Parente di Euripide al 74, e la anonimia qualifica

è intenzionale (cfr. 584 e 861) ; e anche la ritardata

è certo

calcolata,

così come

è calcolato

l’espressivo

ri-

lievo alla sua maschera di « vecchio » dato al verso 63 dopo i versi 59-62. Tra la trentina di personaggi individuata come lui con un certo o con grande ritardo, spiccano pertanto Diceopoli, Agoracrito, Strepsiade, Trigeo, Pistetero e Evelpide, Prassagora, Carione e Cremilo. I restanti personaggi aristofanei non anonimi, una quarantina, sono denominati una diecina di versi prima o

dopo la loro entrata. I personaggi

anonimi

identificabili Eracle,

Eaco

sono

una

ottantina : fra

e Plutone

nelle Rane,

di

essi

sono

i servitori Nicia

e Demostene nei Cavalieri. Ma il caso di questi due specialissimi servitori è diverso : col loro nome storico non potrebbero naturalmente

venir

chiamati,

data

la concezione

della

commedia,

e

non si dà loro nemmeno un nomignolo : essi porteranno una maschera più o meno fisionomica, chiarita agli spettatori da un dialogo che pullula di allusioni alle loro persone. Il collega Paflagone

non ha maschera

fisionomica. Tutti

gli altri personaggi che sono

anonimi, lo saranno per ragioni stilistiche : quasi sempre perché non vale la pena di dare un nome a persone fugaci o insignificanti o categoriali (fra queste anche una serie di « donne » o « vecchie » nelle commedie ' femministiche ’), o perché è meglio non farne il nome : forse il primo Ambasciatore degli Acarnesi rimane anonimo perché tutta quell’ambasceria della Persia è su un piano

irreale. Nelle Donne a parlamento e nel Pluto certuni rimangono nell'anonimato

per chiare

ragioni

allegorico-gnomiche.

66

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

2c. Cenni sulle sigle e sui testi di teatro. — L'anonimia di certi personaggi, la ritardata identità di molti, l'intreccio di alcuni dia-

loghi senza apostrofi nominali e cosi via, sono naturalmente fenomeni legati alla rappresentazione, cosi come gli insufficienti o chiaramente mancanti avvertimenti scenici: costumi, maschere, mimica, decoro scenico mettevano subito a suo agio lo spettatore.

Jean Andrieu, dopo una indagine paleografico-filologica su tutti i testi dialogici dell'antichità, di recente ha bene e tecnicamente ribadito che il testo di un dramma classico è intrinsecamente destinato

allo

spettatore,

e ha

aggiunto

che

il drammaturgo

non

pensava mai anche al lettore contemporaneo : e perché non aveva inserito nel corpo del dialogo molti elementi per il lettore indispensabili,

e perché,

del tutto indifferente

al destino libresco del

suo dramma, non li doveva avere esternamente integrati nella copia per la libreria: in quel testo sarà figurata soltanto la distinzione diacritica delle battute, e mai una sigla nominale dei

personaggi né una nota scenica ?. Senza

dubbio

Aristofane,

per

fare

un

sol nome,

non

scriveva

pensando anche a lettori, ma nel pubblicare o nel lasciare pubblicare un presumibile testo del genere non é che mostrasse indifferenza nei riguardi della sorgente biblioteca contemporanea : alla quale, prima o poi, fu fornito anche il testo delle non recitate Nuvole

seconde.

L’esatta

distinzione

delle

battute,

l'espressività

stilistica e scenica del dialogo, la verosimigliante naturalezza nell'apparizione dei personaggi, e infine la pratica con l'arte scenica contemporanea, mettevano la non larga e specializzata cerchia di

lettori contemporanei

(in pratica, letterati e artisti) in grado di

decifrare quel nudo testo, inteso come economica

trascrizione di

una dizione scenica. Quei lettori non erano afflitti dal problema dell’identità di certi personaggi o del loro aspetto, neanche per commedie come le Donne a parlamento e il Pluto dove inespressività del dialogo e diversa prassi nell'apparizione dei personaggi possono far talvolta smarrire, ma solo un lettore di epoche successive (senza considerare che lo smarrimento puó essere provocato da corruzione o perdita di segni diacritici e da guasti ben più gravi). Lo stesso Jean Andrieu sa bene, ché ne fa sempre avvertiti,

fratore,

essere

e sa

il

bene

lettore

che

antico

proprio

un

lettore

la successiva

attivo,

un

introduzione

deci-

delle

GLI

sigle segnó un mutamento intellettuale. E

poi

il testo

ACARNESI

67

di disposizioni

aristofaneo,

come

psicologiche

fu concepito

nella vita

e finché

restò

vivamente parlante e musicalmente e figurativamente evocativo, era e restò un testo non siglando, anche perché non sempre e esplicitamente siglabile dato il gran numero di personaggi ano-

nimi e di personaggi intenzionalmente a lungo anonimi. Platone, che scriveva

solo

per dei lettori,

non

siglò di sicuro

i suoi

per-

sonaggi, nemmeno quelli dei dialoghi drammatici : nelle Leggi anzi costruì il dialogo in modo tale che il lettore gradualmente arri-

vasse a scoprire e scenario e esatta identità degli interlocutori. Le nostre edizioni che si precipitano a siglare subito nominalmente

i personaggi platonici e a preannunciare lo scenario non sono amiche né di Platone né della verità. Come lo spettatore « non deve

subito udire tutto quello che fra poco vedrà con i suoi occhi » (Tesmoforianti 5 sg.), così pure il lettore antico veniva lasciato ingenuo. E anche il testo platonico non si presterebbe sempre a essere siglato, ché il tipo di alcuni personaggi non è nettamente definibile, e a distinguere i personaggi omonimi provvede lo stile, Anzi per i testi greci dialogici è lo stile proprio di quel genere letterario, e per quel genere letterario via via sempre più perfezionato, che rende superflue le sigle, o meglio che non spinse lo scrittore a inventare un sistema di sigle nominali. Si diceva che il testo per la libreria era inteso come trascrizione di una dizione scenica. Una trascrizione apparentemente

‘ fedele ', e non aggiornata per la libreria : il testo pubblicato delle Donne

inseriti

a parlamento

registra anche

all’ultimo momento

prima

i versi

1154-1162

che furono

della rappresentazione

e che

ormai erano stati superati dal verdetto dei giudici teatrali : versi che

disturbano

dei

lettori,

l’azione scenica,

anzi

erano

versi

nel caso che la commedia duatoria

delle Donne

non

ma

che non

destinati

sono

sgradevoli

a diventare

più

per

maliziosi

non fosse stata bene accolta (la graè conservata).

In una parte della tra-

dizione bizantina delle Nuvole seconde è ancora presente un ΧΟΡΟΣ o un XOPOT

dopo

il verso

888, che

significava

un

canto

corale

non pubblicato o meglio non più scritto, ma necessario sulla scena come intermezzo temporale per gli attori : le Nuvole seconde, come è noto, non furono recitate, ma anche per dei semplici lettori

68

CARLO

quel ΧΟΡΟΣ

FERDINANDO

RUSSO

o quel ΧΟΡΟΥ͂ erano opportuni ; e quei lettori non si

trovavano imbarazzati davanti a un'apparente sigla nel testo di una commedia dai regolari canti corali. Quei lettori e quelli di alcuni secoli successivi non erano indotti a interpretare XOPOZ o XOPOY come sigle, e pertanto disturbanti (e nemmeno nel testo delle Donne a parlamento e del Pluto, sul quale ci fermeremo a

suo tempo, dove quelle indicazioni non erano seguite da canti corali) : ché il testo che essi avevano a disposizione era tutto non

siglato : anche

quello

corale,

verosimilmente.

Se un drammaturgo fu spinto mai a inventarsi un sistema di sigle durante il suo lavoro, dovette pensare magari a un sistema di sigle algebriche per gli attori. Ché di attori sapeva di potere disporre solo di pochi, e non tutti di uguale bravura o categoria. Per l’autore e per il didascalo la valutazione artistica e il calcolo delle parti era di primaria importanza, e anche agli attori

interessava avere sott'occhio un manoscritto che indicasse rapidamente

i loro progressivi interventi quali

non siglate, o altrimenti siglate, andavano

© maschere ’ : le parti al Coro.

Queste

molto

presumibili sigle algebriche, a carattere categoriale e di valore funzionale, non parve necessario introdurle anche nell’economica edizione per la libreria, ché esse eran legate alla sola rappresentazione scenica. Il papiro 1176 della Società Italiana, papiro anteriore all'anno 60 dell'era volgare, attesta tali sigle per la commedia nuova (e tali sigle, sembra, figurano già nel papiro Hibeh 180 degli anni 270-240), e non è improbabile che esso prosegua una tecnica di più antichi esemplari scenici — esemplari destinati a scomparire —,

sarà

una

tecnica

che,

come

è noto,

in campo

latino

invece tipica delle edizioni per la libreria del IV secolo *. Tali sigle algebriche si addicevano molto bene agli attorimaschere dei commediografi : anche a quelli di Aristofane si sarebbero addette molto bene. Non solo Aristofane ha di regola un corpo di personaggi maggiore che la tragedia, ma ha una grande folla di personaggi-tipo, e pochi personaggi storici e mitici. Una sigla algebrica per il primo, secondo, terzo attore, e l'indicazione della maschera era ció che occorreva nell'esemplare per il teatro. E.anche gli spettatori, per i principali personaggi non storici o mitici della commedia, dovevano rimanere più durevolmente impressionati dalla maschera e dal tipo. e dalla voce che non dal

GLI

nome invece stesso altri, tifone

ACARNESI

69

proprio che apprendevano quasi sempre con ritardo, mentre avran saputo quali erano gli attori ingaggiati. Aristofane ama rievocare al pubblico i personaggi, creati da lui o da attraverso descrizioni tipologiche ovvero immaginose : « Il e l'uragano », «Il canne-aguzze », «I brividi e le febbri »,

«Il virtuoso

e l’invertito »,

«una vecchia

ubriaca, che

Frinico ha

inventato per primo », «il Paflagone conciapelli » (Cavalieri 51r, Vespe 1031 e 1038, Nuvole 529, 555, 581). E se anche per la commedia, come per la tragedia, sarà esistito un proagone pochi giorni prima della rappresentazione, in quell’occasione i nomi non storici e non mitici dei personaggi non saranno stati comunicati al pubblico, ché più dei nomi interessavano magari descrizioni immediate del tipo sopra riferito. É al proagone attestato per la

tragedia

(e, a rigore, solo per le tragedie di agone

dionisiaco),

gli attori si presentavano senza maschere. Eran gli attori che incuriosivano, il primo, il secondo, il terzo attore. Quegli attori che il drammaturgo doveva aver siglato algebricamente nel suo manoscritto e nel manoscritto per il teatro ®. Invece le pressoché sistematiche sigle nominali nei manoscritti bizantini (a parte quelle saltuarie in papiri dei secoli III e seguenti) sono l’espressione di una civiltà editoriale dalla consapevole missione libresca e di una civiltà che aveva una vita teatrale radicalmente diversa. I primi alessandrini non dovevano, in genere, aver già sentito il bisogno di interpretare i segni diacritici, e magari avranno tentato di integrare o correggere quelli che nel frattempo si erano perduti o corrotti, e al massimo avranno redatto una lista dei personaggi: i testi di teatro erano per gli alessandrini

ancora

di ricercare

le notizie

nimo,

sull’eventuale

discretamente

Di

segni

di Aristotele

didascalo

stabilirne la colometria,

vitali, e essi si preoccuparono

e sulla

sull’agone,

sull’arconte

graduatoria

dei poeti,

epoe di

e così via *.

diacritici gli esemplari

giunti

a Bisanzio

talvolta essere sforniti o mal forniti : a ciò, o anche a

dovevano ciò, si deb-

bono mancate o false divisioni del dialogo nei loro manoscritti. Moltissimi segni diacritici, soprattutto per inabilità di interpretazione scenica, furono tradotti con sigle false, e molti furono onorevolmente lasciati muti. Talune sigle sono troppo sapienti : Cefisofonte

negli Acarnesi,

Nicia e Demostene

nei Cavalieri,

Mnesi-

79

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

loco nelle Tesmoforianti, ma alcune sono acutissime come quelle per Cavalieri 234 e Uccelli 267 (fuorché il codice di Ravenna).

Gli scolî trascritti dai bizantini in margine alle proprie edizioni sono spesso in discordia con le sigle da loro preferite, e spesso hanno ragione gli scoliasti. Ma interpretazioni scenotecniche e sceniche di questi scolî, non riflettono se non raramente trale

e arte

scenica

dell’Atene

del

V

e IV

secolo,

civiltà tea-

ma

piuttosto

quella di teatri e spettacoli contemporanei allo scoliaste : per es. i macchinosi enciclemi, le gabbie da galli battaglieri per i due Ragionamenti,

e certa

nomenclatura

come

πάροδος

per

εἴσοδος,

παραχορήγημα, e così via. Aspetto di antichità non hanno neanche le sette annotazioni sceniche interlineari di alcuni manoscritti bizantini : le passeremo in rassegna a suo tempo, come via via

passeremo in rassegna i principali scolî scenotecnici e scenici. Nelle nostre edizioni critiche le liste e le sigle, beninteso, sono tollerabili e poco male se non vengono espresse in latino o se non figurano fra parentesi angolari: l’essenziale è che i lettori non siano indotti a pensare che le sigle ' giuste ' rappresentino almeno un restauro congetturale delle sigle che Aristofane omise di apporre nella copia per la libreria, ma che premise in quella copia in una lista iniziale dei personaggi (questa è l’opinione di Victor

Coulon, I p. XXXI).

Piuttosto accanto alle nostre liste un con-

trassegno dovrebbe sempre indicare a quale degli attori a disposizione poteva essere affidato il personaggio elencato, e questo contrassegno andrebbe magari ripetuto accanto alle sigle allorché il dialogo si fa in qualche modo complesso o delicato. Tali contrassegni, ben più delle sigle nominali, ricorderebbero ai lettori, con qualche vantaggio per la critica testuale e drammaturgica, qual è l’economia, la prassi e la qualità degli attori in Aristofane : in Cavalieri 234 e 1254, Nuvole 886-892 e 1102-1112 e così via, tali contrassegni avrebbero reso più prudenti e più responsabili gli interpreti. E fu certo la interpretazione della tragedia

greca

come

opera

‘letteraria’,

teatro regolata, come vedremo,

degli

attori,

che

dettò

e non

già

come

opera

da una sintassi artistico-economica

la successiva

teoria

estetica

di

strutture

drammatiche a tre personaggi e non di più. Ma alcune sigle sono senz'altro illegittime : le sigle, personaggi

dal

nome

parlante

di

volutamente

ritardato.

dico,

Nessuno

dei si

GLI

ACARNESI

71

azzarda ad anticipare al verso 150 la sigla Agoracrito per il pro-

tagonista dei Cavalieri (ma poi, per fedeltà al meccanico siglatore bizantino, quasi tutti lo seguitano a siglare come Salumaio anche dopo il verso 1257) ovvero a siglare come Figlio di Lamaco un Fanciullo della Pace, cosi le sigle Diceopoli Strepsiade Fidippide Trigeo eccetera è comodo sì anticiparle queste, ma l'apparato in tali casi deve segnalare il verso donde si é ricavata la precoce antiartistica sigla. E una tale segnalazione dovrebbe essere concessa anche a personaggi come Prometeo negli Uccelli, Povertà e Pluto nel Pluto, che nascondono inizialmente la propria identità agli altri (e agli spettatori). Di nuovo una conferma che il testo aristofaneo non è tecnicamente siglando. Una sigla nominale prematura,

per fare un esempio

di diverso genere,

divisioni del dialogo : per aver siglato, Servitore

delle

Vespe come

Sosia,

ha indotto

fin dal primo

certe nostre edizioni,

a false

verso,

un

e già al- .

cuni esemplari prebizantini, dividono amebeicamente i versi 74-85,

dato che al 78, nel corpo di una battuta, viene apostrofato Sosia. Ma questo Sosia è uno spettatore immaginario, come mostra il vivace contesto. Che anche il Servitore si chiami Sosia risulta solo dal verso 136. Nei codici neanche l’ombra di un segno diacritico. E Sosia, poi, non era ancora, in quell'epoca, nome esclusivamente e tipicamente servile. Ancora un esempio : alcuni editori moderni, gli oxoniensi per esempio, seguono il codice di Ravenna siglante con XOP. i canti di Tesmoforianti 104 sgg., e pertanto aggiungono nella lista dei personaggi un « Coro di Agatone », e questo Coro di Agatone è interpretato dal più recente, e anch'esso oxoniense, trattato sugli agoni drammatici come un coro supplementare. Ma quello, come già notarono gli scoliasti, non è né un coro né un coretto, ma è Agatone che prova, cantando solo solo, le proprie composizioni melodiche ancora imperfette. E anche mettere nel testo, come fa il Coulon, un ὡς Χορός fra pudiche

parentesi tonde, é improprio. Basta identificarti allora attraverso il tuo

Euripide in Tesmoforianti

il testo, canto?»

il metro: «devo fa il Parente di

144-145 ad Agatone che non si vuole

qualificare ?. La dichiarazione della precocità di alcune sigle nominali sarebbe certo, nelle nostre edizioni, un’espressione di rigore piutto-

sto formale ; un rigore più sostanziale esprimerebbero

invece le

72

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

sigle graduate per i personaggi-attori, e così pure uno svelto apparato — ma piü vario e significante di quello teubneriano per Menandro — di essenziali proprietà teatrali intrinseche-estrinseche che integrano-regolano il testo tramandatoci. A interpreti che tengono attivamente presenti tali proprietà, capita infatti di restaurare o confermare il testo in maniera appropriata, ovvero di illuminare solidamente le trame espressive di una concezione arti-

stica che fu integrata-regolata da quelle proprietà. Per esempio, per stare ad Aristofane e ai piü recenti contributi, chi si rende conto come il pio Nicia pronunci solennemente

il sacro βρέτας a clausola di Cavalieri 32, non metterà poi in bocca del maliziosamente stupito Demostene un βρέτας ; = aggiunte, | |= parti traslocate, () = soppressioni superstiti, [] = soppressioni, Ι. dposizione originaria delle parti traslocate: 1-70

(1257-1260)

[471-855] 86-786a

1261-1364 [ ]

(786b-795)

1365-1410

| 895-1098 |

| 895-1098 |

1099-1251

[1411-1533]

796-894

(1252-1256)

Già la sola tabella diacritica mostra che la riforma fu eseguita con mezzi economici, tanto é vero che le riforme attive consistono

solo in un centocinquanta versi : cioè 71-85, 786b-795, 1257-1260, 1411-1533, e di questi solo una trentina sono destinati al personale coreutico. Fra le riforme passive colpisce, per la sua estrema

economicità,

la traslocazione

della grossa scena

895-1098:

una

316

CARLO

PERDINANDO

RUSSO

traslocazione operata, per giunta, senza il minimo ritocco armonistico. E ritocchi armonistici non vennero eseguiti neppure altrove : neanche in relazione alla scena soppressa fra 1364 e 1365,

ché di essa rimase non solo il preannuncio 799-801 ma anche una sensibile eco in 1366-1372. La riforma delle Rane, evidentemente, fu regolata dall’urgenza. Le Rane Aristofane le fece rappresentare al concorso lenaico del 405, cioè alla fine di gennaio o ai primi di febbraio. All’inizio dell'estate 406 il nuovo arconte era entrato in carica con il consueto compito, fra gli altri, di curare sollecitamente l’organizzazione dei concorsi drammatici di gennaio-febbraio e di marzoaprile (cfr. Aristotele Costituzione degli Ateniesi 56). Sofocle, come si sa, morì sotto Callia, arconte appunto dall'inizio dell’estate 406 alla fine della primavera 405 ; e il testo più o meno definitivo delle commedie o il loro canovaccio sarà stato accettato dall’arconte (cfr. Platone Leggi 817d) nell'autunno, o anche all’inizio dell'inverno. Il testo più o meno definitivo o un canovaccio: in verità la preferenza di Aristofane per le Lenee e non per le più

tarde Dionisie di marzo-aprile, può implicare che le Rame erano ormai a buon punto (la Pace, 421,. mostra di essere stata del 422), e che la necessità di presentata. Sia quel che sia, quando

non

poterono

rappresentata nel marzo-aprile del progettata non prima dell'ottobre una loro riforma non si era ancora i ‚ quella necessitä si presentö,

essere riformate

che con

una

certa

le Rane

urgenza.

Ma

spettatori e giudici, anche perché erano al corrente che Sofocle era venuto da poco a mancare, non dovettero essere per nulla

disturbati dall'urgente essenzialità di quella riforma. Anzi con quella tempestiva e significativa riforma, Aristofane salvó la sua commedia.

E la salvò cosi bene, da confondere i lettori moderni.

2. La replica delle « Rane ». Le « Rane» e la pubblicazione dei drammi. — Le Rane furono messe in scena da Filonide alle Lenee del 405, e superarono le commedie coagonali di Frinico e di Platone (cfr. Argomento I 36-38). E anche Frinico dovette aggiornare la propria commedia, che s'intitolava alle Muse: «beato Sofocle, mori dopo lunga vita, uomo felice e savio, compose molte e belle tragedie, ebbe una bella morte e un male non lo conobbe

LE RANE

317

mai ». E l'elogio funebre di questo frammento implica che Sofocle non figurava fra i personaggi delle Muse. E non solo le Rane ottennero il primo premio, ma ebbero, a quanto risultava all’aristotelico Dicearco, l'eccezionale onore di una replica. Quando, Dicearco non dice: ma evidentemente la

replica dovette essere curata, già solo per ragioni tecniche economiche amministrative, dagli stessi attori e coreuti, dallo stesso corego e dallo stesso didascalo della prima rappresentazione ; e sarà avvenuta nell'ambiente agonistico maggiormente propenso ad accogliere l'eccezionale replica di una commedia, e di una commedia lenaica in particolare : e questo non poté essere l'ambiente rigoroso e complesso delle primaverili Dionisie, ove per giunta

la commedia

era in sottordine

(e non si dimentichi che per gli

spettacoli delle Dionisie del 405, come risultava ad Aristotele presso lo scoliaste di Rane 404, si dovette ricorrere alle finanze di d ue coreghi). Insomma, a parte l'eloquenza del silenzio di Dicearco, le lenaiche Rane furono ripetute nell'ambito della medesima amministrazione delle Lenee del 405, davanti al medesimo pubblico, da-

vanti ai medesimi giudici. E il nuovo spettacolo sarà stato praticamente identico a quello giudicato degno di vittoria e di replica ?. Che le Rane siano state pubblicate con i non recitandi versi 1252-1256, può indicare che il loro testo non venne minimamente riconsiderato dopo la rappresentazione. A proposito : alcuni moderni lettori analitici, come già alcuni filologi alessandrini, operano delle espunzioni nel tratto 1437-1466 delle Rane. Ma stabilirà men peggio il testo, chi tenga presente il fine e il modo con i quali vennero redatti i versi 1411-1533: in quel nuovo finale, da una parte Aristofane fu tenuto a presentare anche Euripide quale poeta eventualmente utile agli Ateniesi, e a farlo di conseguenza parlare piuttosto seriamente ; dall'altra parte Aristofane vergò le carte dell'improvvisato finale in maniera certamente piuttosto grezza e avventurosa, sicché esse

poterono

essere suscettibili di venir in seguito

mal pubblicate.

L'essenziale, per Aristofane, era di aver condotto bene in porto, cioè in teatro,

la sua

commedia.

La pubblicazione libraria delle commedie ebbe sì luogo prima

o poi,

ma

non è

detto che sia stata predisposta

o sorvegliata

318

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

dall'autore. Aristofane, per esempio, quando rinunciò verso l'anno 418 al progetto di presentare in teatro le Nuvole seconde, in tutti gli anni seguenti lasció incompiuto il testo di quella commedia ; e quando nell'anno 392 condusse in porto le Donne a parlamento, non si preoccupò poi di eliminarne i versi 1154-1162

che aveva improvvisato poco prima dello spettacolo, e che ormai erano stati superati dal verdetto dei giudici teatrali (e quei versi, come vedremo, sembra che siano stati pubblicati in un punto

che non si addiceva loro). Sembrerebbe dunque che la pubblicazione libraria delle commedie sia avvenuta su esemplari che non erano stati più riveduti dall'autore dopo il concorso o dopo la rinuncia al concorso : su esemplari, insomma,

che non erano stati

tecnicamente predisposti dall'autore per una trascrizione libraria. Naturalmente molti specialisti, per ragioni di lavoro, si procu-

ravano versioni scritte delle opere di teatro, e c'era perfino chi si copiava un brano del pessimo tragediografo Morsimo (Rane 151):

Aristofane, dell’Elena

per esempio,

si sarà procurato

e dell’Andromeda

per

parodiarle

subito un esemplare puntualmente

nelle

Tesmoforianti dell'anno dopo, e il Dioniso delle Rane 52 racconta che a bordo

della nave

egli si leggeva

l'Andromeda.

Ma

che

le

esigenze del drammaturgo e del pubblico determinassero una larga e influente circolazione libraria dei drammi nell'Atene del V secolo e che gli spettatori delle Rane avessero fra le mani le opere di Eschilo e di Euripide e che il successo librario delle Nuvole seconde rispetto alle Nuvole si spieghi solo nel caso che le abbia pubblicate Aristofane in persona, tutte queste sono affermazioni del Wilamowitz : il quale, in questa occasione, confondeva il V se-

colo avanti Cristo con il XIX secolo dopo Cristo. Va bene che di un dramma si aveva una sola rappresentazione in Atene,

presenti

e va bene che non tutti gli interessati potevano

a quello

spettacolo.

Ma

repliche

non

ufficiali

essere

di certi

drammi saranno state usuali, in Atene e fuori di Atene : « Socrate

andava

di rado nei teatri,

ma

quando

Euripide

nuove tragedie, ci andava », riferisce Eliano

competeva

con

(Varia storia II 13).

È invece inverosimile che in un'Atene dalla vita teatrale annualmente intensissima e sempre esigente di novità, un drammaturgo

contasse sulla sorgente libreria contemporanea per fare più puntualmente apprezzare al grande pubblico la sua opera già rappre-

LE

RANE

319

sentata e già giudicata : un'opera, per giunta, che era stata concepita per un'occasione e per un giudizio agonale, e per essere integrata da un'interpretazione scenica. Dopo l'insuccesso delle Nuvole, Aristofane non ripiega sulla libreria ma la via del teatro con le Nuvole seconde.

tenta di nuovo

La circolazione scritta dei drammi era così insignificante nel V secolo, che quando un drammaturgo moriva, moriva praticamente anche la sua opera : solo l’opera di Eschilo non muore, per-

ché per quella lo Stato ateniese decreta ufficiali rappresentazioni postume *.

3. Sull'economia bipartita delle « Rane » e su alcune conseguenze artistiche della loro riforma. — Le Rane, commedia di normale estensione e con normale parabasi mediana, negli ultimi settecento

versi sono regolate da tre medesimi personaggi e alla fine da un quarto minore (Eschilo, Euripide, Dioniso ; Plutone), e non hanno mai una diversione scenica : neanche nella prima parte degli Uccelli e neppure

in una commedia

massicce e costanti dimensioni

come

i Cavalieri si hanno

tali

recitative e una tale immobilità

scenica. Delle Rane è anche singolare che tre di quei quattro per-

sonaggi siano personaggi nuovi, e che due di essi — Eschilo e Euripide — siano personaggi protagonistici rispetto a Dioniso, il quale, travestito ora da Eracle ora da schiavo, era stato il pro-

tagonista della commedia fino alla parabasi. Dal prologo alla parabasi

‘ Dioniso’

.

era stato costantemente

affiancato da un personaggio molto attivo — il suo schiavo Santia —, e via via erano entrati nell'azione più di una mezza dozzina di personaggi molto vari, per non dire del coretto delle Rane e del

coro degli Iniziati (integrato temporaneamente da personale extracoreutico). L'arte scenica dal prologo alla parabasi si era distinta per mobilità e vivacissima varietà e per illusionistica estemporaneità,

lievità.

e le strutture

Nella

prima

recitative

si erano

parte

avventuroso

un

distinte

per

e vario

scioltezza

viaggio

e

da

Atene fin entro la casa di Plutone per opera di ‘ Dioniso ' e Santia (1-673) : radice di questo viaggio è una mania di ‘ Dioniso’ per

il morto Euripide e per le sue frasette spericolate

(cfr. 52-106).

Nella

artistica

seconda

parte

una

molto

complessa

gara

fra

Fschilo ed Euripide per il trono tragico infernale, giudice il non

320

CARLO FERDINANDO RUSSO

più ambiguo Dioniso (814-1410 ; per il finale 1411-1533, ove appare anche Plutone, ved. il primo paragrafo) : una gara artistica preannunciata dopo la parabasi per mezzo di un dialogo fra Eaco

e Santia, cioè i due Servitori di Plutone e di Dioniso (738-813). Radice di questa gara artistica è la mania dei malandrini dell'Ade per Euripide e per i suoi sofismi (cfr. 771-786a). Dopo la parabasi i due Servitori, che nel resto della commedia non sono più attivi,

ragguagliano sull'esito retroscenico dell'ultima scena prima della parabasi (738-744 — 628-673). Le due parti delle Rane sono dunque regolate da una differentissima materia,

da un’antinomica arte scenica e recitativa, e

da un duplice corpo di personaggi (eccetto Dioniso, il quale tuttavia nella prima parte nasconde quasi sempre la propria identità). La seconda parte è introdotta da un ‘prologo’ che all'inizio ha carattere di raccordo (ed un raccordo o meglio un preludio èl’elevatissima parabasi, e del Coro cfr. già i versi 354-358), e che è opportunamente curato da due personaggi già attivi subito prima della parabasi : anzi l'uno, Santia, era stato il protagonista complementare di tutta la prima parte della commedia, l'altro, Eaco, era stato il personaggio infernale più rilevante dalla fine della parodo alla parabasi 5. La spregiudicatezza con la quale Aristofane giustappose e abilmente raccordò due organismi artistici così diversi e praticamente autonomi, può essere un indizio del problema drammaturgico che

gli dovette porre la rappresentazione di un confronto fra Eschilo ed Euripide

nell'Ade

alla presenza di un giudice:

un confronto,

come ammettono implicitamente anche Rane 1109-1118, in sé e per sé molto ambizioso e arduo da un punto di vista teatrale. Nella impossibilità, dunque, di sceneggiare e di drammatizzare questo dibattito e giudizio artistico, Aristofane sembra

che abbia

voluto

compensare in anticipo gli spettatori con un grande spettacolo, mosso e vario. Uno spettacolo che sceneggia a lungo un viaggio : e la sceneggiatura di un viaggio è un'impresa quanto mai rilevante in un'opera di teatro (ne parleremo al quarto paragrafo). Il prolungamento del viaggio per l'Ade viene già avviato nel prologo : Dioniso-Eracle, che voleva raggiungere l'Ade per la via

più breve (118, cfr. anche 127-128), sceglie invece una via lunga (136). Non

solo;

ma

quando

finalmente

i due

viandanti

battono

LH RANE

321

alla porta di Plutone (460, cfr. già 431-436), allora fanno di tutto per non farsi riconoscere. Sicché i due, ben diversi dai due solleciti viandanti del prologo degli Uccelli, prendono contatto con Plutone molto tardi, e neanche di propria volontà. « Avrei voluto che tu ci avessi pensato prima [a portarmi da Plutone perché

egli riconoscesse che io sono un dio], avanti di darmi le botte » (672-673) : con questa maliziosa battuta dell'ambiguo Dioniso si chiude appunto

la prima parte della commedia.

E verso la fine

del prologo metaparabatico, dedicato fin dal verso 757 al ragguaglio sulla clamorosa contesa fra Eschilo ed Euripide, Santia domanda a Eaco all'805: «e chi mai giudicherà tale contesa? ».

Eaco:

«questa era la cosa difficile, dato che Eschilo ed Euripide

trovavano che c'era carestia d'intenditori: e perché Eschilo con gli Ateniesi non andava d'accordo, e perché gli altri li considerava incapaci di discernere il genio dei poeti. E cosi si rivolsero al tuo padrone, poiché egli é esperto dell'arte. Ma rientriamo in casa, perché quando i padroni fanno sul serio, a noi toccano le botte ». « Questa era la cosa difficile », qui stava il problema da quando

era scoppiata la contesa dopo la morte di Euripide (cfr. 771-780) : trovare un giudice

nell'Ade,

e un giudice gradito anche al

difficile Eschilo. Ma sul nome di Dioniso finalmente

Eschilo si è

trovato

che

d'accordo.

Tali

coscienziose

considerazioni,

cadono

proprio alla fine del prologo metaparabatico e che vengono accettate da Santia senza nulla eccepire, intendono significare agli spettatori la necessarietà del nuovo e serio ruolodi quel personaggio fino a poco fa spensierato e instabile, e che per giunta era disceso nell'Ade per Euripide. Insomma l'avventura nell'Ade della prima parte della commedia riceve quasi una giustificazione funzionale, . perché la presenza nell'Ade di quel forestiero — che finalmente

si è fatto riconoscere come Dioniso nel corso della parabasi

(cfr.

738-742) — risulta ora provvidenziale per distinguere chi sia migliore poeta fra Eschilo ed Euripide: i quali fra breve faranno la loro prima apparizione in scena impersonati dagli attori fino a

poco fa impegnati nei ruoli di Santia e di Faco. I. instaurazione di un autentico Dioniso quale equanime giudice di arte tragica (egli ora indosserà di certo un nuovo costume), mostra che la motivazione proeuripidea del viaggio nell'Ade data nel corso dei versi 52-106 del prologo, era una motivazione ade-

322

CARLO PERDINANDO RUSSO

guata al provvisorio protagonista della prima parte della commedia. Una motivazione, si noti, sulla quale durante il viaggio e l'avventura nell'Ade non si insiste da parte di Dioniso (a parte il richiamo allusivo del 311 — 100; interessante il 359 del Coro, che potrebbe alludere anche ad Euripide : cfr. 1085 e 1521). Una motivazione,

d'altra parte, che era in verità

maliziosa nei confronti

di Euripide : tanto è vero che le frasettine euripidee per le quali ‘ Dioniso’ andava pazzo e per le quali diceva di affrontare il viaggio nell'Ade, egli le deformava di continuo, cioè le criticava (cfr. 96-103, 105). E se alcuni spettatori non capivano che ‘ Dioniso' criticava amabilmente il suo Euripide nel momento che diceva di ammirarlo, c'era stato Eracle ad avvertirli al verso 104: «ma non sono altro che buffonate, e la pensi così anche tu ». Piuttosto il protagonista si era compromesso seriamente per

Euripide nei versi 71-85, cioè nei nuovi versi delle Rane mate : lì non

solo,

parlando

come

coscienzioso

patrono

rifordi

arte

drammatica, egli aveva giudicato Euripide quale « poeta bravo », ma si era lasciato anche attribuire il fermo proposito di un'ana-

basi dall'Ade con Euripide — e non già con Sofocle (di Eschilo non si parla!) — nell'interesse del teatro tragico di Atene. E se molti lettori,

a cominciare

in pratica

dal bizantino

Thomas

Ma-

gistros («invece di riportare su Euripide, Dioniso chiede che venga istituita una gara fra Eschilo ed Euripide »: cosi l'Argomento III 6-7, p. 274 Dübner), hanno avvertito un'incongruenza fra il Dioniso che nel prologo si compromette per Euripide e che si propone di risuscitarlo nell'Atene deserta di buoni poeti e il Dio-

niso che poi accetta di fare il giudice di Eschilo e di Euripide per il trono tragico infernale, ció é dovuto proprio al peso e al rilievo che hanno i nuovi e molto impegnativi trimetri 71-85: i quali sono tali che mettono in ombra il lieve e malizioso contesto circostante, e sono tali che anche rendono un po' meno plausibile — almeno per dei lettori — la lunga e spensierata avventura nell'Ade dalla fine della parodo in poi (460-673). E dei lettori dovrebbero essere anche colpiti dal fatto che il Dioniso cosi seriamente proeuripideo dei trimetri 71-85 del prologo, verso il termine del primo confronto artistico fra i due poeti approvi e appoggi vigorosamente l'aspra requisitoria antieu-

ripidea di Eschilo (cfr. 1065-1098). E per giunta quel Dioniso ora

LE

RANE

323

così antieuripideo, nel corso delle tre successive e particolaristiche gare di 1119-1410 si mostra in complesso comicamente imparziale ovvero

si atteggia

a bonario

protettore

di Euripide

(come

già in 830-891), e non esprime mai un giudizio. Ma questa disarmonia non si aveva nelle Rane originarie : e non solo perché in esse i trimetri 71-85 erano assenti, ma perché quella condanna artistico-politica di Euripide cadeva molto tardi, verso la fine della commedia : il dibattito epirrematico 895-1098, come si è visto al primo paragrafo, seguiva infatti a breve distanza le non risolutive gare di 1119-1410. L'anticipazione del dibattito epirrematico provocó altri inconvenienti. Nei dibattiti epirrematici aristofanei colui che prende per primo la parola, come fa Euripide al 907, sarà quegli che esce sconfitto dal dibattito.

grado

In pratica,

di prevedere sempre

quindi,

gli spettatori sono in

l'esito di un dibattito epirrematico.

Poco male. Ma nel caso delle Rane, ove i due rivali appaiono in scena all’830, non è bene che gli spettatori prevedano già una

sconfitta

di Euripide

nel dibattito generale

sull’arte tragica,

e

che comunque Euripide venga praticamente liquidato nel tratto 1065-1098. Questa previsione e questa precoce constatazione tolgono infatti interesse drammatico alle gare di 1119-1410, per giunta già preannunciate in 862a e in 797. Va bene che nei Cavalieri al dibattito epirrematico 756-940 perso dal Paflagone seguono

due confronti minori: ma nei Cavalieri questi due confronti vengono via via implorati dallo sconfitto Paflagone, e si conchiudono sempre con una sua sconfitta ; e poi la catastrofe dell'ignobile Paflagone per opera di un rivale più ignobile è implacabilmente regolata da un oracolo, un oracolo noto agli spettatori fin dal

prologo battito

(e non si dimentichi che nei Cavalieri al risolutivo diepirrematico

si giunge

dopo

cfr. Cavalieri 303-456 e 475-690). il decisivo dibattito epirrematico, risolutive, risulta precoce già solo drammatico (e qua tralasciamo di

due

scontri

non

risolutivi :

Insomma nelle Rane riformate seguito com'è da tre gare non da un punto di vista puramente indicare tutti i singoli e tecnici

punti che mostrano che i versi 895-1098 presuppongono i versi 10991410, e che questi dipendono strettamente dal contesto 860-894).

Per non dire della sua precocità ideologica, e quindi della tardività ideologica delle scene 1099-1410. E l'anormalità ideologica

324

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

nonché drammatica di questa progressione era stata avvertita perlomeno da Max Pohlenz : egli nel 1920 si diceva insoddisfatto di una gara. artistica che da argomenti generali passava ad argomenti

particolari,

e che

non

si concludeva

con

una

discussione

sull’influsso etico delle tragedie, perché una tale discussione era atta a determinare la sconfitta di Euripide. E questa era proprio la progressione delle Rane originarie, cioè quella preannunciata dallo stesso Euripide in 862-864: τἄπη + 1099-1247, τὰ μέλη + 1248-1364, «à νεῦρα χτλ. + 895-1098 (fra 1364 e 1411 le due scenette con la misurazione e la pesa dei versi, preannunciate da

Faco in 797-801). E questa originaria progressione — due vagli su aspetti formali, senza un giudizio da parte di Dioniso ; due verifiche tecnicistiche, con acritici responsi meccanici dei quali uno favorevole a Euripide e uno a Eschilo; un ampio vaglio su aspetti artistico-etico-politici, con un giudizio finale di Dioniso contrario a Euripide (895-1098) — è più atta a far cogliere la posizione di Aristofane nei riguardi della poetica tragica. Il terzo punto

del programma

proposto

da Euripide

merita

una particolare illustrazione. Nel corso dei versi 911-979 Euripide morde il meccanismo

(911-9242) e l'aspetto espressivo e tematico-

etico delle tragedie di Eschilo (924b-938, e cfr. poi 961b-963) ; quindi, dopo un rilievo sulla preliminare cura dimagrante e raffinatrice alla quale egli dovette sottoporre la Tragedia lasciatagli da Eschilo (939-944), illustra il meccanismo (945-947, ma cfr. anche 948-950) e l'aspetto espressivo e tematico-etico delle proprie tra-

gedie (948-979).

Euripide ha osservato dunque il proprio preannuncio di parlare dell'altrui e della propria πόησις (907-908), e in particolare

ha osservato il programma di 862b-864 : δάχνειν... τὰ νεῦρα τῆς Τραγῳδίας καὶ νὴ Ala τὸν Πηλέα γε καὶ τὸν Αἴολον καὶ τὸν Μελέαγρον κἄτι μάλα τὸν Τήλεφον, di mordere «i fili della Tragedia » e anche (καὶ... ye), perdio, la materia, la tematica e l'etica tragica : quella materia che Eschilo gli aveva rinfacciata in 842, 846, 849-850, e che sarà l'unico cavallo di battaglia di Eschilo in 1008-1088. Eschilo infatti, al quale stanno

a cuore le φύσεις ποητῶν

(810),

si disinteresserà completamente dei «fili della Tragedia » e avrà qualche osservazione formale solo in 1060-1064.

LE

RANE

325

Τὰ νεῦρα τῆς Τραγῳδίας sono i fili che muovono la Tragedia, che la fanno

funzionare : Eschilo,

secondo

la critica di Euripide,

non sa muovere i personaggi, ché li tiene a lungo in scena seduti e muti e quando si decide a farli parlare, li fa parlare in maniera incomprensibile (911-927), mentre Furipide i suoi personaggi li

sa far funzionare, sicché i suoi drammi sono bene impiantati (945-950). Eschilo insomma non sa tirare i fili della Tragedia, e perciò i suoi personaggi non sono che degli immobili manichini (cfr. 911-913) e le fondamenta dei suoi drammi sono inconsistenti, sconnesse (cfr. 923, 945) : Eschilo appunto è ἀξύστατος, « sconnesso »,

come diceva il sofistico Fidippide in Nuvole 1367. In Platone,

Leggi 644e, si allude

a marionette

tirate da νεῦρα

ἢ σμήρινϑοι, da nervi o da fila, come diranno i Latini. ᾿Αγάλματα νευρόσπαστα già in Erodoto II 48, oi νευροσπάσται in Aristotele Mondo 6. Τὰ νεῦρα τῆς Τραγῳδίας e simili dovevano dunque essere espressioni correnti nell'ambiente teatrale.

Ma

l’appropriata

interpretazione dei νεῦρα è sfuggita ai moderni, non solo a causa dell'anticipazione che nelle Rane riformate subi il dibattito epirrematico, ma anche perché gli interpreti non hanno riconosciuto nei due trimetri 863-864 la seconda parte del terzo punto del programma agonistico : cioè la materia, l'aspetto tematico-etico della tragedia. E quello era il punto che determinava l'aspra requisitoria antieuripidea di Eschilo, e la condanna artistico-politica di Euri-

pide da parte di Eschilo e di Dioniso ®. Nonostante la grande anticipazione subita dal dibattito epirrematico, nelle Rane riformate i versi 1491-1499 riecheggiano nettamente la sostanza della requisitoria artistico-etico-politica di Eschilo. Quella requisitoria non cessò pertanto, fondamentale e decisoria

com'era,

d'influenzare

perlomeno

un

luogo

della

nuova

chiusa ; anzi l'antistrofe 1491-1499, nel menzionare «gli aspetti fondamentali dell'arte tragica », s'industrió di offrire un qualche

serio fondamento all'immotivato esito antieuripideo della gara politica nella chiusa delle Rane riformate

(cfr. 1468-1478).

4. Il viaggio e il paesaggio delle « Rane ». La riforma scenica della commedia. — Nel corso del prologo e della delle Rane si svolge un lungo viaggio in un paesaggio via via nuovo: Dioniso e Santia percorrono il tragitto Atene —

e l'arte parodo sempre casa di

326

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

Eracle — palude — bolgia di tenebra e fango — terra di mostri — pianura fiorita, e infine giungono dinanzi alla casa di Plutone (1-459). La progressiva sceneggiatura di un viaggio e di un paesaggio, quale quella delle Rane, é un caso unico nel superstite dramma antico. In Aristofane uno spettacolo viatorio con mutamento di ambiente scenico si ha solo nella Pace, ma non si puó dire che li si abbia una graduale sceneggiatura : infatti Trigeo, a metà del prologo, si trasferisce velocemente dalla terra al cielo con un artifizio meccanico-paratragico (il racconto del ritorno ‘ a piedi’ sulla terra, Pace 819-841, potrebbe essere invece la cellul: di una sceneggiatura comica di un viaggio terra-cielo). Negli Uccelli vi è all'inizio un

breve

e intenso

spettacolo

viatorio,

ma

si

tratta di un movimento che avviene in un paesaggio precostituito ; e parimenti precostituito e il paesaggio nel quale avvengono le marce

corali

d'ingresso

in Acarnesi,

Lisistrata

e Donne

a parla-

mento. Piuttosto è nella parodo delle Vespe che si ha una qualche sceneggiatura di una marcia in un parziale paesaggio estempo-

raneo —

il terreno fangoso

dell'orchestra per giungere

alla già

nota casa di Filocleone —, sebbene l'esempio più insigne di un Coro che afferma un paesaggio estemporaneo è di nuovo una singolarità delle Rane. L'unicità del caso delle Rane in tutto il superstite dramma antico — dai drammi frammentari, compreso il Gerilade aristofaneo, non si può ricavare nulla — sarà naturalmente casuale ; ma va da sé che uno spettacolo viatorio ha una sua propria dimensione artistica e che pertanto, specie in un'opera di teatro antico, il drammaturgo é tenuto a escogitare di continuo situazioni e immagini capaci di significare e di evocare con intensità il movimento e il paesaggio, e capaci anche di far inavvertitamente progredire, ma sempre in maniera appropriata, quel particolarissimo e difficile spettacolo. Insomma la prolungata sceneggiatura di un viaggio e di un paesaggio é un'impresa ambiziosa, e un drammaturgo l'avrà affrontata solo nel caso di un'esigenza pre-

cisa nell'economia generale del suo dramma. vide all'inizio del paragrafo precedente, La prima stazione dei due viandanti l'ultima la casa di Plutone nell'Ade, e . case ha per paesaggio una palude, una

E questo, come

si

é proprio il caso delle Rane. é dunque la casa di Eracle, il lungo tragitto fra le due bolgia di tenebra e fango,

LE

RANE

327

una terra di mostri, una prateria fiorita. Mentre la facciata scenica rappresenta stabilmente una casa — è presumibile infatti che la medesima casa sia attribuita a Eracle e poi a Plutone —, il mu-

tevole paesaggio intermedio è illusorio, e viene affermato e evocato nell'orchestra da linguaggio didascalico e da un'intensissima azione drammatica. Ai fenomeni più meravigliosi di questa azione drammatica gli spettatori vengono preparati dalle predizioni di

Eracle sulle avventure del viaggio e sul paesaggio (137-163 + 179459), e a queste predizioni spesso si richiamano i due viandanti come

per

appoggiare l’instaurazione

estemporanea

dello spetta-

colo (182, 275, 279, 319). L'unico fenomeno non predetto da Eracle è il concerto delle rane, e questo lo preannuncia Caronte (205-207).

La casa di Eracle viene raggiunta nel tratto iniziale 1-34, durante un dialogo che trae spunto dall'asino sul quale cavalca il

servitore. Giunti di fronte alla porta di Eracle, « prima meta del viaggio » (cfr. 36-37), il padrone

ordina

allo schiavo di scendere

dall'asino, e in seguito dell'asino non si parla più : evidentemente lanimale viene portato via da inservienti teatrali. Anche negli Uccelli il breve spettacolo viatorio iniziale è regolato dalla trovata dei due uccelletti-bussola, i quali volano via non appena i due

emigrati hanno raggiunto la loro meta (Uccelli 1-91). Nelle Rane, i due viandanti agiscono al principio più come teatranti che come personaggi drammatici, ma sempre con battute pertinenti a uno

spettacolo viatorio in commedie altrui (1-18). Fra i tre commediografi presi di mira risuona per primo il nome di Frinico, il quale era in gara alle medesime Lenee con le Muse. Il personaggio

che

viene

apostrofato

al primo

« padrone », dichiara al 22 di essere Dioniso.

verso

come

L'esplicita dichiara-

zione è necessaria, perché il personaggio non è riconoscibile come

Dioniso : egli ha sì tratti dionisiaci come i coturni e la crocota, ma sulla crocota indossa una pelle di leone, e ha una clava (46-47). Egli

insomma,

come

dirà lui stesso in seguito,

impersona

Eracle

(cfr. 108-109), perché basta la clava e la pelle leonina per sembrare Eracle (cfr. 495-503, 58r, 589-593), nonostante i coturni (cfr. 556-557). Nella seconda parte della commedia il non più ambiguo personaggio indosserà naturalmente un costume adatto

per. Dioniso

quale

dio del teatro.

eracleo, ‚dal quale traggono

Si noti che il travestimento

origine le avventure

dalla fine della

328

CARLO

FBRDINANDO

RUSSO

parodo alla parabasi, non ha alcuna rilevanza nei precedenti incontri con il Morto, con Caronte e con gli Iniziati (un'allusione a Dioniso-Eracle in 298). Agli Iniziati Dioniso-Eracle si presenta neutralmente come un «forestiero » (433), così come si mantierie neutro quando le rane ricordano i loro canti in onore di Dioniso e quando gli Iniziati invocano Iacco. Poco dopo la sosta presso la casa di Eracle — la sua casa sarà da pensarsi in Atene o nei pressi, ché il testo non implica mai una sua ubicazione eccentrica (cfr., per es., 127-129) —, appaiono in scena un Morto e dei necrofori diretti all'Ade (170-177). Questa breve scena vuol plasticamente suggerire che siamo già in ambiente preinfernale. Infatti Dioniso comanda : « andiamo in cerca della barca» (preannunciata da Eracle), e a quelle parole estremamente didascaliche ‘risponde’ una battuta che è tipica di un nocchiero (180b); poi si ha una pausa, e quindi stupore dida-

scalico di Santia : «che cos'è questo? », e Dioniso : « questo? è la palude, ia palude di cui parlava [Eracle], e vedo una barca », Santia : «sl, per Posidone, e questo qui è proprio Caronte » (I8I183). Dal corridoio dunque è apparsa nell'orchestra-palude la barca

con Caronte. Una barca sulla scena comica non è una novità. Cratino anzi negli Odissei aveva presentato sulla scena una nave, e molto capace, perché su di essa giungono al paese del Ciclope Odisseo e

i suoi compagni (i compagni formano il Coro). La nave di Cratino sarà stata di certo fornita di ruote, e di ruote sarà fornita anche la barca di Caronte (come i lettucci di Euripide e di Agatone in Acarnesi

e Tesmoforianti).

Sulla

barca

monta

soltanto

Dioniso,

perché Santia viene invitato da Caronte «a far di corsa il giro intorno alla palude » e ad attendere il padrone presso la stazione (193-195). Santia cioè, mentre Caronte si dilunga a istruire Dioniso sulla remigazione (197-207), fa di corsa il giro dell'orchestra, e aspetta

il padrone

presumibilmente

presso

il muro

dell'altro

corridoio (cfr. 194-195). Allontanato così il Servitore, tocca a Dioniso il ruolo di protagonista della remigazione

e al contempo

di

antagonista e di interlocutore delle rane. Anche Caronte rimane estraneo a questo intermezzo, al quale le rane danno inizio rievocando proprio i loro canti in onore di Dioniso nel santuario ateniese

delle

Paludi

(211-219).

LE RANE

329

L’allusivo concerto di queste rane ‘dionisiache’ è un'insigne invenzione per evocare e sonorizzare l'inesistente palude infernale,

e per farne attuare inavvertitamente la traversata.

« Udirai dei

canti bellissimi... di rane-cigni, meravigliosi », avverte

Caronte

in

205-207. Le rane dunque, come risulta anche da tutto il contesto seguente,

restano

invisibili,

non

sono

altro

che voce

e suono.

I loro canti, che hanno inizio dopo il ‘ comando ' del 208, proverranno da dietro la scena, come

da dietro la scena proviene in se-

guito il canto degli Iniziati (316-317, 324-336) : canti corali retroscenici si hanno pure nelle Nuvole, e negli Uccelli la serenata e la monodia di Upupa sono retrosceniche. In verità nelle Rane c'è anche

un

dialogo

fra le

invisibili

voci

e Dioniso,

ed

è un

fenomeno questo che ricorreva già nelle Vespe 144-173 e nelle Tesmoforianti 1056-1097. Il canto delle rane sarà di certo curato dal Coro della commedia, cioè dai futuri Iniziati

(Μύσται) ; e se ciò è vero, non parrà

strano che il titolo della commedia sia legato alla prima

mani-

festazione del Coro, tanto più che queste rane sono ' dionisiache '

e che una manifestazione corale nel corso di un prologo è un evento singolare. L'unica altra possibile alternativa per il titolo sarebbe stata quella di Μύσται, titolo attestato per una commedia di Frinico : e se questa commedia del coetaneo e del rivale di Aristofane

è davvero, come comunemente si ritiene, dell’anno 407, allora si può ancor meglio capire la ragione dell'eccentrico titolo aristofaneo per la propria commedia del 405. Titolo che riprendeva quello

di una commedia del remoto Magnete

(scolio Cavalieri 519), nella

quale tuttavia le rane formavano di certo il Coro (cfr. Cavalieri 525).

Dopo la traversata la barca e Caronte scompaiono, e Dioniso invoca subito il suo Santia, e gli pone una domanda ad uso degli

spettatori : « cosa c'è da queste parti? ». « Tenebra e fango ». « Allora hai visto qui da qualche parte i parricidi e gli spergiuri di cui ci parlava? ». « E tu ποῦ». «Certo, per Posidone, e li vedo anche adesso ». In queste ultime battute lo scanzonato riferimento

al pubblico del teatro mostra quanto sia illusorio il valore scenico che era stato or ora attribuito verbalmente all’orchestra. Per passare a un nuovo valore scenico — luogo dei mostri — v'è la so-

lita tecnica didascalica. Dioniso : « Senti, che facciamo? ». Santia : «la miglior cosa è che avanziamo,

perché questo è il luogo dove

330

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

sono i mostri terribili, a quanto diceva quello » (277-280; rispetto alle predizioni di Eracle, il luogo dei mostri viene dopo la bolgia di tenebra e fango). E di mostri ne viene ‘ creato ' uno, l'Empusa, attraverso le asserzioni dello scanzonato Santia e i terrori di Dioniso, il quale non osa neanche guardare il mostro ‘visto’ da Santia. E anche qui vi é di nuovo un'inclusione degli spettatori nel giuoco drammatico, perché Dioniso, per salvarsi, corre verso il sacerdote seduto nella proedria (297). Verso la fine del prologo comincia ad accadere quello che Eracle aveva predetto in 154-162: soffio di auli, fragranza di torce, canti degli Iniziati (312-320). Eracle aveva predetto un paesaggio di mirteti e ora i canti degli Iniziati affermano e riaffermano nell'orchestra « una pianura fiorita » (326, 352 « palustre », 373-374, cfr. poi 441, 449 « piena di rose »). Ancor più che per la palude e il coretto delle rane, qua vi è una vera e propria trasposizione nel teatro di un ambiente e di una cerimonia terrestre (con un proprio periodo temporale al di fuori del tempo drammatico della commedia : cfr. 342, 371, 387 e 446 con ἀρτίως del 433).

Gli Iniziati

«cantano l'Iacco come fanno lungo l'Agora » (320), e

con gli Iniziati vi è una schiera di fanciulle e di donne (cfr. 157), le quali a un certo momento vengono condotte via nel luogo ove si fa la veglia in onore di Demetra, mentre gli Iniziati rimangono nel recinto sacro alla dea (440-446). Una cerimonia terrestre viene dunque trasferita nell'Ade, e al tempo stesso viene proseguita anche fuori del recinto teatrale 7. Dioniso e Santia al 431 chiedono agli Iniziati : « potreste dirci dove abita qui Plutone? », e il Coro, quasi sorridendo per la superfluità della domanda (cfr. Pluto 962) : «non devi andare lontano, né chiedermelo di nuovo. Sappi che sei giunto proprio alla sua porta». Domanda e risposta sono di nuovo eminentemente didascaliche : Dioniso sapeva già da Eracle che gli Iniziati « abitavano presso la porta di Plutone » (163), e gli Iniziati in quel momento erano davanti alla facciata scenica (lo si desume dalla risposta e da 440-443). Ma le due battute vogliono attribuire un nuovo valore alla facciata scenica : la casa non è più quella di Eracle, ma è quella di Plutone. Dioniso ordina allo schiavo di riprendere i bagagli (437 ; i bagagli saranno stati deposti nel momento in cui i due si sono appartati al 315), e mentre il Coro pro-

LB

RANE

331

cede dalla facciata scenica nell'orchestra, i due si avvicinano alla porta.

Dal momento

che Dioniso batte al 460 alla porta di Plutone,

l'azione ha di frequente come punto di riferimento la casa (503, 514, 520, 669, 757, 799, 812, 847, 871, 1304,

1479), e l'orchestra

é zona neutra, e il Coro perde il carattere di Coro di Iniziati nella

pianura fiorita (le torce del Coro riemergono al 1525). Dalla casa, che simboleggia tutto quanto l'Ade (come la casa dei Cavalieri simboleggiava Atene), appaiono via via il Servitore di Persefone al 502, l'Ostessa e Platana al 549, Eaco con i suoi tre poliziotti al 605 (Eaco era stato già attivo in 464-478, ma da dietro la porta : cfr. 492-493). Subito dopo la parabasi appaiono dalla casa Eaco e Santia

e quindi,

della seconda

assieme

con

Dioniso,

i due

parte, Euripide ed Eschilo.

nuovi

Plutone,

personaggi

terzo

nuovo

personaggio della seconda parte, appare nel finale, e in maniera

piuttosto brusca : e sulla grezza arte scenica del finale delle Rane riformate ci soffermammo al primo paragrafo. Ai quattro personaggi della seconda parte

viene logo

data

un'attuale

738-813,

e

una

vitalità retroscenica tale vitalità viene

della

nel corso

li data

anche

commedia

del

pro-

a Sofocle

(cfr. in specie 791-794). Ma Sofocle non apparirà mai sulla scena, nemmeno allorché l'attore che interpreta Euripide sarà libero dal

verso 1482 in poi: e proprio al 1515, assente Euripide, il congedantesi Eschilo raccomanda a Plutone di affidare il proprio trono a Sofocie. La perpetua latitanza del pur vitalmente retroscenico Sofocle è singolare, tanto più che i personaggi menzionati come vitalmente retroscenici (o extrascenici) nel corso dei prologhi aristofanei non mancano prima o poi di apparire di fronte agli spettatori, e hanno parti di grandissimo o grande rilievo o perlomeno

una particina come il Plutone-quarto attore delle Rane menzionato in Rane 784 (cfr. anche 812; di Persefone, menzionata al 671, nel secondo prologo non si parla). E sui preannunci aristofanei nel corso dei prologhi, vedi « Nuvole » non recitate e « Nuvole » recitate nel capitolo sulle Nuvole : lì si rileva che il Cherefonte delle Nuvole seconde non appare di fronte agli spettatori, perché

le Nuvole seconde non furono né rifinite né recitate. Analogamente l'anormale latitanza di Sofocle nelle Rane è dovuta all'urgente riforma subita dal testo della commedia

(la non apparizione

del-

332

CARLO

l'anonimo figlio di Cremilo

FERDINANDO

RUSSO

è comicamente

giustificata da Pluto

251-252). L'urgenza della riforma delle Rane provocò nella loro arte scenica un’altra anormalità, ma questa piuttosto lieve. La pesa della poesia su una bilancia era una volta preceduta, come già da soli rivelano i versi 1371-1372, da un'altrettanto prodigiosa verifica meccanica dell’arte tragica. Di questa verifica rimase il preannuncio : « (la poesia verrà pesata su una bilancia)... e por-

teranno fuori regoli e cubiti per parole ecc. ecc.» (799-801).

Un

preannuncio impegnativo, e che disturba di non vedere osservato: chi dà il preannuncio é un personaggio dell'ambiente infernale (e non già un estraneo), un personaggio serio e responsa: bile, che non si permette mai degli scherzi sulla grave vertenza. fra

Eschilo

ed Euripide,

e che

non raccoglie

le spiritosaggini

Santia sulla pesa della poesia e sugli strumenti

di

di misurazione.

E questo preannuncio é particolarmente impegnativo, in quanto ha luogo nel corso di un prologo, e di un prologo molto essenziale.

E oggetti retroscenici vivamente preannunciati nei prologhi fanno sempre la loro comparsa : basti ricordare il prologo della Pace, ove si dà concretezza

retroscenica proprio a uno strumento

rea-

listico-surrealistico : l'indigeno Ermes ragguaglia il forestiero Trigeo sul « mortaio per le città » di Polemo, e Polemo in seguito porterà sulla scena quel mortaio e invierà Tumulto ad Atene e a Sparta in cerca di un pestello (Pace 228-231, 238-288). Nelle Vespe 937-939

vengono invitati a presentarsi come testimoni a favore del cane Labete cinque distinti arnesi di cucina e altri imprecisati. Orbene di questi arnesi almeno uno, la grattugia del formaggio, viene in seguito interrogato (962-966) : e si tratta del testimone più importante, perché il cane è accusato di aver mangiato una forma di formaggio. Qui nelle Rane neanche uno dei cinque strumenti di misurazione fa la sua comparsa.

5. Il personale scenico. — Le Rane sono l'unica commedia d'Aristofane a far pressoché costante e equivalente uso dei primi tre attori, e a impiegare un medesimo attore per due consecutivi

ruoli di grande rilevanza. Questo attore, che é di certo il primo, interpreta fino al prologo metaparabatico il protagonista complementare della prima parte — Santia —, e in seguito agisce come

LE

RANE

333

Eschilo. La parte di Eschilo è quella più difficile della commedia, poi viene quella di Euripide, mentre piuttosto facile é l'ampia parte puó

dell'unico personaggio ben

essere

interpretato

perpetuo,

Dioniso.

dal

attore;

terzo

Dunque altro

Dioniso

che

non

si

voglia pensare che Dioniso, cosi diverso nelle due parti della commedia, sia interpretato nella prima parte dal secondo attore, e

che pertanto il terzo attore si dedichi nella prima parte ai personaggi minori.

Se si trascura questa ipotesi, i tredici personaggi della commedia si possono così distribuire:

primo

attore,

con trecentosettanta versi circa dei quali

sessantacinque lirici : Santia 1-664 e 739-808 (quasi centocinquanta

duecentoventicinque secondo

versi, dei quali cinquantanove

attore,

con

trecentonovantacinque

dei quali venti lirici nel tratto 830-1476: 38-164,

Caronte

464-478,

Servitore

180-270,

lirici) ;

Daduco

di Persefone

444-447,

503-518,

Eracle Faco

Ostessa

versi circa

(ma anonimo) (ma

anonimo)

549-578,

Eaco

(ma anonimo) 605-671 e 738-813 (questi sei personaggi hanno una dizione complessiva di duecentotto versi) Euripide 830-1476 (in

tutto centottantasei versi, dei quali .venti lirici); terzo attore, con trecentonovanta versi circa dei quali trentasei lirici nel tratto 3-673: Dioniso travestito 3-673 (due centoventi versi circa), Dioniso 832-1481 (centosettanta versi circa); attore dilettante, con ventotto versi: il Morto 173-

177 (tre trimetri), Platana 551-565 (tre trimetri), Plutone (ma anonimo) 1414-1480 e 1500-1527 (quattro trimetri + diciotto dimetri anapestici). Per il Morto sarebbe disponibile il secondo attore, per Plutone di 1500-1527 il secondo e anche il terzo

attore

(Dioniso infatti rimane muto in tutto il tratto finale 1500-1533). ‘Fra i personaggi muti un grande rilievo hanno le Fanciulle e le Donne menzionate al 445, le quali son certo delle

ballerine

che integrano temporaneamente il personale coreutico. Una premessa per l'apparizione di questo gruppo femminile, al quale si allude al 409-413 e forse già al 338, si ha al verso 157. Notevole rilievo

ha

anche

una

nella scena 1305-1364

Suonatrice

di nacchere-Musa

di Euripide

(il duale del 1364 è rivolto ad Eschilo e a

lei, e non già a Eschilo e a Euripide : cfr. 1307) : questa femmina,

334

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

la quale ballerà anche, ha un paio di piedi sgraziati, che consentono le ambigue battute di 1323-1324. Comparse. I Necrofori (cfr. 170, 174), Ditila, Sceblia e Pàrdoca poliziotti di Eaco (608), Servi di Plutone. A proposito dei personaggi parlanti, noi abbiamo attribuito al Daduco, e non già al corifeo, i versi 444-447 (al Daduco, apostrofato dal Coro in 351-353, altri attribuiscono un maggior numero di versi). Per il molto presumibile Eaco di 738-813, ved. il terzo paragrafo. La nostra somma della dizione dei singoli personaggi implica, qua e là, una divisione del dialogo lievemente diversa da quella adottata da Victor Coulon.

NOTE 1 Nella

nostra

Storia

delle

Rane

di

Aristofane

(Padova,

Antenore,

1961)

cinque capitoli sono via via dedicati all’analisi dei versi 786-796, 69-117, 797-813 e 1364-1373,

895-1128,

1251-1260.

Per ipotesi analitiche sulle Rane, al suo commento

del

1896

ved.

(e già nella sua

T.

νὰν

LEEUWEN

Dissertazione

nella

prefazione

aristofanea del

1876),

il WILAMOWITZ alle pp. 2-3 della prefazione al commento del Herakles (1889, ma ved. poi « Hermes » LXIV, 1929, pp. 470-476 = KI. Schriften, IV pp. 488494), B. B. ROGERS, The Frogs, London 1902, pp. XVI-XVIII, ED. FRAENKEL in «Sokrates» XLII (1916), pp. 134-142 (su questa pregevole esplorazione analitica

ved.

M.

POHLENZ

in « Nachr.

Gött.

Ges. » 1920,

p.

145,

I), K.

KUNST,

Studien 2. griech. u. ròm. Kom., Wien-Leipzig 1919, p. 53, 1, H. DREXLER in « Jahresb. Schles. Ges.» C (1927) pp. 122-175, e da ultimo T. GELZER, Der epirrhem. Agon bei Ar., München 1960, pp. 26-31. Per posizioni antianalitiche, ved. C. O. ZURETTI in « Atti Acc. Scienze Torino» XXXIII (1898) pp. 10581066, A. RUPPEL, Konzeption u. Ausarbeitung der Arist. Kom., Diss. Giessen, Darmstadt 1913, pp. 40-47, W. KRANz in « Hermes» LII (1917) pp. 584-591, F. RICHTER, Die Flrósche u. der Typ der arist. Kom., Diss. Frankfurt am Main, Düren 1930, pp. 1-28, H. ERBSE in « Gnomon » XXVIII (1956) p. 273, e da ultimo B. MARZULLO alla p. X della sua traduzione delle Rane, Torino 1961, e in « Rend. Lincei» XVI (1961) pp. 394-395 e p. 401. L'interprete che

di recente ha ammonito gart 1960,

* Ved.

sui rischi

dell'analisi è O. SEEL,

Aristophanes,

Stutt-

pp. 47-48.

H.

HOFFMANN,

Chronol.

der att.

Trag.

cit.,

1951,

pp.

3 Per le notizie di teatro sulle Rane, cfr. Argomento I 36-40 trascurabili varianti dell'Ambrosiano e dell'Aldina ai righi 36-37,

48-49. (per le non ved. p. 21,

8 e p. 192). I righi 39-40 recano: οὕτω δὲ ἐθαυμάσϑη τὸ δρᾶμα διὰ τὴν ἐν αὐτῷ παράβασιν ὥστε καὶ ἀνεδιδάχϑη, ὥς φησι Δικαίαρχος = fr. 84 in F. WEHRLI, Dikaiarchos, Basel 1944. Il Wehrli annota: «... la nuova rappresentazione risultava dai documenti,

il resto è un caratteristico

arbitrario ricamo

di Dicearco ».

E così sarà di certo, perché è inverosimile che una parabasi potesse determinare la replica di tutta una commedia.

intorno alla PP. 5-8. P.

sincoregia

delle

Sulla congettura

Rane,

ved.

E.

dello scoliaste di Rane

CaPPs,

« Hesperia»

4 Cfr. gli scolî a Acarnesi 10 e a Rane 868, e cîr. Rane 73). La nota concezione modernistica del WILAMOWITZ

XII

404

(1943)

868-869 (e ved. già risale al 1889 (e si

può leggere inalterata nella Einleitung in die griech. Trag., Berlin 19213, pp. 121128; per il successo librario delle Nuvole seconde, ved. l'opera citata alla nota quinta del nostro capitolo sulle Nuvole), ed è generalmente accettata : ma ved. W.

B.

SEDGWICK,

«Classica

et

Med.

* IX

(1947)

pp.

1-9,

e

E.

G.

TURNER,

336

CARLO FERDINANDO RUSSO

Athenian Books in the fifth and fourth centuries B. C., London 1957, pp. 16-23. Per quanto riguarda il finale delle Rane, un'analisi dei versi 1433-1467 ha portato H. DÖRRIE, « Hermes» LXXXIV (1956) pp. 296-319, alla conclusione

che i versi 1451-1462 sono tramandati fuori posto, e per colpa di un puro accidente meccanico avvenuto in epoca prealessandrina (ved. in particolare le PP. 318-319 del Dórrie, e ved. poi anche D. MaCcDOWELL, «Class. Quart.» LIII, 1959, p. 266). Anche un fenomeno come quello indicato alla nota quarta

del nostro capitolo sulle Vespe (ma ved. anche la nota prima del capitolo sulla Lisistrata), si spiega bene con una fortuita e fortunosa fase di passaggio dalla versione teatrale alla versione libraria. 5 È certamente

sonaggio

che

l'Eaco

i pià recenti

di 464-478

interpreti

e poi di 605-673

e editori

delle

(605

Rane

— 464-478)

siglano

il per-

invece

nei

versi 738-813 come « Servitore » : cfr. già solo 738-744 con 628-673, e in particolare il 738 con il 640, e il 746 e 1'812 con il 670 (e ved. p. 102). Ved. in proposito il già citato e inedito S. Hess, Studien z. Prolog ecc., 1953, pp. 40-55: è più

utile

appunto,

come

fa il Hess,

soffermarsi

ad

analizzare

il raccordo

fra

le due parti delle Rane che non, come ha fatto di nuovo recentemente C. P. SEGAL in « Harv. St. in class. Phil.» LXV (1961) pp. 207-242, andare in cerca

dell'unità delle Rane nella celebrazione dei vari aspetti del culto di Dioniso. Si noti magari che il motivo dell'indagine per distinguere due personalità (Eschilo e Euripide) si ha già subito prima della parabasi per distinguere Dioniso e Santia : a una Χρίσις segue un'altra χρίσις.

* Mail sopra ricordato M. POHLENZ si avvicinò nel 1920 alla giusta interpretazione dei νεῦρα : «i tendini della tragedia possono essere soltanto ciò che regola la coesione delle parti e che determina un insieme organico... ; il progresso, preannunciato all'862, dagli ἔπη e μέλη alla composizione generale (τὰ νεῦρα)

sarebbe stato ottimo, e una discussione sull'influsso etico delle tragedie avrebbe potuto determinare alla fine la sconfitta di Euripide. In verità Aristofane poi non si comporta così, e la tecnica compositiva viene esaminata solo in 911 sgg. e 945 sgg. ». Il WILAMOWITZ, « Hermes » LXIV (1929) p. 476 (= KI. Schriften, IV p. 494) interpretava i νεῦρα come « Mythos und o κονομία ». Interpretare,

come

molti fanno,

tà νεῦρα come apposizione

di τἄπη

e τὰ μέλη, è improprio

già

solo stilisticamente. 1 Un fenomeno del genere potrebbe far sospettare che la cerimonia delle lenaiche Rane abbia una qualche relazione anche con le Lenee e con l'am-

biente del recinto-teatro lenaico dell'Agora. altri motivi, pensava con troppa fiducia M.

Esclusivamente alle Lenee, per TIERNEY in « Proceedings Irish

Ac.» XLII (1935) pp. 199-218. G. T. W. HooKER, « Journ of Hell. St.» LXXX (1960) pp. 116-117, ha pensato ai Misteri di Agrai alla fine di febbraio (ved. già E. GERHARD, « Philologus » XIII, 1858, pp. 210-212). L'opinione comune

è che la parodo delle Rane alluda soltanto alla grande processione autunnale per Eleusi. Un altro fenomeno che farebbe sospettare una relazione degli Iniziati con

il recinto

lenaico,

è che

essi appaiono

non già dal corridoio (ved. p. 106).

nell'orchestra

dalla

facciata

e

LE DONNE

A PARLAMENTO

x. Le « Donne a parlamento » e il sorteggio del programma.



« Ai giudici voglio dare un piccolo suggerimento : chi è serio mi

dia il premio ricordando la mia serietà, chi ride di gusto mi dia il premio perché ha riso : è chiaro dunque che io invito più o meno

tutti quanti a darmi il premio. E che non mi sia di pregiudizio alcuno il sorteggio, perché mi assegnò la priorità. Ricordando invece ogni cosa, non dovete venir meno al giuramento, ma giudicare i Cori con equità, sempre : non comportatevi come le cattive etere, le quali sempre hanno ricordo soltanto degli ultimi venuti » : così la corifea delle Donne

a parlamento,

verso la fine della com-

media (1154-1162). Le Donne a parlamento furono dunque sorteggiate come prima commedia da rappresentarsi. L'esito del concorso è ignoto, perché per le Donne a parlamento non sono pervenute notizie didascaliche (l'anno di rappresentazione è sicuramente il 392).

«Quando ma è prove, rebbe corso

avvenisse il sorteggio delle commedie non sappiamo,

chiaro che il poeta, mentre lavorava ed eseguiva non poteva di già sapere in quale ordine la sua stata rappresentata. Il sorteggio aveva luogo di delle ultime prove, sicché i versi 1154-1162 delle

parlamento sono un'aggiunta

dell’ultimo momento.

le prime opera sacerto nel Donne a

Questi versi,

che il corifeo dovette imparare in tutta fretta, spezzano lo stretto

legame

del contesto

1151-1153 — 1163-1166 ». In effetti i versi

1154-1162 offendono tanto'fortemente l’unità e il ritmo dell'azione

scenica, che non é ingiusto sospettare che essi furono invece destinati a essere recitati dopo il verso 1150 o dopo il verso 1148 !. Pur cosi legati all'effimera contingenza del sorteggio del pro-

gramma, il testo

anche i versi I154-1162 vennero in seguito pubblicati : delle

commedie,

come

sulle Rane, non veniva dunque la rappresentazione.

già si disse

nel secondo

minimamente

paragrafo

riconsiderato dopo

340

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

2. Declino drammaturgico e azione strutturale delle « Donne a parlamento ». — Le Donne a parlamento dell'anno 392 si distinguono sensibilmente dalle commedie superstiti precedenti di Aristofane : in proposito basterebbe forse solo rilevare che dei 1183 versi delle Donne a parlamento, novecento sono trimetri giambici e centoquaranta o poco più sono versi lirici, e che di questi versi lirici solo una sessantina è cantata dal Coro. Lo stacco artistico

rispetto alle precedenti commedie

è solidamente constatabile in

particolare dal verso 729 in poi: dopo il verso 729, proprio quando potrebbe cadere la parabasi corale, da lì il Coro, che pur è per buona parte responsabile del titolo e del soggetto

della commedia,

limita

pressoché

costante-

mente la propria già esigua partecipazione drammatica a due intermezzi di danza (sulla presumibile assenza di un simultaneo canto corale parleremo più oltre) ; dopo il verso 729 il canto lirico è tipico degli attori, ché il Coro ha solo i quattro versi lirici finali, mentre un'ottantina di versi lirici è a cura dei tre attori (nelle parti dei nuovi personaggi delia Vecchia prima, della Giovinetta, del Giovanotto e dell'Ancella) ; dopo il verso 729 il personaggio più importante della prima parte — Prassagora — si allontana per sempre dall’azione scenica (e non per urgenti ragioni di economia degli attori); degli altri personaggi della prima parte ne riappare uno nella scena 730-876 e un

altro

nella chiusa

della commedia;

fra il verso 729 e il verso IIII l'uso della facciata scenica è piuttosto singolare, e nel tratto 877-1111 si può senz'altro

constatare che essa viene

attribuita a personaggi

nuovi ed epi-

sodici. Questi fenomeni potrebbero indurre a far definire le Donne a

parlamento come una commedia

divisa in due atti formalmente

distinti; e fenomeni come la devitalizzazione del Coro — con conseguente rilievo, anche lirico, degli attori —, la precoce scom-

parsa della protagonista — con conseguente episodico rilievo della individualità di altri personaggi —, la dittatura dei conversevoli trimetri giambici, già possono anche far intendere che le Donne

a parlamento

sono una commedia

dalle moderate

complicazioni

drammatiche e fantastiche, e dalla materia piuttosto scorrevole e conversevole, una commedia che tende a elaborare scene pres-

LE DONNE A PARLAMENTO

341

soché autonome (il che costringe a un'apparizione un po' marionettistica di certi personaggi: cfr. 746, 1049, 1065). E per cogliere lo stacco etico-politico delle Donne a parlamento rispetto a precedenti commedie, basterebbe notare, a parte la già significativa devitalizzazione del Coro, che le donne succedono agli uomini nel governo dello Stato grazie ἃ un camuffamento maschile nell'Assemblea popolare, un camuffamento del quale gli uomini rimarranno sempre ignari. E un intrigo fondato tutto sui frutti di un inganno mai scoperto, é di nuovo una singolare ca-

ratteristica artistica delle Donne a parlamento : una caratteristica la quale implica una valutazione satirica e rassegnata della società ateniese, e anche una concezione comica piuttosto astratta, priva di un reale intento pratico (così sarà anche nel Pluto). Nelle Donne

a parlamento infatti si ha più che altro un esperimento satirico di una teoria sociale, come nelle Tesmoforianti si aveva un esperimento satirico dell’arte euripidea. E la teoria sociale esperimentata

dalle Donne

a parlamento

doveva

essere un fatto nuovo

per il

teatro di Atene (cfr. 578-580, 583-585). L'ampio e ottimo prologo, versi 1-284, è a cura di Prassagora e di altre donne radunatesi poco prima dell’alba presso la casa di Prassagora e della sua Vicina per eseguire una minuziosa prova

generale prima di recarsi all'Assemblea (116-117, cfr. 160-162). Ii prologo è seguito da un intervento del Coro, il quale era già presente sulla scena del prologo, e anche il Coro è diretto all'Assemblea (285-310). A parte il singolare trattamento del Coro — sul quale torneremo a parlare —, tutto il numerosissimo personale d'apertura si raduna dunque sulla scena e agisce in vista di una meta extrascenica. L'ampia scena giambica successiva, versi 311-477, ha per pro-

tagonisti i mariti di Prassagora e della Vicina e un cittadino reduce dall' Assemblea, e seguita ad avere per sfondo le case di Pras-

sagora e della Vicina. Il prologo era stato aperto da un monologo (di Prassagora) e dopo il prologo si era avuto un intervento coreutico (un esodio), questa scena giambica viene aperta da un monologo (del marito di Prassagora) e dopo di essa si ha un intervento coreutico (una parodo, 478-503). Insomma questa scena è drammaturgicamente parallela alla precedente, è una specie di

' secondo prologo ' a cura degli uomini : un secondo prologo che,

34?

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

fra l'altro, drammatizza ed esemplifica la polemica contro gli uomini agitata dalle donne nel prologo *. Nel corso di questo 'secondo prologo' Cremete fornisce un ragguaglio di quanto é accaduto nell'Assemblea popolare. Da un punto di vista drammatico ed etico è notevole che Cremete non informi subito il suo interlocutore

Blepiro,

cioè il marito

di Pras-

sagora, che l'Assemblea ha deciso poco fa di affidare il governo dello Stato alle donne : la relazione sull'Assemblea inizia al 376, e il ragguaglio sulla clamorosa decisione profemministica si ha solo, placidamente, al 455-457. La placida e prolissa conversazione, come si vede, é quella che piace al drammaturgo delle Donne a parlamento : e in questo caso, come nel corso di tutto il

‘secondo prologo ', per rilevare l'indifferenza degli uomini verso la cosa pubblica. L'indifferenza degli uomini rende tutto facile e scorrevole per Prassagora, anche l'esposizione del rivoluzionario programma di governo che avviene nell'agone epirrematico 571-709. Di solito si osserva che il programma rivoluzionario di Prassagora é un'improvvisa novità nella commedia, ché le donne del prologo si proponevano soltanto di impadronirsi del potere e si atteggiavano per giunta a conservatrici. Ma chi così osserva, non pone mente che il programma delle donne non poteva essere rivelato nel corso del prologo, perché lì le donne fanno finta di essere uomini (significativi, in proposito, 229-232), e questi ' uomini ', per far ottenere

il potere alle donne, tengono naturalmente a presentare le donne come delle innocue conservatrici. L'agone epirrematico procede scorrevolmente come un'orazione (e non è bipartito come nelle precedenti commedie), e nasce sotto lincitamento della corifea alla «rapidità grata agli spettatori » (581-582) e sotto l'ingiunzione di Prassagora a Blepiro e Cremete « niente obiezioni e niente interruzioni finché ecc. » (588). Esposto il programma, Prassagora abbandona il luogo dell’azione scenica per recarsi all'Agora, e non ricomparirà più in scena: di lei, in seguito, si sentirà parlare indirettamente all’835 e all’870 (e anche nell'esodio). Si noti che Prassagora, la quale era stata eletta «stratega » dalle donne del prologo (246-247, cfr. poi 517) e non già anche dall'Assemblea, ha parlato di fronte a Blepiro e Cremete quasi

LE DONNE

A PARLAMENTO

343

come condottiera dello Stato, e anzi alla fine ha dichiarato ai due

uomini di essere stata eletta a reggere lo Stato (714-715), e Blepiro ha qualificato poi la moglie come «stratega » (727). Questa è un'incongruenza inevitabile (o meglio è una ' scorciatoia ' drammatica), ma che è attenuata dall’investitura politica che Prassagora riceve in 571-582 dalle donne del Coro di fronte ai due uomini (Blepiro, d'altra parte, era già pronto in 563-564 a considerare la moglie come regolatrice del nuovo Stato). Cosi pure é stata giudicata un'incongruenza quella delle nuove leggi già note a tutti quanti (cfr. 759, 762-763, 766, 767, 854, 944 ecc.) : ma evidentemente la promulgazione di tali leggi è stata extrascenica, -

ed è avvenuta

dopo che Prassagora si è recata all'Agora

(per

questo essa si preoccupa subito di procurarsi un’aralda dalla forte voce, 713). Nel corso della sua esposizione programmatica, Prassagora

aveva insistito particolarmente su tre punti:

deposito e comu-

nione dei beni (590-610), regolamento della vita sessuale (611-650,

693-709),

mense

di abbandonare

gratuite per tutti la scena

ella

aveva

(599-652,

675-690).

esclusivamente

E prima

ricordato

il

deposito dei beni (712), le mense gratuite (715-717), e la vita sessuale (718-724). Orbene nei versi 730-111I1 della seconda parte della commedia, due elaborate scene drammatizzano giocosamente due dei tre punti salienti del programma comunistico : il deposito dei beni (730-833/853-876), la vita sessuale (877-1111). L'altro punto del programma comunistico — le mense gratuite per tutti — ha una realizzazione extrascenica, la quale viene evocata rapidamente nell'esodio (1112-1183). Prassagora aveva preannunciato come eminentemente extrascenico questo particolare evento (715-716, cfr. 675-686), e in seguito un Araldo aveva portato la notizia che le mense erano apparecchiate e che tutti i cittadinivi erano attesi da Prassagora (834-852). Dopo la scena 877-1111 — la quale presuppone un banchetto (cfr. 877, 948 e 988 con 691-709) — l'Ancella di una «padrona

beatissima » (cioè Prassagora, cfr. 1112-1113 con 558-559), esaltata dal vino, appare sulla scena in (Blepiro), e sollecita al banchetto con lui, gli spettatori e i giudici Coro: da bere e da mangiare ce

cerca del il padrone benevoli, n'é ancora

padrone ritardatario e le ragazze che sono e infine le donne del (1139-1140). E tutto

344

CARLO PERDINANDO RUSSO

quanto il personale scenico —

il Coro

(cfr. 1164-1168)



l'Ancella, il padrone, le ragazze e

si mette a danzare agli ordini della

Ancella ed esce dal teatro. Le

extrasceniche

mense

comunistiche,

evocate

ora

di fronte

agli spettatori con il pretesto del padrone ritardatario, danno luogo dunque a un esodio di tipo tradizionale, con un'allusione augurale anche alla festa in onore del Coro vittorioso (1182). L'intensità e la schietta festevolezza

di questo esodio è indicata,

fra l'altro, dalla presenza delle ragazze che sono assieme con Blepiro : queste saranno senza dubbio delle etere-ballerine, chiamate a collaborare all'elaborato spettacolo danzante finale.

Da più di un secolo gli interpreti disputano se sulla scena vi siano appunto queste ragazze, cioé altre donne distinte da quelle del Coro. Evidentemente non si é posta sufficiente attenzione al testo greco: «la tua sposa mi ha ordinato di condurre via te e τασδὶ μετὰ σοῦ τὰς pelpaxac + (1138), cioè « queste ragazze che sono insieme con te» via te e, insieme

(cfr. Pluto 843), e non già «condurre

con te, queste

ragazze » *.

3. Il trattamento del Coro. Personaggi e attori. — Il titolo 'Ex-

κλησιάζουσαι, come già Θεσμοφοριάζουσαι, abbraccia tanto il Coro quanto «le donne a parlamento » impersonate dagli attori : e non sarà un caso che in queste due commedie l'apparizione del Coro

presenti delle singolarità. Se nelle Tesmoforsanti, al termine del prologo,

si aveva

un'apparizione

simultanea

e silenziosa dei co-

reuti-donne tesmoforianti e degli attori-donne tesmoforianti, e il Coro cantava dopo un intervento in prosa della corifea e solo più tardi si avevano movimenti e canti simili a quelli di una parodo

(Tesmoforianti 655-688), nelle Donne a parlamento anche la stessa genesi del Coro è quanto mai singolare. I futuri coreuti, nelle Donne a parlamento, appaiono a gruppi già all'inizio del prologo (cfr. 41-53, e forse già 30-31) e rimangono muti

come

fossero

delle comparse

(cfr., per es., 72), mentre la

recitazione del prologo è curata da attori-donne. Verso il termine del prologo le mute donne ricevono da Prassagora l'ordine di camuffarsi da uomini e di cantare poi alla maniera dei contadini

(268-279), e gli attori-donne, già camuffati da uomini

(cfr. 118-

127), escono per recarsi all'Assemblea (279-282). Allontanatisi gli

LE

DONNE

A PARLAMENTO

345

attori al 284, le donne mute si camuffano — cioè si organizzano finalmente come Coro, e per ordine di un attore —, sfilano nel-

lorchestra cantando come contadini

(289-310, cfr. 299 ; 285-288

sono della corifea), e escono al 310 dirette all'Assemblea. In teatro

il Coro rientra al 478, e ora si ha una specie di parodo

(478-503).

I coreuti sono ancora mascherati da uomini, mentre Prassagora ele sue amiche,

camuffamento

quando entrano verso il 500, riappaiono senza il

maschile

(cfr. 499-510,

514).

Il futuro Coro é dunque presente sulla scena del prologo (per ragioni d'intrigo), si organizza come Coro al termine del prologo su ordine di un attore, canta una

questa

eccezionale

azione

extrascenica

marcia

di uscita, e dopo

al seguito

degli

attori,

riappare cantando una marcia d'entrata. E da questo punto in poi il Coro, già così poco autonomo, perde via via rilievo : Pras-

sagora si ripromette sì di chiedere consigli al Coro (cfr. 517-518), ma in realtà

essa

non

si rivolgerà

mai

al Coro,

e Blepiro,

così

polemico verso la moglie Prassagora, non si accorge che lì sulla scena vi sono altre ventiquattro donne. Insomma il Coro, che pur introduce con un'ode il dibattito epirrematico (571-580, e poi 581-582), sta scivolando fuori del dramma, e quando Prassagora scomparirà per sempre il Coro non la rappresenterà in alcun modo.

A parte i due interventi corali significati dai XOPOY fra 729-730 e 876-877, si hanno in tutto due trimetri giambici a cura della corifea (1127, 1134), e quattro versi lirici finali a cura del Coro (1180-1183). Poco prima della rappresentazione Aristofane improvvisò per la corifea i versi 1154-1162. Il Coro

delle Donne

a parlamento,

come

si è detto, è un Coro

che viene invitato a cantare (277), e che canta (289-310, e poi 477-503). Ma dopo l'ode 571-580 il Coro non canta se non i quattro . versetti

finali della commedia,

e a cantare

sono

soltanto

gli at-

tori: e quando il primo di questi attori canta, premette che «il canto, anche se puó annoiare gli spettatori, ha tuttavia qualcosa di piacevole e di comico » (888-889). C'é insomma un'abdicazione totale da parte del Coro, la quale fa sospettare che i XOPOY fra 729-730 e 876-877 non esprimano altro. che intermezzi di danza

e di musica. D'altra parte non è verosimile che chi curò per primo la pub-

blicazione abbia omesso dei canti già recitati in teatro, anche nel

346

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

caso che quei canti fossero al di fuori dell'azione drammatica. Non sono forse tanti altri canti corali aristofanei fuori dell'azione drammatica? E ancor più inverosimile è l'ipotesi che l'autore abbia giudicato effimeri, e perciò non degni di pubblicazione,

questi

canti

corali. Il fatto è che

il Coro

delle Donne

a far-

lamento da un certo punto in poi non ha nulla né da cantare né da dire, a parte i quattro versetti formulari finali. E di ciò ri-

parleremo con il Pluto. Secondo l'odierna distinzione del dialogo delle Donne a parlamento, i personaggi della commedia sono quindici. Questi personaggi possono essere così suddivisi fra gli attori: primo attore, con una dizione di circa cinquecentocinque versi dei quali più di una ventina lirici nel tratto 938-975 : Prassagora

1-284,

notto

938-ıııı

504-724,

Uomo

che non

(il Giovanotto

deposita

sembra

746-876,

che si chiami

Giova-

Epigene:

cfr. 931, 934, 951);

secondo attore, con una dizione di circa trecentoventicinque versi dei quali una trentina lirici nei tratti 893-945 e 1163-1178: Donna prima 30-282 (ma ved. piü oltre), Vicino di Blepiro 327-356 (per questo personaggio sarebbe disponibile anche il primo attore), Cremete 372-477, 564-729 (compresi i versi 631-

634), 730-871 (anonimo nei tratti 564-729 e 730-871), Vecchia prima 877-1044, Vecchia seconda 1049-1095, Ancella 1112-1178; terzo

versi dei

attore,

quali

con una dizione di pià di duecentosessanta

piü di trenta lirici nel tratto 900-959:

seconda-Vicina di Prassagora 35-265, Blepiro 311-477, Araldo (ovvero Aralda) 834-852, Giovinetta 884-1042,

terza 1065-1097, Blepiro A un

attore

chia seconda

(ma anonimo)

dilettante

di 1049-1095

Donna 519-728, Vecchia

1129-1179.

si puó pensare per la Vec-

(undici trimetri)

se i tempi

peri

cambiamenti di costume fra 1044 e 1048 e 1107 e IIII appaiono

troppo ristretti. Nel corso del prologo, la Donna terza di 54-56 sarà impersonata da un attore dilettante. Ma in proposito si deve dire che per il prologo, il quale vede già eccezionalmente in scena

tutto il personale coreutico, le odierne sigle nominali non convincono pienamente : innanzi tutto alcune battute, come già quella

LE DONNE A PARLAMENTO

347

di 30-31, sembrano tipiche di una corifea, e poi a Prassagora non si addicono molto bene i versi 41-45 (a causa di 44-45). Inoltre l'impiego di un attore dilettante per la sola battuta 54-56 non par verosimile : a me sembra che la cosiddetta Donna terza di 54-56, per il rilievo che essa assume con quel suo intervento (parallelo a quello della cosiddetta Donna seconda in 37-39), sia

degna

di essere in seguito

una

delle costanti

interlocutrici

di

Prassagora. Insomma io penserei a un prologo suddiviso fra Pras-

sagora, la Vicina di casa

(secondo o terzo attore), la Donna

di

54-56 (terzo o secondo attore), e con qualche intervento della corifea a partire da 30-31 (la corifea, di conseguenza, interviene di nuovo già fra 40 e 54). La futura corifea, naturalmente, non può per ora che esprimersi in trimetri giambici ‘. Ballerine

si hanno

del paragrafo secondo.

(891). Comparse:

Come

nel

finale,

come

si accennò

al solito è presente

un

alla

fine

aulista

i due servi di Cremete, che si chiamano Si-

cone e Parmenone (867, 868, cfr. già 833 e anche 730-745); almeno due donne con Prassagora reduce dall'Assemblea (cfr. 503), le quali potrebbero essere le sue due interlocutrici del prologo, impersonate ora da comparse.

a

4. Rotazione di inquilini nella facciata scenica. — Le Donne parlamento offrono un sicuro esempio di quella progressiva at-

tribuzione della facciata scenica a nuovi inquilini, che si poteva ammettere solo come ipotesi nei lenaici Acarnesi (casa di Euripide — casa di Lamaco) e nelle lenaiche Rane (casa di Eracle + casa di Plutone). Nelle Donne a parlamento infatti i cinque personaggi-

inquilini non occupano evidentemente cinque distinte case. Inquilini della facciata scenica risultano con sicurezza essere:

la

«Vicina»

di

Prassagora

cina (327-356, cfr. 35-40); Blepiro,

marito

di Prassagora

(33-36),

e

(311-477,

il

marito cfr.

della

510-520),

Viapo-

strofato come « vicino » dal marito della Vicina di Prassagora (327), e Prassagora

(cfr. 489-492 e 510-513);

il Cittadino ossequiente (730-745, cfr. 754, 833); la Vecchia prima (877-1037); la Giovinetta

(884-1055,

cfr. 1080).

348

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

La rotazione degli inquilini avviene con gli intermezzi corali del 729 e dell'876 (il Cittadino ossequiente di 730-745 è di certo il Cremete di 372-477 e anche di 564-729, sicché potrebbe essere che egli diventi inquilino della facciata già alla fine del ‘ prologo secondo ' e non dopo il 729). Contemporaneità di distinti inquilini si ha con Prassagora-Blepiro e i loro Vicini di casa e con la Vecchia e la Giovinetta. La facciata scenica non rappresenta dunque più di due case. Esistenza e pratica di due distinte case è im-

plicita in tutta la simmetricamente polemica scena con la Vecchia e la Giovinetta, ché i trimetri 976-977 non implicano un'unica porta : li la vecchia fa solo finta che il Giovanotto abbia battuto alla sua porta anziché a quella della Giovinetta. Alla casa della Vecchia, che scompare al 1037, sembra che si appoggi in seguito la recitazione della Vecchia seconda (cfr. 1062) e poi quella della Vecchia terza (cfr. 1093). La Giovinetta scompare al 1055, ma al 1080 si accenna plasticamente alla casa di lei. A

proposito

della

scena

con

la Vecchia

e la

Giovinetta,

dal

testo risulta che la Giovinetta recita all'inizio a un livello superiore alla propria porta di casa : il Giovanotto

infatti la prega

di

«scender giù ad aprirgli la porta» (962-963). E una simmetrica recitazione da parte della Vecchia é deducibile dalle parole con cui la Giovinetta subito apostrofa la Vecchia : «questa volta ti sei sporta per prima » (884 παραχύψασα προὔφϑης). Alla Vecchia la Giovane rimprovera ancora di παραχύπτειν come una gattina (924), di διακύπτειν (929), cioè di sporgersi fuori da un'apertura. Nelle Tesmoforianti 797 si parla di donne impudiche che si sporgono dalla finestra (ἐκ ϑυρίδος παρακύπτειν e poi al 799 παρακύπτειν), nella Pace 982 e 985 di donne che fanno capolino attraverso la porta mezza chiusa. Qui nelle Donne a parlamento è evidente che le due rivali recitano per buona parte alla

finestra”.

Alla finestra, molto probabilmente, recitava già il Vicino di Blepiro in 327-356. Nel finale della commedia la facciata scenica ha valore neutro.

NOTE

Un

l'La sistemazione migliore, a rigore, sarebbe stata fra il rir: e il 1112. altro luogo appropriato per l'inserzione sarebbe stato dopo il 1143 (cfr.

1142), ma ció avrebbe richiesto una qualche riforma del contesto successivo. Un po’ sbrigativo dunque il WILAMOWITZ (Lysistrate cit., 1927, p. 218), quando

afferma che per i versi 1154-1162 «non si poté ormai più trovare una sistemazione migliore». Le parole citate nel testo fra virgolette sono di C. ROBERT, « Hermes» LXVII (1922) pp. 346-347 (ma che i versi 1154-1162 fossero dell'ultimo momento, era stato già rilevato dal WiLAMOWITZ in «Sitzb. Berl. Ak.» 1903, p. 454). Per il 392 (e non già magari anche il 391) come anno di rappresentazione

delle Donne

a parlamento,

cfr. Filocoro, fr. 148 (— scolio Donne

193) e fr. 149 Jacoby III (con relativo

commento,

Leiden

a parlamento

1954, I pp. 514 e 519,

II p. 416). Per l'agone, ved. le pp. 12-13 del capitolo I due teatri di Aristofane. * Le caratteristiche di prologo-scena esemplificatoria dei versi 311-477 sono state rilevate dall'inedito K. D. KocH, Wesen u. Struktur des kom. Themas bei Ar. cit., 1953, pp. 85-87. Per P. Mazon, Essai ecc., cit., 1904, pp. 151-153, il prologo arriva fino al verso 477.

3 Nelle μείραχες vide per primo delle ballerine 1. W. WEITE, The Verse of Greek Comedy, London 1912, pp. 147-149 (ma ved. già la nota di F. H. BorHE al verso 1149, Lipsia 1845?), seguito da ED. FRAENKEL, Dramaturgical Problems ecc., cit. 1936, pp. 269-270. Per il Fraenkel l'anonimo Marito del finale è Cremete. Per quanto riguarda Blepiro, la sua battuta di 725-728 non implica una sua definitiva scomparsa dall'azione scenica. Sui presunti intenti satirici dell'esodio delle Donne a parlamento, ved. K. 7. DOVER, «Lustrum » II (1957) pp. 101-102.

* Ved. già C. BEER, Über die Zahl ecc., cit., 1844, pp. 103-106, e F. KAEHLER,

De

Ar.

J. van LXVII

Eccl. tempore

et

choro

quaestiones.

epicriticae,

Ienae

1889,

pp.

41-50.

LEEUWEN, Eccl, Lugduni Batavorum 1905, e C. ROBERT, « Hermes » (1922) p. 334, attribuiscono i trimetri 54-56 alla Donna prima.

5 Per ED. PRAENKEL, Dramaturgical Problems ecc., cit., 1936, pp. 262-265, le due rivali recitano sul tetto, perché ἔστηκα dell'879 implicherebbe che la Vecchia è visibile dalla testa ai piedi, in posizione eretta. Ma ἔστηχα, come insegnano Uccelli 206, 1308 e Lisistrata 424, può significar qui « me ne sto inattiva » (se poi ἔστηκα è strettamente qualificato da ἀργός dell'880, cfr. Pace 256). Il Fraenkel è seguito dal PICKARD-CAMBRIDGE, The Theatre of Dionysus cit., 1946, p- 67, ma non da A. M. DALE, « Journ. of Hell. St. » LXXVII (1957) p. 208, né da S. SREBRNY, Studia scaenica cit., 1960, p. 119. La Dale, basandosi su Donne a parlamento 976-977, ritiene che le due rivali abitino in una medesima

casa dall'unica porta e che pertanto tutte le Donne a parlamento si valgano di una sola porta e di una sola casa. La Dale, come già si disse, è fermamente convinta che il teatro aristofaneo disponga di una sola porta.

PLUTO

I. L'ultimo concorso. — «Il Pluto fu rappresentato sotto l'arconte Antipatro [cioè nel 388], e antagonisti di Aristofane furono Nicocare coi Laconi, Aristomene con Admeto,

Nicofonte con

Adone, Alceo con Pasifae. Rappresentata per ultima questa commedia sotto proprio nome (cfr. anche scolio Pluto 173], e volendo raccomandare'agli spettatori il figlio Araros con dei drammi, per mezzo di lui mise in gara i due restanti, Cocalo e Eolosicone » : così l'Argomento III, nel quale la considerazione sul desiderio di Aristofane di raccomandare agli spettatori il figlio esprime cer-

tamente

soltanto

l'opinione

di

chi

disponeva

delle notizie di

teatro relative alle due commedie posteriori al Pluto

gari notava che quelle due commedie e in proposito

ved.

più

(e che ma-

ebbero un buon successo;

oltre). Anzi

niente vieterebbe

di pen-

sare che Aristofane sia morto dopo il Pluto e che il figlio abbia condotto in porto due commedie lasciate dal padre, tanto più che secondo la Suda Araros esordì (con proprie commedie) solo nel 375-372. Una delle due commedie aristofanee par certo che sia stata rappresentata da Araros alle Dionisie del 387, perché i Fasti di quell’anno registrano una vittoria di Araros : e di ciò si parlò alla fine del sesto paragrafo di Cronologia di un tirocinio. L'Argomento sopra riferito, come si può dedurre dal completo

(e non alfabetico) elenco degli autori con i titoli delle commedie, avrà dato in origine un'esplicita graduatoria: primo, secondo, terzo, quarto, quinto. In seguito, per evidenti ambizioni espositive,

la graduatoria vera e propria fu omessa (ma con ciò non vogliamo dire

che

il vincitore

dell’Argomento

stofaneo). lagone,

sembri

Anche come

fu

la

Aristofane,

stimolata

notizia

si diceva

da

sebbene

un

sull'agone

nel capitolo

tutta l'impostazione

conclusivo

non

7 due

è teatri

successo

conservata:

ari-

se

di Aristofane,

è lenaico, allora il Cocalo può essere stato rappresentato già alle Dionisie del 388. Per i cinque poeti in gara si parló al settimo

354

CARLO FERDINANDO RUSSO

paragrafo di Cronologia di un tirocinio, e ne riparleremo più oltre alla fine del terzo paragrafo. Il nostro Pluto dell'anno 388 è, come è noto, un Pluto secondo,

ché Aristofane aveva rappresentato un Pluto sotto l'arconte Diocle nell’anno -408 (scolî Pluto 173 e 179). Anche il posteriore Eolosicone è una commedia «seconda»: in due delle tre sue ultime commedie Aristofane riprenderebbe dunque perlomeno tematica e maschere di antecedenti drammi ; e di ciò più oltre, alla fine del secondo paragrafo. Qua si può rilevare che nel Pluto un personaggio,

Pluto,

ha

una

battuta

caratteristica

dell'Aristofane

dei

vecchi tempi, di quando egli polemizzava sull'arte comica : « ... così inoltre eviteremo le volgarità, perché non si addice al poeta comico gettare fichi secchi e confetti agli spettatori, e costringerli così a ridere » (796-799). « Al poeta comico » : ad Aristofane cioè. Pluto, come già Diceopoli negli Acarnesi e lo schiavo prologante delle Vespe, è qui il portavoce diretto del drammaturgo, nel quarantesimo

anno

della

sua

carriera

teatrale.

2. I due protagonisti che si alternano e l'economia artistica del « Pluto ». — Il Pluto, ambiente

come

le

Vespe,

ha

per

unico

e perpetuo

scenico una casa borghese in Atene ; e del Pluto, come

delle Vespe, è caratteristica la coesistenza perpetua di due protagonisti, ambedue appartenenti a quell'unico ambiente scenico. I due protagonisti delle Vespe sono personaggi discordi e fra di loro

antagonistici,

mentre

Cremilo

e Carione



il padrone e

il

servo del Pluto — sono personaggi concordi e complementari: tanto concordi e complementari che i due, dopo il prologo, non

recitano

mai

contemporaneamente,

e anzi

si alternano

con

precisa regolarità. Quando Cremilo è inattivo recita Carione (253321, 627-770, 802-958, 1097-1170), quando è inattivo Carione re-

cita Cremilo (322-626, 771-801, 959-1096, 1171-1207). E le singole

scene con Carione e con Cremilo — nel corso delle quali Carione ha parti di circa duecentocinquantacinque versi, Cremilo di circa duecento — sono caratterizzate sempre dall’apparizione di nuovo personale scenico, di norma

episodico : in 253-321

Carione

agisce

con il corifeo e con i coreuti, in 322-626 Cremilo agisce con gli episodici Blessidemo e Povertà, in 627-770 Carione agisce con la Moglie di Cremilo, in 771-801 si ha una breve scena con Pluto

PLUTO

risanato

355

(nuova maschera ecc.)-Cremilo-Moglie di Cremilo, in 802-

958 Carione, dopo un messaggio al Coro, agisce con gli episodici

personaggi dell'Uomo giusto e del Sicofante, in 959-1096 Cremilo agisce con la Vecchia e l'episodico Giovinetto, in 1097-1170 Carione agisce con l'episodico Ermes, e infine un Sacerdote di Zeus e dà avvio all'esodio.

Cremilo

agisce

con

Un regime recitativo del genere porta appunto ma anifestazioni sceniche distinte e tendenzialmente episodiche, ma regolate sempre da uno dei due protagonisti perpetui; nelle Donne a parlamento invece la protagonista Prassagora scompariva a metà della commedia, e in seguito apparivano nuovi ed episodici personaggi,

ben caratterizzati.

A quanto

sembra,

nelle Donne

a parlamento

e nel Pluto, già la sola devitalizzazione del Coro — cioè la ridu-

zione dell'ambito drammatico e dell'impegno politico della commedia — pone nuovi problemi nell’elaborazione dei protagonisti e dei personaggi : problemi che nel Pluto portano alla concezione

di due protagonisti perpetui che si alternano. E che si alternano con funzioni e caratteristiche tanto distinte, che sarebbe improprio — a parte altre considerazioni — pensare che il drammaturgo abbia concepito, dopo il prologo, le parti di Carione e di Cremilo per affidarle a turno a un medesimo attore. Se Aristofane, dunque, con i due protagonisti complementari e alternantisi sulla scena in compagnia di nuovi personaggi di norma episodici, avrà inteso rendere più mossa e più varia la sua commedia, una tale mobilità e una tale varietà implicano, come si è accennato, una tendenza all’episodio, alla scena in sé e per

sé,

all’indugio,

al frammento

drammatico:

insomma

una

com-

media costruita con la preoccupazione stilistica dell'alternanza di due primi personaggi, è naturale che non abbia molto di mira uno

sviluppo

organico

della materia

e una

costante

progressione

dell’azione strutturale. In verità le scene regolate da Carione sono sempre abbastanza pertinenti con il filo principale della commedia, mentre quelle successivamente regolate da Cremilo non sempre sono altrettanto pertinenti. È già significativo, per esempio, che subito dopo il prologo Carione e poi Cremilo indugino a rivelare, l'uno ai contadini

e l'altro

a Blessidemo,

l'avvento

di

Pluto: ma

l'indugio

di Cremilo, a differenza di quello di Carione, porta a un dialogo

356

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

che è al di fuori dell'effettiva situazione drammatica, sebbene sia. un dialogo molto interessante per la caratterizzazione di Blessidemo (cfr. 343-390). Chiarite le cose, ecco che interviene Povertà : ora è lei che indugia, come aveva fatto Pluto nel prologo, a rivelare la propria identità (415-435, cfr. 56-78). Il dibattito che segue fra Cremilo e Povertà, nel corso del quale Povertà svolge pensieri molto acuti (sebbene, come è noto, non pertinenti con le enunciazioni precedenti), rimane estraneo al contesto drammatico : non tanto perché un personaggio rilevante come Povertà

appare e scompare come una marionetta, ma perché perfino alcune battute conclusive dei contendenti fanno intendere che il dibattito non ha un gran peso nell'azione drammatica. Al confuso Cremilo, messo alle strette da Povertà, non resta altro che gridare : « non mi convincerai,

improvvisamente

neanche

se mi convincerai»

ora arrendevole

(600), e l'acuta,

Povertà : «ma

voi un

ma

giorno

m’ richiamerete qui». E Cremilo : «quel giorno ritornerai, ora crepa!» (608-610).

ma

Qui termina la prima parte della commedia, e termina con un'azione extrascenica che si protrae per tutta una notte: Cremilo, Blessidemo e Carione conducono Pluto al tempio di Asclepio. Una volta qui sarebbe caduta la parabasi, mentre ora qui si ha un'attività del Coro designata da un XOPOY (sul quale al terzo paragrafo). Dopo questo intermezzo, è di scena Carione : tocca a lui la relazione sulla guarigione di Pluto nel tempio di Asclepio, ché Carione è l’unico che è rimasto sveglio durante quella notte miracolosa (cfr. 669-672, 739-740). L'amplissima relazione — il messaggio si estende dal 653 al 759 — è uno dei pezzi migliori del teatro aristofaneo : la personalità del malizioso Carione, a contatto con un'ascoltatrice come la superstiziosa Moglie di Cremilo, assume il massimo rilievo. Nel Pluto, quando interviene Carione, il drammaturgo è sempre

in vena, sicché Carione in ognuna delle sue manifestazioni sceniche ha un rilievo ben più vivo di quello che non abbia, successivamente, il suo giudizioso e modesto padrone: insomma a scene

regolate con brio e con energia da Carione seguono scene di minor brio e vigore con Cremilo, e queste scene, come si diceva, sono talvolta meno legate al filo principale della commedia. Lo abbiamo già visto per la scena con Blessidemo e con Povertà, e altrettanto

PLUTO

si nota,

nella parte dimostrativa

357

della commedia,

per la scena

Vecchia-Cremilo-Giovinetto di 959-1096 (ma quello della Vecchia è in personaggio originalissimo). E invece briose, pungenti e pertinenti sono le due scene dimostrative regolate da Carione in 823958 e 1097-1170.

E in questa parte dimostrativa,

la scena tematicamente

ed

eticamente più significativa è quella di 823-958 fra Carione, l'Uomo . giusto e il Sicofante. La rilevanza etica e l'energia spirituale di Carione sono, in questa scena, così notevoli, che una parte degli scoliasti e dei siglatori fa regolare invece tutto l'episodio dal padrone Cremilo.

Senza dubbio Carione ha in questa scena una mansione spiritualmente piuttosto singolare per uno schiavo. Ma questa appunto

è una delle caratteristiche del Pluto : la promozione a personaggio autonomo

del Servo,

o meglio lo sdoppiamento

eroe comico — un uomo

del tradizionale

«libero » — in due personaggi con ca-

ratteristiche complementari. Nelle Rane dell'anno 405 si potrebbe scorgere un avvio in questo senso: nell'Ade agiscono fianco a fianco un pavido Dioniso-Eracle e un coraggioso e lucido Santia, e Dioniso-Eracle passa ogni tanto la propria maschera e le pro-

prie prerogative al suo servitore Santia. Ma nel Pluto, commedia di ambiente borghese, la costante rilevanza drammaturgica e spirituale del Servo può essere un sintomo di una nuova concezione comico-etica, nella quale la tipica figura dell'energico eroe comico si sfalda, e trova un nuovo equilibrio. Un equilibrio che l'energica Prassagora delle Donne a parlamento non aveva, ché essa a metà commedia scompariva del tutto dall'azione scenica, e solo indi-

rettamente si faceva risentire alla fine inviando in teatro una sua

Ancella perché tirasse i fili di tutto l'esodio. E il Pluto, rispetto alle Donne

a parlamento,

ha trovato un qualche equilibrio anche

nel trattamento del Coro : e ne parleremo al paragrafo successivo. Nel Pluto dell'anno 408 il Servo non avrà avuto il ruolo di

perpetuo

protagonista

autonomo

e complementare

che ha

Ca-

rione nel nostro Pluto secondo. Tuttavia in questa bonaria commedia dell'anno 388 vi sono situazioni e maschere che risentono di commedie più antiche : l'ambiente contadino, la polemica contro Zeus, la mordente parodia di un ditirambo del coetaneo Filosseno, il vigore sofistico ed euripideo delle argomentazioni di Povertà, la

358

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

sfilata dimostrativa dei vari tipi (in particolare il Sicofante, Ermes, il Sacerdote di Zeus), Reminiscenze del Pluto !? Nelle due commedie successive invece, secondo i benevoli critici antichi, Aristofane batteva una nuova strada: «nel Cocalo

fu il primo che mostró anche la maniera della commedia nuova... presentando una seduzione, un riconoscimento e tutte le altre

caratteristiche tipiche di Menandro»

(Vita Aristophanis x e ro),

« nell' Eolosicone [secondo] c'è il carattere della commedia di mezzo »

(Platonio 7). Ma un altro critico, che evidentemente non disponeva delle due ultime commedie, alcune caratteristiche « nuove » le trovava già nel nostro Pluto (cfr. p. XVIb 27-30 Dübner = p. 37, 23-25 Cantarella).

3. Corifeo e ' coreuti ' nel « Pluto ». Personaggi e attori. — Y due protagonisti perpetui guenza, come si é In ogni modo il Coro Donne a parlamento, rire

nel

luogo

che si alternano possono essere una conseaccennato, della devitalizzazione del Coro. del Pluto, ancor più modesto di quello delle è un Coro costantemente passivo. Per appa-

dell'azione

scenica,

il Coro

del

Pluto



formato

da contadini compagni di lavoro di Cremilo (223) — viene prelevato da Carione (222-226), e entra in teatro guidato e incitato da Carione. Carione incita il Coro in tetrametri giambici (253-256), il corifeo risponde in tetrametri giambici, e il dialogo prosegue con questo metro (257-287). Il corifeo esclama : « voglio danzare per la gioia » (288-289), e Carione conduce via via la danza e il canto (290-315). Carione dà quindi l'ordine di cessare la danza e il canto satirico, e invita i coreuti «a volgersi a un'altra manifestazione » (ἐπ᾽ ἄλλ᾽ εἶδος τρέπεσϑε), mentre egli entrerà in casa

(316-321). Dopo questo invito, nel codice Veneto si ha un XOPOY, al quale tien dietro un breve dialogo fra Cremilo e il corifeo (322-331). Dopo i trimetri 328-331 il corifeo ha un'attività più esigua ma costante (487-488 tetrametri anapestici, 631-632 e 637/639-640

due trimetri giambici e tre trimetri docmiaci, 962-963 trimetri giambici, 1208-1209 due tetrametri anapestici di chiusura), e abbastanza costante è l’attenzione che viene prestata al Coro o al

corifeo dai personaggi: a parte 627-630, 802-822, 959-961 e II7I rivolti al Coro, cfr. gli accenni indiretti al Coro e al corifeo in 341

e 641. Ciò non avveniva, come si ricorderà, nelle Donne a parla-

PLUTO

359

mento, ove del Coro ci si ricorda di nuovo soltanto nel finale. Nel

Pluto, dunque, c'é più coerenza nel trattamento del Coro : il Coro vi è più modesto, ma ha trovato un nuovo equilibrio. I recenti interpreti concordano nell'attribuire al solo corifeo e ndn già a tutto il Coro i melici giambi 296-301 e 309-315, che

rispondono ai giambi di Carione 291-295 e 302-308 : al canto del solo Carione si addice appunto una risposta da parte del solo co-

rifeo. Ed è di nuovo il solo corifeo a intervenire esultante con dei docmî, quando apprende da Carione della guarigione di Pluto

(637, 639-640). Ma in questo momento che il

Coro

di esultanza è singolare

non intoni un canto, e che non vi sia un canto co-

rale quando Pluto risanato rientra in teatro dopo il 770. L’esortazione di Carione al 761

«danzate e saltate e ballate in circolo »

(ὀρχεῖσϑε xal σχιρτᾶτε καὶ yopevete), potrebbe far aspettare anche un canto, sebbene Carione non esorti addirittura il Coro a salutare il dio o a cantare o a danzare in onore del dio, come fanno

Trigeo

in Pace 581, l’Araldo nuziale

in Uccelli 1719 e l'Amba-

sciatore ateniese in Lisistrata 1277. .

Nei manoscritti del Pluto, fra il verso 770 e il verso 771, c'è un

KOMMATION

XOPOY.

Che sia questo KOMMATION

XOPOY,

come ritengono molti interpreti, a significare un canto del Coro? Noi non lo crediamo, per i motivi già detti nel capitolo sulle Donne a parlamento. Tanto più che il Coro del Pluto è significativamente

muto — a differenza di quello delle Donne a parlamento — in occasione del dibattito epirrematico : soltanto il corifeo si fa vivo con i due tetrametri anapestici 487-488. Questo del Pluto è l’unico dibattito epirrematico aristofaneo che non sia introdotto dal tradizionale canto del Coro: un fatto questo che dovrebbe far riflettere. È ammissibile che il Coro rinunci a introdurre liricamente

il dibattito epirrematico, e che canti invece fra 770 e 771 (e altrove, cioè almeno fra 321-322, 626-627 e 801-802)? E non è significativo che il Coro venga introdotto eccezionalmente in teatro da un attore, e che il corifeo dialoghi con quel-

l'attore,

e non già magari anche con i coreuti? E perché questi

XOPOY ricorrono soltanto quando non ci sono personaggi in scena, perché insomma si evitano le premesse per una comunicazione lirica del Coro con gli attori? Non è economicamente e teatralmente verosimile stipendiare e istruire un corpo di cantanti,

360

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

e rinunciare poi alle loro prestazioni allorché gli attori sono in scena. Che il Coro del Pluto non canti par di nuovo chiaro nell'esodio : qui il corifeo promette un canto di tutto il Coro (12081209), ma il canto avrà luogo fuori del teatro, nel corso della processione verso l'Acropoli (sebbene questo avvenisse anche nel finale delle Rane : cfr. Rane 1528). Insomma il Pluto non par che disponga dei tradizionali coreuti, ma di coreuti che si limitano a danzare quando la scena è deserta di personaggi (ma fra 1170 e 1171 nessuna fonte attesta un intermezzo del genere). Chi canta è il solo corifeo, il quale ha in pratica soltanto

una

manifestazione

canora

e per nulla straordinaria,

la

parodia del ditirambo di Filosseno. Naturalmente il Pluto dispone di un aulista.

Questa sui coreuti è un'ipotesi, e neanche nuova : ma è un'ipotesi che si appoggia ad argomenti interni, alla particolare economia '

artistica e recitativa del Pluto (e sarebbe perciò improprio invocare la definizione

χορεία come

generale

che

Platone,

Leggi

654b,



della

un insieme di danza e di canto). Ed è un'ipotesi

che riguarda magari il solo Pluto e le quattro commedie coagonali dell'anno 388 (tre di queste desumono, come il Pluto, il titolo da un personaggio) ?. Nel 388 i poeti in gara erano appunto cinque, mentre ai concorsi che vanno dagli Acarnesi del 425 alle Rane del 405 partecipavano solo tre poeti (per le Donne a parlamento del 392 non abbiamo notizie di teatro) : insomma era stato ripristinato il normale regola-

mento

dionisiaco-lenaico

(cfr.

Aristotele

Costituzione

niesi 56, e ved. già p. 50). In questa occasione,

degli Ate-

mentre

da una

parte si ammisero più poeti ai concorsi, vi può essere stata una riforma

coreutica.

Una

riforma,

beninteso,

che

terpretato una situazione

artistica : le Donne

392, infatti,

ancora

tanti,

ma

Se con e 1096, i tre attori necessario, sufficiente

disponevano

non

se ne

avvalevano

doveva

aver in-

a parlamento del

sì di ventiquattro

coreuti-can-

compiutamente.

gli scoli bizantini si pone un XOPOY dopo Pluto 958 dodici personaggi della commedia impegnano soltanto (dopo il 1170 un intermezzo di danza non è strettamente almeno per l'economia degli attori, perché l'attore ha tempo per cambiare la maschera fra 1168 e 1172):

PLUTO

primo

attore

361

(ovvero secondo attore), con una dizione

di quasi quattrocentonovantacinque versi dei quali una ventina lirici nel tratto 290-321 : Carione 1-228, 253-321, Povertà 415-609, Carione 627-770, Pluto risanato 771-799, Carione 802-958, Vecchia 959-1094, Carione 1097-1170, Vecchia 1197-1203;

secondo

attore

di quasi quattrocentoventi

787, Uomo Cremilo

(ovvero primo attore), con una dizione versi:

Cremilo

22-252,

322-626,

giusto 823-954, Cremilo 965-1096, Ermes

782-

1099-1168,

1172-1207 ;

terzo

attore,

con una dizione di circa duecentocinquanta

versi: Pluto cieco 58-251, Blessidemo 335-623, Moglie di Cremilo 641-769, 788-801, Sicofante 850-950, Giovinetto 1042-1093, Sa-

cerdote

di Zeus

1171-1196.

A cura di comparse: Bambino con l'Uomo giusto (823, 843), Testimonio del Sicofante (933), Schiavi di Cremilo (1194, 1196). Una comparsa impersona il muto Pluto quando viene

portato fuori di casa al 626 e al 1196. Per Pluto, suddiviso fra il terzo e il primo attore (unico caso aristofaneo della suddivisione

di un personaggio

fra due attori),

ci soffermammo al terzo paragrafo del capitolo sulle Nuvole.

NOTE 1 O. CATAUDELLA, La poesia di Aristofane, Bari 1934, p. 200, si domanda se nel Pluto secondo non vi sia « una senile ripresa di maniera » di vecchi motivi e Bioblemi. Ved. anche, in proposito, 1. GEFFCKEN, Griech. Literaturgesch., Heidelberg 1926, I p. 257. 3 Per la tradizione dei ΧΟΡΟΥ͂ del Pluto l'edizione di Victor Coulon è molto difettosa. In realtà il codice Veneto tramanda XOPOY sul margine sinistro dei versi 321, 627 e 802, e tramanda

KOMMATION

XOPOY

fra il 769 e il 770;

il

codice Ravennate tramanda KOMMATION XOPOY fra il 770 e il 771, e ha un XOPOY di seconda mano fra 1'801 e 1'802 ; scolt e manoscritti bizantini recano XOPOY al 252-253, 626-627, 770-771 (KOMMATION XOPOY), 801-802, 958-959, 1096-1097 : una precisa descrizione del materiale è in E. W. HANDLEY, «Class. Quart.» XLVII (1953) pp. 55-61, e altro materiale bizantino è stato

indicato e discusso da W. J. W. KosTER,

Autour d'un manuscrit

d' Ar. écrit par

Démétrius Triclinius, Groningen 1957, pp. 116-135. Per KOMMATION XOPOY ved. K. HOLZINGER, Plutos cit., 1940, pp. 236-237. Per altre ipotesi sull’interpretazione dei ΧΟΡΟΥ͂, ved. A. KÖRTE in « Hermes » XLIII (1908) pp. 39-41, e poi nella voce Komódie della Pauly-Wissowa (anno 1921, c. 1259; ma il

primo

a pensare

a ΧΟΡΟΥ͂

=

canti

non

pubblicati

fu

F.

RITTER,

De

Ar.

Pluto, Bonn 1828, p. 18), e K. J. MAIDMENT in « Class. Quart.» XXIX (1935) pp. 1-24. La nostra ipotesi fu già avanzata, fra gli altri, da D. COMPARETTI

nella prefazione

alla traduzione

del Pluto

di A.

Franchetti,

Città

di Castello

1900 (= Poesia e pensiero del mondo antico, Napoli 1944, pp. 134 e 142), e da P. MAZON, Essai ecc., cit., 1904, pp. 155-156. Ved. anche di W. BEARE, « Class. Quart.» XLIX (1955) pp. 49-52. Nelle non rifinite e non recitate Nuvole se-

conde il XOPOZ suo

tempo,

un

o XOPOY canto

corale

in margine al verso 889 esprime, come si disse a progettato

e poi

non

scritto.

ELEMENTI

DI UNA

CARRIERA

TEATRALE

«Da

quando

il Virtuoso

e l'Invertito

ricevettero

in questo

teatro grandissimi elogi da persone che é già un piacere intrattenere, e io dovetti esporli — ero ancora una ragazza e non mi era consentito di partorire —, ma un'altra giovinetta li prese e li adottò... » : l'esordio ' segreto ' di Aristofane, che questi versi delle Nuvole seconde rievocano negli anni 419-418, era avvenuto nel

427, e la commedia

del Virtuoso e dell'Invertito,

i Banchettanti,

si era classificata seconda, e in teatro l'aveva condotta il didascalo Callistrato. Il teatro dei Banchettanti fu quello di Dioniso, il teatro cioè dei soli drammi di agone dionisiaco (fra i quali le Nuvole) : l'esordio dunque avvenne alle Dionisie. In quel tempo esordiva in Atene una nuova generazione di commediografi, e il loro esordio segnò nel giro degli anni 428-424 il rapido declino dei poeti che nell'ultimo decennio avevano dominato i concorsi delle Dionisie e delle Lenee. Frinico esordisce nel 429 e vince il concorso lenaico del 428, Eupoli esordisce diciassettenne nel 429 e vince il concorso lenaico del 426 e quello dionisiaco del 424, Aristofane esordisce, anche lui giovanissimo, nel 427 e s'impone con gli Acarnesi alle Lenee del 425 e con una commedia ignota alle Dionisie del 425 e ancora alle Lenee del

424 con i Cavalieri. Fino allora nessun poeta nuovo era riuscito ad infrangere

la supremazia dei vecchi e maturi maestri, fra i quali

Cratino, Teleclide, Ferecrate ed Ermippo. E questi maestri, dopo il 424, riemergono molto di rado : il grande Cratino, che Aristofane aveva superato con gli Acarnesi e con i Cavalieri, s'impone con la

Bottiglia sul Conno di Amipsia e sulle Nuvole di Aristofane alle Dionisie del 423 ; ma in seguito, come mostra un'analisi delle Liste marmoree dei poeti vincitori, i superstiti fra i vecchi e maturi mae-

stri (Cratino muore poco dopo il 423) vincono al massimo un paio di volte; e con ragione Aristofane nei Cavalieri si contrappone, dopo le due consecutive vittorie del 425, ai vecchi poeti una volta fortunati.

368

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

In quegli anni il pubblico stabile ateniese si era notevolmente alterato, a causa della massa di contadini che la guerra peloponnesiaca aveva cacciato col 430 dalle campagne nella città. Poeti esordienti, e alcuni molto giovani come Eupoli e Aristofane, si affermano subito in questo periodo, davanti a questo pubblico, nell'epoca che — almeno dal 425 — ammetteva ai concorsi comici non più cinque ma solo tre poeti. Aristofane, che fu il primo ad infrangere nella primavera del 425 la supremazia dei vecchi maestri nell'ambiente dei pià antichi

concorsi delle Dionisie (i dionisiaci Babilonesi del 426, a quanto si desume

dai consecutivi

Acarnesi,

non

erano

stati vittoriosi),

qualche mese dopo si decise a chiedere di persona all’arconte un Coro per i lenaici Cavalieri del 424. La carriera ‘segreta’ era durata dunque tre anni, cinque commedie aristofanee avevano partecipato a cinque concorsi e in teatro erano state pilotate da Callistrato (Banchettanti, Babilonesi, Acarnesi) e da un altro didascalo (due titoli sono ignoti) ; ma a un certo momento « molti andavano a trovare il poeta — come dirà il corifeo nei Cavalieri — per domandargli meravigliati perché non chiedesse da tempo un Coro a proprio nome ». L'indugio — che Aristofane nei Cavalieri spiega con tre ragioni : l'arte comica è la più difficile fra tutte ; il pubblico è difficile e volubile ; bisogna prima remare, poi osservare i venti, e infine pilotare per conto proprio —, dipese di certo, almeno dopo il noto incidente politico che i Babilonesi provocarono nel 426 con Cleone, dal calcolo di volersi presentare ufficialmente con un Coro politicissimo come quello degli autorevoli Cavalieri. Questo calcolo s'intravvede già negli Acarnesi del 425, quando il corifeo, a nome del poeta, esclama e preannuncia : «ti odio ancor più di

Cleone, al quale farò la pelle per farne suole ai Cavalieri ! ». E il corifeo dei Cavalieri dirà : «se qualcuno dei vecchi poeti comici avesse voluto costringere noi Cavalieri a rivolgerci al pubblico nella parabasi, non l’avrebbe ottenuto facilmente. Ma questa volta

il poeta ne è degno, perché odia le stesse persone che noi, e perché osa dire il giusto, e generosamente marcia contro Tifone e Ura-

gano ». E, nelle Vespe del gennaio-febbraio 422 Aristofane ricorda agli spettatori che la sua carriera ufficiale era cominciata con il violento attacco al mostruoso Cleone : « quando il poeta cominciò

ELEMENTI

per la prima

volta

con uomini comuni,

DI UNA

CARRIBRA

a rappresentare ma

con una

TEATRALE

commedie,

collera degna

369

non

se la prese

di Eracle

attaccó

i potentissimi, e subito fin dal principio si scontró audacemente

proprio con.il Canne-aguzze : dai suoi occhi lampeggiavano tremendi fulgori di Cinna puttana, e cento teste di adulatori esecra-

bili gli leccavano in giro la testa, e aveva la voce di un torrente che semina strage, e fetore di foca, e coglioni immondi di Lamia, e culo di cammello ». Il Mostro

muore

nell'ottobre del 422, e Aristofane

nella Pace

del marzo-aprile successivo riprende dalle Vesfe quei versi, i quali costituiscono ormai una monumentale epigrafe d'addio in una commedia che é tutta un addio a Cleone, e nella quale i coreuticontadini si definiscono « senza la grinta dura come per l'innanzi ». Aristofane intuisce che con la morte di Cleone e con la pace alle porte fra Atene e Sparta — la pace fu firmata pochi giorni dopo la Pace — si chiude un capitolo della propria carriera, e nella pa-

rabasi della Pace traccia anche un euforico consuntivo dei propri meriti artistici: tanto più che fra i concorrenti c'era Eupoli con gli aggressivi e satirici Adulatori, mentre Aristofane aveva messo insieme dopo l'autunno, sotto l'incalzare della pace, una commedia

«senza la grinta dura come per l'innanzi». Il primo premio andò a Eupoli,

e Aristofane fu secondo.

La scelta delle Lenee per un esordio con una commedia

poli-

ticissima e casalinga come i Cavalieri è naturale. «Questa volta Cleone — aveva detto il protagonista nei lenaici Acarnesi dopo l'incidente con i dionisiaci Babilonesi — non mi calunnierà che io sparlo della città alla presenza di stranieri. Perché siamo solo

noi, il concorso é nel Leneo, e stranieri non ve ne son presenti : tributi, come sapete, non ne sono arrivati, e neppure gli alleati delle città. Ma siamo solo noi oggi, il fior fiore della farina ». In quest'ambiente confidenziale delle Lenee il corifeo dei Cavalier: chiederà nella parabasi agli spettatori che applaudano «con propizio clamor lenaita, sicché il poeta se ne vada gioioso per l'evento sperato » ; e potrebbe essere che, alla fine, lo spettacolo dei Cavaleri sia stato integrato da una preorganizzata manifestazione a favore di Aristofane neo-didascalo. « Oggi come non mai, o dea, bisogna che tu assicuri in ogni modo ai nostri la vittoria », aveva

insistito il corifeo dei Cavalieri.

370

CARLO

Come

FERDINANDO

RUSSO

gli Acarnesi, anche i Cavalieri sottintendono l'altro am-

biente agonistico, quello del teatro di Dioniso, ove in primavera vengono rappresentate le commedie di agone dionisiaco e ove le tragedie costituiscono la parte principale del programma. Gli agoni delle Dionisie erano più antichi e più rigorosi, e fra il pubblico sedevano anche quegli stranieri e alleati che lo spettacolo lenaico degli Acarnesi e dei Cavalieri presuppone assenti : « dolcissima sarà la luce del giorno per voi presenti e per quelli che verranno,

se

Cleone

muore », cantano

i Cavalieri.

Quando

nella

dionisiaca Pace del 421 Aristofane ripete quel gruppo di versi delle lenaiche Vespe del 422, soggiunge : «... sempre io tenevo testa al Mostro, combattendo per voi e per le isole ». « E per le isole » soggiunge, appunto perché fra il pubblico sono questa volta gli alleati delle isole, e non i soli Ateniesi. Il Coro delle dionisiache Nuvole saluta «gli Ateniesi e gli alleati » ; e il corifeo contrappone l’ambiente delle Nuvole all’altro : «la più acuta delle mie commedie [le Nuvole], ritenni giusto di farla gustare a voi per primi »: a voi spettatori delle Dionisie, e non già agli spettatori delle Lenee, con le quali si apriva

la stagione

teatrale.

« In tutte le stagioni

— cantano le Nuvole — si hanno in Atene processioni, sacrifici, festini, e quando giunge la primavera è la festa di Bromio, l’eccitazione

di cori risonanti,

la musa

fremente

degli auli ». Le

Dio-

nisie di primavera sono la festa per eccellenza, e anche una commedia così aerea come gli Uccelli, rappresentata alle Dionisie del 414, riflette l'ambiente di quella festa. Aristofane, che mostra esplicitamente di distinguere il diverso ambiente politico-civile delle Lenee e delle Dionisie, alle Lenee

destina

commedie

i Cavalieri,

le

spregiudicate e casalinghe come

Vespe,

alle Dionisie

commedie

gli Acarnesi,

più ambiziose

come

le Nuvole, la Pace, gli Uccelli. Queste sei commedie egli le rappresenta nel giro di un dodicennio, e perciò la diversa vena politicoartistica del commediografo lenaico rispetto al commediografo dionisiaco non sarà casuale. Friedrich Leo e Theodor Bergk non mancarono di notare questo divario. E le sei commedie degli anni 425-414 mostrano — perlomeno a chi le legga come opere di teatro e non come opere da tavolino — tutta una serie di distinte proprietà sceniche : ed è naturale che sia così, ché le une erano destinate a un teatro, le altre a un altro ;

BLEMENTI

DI

UNA

CARRIERA

TEATRALE

371

e i due teatri erano di tipo radicalmente diverso. Per le lenaiche «il concorso è nel Leneo» — lo dice il protagonista degli Acar"esi!

—,

cioè in un recinto che si trovava

nella zona

dell'Agora

e nel quale veniva di volta in volta improvvisato il teatro ; per le dionisiache

il concorso

è nel solenne

teatro

di Dioniso,

sul

pendio meridionale dell'Acropoli. E distinte proprietà sceniche, ora da Leneo ora da teatro di

Dioniso, si ritrovano in commedie successive, per le quali non è tramandato se furono destinate alle Lenee o alle Dionisie : cioè la Lisistrata e le Tesmoforianti, ambedue del 411, mostrano di essere state concepite per il teatro di Dioniso, mentre le Donne a parlamento del 392 e il Pluto del 388 hanno nette caratteristiche le-

naiche.

Le

lenaiche

politicissime

(anzi

commedia

una

Rane

fonte

del 405

antica

più

sono

tramandate

precisamente

dice

come

che

«la

fu rappresentata nel Leneo »), e la loro arte scenica

è tipica del Leneo.

Acarnesi, Cavalieri, Vespe, Rane, Donne a parlamento, Pluto ; Nuvole, Pace, Uccelli, Lisistrata, Tesmoforianti : in tutto quindi restano undici commedie delle quaranta che Aristofane scrisse in circa un quarantennio. E in questo quarantennio, a causa del-

lintensa produzione e perché aveva facoltà di chiedere l'ammissione all'agone lenaico o al dionisiaco ovvero ad ambedue, egli avrà di regola progettato l'una e l'altra materia comica per l'uno e l'altro ambiente.

Una condotta pià che normale per un autore

di teatro che scriveva

soltanto per degli spettatori e per una

precisa occasione agonale, anche se, naturalmente, le varianti stilistico-ideologiche fra commedie lenaiche e commedie dionisiache non sono né saranno sempre state così nette come le loro distinte

proprietà sceniche. Ma è già significativo che per le Nuvole seconde Aristofane abbia avuto di mira il medesimo ambiente delle Dionisie

alle quali

sfortunate l'abbia

qualche

Nuvole,

destinata

e che

anno

una

alle Dionisie,

prima

aveva

commedia mentre

anno ne destinò un'altra. Nelle Tesmoforianti, commedia

con

concorso

come

alle Lenee

proprietà

gli

con

le

Uccelli egli

del medesimo

sceniche

dioni-

siache, un personaggio dichiara : «sono Eco... : proprio quella che. lo

scorso

anno

in

questo

medesimo

luogo.

collaboravo

anch'io

nella gara per Euripide [come personaggio dell’Andromeda] ». «Il

372

CARLO

medesimo

FERDINANDO

RUSSO

luogo » non può che essere il teatro di Dioniso,

anche

perché Euripide gareggiò, sembra, solo in quel teatro. Là, dall'inizio del V secolo, tre tragediografi erano presenti con quattro drammi ciascuno, mentre agli agoni tragici del Leneo, istituiti verso l’anno

432, competevano due tragediografi, e solo con due tragedie ciascunp.

Sofocle fu alle Lenee

sei volte, perché sei delle sue venti-

quattro vittorie non furono dionisiache ; ma Euripide alle Lenee forse non ci fu mai, come si può desumere drammi

ufficiali e dei suoi

concorsi

dal numero

(ventidue

dei suoi

concorsi, ottanta-

quattro drammi e una trilogia postuma). Euripide, già così poco fortunato alle Dionisie, avrà evitato un ambiente dominato da comme-

diografi a lui ostili. E poi egli avrà tecnicamente preferito il teatro di Dioniso, perché solo il teatro di Dioniso disponeva della macchina del volo, tanto necessaria e congeniale a molte sue tragedie: fra le quali l'Andromeda, parodiata dalle Tesmoforianti «nel medesimo teatro ». Quando Aristofane gareggia in quel teatro, il teatro per eccellenza, sembra quasi che voglia dare una lezione di virtù drammaturgica ai suoi colleghi tragediografi : mentre le commedie dell'improvvisato teatro lenaico sono, fra l'altro, caratteristiche perché

i protagonisti e gli altri personaggi agiscono anche 'fuori del teatro ' (a parte che nelle Rane, situate nell'Ade), nelle commedie dionisiache il protagonista sta nell'ambito del teatro dal principio alla fine, e gli altri personaggi, se escono dal corridoio, non rientrano più in teatro. Questa unità teatrale del luogo drammatico,

che dipenderà da un teatro stabile situato ai margini della città, è sconosciuta ad Euripide (per non dire di Eschilo), e Sofocle la pratica soltanto nelle sue tragedie più recenti (ma solo per i protagonisti). Un tale rigore da parte di Aristofane, e di Sofocle, deve essere

naturalmente

contemporanea

frutto

di

un

dibattito

drammaturgico

nell'Atene

(Sofocle, come si sa, scrisse un trattato sul Coro,

e fu autore di varie riforme d'arte scenica e recitativa). Sofocle e Aristofane attestano anche una notevole verosimiglianza nell'apparizione dei personaggi e nel trattamento del tempo drammatico (Aristofane, fra l'altro, cerca sempre di attenuare il grande intervallo che la parabasi originava) ; e certe speculazioni tipicamente drammaturgiche di Aristofane sono pià volte esplicite nelle sue

BLEMENTI

Di

UNA

CARRIBRA

TBATRALE

373

commedie, dagli Acarnesi alle Donne a parlamento. Una delle più insigni si ha nelle Rane,

quando

Euripide

critica quelli che egli

chiama «i fili della Tragedia » : Eschilo, secondo la critica di Euripide (e di Aristofane), non sa muovere i personaggi, perché li ‘tiene troppo a lungo in scena seduti e muti, e lascia che il Coro detti legge con i suoi canti: per questo le fondamenta dei drammi di Fschilo sono sconnesse. Ed Eschilo non reagisce. Aristofane invece i fili della Commedia li sa tirare bene, e non è quel drammaturgo anarchico e casuale che il dilettantismo e la pigrizia di molti interpreti ci hanno raffigurato. Quando i di una

sua

commedia

non

rispondono

fili

ai comandi, ciò è dovuto

a gravi vicende teatrali : se Cherefonte e Sofocle non compaiono mai sulla scena delle Nuvole e delle Rane, pur dopo che alle loro persone è stata data una forte vitalità retroscenica, il fatto è che le nostre Nuvole sono quelle Nuvole seconde che ai filologi di Alessandria non risultavano essere state mai recitate ; e anzi l’analisi mostra che le Nuvole seconde non sono recitabili. Le Rane furono sì recitate, ma l’analisi mostra che la morte di Sofocle costrinse Aristofane a riformare con urgenza la commedia ormai pronta

per la rappresentazione. Il duttile e digressivo giuoco comico di Aristofane può farsi sì giuoco dell'analisi, ma non dell'analisi che si adegui alle solide proprietà di un testo concepito per un'interpretazione scenica e per una precisa scadenza

agonale.

L'analisi mostra appunto

che

tutte le deviazioni logiche e artistico-strutturali delle Rane dipendono da una recentissima e gravissima novità della cronaca teatrale-civile di Atene, e per le Nuvole seconde mostra che il fa-

moso dibattito dei due Ragionamenti non è regolabile secondo la rigorosa prassi dei tre attori vigente nel teatro ateniese, ché quel dibattito e il testo circostante hanno bisogno di cinque attori di primo piano. Il dibattito dei Ragionamenti è insomma un’innovazione, e imperfetta, delle Nuvole seconde rispetto alle Nuvole: e queste avevano Cherefonte fra i loro personaggi. E sarà stato il piano di rimettere in gara una commedia non molto dissimile da quella già recitata e male accolta, a tagliare alle Nuvole seconde la via del teatro (i frammenti delle Tesmoforianti seconde attestano invece un profondo sconvolgimento di sostanza e di regime recitativo, fin dal prologo, rispetto alle Tesmoforianti).

_

374

CARLO

PERDINANDO

RUSSO

Dopo lo scacco delle Nuvole alle Dionisie del 423, Aristofane si presentò alle Lenee dell'anno successivo con due commedie, il Proagone e le Vespe, e fu assente dalle Dionisie (e anche dalle Lenee del 421). Ma la legge non gli permette di figurare come autore di due commedie, e cede il Proagone al suo didascalo Filonide. Egli preferisce ripresentarsi al pubblico con le Vespe, cioè con una commedia politico-civile come i fortunati Cavalieri, e caratterizzata,

ancor

piü

dei

Cavalieri,

dalla

concentrazione

del

maggior peso recitativo su due soli personaggi antagonistici, chiari ed elementari. E in un preambolo le Vespe amano presentarsi come commedia misurata e accessibile, e sembra anche che abbiano un guizzo polemico nei confronti del coagonale Proagone, commedia letteraria e antieuripidea. L'esperienza delle Nuvole re-

gola tutto il calcolo della materia e della struttura delle Vespe ; e per la loro chiusa, come già per la parodo ravvivata dalla presenza di un fanciullo-cantante, Aristofane escogita una novità: «ma via, se vi piace, conduceteci fuori mentre danzate: ché questo

nessuno l’ha mai fatto finora nel congedare un Coro danzante di commedia ». Ma tutta la chiusa, a cura di tre ballerini-nani figli di Carcino, non dovette essere bene accolta se l'anno dopo Aristofane protesta

nella Pace:

« ma,

o Musa,

se Carcino

viene

a sup-

plicarti di danzare insieme coi suoi figli, non dargli retta, non andare in loro compagnia... ». La Pace dunque, che è delle Dionisie del 421, segue direttamente alle Vespe, alla commedia degli aspri dicasti : «tu non troverai più in me un dicasta aspro e intratta-

bile », dice l'idilliaco Coro della Pace. Le Vespe riuscirono seconde (per colpa dei figli di Carcino?), e il Proagone ceduto a Filonide ebbe il primo premio. Almeno un'altra volta Aristofane cedé una commedia coagonale a un suo didascalo.: la Lisistrata e le Tesmoforianti,

del 411,

mostrano

infatti di essere state

ambedue

ambedue

destinate

alle

Dionisie. Ambedue sono commedie femministiche, ma una a carattere politico-civile e panellenico, l’altra a carattere letterario e con un intrigo d’ambito privatissimo : tanto privato che gli attori-protagonisti lasciano intatto l'ambiente nel quale agiscono —

caso

unico

in Aristofane

—,

occupati

come

sono

da problemi

scevri di ripercussione pubblica ; e il divario fra le due commedie

è fortissimo anche sul piano coreutico e recitativo : la Lisistrata,

ELEMENTI

DI

UNA

CARRIERA

TEATRALE

375

per esempio, ha ben due marce corali d’ingresso, mentre le Tesmo-

forianti non ne hanno neppure una. Aristofane, anche questa volta, figurò come autore della commedia più politica, la Lisi«strata. Delle Tesmoforianti il soggetto e l'oggetto, l'orditore e la vit-

tima artistica è Furipide : Euripide uomo di teatro al servizio di Euripide uomo privato. Euripide aveva riportato un notevole successo alle Dionisie del 412 — un suo successo era quasi una novità per i coetanei di Aristofane

—,

e le Tesmoforianti ne fu-

rono stimolate, quando la politicissima e panellenica Lisistrata doveva essere stata già progettata. Tanto panellenica la Lisistrata, che per il suo finale lirico in dialetto laconico Aristofane eliminò addirittura la protagonista Lisistrata dal novero dei personaggi parlanti e impiegò il primo attore nel nuovo e difficile ruolo del Cantante spartano. Da un punto di vista tecnico questo fenomeno, come già quello progettato nelle Nuvole seconde per la definiti va instaurazione dei nuovi personaggi dei due Ragionamenti e come un altro che si avrà nel Pluto, mostra che per ruoli episodici

importanti il drammaturgo non poteva che ricorrere a uno dei primi tre attori : Aristofane dispone sì anche di un quarto attore, ma costui è modestissimo e ha mansioni nettamente distinte da quelle dei primi tre, e non recita se non in trimetri giambici. La

successiva teoria estetica di strutture recitative con tre personaggi e non di più fu ricavata dalla tragedia, ma poteva con discrete

ragioni ricavarsi anche dalla commedia aristofanea. Naturalmente fu ricavata dalla tragedia interpretata come opera letteraria, e non già come opera di teatro soggetta a un presumibile regolamento

statale degli attori : un regolamento, beninteso, che aveva sancito ufficialmente una sintassi artistico-recitativa elaborata via via dai drammaturghi,

Le Rane del 405 danno un'insigne misura delle risorse drammatiche di Aristofane, come già gli Uccelli. La coerenza drammatica

degli Uccelli, allestiti alle Dionisie del 414 con una ricchezza di mezzi fuori del normale, è rilevante : l’illusione scenica è stabilita

fin dal principiò anche con l'inclusione nel paesaggio drammatico di un tipico elemento neutrale come i corridoi, la coppia di apertura è composta da personaggi non funzionali (e anche perciò

tutta la commedia è più articolata), il Coro è fatto di elementi

376

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

sempre aderenti alla loro maschera (perfino durante la parabasi), il paesaggio drammatico ha una verosimile dilatazione retroscenica perché la facciata degli Uccelli è ‘ aperta ' (è un bosco), i tre attori

sono impiegati quasi costantemente, la commedia sostituzione

la tendenza lirica di tutta

è già indicata al termine del prologo dall'evidente retroscenica

del terzo

attore

con

un

cantante,

e la

costante vena creativa è suggellata dall'apparizione, sulla scena dell'esodio, di una dea esclusivamente

aristofanea.

Delle Rane non è insigne la coerenza drammatica, ma è insigne

la progressiva sceneggiatura di un viaggio e di un paesaggio nel corso di quasi tutta la prima parte della commedia: con questo spettacolo viatorio, che solo le Rane attestano nel superstite dramma antico, Aristofane intese di certo compensare la necessaria immobilità scenica della seconda parte, dedicata al grande confronto artistico-politico fra Fschilo ed Euripide. A causa della riforma che le Rane subirono poco prima della rappresentazione, il lettore analitico nota delle incongruenze nella progressione logica e nell'arte scenica della seconda parte: specie nel finale, tutto im-

provvisato come esso fu per riportare Eschilo in Atene in conseguenza della morte di Sofocle. Con quella tempestiva e significativa riforma Aristofane però salvò la propria commedia — la quale vinse il premio e fu per giunta replicata —, e la salvò così bene da confondere i lettori moderni: perlomeno Max Pohlenz

notò nel 1920,

stimolato

da osservazioni

analitiche

di Eduard

Fraenkel, che la progressione del duello artistico fra Eschilo e Euripide non era normale ; e oggi si può riconoscerne l'originaria progressione, e constatare come essa sia più atta a far cogliere

la posizione di Aristofane nei riguardi della poetica tragica. Tredici anni dopo le bipartite Rane, le Donne a parlamento sono davvero divise in due atti formalmente distinti. La devitalizzazione

del Coro,

che sarà completa

nel Pluto dell'anno

388,

pone nuovi problemi nell’elaborazione dei personaggi e delle scene ; e la devitalizzazione del Coro, cioè la riduzione dell'ambito drammatico e dell'impegno politico della commedia, porta a intrighi

comici privi di un reale intento pratico. Nelle Donne a parlamento lintrigo è per giunta tutto fondato sui frutti di un inganno mai scoperto. Nel Pluto si avrà lo sdoppiamento del tradizionale eroe

comico — un uomo «libero » — in due personaggi con caratteri-

ELEMENTI

DI

UNA

CARRIERA

TEATRALE

377

stiche complementari, e che si alternano sulla scena : il padrone giudizioso e il servo scanzonato. Mentre nelle Donne a parlamento la protagonista Prassagora scompariva a metà commedia, il Pluto riesce ad avere un perpetuo ruolo protagonistico, ma suddiviso alternativamente fra due personaggi. E un qualche equilibrio

il Pluto trova anche nel trattamento del Coro : chi canta è il solo corifeo e gli altri coreuti non sono che dei ballerini, ma l’azione

scenica presta sempre una qualche attenzione a questo fantasma di Coro. L'anno del Pluto, il 388,

i commediografi

ammessi

al concorso

furono cinque, e non più tre. La riforma del programma può essere che abbia portato anche a una riforma coreutica, e i prodromi

se ne potrebbero scorgere nelle Donne a parlamento del 392. Anche

le due

ultime

commedie

di Aristofane,

pur

scritte

in

un'epoca nella quale la lettura e il commercio librario stavano diventando

influenti,

spettatore.

Anzi il testo delle

delle Nuvole

sono

intrinsecamente

Donne

seconde e delle Rane,

concepite

a parlamento,

mostra

solo per lo

come

quello

di non essere stato ri-

considerato dall'autore dopo la rappresentazione (dopo la rinuncia alla rappresentazione, nel caso delle Nuvole seconde) : questi testi mostrano cioè che la pubblicazione delle commedie deve essere avvenuta su esemplari che non erano stati predisposti

dall’autore

per

una pubblicazione libraria.

La concezione

che il Wilamowitz ebbe fin negli ultimi anni della sua vita dei drammaturghi di Atene anche quali editori delle proprie opere per le esigenze del pubblico, è una concezione che ha tuttora molta fortuna : ma anche altri fenomeni nella tradizione testuale delle opere di teatro greco sconsigliano di condividere una tale modernistica concezione bibliocratica, e inducono a ritenere che

il passaggio dalla versione teatrale alla versione libraria sia stato in genere piuttosto fortunoso.

E UN

LE « VESPE» SPAGINATE MODULO DI TETRAMETRI

18 X 2

I. «Due corali come fanno a scambiarsi di posto? »: la paralisi del bibliocrate. — Il traduttore delle Vespe per i « Penguin Books»

del

1964,

David

Barrett,

annota:

«I

have

followed

Zielinski and other editors in reversing the respective positions of this chorus (lines 1450-1473) and the ‘second parabasis’ (lines 1265-1291)». L'edizione delle Vespe a cura di Victor Coulon: «1265-1291 et 1450-1473 inter se commut. MüllerStrübing, Textor, Zielinski ». Nel 1909 un interprete belga: « Il est de la dernière evidence que l’ordre des deux morceaux a été interverti» (Alphonse Willems, Aristophane, Paris-Bruxelles

1919,

I, p.

509,

n.

1).

Nei manoscritti bizantini i versi 1265-1291 il posto

che

spetta

ai

versi

1450-1473,

occupano, infatti,

e questi

occupano

un

posto che si addice molto bene ai versi 1265-1291. Uno scambio fra due unità testuali non contigue è unico nella tradizione delle opere di teatro greco. Dall’ Accademia prussiana, Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff ammoniva nel 1911: « wie sollen denn zwei Chorpartien in der Überlieferung vertauscht sein? Was berechtigt zu solcher kritischen Manipulation? Das ist

das Charakteristische: gung.

Diese

durch

Gróssenwahn

man

Umstellung

fragt gar nicht nach ihrer Berechtiist

ein

Survival

tollgewordenen

aus

Methode,

den

Zeiten

die immer

der

andere

Leute dafür verantwortlich machte, wenn sie etwas nicht verstand ».

« Ma

due corali come

fanno a scambiarsi

della tradizione? » chiedeva « forsennati

vano

dunque

sdegnato

megalomani » che ne avevano

lo scambio.

Un

parso al Wilamowitz

fenomeno

come

di posto nel corso

il Wilamowitz

proposto

quello

delle

ai

e ne adotta-

Vespe

sarà

urtare contro la sua concezione dei drammi

382

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

ateniesi anche come libri pubblicati e annotati dagli autori dopo la rappresentazione per le esigenze del « publicum » dei lettori e degli stessi drammaturghi (ne parlai per le Rane). Il Wilamowitz, nonostante i suoi propositi realistico-storicistici, si era finta questa bibliocrazia da più di un ventennio nel paragrafo Die tragödie ein buch, e da essa si lasciò ancora avvincere

in Hellenistische

Dichtung

del

1924

(I, p. 98,

con

la n. 4).

E una tale modernistica bibliocrazia seguita a governare molti influenti manualisti di teatro greco (per es. Thomas B. L. Webster,

Greek

Theatre

Production,

London

1956,

pp.

x1 e xit:

«the

Greek playwright could not be certain of more than a single production, and therefore he always wrote for a reading public as well as his audience », « already in the fifth century the tragic poet at any rate could count on a reading public », Albin Lesky, Die tragische Dichtung der Hellenen, Göttingen 1964), p. 54, e Geschichte der griech. Literatur, Bern-München 1971), p. 16. Hegel aveva invece visto bene nelle terze Vorlesungen über die Aesthetik,

trattando

della

lettura

e della

recitazione

delle

opere

drammatiche: «ja meiner Meinung nach sollte eigentlich kein Schauspiel gedruckt werden, sondern, ohngefàhr wie bei den Alten [Hegel qui teorizzava, evidentemente, opinioni di classicisti contemporanei: manoscritto per il teatro, circolazione insignificante] als Manuscript dem Bühnenrepertoir anheimfallen, und nur eine hóchst unbedeutende Cirkulation erhalten ». Mentre a Berlino si compativano « gli irresponsabili manipolatori

» dei

due

corali

delle

Vespe,

nello

stesso

1911,

a Parigi,

Louis Havet nella sezione VIII (Les fautes princeps), capitolo XLIV (Éditeurs posthumes), del suo Manuel de critique verbale appliquée aux textes latins, scriveva: «Il n'y a pas de raison pour que les exemplaires de theätre aient eu la forme du

uolumen » ($ 1104 A), e rinviava al $ 55: pas

ignoré

les codices,

mais

ils jouaient

«L'antiquité n'avait

le róle de nos

cahiers

manuscrits, carnets, etc.; cf. 1104 A ». E Alphonse Dain, nel figurarsi la costituzione del manoscritto d'autore come «une opé-

ration

multiforme», diceva

nel febbraio

1944

all'École

Normale

Superieure: «Quoi qu'il en soit, la confection de l'original a toujours été une entreprise moins simple qu'on ne le croit. Com-

LE « VESPE » SPAGINATE

E UN MODULO

DI TETRAMETRI

18 X 2

383

ment Hérodote ou Xénophon, comment Stace ou Lucain ont-ils confectionné leur original? C'est que nous n'entrevoyons que fort mal. On peut dire que l'original de Thucydide était fait de la suite des rouleaux au bas desquels il avait apposé sa signature; mais qu'en était-il pour les autres auteurs? Que de problémes de composition d'une ceuvre ancienne trouveraient peut-étre leur solution si nous étions mieux renseignés sur ces faits! Qu'on re-

tienne en tout cas que, dés le point de départ, l'histoire du texte est liée aux conditions matérielles qui constituent ce que nous appellerions aujourd'hui ‘la mise en page’ de l'ouvrage » (Les manuscrits, Paris 1949, p. 93; 1975 ^. p. 105). A un Louis Havet e ad un Alphonse Dain, consci che una tradizione testuale ha anche una preistoria, quell'incontro con le Vespe non avrebbe procurato la paralisi che procuró al Wilamowitz, che pur ebbe di mira per tutta la vita il manoscritto dell'autore: « Es soll seine Hand von den Texten lassen, wer es nicht versteht, den Weg von der erhaltenen Handschrift bis auf die des Verfassers zurückzuverfolgen » (Geschichte der Philologie, 1927, p. 76). Lo scambio di posto dei due corali poté benissimo avvenire perché « il n'y a pas de raison pour que les exemplaires de théatre aient eu la forme du wuolumen ». E lo scambio sarà avvenuto quando gli elementi manoscritti delle Vespe, preparati e organizzati per la varia economia e istruzione scenica, furono copiati su un rotolo di papiro (in epoca e anche in cerchia aristofanea, naturalmente). E le Vespe mostrano nelle ultime sei centinaia e più di versi un'economia artistica nettamente distinta (in tondo i versi degli attori, in corsivo quelli del coro; K = due trimetri giambici del corifeo): 891-1008 1009-1121 1122-1264 1450-1473

1292-1449

+ K

1265-1291

1474-1515

1516-

1537. Dialoghi da una parte e parti per il solo coro dall'altra. Lo scambio dunque si spiega molto bene: «in ambedue i casi si tratta infatti di pezzi scritti per il solo coro — e degli unici due pezzi corali fra la parabasi e l’esodio —, e da inserirsi in ambedue i casi fra due battute dei primi due attori

384

CARLO FERDINANDO

che lasciano in scena» !.

la

scena

e una

RUSSO

battuta

del

terzo

attore

che

entra

2. Attori, corcuti, fanciulli: un altro incidente in casa Aristo-

fane.



tardo

Il disagio

dei

versi

provocato

290-316

nella

fu

parodo

avvertito

l'Ottocento da Wilhelm Nesemann, van Leeuwen; ma la drammaturgia

nella

delle

Vespe

seconda

dal

ri-

metà

del-

da Emil Brentano e da Jan della parodo é divenuta dav-

vero riconoscibile quando il polacco Stephen Srebrny locato i versi 290-316 fra i versi 265 e 266°.

ha

ricol-

Un'analisi può far progredire il riconoscimento dell'armonia verbale, logica e scenica di 230-247/248-265— 290-316, 266-289—317-333. Qui basta tener presente: 290: il Corifeo comanda al Fanciullo portalanterne di procedere; 291-316: marciando (299), il Fanciullo e il Corifeo dia-

logano

in metri

lirici

(in 248-265

avevano

dialogato

in tetra-

metri);

266-272:

il Corifeo

indica

229), e invita 1 compagni

la casa

di Filocleone

(cf.

214-

del Coro a fermarsi per attrarre fuori

Filocleone con una melodia;

273-289:

canto del Coro per Filo-

cleone, invocato direttamente in 286-289; 317-333: Filocleone (primo. attore, inattivo

dopo

il trime-

tro 197) con una monodia risponde al corale che si veniva go-: dendo dall'inizio (cf. 317-318). Dunque

i versi

266-289

(Corifeo -- Coro)

occupano

nei ma-

noscritti bizantini il posto che spetta ai versi 290-316, e i versi 290-316

versi copiata

(Corifeo + Fanciullo)

266-289. prima

zione avvenne della

tradizione

Insomma di

quella

tutta

occupano

il posto

che

un’unità

scenica

fu

successiva,

e questa

spetta

una

anticipata

ai

volta trascri-

in un esemplare in grado di determinare il corso testuale,

diretta

e

indiretta,

superstite

o

rico-

struibile. Un tale esemplare sarà stato quel primo esemplare su rotolo delle Vespe, del quale al paragrafo uno. Avvenuta la trascrizione su rotolo, il testo continuo (e la sua presentazione ormai non

scenica), infatti, avrebbe molto difficilmente indotto a copiare in anticipo un gruppo di linee: a) alquanto distante, b) piutto-

LE

sto

esteso,

« VESPE » SPAGINATE

c)

coincidente

E UN

MODULO

DI TETRAMETRI

con

meravigliosa

18 X 2

esattezza

385

con

tutta

un'unità scenica. E i due gruppi di linee, pur se adiacenti, erano

disuguali

per estensione,

e diacriticamente

erano

inequivocabili :

uno era caratterizzato dalla presenza di almeno dodici paragraphoi, l'altro dall'assenza di paragraphoi ovvero dalla presenza di una sola paragraphos, davanti al tetrametro 266 (come nel

codice di Ravenna) ἢ Se lo scambio

delle due

unità contigue

avvenne

al momento

della prima trascrizione su rotolo, decisiva poté essere l'attrazione che sui sette tetrametri giambitifallici 266-272 esercitarono i diciotto tetrametri giambici 230-247 e ancor piü i successivi diciotto tetrametri giambitifallici 248-265. / tal caso, il XXXVI tetrametro (= verso 265) era stato l'ultimo dell'unità poi trascritta su rotolo, e un'altra unità aveva contenuto tutta la scena fra il fanciullo e il corifeo (= versi 290-316), e un'altra

i sette

tetrametri+ il canto

corale

(= versi

266-272 + 273-

289). In ogni caso, l'unità sulla quale furono scritti all'origine i tetrametri d'apertura (= versi 230-247, Ovvero 230-265), era

di certo un’unità autonoma:

ché i ‘precedenti’

versi

1-229

in-

teressavano solo l'istruzione dei tre attori; e poi i tetrametri avrebbero inaugurato l'attività e l'istruzione coreutica e para-

coreutica auletica.

(fanciullo portalanterne),

e probabilmente

anche

quella

3. Una forma costruttiva dominata dal ritmo. — Konrad Zacher, recensendo nel 1886 Die Gliederung der altattischen Komoedie di Thadeusz Zielifiski, scriveva per le Vespe (riferiamo in italiano): «1 versi 266-272 si staccano fortemente dai precedenti (Zielifiski stesso a p. 269 trova che il passaggio dalle considerazioni sul clima alla meraviglia per la non apparizione di Filocleone, è « molto brusco ») e sembrano piuttosto un'introdu-

zione

al canto;

invece

i versi

248-265

costituiscono

un

tutto

coerente. Se sia un caso [non spaziato nell'originale] che questo pezzo conta tanti tetrametri quanti quello precedente (versi

230-247), cioè diciotto, voglio lasciarlo indeciso » (« Wochenschrift f. klass. Philologie » 50, c. 1573; per i 18 e 18 in sim-

386

CARLO FERDINANDO RUSSO

metria cf. già Rudolph Westphal, Prolegomena zu Aeschylus Tra-

gódien, Leipzig 1869, p. 34). Non è un caso, si può dire oggi. Anzi oggi è agevole cogliere l’antitesi metrica e stilistica dei diciotto+diciotto tetrametri: i primi diciotto sono giambici, gli altri giambitifallici; nei primi il corifeo si rivolge ai coreuti, negli altri dialoga con un fanciullo. Il fanciullo comincia 1] dialogo (248), il corifeo lo chiude (258-265), l'uno e l'altro hanno tre interventi, ma il fanciullo ha sei tetrametri e il corifeo dodici. E poi tra i 18 e 18 l’antitesi è segnalata anche da un fuori metro; il fanciullo si fa notare

con

un

à,

e

da

Eschilo

ad

Aristofane

tali

esclamazioni

sono spesso in posizione programmata. Anche le altre parodoi, ove il corifeo al suo primo apparire con il coro in teatro dialoga con un attore, si aprono con tren-

tasei

tetrametri. L’anno dopo le Vespe, il 421, Aristofane re-

dige per la Pace un'apertura dialogica di parodo con trentasei tetrametri, trocaici, a cura del corifeo e del primo attore (301336). Dopo più di un trentennio, nel Pluto dell'anno 388, la parodo dialogica è ancora di trentasei tetrametri, giambici, recitati dal primo attore e dal corifeo (253-289), seguiti da un canto amebeo fra il primo attore, che ha condotto in teatro e ancora conduce la marcia del coro, e il corifeo (290-295= 296-301, 302-308= 309-315). Anche nelle Vespe messe in gara alle Lenee del 422, i trentasei tetrametri furono seguiti da un canto amebeo fra il fanciullo, che aveva da poco condotto in teatro e

ancora conduceva la marcia del coro, e il corifeo (291-302= 303-316; dopo il canto amebeo, in Vespe 266 e in Pluto 318 entra nel giuoco la facciata scenica). Nell’unica altra parodo dialogica, quella dei Cavalieri dell'anno 424. i tetrametri trocaici d'apertura sono trentasette (247-283), con un dialogo di ben quattro voci. Nelle altre commedie, dopo il prologo, il coro recita e canta solitario ( Acarnesi, Lisistrata, Donne a parlamento), ovvero

canta

negli

Uccelli

Rane,

quando

rifeo

dietro

e

la

scena

(Nuvole,

Tesmoforianti, inizia

davvero

sfila la

Rane);

altrimenti,

silenziosamente.

parodo

verso

come

Ma

l’orchestra,

nelle il

co-

recita diciotto tetrametri anapestici (354-371). Nella Pace il modulo dei trentasei tetrametri ha una cornicetta simmetrica di due tetrametri del primo attore, i tetrametri

LE

« VESPE » SPAGINATE

E

UN

MODULO

DI

TETRAMETRI

18

X

2

387

299-300 € 337-338; e l'egregio metricista Eliodoro distingueva criticamente i due tetrametri 299-300 — «detti ancora dal vecchio » — dai «parimenti trocaici trentasei tetrametri di quando arriva il coro »; e dopo questo complesso dialogico di trentasei linee Eliodoro distingueva i due tetrametri trocaici 337-338 e li qualificava come « preludio » al successivo « canto»

in dimetri Un

sol

del primo

Eliodoro

fascio

di

non

tutti

derni ‘analisti’. Un

lio Cavalieri

attore

(scoli Pace

faceva

qui,

i versi

e

uguali,

solo esempio:

247-283

White),

in

299-336 tante

come

White).

altre

usano

occasioni,

i più

dei

a differenza di Eliodoro

e di Aristofane,

i moderni

un

mo(sco-

in-

cludono nella parodo dei Cavalieri anche i tetrametri 242-246. Eliodoro sapeva riconoscere le proprietà della redazione e della destinazione di un testo di teatro. 4. Accanto alla parabasi e all'agone epirrematico. — lisi del modulo

tetrametrico

dà, in sintesi, le seguenti

Un’ana-

risultanze:

a) in Vespe, Pace, e Pluto il modulo è simmetricamente epirrematico (tetrametri 18 x 2): per le Vespe, nelle quali la struttura 18x 2 è anche metrica, si è detto all'inizio del paragrafo terzo; nella Pace la prima unità è regolata dal motivo del grido proibito, la seconda dal motivo della danza proibita (cfr. solo il XVIII e il XIX tetrametro del modulo); nella prima unità il corifeo e l'attore hanno tre interventi per uno (dodici tetrametri contro sei), nella seconda sette per uno (undici contro sette); nelle due unità del Pluto l'uguale numero degli interventi e dei tetrametri del corifeo e dell'attore è simmetricamente antitetico (prima unità: attore quattro interventi e undici tetrametri, corifeo venti e undici

tre e sette; seconda unità: corifeo cinque intertetrametri, attore quattro e sette); nel modulo di

trentasette tetrametri dei Cavalieri sembra distinguibile una prima unità di 8.3.8 linee e una seconda di 3.4.1.1.1.2.2.2.2. (corsivi gli interventi del corifeo); nella prima il corifeo ha due interventi

e

l'attore

uno,

nella

seconda

il corifeo

tre

e

i tre

attori sei; e nella seconda unità il rapporto numerico di undici linee a sette é quello della seconda unità della Pace e della prima

388

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

e della seconda unità del Pluto; infine ventitré linee come il corifeo della Pace. monologico, è di diciotto tetrametri.

N.B.:

in Pace

553-570

coreutica è di tetrametri si profila

nettamente,

b) la seconda

un modulo

trocaici

ché erompe

unità

del modulo

diciotto dai

il corifeo ha in tutto Nelle Rane il modulo,

dialogico

per 'parodo '

(9 x2).

e si staglia e

trimetri;

trocaico

della Pace

è l’unica

scena tetrametrica (dialogica) in Aristofane con esplicita interpretazione orchestica del coro e del corifeo. L'epirrematicità simmetrica del modulo favorisce un'interpretazione cinetica (se

non

anche

orchestica)

in

Pace

in

due

tempi,

come

di certo

553-561/562-570

(nel

Pluto

nelle

sono

Vespe

e

simmetrici

gli interventi del corifeo, in corsivo: 4.4.3.1.3.2.1/2.2.2.2.4. 2.1.1.2). L'interpretazione vocale è curata dal corifeo e dal primo attore (Pace, Pluto), dal corifeo e da più di un attore (Cava-

lieri, Pace 553-570), dal solo corifeo (prima unità delle Vespe, Rane), dal corifeo e da personale paracoreutico (seconda unità delle Vespe);

c) in Cavalieri e Pace il modulo è aperto da otto tetrametri del corifeo divisi in due unità uguali (Cavalieri 247-250. 251254, Pace 301-304. 305-308), in Pluto da quattro+quattro tetrametri dell'attore e del corifeo. . N.B.: alcune parodoi del coro solitario si aprono con unità

di quattro tetrametri: Acarnesi 204-207, Lisistrata 254-255+-319320

(semicoro+semicoro),

anche Tesmoforianti 655-662 rodo:

Tesmoforianti

Donne

a

Parlamento

285-288;

cf.

(4 x 2), che hanno carattere di pa-

660-662->Cavalieri

242,

Vespe

246,

Pace

299-300, Pluto 255-256. Cf. inoltre Donne a Parlamento 489-492 e 500-503. Anche in Nuvole 263-266, subito dopo il prologo, si ha un'unità di quattro tetrametri (dell’attore); d) in tre commedie il modulo è ad anello, e viene aperto e saldato dallo specifico motivo agonistico: Cavalieri 247-250> 278-283, Pace 303-304 — 336 e 553-555 — 569-570, Pluto 262263 + 284-289; anularità verbale in Vespe 230 > 246 e Rane 354

> 370;

LE

e) in verbali:

« VESPE » SPAGINATE

Pace basta

e Pluto mettere

E UN

MODULO

il modulo a confronto

DI TETRAMETRI

presenta

18 X 2

fortissime

il XXXV

389

identità

tetrametro

(Pace

335, Pluto 288), e il I tetrametro del corifeo (Pace 301, Pluto 257; cf. anche Vespe 230). In Vespe 250-258, Pace 301-331 e Pluto mica,

261-282

nei

corifeo

Cavalieri

lo

e attore

scontro

hanno

é violento,

una

schermaglia

il corifeo

pole-

delle

Rane

è polemico; f) in Cavalieri 242-246 e Pace 299-300 l'attore, nell'includere estemporaneamente

il coro nell'azione scenica, instaura quello che

sarà il metro del modulo; in Pluto 253-256 l'attore, nel guidare la marcia d’entrata del coro, apre e instaura il modulo; in Vespe l'attore instaura il nuovo metro della seconda unità del modulo; in Vespe e Pluto lattore instaura, dopo il modulo, un canto amebeo con il corifeo.

Tetrametri mero

trocaici

canonico

giambici

(36,

18),

giambitifallici

epirrematicità

anapestici

simmetrica

in nu(18 ΧΩ,

9X2), simmetricità o euritmia cinetica ovvero orchestica del coro, interpretazione vocale del corifeo e del primo attore, anularità

verbale,

azione

drammatica

e agonismo

dialogico

in mi-

niatura, stereotipia verbale e gestuale perfino in medesime linee del modulo, attore che include il coro nello spettacolo, che instaura il metro

coda

del

amebea

modulo

lirica

o della

con

del modulo ora rilevato Aristofane *.

[1968-1984]

sua

seconda

il corifeo:

un

elemento

queste

unità,

che

intona

caratteristiche

una

fanno

nobile della commedia

di

NOTE 1 Così già nel capitolo sulle Vespe, p. 207, n. 4. THADEUSZ ZIELINSKI, Die Gliederung der altattischen Komoedie, Leipzig 1885, p. 203, si limitò a osservare che i due corali delle Vespe s'erano scambiati di posto «durch ein Versehen». A un incidente «nel corso della tradizione» hanno pensato esplicitamente JAN van LEEUWEN, Vespae, Leiden 19092, p. 196 (cf. già i Prolegomena ad Aristopbanem del 1908, p. 311) e WILHELM SCHMID, Geschichte der griech. Literatur,

München 1946, IV,p. 278, n. 7. In breve: per un'osservazione di Stanger (1870) sulla grande tardività di Vespe 1450-1473, Müller-Strübing (1873) intul la permutabilità dei due corali. L'inversione fu proposta, indipendentemente, da Textor e Zieliriski nel 1885 e da Couat nel 1898. La grande tardività del ‘ secondo ' corale fu di nuovo

notata da Brentano

(1871)

e da Hoekstra

(1878).

Pubblicarono

i due corali nell'ordine originario Starkie (1897), Leeuwen (1909), Willems (1909). Avversato

da

Wilamowitz

(1911),

lo scambio

piacque

di

nuovo

a Kunst

(1919),

Schmid (1946), Weinreich (1952), Russo (già nel 1962), Barrett (1964), Gelzer (1971), Mastromarco (1983). 2 In «Eos» L (1959-1960), fasc. 1, pp. 43-45, indipendentemente da WILHELM F. E. NESEMANN, De episodiis Aristopbaneis, Berolini 1862, p. 18, n. 8, da EMIL W. H. BRENTANO, Untersuchungen über das griech. Drama, Frankfurt a. M.,

1871, p. 178 e da JAN van LEEUWEN

nella prima (e solo nella prima) edizione

commentata delle Vespe, Leiden 1893, pp. XXIII-XXIV e 36; io vi accennai già sopra a p. 197. Approvazioni recenti: da Mastromarco (1983), Newiger (1972), Gelzer

(1971),

a Perusino

(Franca

mella commedia greca, Roma del commentatore MacDowell

3 Foglio Wire

146°. Di quella

e EARNEST

PERUSINO,

1968, p. (1971).

35,

paragraphos

Cary, Collations

n.

Il tetrametro

giambico

2),

attenzione

hanno

e molta

notizia

of the Manuscripts

solo

JOHN

catalettico

da

parte

WILLIAMS

of Aristophanes!

Vespae,

« Harvard Studies » XXX (1919), p. 8 (a parte, da ultimo, il commentatore oxoniense MacDowell). In Vespe 230-272 il Ravennate (R) e il Veneto (V) hanno sigle

davanti al 230, e paragraphoi davanti al 23:R, 242R, 248R, 249R, 250 RV, 251 R, 254 RV, 266 R. Dopo Gottfried Hermann (1843) alcuni attribuiscono i versi

266-272 ad una distinta voce coreutica. in

4 Le «Vespe» spaginate e un modulo di tetrametri 18x2 apparvero nel 1968 « Belfagor »; da allora il modulo di marcia ha camminato con l'energia dei

18 tetrametri di Pace

553; al termine dell'articolo belfagoriano indicai la sagoma

in

Pace 657,

trimetri

Teocrito;

36x2

di

nella versione

preparata

con

nel

fuori

1971

metro

mediano,

e uscita nel

e il terzo

1975

idillio

a Darmstadt

di

in

392

CARLO

Aristopbanes

und

titolo

Wespen»

«Die

FERDINANDO

die alte Komödie

a cura

‘im Umbruch’ und

RUSSO

di Hans-JoacHim

ein

traduzione di Frank Regen, indicai il prologo mennone, Iliade A 1-487 (nel 1973, in vista

Modul

von

NEWIGER,

18x2

con

il

Tetrametern,

della Pace, il commo dell'Agadi tutta l'Iliade, premisi a un

articoletto τρὶς BE βαλούσης τῆσδέ μοι φρυχτωρίας). Per la Pace vedi più ol tre nei

Raccordi,

per

Eschilo

e Omero

il capitolo

successivo.

DIETRO

LE QUINTE

DELLA

PAROLA

Qui si metteranno in moto le diavolerie: la poesia sarà pesata su una bilancia..— Cosa, peseranno la

tragedia come un agnello? — e tireranno fuori canoni e cubiti per versi, e forme rettangolari... — Per farci mattoni? — e diametri e cunei. Euripide dice che vuol vagliare le tragedie verso per verso. — Ma Eschilo deve essere furioso! — Certo è che lo guardò come un toro, a testa bassa. — Ma chi sarà mai il giudice? — Questo era il problema: tutt'e due trovavano che c'era scarsessa di intenditori. (dalla poetica delle « Rane »)

1. Un preautore di teatro. I principi della composizione. — Anche di Omero parleró!, per motivi spero accettabili: «Se tu sapessi parlare ad un tempo di così il Socrate rapsodo Ione. quando parlano

per arte e per scienza di Omero, sapresti parlare tutti i poeti, poiché la poietica é un tutto unico »: platonico nel dialogo che prende il nome dal Ione è quel rapsodo che si mette a sonnecchiare di altri poeti, ma la lingua gli si scioglie appena

sente il nome Omero (532c). Che Omero sia un preautore .di teatro è del resto pacifico, a iniziare da Platone e da quei manoscritti su papiro che lo presentano come un'opera a più voci. Platone: «di tutti questi bei poeti tragici, il primo didascalo e il pioniere fu Omero»

(Repubblica, 1. X, 595c). Nel libro terzo Socrate aveva spiegato le differenze fra i tre generi di composizione poetica: il mimetico, il narrativo e quello misto che è insieme narrativo e mimetico. Qual è il pregio della

lezione?

Socrate,

come

farebbe

un

critico

della

scuola

di

Praga, distingue materialmente gli elementi del laboratorio: il verso mimetico per gli interventi dei personaggi e il verso epico per

gli

poeta

interventi

che stanno

opposta:

la forma

del poeta

fra le parti della

narrante.

« Se

cancelli

dei personaggi,

avrai

le parti

del

una forma

tragedia » (394b).

Identikit di Omero: volto di narratore e volto di mimo. Nei drammaturghi troveremo, con varietà di metri, solismo e dialogo, e più generalmente il parlato e il cantato. Da vagli abbastanza

estesi, —

e senz'altro

più

l’insidioso testo drammaturgico —

estesi

per

Omero

che

non

per

risulta che la poietica omerica

396

CARLO FERDINANDO RUSSO

e drammaturgica adotta una unità di misura ossia un modulo e che segue il principio delle proporzioni ossia dei rapporti. L'unità di misura è il tre. Cosa vuol dire? Vuol dire che gli uni e gli altri materiali, gli uni e gli altri aspetti costruttivi sono modulari, ossia sono divisibili per quella unità modulare. Ma il modulare sarebbe un principio in sé e per sé inerte. La composizione vera e propria si attua secondo la dinamica dei rapporti e delle relazioni che regolano gli uni e gli altri materiali, gli uni e gli altri elementi e piani dell'opera. E questi rapporti sono quelli dell'antica teoria della composizione musicale

(e per

antica,

in un

caso,

s'intende

Babilonia).

Certo quando apriamo un Omero, nessuno ci avverte che un libro di Omero era canto, canto vero e proprio, musica; e

un canto forse danzabile da un coro, come sembrano gli Amori di Ares

e Aírodite

alla corte dei Feaci nell'Odissea.

2. Uno spicchio di Eschilo: le regole e la Musa. — Ma prendiamo un momento un'opera ufficiale di teatro, un'opera agonale, come agonali dovevano essere state l’Iliade e l'Odissea. L’Agamennone di Eschilo, rappresentato nell'Olimpiade 80, anno secondo,

primo

atto

della

trilogia

Orestiade.

La

scena

più

am-

mirata é quella fra Cassandra e il Coro, una scena ministra di terrore e grande compassione, come annotavano gli alessandrini. Osservazioni invece che ne facevano intravedere le radici tecniche, le ragioni formali-tematiche, vennero avanzate alla fine dell'Ottocento, da Henri Weil che era diventato ellenista dopo un tirocinio matematico, Études sur le drame antique, Paris 1897, pp. 270-271. Quando s'inizia l’incontro fra Cassandra e il Coro, Cassandra è presente da quasi trecento versi, ma è rimasta muta e ignorata: invano Agamennone l’ha indicata a Clitennestra. Entrata la coppia regale nel palazzo, Cassandra è l’unico attore

in scena,

ma

ignorata

e muta,

e nemmeno

con

la barbara

mano si esprimerà quando Clitennestra riappare imperiosa e la apostrofa per attirarla dentro la reggia-macello. Modularmente parlando, si ha una scena con Clitennestra di 36 versi; quindi l’incontro Cassandra-Coro di 108; e ancora una scena tra Cassandra e il corifeo di 135 versi; infine un

DIETRO

breve congedo sandra

LE

anapestico,

viene apostrofata

matica comprende

291

QUINTE

in

DELLA

PAROLA

r2 versi.

Dal

da Clitennestra,

versi scanditi

397

momento

che Cas-

tutta questa

figura te-

in momenti

modulari,

ma

di diversa estensione. La composizione, nell’adottare un modulo, si muove liberamente entro l’unità di misura: non trovate terzine,

sestine,

enneadi,

ecc. Questo

per

il modulo.

La dinamica

della

composizione è data dal rapporto, e i rapporti sono: armonico, geometrico, aritmetico. La coesistenza di rapporti concorrenti dà alla composizione quella flessibilità e varietà che il compositore sembra si negherebbe: le regole non imprigionano la Musa.

Naturalmente

l’utente non percepisce tutto:

anche dopo un con-

certo, solo il ricorso a un esemplare dello spartito può dare un'idea della struttura profonda. L'utente antichista, certo, dispone solo di esemplari di relativa autorità; purtuttavia in quegli esemplari è rimasta più che l'ombra del libretto d'autore, per-

ché le proprietà costruttive e le didascalie principi sono interne al testo, da Omero ai drammaturghi. insegnava qui in Toscana, esclamava:

Giorgio Pasquali, quando « Siamo più ricchi, siamo

più ricchi di quel che crediamo ». E più ricchi sono anche i modernisti; cinquanta anni fa un egregio critico di Shakespeare ha scritto: « È sorprendente che un fatto così ovvio sia stato riconosciuto solo ora, ossia che Shakespeare non scriveva per essere letto, ma per essere recitato, e che i suoi libri sono in

realtà dei libretti» gista-filologo

(J. Dover

Harley

Wilson

per le prefazioni

Granville-Barker;

la prefazione

del re-

all’Amleto

fu tradotta in Italia da Luigi Squarzina nel 1959). Incontro

scheletro.

di

Ma

Cassandra

con

l’enunciazione

Per questo incontro —

il Coro,

versi

numeri

non

di

108:

risulta

ne

sfioro

lo

armoniosa.

vertice della tragedia Agamennone

e ful-

cro di tutta la trilogia Orestiade — Eschilo prende due materiali: l'usuale trimetro giambico della recitazione e una serie di

metri sono

nettamente mescolati

via

nell'intero preparato

cantabili. via,

108

ma

Questi

due

secondo

figurino

dosi

ingredienti

eterogenei

rigorose:

dimodoché

72 versi lirici e 36 trimetri.

72 € 36 sono propriamente le sezioni aritmetica maggiore e minore di 108, ne sono cioè i 2/3 e 1/3. Ma semplificando, si può dire

398

CARLO FERDINANDO

che per ogni

trimetro

ci sono

due

RUSSO

versi

lirici. Cosi

nel canto

secondo dell’/liade, per ogni verso dei personaggi, ce ne sono due del poeta. In qualcuna delle edizioni moderne, per esempio

quella

di

Gilbert

Murray,

Oxford

1937,

1955)

i versi

lirici

sono felicemente 72, e non per esempio 7o come in altre (per es. Denys Page). Questo divario puó sembrare un'inezia: ma sarebbe un'inezia vedere due terzine di Dante su quattro linee? E il tema? Se si guardano edizioni e commenti vedrete qual

è la varietà di opinioni nel riconoscere le svolte del tema. I principi della composizione agevolano il riconoscimento; e come? Quella ricerca di proporzione fra i materiali adottati non era un'acrobazia gratuita, incurante del tema. Anzi. Il tema si va sagomando proprio in analogia alle dimensioni dei materiali. La relazione analogica è un principio della poetica matematica;

elementi e aspetti compositivi fondamentali adottano misure analogiche. sono

Per analogia appunto

36

e 72, come

i due momenti

le misure

dei materiali.

storici dell'amebeo Il tema

è scandito,

ripeto, in due momenti storici: il momento 36 nel quale Cassandra vede l’uccisione di Agamennone nella reggia, e il momento 72 per il destino di Cassandra‘e della stirpe di Priamo. E questo momento maggiore cade in due frazioni, una iniziale 28 e una finale 44. Il frazionamento tematico-musicale avviene secondo un rapporto musicale, quello geometrico.

Drammaturgia:

l’aspetto che da un punto di vista dramma-

turgico risolve a Eschilo anche problemi di regia — e che è ammirato dagli utenti — è naturalmente il visionario mo-

mento 36 con Cassandra che vede l'uccisione di Agamennone dentro la reggia. 12 trimetri,

globale.

d’oro:

Questo

cosmo

36

risulta privilegiato

per forma:

24 versi lirici, cioè offre il nucleo della composizione

Prendiamo

i preparativi

il compasso

dell’uccisione

o più

comodamente

impegnano

i primi

il numero

14 versi,

l'uccisione medesima gli altri 22. Il rapporto è appunto aureo. Parimenti nel momento storico maggiore, la prima fase era 28

e la seconda 44. Il

martello

dell'analogia

batte

ancora

infatti sono i versi che si presentano, per

il Coro,

in

insiemi

modulari,

due

volte.

Trentasei

ora per Cassandra

e dunque

settantadue

e ora in

in-

DIETRO

LE

QUINTE

DELLA

PAROLA

399

siemi non modulari. Dei 36 in insiemi modulari, Cassandra ne ha 12, e dunque il Coro 24. Solismo e dialogo. C'é dialogo in questa scena, che vede una Cassandra egocentrica, visionaria, a un certo punto in trance? Cassandra non puó essere propensa al dialogo, e tanto meno a

dare del tu. Due

sole sono le sue battute non solistiche, e sono

segnalate da particelle altruistiche; un fuori metro avvia la prima, dopo la linea XVIII; in seguito Cassandra è sempre solistica; anche per l'usignuolo viene provocata dal clarinetto-usignuolo

in teatro,

e non

dalle

voci

del

volte il dialogo, ma il dialogo rimane 36 versi, sei per la egocentrica.

Coro.

Il Coro

tenta

piü

l'aspetto minore: in tutto

Mi fermo lasciando in pace lo scheletro della prima fase tematica 28 e dell'ultima 44. Tutta questa scena con Cassandra, inutile dirlo, é solo uno spicchio, uno spicchio di un cosmo maggiore.

3. Nel grembo

della matematica

quotidiana.



Ma

per un

testo di teatro non si é in grado ora di parlare della sua intera costruzione, come si può, credo, fare per Omero e in particolare

per

l'liade.

Il testo

teatrale

è molto

sofisticato,

tuttavia

non

dovrebbe essere arduo intravedere i rapporti fra il materiale recitativo e il materiale per il canto, il giuoco proporzionale fra solismo e dialogo, le grandi scansioni proporzionali del tema. Omero sembra essere invece al termine della sua odissea, il volto del colosso forse comincia a uscire dall'ombra. Tramite didascalie registiche interne al testo, — didascalie che stanno

naturalmente in grembo alla matematica — si può anche riconoscere quali sono i canti che debbono essere silenziati per un agone ciclico e quale è il canto invece che deve entrare in circuito per quella occasione, e con quale messaggio programmatico e teatrale. E perché l'ammirata scena fra Glauco e Diomede nel libro sesto è mobile, e quale messaggio programmatico e teatrale

ha tale mobilità. Cos'è avvenuto per Omero? È avvenuto che sono riemersi i principi pilota: principi matematici, quanto mai elementari

e cristallini.

400

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

E alla guisa di un autore di teatro, Omero programma il silenziamento del primo e del terzo canto, e dà il primato al canto secondo tramite lo Zeus dell'ambiguo proemio. Nel contempo la Dolonia,

redatta

da

Arctino

e

confinata

nelle

ultime

tavolette,

viene

immessa nel circuito che giunge ora alla notte del dolo, e vi giunge grazie al continuatore Arctino, il poeta dell'avanspettacolo con la spia e i Troiani uccisi nel sonno. Per questa manovra Omero anticipa e mima l'altalena della Dolonia, ossia obbliga il quadro GlaucoDiomede a figurare fuori tema nel libro sesto e gli dà la carica per andare

in coda

al libro quarto,

nella

sede

tematica

e canora;

lo

scolio nel libro sesto avverte: «questo quadro viene da alcuni trasferito altrove », ma i moderni umanisti diffidano di un giuoco scien-

tifico in un'opera letteraria. Eppure anche gli scoli per la Dolonia « fuori e dentro » e per l'Odissea conclusa-continuata riconducono a un programma

scientifico, insomma

matematico.

E gli umanisti si perdono anche quello che gli antichi non si perdevano: dietro quei guerrieri e dietro questa e quella battuta innocente, in luoghi deputati Omero sussurra notizie utili a sé medesimo; e per questo unfair play un Eraclito voleva frustarlo e cacciarlo dalle

gare, come ha ben visto Giorgio Colli. E dal grembo della matematica partono le indiscrezioni sulla Dolonta scritta dal compagno —

in due

st lavora meglio! —, e sui principi dell'arte nel laboratorio: ogni grandezza è divisibile per tre... il costruttore maneggia grandezze che stanno in rapporto, secondo scienza (K 224, O 187 e 410). E nell'Iliade scorre un rigoroso calendario degli avvenimenti, in 51 giorni: 17 narrati,

17 X 2 in ombra; e

trenta giorni,

la μῆνις di Achille... Ecco il ritmo modulare,

un

μήν,

« mese », per

i rapporti nella scan-

sione quotidiana.

Naturale e dinamico patrimonio per un antico poeta-musico e per i suoi utenti questa pur elementare matematica poietica procura un qualche disagio ai piü dei moderni. Giosué Carducci nel discorso sull'opera di Dante attestava che le proprietà matematiche della Divina Commedia non erano intese dai suoi contemporanei; ma il poeta Carducci le intendeva e indicava quale armonica esecuzione formale avesse prodotto il fren dell'arte. Ernst

Robert

Curtius,

nel

1948,

raccomandava

ai dantisti

occu-

pati nel commento antiquario e nel godimento apparentemente estetico di fare attenzione ai principi costruttivi della Commedia: proprio

tali

analisi,

diceva

discretamente,

consentono

di

guar-

DIETRO

LE

QUINTE

DELLA

PAROLA

401

dare un po’ dentro la testa di Dante: «il numero non € un'impalcatura esteriore, ma è simbolo dell'ordine cosmico ». Il disagio dei moderni: discenderà dalla scissione della cultura

in campi

separati

e minorati,

mentre

scissa non

era

la cul-

tura greca. Sentite di nuovo Platone, terra terra: « prendiamo quella scienza che abbraccia tutte le discipline in unità. — Qua-

le? —

Questa,

ad esempio,

di cui ha bisogno

ogni

arte, ogni

indagine, ogni scienza, e che fra le prime deve essere appresa da chiunque. — Ma qual è? — Una cosa da nulla, e che consiste

nel

saper

distinguere

i

numeri:

l'uno,

il

due,

il

tre.

In una parola sola la scienza dei numeri e il calcolo: non è forse vero che ogni arte e ogni scienza sono costrette a farne uso?» (Platone, Repubblica, |. VII, 522bc). I greci non distinguevano le cosiddette belle arti e le cosiddette arti manuali; l’abi-

lità tecnica era tanto del carpentiere che dell’architetto che del costruttore di poesie. Per concludere intorno al disagio: romantico è l'ammonimento sull'antagonismo fra intelletto e intuizione, idealistico e neoidealistico è lo snobismo per i «numeri ». E sia pure; ma per il panico non ci sono tranquillanti: il panico che la Parola ha di venire spodestata dal Numero.

[1979-1984]

NOTE

! Parlavo a Firenze, Palazzo Medici Riccardi, 28 aprile '79, Ludovico Zorzi dietro le quinte, convegno I Greci: nostri contemporanei? Nella comunicazione ho inserito in corpo minore un passo per Omero. Letteratura in « Belfagor»: L'ambiguo grembo dell'Iliade (con uno specchietto del primo canto) XXXIII (1978),

pp.

253-265;

Fisionomia

di un

manoscritto

XXXIV (1979), pp. 653-656 [Die Gestalt kyklischen Iliad), Mélanges Delebecque, di Occidente: tavoletta per scrittoio e PP. 274-282, tavoletta per 51 esametri e

calcidese

Arctino,

composizione

calligrafia

e l’unfair play:

e alfabeto Seneca

arcaico

(e di un'lliade ciclica)

einer archaischen Handschrift (und einer Aix-en-Provence 1983, 343-347]; Aurora calendario con il mese, XXXIX (1984), i giorni iliadici 51, Omero e l'amanuense

di Calcide

anonimo

a Pitecusa

(Ischia).

Per

di Stato, ivi, 1982, pp. 533-553.

la

RACCORDI

I due

370-372:

teatri di Aristofane,

e inoltre

pp.

74,

129-130,

294,

il Leneo come teatro in epoca aristofanea non ha rice-

vuto molti applausi; certo io mi basai anche

su aspetti poco so-

lidi quali lo scenario, le stazioni sceniche e l'ambiente (pp. 8-10; per l’ambiente delle Rane: p. 336, nota 7). Ma spetta a me situare nel teatro di Dioniso dichiarazioni lenaiche come Spettatori, l'agone è nel Leneo, Scortatemi con propizio clamore lenaita (Aristofane, il clamore di Leneo ha casa nel Leneo), Meleto poeta-cadavere nel Leneo (Sannirione)? E che dire di Fensterbusch, Thea-

tron, Pauly-Wissowa 1934, c. 1392, che nel testo lenaico urtava contro un dislivello? « Jedenfalls sprechen die Dramen nicht für das Vorhandensein einer Bühne. Diejenigen Stellen, in denen Schauspieler über einen beschwerlichen Aufstieg zum Ort der Handlung klagen, dienen offenbar nur zur Charakterisierung der Lage des Ortes der Handlung. Die viel erörterten Aristopha-

nesstellen (Ach. 732; Equ.

148; Vesp. 1342.

Zur

Interpretation

vgl Fensterbusch Die Bühne des Aristophanes, Diss. Lpz. 1912) enstammen Dramen, die ἐπὶ Anvatp, also nicht im Diony-

sos-T. am Südostabhang der Burg, sondern im Lenäen-T. aufgeführt sind, und es muß angesichts der Tatsache, daß das T. im Eleuthereusbezirk seine Formung durch die ihrem Ursprung nach ganz anders geartete Komódie erhielt, als durchaus fraglich betrachtet werden, ob die Anlage des (unbekannten) Lenäen-T. der

des T. im Eleuthereusbezirk gleich war ». Fensterbusch, chi era mai costui? Era Die Bühne des Aristophanes, un rinomato archeologo, a nessun titolo oggi ricordato dal corrispondente inglese C. W. Dearden, The Stage of Aristophanes, London 1976 (ben spazzolato da Dover e Newiger,

404

CARLO

«Journal

of

Hellenic

« Gnomon » LV

FERDINANDO

RUSSO

Studies » XCVII

(1977)

pp.

177-178

e

(1983) pp. 197-201.

« The festival of the Lenaia was held each year in Gamelion (the month corresponding approximately to January). In early

times the plays at this festival were performed at the precinct of the Lenaion. Later the performances were transferred to the theatre of Dionysos,

beside the Akropolis.

It is not known

at what

date

this transfer took place. Some scholars believe that it was before the career of Aristophanes for

this,

Douglas p.

18

and

M.

the

question

MacDowell,

(spaziato

mio),

began, but there is no clear evidence remains

commento e in

nota:

alle

Vespe,

«For

recent

open»:

Oxford

cosi

1971,

discussions

see

W. B. Standford in Hermathena Ixxxix (1957) 65, C. F. Russo, Aristofane autore di teatro (1962) 1-21, Dram. Fest 39-40 ». Vedi anche l'altro commentatore oxoniense 1973, Robert Glenn Ussher, a p. 113 delle Donne a parlamento.

Nel 1968 è riemerso il divario amministrativo fra Dionisie e Lenee aristofanee grazie al papiro ossirinchita 2737 recante una testimonianza di Eratostene sul quarto alle Dionisie, Platone « venne

agoni

lenaici », dunque

comico Platone: riuscito respinto l’anno dopo agli

fu escluso dalle Dionisie

(Giuseppe

stromarco, « Rheinisches Museum» CXXI (1978) e « Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik »

pp.

29-35).

Parimenti

Aristofane,

Ma-

pp. 19-34. LI (1983)

sconfitto alle Dionisie con

le

Nuvole, gareggiò l'anno dopo solo alle Lenee; disponeva di due commedie, e una la cedette a Filonide (vedi le V espe, pp. 191-192).

Cronologia di un tirocinio, p. 26: «aiutando in segreto altri poeti» di Vespe 1018. «Il periodo “ segreto ” non andrà datato tra il 427 e il 425, quando Aristofane affidò al regista Callistrato la messa in scena delle sue prime commedie; indicherà invece un periodo precedente al 427, in cui il giovane poeta collaborò segretamente alla stesura di commedie di altri poeti », Ma-

stromarco 1983, p. 47, il quale nel '79 aveva riscoperto Friedrich Leo 1878, Thesaurus londinese v. ἐπιχουρῶν 1815-1828, e ancora altri (Stephen Halliwell è arrivato alle medesime conclusioni in

« Classical Quarterly » XXX un

prossimo

(1980)

« Helikon » tornerà

33-45, Franca Perusino

sulla

questione).

Le

in

metafore

RACCORDI

405

parabatiche dei Cavalieri andrebbero in porto cosi: rematore il poeta dà una mano alla stesura di commedie altrui; ufficiale di prua scrive sì commedie in proprio, ma «scruta i venti » e affida ad un capitano la didascalia ovvero la rappresentazione; capitano

come

per p.

si presenta quale autore e didascalo

a pieno titolo,

i Cavalieri. 31:

p. 32:

ἐνθάδε nella parabasi delle Nuvole a p. 255,

Helmut

Hoffmann,

Chronologie

der att.

1.

Tragódie

cit., 1951, p. 20, osserva che nell'anno 479 e di certo anche nel-

l'anno 478 è difficile che vi siano stati concorsi drammatici. Oltre che in Pickard-Cambridge 1968°, i documenti teatrali stanno in Hans Joachim Mette, Urkunden dramatischen Aufführungen in Griechenland, Berlin 1977. PP. 40 € 54 nota 5: Eduard Fraenkel mi ricordava che il Wilamowitz,

prima di essere influenzato da Paul Geissler, scriveva

nel 1919 a proposito dei Babilonesi: « wie tóricht an einen Sieg dieses Stückes zu glauben » (Platon, II p. 17). In seguito Geissler, 1969, p. XIII, ha registrato la parabasi per 1 Babilonesi non vittoriosi.

degli Acarnesi

additata

« Gli Acarnesi », Cenni sulle sigle e sui testi di teatro, pp. 6672, 122 nota 3, 149, 166, 188 nota5 : per l'ambiguo aspetto « pub-

blicazione-libreria » vedi pp. 317-319 e anche a p. 377. I nove versi delle Donne a parlamento: non furono certo pubblicati intenzionalmente! Sull’autografo vedi ora le « Vespe » spaginate. Nota bibliografica, pp. 74-77: l'osservazione di Piero Pucci su Rane 1323-1324 fu pubblicata in una memoria lincea, Roma

1961, p. 391

London

(vedi il commento

di T. G. Tucker

alle Rane,

1906).

Riprendo sveltamente gli autori delle pagine IX-XII, e integro

quando è necessario: 1962 Fraenkel: il capitolo Der Aufbau der Frósche [dicembre 1960] è stato esaminato insieme alla Storia delle Rane

da Heinrich Dörrie in « Rivista di filologia e d'istruzione classica» XCII (1964) pp. 84-85; Lowe, The Ms Evidence for Changes of Speaker in Aristophanes, Inst. of Classical Studies,

406

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

London, N. 9, pp. 27-42 (un contributo, con esempi, in « Hermes »

XCV (1967) pp. 53-71); 1968 Dover: i quattro commenti oxoniensi di questi anni, Pace Nuvole Vespe Donne a parlamento, sono vagliati da

Newiger in « Gnomon » LV Cambridge,

revisione

(1983) pp. 387-396; e

incremento

di

Pickard-

Thomas

Gould

D. M. Lewis; per le mie Vespe del 1968, vedi al 1975

e

(del '66

é una versione ristretta della patavina Storia delle Rane, « Greece and Rome» XIII pp. 1-13); 1970, 1971, 1972 Gelzer, Zristophanes der Komiker, cc. 1391-1570 del XII Supplemento Pauly-Wissowa; Jens e altri: si apre bene con il poeta-artigiano, il calcolo, i principi, ma l'artigiano di una tragedia intera poi non si vede; Dover, «for the reader

who

does not

know

Greek >;

1975 Aristophanes und die alte Komódie a cura di

Newi-

ger, Darmstadt (con Dover, The Skene of Aristophanes dai « Proceedings of the Cambridge Philological Society » 1966, Ussher, The Staging of Ecclesiazusae da « Hermes » 1969, e le " Wespen " ‘im Umbruch' di p. 391, n. 4);

1982, 1983 Scholia vetera et recentiora in Aristophanis Pacem,

edidit

Eliodoro

D.

Holwerda,

già in

stromarco,

« Mnemosyne» Commedie

di

Groningen;

1964

sul commentario

e 1967;

Aristofane,

Giuseppe

volume

primo

di

Madagli

Acarnesi alla Pace, testo e versione, con premessa e note, Torino;

P. 91: il Coro delle Rane non entra in contatto con i personaggi minori che appaiono fra prologo e parabasi. p. 113:

le Vespe

e le Rane

sono

aperte

dal primo

e dal

terzo attore. p. 116: per Lisistrata 980-1113, ved. pp. 269-276; il Coro della

Lisistrata

non

entra

in rapporto

con

l'Araldo

spartano.

pP. 122 nota 5 e 123 nota 13: sul proagone, vedi Stefan Srebrny, Studia scaenica cit., 1960, pp. 98-113; per il teatro tragico

Oliver Taplin, The Stagecraftof Aeschylus. The Dramatic Use of Exits and Entrances in Greek Tragedy, Oxford 1977 e Greek Tragedy in Action, Cambridge

1978.

RACCORDI

407

p. 152: per Plutone delle Rane bisogna forse considerare solo il tratto 1414-1481. pp. 160 e 168: l'Apologia platonica, a rigore, non si riferisce esplicitamente alle Nuvole a proposito di Socrate « che rende forte il ragionamento debole ». « Le

Vespe»,

pp.

198-204:

commento di MacDowell.

la casa-prigione

è illustrata nel

Secondo Giuseppe Mastromarco, Storia

di una commedia di Atene, Firenze 1974, le Vespe vennero aggiornate prima dello spettacolo come le Rane, e Lachete venne a figurare nei nuovi pezzi 240-247, 281-289, 826-847, 891-1008.

«La Pace» con ἰὴ Uf, pp. 215-216:

grazie all'olandese Hol-

werda, nel metricista Eliodoro il prologo ha recuperato vent'anni

fa un ἰὴ ἰή fra i trimetri 235 e 236: cosi la parte celeste è risultata scandita dall'urlo di Polemo

in due quadri

identici di 63

trimetri (173-298). Recuperato anche l'interrogativo τί φής dopo la linea XXV

del primo quadro, ecco che la linea XXV

dell'altro

strizza l'occhio! La ripartizione 25/38 è geometrica come in Tesmoforianti 1-63 (38 trimetri e 25 linee anapestiche; dopo i trimetri che seguono — e che sono di nuovo 38 — i versi ionici potrebbero essere 25). Altrettanto per il prologo terrestre: dopo le 81 linee che non lo hanno visto in scena, Trigeo appare sullo scarabeo e inaugura un nuovo metro; il prologo presenta ora un altro momento analogico, di 72/90 linee: la elasticità 72/90 € dovuta alle conclusive 18 linee anapestiche, un'arietta fra terra e cielo scandita 9 x 2 (il 163 è estraneo, ché uno scarabeo stertorario raffinato non ambisce a « tutti i cibi umani »). In Dietro le quinte della parola accennai al dialogo e monologo che si modellano su misure fondamentali della composizione; e così qui il dialogo si modella sulla dimensione terrestre 153 — ossia le linee dialogiche sono 153 —, il monologo sulla dimensione celeste 18+126; talora spicca l’unità di misura, cioè un in-

sieme coerente di linee dialogiche 3 x 12 come 114 — 149, ovvero 3 X 18 come in 180 — 233, e tre insiemi monologici 3 x 6 (20 — 31, 64 —81, 154 — 172). Le linee 96 — 101 sono dette in monologo, e perciò φράσον è φράζω.

408

CARLO

FERDINANDO

RUSSO

ὦ ὦ: in Pace 657-728 Trigeo ed Ermes danno forma via via a una sagoma di 72 trimetri, scandita a metà da un ὦ @, come naturalmente già notó Eliodoro. Per Otto Hense, Heliodoreische Untersuchungen, Leipzig 1870 (Friedrich Ritschl dedicatario), pp. 78-80, il dialogo nei primi trentasei trimetri tocca la politica attica, Cleone e Iperbolo, negli altri la vita artistica, Sofocle

e

Cratino;

con là vuv:

i due

trimetri

Pace adirata

XIV

danno

(13), vita politica

sempre

una

svolta

(23), vita artisti-

ca (13), Pace lieta (23); la sezione 23/13 è geometrica. Hense, PP. 75 € 87, soggiunge che Eliodoro con le sue analisi responsive risale a segni editoriali, alessandrini; e che il passo da Alessandria

agli autografi ateniesi è breve.

[1984]

INDICE Andrieu, J., XI, 66, I22 n. 3.4, I24 n.

DEGLI 73, 17,

AUTORI

102, 121 188 n. 5,

306 n. 6 Anti,

Bailey,

R., 229 C.,

59,

61,

121

305

n.

n.

n.

139,

1,

285

264,

269,

275,

280,

282,

229 n.

1,

334, 363 n. 2, 381

Croiset,

M.,

Crosby,

H.L.,

306

n.

5

256 n. 5

Curtius, E.R., 400

2, 370

Bothe, F.H., 349 n. 3 Brentano, E.W.H., 384, Broneer, O., 19 n. 5 Buchwald,

W.,

Bulle,

19 n. 4

124

n.

391

19

n. 1.2

16

Cantarella, R., 53 n. 2, 55 n. 9, 122

D. 3, 125 n. 19

Capps, E., 335 n. 3 Carducci, G., 400

Carriére, J., 256 n. 5 E., 391

I

285 n. 1, 302, 306 n. 7, 307 n. 9,

Blake, W.E., 256 n. 5 Bodensteiner, E., 20 n. 6, 125 n.

Cary,

n.

Couat, A., 391 n. I Coulon, V., 20 n. 5, 70, 71, 76, 77,

1

Bethe, E., 123 n. 12, 207 n. 5, 306 n. 7 Bieber, M., 5, 19 n. 3

H.,

229

Cope, E.M., 188 n. 9 Corneille, P., 124 n. 15

n. 4, 285 n. 4, 307 n. 9, 349 n. 4

Bentley, R., 269 Bergk, Th. 187

A.,

Comparetti, D., 363 n. 2

n. 3

Barrett, D., 381, 391 n. 1 Beare, W., 207 n. 5, 363 n. 2 Beazley, J.D., 285 n. 3 Beer, C., 75, 150, 187 n. 2,

298,

Cataudella, Q., 363 n. 1 Colli, G., 400 Colonna,

C., 4, 5, 6, 7, II, 20 n. 6

Arnoldt,

MODERNI

n. 3

Daele, H., 77, 285 n. 4 Dain, A., IX, 305 n. 1, 382, 383 Dale,

A.M.,

123

n.

12,

124

n.

18,

207 n. 5, 349 n. 5 Dearden, C.W., 403 Deichgräber, K., 306 n. 5 Desrousseaux, A.M., 72, 74, 256 ri. 6 Devrient,

H.,

230

n. 4

Diano, C., 307 n. 9 Dittenberger, W., 54 n. 5 Dörpfeld, W., 4, 5, 19 n. 2, 75, 207 n. 5 Dorrie, H., 336 n. 4, 406 Dover, K.J., XI, 187 n. 3, 285 n. 3,

349 N. 3, 403, 406

Dover Wilson, J., 20 n. 7, 397

410

INDICE

DEGLI

AUTORI

Hoffmann,

Drexler, H., 335 n. 1 Droysen, E., 125 n. 20, 264 Dübner, Fr., 125 n. 19, 358

R.T.,

124

n.

Hooker, G.T.W., 336 n. 7

16

Erbse, H., 124 n. 16, 187 n. 2, 335 n. I Fensterbusch, n.

6,

75,

C., 5, 7, 19 n. 3, 20 125

N.

19,

256 n. 6.7, 403 Flickinger, R.C., 187

229

n.

2,

n. 3

Fraenkel, E, X, XI, XII, 74, 188 n. 6, 255 n. 4, 256 n. 5, 335 n. 1,

349 n. 3.5, 376, 405

Franchetti, A., 363 n. 2 Frickenhaus, J., 15, 21 n. 7

A., 5, 7, 19 n. 3, 122 n. 9

Granville-Barker, H., 20 n. 7, 397 S., E.W.,

404 123

n.

11,

124

n.

16, 306 n. 4, 363 n. 2 Harsh, P.W., 122 n. 5 Havet, L., IX, 382, 383

Hegel,

G.W.F.,

Heidhues,

B.,

382 188

n.

4

Helbig, W., 54 n. 7 Hense, O., 408 Hermann, G., 53 n. 3, 391 n. 3 Hess, S., 76, 143 n. 3, 144 n. 8, 255 n. 2, 336 n. 5

Heym, C, 230 n. 4 Hoekstra, P.Ja., 391

n. 1

F., 305

W.,

X,

n. 2

406

Kaehler, F., 349 n. 4 Kaehler, H.G., 130, 143 n. 2 Kaehler, O., 31, 53 n. 3 Kaffenberger, H., 187 n. 3 Kenner, H., 123 n. 12, 229

Kleinknecht, H., Koch, K.D., 76, Körte, A., 55 n. Koster, W.J.W.,

307 349 9, 306

K.,

n. n. 76, n.

122

n. 2

9 2 363 n. 2 6, 363 n. 2 n.

8

Kraus,

W.,

188

n.

Krienkummorow,

9

G.,

123

n. 12

Kruse,

H.,

188

n. 10, 285

n. 4

Kunst,

K,

335

n. 1, 391

n. 1

Lasserre,

F.,

X

Lawler, L.B., 256 n. 5 Leeuwen, J., 269, 385 n. 1, 335 n. 1, 349 n. 4, 384, 391 n. 1.2 ‘Leo, F., zx n. 7, 82, 370, 404 Lesky, A., 143 n. 5, 382 Lever, K., 121 n. 1

Gould, Th., 406

Halliwell,

Jens,

Kranz, W., 335 n. 1

Gerhard, E., 336 n. 7

Handley,

Jacoby,

Kourouniotes,

Geffcken, J., 363 n. 1 Geissler, P., 53 n. 2.4.5, 405 Gelzer, Th., IX, 335 n. 1, 391 n. 1.2, 406 Gercke, A., 207 n. 5 Gerkan,

H., 55 n. 9, 305 n. 2.3,

335 N. 2, 405 Holwerda, D., XII, 188 n. 5, 406, 407 Holzinger, K., 76, 77, 122 n. 3.6.7, 143 n. 5, 363 n. 2

Edmonds, J.M., 53 n. 1.2, 54 n. 5 Ehrenberg, V., 229 n. 3 Elliott,

MODERNI

Lewis, D.M., 285 n. 3, 406 Lohner, E. XII Lowe, J.C.B., XI, 405 MacDowell, D., 336 n. 4, 391 n. 2.3, 404, 407 Maidment, K.J., 363 n. 2 Marzullo, B., 335 n. 1 Mastromarco,

G., IX,

406, 407

Mazon,

P., 76,

Mette,

A.,

n. 1, 404,

143 n. 4, 305

349 n. 2, 363 Meineke,

391

187

H.]., 405

n. 2 n. 1

n.

1,

INDICE

Meyer,

Ed.,

DEGLI

AUTORI

Rohde, E., 122 n. 5

21 n. 8, 122 n. 8

Minervini,

G., 285 n. 3

Roos, E., 76, 207 n. 3 Rostagni, A., 187 n. I Roussel, L., 20 n. 6

Montale, E., XII

Muhl, J., 255 n. 3

Müller, O., 306 n. 5 Müller-Strübing, H., 207

Ruppel, A., 335 n. 1 n. 4, 381,

391 n. I Murray,

2,

188

n.

7.8,

391

n.

2,

392

n. 4, 403, 406 E.

207

n.

n. I, 391 n. 1.4, n. I, 404, 406

Schlegel,

392

A., XII

Schlesinger, A.C., 187 n. 3, 229 n. 4 Schmid, W., 53 n. 1.2, 76, 143 n. 5,

5

Schroeder, O., 255 n. 4, 256 n. 6.7, 285 n. 1

O'Connor, J.B., 305 n. 1 Öllacher, H., 53 n. 4.5

Sedgwick, W.B., 335 n. 4

Page,

Seel, O., 335 n. 1 Segal, C, 336 n. 5

D.,

Seeger,

398

Pasquali, G., 397 XI,

4,

I9 n. 1.3, 20 n. 5, 75, 123 n. I2, n.

I4,

187

n.

3,

202,

207

n. 5, 229 n. 2.4, 255 n. 4, 256 n. 6, 285 n. 2, 349 n. 5, 404, 405, 406

Pohlenz, n.

5,

M., 54 n. 7, 74, 144

n.

7.8,

229

136,

143

I,

324,

n.

335 n. I, 336 n. 6, 376, 404, 405

Pucci, 405

P., 74, 121

Radermacher,

L.,

n. 2, 123

122

L.,

264

Shakespeare,

Perusino, F., 391 n. 2, 404 Pickard-Cambridge, A.W., I24

n. 4,

187 n. 1.3, 391 n. ı Schneider, K., 305 n. x

Nicole, J., 207 n. 1 Norden,

Russo, C.F., IX, XI, XIII, 5, 19 n. 5,

335 402

G., 121 n. 1, 398

Nesemann, W.F.E., 384, 391 n. 2 Newiger, H.J., IX, 143 n. 5, 187 n.

411

MODERNI

n. 13,

n. 7

Rea, J., 123 n. 11, 306 n. 4 Rees, K., 125 n. 19, 187 n. 2 Regen, F., 392 n. 4 Reisch, E., 75, 123 n. 12, 207 n. 5 Richter, F., 335 n. 1 Ritter, F., 363 n. 2 Robert, C., 255 n. 4, 256 n. 57, 349 n. 1.4

W.,

Sharpley,

H.,

229

Snell,

124

n.

B.,

15,

n.

20

n.

7, 397

2

16

Sordi, M., 5r, 52 Squarzina, L., 397 Srebrny,

S.,

207

n.

2,

229

n.

2,

285 n. 1, 307 n. 9, 349 n. 5, 406 Stählin, O., 76

Standford, W.B., 404 Stanger, J., 207 n. 4, 391 n. 1 Starkie, W.J.M., 31, 53 n. 3. 391 n. I Stoessl, F., $4 n. 5 Stow, H.L., 123 n. 1o

Süss, W., 143 n. 5, 285 n. 3 Taplin,

O., 406

Terzaghi, N., 255 n. 2 Teuffel, W.S.,

31, 53 n. 3

Textor, A., 381, 391 n. I Thompson,

H.A.,

122

Robert, F., 229 n. 2

n. 14 Tierney, M., 336 n. 7

Rogers, B.B., 76, 135, 144 n. 7, 207 n. 2, 229 n. 3, 255 n. 1.4, 335 n. I

Tucker, Turner,

T.G., 405 E.G., 122

n.

n. 4, 335

8,

124

n. 4

412

INDICE

DEGLI

AUTORI

MODERNI

Ussher,

R.G., 404, 406

n. 2, 54 n. 5, 76, 94, 148, 187 n. 1,

Vallois,

À.,

188 n. 4.5, 196, 202, 203, 204, 207 n. 2.4.5, 229 N. I, 255 n. 3, 264, 274, 275, 285 n. 1.4, 306 n. 5,

Webster, 21,

T.B.L.,

n.

2

123 n. 12, 125 n.

382

Wehrli, Weil,

229

F., 335 H.,

n. 3

396

Weinreich, O., 121 n. 1, 188 Weissinger, R.T., 124 n. 17 Westphal,

n. 6

307 n. 9, 318,

335

n.

381

n. 1.4, 336

n. 6, 349 n. I, 377, 381, 382, 383, 391 n. r, 405 Wilhelm, A., 305 n. 1 Willems, A., 53 n. 3, 255 n. 1, 256 5,

285

n. 4,

Guil., 229 n. 3

Zacher, K., 55 n. 8, 227, 385 Zielifiski, Th., X, 381, 385, 391 n. 1

Westphal, R., 386 White, J.W., 349 n. 3 Wieseler, F., 256 n. 5 Wilamowitz-Mollendorff,

Zorzi, U.,

4,

19

Zuretti,

L., 403

C.O.,

n. 1

335

n.

1

SOMMARIO ANALITICO DELLA MATERIA Dedica

.

oes.

e.

Presentazione DI ARISTOFANE Avvertenza I DUE

.

.

TEATRI

Note.

.

DI

>

2

5.

4

s.

Pag.

IN ARISTOFANE

.

.

.

.

V

.

.

2...

ARISTOFANE

. . .

CRONOLOGIA

s

.

44

.

DI UN TIROCINIO

. .

TIT

. 5.5...

νιν

nennen

νιν 2

VII

νιν

2 2 er

hh

I

onn os

en

IQ 23

I. Pilastri e indizi cronologici. - 2. Il concorso senza rinfresco e il ‘cuoio’ del « Centauro +», — 3. «Da quando il

Virtuoso e l'Invertito... ». — 4. Una supremazia infranta ovvero i nuovi poeti degli anni 428-426. - 5. I« Babilonesi » o della superstizione dei moderni. - 6. I navarchi del 427-425 e il navarca del 424. -- 7. La carriera di Aristofane in cifre. -

Sottoscala cronologico.

Note.

4

.

GLI ACARNESI

.

.

4. 4

2

4

4

4

νιν

eor νιν νι νιν

2 . 0 nn

57

I. «Il concorso ha luogo nel Leneo ». La prima vittoria. - 2. Aristofane e Diceopoli. - 2b. Identità dei personaggi in Aristofane. — 2c. Cenni sulle sigle e sui testi di teatro.

— Nota bibliografica. - 3. «Gli Acarnesi »: Pnice, campagna attica, Atene. - 4. La parodo, la statua di Dioniso, gli spettatori. - 5. Diceopoli da Euripide : l' ' enciclema '. - 5b. Gli interni in Aristofane. Cenni su Aristofane e il

teatro

di Euripide.

-

lallusivo

epilogo

in

7. Tempo

drammatico

6. Dal

teatro

nistico di Aristofane. --

di

mercato una

gara

di

Diceopoli extrascenica.

53

al—

degli « Acarnesi » e metodo sincro8. La facciata scenica degli « Acar-

414

SOMMARIO

ANALITICO DELLA MATERIA

nesi*. — 9. Cenni su alcune proprietà dell'orchestra e della facciata scenica, del Coro e degli attori. -ὀ το. Distribuzione delle parti negli « Acarnesi » e cenni sulla prassi ari-

stofanea dei primi tre attori e delle comparse. — II. Nicarco : attore e poi non più. —

12. La porta disserrata e

le file

serrate.

Note I CAVALIERI

...... |.

ees

. . 4 4 4 4.4 44

pag.

121

eee κι κε κεν

127

I. « Scortate il poeta con propizio clamor lenaita ». — 2. Economia e prologo dei « Cavalieri». - 3. Cenni sugli agoni e sull'eodio dei « Cavalieri . — 4. La facciata-Atene e l'orchestra-Pnice ma non anche Agora. - 5. Personaggi, attori e coreuti. — 6. Il pauroso Nicia e l'impaurito Salumaio. Note

......

LE NUVOLE

ΝΕ

ΞΕ

s... c s.s 143

..: 2 2 2 Eee.

(2

145

I. « Nuvole » duplici, e sempre di agone dionisiaco. — 2. Aristofane didascalo delle « Nuvole ». — 3. Un regime recita-

tivo delle

« Nuvole » e la prassi aristofanea

degli attori.

— 3b. « Nuvole » non recitate e « Nuvole » recitate. — 4. Coesistenza perpetua di due ambienti. Cornice e materia scenica delle « Nuvole ». — 5. L'ambiente socratico. Pause e

progressi dell'azione strutturale. — 6. L’apparizione aerea di Socrate. - 7. Le ultime battute. Personaggi e attori. Note.

. 2

eee

νι νιν.

LE VESPE...

I. « Proagone » e « Vespe».



2. Prologo e parodo

186

189

delle

« Vespe ». - 3. Esodio e azione strutturale delle « Vespe ». — 4. La casa e la scena delle « Vespe». — 5. Personaggi e attori.

Note... ren

207

LA PACE...

209

I. La « Pace » dopo le è Vespe». —

come

per l'innanzi ». Economia

2. « Senza la grinta dura

e prologo. della « Pace».

SOMMARIO

ANALITICO DELLA MATERIA

415

— 3. La dimora celeste di Zeus e la grotta di Pace. — 4. Fruttidora, Festa e Pace. Le città greche. — 5. Personaggi e attori. Le parti infantili. - 6. Non « vinse l'attore Ermone ». Note GLI

......

UCCELLI

. ..

ΝΕΕΞ

..

ΕΞ ΞΕ

jag.

ren.

229 231

I. «Gli Uccelli » e le Dionisie. — 2. Prologo e azione strutturale degli « Uccelli ». - 3. La plaga di Upupa e la città degli uccelli. - 4. Upupa-Tereo e la parata dei ventotto uccelli. - 5. Il volo di Iris. - 6. Personaggi, attori, comparse. Nolte.

LISISTRATA

2

2

onen.

255

LL.

257

I. L'agone della «Lisistrata ». — 2. La duplice e coordinata trama di Lisistrata. - 3. Sui personaggi dell'esodio. - 4. Chi parla con l'Araldo spartano? — 5. Dalle case del prologo ai Propilei e alle rocce dell'Acropoli. - 6. Distribuzione delle parti. La turba dei disturbatori. Note...

2 2 2 220.

LE TESMOFORIANTI

en

285

. 2 2 2 2 . 4. Er

s

287

I. Euripide, le Lenee e il concorso dell’anno precedente. - 2. Euripide orditore e vittima delle « Tesmoforianti ». « Lisistrata » e « Tesmoforianti » coagonali. — 3. Scena e arte scenica delle « Tesmoforianti ». - 4. Distribuzione delle parti. Note. LL LE RANE

...

. . 4.

305

00

309

I. Breve ragguaglio sulla riforma delle « Rane». - 2. La replica delle « Rane ». Le « Rane» e la pubblicazione dei

drammi. —

3. Sull'economia bipartita delle

alcune conseguenze

« Rane » e su

artistiche della loro riforma.

viaggio e il paesaggio scenica della commedia.

delle « Rane». --ὀ



4. Il

La riforma e l'arte

5. Il personale scenico.

416

SOMMARIO

LE DONNE A PARLAMENTO I. Le « 2. « Donne sonaggi scenica.

ANALITICO DELLA MATERIA

. . . 5.444. νιν $ag.

Donne a parlamento » e il sorteggio del programma. Declino drammaturgico e azione strutturale delle a parlamento ». — 3. Il trattamento del Coro. Pere attori. - 4. Rotazione di inquilini nella facciata 349 351

I. L'ultimo concorso. - 2. I due protagonisti che si alternano e l'economia artistica del « Pluto». — 3. Corifeo e ' coreuti ' nel « Pluto ». Personaggi e attori.

ELEMENTI LE E

DI UNA

« VESPE» UN

MODULO

CARRIERA

TEATRALE

.

.........

SPAGINATE DI

TETRAMETRI

379

I18X2

1. € Due corali come fanno a scambiarsi di posto? » : la paralisi del bibliocrate.

— 2. Attori, coreuti, fanciulli:

un al-

tro incidente in casa Aristofane. — 3. Una forma costruttiva dominata dal ritmo. — 4. Accanto alla parabasi e all'agone epirrematico. Note DIETRO

.

391

LE QUINTE

DELLA

PAROLA

393

1. Un preautore di teatro. I principi della composizione. — 2. Uno spicchio di Eschilo: le regole e la Musa. — 3. Nel grembo della matematica quotidiana.

402

Note

403

RACCORDI [I due teari di Aristofane, Cronologia di un tirocinio, Cenni sulle sigle e sui testi di teatro, Nota bibliografica,

La « Pace» Indice

degli

con ἰὴ in, ecc.]

autori

moderni

.

409

Stampato nel mese di settembre 1984 dalla Fotocromo Emiliana - Bologna

per conto

di G.

C.

Sansoni

Editore,

Nuova

S.p.A.

- Firenze

NUOVI SAGGI

Della precedente edizione di questo Aristofane autore di teatro (largamente ampliato ora, con l'aggiunta di vari capitoli) furono ap-

prezzati anche i risvolti. Scrisse l'aristofaneo Kenneth J. Dover: «Recensore e editore non sempre descrivono un libro alla stessa ma-

niera, ma il risvolto del libro di Russo mi sembra giusto quando

dice: 'Le proprietà teatrali di Aristofane ricevono per la prima volta in questo libro un riconoscimento adeguato e filologicamente fondato'. L'argomento é molto ben concentrato e piacevolmente libe-

ro da vaghi entusiasmi; giudizi brevi e incisivi; Russo, è chiaro, visualizza con acume ogni momento in ogni commedia. In Inghilter-

ra non abbiamo nulla di simile a questo libro vivace e sorvegliato». Da Irigoin a Flaceliére, parlarono di charme, di libro alerte, original, excitant. Le proprietà teatrali hanno condotto nell'atelier, alla storia artisticotestuale delle Nuvole e delle Rane; in un capitolo nuovo si addita

ormai, per le Vespe spaginate, l'economia artistica del libretto autografo; in un altro si risale all'avanguardia dell VIII secolo, ad Ome-

ro pioniere di teatro. L'autore dirige la «rassegna di varia umanità» Belfagor (Firenze, Olschki); a Bari cura la «Letteratura greca», a Pitecusa collabora nel-

l'officina archeologica; alla Normale di Pisa e a Köln e-a con Pa-

squali e Jachmann. L. 20.000 (IVA inclusa)

5.077.170