Winterreise. Viaggio invernale fra le rovine del moderno
 8822038061, 9788822038067

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AUGUSTO ILLUMINATI

WINTERREISE VIAGGIO INVERNALE FRA LE ROVINE DEL MODERNO

EDIZIONI DEDALO

In copertina: Scena davanti al paese, di Paul Klee (1929).

© 1984 Edizioni Dedalo spa, Bari Stampato in Bari dalla Dedalo litostampa spa

A Veronica

Il « viaggio invernale » 1 è gestione della perdita, percorre la zona di confine tra nostalgia romantica e fredda vertigine del moderno 2 • I sommessi congedi liederistici 3 gravitano irresistibilmente sotto il segno nichilistico-messianico di Saturno, signore dei viaggi e di produttivo inappagamento 4 • La dissoluzione del nesso fondamento-soggettività è però passibile di differenti interpretazioni e comporta alternative filosofiche piuttosto aguzze. Quella che intendiamo mostrare è ben differente, per esempio, dalla contemporanea edizione ermeneutica della « pappa del cuore » di hegeliana memoria, pur nel comune presupposto della crisi irreversibile della compattezza sinteticonarrativa delle grandi ideologie ottocentesche. La forma del passaggio è costitutiva dell'esperienza del moderno, mentre l'ideologia del passaggio, con il suo accento sui legami « deboli», non fa che riproporre una sistemazione narrativa del sapere, conciliando le contraddizioni, le asperità del trapassare, in una canzone da organetto. La forma del passaggio è quella di un processo senza finalità e senza soggetto: su questo scarto dalle rappresentazioni « classiche » del reale si affacciano va-

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rianti ontologiche alternative, si confrontano soluzioni idealistiche e materialistiche. Il testo dei classici è così sottoponibile a molteplici e contrastanti riscritture, in ottemperanza a una pressione della realtà che rende parimenti inefficaci la pietà antiquaria e la compiacenza ermeneutica.

Emergenze marxiane

1. Non serve lamentare che - nella cultura della sinistra in cui scrivente e presumibili lettori sono cresciuti - il testo di Marx sia stato proposto come «sacro». Vale piuttosto la pena di trattarlo effettivamente come tale, cioè secondo quella « tradizione » che ha sempre prediletto fra i due significati del latino tradere - più il versante del « tradimento » che quello del « tramandamento ». Molte letture e interpolazioni, dunque, senza dimenticare che a ciò autorizza, innanzi tutto, il fatto che ogni grande testo, ma « soprattutto quello sacro », contiene fra le righe la propria traduzione virtuale, che insomma, per dirla con la conclusione del saggio benjaminiano sul compito del traduttore, « la versione interlineare del testo sacro è l'archetipo o l'ideale di ogni traduzione», cioè del sommovimento della propria lingua per effetto dell'intrusione di un modello altro. L'intersezione fra Marx e contesti post-marxiani non produce integrazioni ma effetti di dislocazione, scaturigine di nuova ricerca che forzi i limiti dei linguaggi rispettivi. 2. 8

Una prima emergenza del discorso mar-

xiano è il termine « lavoro ». Possiamo prenderlo all'estremo della sua produzione, nella Critica del programma di Gotha, che apre proprio con la denuncia di un abuso: « Il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è altrettanto la fonte dei valori d'uso (e di tali valori consta appunto la ricchezza reale!) quando il lavoro, che di per sé è soltanto l'estrinsecazione di una forza naturale, la forza-lavoro umana. Quella frase si trova in tutti gli abbecedari ed è giusta solo se si presuppone che il lavoro si esplica con gli oggetti e con i mezzi che gli convengono. Ma un programma socialista non deve indulgere a siffatte locuzioni borghesi tacendo le condiztoni che sole gli conferiscono un significato. Solo in quanto l'uomo si rapporta, sin da principio, da proprietario alla natura, fonte prima di tutti i mezzi e oggetti di lavoro e li tratta come cose di appartenenza, il suo lavoro diventa fonte di valori d'uso, dunque anche di ricchezza. I borghesi hanno ottime ragioni per attribuire al lavoro una soprannaturale forza creativa, poiché proprio dalla determinatezza naturale del lavoro risulta che l'uomo, possessore della forza-lavoro come sua unica proprietà, deve essere, in tutte le condizioni sociali e culturali, schiavo degli altri uomini che si sono resi proprietari delle condizioni materiali di lavoro. Egli può lavorare soltanto con il loro permesso, quindi vivere soltanto con il loro permesso».

Ovviamente questo concetto di lavoro utile si fa valere soltanto '« nella società e attraverso la società » e quindi il reddito del lavoro appartiene interamente con eguale diritto a tutti i membri della società. Banalità, osserva pertinentemente Marx, ma non ininfluenti. Infatti il prodotto sociale viene così ad appartenere alla « società » 9

e « al singolo lavoratore ne spetta tanto quanto non è necessario per mantenere la ' condizione ' del lavoro, la società ». Questo tipo di frasi non è soltanto inutile tautologia, ma viene fatto valere sistematicamente « dai campioni del regime sociale di ogni tempo » per legittimare le pretese del governo, dei suoi parassiti e dei diversi tipi di proprietari privati, insomma di tutte le « fondamenta della società ». Abbiamo qui una messa in evidenza spettacolare quanto enigmatica dello scarto fra il pensato di Marx e ciò che a lui è attribuibile. Se per certi aspetti si tratta di una precisazione contro evidenti deformazioni lassalliane, per altri è piuttosto uno strappo interno a Marx stesso, un far luce su se stesso e perfino contro se stesso. Proposizioni come quelle citate mal si converrebbero alla nozione di lavoro presente nell'Ideologia tedesca, all'interno della categoria storico-generale di « produzione della vita materiale», per cui la natura è un fondo, che opera nel suo proprio modo (cioè vincolando gli uomini a rapporti limitati fra di loro nella stessa misura in cui l'identità fra uomo e natura è stretta). La stessa divisione del lavoro ha così uno svolgimento naturalistico ( divisione sessuale poi spontanea del lavoro, ecc.) e il potere della cooperazione sociale, nella misura in cui è « naturale » e non volontaria, si pone come potenza estranea. La storia universale (e dunque la «vera» società) risulta dal superamento dell'estraniazione e insieme dallo sviluppo delle forze produttive. Si tratta di elementi durevolmente acquisiti in Marx, ma che qui si presentano nella loro estrema unilateralità: la massima accentuazione delle forze produttive si coniuga

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a una riduzione naturalistica del lavoro, dotata di potenziale iibernatiirliche Schopfungskraft 5 . Nella tarda Critica, invece, Marx denuncia l'ambiguità delle categorie generiche di lavoro » e « società», ne marca la complementarità a una « produzione in generale » e a una « storia in generale » che nel Capitale sono state decisamente abbandonate. Non si tratta soltanto della critica al1' astrazione indeterminata e all'interpolazione in essa di contenuti borghesi, ma di un meccanismo alternativo - appena abbozzato - per rappresentare il tetn,po storico nella pluralità delle 3torie e dei livelli della realtà. La produttività « soprannaturale » del lavoro ha senso soltanto come elemento dinamico di una storia universale e di una produzione generale, il cui soggetto è l'uomo e il cui fine l'estinguersi delle contraddizioni nella società senza classi, al termine di un progresso identificabile con lo sviluppo delle forze produttive che fa saltare i limiti del modo di produzione capitalistico. Questa è una lettura possibile del corpo testuale marxiano ed è stata infatti quella corrente nella Seconda e Terza Internazionale - una lettura ben fondabile in citazioni e connessioni ( così da rendere impraticabile qualsiasi ingenuo « ritorno a Marx). L'attacco che si muove nella Critica (e nelle successive Glosse a VI agner) contro le generalizzazioni e l'inevitabilità constatata della loro utilizzazione da parte di tutti i V orfechtern des jedesmaligen Gesellschaftszustand parla in tutt'altro senso, ma a prenderlo sul serio bisogna rassegnarsi a perdere le bella unità del corpus marxiano, ad ascoltarlo nella sua contraddittorietà e apertura. In questo consiste la profonda « inattualità » e « non con11

temporaneità di Marx nel suo tempo e rispetto a se stesso 6 • Ma qual è, in fondo, il senso della limitazione della categoria « lavoro »? Andiamo a vedere le Randglossen del 1879-80 al manuale di Wagner 7 • Difendendosi dalla « fantasia » di aver costruito un « sistema socialista», Marx nega di aver mai parlato della « sostanza sociale comune del valore di scambio » e di averla fatta consistere nel « lavoro». Questa operazione cancellerebbe tutta la trattazione della forma di valore o la ridurrebbe al substrato-lavoro, facendone una « teoria del costo » post-ricardiana. La differenza invece fra Marx e Ricardo sta proprio nell'essersi quest'ultimo occupato del lavoro come misura della grande.zza del valore, senza coglier~ (in assenza di elaborazione della forma-valore) lo scarto fra valore e prezzo di produzione. Marx non ha mai voluto prendere a soggetto il « valore » o il « valore di scambio » ( che ne è manifestazione fenomenica), bensì la merce: non un concetto ma un concreto ( « la forma più semplice in cui si presenta il prodotto del lavoro nell'attuale società, il prodotto in quanto merce»). La merce è insieme valore d'uso prodotto dal lavoro utile {concreto) e portatrice del valore di scambio, che rinvia ovviamente al valore e al lavoro astratto, al lavoro come dispendio di forzalavoro. Nel mondo plurale delle merci il valore d'uso è soltanto materializzazione (Vergegenstandlichung) di lavoro umano, Verausgabung gleicher menschlicher Arbeitskraft; dal momento che questa oggettività non si manifesta naturalmente, occorre una specifica forma di valore che esprima il carattere sociale del lavoro nel suo modo differen-

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ziale, adeguato a una particolare società. L'accesso diretto, naturalistico, alle categorie di « società » e « lavoro sociale » non fa allora che legittimare la perpetuità dello sfruttamento. La riprova è nel passo in cui Marx bolla l'uso sconsiderato della categoria « uomo »: il suo metodo analitico non parte dall'uomo, ma da un periodo economicamente dato della società, l'uomo in quanto tale non ha bisogni (le categorie non mangiano), l'uomo di una data società è determinato da un processo sociale specifico, mediante rapporti pratici e successivamente linguistici e teoretici 8 • Siamo qui ben lontani dall'apologia dell'individuo tracciata nell'Ideologia tedesca 9 , che da un lato definiva esattamente l'individuo moderno nel contesto dell'indifferenza sociale dei rapporti mercificati, dall'altro faceva coincidere l' emancipazione e la riappropriazione delle relazioni universali con lo sviluppo delle forze produttive. Il proletario - nella definizione ancora incerta del rapporto di produzione - tende qui a figurare come Uomo, anche se l'essenza è già risolta in relazioni. Nelle Glosse invece lo spostamento d'accento sulla coppia merce/forma dei rapporti di produzione rispetto a quella lavoro/ società ( ovvero: valore/sostanza sociale comune) è ben avvertibile. Il carattere « sociale » del prodotto del lavoro non risiede più in uno sfondo genericamente cooperativo della produzione, bensì possiede una forma specifica: immediatamente comunitaria nella comunità primitiva, fondata sulla produzione di valore d'uso per altri nella produzione di merci. Il carattere oggettivo della socialità del lavoro si presenta sempre mediato da forme storiche diverse di società e sulla categoria ~< uomo » non 13

può poggiare né un metodo analitico nè - tanto meno un'ideologia emancipatoria. Diventano nel contempo problematiche le categorie stesse che coprono vari modi di produzione ( cooperazione, lavoro, società, uomo ecc.), la cui funzione va ridefinita proprio nello snodo diacronico del processo storico, « interfaccia » di ruoli specifici in strutture diverse 10 , mentre risulta ormai palesemente inapplicabile ( e già in quei testi marxiani, nella discussione fra soggetto-merce e soggetto-valore c'è un inizio di autocritica) uno svolgimento dialettico tradizionale, hegeliano, di auto-contraddizione di concetti generali. Tornando al «lavoro» nell'apertura della Critica è facile osservare come l'affermazione « socialista » della sua centralità si converta rapidamente in una conclusione «borghese», solo che si ometta il riferimento alla distribuzione dei mezzi di produzione e lavoro. E fin qui vale il solito discrimine dell'astrazione determinata. Un secondo passo, più « delicato », presuppone lo sviluppo della distinzione di avvio: il lavoro, che non è la fonte di ogni ricchezza ma condivide con la natura tale carattere, è evidentemente il lavoro concreto, primo termine della serie Arbeit - Gebrauchswert - Reichtum. Alla naturalità del lavoro così concepito (Ausserung einer Naturkraft), quindi parte esso stesso della natura, corrisponde la naturalità della « ricchezza reale » (sachlich ); nelle società, però, in cui domina il modo di produzione capitalistico, la ricchezza si presenta come « un'immane raccolta di merci» - secondo l'espressione marxiana di Zur Kritik der politischen Oekonomie ( 1859) ripresa ad apertura della prima sezione del Capitale. Qui abbiamo una seconda serie: alla « rie-

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chezza » formata dall'insieme delle merci ( dei valori di scambio) corrisponde l'aspetto astratto del lavoro: abstrakte Arbeit-Tcruschwert. Dunque, se il lavoro è preso nel senso « corrente » (cioè in contesto capitalistico) e viene dotato di quella naturalità che inserisce invece al solo lavoro concreto, abbiamo semplicemente una legittimazione dei rapporti capitalistici: il lavoro salariato, produttivo di valore, assume una naturalità ipertrofica {iibernatiirlich) non solo sciogliendosi dal suo nesso con la natura (destituita dal suo ruolo di co-produttrice della ricchezza « reale ») ma imponendosi prometeicamente ad essa, riducendola a fondo di saccheggio senza limiti. Siamo davanti a quella «gratuità» della natura che Benjamin riproverà sarcasticamente a Dietzgen 11 proprio richiamandosi alla marxiana Critica della socialdemocrazia. Lo scambio fra aspetto concreto e astratto del lavoro produce la sua « soprannaturalizzazione » e la conseguente ipostasi del suo specifico contesto sociale a « società»; non si tratta però di uno scambio « per errore». Invero i due aspetti sono, nel lavoro capitalistico, strettamente embricati e l'astrazione del lavoro è condizione pet la sua produttività crescente, potenzialmente per la sua fungibilità emancipatoria. Dunque l'illusione lavoristica e prometica, così come l'ideologia giuridico-religiosa del soggetto, sono per un verso apparenze « reali», per l'altro si connettono ad ambivalenze materiali del processo di sviluppo delle forze produttive, quali si riscontrano assai mondanamente, per esempio, nell'emergenza di nuove tecnologie informatiche. Che sia in gioco un individualismo giuridico

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- sullo sfondo religioso dell'uomo « signore della natura » - è fuori di dubbio: l'uomo, considerandosi « proprietario » della natura, si rappresenta anche come proprietario della sua personale forza-lavoro e quindi assoggettabile a chi detiene le condizioni materiali del lavoro: se inizialmente la frase marxiana può sembrare ambigua, meramente fattuale, « Nur soweit der Mensch sich von vornberein als Eigentiimer zur Natur. verhalt », successivamente è del tutto esplicito il collegamento fra il carattere di proprietario di forza-lavoro e la caduta in schiavitù presso i proprietari dei mezzi di produzione - tale è appunto la Naturbedingtheit der Arbeit, così come l'essere lavoratore produtti" vo (portatore dell'iibernatiirliche Schopfungskraft) è notoriamente, « una disgrazia»! L'oggettivazione dell'uomo contro la natura {e la sua immediata soggettivizzazione giuridica a luogo di imputazione della proprietà) produce simultaneamente il dominio dell'uomo sulla natura e il dominio dell'uomo sull'uomo. Questo punto è stato colto con molta acutezza in una formulazione benjaminiana del PassagenW erk: 12 « Se l'uomo non fosse sfruttato in senso proprio, ci si potrebbe risparmiare un discorso impropri'o sul-

lo sfruttamento della natura. Esso produce l'apparenza del 'valore ', che le materie prime ricevono soltanto mediante l'ordinamento produttivo poggiato sullo sfruttamento del lavoro umano. Se questo venisse a cessare, dal canto suo il lavoro perderebbe il carattere di sfruttamento della natura da parte degli uomini». 3. 16

D'altra parte non è certamente un'evoca

zione generica della socialità, contrapposta al carattere privato dell'appropriazione, che può eliminare la strumentalizzazione dei « proprietari » di forza-lavoro da parte dei proprietari delle condizioni di lavoro. Il trasferimento alla società delle attribuzioni che attualmente spettano ai singoli divisi in classi non riuscirebbe ad abolire lo sfruttamento, ma ne modificherebbe soltanto la forma. Sarebbero collettivizzate le pretese delle varie forme di proprietà privata e resterebbero le pretese fiscali dello stato. Il socialismo « reale » sta a mostrare che non di ipotesi teoriche si tratta. La rottura, storicamente consumata, fra lavoratore e mezzo di produzione - che ha reso sempre più complessa la « socialità » della forma di equivalente (o scambiabilità) dei prodotti del lavoro - rende profondamente ambiguo lo statuto della cooperazione nell'ambito di un processo « creativo » di appropriazione della natura. L'ambiguità vale tanto per il tipo di rapporti di produzione che si instaura con la soppressione della proprietà giuridica privata dei mezzi di produzione e lo sviluppo delle forze produttive quanto per la relazione che si pone fra soggetto, progettualità e sfruttamento della natura. L'ideologia del lavoro - che ha nella società e nell'appropriazione cooperativa illimitata della natura i suoi cardini - svolge un ruolo in entrambi i contesti e copre processi di modernizzazione e approfondimento capitalistico 13 • La rappresentazione « soprannaturale » del lavoro, congiunta per un verso alla « società », per l'altro allo sfruttamento « gratuito » della natura - vale a dire al suo saccheggio sconsiderato - , è figura di uno sviluppo delle forze produttive completamente subordinato ai rapporti capitalisti17

ci di produzione. L'emancipazione della tecnica dai «vincoli,> naturali è esattamente l'opposto dell'emancipazione del lavoro. La « società» - nei termini criticati da Marx per ragioni inerenti alla distribuzione in classi - si configura, sotto altro aspetto, come portatrice ideale della progettualità sconfinatamente dominante sulla natura, mediata dal lavoro « creativo ,> di valore, nella duplice forma di legittimazione scambievole e di immaginario collettivo. La società è invocata a contesto della progettualità manipolante - solo in essa è possibile il lavoro e giustificato ogni prelievo sulla natura - e insieme la sua stessa esistenza costituisce il centro di pianificazione per lo sfruttamento delle risorse. Pertanto posizione teleologica ~el lavoro, illimitata manipolabilità della natura, utopia della « trasparenza ,> di una società dedita esclusivamente allo sfruttamento delle risorse naturali formano un circolo che garantisce la ed è garantito dalla « pienezza » di soggetti illusori - siano essi i « produttori » saint-simoniani o i tecnici delle mitologie industriali e postindustriali o la « classe operaia al potere ,> nei paesi del socialismo realizzato. Proprio in quest'ultimo caso l'appropriazione cooperativa della natura si è fatta maschera di un' oppressione di classe in cui si unificano forme di prelievo del plusvalore ancora separate all'epoca di Marx e cambiano addirittura le modalità della sua produzione (pianificazione in luogo del mercato, blend di coercizione amministrativa e concessioni politico-sindacali ecc.). Nell'ideologia « socialista ,> del lavoro il proletariato si presenta nella sua piena identità di «produttore,>, nella forma finalmente dispiegata di un processo che lo 18

ha visto da secoli costruttore della ricchezza sodale in molteplici varianti di asservimento ai differenti proprietari dei mezzi di lavoro. La pienezza e indipendenza dalle concrete pratiche sociali e produttive, che caratterizza il proletario-soggetto tradizionalmente inteso, lo condanna inesorabilmente a restare « soggetto » ad altri: il socialismo « reale » è l'ultima cerchia della sua dolorosa metempsicosi. In questo approdo la « missione » del proletariato - effetto di soggetto di un meccanismo di cui sono capisaldi il « patrimonio storico-culturale » e lo « sviluppo delle forze produttive » - consiste nel portare, per conto altrui, il solito fardello della « produzione in generale », stavolta con la propria etichetta. Esistono in Marx - certo, contraddittoriamente ad altri passaggi di segno produttivistico e lavoristico - dementi che contrastano tali usi legittimanti del materialismo storico 14 , come più in generale non mancano smentite a interpretazioni umanistiche ed esplicite ripulse ad accezioni organicistico-consolatorie della società. Il loro uso presuppone però uno strappo dal contesto del corpus e l'inserimento in altro contesto. La brutalità filologica dell'operazione, che sconta e valorizza le inevitabili « reazioni di rigetto » piuttosto che mirare a un pacifico adattamento, rende produttiva per il presente la « non contemporaneità» di Marx a se stesso, l'eccesso di senso rispetto al detto e allo strutturato nell'opera. 4. La difficoltà maggiore concerne però lo statuto dell'individuo. Come è possibile trovargli un luogo, dopo aver distrutto la nozione tradi19

zionale di soggetto riversando, nei varchi aperti dallo stesso Marx, i veleni corrosivi di Freud, Nietzsche, Heidegger ( secondo il contributo tortuoso ma efficace di Althusser)? Il problema della costituzione del soggetto richiede - come del resto si vedrà nel successivo capitolo a proposito della dialettica - la chiamata in causa di un territorio parzialmente nuovo per tale tipo di discussioni, quello della strategia, della ragione astuta e congetturale che i Greci, prima del logos platonico e accanto ad esso, chiamavano metis 15 , distinguendola da procedimenti rigorosamente induttivi e deduttivi e accostandola piuttosto a pratiche di caccia, gara, guerra, politica, connesse con l'abilità, l'agguato, il colpo d'occhio, la previsione rischibsa e l'ambiguità oracolare. Si allude nella metis a una circolarità preda/predatore che accomuna l'uomo agli altri animali almeno ai livelli più semplice di pratica - e poi via via a tematiche che dal legare e dall'avvolgere slittano fino al gioco delle apparenze e della loro connessione inestricabile. Con questa ambigua polivalenza - che assurge a teorizzazione nella presentazione sofistica del filosofo e del politico - Platone avvia una radicale resa dei conti, non solo contrapponendo doxa a episteme ma anche collocando l'universo della metis in una situazione ontologica precisa, quella del caos pre-demiurgico (Timeo, 48 a-e; 69 b-c) e quella dell'8a ipotesi del Parmenide: fra le varie combinazioni di predicabilità fra l'Uno e l'Essere si tratta qui di un caso specifico del secondo gruppo di varianti, per cui l'Uno non è (cfr. Parmenide, 164 c - 165 e). Se allora l'Uno non è, quale sarà la condizio-

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ne degli altri? Visti nella loro relazione reciproca· gli altri devono pur esistere, dato che sono oggetto di discorso, ma sono « altri » non in rapporto all'Uno, che non esiste, bensì fra di loro. Ogni pluralità, ogni massa lo è in riferimento a un'altra pluralità, a un'altra massa, e per di più in modo indefinito, così che anche la più piccola, all'improvviso e come in sogno, appare immensa nelle sue innumeri suddivisioni. Vi saranno dunque molte masse che appariranno unità, senza esserlo poiché l'Uno non è, e sembrerà che ve ne sia un numero, dato che sono molte di parvenza unitaria, e quindi anche vi saranno le categorie di pari e dispari - ma solo fantasmaticamente, in assenza dell'Uno. E così si manifesteranno sembianze di piccolezza e grandezza e anche di eguaglianza, per il passaggio nella reciproca trasmutazione - attraverso il punto intermedio; e ogni massa sembrerà avere un limite, anche se in realtà non vi può essere inizio, centro e fine in senso proprio. Quando infatti l'intelletto (diànoia) afferra una parte di esse come se fosse tale, prima dell'inizio appare un altro inizio e dopo la fine rimane sempre un'altra fine e accanto al centro vi sono a maggior ragione altri centri: se l'Uno non esiste, domina la cattiva infinità hegeliana. Nella sequenza delle masse separate dall'Uno l'intelletto si smarrisce. Che se la si guarda poco distintamente e da lontano, tal cosa sembra una, ma da distanza ravvicinata e con occhio fermo risulta indeterminata per pluralità (plethei àpeiron ), per mancanza dell'Uno. Ogni cosa, in tali condizioni, apparirà limitata e senza limite, unica e molteplice, eguale e diseguale, omogenea ed eterogenea in sé e nel rapporto reciproco:

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« E quindi tali masse apparirono necessariamente identiche e reciprocamente differenti, connesse e sconnesse, agitate e immobili, nasceranno, si dissolveranno e non si troveranno affatto in una di queste condizioni e saranno affette da ogni facilmente prevedibile contraddizione, se la pluralità è data in assenza dell'Uno».

Siamo qui nel Tartaro dell'essere -

nel mito

il Tartaro è àpeiron, intraversabile per confusione dei percorsi - e l'intelletto dianoetico vi si perde nell'inafferrabilità del limite (peras ), nel rimando circolare di differenze senza fondamento. Alla malignità di questa trionfante metis risponde alternativamente la nuova ragione, il logos, che per un verso privilegia l'aver visto ( eidénai) e l'esatto resoconto (orth6tes),i per l'altro instaura la netta separazione fra spirituale e corporeo all'interno di un orientamento « metafisico » 16 che oblia la differenza ontologica. Con lo stesso gesto di incisione sull'intreccio di limitato e illimitato mediante la numerazione (l'Uno) e la partecipazione del divenire all'essere articolato in idee viene potenzialmente costituita anche la soggettività moderna, almeno nel suo appartarsi dalla promiscuità del mondo. Con l'inghiottimento di Metis, prima sposa, Zeus aveva interrotto 17 la dialettica in cui ogni predatore può divenire preda di un avversario più astuto e grazie al successivo matrimonio con Themis, dea dell'ordine e dei confini, aveva inaugurato la stabilità del proprio potere; nel ricalco filosofico Platone relega, in nome della ragione analitica, le altre forme di sapere in un caos inquietante ma esorcizzato. L'efficacia storica e la relativa irreversibilità di questa censura platonica 18 rendono spiazzato

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ogni risentimento che ingenuamente riproponga un· sapere « basso » alternativo 19 . Nei due luoghi decisivi dell'individuo e della dialettica la nuova soglia ontologica definita a partire da Platone è piuttosto divenuta insufficiente per racchiudere e dar conto dell'esperienza moderna.

5. Marx rappresenta uno dei due punti di crisi della soggettività piena inaugurata da Platone, teologicamente ancorata nel pensiero cristiano e metodologicamente saldata con Cartesio allo sviluppo della grande scienza moderna (l'altro è Nietzsche). Il percorso marxiano va dalla contraddittoria riflessione su Hegel degli scritti di giovinezza in cui l'oscillazione hegeliana fra il riconoscimento epocale della soggettività cristiano-germanica e il congedo da essa nell'implicita desoggettivizzazione del processo dello Spirito è vissuta prima con la ricezione (feurbachianamente semplificata) dell'individuo concreto poi con l'accettazione « capovolta» (materialisticamente) di una dialetticità sovra-individuale fino all'iscrizione dell'individuo come portatore (Trager) dei rapporti di produzione e alla denuncia delle componenti giuridico-religiose dell'umanesimo borghese. Marx lascia il problema irrisolto e non ha senso volerne ricavare più che un segno di lacerazione dell'armonioso tessuto del soggetto pieno (neanche Nietzsche, del resto, ha svolto una funzione diversa, dichiarando egli una crisi più che articolando una soluzione). Anche il soggetto è confederazione plurale in assenza dell'Uno: cosa lo stringe o lo rende attivo? Nel regno della metis, ovviamente la metis stessa. Il soggetto, una volta che si sia rinunciato alla 23

sua « pienezza » tesa fra un'origine e una finalità ben individuabili che insieme garantiscono la « storia universale », è ipotizzabile ancora come unità che si costruisce attraverso pratiche, in modo strategico. Le strategie ( trattasi infatti di una nozione costitutivamente « plurale ») agiscono sul terreno della decifrazione di segni incerti ( cioè mediante le peirciane abduzioni - inferenze da un fatto particolare noto a uno ignoto), sul terreno della ragione come logos e insieme metis, nell'ambito di quello che Lacan chiama registro simbolico, cui si oppone la resistenza del reale {fonte di tutte le « sorprese», di ciò che non si lascia immaginare). Rispetto alle strategie la sfera dell'immaginario ~ infine il luogo dei rispecchiamenti e dell'alienazione dell'identità, ma anche della fissazione del desiderio in delirio di onnipotenza - per esempio della produzione immaginaria dell'individuo nella finzione giuridica, che svolge un ruolo centrale in tutta l'ideologia borghese dell'economia e dello stato. Il rapporto dei tre registri attraverso i quali si manifesta una soggettività irriducibilmente plurale (la cui forma « piena » è stata soltanto una centralizzazione immaginaria funzionale all' atomismo capitalistico) ha natura di conflitto, non soltanto di meccanismo linguistico-strutturale: per questo si parla di « strategie » e non di campo enunciativo distribuito, come nella foucaultiana « morte dell'uomo ». L'io dominato dall'immaginario (della tradizione o del desiderio) e l'io schiacciato eticamente sul reale dànno vita alla polarizzazione, nel pensiero della sinistra in senso lato, fra dispersione del soggetto nel desiderio e nell'assenza di memoria, da un 24

lato, consolidamento ripet1t1vo del soggetto, dal-

1' altro, in pratiche etico-umanistiche, viziate da eccesso di memoria, imprigionamento in una storicità intrascendibile. Per un verso si nega ogni pur limitata finalità e si respinge il simbolico come regolazione autoritaria del desiderio, per l'altro si punta sulla riappropriazione di un mix di reale piatto e di immaginario confusivo. Non è sufficiente espungere il soggetto (immaginario) dalla struttura dei rapporti di produzione e dalla teleologia connessa alla progettualità illimitata e al progresso tout court; occorre rico struirne il ruolo strategico-simbolico e perimetrarne i margini sistemici. Altrimenti nel vuoto delle macchine desideranti riemergerà sempre l' antico spettro dell'essenza umana nel suo vortice di alienazioni e riappropriazioni. Lo stesso telos sorpassa il reale con un compromesso di simbolico e di immaginario e il volgersi ad esso del soggetto partecipa dell'ambiguità con cui si addentra nella memoria. Idealmente, che il non-compreso nel passato sia condannato alla ripetizione parodistica nel futuro, proprio questo suggella l'ambivalenza di memoria e progetto intorno alla costituzione dell'individualità moderna.

Forma dialettica della connessione 1. L'ottava ipotesi del Parmenide definisce una situazione ontologica in cui si dà una combinazione relativa di differenze, senza un ordine fondato, con una pluralità indefinita di contraddizioni. Non assoluta impredicabilità dell'essere, piuttosto coesistenza di elementi che aggirano il prin-

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cipio di non-contraddizione. Vuol essere una descrizione del caos, ma potremmo anche assumerla come insieme di relazioni fra sottosistemi, uno dei possibili paradigmi di interazione fra le parti costitutive, il prototipo di una costellazione di situazioni parziali, dotate ciascuna di una propria coerenza, ma difficilmente ordinabili secondo un fondamento. Perciò, dal punto di vista dell'idealismo platonico ( o newtoniano), le masse appaiono pseudo-masse, i limiti pseudo-limiti, e cosl via. La possibilità che questo schema assuma connotati storico-morali è ampiamente utilizzata nel fall-out gnostico del platonismo, traducendosi in decadenza materica della luce, in dispersione di una pienezza originaria. Il viaggio nell'impercorribile Tartaro si :configura allora come esilio dell'anima e destino di deiezione cui corrisponde un'ideologia di redenzione 20 • La moderna suggestione di tali assunti si dispiega nello spazio lasciato libero dal crollo dei grandi assetti sistematici dell'essere, anzi ancora ingombro delle loro macerie. Esilio e separazione dall'Uno allegorizzano lo smarrimento di una percezione organica del vivere sociale e in termini strettamente filosofici l'ineffettualità tanto di un programma analitico universale quanto di una dialettica totalizzante di tipo hegeliano. Tuttavia ostacoli oggettivi interrompono qui l'analogia, sbarrando la strada a ogni redenzione immaginaria. In primo luogo l'irreversibilità del processo per cui l'essere non può rappresentarsi più nell'unità di una dialettica necessaria e finalizzata o nell'onniscienza del demone laplaciano che calcola lo stato futuro del mondo dalla conoscenza istantanea dello stato presente. Questa impossibilità

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di necessitazione analitica o dialettica del futuro è essa stessa un prodotto dell'irreversibilità e un dato irreversibile, un momento cioè di crisi dei progetti « progressisti » di ispirazione scientista o dialettica che rende improbabile una reintegrazione mistica. L'introduzione nel mondo della separazione, della mescolanza, della differenza non ritraducibile a una distinzione originaria fondante è irrevocabile. In secondo luogo la sedimentazione del lavoro sistematico del logos intralcia la risalita pura e semplice al mondo aperto e caotico delle potenze naturali, il « riaggiustamento dei vasi». La perdita dell'Uno si presenta quindi positivamente nella forma di crescita della complessità e il problema dell'alienazione/ esilio si risolve in quelli - meno mistici ma altrettanto ardui - del controllo non riduttivo sulla complessità sociale e della combinazione dialettica dei saperi analitici locali prodotti dalla razionalità moderna. Il luriano « ritrarsi di Dio » ha creato lo spazio della storia: qui l'essere sociale si rivela incomprimibile all' unità e lascia giocare liberamente contraddizioni e differenze. L'aspetto fantasmatico della pluralità - che si tramanda sin dal Parmenide è tale soprattutto se lo si riferisce al soggetto 21 , mentre una ridefinizione strategica di quest'ultimo consente di leggere la complessità in modo assai più neutrale. 2. In che modo crisi del soggetto, aumento della complessità e dissoluzione dei grandi racconti unificanti/ edificanti si sono modernamente intrecciati? In primo luogo con gli effetti materiali della specificazione e intensificazione delle tecniche.

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Non stiamo qui a ricordare, con Heidegger, che l'esserci delle tecniche non è tecnico, perché preferiamo insistere sul dato della loro pluralità e del loro generare linguaggi univoci, difficilmente confrontabili fra di loro in base a una grammatica comune 22 . Il linguaggio che ogni singola tecnica parla costruisce una mappa « locale » del reale che le si para davanti. Con il che si danno anche i limiti di questo linguaggio e delle sue pretese di estensibilità. La località della mappa corrisponde al ritaglio di una porzione limitata del reale oppure al fatto che la mappa è sincronica, fissa i propri oggetti a un tempo dato oppure ancora sotto uno soltanto dei suoi possibili modi di rappresentazione 23 • Dentro la località di una mappa e di una tecnica ( cioè di un insieme circostanziato di decisioni) il principio di non-contraddizione è essenziale; non è pensabile {non serve) che un simbolo non rappresenti comunque lo stesso oggetto ( o l' oggetto allo stesso tempo o quel suo particolare aspetto). La polisemia distruggerebbe la possibilità stessa di avere una tecnica, perché annullerebbe la possibilità di riconoscere per certo un oggetto e di costruire previsioni sicure. La polisemia, pur non distruggendo completamente la possibilità di condurre inferenze ( esistono infatti logiche non scodane o « paraconsistenti » ), indebolisce tuttavia sensibilmente la consistenza dei messi sintattici, con ovvi effetti sull'efficacia delle tecniche. Il contesto investito, mediante una mappa, da una tecnica locale è dunque « bloccato » fra i tanti possibili: bloccato su quel tempo o quell'aspetto di cui si vuole trattare. La sperimentalità e la calcolabilità esigono questa riduzione,

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pur non entrando astrattamente in contraddizione con la polisemia. L'esperienza non può che compiersi qui e ora - localmente. L'essere vi è obbligato alla presenzialità degli enti e in questo senso la calcolabilità implicita nell'esattezza del logos corre verso la scomposizione del sapere e la « tecnicizzazione » del mondo, secondo il modulo heideggeriano del Ge-stell. I termini dei quali le tecniche parlano ri5ultano sovrapponibili soltanto per estensione, per deformazione dei nessi localmente definiti, attraversando spinosi problemi di traduzioni e compatibilità. Il linguaggio della totalità delle tecniche ,è invero il linguaggio naturale, caratterizzato dalla plurivocità e indecidibilità dei significati, dall'allentamento del principio di non-contraddizione. Un linguaggio non può essere insieme rigoroso e inter-locale. Ma già la definizione assiomatica degli enti di base di cui la singola tecnica parla - stante il carattere tautologico del principio di identità - costringe alla fuoriuscita dal campo di quella tecnica, alla ricerca di una fondazione preanalitica che giustifichi gli assiomi sui quali il pensiero analitico lavora. Il carattere autoriflessivo degli enti di una tecnica (implicito nel principio di identità e nella definizione assiomatica) non implica la circolarità della tecnica nel suo complesso: la tecnica non può dire la verità su se stessa senza cadere in aporie irrisolubili - quali sono state dimostrate, prima ancora del secondo teorema di Godel, dalle kantiane antinomie della ragion pura. Le premesse assiologiche non sono giustificate nell'ambito della tecnica stessa che, da questo punto di vista, è un « aperto ». Dire tecnicamente la totalità del-

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le tecniche sarebbe discorso infinito o contraddittorio, falso dunque proprio dal punto di vista «tecnico». Il pensiero analitico, in cui si articola e diviene pienamente efficace il logos platonico, aderisce benissimo alle esigenze di manipolazione locale del mondo, rendendo possibile la codificazione e comunicazione delle regole e dei risultati, ma imbriglia e proietta i suoi oggetti in uno spazio fittizio, costruendo una realtà che non è direttamente del reale, ma di uno spazio tangente convenzionale 24 • E' in relazione a queste difficoltà di autogestione della coerenza sistematica di ogni singola tecnica che si è sviluppata, polemica verso le scienze, la dialettica hegeliana, facendo risiedere nel momento speculativo l'unità complessiva delle determinazioni finite, astratte, separate. La garanzia del sistema viene posta nell'aderenza del mondo alle modalità dialettiche del discorso speculativo. Questa circolarità autoriflessiva si è però rivelata inservibile, sia perché non anticipa sufficientemente l'esperienza per consentire la manipolazione del mondo, sia perché pone il soggetto fuori dal medesimo: da « dentro » si può operare tecnicamente su una sua porzione locale, da « fuori » si può soltanto contemplare un mondo che cammina da solo secondo necessità e finalità dialettiche, assorbendo da ultimo la stessa filosofia come « sistema ». Proprio il nesso fra realtà e razionalità - che inizialmente aveva costituito il punto di forza di Hegel contro il moralismo kantiano - viene a offuscarsi nella circolarità speculativa di una dialettica « espressiva » (per usare il termine althusseriano ), in cui la parte esprime direttamente il tutto e non sussistono più né 30

differenza ontologica fra essere ed ente né adeguata separazione di livelli fra essere e pensiero. A quali condizioni è possibile salvare dal naufragio della dialettica speculativa la legittima esigenza che l'aveva mossa a travalicare la separatezza astratta dei saperi analitici locali e l'aporia delle loro pretese di autoconvalidazione assiomatica? E' possibile, in altri termini, una dialettica che non abbia caratteri di globalità e tuttavia infranga i limiti del linguaggio locale, non-contraddittorio? Qui è in gioco non solo Hegel, ma anche una modalità conciliante e legittimante del materialismo dialettico profondamente inerente al carattere « espressivo » del suo antecedente. 3. Il carattere locale di un linguaggio lo espone all'approssimazione e all'errore, ma la contingenza è anche la sua forza: la possibilità di sbagliare è strettamente connessa a quella di agire strumentalmente. La falsificabilità garantisce anche l'incidenza operativa. Non solo la tecnica, ma anche la strategia ha così un ineliminabile radicamento locale, insiste su aspetti particolari e temporalmente determinati a partire dai punti di tangenza fra mappa e realtà. A differenza però della tecnica, che mantiene coerenza di linguaggio e univocità di risultati nella misura in cui resta locale, l'agire strategico tende a valicare tali confini, costituendosi a istanza inter-locale. Perfino le strategie di ricerca in campo scientifico utilizzano tecniche diverse da quelle proprie del loro campo (per esempio: tattiche politiche e polemiche, vesti filosofiche, appelli propagandistici, pressioni amministrative, ecc.). Il lato « congetturale » del sapere strategico apre inevitabilmen31

te alla polisemia e fa del linguaggio naturale il suo campo peculiare di battaglia. Il linguaggio naturale stesso è intessuto dei tropi della retorica, che cercano appunto di costruire un contenuto non costruibile nell'ambito di un solo linguaggio (per usare una definizione di Ju. M. Lotman). D'altra parte il soggetto che si riconosce nel mondo {e quindi diventa oggetto esso stesso) accetta con ciò l'impossibilità di cogliere il vero in modo definitivo: l'oggetto si presenta sempre sotto condizioni determinate, che non possono essere sciolte del tutto, pena la perdita del nesso con il soggetto che giace nel mondo. La circolarità speculativa si infrange sullo status dell'osservatore, che inibisce parimenti un'analitica globale. Una dialettica inter-locale è una dialettica finita, ipotesi di ricerca sulla struttura reale (locale) del mondo; riconosce i limiti della tecnica nella misura in cui cerca di infrangerne localmente i confini, ma non può distaccarsene completamente, se intende esercitare un'azione, Pur nella difficoltà di definirne un « contorno » 25 , una dialettica inter-locale, nella sua apertura alla plurivocità dei significati, è più potente di qualsiasi tecnica isolata; ma è una potenza pagata con maggiori livelli di imprecisione e di rischio. La negazione dialettica, per esempio, non sceglie immediatamente fra i vari elementi che contraddicono quello localmente assunto per positivo: sceglie il più funzionale alla critica. L'opposizione dialettica è dunque molto più indeterminata della controparte logico-ontologica della negazione formale classica. L'opposizione reale, la differenza che esiste fra gli enti di cui parla una tecnica o tra gli enti omologhi di due tecniche distinte che parlano del32

lo stesso oggetto reale, viene presentata dalla dialettica come contraddizione, attraverso l'unione nello stesso linguaggio di più sensi diversi ( con operazione analoga alla combinazione inter-registrica della retorica), o attraverso la condensazione logico-sincronica dello svolgersi del mutamento. La condensazione {per esempio lo slittamento da opposizione diacronica a sincronica: capitalismo/ comunismo) è fenomeno linguistico in senso lato, presente sia nei meccanismi coscienti sia nel lavoro onirico; essa implica anche fenomeni di spostamento mediante surdeterminazione, che escludono la determinazione finalistico-casuale di ogni elemento da parte del tutto e definiscono - sulla linea che va da Freud a Lacan ad Althusser - processi che non siano analitici ma neppure dialettico-espressivi. La moltiplicazione e la specializzazione delle tecniche è l'aspetto tangibile della dissoluzione dell'unità sociale secondo l'immaginario del pensiero razionale classico; il logos sta tuttavia sulla porta, con il suo gesto irreversibile di riduzione del1'essere alla presenza che vieta ogni affacciarsi a ritroso dalla tecnica dispiegata all'Er-eignis 26, e richiede, semmai, una diversa nozione di ordine 27 , nuovi organi per controllare la complessità. La descrizione formale dei sistemi complessi incontra un limite di principio quando i problemi affrontati richiedono un numero immenso di passi. Per mappare questi problemi sarebbe necessario un atlante derivante dall'incollamento di un numero immenso di fogli o, per aggiornare il paradosso, un nastro infinito di alimentazione degli· inputs destinati a un automa addetto alla risoluzione di un problema « immenso », nastro che naturalmente non troverebbe posto in un

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universo finito; è il solito problema che una rappresentazione senza scorci non può rappresentare se stessa nella propria classe. C'è dunque un limite teorico - non solo una difficoltà pratica - che spinge la rappresentazione dei sistemi complessi verso il linguaggio naturale, con tutto il bagaglio « retorico » di tropi, metafore, metomm1e, spostamenti e condensazioni. E' la tecnica stessa che apre al pensare dialettico. La Teoria Generale dei Sistemi costituisce un rilevante tentativo interno di attraversamento dei domini delle singole tecniche e di controllo (teorico) sulla complessità sociale positivamente assunta. E' interessante notare che nel suo sviluppo, dalla prefigurazione umanistico-tecnocratica nella Tektològija di Bogdanov (degli anni Venti) alle formulazioni cibernetiche degli anni Quaranta zs sino alle più recenti analisi dei sistemi lontani dall'equilibrio, la teoria dei sistemi ha risposto in modo sempre più flessibile alle domande poste sul lato storico, riducendo progressivamente la legittimazione « scientifica » dell' armonicismo sociale e rendendo desueto un modello di « trasparenza » strutturale che lo stesso marxismo aveva acriticamente desunto, con pretese di « inveramento », dall'utopia liberale. Congettura e dimensione strategica - i moderni costituenti della metis - tornano quindi a giocare un ruolo decisivo nella circolazione fra saperi locali, se 1) il predicato di verità di ogni sapere fondato su una dimensione locale dell'esperienza teorico-pratica non può essere interno a quello stesso sapere (e in esso falsificabile), 2) se il « successo » della congettura si compie nei punti di svolta e di accrescimento repentino della

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complessità, più che non in termini di chiarificazione e semplificazione (come è invece buona regola nella soluzione dei normali « rompicapi » ). La riorganizzazione del metodo dialettico sulla base delle acquisizioni della teoria dei sistemi potrebbe costituire un programma di lavoro che di quello marxiano - con cui è filologicamente non comparabile - sarebbe un fruttuoso svolgimento. 4. Ritornando sul lavoro e sul soggetto si può osservare l'omologia fra una dialettica così ricostruita e una costituzione non sostanzialistica ma strategica della soggettività. Il lavoro, a questo punto, si presenta non come relazione radicalmente generica fra individuo e finalità - il modo « umano » di dominare la natura, con uno schema teleologico riproducibile a tutti i livelli della prassi - , ma come caso particolare di relazione sistema/ ambiente, sottopo:,to ai vincoli che caratterizzano le soglie di complessità crescente del sistema. Il limite del modello marxiano è il riferimento retrostante a uno schema tecnico energetico (grazie al quale, peraltro, era stato in grado di motivare suggestivamente la critica dell'impostazione ricardiana, distinguendo lavoro e forza-lavoro); ogni possibile superamento non può eludere il problema di riferimenti alternativi, di un'interfaccia fra la storicità specifica e la validità diacronica della categoria. Se la scienza classica, nella sua affinità precorritrice con la moderna finalizzazione della natura alla manipolazione tecnica, aveva spiegato prevalentemente il mondo in termini di forze e di urti, la riflessione su tali limiti - che si intreccia non innocentem(,'.nte a più sofisticate esigenze di efficienza e di dominio - ha

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spostato l'attenzione verso una configurazione interpretativa più formale che dinamico-energetica. La spiegazione in termini di forma e per diff erenze percepite e organizzate tramite processi di comunicazione chiama in causa la struttura del soggetto e la relazione sistema/ ambiente, separandosi - per così dire - e dalla scienza delle traiettorie e dalla tradizione etico-teleologica. Sono al proposito del massimo interesse le considerazioni di G. Bateson 29 , che estende tendenzialmente il soggetto ( contro il dualismo cartesiano pensiero/ estensione) verso tutta la rete dell'informazione esterna alla « pelle » dell'individuo, nella materialità e culturalità dell'ambiente intersoggettivo e naturale, fissando nella struttura ad anello un modello sistemico alternativo alla finalizzazione unilaterale. Con la prima mossa si rovescia verso l'esterno (secondo un'implicazione potenziale già nella « confederalità » nietzschiana del soggetto) la scoperta psicoanalitica dell'inconscio, per cui l'Io non sta più a casa sua, rendendo instabile il confine fra organismo individuale e ambiente sotto l'aspetto corporeo e nel rapporto fra singola idea e sfondo culturale: il centro di controllo del soggetto viene spostato nel flusso dell'informazione. Le caratteristiche mentali di un sistema non sono infatti localizzabili in una parte ma ineriscono a tutto il sistema; in tal modo l'ambiente culturale è fortemente osmotico rispetto a ogni sua componente personale e la « proprietà privata » delle idee sfuma nella loro generazione e circolazione collettiva. Il sistema pensante, insomma, non è l'io e neppure lo spirito separato dal corpo; non lo è più nei

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confronti del suo nucleo inconscio e neppure verso l'ambiente circostante. L'immagine che Bateson dà di questa effusione dell'individuo richiama per molti riguardi quello che Bachtìn chiama, a proposito di Rabelais, il « corpo grottesco », incompiuto, privo di una netta demarcazione con il mondo circostante e portato tanto a trasfondersi in esso quanto ad assimilarlo; soltanto con il pieno Rinascimento e poi con Cartesio assistiamo all'isolamento del corpo dal mondo, della res extensa dalla res cogitans. Il processo senza oggetto coinvolge naturalmente anche la posizione dei fini - e qui ci muoviamo sul terreno della classica alternativa spinoziana al cartesianesimo. Bateson ricostruisce così, in uno dei suoi « metaloghi », la genealogia della oggettivazione/ finalizzazione: « Beh, il primo taglio è tra la cosa oggettiva e il resto. E poi dentro la creatura che è costruita sul modello di intelletto, linguaggio e strumenti, è naturale che si sviluppi la finalità. Gli strumenti servono a certi fini, e tutto ciò che blocca la finalità è un impaccio. Il mondo della creatura oggettiva si divide in cose ' utili ' e in cose ' nocive ' .. . Poi ia creatura applica questa divisione al mondo dell'intera persona e l'utile e il nocivo diventano il Bene e il Male, e con ciò il mondo è diviso fra Dio e il serpente ... ».

Nei sistemi biologici esiste normalmente una molteplicità di fini, il cui perseguimento avviene mediante meccanismi di circolarità cibernetica., mediante cioè un anello di azione/ retroazione/ azione corretta, mentre nell'universo della tecnica si afferma sempre più la tendenza a massimizzare uni-

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lateralmente una sola variante 30 • La coscienza finalizzata estrae dalla mente totale sequenze di tipo rettilineo, archi del cerchio cibernetico, con una frattura tanto conoscitiva quanto operativa. L'attenzione selettiva depaupera, rescinde frammenti e impone strutture spesso incompatibili con l'equilibrio sistema/ ambiente. L'effetto sociale che ne deriva è del tutto « indesiderato » riguardo alle aspettative: un piano che non calcoli preventivamente vincoli di compatibilità e possibili retroazioni rischia di sconvolgere le assunzioni iniziali, o piuttosto dimostra che la logica della progettualità comporta inesorabilmente conseguenze spiacevoli 31 • La questione della tecnica si sposta allora dalla categoria della «, calcolabilità » alla concreta imperfezione di un calcolo unilaterale, che astrae dai vincoli e li « sfida » ciecamente per massimizzare lo sviluppo delle forze produttive; la strada di una critica romantico-regressiva viene sbarrata e l'imposizione di una progettualità lineare perde la figura heideggeriana di « destino » per ricollegarsi piuttosto a un insieme di pratiche produtti.ve e organizzative imputabili a interessi di classe o a riduzioni economicistiche di programmi rivoluzionari. La furia nichilistica della tecnica viene esperita in un contesto storico e si fa suscettibile di analisi e intervento politico. Se volessimo trovare una soluzione alternativa alla risalita heideggeriana dal Ge / stell all'Er-eignis /Ent-eignis (l'evento adpropriante/ dis-propriante), non vi è forse una trattazione più illuminante del Planetario che chiude l'Einbahnstrasse di Benjamin 32 • La povertà dell'uomo moderno è qui ricondotta alla mediocrità della sua esperienza cosmica, che gli antichi compivano nel segno dell'ebbrezza. L'

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esperienza rimossa torna però perversamente - con· la I guerra mondiale - nel connubio fra potenze cosmiche e distruttività della tecnica bellica: « Questo grande corteggiamento del cosmo s'è compiuto, per la prima volta, su scala planetaria cioè nello spirito della tecnica. Ma poiché l'avidità di profitti della classe dominante contava di soddisfarsi a spese di essa, la tecnica ha tradito l'umanità e ha trasformato il letto nuziale in un mare di sangue. Dominio della natura, insegnano gli imperialisti, è il senso di ogni tecnica. Ma chi vorrebbe prestar fede a un precettore armato di sferza che indicasse il senso dell'educazione nel dominio dei bambini da parte degli adulti? L'educazione non è forse in primo luogo il necessario ordine del rapporto tra le generazioni e dunque, se di dominio si vuole parlare, il dominio non dei bambini ma di quel rapporto? Così anche la tecnica: non dominio della natura, dominio del rapporto tra natura e umanità».

La forma circolare che assume una corretta progettazione (e che presuppone un cambiamento informazionale dello schema sottostante di lavoro) e la concomitante risoluzione dell'identità metafisica del soggetto in combinazione strategica fra livelli sono due punti forti di ricerca che trovano in Marx un terreno di crescita ma sono essenzialmente post-marxiani, emergono cioè nella fase di complessità sociale risultante dalla realizzazione pratica delle tendenze individuate dall'autore del Capitale e dell'adempimento parziale e contro-finalistico del suo programma politico. Le antinomie della cooperazione sociale si producono a partire da quelle classiche, cioè di39

versamente. Non stupisce che anche le forme di emancipazione siano irriproponibili nella loro classicità.

Riti di passaggio

1. L' illuminazione profana che apriva il varco all' apokatastasis surrealista scende con il Passagen-W erk di Benjamin nel fondo della storia borghese e si misura direttamente con il tempo e la redenzione. Diciamo subito che i due termini stanno in tensione: l'immagine dialettica è « memoria involontaria dell'umanità redenta» proprio in quanto la redenzione blocca il tempo nel suo scorrimento eguale e vuoto 3, impone la propria autenticità con un arresto che eternizza il caduco 34 • La storia non si dispone più su asse temporale di scorrimento omogeneo, ma piuttosto intorno a punti focali, a presenti che la riassumono e definiscono rispetto a sé una pre-storia e uno post-storia 35 . Questi momenti sono soglie, cui l'arresto e condensazione del caduco conferisce una straordinaria possibilità di interpretazione e riscatto. Il prototipo di tutte queste è la soglia che separa il sonno dalla veglia. Il Traumbild, l'immagine dialettica come immagine di sogno, è preparato per l'interpretazione, appunto (con metafora freudiana) per una Traumdeutung collettiva che non solo ne illumina la tessitura storica, ma pone il proletariato, nel presente, quale soggetto capace di ridestare la coscienza sognante del passato borghese. L'immagine dialettica non riproduce il sogno ( scrive Benjamin a Gretel Adorno), si tratta piuttosto di un rovesciamento, di una decifrazione. La 40

camera oscura offrirebbe una metafora altrettanto benjaminiana. Il richiamo alla tecnica psicoanalitica è però molto più pregnante. In primo luogo segna una demarcazione netta rispetto all'irrazionalismo dell'immagine arcaico-archetipica di Jung e Klages e alla sua virtuale utilizzabilità per il fascismo. In secondo luogo la forza di decifrazione dell'immagine dialettica rispetto al sogno borghese si articola per meccanismi di scomposizione e di sintesi, per spostamenti e rimozioni surdeterminate. Il continuum del sogno viene riorganizzato dal punto di vista del presente: la surdeterminazione della Traumdeutung, attraverso il « ritorno a Freud » di Lacan, diventerà non a caso una caratteristica della ridefinizione althusseriana della dialettica. Le analogie che si sviluppano a partire dal comune interesse alla surdeterminazione freudiana sono invero di sorprendente rilievo e contribuiscono parallelamente a un uso parziale ma « liberato » del materialismo storico per l'oggi 36 • Comune è, per esempio, la critica del tempo hegeliano come tempo vuoto-omogeneo, il cui « presente » taglia il flusso lineare con un piano bidimensionale, sezione sincronica di una « totalità espressiva » in cui tutti i livelli sono espressione immediata di un'unità essenziale, « cerchi di cerchi »; il « progresso » e lo « sviluppo delle forze produttive » costituiscono scorrimento evolutivo dei presenti verso finalità racchiuse ab origine nella totalità. L'evoluzionismo positivistico per Althusser è « dialettica dei poveri », così come in Benjamin l'accumulazione degli eventi non è visione alternativa, ma rovescio piccoloborghese dell'aristocratico privilegiamento del-

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l'immedesimazione storiografica e del mito ciclico, intima solidarietà fra eterno ritorno e « come veramente è andata». Alla coupe d' essence althusseriana, che rivela gli scarti fra le « istanze » del reale, e alla « costruibilità» di tempi storici che ne esprimano l'articolazione specifica (escludendone però sia un movimento simultaneo « progressivo » sia una semplicistica definizione per scarti differenziali con un tempo-base oggettivo di riferimento - al modo descrittivistico delle « Annales ») corrisponde la strutturazione complessa, monadicamente concentrata della Jetzt-Zeit benjaminiana, in cui la gerarchia dipende dai nessi della memoria involontaria piuttosto che dalla reciproca determinazione delle istanze (economica, giuridica, politica ecc.). In entrambi i casi, però e decisivamente, la nuova struttura del tempo rigetta un « destino » di progresso lineare in un contesto storicistico privilegiante individualità e psicologia e induce al rifiuto esplicito di una « storia in generale » ( corrispettivo della « produzione in generale ») a favore dell'individuazione di strutture specifiche di storicità fondate, in ultima istanza, sulle possibilità di combinazioni diverse, di tipo pseudo-combinatorio (per dirla con Balibar ), fra elementi che restano virtuali fuori della loro connessione determinata. Troviamo qui una singolare analogia (per la sola parte negativa) con la critica benjaminiana della « storia universale », accusata di essere l'esperanto di una reale pluralità linguistica, con la pretesa di sostituirsi alla riunificazione messianico/ nientificante delle lingue e delle storie. Nel volgersi poi a un modello freudiano ( e prima ancora genealogico) di interpretazione, tale

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da aggirare la casualità deterministica passante alternativamente per la conciliazione dialettico-espressiva del termine medio o per la concatenazione empirica, sia l'immagine dialettica che la surdeterminazione della contraddizione convergono essenzialmente nell'obbiettivo di decifrare la combinazione specifica dei livelli, a partire dallo « stato di veglia » di un soggetto costituito per effetto della lotta di classe. Ne risulta così spezzato, sia pure con diversa argomentazione, il nesso « antropologico » fra soggetto, lavoro, emancipazione e natura 37 • La forza della determinazione delle istanze nella variazione delle combinazioni, la struttura a dominante della contraddizione, scongiura la possibilità di resurrezione, nell'appiattimento funzionalistico, del « mondo vitale » del soggetto entro nessi formalmente sistemici. Questa pericolosa rifunzionalizzazione a un più scaltrito antropologismo, attrezzato di teoria dell'informazione per disegnare una nuova «natura» (immodificabile) del sociale, è del tutto evidente nelle implicazioni etiche dell'illuminismo sociologico di Luhmann: la riduzione della complessità mira esattamente a conservare l'invarianza « naturale » degli elementi costitutivi delle combinazioni, facendone delle semplici combinatorie, destituite di spessore e sigillate dall'immediatezza del vero. Come nella solidale polarizzazione di inizio secolo fra Seele e Mechanisierung 38 , oggi le ragioni del mondo vitale dell'individuo si sposano benissimo alla digitalizzazione ( e lo stesso vale per i flussi desideranti e ogni gioco « debole» delle differenze). L'individuazione di dominanti strutturali e di nessi strategici del soggetto è un momento essenziale per non smar-

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rire, con la forma insostenibile della tradizione metafisica classica, la possibilità stessa di un discorso filosofico, il livello minimale di un'ontologia del complesso cui offrono suggestioni gli autori considerati. 2. Ogni epoca sogna la seguente« sposandola» a elementi della preistoria, cioè al ricordo di una società senza classi: nell'utopia che si sprigiona nei luoghi storici di frattura redeunt Saturnia regna. La decifrazione del sogno, che è opera - nell'epoca successiva - della classe rivoluzionaria e del materialista storico, si fonda sul dato oggettivo che l'indice storico delle immagini non solo rimanda a un tempo determinato, ma perviene a leggibilità soltanto in esso. Ogni presente è determinato attraverso quelle immagini che gli sono sincrone: « ogni ora (Jetzt) è l'ora di una specifica conoscibilità », in cui la verità « si carica di tempo fino a scoppiare ». Benj amin contrappone puntualmente questa dissezione e ricostruzione discreta del processo storico al vano tentativo heideggeriano di salvare astrattamente la storia attraverso la « storicità». Heidegger e i surrealisti si sono trovati al medesimo bivio, ma hanno preso strade opposte. Per quel tanto, tuttavia, che hanno percorso in comune 39 , essi hanno collaborato a liquidare l'orizzonte del progresso per ogni soluzione del problema dello Jetztsein der ] etztzeit. Nella « svolta copernicana » della storiografia il passato trascorre da punto fisso di riferimento attorno al quale ruota la conoscenza a fissazione dialettica operata sinteticamente dall'irrompere della coscienza ridesta. Il rovesciamento del rapporto presente/passato (in questo caso la barra 0

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indica la soglia sottile ma decisiva dell'immagine dialettica) significa « primato della politica sulla storia». I « fatti» storici si raccolgono nel ricordo, ma il risveglio è il prototipo di questo tipo di ricordo, che sa far emergere dal passato un « sapere ancora non conscio » 40 • Questo risveglio è anche un'operazione strategica, che Benjamin descrive in termini di metis: « con l'astuzia, non senza di essa ci strappiamo dalla sfera del sogno ». Si tratta di un rovesciamento eminentemente complesso (ein eminent durchkomponierter Umschlag) del mondo del sognatore in quello del ridesto, che ha il suo luogo nella soglia del risveglio, nel trattenersi fugace dell'immagine che di colpo rivela il suo ordine altrimenti e sistematicamente disposto: « il nuovo metodo dialettico dello storico impara a percorrere in spirito il passato con la velocità e l'intensità dei sogni, per sperimentare il presente come mondo del risveglio, a cui infine ogni sogno si ricollega » 41 •

Il presente e lo stato di veglia ( con esplicita equiparazione: Jetztsein W achsein!) irrompono con l'astuzia dentro le mura della cittadella del passato e del sogno: « l'arrivo del risveglio sta come il cavallo di legno dei Greci nella Troia del sogno ». L'astuzia spezza il contorno finito del passato, per un verso proprio perché è un finito, per l'altro riaprendolo all'indeterminazione strategico-congetturale dell'attualizzazione, di ciò che per definizione non può avere un contorno: il materialista e il rivoluzionario fanno sì che ciò che è concluso non lo sia più {le vittorie degli oppressori) e che ciò che è inconcluso (l'esperienza

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degli oppressi, il loro desiderio di liberazione) venga a conclusione. Questo è propriamente il messianico, che in quanto tale ha anche le stimmate della caducità, dell'effimero fulgore angelico ovvero della « debole forza messianica che ci è data » 42 • La soglia del presente è appunto un luogo strutturato, non un attimo decisionistico-intuitivo, un Erlebnis 43 ; in essa il tempo costruito si oppone come pieno al tempo naturale dello storicismo; in essa la distesa del tempo si trattiene e fa trasparire la molteplicità del passato nella prospettiva dell'adesso. È esattamente l'opposto della temporalità ek-statica di Heidegger, in èui - non a caso - il termine Jetztzeit è contrapposto, come tempo intramon.dano del si (Man) livellatore, al1' autenticità della decisione anticipatrice. Contrapposto ma anche lasciato sostanzialmente inalterato ( donde prima la « storicità » recuperata, poi il nesso « destinale » tecnica-evento). Al contrario l'ideologia del progresso si sdiluisce nella tensione fra un cominciamento leggendario e una fine altrettanto leggendaria della storia 44, appone la sua firma al corso della storia in blocco e sfocia così in una ipostatizzazione acritica. È questo il « moderno», nel senso del nuovosempre-eguale che Benjamin annette al « cattivo infinito » hegeliano ed esemplifica stupendamente con quella scena del Processo kafkiano, in cui il mediocre pittore Titorelli estrae da sotto un divano vari quadretti rappresentanti un identico paesaggio di brughiera e ne sostiene la profonda diversità. Qui il moderno è « il tempo dell'inferno», l'ancora-sempre-identico di uno spettrale eterno ritorno 45 , in nulla differente dalle rappresentazioni continuistiche dello storicismo. 46

L'operazione che si compie con l'uso teorico del dialektisches Bild e con la prassi della rivoluzione è dunque un infinito chiamare a leggibilità la finitezza del passato senza mai darsi come assoluta leggibilità, un far luce che sconta l'impossibilità della propria stessa trasparenza. Il testo del finito è sottoponibile, nel suo tramandamento, a sempre nuove possibilità di commento, a un interminabile processo di individuazione di nessi fattuali a campi di tensione fra Vor-und Nachgeschichte, aree di cesura e discrimine. Questa polarizzazione si compie, sempre diversamente, nel1' attualità. La trasparenza del cristallo monadico - per usare l'immagine leibniziana e alchemica prediletta da Benjamin - è in realtà la successiva contemplazione delle varie facce sotto il raggio di luce dell'attualità, nel bagliore del pericolo. È però del tutto inattendibile analoga trasparenza nei riguardi del futuro, che resta insondabile, affetto da divieto di investigazione. La condanna biblica della superstizione e dell'arrogante veggenza coincide qui con l'imprevedibilità dell'attore e l'invisibilità del contorno dall'interno dell'esperienza in corso, di cui ci parlava Bateson. La prevedibilità del corso del mondo sta dunque - e cade - con la sua trasparenza; la totalizzazione equivale a un chiamarsi fuori spaziale o temporale 46 • Si dà trasparenza ed esaustività solo di ciò che è compiuto, quando il possibile si è ridotto all'accaduto conservandone la fi. nitezza. È una trasparenza senza fondamento e senza forza necessitante nei confronti dello sviluppo successivo - del resto privo anche di qualsiasi telos attrattore. Le forme del passato sono dotate di un « contorno », possono ancora sprigio-

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nare domanda di redenzione, ma in nessun modo vincolano il presente a un destino o comunque lo giustificano e appagano. 3. « Ciò che è più proprio dell'esperienza dialettica è il distruggere la parvenza del sempre-eguale, anche soltanto della ripetizione nella storia. L'autentica esperienza politica è assolutamente libera da questa parvenza» (P-W, 1, p. 591). La lotta contro l'eterno ritorno, « forma fondamentale di tutta la coscienza mitica» (ib., 1, p. 177), è una lotta politica che ha il suo luogo centrale nella società produttrice delle merci. Nel capitalismo sviluppato, infatti, la dialettica della produzione di m~rci fa si che « la novità del prodotto riceva una significazione fino allora sconosciuta come stimolo della domanda. Allo stesso tempo compare con evidenza l'ancora-sempre-identico {Immerwiedergleiche) nella produzione di massa» (ib., 1, p. 417). L'incorporazione del lavoro ~guale nella merce produce una singolare divergenza, a cui da ultimo si riconduce, nella storiografia, l'oscillazione solidale fra accumulazione positivistica dei fatti e senso mitico della storia (eterno ritorno, Einfuhlung diltheyana): « La cosa esercita il suo effetto di estraniazione degli uomini fra di loro in primo luogo come merce. Essa lo esercita mediante il proprio prezzo. L'immedesimazione (Einfuhlung) nel valore di scambio della merce, nel suo 'Sostrato eguale, è il fatto decisivo (L'assoluta eguaglianza qualitativa del tempo, in cui trascorre il lavoro che produce valore di scambio, è il fondo grigio, dal quale emergono i vistosi colori della sensazione)» (ib., 1, p. 488).

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La brughiera squallida e sempre eguale della storia - immagine che si produce organicamente in seno alla produzione di merci - si ravviva illusoriamente con la fioritura delle sensazioni e il loro raggrupparsi in esperienze eccezionali (Erlebnisse ). È per questo che il mediocre pittore può vantare la varietà del paesaggio contro ogni evidenza. L'Erlebnis celebra il suo trionfo nel gioco con il destino, nel vincolo del tutto casuale (che appare perciò un « privilegio ») fra individuo e destino; in tale contesto entrambi si producono a vicenda e dipendono l'uno dall'altro. « L'ideale dell'esperienza scioccante è la catastrofe, Questo si palesa benissimo nel gioco: attraverso puntate sempre più grandi, che dovrebbero salvare il perdente, il giocatore corre verso la rovina assoluta »

(ib., l, p. 642).

L'esperienza quotidiana che si collega al lavoro concreto {Erfahrung), subisce, nelle condizioni capitalistiche di produzione, un impoverimento e una sconnessione crescente, nella stessa misura in cui se ne stacca la possibilità di esperienze privilegiate, affidate, sul fondo grigio del lavoro astratto e del tempo ,eguale, alla figura del1'ozioso, del flaneur in tutte le sue incarnazioni, depositario degli chocs e destinatario delle fantasmagorie (cfr. ib., 1, pp. 961-970, ma anche i frammenti su Baudelaire e Parco centrale, tradotti in Angelus novus cit., pp. 89-144). Questa è la fonte moderna della mitologia 47 e la radice dei recuperi arcaico-archetipici nell'ideologia e nella demagogia della destra. Al fondo la modernità congiunge fulmineamente, con effetto di choc tanto nel « vissuto » 49

individuale-privilegiato quanto nella manipolazione delle masse, la regressiva coazione a ripetere, l'istinto di morte, con le esigenze della produzione di merci. Il risultato è ambiguo - come, del resto, vale per la tecnica, per la réclame, per la riproducibilità dell'opera artistica. Il moderno/ arcaico e l'esperienza urbana sviluppano contraddittoriamente liberazione ludica e assoggettamento alle potenze infere: già l'eterno ritorno « è un tentativo di saldare insieme i due princìpi antinomici della felicità: quello dell'eternità e quello dell'ancora una volta» (Parco centrale, A.N. p. 140 ). Ma ancora più intensa è l'altra considerazione benjaminiana sulla ripetizione, come legge che regola l'i~tero mondo del gioco 48 : « Sappiamo che essa costituisce l'anima del gioco infantile; che nulla rende più felice il bambinò dell'ancora una volta. Qui, nel gioco, l'oscuro impulso alla ripetizione agisce con una violenza che è appena minore di quella con cui opeta l'istinto sessuale nell'amore. E non per nulla Freud ha creduto di scoprirvi un Al di là del principio di piacere. In effetti: ogni esperienza più profonda vuole insaziabilmente, fino alla fine di tutte le cose, la ripetizione e il ritorno, il ripristino di una situazione originaria da cui ha preso le mosse ... Questa è forse la più profonda radice del doppio significato del tedesco Spielen: la ripetizione della stessa cosa è forse l'elemento comune ai due sensi della parola (se. « giocare » e « recitare»). Non è già un 'fare com:: se', ma un 'fare sempre di nuovo ', la trasformazione dell'esperienza più sconvolgente in un'abitudine, ciò che costituisce l'essenza del gioco ».

Il capitalismo e la grande città moderna fanno riemergere le potenze mitiche, quasi rievocate dal-

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la razionalizzazione dell'economia e della societt In realtà, anzi, razionalizzazione e mito sono complementari: « Il capitalismo fu un fenomeno naturale, con cui un nuovo sonno abitato da sogni cadde sull'Europa e con esso una riattivazione delle forze mitiche» (P-W, 1, p. 494). Nel compito di risvegliarsi da questo Traumschlaf continua ad essere presente l'antinomia; sulla soglia della veglia premono tutte le potenze della vertiginosa potenza urbana, alita il soffio mitico del moderno. È la profonda esperienza del sogno - l'attraversamento della sua selva 48 _ che rende possibile, beninteso al risvegliato, l'opera di decifrazione, ti-determinazione del surdeterminato. Quello che si vuole distruggere - aveva altrove osservato Benjamin 49 non basta conoscerlo, occorre anche averlo sentito, « per poter fare un lavoro completo ». In questo spirito anche il programma di far esplodere dall'interno il mito si compie secondo una pregnante osservazione di Menninghaus {cfr. n. 47) - con i mezzi stessi del mito, in primo luogo nella forma di immagine, il dialektisches Bild, che rompe un precedente interdetto, evidente, per ,esempio, nel rigorismo ebraicamente anti-rappresentativo degli scritti sulla lingua. Questa ambiguità benjaminiana va però letta sul piano giusto: non lo porta a deflettere da una battaglia contro il mito che, già negli scritti giovanili di taglio anarco-sindacalista 50, era associato al diritto, cioè alla forma ideologica della razionalizzazione borghese, ma piuttosto a valorizzare nell'esperienza metropolitana il terreno della lotta, senza tentazioni adorniane di regresso nel « buon antico». È brechtianamente 51 il

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« cattivo nuovo » il luogo dell'avanzamento dialettico. Certo, il risveglio - se si è avuta un'esperienza profonda del sogno - non si libera facilmente dai dèmoni della notte. 4. Se la forma è nell'immagine dialettica, nel suo« arresto » (Stillstand), il lato rivolto al mito per estrarne un antidoto allegorico, non meraviglia l'attenzione benjaminiana per l'architettura, per « l'ordine significante dello spazio » (Menninghaus); Aragon è così definito il Pausania del moderno, nell'aver fissato la parentela di mito e topografia (P-W, 2, p. 1031). Il figurale inerisce al passage spazialmente e temporalmente. « Rites de passage - cosl si chiamano nel folklore le cerimonie connesse alla morte, alla nascita, alle nozze, alla pubertà ecc. Nella vita moderna questi passaggi sono divenuti sempre meno conoscibili e sperimentabili. Siamo divenuti assai poveri di esperienze della soglia. L'addormentarsi è forse l'unica che ci è rimasta. (Ma con questa anche il risveglio). E, in definitiva, attraversa delle soglie, come il mutamento di figura del sogno, anche il su e giù della conversazione e dello scambio sessuale proprio dell'amore. « Qu'il plait à l'homme » - dice Aragon « de se tenir sur le pas des partes de l'imagination »!Non soltanto le soglie di queste porte fantastiche, sono le soglie in genere quelle da cui amanti e amici amano succhiarsi le forze. Le prostitute invece amano le soglie di queste porte di sogno. - La soglia deve essere drasticamente distinta dal confine. La soglia è una zona. Proprio una zona del transito » (P-W, 1, pp. 617-8 e 2, p. 1025).

Il passage è il lato infantile di un'epoca, quello rivolto ai sogni (ib., 2, p. 1006), ma insieme è

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esperienza del passaggio e perfino della sua necessità, il luogo dove non si può fare letteralmente altro che passare, dove non ci si deve arrestare 52 • Anche gli utenti dei passages, i flaneurs, non possono arrestarsi, sono soglie mobili, che nel loro disadattamento al nuovo quadro sociale lo evidenziano in controluce 53 • Questa « mitologia latente» del passage (P-W, 2, p. 1002) apre due direzioni (ib., p. 1032): quella che va dal passato al presente e rappresenta i passages come prodromi, quella che dal presente va verso il passato per far esplodere nel presente il compimento rivoluzionario di questi «prodromi». Quest'ultima direzione